Piero Mirti
SANTA CHIARA
nel racconto della prime sorelle
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Edizioni Porziuncola- S. Maria degli Angeli - Assisi
Alla madre di mio padre
che ha nome Chiara
dedico questo libro
II Edizione - Febbraio 1982
Ristampa eseguita
presso le A.C. Grafiche di Città di Castello
nel mese di febbraio 1982
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Questo piccolo libro vuol essere soltanto un atto di fede e d’amore a
Chiara, ripetuto dopo VII secoli, con le parole di quelle che videro,
credettero e amarono.
Le sorelle di S. Damiano profumano di viole sotto le pietre del
Santuario, così anche questi loro racconti del Processo di
Canonizzazione.
La più viva e poetica Chiara è quella che trasparisce dalla armoniosa
prosa trecentesca di questo interessante documento.
Ho cercato di mettere insieme i pezzi del mosaico. Forse non sarò
riuscito, ma non volevo fare altro que ordinare e presentare ai lettori di
questo secolo, i racconti di quindici monache, in quel 25 novembre de
1253, a S. Damiano d’Assisi, davanti al tribunale per il processo di
Canonizzazione di Chiara d’Offreduccio, morta i odore di santità, la
sera del 11 Agosto de 1253. Qua e là per raggiungere il mio scopo mi
sono servito anche di altre fonti.
Soltanto un atto di fede, dunque, di un figlio d’Assisi alla Principessa
dei poveri, un atto d’Amore a una di quelle creature, che incontra nella
via del ritorno, ogni figliol prodigo.
P.M.
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“Beati quelli che sosterranno
in pace che da te Altissimo
saranno incoronati”.
DIES NATALIS
SORELLA CHIARA
Cristo ebbe la sua Donna che Gli dette l’umanità e l’aiutò nell’opera
divina della Redenzione.
Francesco ebbe pure una donna che l’aiutò ad essere santo e fu santa
anch’ella.
Quarant’anni di chiostro, di assoluta povertà e di solitudine.
Sorella Chiara s’era consumata d’amore per Cristo, nella crudezza dei
giacigli, nella miseria delle mense, nel fervore della sua materna
generosità.
Mai ebbe. Volle dare tutto. Misurò il suo debole corpo di donna dalla
grandezza del cuore.
Ventotto anni di infermità, trascorsi nella dolce “prigione” del
Convento.
Vivente ancora Francesco ella era già malta. E il Santo che tanto amò
sorella Chiara, volle che si mitigasse per lei, fiore della povertà, il rigore
della regola.
Tentò spesso di frenare con paterna premura il mistici slanci di lei.
La pregò di lasciare la pietra per il giaciglio di foglie, e di mangiare
qualche boccone di quel pane che portavano i contadini a San Damiano
e bere l’acqua del pozzo.
Incaricò le sorelle che vigilassero sulla madre.
Non voleva perderla. Doveva restare, dopo di lui, poiché tutto non era
stato compiuto.
C’erano poveri da beneficare, ancora malati da guarire, quelli che egli
non aveva incontrati; potenti da convertire.
Bisognava preservare Assisi, la città santa, dalla rovina e dalla guerra.
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C’erano ancora uomini assetati di pace, d’amore e di giustizia, per le vie
del mondo.
Avrebbe lasciato i suoi, Rufino, Leone, Angelo, Masseo, Ginepro, soli e
bisognosi di lei e delle sue preghiere.
Chiara, già gravemente inferma, moriva d’ansia a saper Francesco
lontano, stanco e malfermo vagare per le contrade dell’Italia.
Tutte le sere, nell’oratorio del convento, le povere damianite pregavano
per il Padre e i fraticelli che affrontavano in qualche remoto angolo del
mondo la morte e combattevano il male.
Poi tornò, in un giorno del 1224; stanco, quasi cieco, e crocifisso.
Sostò in una celletta di “stuoie”, vicino a S. Damiano.
Molto malata da parte sua, Chiara volle egualmente assisterlo.
Fu i suoi occhi, come era stata sempre la sua anima.
Asciugò con le dolci sorelle, le ferite delle mani e dei piedi, come aveva
fatto Maria con le pie Donne sul corpo di Cristo.
Lo ascoltò cantare le lodi del creato, proprio nel suo giardinetto, aperto
tra le mura della clausura, su di un angolo della valle.
La morte del Santo in quel vespero del 3 ottobre 1226 fu una ferita al
suo cuore di figlia e aggravò la sua malferma salute.
Restò cosi sola con le sorelle. La sua malattia andava lentamente
aggravandosi.
Ancora ventisette anni. Mai un lamento, fu sempre serena.
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BEATI QUELLI CHE SOSTERRANNO IN PACE,
CHE DA TE ALTISSIMO.
SARANNO INCORONATI.
LA VISITA DEL PAPA
Nel 1252, per l’aggravarsi dei dolori fu costretta a rimanere di continuo
a letto.
Le povere sorelle le si strinsero intorno, quasi presagissero la sciagura
che le avrebbe colpite. Piangevano. Avevano paura di perderla e di
restare sole. “non piangete figlie dilette - le consolava la madre - poiché
io non potrò morire, finché non verrà qui il Signore, nella persona del
Pontificie e dei suoi Cardinali a consegnarci quella regola di povertà,
che noi eleggemmo a nostra guida sulla terra”.
Dunque questo era l’unico e l’ultimo legame che l’unisse ancora alla
vita: la regola, per cui aveva così coraggiosamente combattuto.
Le povere damianite non capirono, e sperarono ancora.
Innocenzo IV era in quei tempi a Perugia, con la Curia Romana.
Il Cardinale Rainaldo Vescovo d’Ostia, e protettore delle povere
Clarisse, inquieto e preoccupato per l’aggravarsi della malattia di Chiara,
andò a trovarla in San Damiano, a prodigarle le cure del conforto e
della fede.
Chiara lo scongiurò ancora che impetrasse per lei, dal Papa, il privilegio
della povertà.
Il cardinale promise che avrebbe fatto del suo meglio.
Passarono così nella speranza, gli ultimi anni del ‘52.
Ella soffriva ogni giorno di più, ma non poteva morire.
Le giunse una lettera di Rainaldo d’Ostia che la rassicurava e le dava per
certo il consenso del Pontificie.
Finché nella primavera del 1253 Innocenzo IV venne in Assisi e scese a
visitare l’ancella di Cristo. Promise la regola tanto agognata.
Nell’estate dello stesso anno, sentendosi ormai vicina alla morte, Chiara
domandò lo straordinario favore che fosse il Pontificie, a porre la prima
notula d’approvazione in testa alla regola, che ella stessa aveva scritto.
Innocenzo IV accondiscese e andò a visitarla una seconda volta con il
corteo dei Cardinali e dei dignitari romani.
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Dai campi vicini, accorsero, richiamati dallo straordinario avvenimento,
i contadini e i servi della gleba.
Giunti che furono al chiostro di S. Damiano, fu abbattuto il muro
perché potesse passare il Pontefice non parendo dignitoso che egli
s’arrampicasse sù per la piccola scala che usavano le monache.
Entrò solo con quattro frati minori :il corteo dei cardinali e del clero
attese fuori.
Chiara appena lo vide, volle baciargli le mani e i piedi, con il cuore
gonfio di gioia.
“figliole mie, rendete laude a Dio, pero’ che el cielo et la terra non
bastera’ - disse - ad’tanto benefitio che ho recevuto da dio, imperò che
oggi ho veduto lo suo vicario”.
Adagiò il volto bianchissimo sul giaciglio, e angelicamente domandò al
Padre che le rimettesse i peccati.
E quegli esclamò:
“Potesse essere l’anima mia, così pura”.
La benedisse commosso.
Nelle ultime ore, giorno e notte come da anni, tutte le sorelle erano
intorno a quel giaciglio ove Chiara stava morendo.
Piangevano sgomente e spaurite, avevano perduto il padre e stavano
per perdere la madre.
E con loro era Agnese, sorella di Chiara.
La Santa l’aveva richiamata dal Monastero di Monticelli, in Toscana,
ove era abbadessa perché l’assistesse in quegli ultimi giorni di vita.
E’ forse l’unica scena umana di questo divino trapasso.
Agnese piangeva in silenzio da una parte, per non farsi vedere.
Era metà della sua stessa anima, erano nate allo stesso destino.
Aveva seguito Chiara dietro le orme di Frate Francesco, dalle ricchezze
del palazzo paterno, alla povertà del monastero di S. Angelo di Panzo.
I soldatacci dello zio Monaldo l’avevano schiaffeggiata a sangue,
trascinata sulle spine e sugli sterpi della collina, ma ella tornò da Chiara.
La morente si accorse di quel silenzioso pianto, e in quell’attimo
Agnese:
“Chiara, non mi lasciare!”
E l’ancella di Cristo a lei:
“Sorella dolcissima, è il Signore che vuole che io vada”.
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“Non piangere, io non ti lascierò sola, poiché tu verrai presto con me in
Paradiso”.
Infatti, dopo pochi mesi, il 15 novembre dello stesso anno, anche
Agnese moriva, E fu santa.
“LA CURTE CELESTIALE”
Sebbene fossero giorni che non prendeva cibo nè acqua, Chiara
mantenne fino agli ultimi istanti una grande energia e una straordinaria
forza di volontà.
Lunghissime file di frati e di sacerdoti andarono a trovarla, per recitare
le preghiere.
Un certo frate Rinaldo, un brav’uomo, ma che forse niente aveva
capito, volle confortarla, esortandola a pazientare il lungo martirio.
La colomba d’argento gli rispose con voce serena. “Non conobbi mai la
sofferenza e il dolore, o fratello da quando Francesco m’insegnò la via
del Signore”.
Tornò così negli ultimi attimi, anche lui accanto al Signore, nel cuore di
lei.
Rivedeva quel fraticello attorniato e schernito, quel cieco sanguinante
che andava cantando le lodi del Signore.
Le aveva insegnata la povertà , la castità e l’amore. Anche Francesco
era presente, nel dormitorio delle povere dame.
Poi vennero i suoi: Frate Angelo, Frate Leone, Frate Ginepro.
Ed ella domandò a Frate Ginepro, il giullare del Signore, se avesse
qualche cosa di nuovo su Dio da raccontarle.
Il fraticello le parlò così dolcemente e così lietamente, che Chiara fu
presa da un improvvisa e radiosa gioia.
Le era accanto, anche Frate Leone, pecorella di Dio.
Era stato il compagno prediletto, infermiere e confessore del Maestro.
Forse prima di morire, alla Porziuncola, come Cristo sulla montagna del
Golgota, dall’alto della Croce, al dolce Giovanni la Madre sua, così
Francesco aveva raccomandato a Leone la colomba d’argento, e il suo
nido.
Ed ora era là, a mantenere la sua promessa.
La guardava con fraterna dolcezza, spegnersi attimo per attimo.
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Frate Angelo tentava di consolare le monache: “Non piangete sorelle.
Siate liete e gioconde, che un angelo torna da Dio”.
Chiara mormorava lievemente delle incomprensibili parole.
Suora Anastasia le domandò allora, con chi parlasse e che cosa dicesse.
“Sia lodato il Signore che mi ha creato!”
“Parlo, Anastasia, con l’anima mia”, rispose,
“Va sicura, perché hai fatto sempre il bene;
“Colui che ti ha creato ti ha ormai santificato”.
Sentirono bussare all’uscio del Convento.
“Aprite, aprite!”.
Un fraticello, messo del Pontificie, entrò sulla punta dei piedi nel
dormitorio, dove tutti erano silenziosamente raccolti.
Portò la Bolla, “la quale epsa reverentemente pigliando, ben che fusse presso alla
morte, epsa medesima se puse quella bolla alla bocca per basciarla”.
Così racconta Suor Filippa che era presente.
Erano tutte là; Suor Pacifica, Suor Benvenuta, Suora Anastasia, Suor
Filippa, Suor Beatrice, Suor Amata, Suor Agnese e Suor Cristiana.
E videro avvicinarsi un coro di vergini bianco vestite, con le teste
gloriosamente incoronate.
Tra tutte una più bella e luminosa delle altre, che trasformò la notte
dello squallido dormitorio delle Clarisse, in un giorno radioso.
“Quella vergine che pareva magiure, imprima la coperse nel letto con un panno
sutilissimo, lo quale era tanto sutile, che epsa madonna chiara, ben che fusse coperta
con esso, niente di meno se vedeva.
Inchinava la faccia sua sopra la faccia della predicta virgine santa chiara”.
La baciò dolcemente. Il quel bacio, Chiara morì.
Frate Ginepro, Frate Angelo, Frate Leone in nome di Francesco ne
raccolsero l’ultimo respiro.
Le sorelle piangevano. Era l’11 agosto del 1253, l’ora del tramonto.
SANTA CHIARA PORTATA IN BRACCIO
DA UN ANGELO AL CIELO NELL MOMENTO
DELLA MORTE
“Dalla nostra beata Vergine
Maria in qua, non fu mai alcuna donna de magiure sanctita
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che Madonna Clara”.
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LA GLORIFICAZIONE
IL PIANTO
Suor Filippa di Sassorosso, la compagna d’infanzia, ne compose
silenziosamente, fra le lacrime, le spoglie mortali.
Le altre pregavano e piangevano. Così vegliarono tutta la notte.
Erano commosse e colpite dalla meravigliosa morte di Chiara. E al
dolore incominciò a mescolarsi la venerazione.
Filippa racconterà:
“Passò da questa vita al Signore, Madonna Chiara, senza macula ; senza
obscurità de peccato, alla clarità dell’eterna luce”.
E rievocarono forse insieme le sorelle, come più tardi nel racconto di
canonizzazione, in quelle ore di veglia, le virtù della madre scomparsa.
Suor Pacifica:
“Comandava cum multo timore et humiltà”.
La dolce sorella Beatrice:
“La vita fu quasi angelica della sua puerizia”:
Suor Benvenuta da Perugia:
“Era molto assidua nell’orazione lo dì e la notte”.
Suor Amata:
“Quando epsa tornava da la orazione, la faccia sua pareva più chiara e
più bella del sole”.
Suor Cecilia:
“Volentieri voleva sostenere il martirio, per amore del Signore”.
Suor Agnese:
“Ebbe una stuoia per letto et un poco de paia socto el capo”.
Suor Benvenuta d’Assisi:
“Dalla nostra beata Vergine Maria in qua, non fu mai alcuna donna de
magiure sanctità che madonna Clara”.
Fuori era giunta gente da tutte le parti.
S’era sparsa rapidamente, per Assisi, la notizia della morte.
Come avevano fatto per Francesco,il giorno del suo transito alla
Porziuncolo, così per Chiara, scesero uomini e donne fino a S.
Damiano.
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S’affollarono nel chiostro, lungo la strada, nei campi vicini.
Tanti erano che pareva la città fosse restata deserta.
Alcuni la proclamavano a gran voce santa, altri ne lodavano, fra i
singhiozzi, le virtù, ne celebravano la gloria.
Scese anche il Podestà d’Assisi, con i cavalieri, i Notabili e una grande
moltitudine d’armati.
La marea di gente s’apri, per farli passare
Si scaglionarono intorno a tutto il convento, tra le vecchie mura e gli
ulivi.
Ormai era buio e la folla incominciava a diradarsi.
Fecero guardia tutta la notte dell’II tra le preghiere delle clarisse, al
interno, e il vociare della gente che era rimasta.
Custodirono il corpo di Chiara, come avevano fatto per quello di
Francesco.
Assisi non avrebbe perduto nemmeno questo’altro suo tesoro.
Il mattino seguente si mosse tutta la Curia del Pontificie, dal palazzo
Gregoriano ove ospitava, a rendere omaggio alla dolce vergine.
Ancora Assisi si riversò fuori delle porte; i villici accorsero da tutta la
valle.
Non c’era posto per tanta gente. Si vedevano alcuni arrampicati sui
muri, altri aggrappolati sugli ulivi per vedere meglio.
Giunto che fu il corteo a S. Damiano, i frati incominciarono a cantare
l’ufficio dei morti.
Il Papa fece segno che smettessero.
“Si canti - disse - per lei, l’ufficio delle vergini”.
Tanto era stato preso dalla grandezza di quella “Femminella”, che aveva
assistito morente.
Ma il Cardinale Rainaldo d’Ostia gli fece prudentemente notare, che
non si poteva.
“Anche, se santa - disse - e ne siamo tutti certi nel cuore, la Chiesa non
l’ha ancora proclamata”.
E si celebrò la Messa dei Morti.
Il cardinale protettore lesse il panegirico in onore di Chiara “De vanitate
vanitatum”
La gente ascoltava e piangeva. C’erano in mezzo tanti suoi miracolati.
Le monache assistettero alla cerimonia da dentro.
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Con gran seguito di folla, poi, il corteo del Pontefice e dei Cardinali
riprese la via d’Assisi, con il corpo di S. Chiara.
Tutti i principi della Chiesa, a cominciare dal Papa, in segno di omaggio,
avevano deposto nella bara, i loro anelli.
Le pietre e l’oro luccicavano tra i fiori.
Fu ricca allora che era morta.
Rifece un pezzo del cammino che avevano fatto le spoglie di Francesco.
Su per l’erta, tra gli umili ulivi, squillarono le trombe degli araldi,
risuonarono i canti di giubilo.
Si sentivano tutte le campane d’Assisi.
Da quella della torre a quelle della Basilica del Santo, fino alle
campanelle delle chiesette dei Santuari.
Il corteo entrò in città da Porta Nuova.
Lungo la strada altra gente osannante. Dalle finestre tappezzate di
drappi, tiravano fiori sulla bara della Santa, che procedeva a spalla.
Il venerato corpo fu portato e sepolto nella chiesetta di S. Giorgio,
dove era stato per poco, anche quello di Francesco.
E accorse al tumolo della vergine una folla enorme: uomini, donne,
ricchi e poveri, cavalieri e villici, pellegrini da ogni parte.
Tutti lodavano il Signore.
“O santa, tu gloriosa regna con gli angeli;
“Tu che tantoonore hai avuto dagli uomini in terra.
“Intercedi presso cristo per noi, prima delle povere “donne, che innumerevoli traesti a
dio e alla
“Penitenza, per la via della povertà”.
LA LETTERA DI AGNESE
Tutte le “povere donne” sparse nei piccoli conventi ,sorti da ogni parte
dopo S. Damiano, tremavano e trepidavano anch’esse, per la sorte della
santa madre.
La sapevano da tempo malata e in fin di vita.
Sorella Agnese che era successa a Chiara, nel governo delle clarisse,
scrisse, forse dopo le esequie, una accorata lettera, dando a tutte
l’annunzio della gloriosa morte.
La notizia giunse presto ovunque.
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Prima forse al monastero di S. Maria di Vallegloria presso Spello, il più
vicino, che era stato fondato da Suor Balvina.
Poi a quello di Monteluce, in Perugia, (donato dal nobile Gloro
Monaldi), a S. Maria de Populo, a Città di Castello, che era stato a suo
tempo retto e ordinato da suor Filippa.
Ancora più lontano, in terra di Toscana : a Monticelli presso Firenze,
dove le monache attendevano con ansia il ritorno di Agnese, che Chiara
aveva voluto accanto negli ultimi giorni.
Giunse la triste notizia anche al monastero di S. Maria di Gattaiola, nel
contado di Lucca, a S. Maria fuori Porta, a Siena, dove era stata
abbadessa Suor Benedetta.
Agnese scriveva :
“A tutte le sorelle dell’ordine di S. Damiano, sparse per il mondo, le sorelle site in
assisi, salve nel creatore di ogni salute.
Un dolore profondo ci turba, a raccontare.
Lo specchio delle stelle e’ svanito dai nostri occhi.
Chiara, guida, madre venerabile e maestra e’ fuggita dalla terra, per volare in cielo.
Dalle umbre nebbie, alla luce.
Ha portato lassù, il giglio del suo vergineo
Candore.
Ascoltate sorelle, stupite, ascoltate!
Di quanti virtù ella brillò di quanta forza nella sofferenza.
Ebbe il cilicio sulle carni.
Ascoltate queste sue ultime parole:
- “sostenete pazientemente il peso della povertà, portate umilmente il vostro fardello.
Il cielo prepara ai pazienti il suo splendore,
Perche’ ancora! Lingua umana non puo’ dire della sua santità”.
Tutte lessero devotamente quello scritto, nei poveri oratori sedute sui
rozzi sgabelli.
E tutte piansero sorella Chiara, la colomba d’argento, la dolce
pianticella di Francesco.
La celebrarono santa nelle loro preghiere. Invocarono su di loro, e nei
secoli sulle altre schiere di vergini, il suo aiuto.
Sarebbero state povere, come ella aveva voluto.
Avrebbero amato Dio, come aveva loro insegnato, lodato le creature
del Signore.
Avrebbero amato di dolce amore, come ella aveva, tutte amate.
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LA CANONIZZAZIONE
Per la gente che l’aveva conosciuta, per le sue sorelle, per lo stesso
Pontefice, ella era santa.
Lo era sempre stata.
S’incominciò a parlare dei suoi miracoli e crebbe la venerazione.
Non ci sarebbe stato bisogno, a sentire i più, ma fu necessario,
naturalmente, aprire le procedure di canonizzazione.
Il Papa Innocenzo IV appena due mesi dopo la morte, il 18 ottobre,
incaricava ufficialmente, con la Bolla “Gloriosus Deus”, il Vescovo
Bartolomeo da Spoleto di iniziare le inchieste e di istruire il processo.
Il 24 novembre, Bartolomeo scese a S. Damiano, allora retto
dall’abbadessa Benedetta, a raccogliere le testimonianze delle povere
donne.
Sono quindici monache, le prime compagne che testimoniano sotto il
vincolo del giuramento.
Furono tutte con Chiara.
Chi nei quarantadue anni di vita claustrale, chi fin da prima, quando era
a casa di suo padre.
La videro pregare, digiunare e patire.
Furono testimoni dei suoi miracoli.
Alcune anzi, furono esse stesse, oggetto della sua carità.
E raccontano. Raccontano con serenità, lontane da ogni umana
partecipazione.
Al dolore dei primi attimi,che le fece piangere nelle ore della veglia
notturna, a distanza di tempo, era succeduta una dolce rassegnazione.
La sanno Santa, e il loro cuore si riempie di gioia e d’orgoglio.
Il Vescovo interroga. Tra i membri del tribunale sono anche Frate
Leone, Fate Angelo e Frate Marco, cappellano del convento.
Esse rispondono. Si succedono una alla volta, dietro alla grata.
Quindici voci argentite e sicure, quindici volti pallidissimi nell’ombra.
Si vedono i loro occhi, bagnati di lacrime.
Suor Pacifica, amica e vicina di casa, ai tempi della vita secolare di
Chiara. Colei che l’accompagnò la notte della fuga.
Suor Filippa, la castellana di Sassorosso, compagna per le vie dell’esilio.
Suor Benevenuta, che Chiara conobbe a Perugia, al tempo delle
vicissitudini politiche della sua famiglia.
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Hanno sulle labbra sorrisi angelici, nell ricordare la santa madre.
Suor Amata, un’anima poetica, che Chiara liberò dall’idropisia.
Suor Cristiana, colei che riebbe l’udito.
Suor Cecilia di messer Gualtieri Cacciaguerra, che fu liberata dalla tosse.
Suor Benvenuta d’Assisi guarita dalle fistole sul petto.
Ed ecco Suor Francesca, Suor Balvina, Suor Lucia.
La dolce sorella Beatrice, che le visse accanto sotto il tetto paterno e
fanciulla la segui in consunto, con la madre Ortolana ed Agnese.
E’ l’ultima rimasta. Nel nome di Chiara piange anche Agnese, morta da
pochi giorni.
Suor Cristiana di messer Bernardo, Suor Angeluccia da Spoleto.
Tanti ricordi e tante parole.
Sulle loro labbra un solo nome : Chiara, la luce della notte, “profumata
rosa del rosaio, che per tutto il mondo aulìa...”
Furono interrogati anche tutti coloro che l’avevano conosciuta quando
era alla casa del padre.
Bona di Guelfuccio, colei che accompagnava Chiara negli incontri con
Francesco, l’amica a cui confidò il segreto della sua divina
consacrazione.
A lei, Chiara dava l’elemosina, da portare ai poveri.
Un giorno le dette anche dei denari “Per devozione comandolli che li portasse
ad quelli che lavoravano in sancta maria della porziuncola, ad cio’ che comperassero
della carne”.
Scoprì allora il mistero del suo cuore.
Messer Ugolino de Pietro Girardone, cavaliera d’alto casato, amico di
famiglia e compagno d’armi del padre Favarone e dello zio Monaldo.
Doveva essere allora piuttosto vecchio.
Messer Ranieri di Bernardo, marito di Bona di Guelfuccio, e parente di
Chiara, Messer Pietro di Damiano, vicino di casa.
Giovanni da Ventura, famiglio della corte paterna : uomo d’armi, ormai
molto anziano.
Un racconto schietto e poetico, che è tutta una glorificazione.
Chiara in virtù di queste testimonianze, che sotto la narrazione più vera
della sua vita, fu canonizzata solennemente da Alessandro IV, l’antico
Cardinale d’Ostia, che così bene l’aveva conosciuta e tanto ammirata, in
Anagni, nell’Agosto del 1255.
E fu scritta d’allora nell’albo di Santi.
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“La sua santità - racconta Beatrice - era nella verginità, nell’humiltà, nella
pazienza et benignità, nella dolce admonizione alle sore, nella assiduita’
dell’orazione e contemplazione, nella abstinenza et degiuni, nella asperita’ del lecto e
del vestire, nel desprezzo de se medesima, nel fervore de lo amore de dio, nel desiderio
del martirio e maximamente nello amore del previlegio della povertà”.
“MADONNA CHIARA FO SEMPRE DA TUCTI
TENUTA VERGINE PURISSIMA”.
LA VERGINITA’
“LO GRANDE LUME”
“Madonna Chiara fo sempre da tucti tenuta vergine purissima”.
Così Bona di Guelfucci.
E la sorella Beatrice :
“Fu angelica de la sua puerizia, però che fo vergine; et sempre permase
in verginità”.
Nacque “ de patre et matre honesti “ : Messer Favarone di Offreduccio
di Bernardino, nobile cavaliere, e Madonna Ortolana d’alto casato e
devotissima.
Suor Pacifica di Guelfuccio afferma d’averla conosciuta e di averla
accompagnata, quando andò “ de la dal mare per cagione de orazione et
devozione “, in terra santa e a S. Michele arcangelo del Monte Gargano.
“Ortulana poi venne ad quella medesima religione che la sua santa
figliola Chiara, et in essa visse cum le altre sore in molta humiltà; e in
quella ornata de religiose et sancte operazione, passò de questa vita “.
In principio fu la madre. Un ‘anima purissima ! Da lei sboccio Chiara.
“Fu stata sanctificata nel ventre della madre sua”.
Si racconta infatti che “Ortulana essendo gravida de questa figliola narra Suor Cecilia - e stando denanti alla croce, ad pregare che lo
Signore la adiutasse nel periculo delo parto, audi una voce la quale li
disse che epsa parturiria uno grande lume, lo quale grandemente
illustrerà il mondo “.
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Così quell’angelo a Madonna Pica dolorante, la notte in ciu dette vita a
quella altra luce che fu il sole di questo riverbero lunare.
La fanciulla crebbe pura, come “una viola bruna e pensosa”, insieme
alle sue dolci sorelle Agnese e la piccola Beatrice, che furono le
immagini della sua anima.
Fuori risuonava il clamore delle battaglie; regnavano l’odio e la
vendetta.
Il popolo del Comune in nome delle libertà, aveva giurato morte ai
feudatari e ai signorotti.
Arsero e distrussero i loro castelli.
Sulla groppa del Subasio, tra le rocce, andò divorato dalle fiamme anche
quello di Sassorosso, ove aveva passato la sua fanciullezza Suor Filippa
di Ghislerio amica di Chiara.
Non fu risparmiato nemmeno il Palazzo della sua famiglia, il più bello e
il più ricco della città.
Ce lo racconta Messer Giovanni da Ventura famiglio di Favarone.
“La corte di casa sua fu de le magiure de la città, e in casa sua se
facevano grande spese” .
Rigurgitava d’armati, di famigli, di ancelle e di servi.
“De la casa sua erano septe Cavalieri, tucti nobili et potenti” continua
Pietro di Damiano.
Presero la via dell’esilio, guidati da Favarone e da Monaldo. Ripararono
a Perugia. Qui Chiara conobbe gli orrori della guerra, delle miserie,
dell’odio e dell’egoismo dei suoi, che volsero a Collestrada, per
rinconquistare i perduti privilegi, le armi contro la Patria.
Dall’altra parte della barricata era Francesco, pieno di epici sogni di
gloria. Vide le stesse cose, le stesse tragedie.
Finalmente, stipulato un compromesso, nel 1205 gli esuli tornaro in
Assisi. Chiara poteva avere allora dodici anni, una mammola soavissima
“a tucti graziosa”.
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“VOLSE PERMANERE IN VERGINITA’”
Erano i tempi della conversione di Francesco. Pregava e faceva
penitenza nella grotta di Beviglie.
Un giorno gli parlò il prodigioso Crocifisso di San Damiano.
“Va, ripara la mia Chiesa che crolla”.
Balzò a cavallo e corse a Foligno. Vendette le migliori stoffe del suo
negozio, approfittando dell’assenza del padre.
Ricostrui pietra su pietra, la chiesetta del miracolo.
La bimba diveniva, intanto, una fanciulla “prudente e benigna”.
Chiara aveva sedici anni nella primavera del 1209, quando Francesco
fece davanti al Vescovo Guido, e al Padre Bernardone, la sua grande
rinuncia. Era di meravigliosa bellezza.
Ce lo racconta Messer Ranieri di Bernardo:
“Lei era bella della faccia”.
E Madonna Bona di Guelfuccio, che spesso le teneva compagnia:
“Stava sempre in casa, et stava celata, non volendo esser veduta da
quelli che passavano davanti alla casa”.
Pregava continuamente e con ardente fervore.
Con dolce ingenuità segnava i Pater Noster della giornata. Usava dei
sassolini raccolti in giardino, nelle ore del passeggio.
A tavola, tra i suoi, parlava delle cose di Dio.
Agnese e Beatrice le crebbero accanto, e presero esempio da lei.
Era giunta nell’età in ciu le fanciulle del suo casato andavano spose.
“E li suoi parenti la pregavano che consentisse di pigliar marito.
“E avendola epso medesimo pregata più volte che volesse conserntire,
epsa non lo voleva pure odire”.
E’ Messer Ranieri.
E Pietro di Damiano ancora:
“El padre e la madre e li parenti suoi, la volsero maritare secondo la
nobiltà sua, magnificamente, ad homini grandi e potenti.
Ma epsa mammola, che poteva esser allora de hanni diciasette, per
nessun modo ce podde essere inducta, perché volse permanere in
verginit”.
Era bella e volle restare vergine. Era ricca e volle essere umile.
“Il Re aveva desiderato la sua bellezza”.
Dava tutto ai poveri. A volte le cose stesse del suo cibo.
20
Giovanni da Ventura racconta:
“Lei, li cibi che li erano dati a mangiare, come in casa grande, li
riserbava e reponeva.
“Li mandava a li poveri”.
Bona di Guelfuccio faceva il giro, per i vicoli della città, tra le
catapecchie del popolo minuto.
“Chiara vi mana questo”.
“Questo è per voi, e per i vostri bambini”.
“Il Signore benedica Madonna Chiara”.
“Epsa audì che Sancto Francesco aveva electa la via de la povertà”.
“Propose nel suo cuore di fare anche lei quello medesimo”.
Pensava a lui.
Tutti l’odiavano a casa sua, perché era figlio di un ricco e grasso
borghese, di quel popolo prepotente e violento.
Lo disprezzavano perché s’era immiserito como un mendicante, e s’era
dato a vagabondare per le vie del contado come un lebbroso.
Ma Chiara lo conosceva. Sapeva da dove veniva e in nome di chi
parlava. Francesco ripeteva dopo un millennio agli uomini, per le
contrade dell’umbria, le parole che Cristo aveva dette per le vie della
Palestina.
Predicava amore, povertà, perdono.
Come il Maestro sulla montagna:
“Beati gli ultimi, che saranno i primi.
Beati coloro i quali soffrono le persecuzioni in nome del Signore, chè
essi avranno giustizia”.
Francesco è l’unico rimasto di quelli che ascoltarono.
Racconta ancora in nome di Dio.
Chiara si consigliò con Bona di Guelfuccio.
Sarebbe andata con lui. Lontano dal mondo, a sacrificarsi.
Avrebbe pregato per quelli che bestemmiavano.
Avrebbe fatto digiuno per quelli che scialacquavano.
Avrebbe fatto penitenza nel corpo, per le mondane che lo profanavano.
Avrebbe servito, per quelli che facevano sempre servire.
Bona nella sua semplicità, promise d’aiutarla.
“Francesco audita la fama de la sua sanctità voleva vederla”.
Ella andò, sfidandol’ira dei suoi.
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Bona di Guelfuccio si recò più volte “con lei ad parlare ad Sancto
Francesco, et andava secretamente per non essere veduta dai parenti”.
Che cosa dicesse Francesco a Chiara, e che cosa Chiara a Francesco,
non lo sappiamo.
Bona non ce lo dice.
Afferma soltanto “che sempre gli diceva che se convertisse a Jesù
Cristo, e Frate Filippo Longo faceva semilmente”.
La poesia di questi incontri resta segreta.
Così per quasi un anno.
Nacque da questi colloqui, la mistica comunione di queste due anime
che riconquistarono, insieme, sulla via della passione, Cristo e il suo
sacrificio per tutta l’umanità.
Lui nelle tenebre e nelle stigmate.
Lei nella solitudine e negli spasimi de trant’anni di sofferenze.
Da allora Chiara fu “dimidium animae suae”. La pianticella... “Parvula
plantula beatissimi patris sancti Francisci”.
Sono i due fiori della Montagna delle beatitudini il Cireneo e la
Veronica d’Assisi, sbocciati dalla mano di Gesù. Francesco e Chiara
sortirono con le parole dalle Sue labbra.
“FU TONDITA NELLA CHIESA DI SANTA MARIA DELLA
PORZIUNCOLA”
Venne il giorno che dovette andare.
Chiara dette ai poveri, tutto quello che possedeva.
Era la primavera del 1211: la Domenica delle Palme.
Francesco le ordinò di recarsi con gli altri a prendere l’olivo benedetto.
Scese dunque dal palazzo seguita dalle sue damigelle.
Aveva il suo miglio vestito.
Attraversarono in fretta, la piazza.
Davanti alla meravigliosa facciata della Cattedrale di Giovanni da
Gubbio, c’era molta gente.
Vestita di nuovo. Molte fanciulle e molte dame.
Entrò in chiesa, e tutte oscurò con la sua bellezza.
Avvenne allora, il prodigio della Santità e della Verginità.
22
Tutti salivano le scale dell’altare, per prendere dalle mani del Vescovo
Guido la palma benedetta.
Chiara per vergogna e pudore rimase immobile, ferma al posto suo.
Poiché ella non era salita fino a lui, scese fino a lei, lentamente per i
gradini dell’altare, il Vescovo Guido.
Le pose tra le mani, con un sorriso, l’olivo benedetto.
Tutti guardavano da quella parete.
La fanciulla aveva le gote color della brace.
E venne la sera di quel giorno prodigioso.
Il tramonto colorò d’un arcobaleno di luci, la brunita facciata del
Duomo, ove si muovevano la folla degli animali simbolici, le colombe
dell’amore, i segni degli Apostoli.
Chiara attendeva. Sopraggiunse anche la notte.
Una notte di primavera, profumata e silenziosa.
Uscì. Portava una veste di seta, sui capelli biondi un prezioso diadema.
Suor Cristiana che viveva allora a casa sua, racconta:
“Chiara se partì de la casa seculare del padre, per modo meraviglioso.
Però che temendo che la sua via non fuse impedita, non volse uscire
per l’uscio consueto, ma andò ad un altro uscio de la casa, dove, ad ciò
che non se potesse aprire, c’erano contrapposti certi legni grievi, et una
colonna di pietra, le quali cose apena averiono podute essere remosse
da molti homini.
“Epsa sola, con l’auditorio de Jesù Cristo, le remosse et aperse quello
uscio. Et la matina seguente, vedendo molti quell’uscio aperto, se
meravigliarono assai come una giovincella l’havesse poduto fare”.
L’accompagnò Pacifica che “entrò nella religione cum essa.
“Lo sì e la nocte, per massima parte, epsa la serviva”.
Scesero trepidanti per i vicoli illuminati dalla luna tra i palazzi
addormentati.
Sentirono accanto alle mura il grido concitato delle scolte.
Sole nella notte, fino a Porta San Pietro.
Discesero il colle tra gli ulivi.
Le foglioline d’argento, palpitavano alla brezza di primavera.
Nei campi di grano s’intravedevano le ombre paurose degli alberi.
Veniva dai prati un sottile profumo di erbe.
Di tanto in tanto, nel buio, le faceva sobbalzare il grido di qualche
animale notturno.
23
Procedevano l’una, stretta all’altra.
Sentivano battere i loro cuori.
Francesco, con i suoi, attendeva Chiara nel bosco della Porziuncola.
I frati avevano acceso le torce per accogliere la nuova sorella, sul
limitare del sentiero.
Nella Chiesetta, si svestì delle sue sete.
Si tolse dalle chiome d’oro, il diadema, segno di quella ricchezza che
aveva per sempre rinunciato.
Si rivestì d’un rozzo saio ricevuto dalle mani di Francesco.
“Et così da epso Francesco - racconta Giovanni da Ventura - fo tondita
nella Chiesa de Sancta Maria della Porziuncola”.
La vergine fu sposa.
Sposa di Cristo e della povertà. Sorella di Francesco e delle povere
donne.
Per volontà del Santo, l’indomani si rifugiò al convento di San Paolo de
Abatissis, all’Insula Romanesca, (oggi Bastia), a pochi chilometri da
Santa Maria degli Angeli.
“PRESE LI PANNI DELL’ALTARE”
Intanto lo zio Monaldo e i suoi avevano scoperto la fuga.
Per una famiglia di nobile casato, avere in quei tempi una fanciulla in
convento, era motivo quasi di disonore.
Significa di non aver avuto tanto prestigio da saperla maritare.
Poi una figliola, bella, piacente, desiderata da molti, era l’esca per nuove
amicizie ed alleanze.
In quei tempi i nobili avevano bisogno di essere tutti uniti nella lotta
contro il popolo minuto, che all’ombra delle bandiere e delle libertà
comunali, voleva far crollare i privilegi dei pochi.
Scesero tutti, con una grande numero di armati, al Convento delle
benedettine di San Paolo.
Sorgeva presso le rive del Chiascio, tra i campi e i canneti.
Trovarono le porte sbarrate. Il ponte levatoio sollevato.
Incominciarono allora a scongiurare che aprissero.
Monaldo gridava:
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“Chiara, pensa a tua madre. Morirà di crepacuore. Voglio parlarti. Sai
che ti voglio bene, non ti farò niente di male”.
Erano lupi vestiti d’agnelli.
Aprirono, si sentì il cigolio delle catene, e il tramestio di un catenaccio.
Si buttarono dentro.
Chiara aveva scelto la chiesa come luogo dell’incontro.
Li sentì avvicinarsi vociando.
Per dimostrare che tutto era stato irrimediabilmente compiuto, si
mostrò loro, sui gradini dell’altare, con il rude sacco di Francesco e la
testa rasata.
Giovanni da Ventura che per essere famiglio di Monaldo, era laggiù con
gli altri, racconta:
“Et volendo li suoi parenti cavarla fora da Chiesa de Sancto Paulo et
remenarla ad Assesi, epsa loro mostrò lo capo tondito”.
E Beatrice:
“Prese li panni dell’altare”.
Afferrò la tovaglia consacrata. Di là non l’avrebbero potuta strappare.
Si fermarono. Nessuno si mosse.
Monaldo al colmo del furore dette allora ordine ai suoi di ritirarsi.
I soldati lasciarono il convento.
Le porte si rinchiusero. Il ponte levatorio fu nuovamente alzato col suo
lamentoso cigolìo.
Dopo pochi giorni “Francesco, Frate Filippo, et Frate Bernardo la
menarono alla Chiesa de Sancto Angelo de Panzo”, sulle prime falde
del Subasio.
Dopo sedici giorni la seguì Agnese. Aveva quindici anni.
S’era sparsa la notizia della meravigliosa conversione. E vennero anche
le altre : Suor Pacifica, Filippa di Ghislerio, Benvenuta da Perugia.
Si trasferì con le sorelle a San Damiano, nella piccola Chiesetta che
Francesco aveva riparato con le sue proprie mani.
Si carcerarono.
Le nobili damigelle, che venivano dai sontuosi palazzi, vestite
riccamente, si mescolarono con le figlie dei contadini, con le facce
abbronzate e screpolate dal sole.
Vestirono tutte lo stesso saio.
Là tra quelle rovine, la colomba d’argento nidificò!
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“E da poi andò al loco de Sancto Damiano, dove deventò madre et
maestra dell’Ordine de Sancto Damiano; e lì generò molte figliole nel
Signore nostro Jesu Christo, come hoggi se vede”.
Così Giovanni da Ventura, conclude il racconto della conversione.
LA CROCIATA DELLA PUREZZA
Si ripetette in quei giorni la rivoluzione della croce.
Come nei primi secoli della Chiesa,alle parole del Vangelo, i ricchi
patrizi disertarono i talami e le palestre per il deserto e la montagna, e i
giovani, alle parole infuocate del Vescovo Ambrogio, elessere la castità,
le fanciulle la verginità, così ancora.
Dopo mille anni, rinacque, in terra dell’Umbria, la crociata della
purezza.
Francesco chiamava gli uomini:
“Venite, noi riconquisteremo insieme le anime a Dio, riporteremo la
pace nei cuori.
I ricchi daranno ai poveri, i poveri ai ricchi.
I minores saranno fratelli dei maiores, come un tempo lo furono gli
schiavi con i padroni”.
“Convertitevi e la vostra conversione porti i suoi “frutti perrocche’ dovete sapere che
presto morirete.
“Date e vi sara’ dato. Perdonate e vi sara’ perdonato.
“Ma se voi non perdonate agli uomini i loro peccati manco il signore perdonera’’ i
vostri .
“Confessate tutti i vostri peccati.
“Beati coloro che moriranno in stato di conversione, perche’ essi andranno nel regno
dei cieli”.
Si racconta che un giorno Francesco fosse con i suoi a Cannara, in
mezzo alla pianura.
E parlò agli uccelli, in un campo, sotto un albero:
“Sirocchie mie uccelli, voi siete molto tenute a dio, vostro creatore, e sempre in ogni
luogo il dovete laudare, impero’ che v’ha dato liberta’ di volare in ogni luogo, anche
v’ha dato il vestimento duplicato e triplicato; appresso perche’ riservo’ il seme de voi
nell’arca di noe’, accio’ che la spezie vostra non venisse meno nel mondo; ancora gli
sete tenute per lo elemento dell’aria che egli ha deputato a voi.
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Oltre a questo voi non seminate e non mietete, e iddio, vi pasce e davvi i fiumi e le
fonti, davvi li monti e li vallli per vostro rifugio e gli alberi alti per fare il vostro nido.
E con cio’ sia cosa che voi non sappiate filare ne cucire, iddio vi veste, voi e’ vostri
figlioli, onde molto va il creatore poi ch’egli vi da’ molti benefici; e pero’ guardatevi
sirocchie mie, dal peccato dell’ingratitudine, ma sempre vistudiate di lodare iddio”.
Un’altra volta parlò agli uomini dello stesso paese.
La gente lo ascoltava, rapita.
E quando venne l’ora di partire, abbandonata la città, lo seguirono tutti.
“Dove andate, tornate a casa?”
“Veniamo con te, fratello”.
“Ma voi avete le vostre famiglie, i vostri campi. Tornate, volete lasciare una città
deserta?”.
“Veniamo con te, ovunque andrai. Vivremo così, di questa tua letizia”.
“Non potete, fratelli miei; tornate a casa”.
Ma quelli non vollero sentire.
E Francesco allora:
“Restate a casa e vi prometto che sarete ugualmente dei miei; voimmi seguirete
ovunque nella preghiera, godrete del mio amore, e vivrete della mia letizia”.
Fu allora che pensò di creare il Terz’Ordine Francescano.
Chiara, nel monastero, chiamava le donne:
“Venite. Il Signore vi attende. Saremo le Sue spose”.
Molti, già uniti in matrimonio, sciolsero di comuine accordo il vincolo e
gli uomini corsero da Francesco, le donne da Chiara.
La madre invitava le figlie, le figlie la madre, la sorella le sorelle.
Tutte le donne d’allora, che avevano amato fino a poco prima le
canzoni d’amore del giullare, le feste e le giostre,le accorate serenate
delle brigate allegre nelle notti di maggio per le viuzze, sotto i balconi,
elessero l’amore di Cristo.
Tutti vollero partecipare di quella angelica vita, luminosa, nella luce di
Chiara.
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“FU DE MERAVIGLIOSA HUMILTA’
E TANTOA DEPREZZAVA SE MEDESIMA
CHE QUELLE OPERE LE QUALI ERANO
PIU’ VILI, FACEVA EPSA”.
LA MORTIFICAZIONE
“HUMILTA’”
Passarono tre anni nel convento di S.Damiano.
Moltissime ormai erano le sorelle venute da ogni parte.
E continuavano, incessantemente, le vocazioni.
Francesco volle allora che Chiara diventasse l’abbadessa delle “povere
dame”.
Aveva vent’anni appena.
In nome di quella umiltà, che le fu guida per tutta la vita, Chiara rifiutò.
Soltanto più tardi, nel 1214, racconta Suor Pacifica “alli preghi et
istantia de Sancto Francesco, lo quale quasi la costrense, recevve lo
regimento et governo de sore”.
Ma non volle essere abbadessa.
Fu soltanto la prima tra le sorelle. Essere la prima, per lei, significò
essere ultima; dover comandare, servire umilmente.
Suor Pacifica continua:
“Madonna Chiara quando comandava alle sore suoi che facessero
alcuna cosa, comandava cum multo timore et humiltà.
Lo più delle volte più presto voleva fare lei, che comandare ad altre.
Epsa beata madre, inverso le sore suoi era benigna et amorevole et
aveva compassione alle inferme.
Mentre che epsa fu sana, le serviva, et lavava alloro i piedi, et dava aqua
alle mani.
Alcuna volta lavava le sedili de le inferme”.
Faceva i lavori più umili.
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“Fu de meravigliosa humiltà - narra suor Benvenuta - e tanto
deprezzava se medesima che quelle opere, le quali erano più vili, faceva
epsa”.
Quella dolce fanciulla fiore ed orgoglio della nobiltà assisiate; i più
valorosi cavalieri del contado, avevano giurato in cuor loro di eleggerla
regina.
“Con le mani sue- narra suor Cecilia - lavava le sedie de le sore inferme,
nelle quali alcuna volta erano li vermi.
Come epsa medesima madonna diceva, non sentiva de ciò alcun fetore,
ma più prestone sentiva bono odore”.
E sorella Pacifica, che ricordava tra le ricchezze della casa paterna, i
tanti servi e le tante ancelle, ne piangeva accoratamente, a vederla così
ridotta, consumarsi ogni giorno di più, sbiancarsi, sfiorire in un divino
languore.
Mai mancò però, sulle sue labbra il sorriso.
Una letizia perfetta, che le veniva dall’anima.
Suor Filippa lo narra meravigliata come una bambina:
“Niente di meno sempre era allegra nel Signore, et mai se vedeva
turbata et la sua vita era tutta angelica”.
Così anche Francesco: era morente e voleva che Leone gli cantasse le
lodi del Signore.
Fuori c’era moltissima folla.
“Ma padre - disse Elia - che cosa pensarà la gente?
Dirà che non sei affatto uomo santo, se sentirà continuamente suonare
e cantare qui dentro”.
“Fratello - rispose - so di essere vicino al signore. Voglio morire lietamente.
Canta, leone, canta fratello mio!”.
Chiara non si concedeva un attimo di tregua.
La notte, nel povero dormitorio, le sorelle riposavano; lei no.
Pensava a loro, alle inferme. Si levava a vederle. L’inverno, quando il
vento fischiava contro le mura del convento, e fuori era buio, senza una
stella, le ricopriva sui penosi giacigli.
S’assicurava che dormissero tranquille.
Era la prima all’alba, ad alzarsi, quando il sole usciva fuori dalle
montagne, e feriva lievemente le fenestrelle del convento.
Suonava la campana della preghiera e scuoteva una per una le suore,
che non avessero ancora aperto gli occhi.
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“Epsa accendeva le lampade della chiesa et spesse volte epsa sonava la campana ad
mactutino. Et quelle sore che non se levavano per lo sono della campana, epsa le
chiamava per li suoi segni”.
Consolava le afflitte, aiutava le dubbiose, curava le malate.
Mai volle che alcuno penasse al suo male.
Le figlie ne piangevano.
Prima c’era frate Francesco, a cui ricorrere : lui le parlava e lei avrebbe
ascoltato.
Adesso non più.
Era a letto e continuava a ricamare.
“Se faceva levare su a sedere et sostentare cum certi panni di retro alle spalle et
filava”.
Faceva corporali, lini finissimi, paramenti sacri per tutte le chiese
d’Assisi e della pianura.
LA SERVIZIALE
Le serviziali, spesso uscivano per pensare ai bisogni del convento.
Camminavano tra i campi, tra le zolle umide di nebbia e di rugiada, sulle
stradine rigate di rivoletti d’acqua, a piedi nudi.
Di cascina in cascina; d’aia in aia.
Tornavano al convento, la sera, all’ora del tramonto.
Andavano infila una dietro l’altra,lentamente, recitando preghiere, come
tante timide agnelle sulla pista dei pascoli.
E arrivavano stanchissime, cariche d’erbe, di sacchetti di farina,
d’anforette d’olio e di fiori.
Si toglievano i mantelli bagnati, e sedevano tutte in fila, accanto al
fuoco.
Chiara lavava loro i piedi.
L’immergeva nell’acqua, toglieva il fango, sulla pelle arrossata le
macchie verdi dell’erbe.
Asciugava a volte, le ferite, che sgorgavano sangue.
Suor Filippa racconta:
“Una volta lavando li piedi de una serviziale, le volse baciare li piedi.
Quella retirò lo piede ad se, mancho che discretamente, et così
retirando, percosse la sancta madre con piede nella bocca”.
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Dalle labbra di Chiara uscì una goccia di sangue.
La serviziale scoppio a piangere.
Le altre che aspettavano con i piedi nudi, la guardarono con un ‘aria di
rimprovero.
Aveva percosso la bocca della madre.
Ma non per male; soltanto non voleva che baciasse i suoi piedi di una
povera villana nata e crescita fra le bestie e i campi.
Chiara le sorrise: “Perché piangi?” disse con un filo di voce. Riprese il
piede tra le mani, e si chinò.
“Per sua humiltà non restò per questo, ma lasicò la pianta della dicta
serviziale”.
Sotto, sulla pelle dura e nera, lasciò una macchia di sangue: il segno
delle sue labbra.
“Se ti colpiranno in una guancia, ricorda di mostrare l’altra”.
Così Francesco in una grotta dell’eremitaggio delle Carceri, aveva
voluto che fra Bernardo gli pestasse la faccia con i piedi, poiché a torto,
egli aveva dubitato di lui.
“IL CASTIGO DELLA CARNE”
La colomba d’argento fu umile, per quelli che erano superbi.
E volle offrire al Signore la sua penitenza, per riscattare i peccati
dell’umanità.
Volle soffrire, come Gesù aveva sofferto, per riguadagnare agli uomini
il sorriso e il perdono del Padre.
Per lei era gioia il martirio.
“Castigava lo corpo suo con li aspri vestimenti, havendo alcuna volta le
veste facte de corde de crini o de corda de cavallo; et aveva una tonica
et un mantello de lazzo vile.
“Lo lecto suo - continua suor Filippa - era di sarmenti de le vigne.
“Anche affliggeva el corpo suo, non mangiando alcuna cosa”.
Sotto il saio aveva il cilicio. Suor Benvenuta ce lo conferma.
“La beata Chiara una volta se fece una certa veste de coio de porco et
portava li peli et le setole tondite, verso la carne; et questa portava
nascosamente socto la tonica de lazzo.
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“Similmente un altra volta, se fece fare un’altra veste de peli de coda de
cavallo et fattone poi certe cordelle, con esse lo se strengeva al suo
corpo; et così con li decti cilizi affliggeva la sua verginea carne.
“Epsa le prestava, alcune volte, alle sore. Ancora ce ne era una de
quelle veste nel monastero”.
Le sorelle s’addoloravano di tutto ciò, la vedevano così pallida, debole e
fragile. Non avrebbero mai voluto tanto rigore.
Ma ella “lo portava molto nascosamente ad ciò che non fusse, de ciò,
represa da le sore. Ma poi che epsa madonna se infermò, le sore le
tolsero le predicte veste così aspere”.
“Nella parcità dei cibi era tanto stretta, che pareva fosse nutrita dagli
Angeli”.
Così poeticamente Suora Amata.
“Epsa certamente affliggeva il corpo suo, in tanto che tre dì de la
settimana, cioè el lunedì, el mercoledì e el venerdì, non mangiava
nessuna cosa, et nelli altri dì degiunava in pane ed aqua, persino a quello
tempo che Sancto Francesco li comandà che nelli predicti dì, che non
mangiava niente, mangiasse qualche cosa.
“Et allora per fare la obbedienza mangiava uno poco de pane et beveva
uno poco de aqua”.
Anche il Vescovo Guido, forse per volontà del Santo, intervenne
perché ella mitigasse il rigore del suo digiuno.
Non mangiava e dormiva anche malamente.
Suora Agnese de Messer Oportulo racconta:
“Per la maggiore parte del tempo, Madonna hebbe una stoia per lecto,
et uno pocho de paia socto el capo; et de questo lecto era contenta.
“Innanti che epsa testimonia fusse nel monastero, la predicta madonna
Chiara aveva lo lecto de sarmento; ma da poi che fo infirmata, per
comandamento de Sancto Francesco, teneva uno saccone de paia”.
LA PREGHIERA
Preveniva tutte le sorelle nella preghiera: la mattina, il giorno e la notte.
“Circa la mezzanotte similmente se levava alla orazione, mentre essa fo
sana et resvegliava le sore toccandole con silenzio.
“E poi spetialmente orava ad ora de sexta (verso mezzogiorno), però
che ad quello hora diceva che lo Signore nostro fo posto in Croce”.
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E Pacifica : “La beata Madre nella orazione era assidua et sollecita,
giacendo in terra longhamente, stando humilmente prostrata.
“Et quando veniva dalla orazione, admoniva et confortava le sore,
parlando sempre parole di Dio, lo quale sempre era ne la boccha sua,
intanto che le vanità non voleva parlare nè udire.
“Et quando Lei tornava dalla orazione le sore se rallegravano, come se
ella fusse venuta dal Cielo”.
Le povere Damianite erano liete a vederla, perché dopo quegli incontri
con Dio, ella, dallo sguardo celestiale, dal sorriso angelico, e dal suo
pallore virginale, trasfondeva nei loro cuori, tutta l’inneffabile purezza
della sua santità.
Suor Amata, che nel processo si rileva l’anima più semplice e poetica, ce
la descrive reduce dalla preghiera:
“Quando epsa tornava dalla orazione, la faccia sua pareva più chiara et
piu bella del sole.
“Le sue parole mandavano fora una dolcezza inenarrabile, intanto che
la vita sua pareva tutta celestiale”.
Era l’angelo buono che portava nel nascondimento segreto del chiostro,
un pò di paradiso, tra le sorelle stanche, inferme, mal nutrite,
prigioniere da decenni.
Nella preghiera attinse costantemente la forza di vivere, di patire e di
umiliarsi.
Una volta proprio nel cuore della notte, ella pregava e piangeva.
Fuori tutto era pace, tra gli ulivi della collina.
Le giungeva soltanto il fruscio dei cipressi, dondolati dal vento, la
musica trillante dei grilli, nascosti tra i campi.
Le sorelle dormivano, tutte, sui poveri giacigli sognando la gloria del
Signore.
Comparve allora l’angelo del male, sotto le spoglie di un pargoletto
nero. Incominciò a tentarla scherzosamente.
“Non piangere tanto, donna, - disse - chè diventerai cieca “.
A lui subitamente, Chiara rispose:
“Cieco non sarà mai, colui che vedrà il Signore”.
Il puttino negro atterrito, scomparve nella notte.
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“TUCTA ERA ACCESA DE CHARITADE ET AMAVA LE SUORE SUE COME SE MEDESIMA”.
AMORE
“EL MAMMOLO JESU”
Sorella Chiara amò Dio sopra ogni cosa, volle essere sua sposa; gli fece
dono della bellezza, della verginità, della ricchezza, della sua stessa vita.
Negli attimi, in ciu poteva ritrovarlo nel fervore della preghiera, ne
piangeva commossa fino a consumarsi gli occhi.
Suor Benvenuta racconta:
“Epsa Madonna Chiara spesse volte se confessava, et con grande devozione et
tremore pigliava spesso lo Santo Sacramento del Corpo del Signore Jesu Christo,
intanto che quando epsa lo pigliava, tucta tremava. Lo suo parlare sempre era de
cose de Dio, et non voleva parlare de cose seculare, nè voleva, che le Sore le
recordassero.”
“Et si alcuna volta fusse adcaduto che alchuna persona mundana havesse facto
qualche cosa contra Dio, epsa meravigliosamente piangeva, et ecsortava quella tale
persona et predicavagli sollecitamente che tornasse ad penitenzia”.
E Suor Francesca continua:
“Credendo le Sore che epsa Beata Madre fusse in estremo presso alla morte, et lo
Sacerdote li dette la Sacra Communione del Corpo del Nostro Signore Jesu Christo;
sopra il capo della Madre Santa Chiara fu uno splendore molto grande et parve che
il Corpo del Signore fusse un mammolo piccolo et molto bello.
“Et da poi che epsa Sancta Madre lo ebbe recevuto con molta devozione el lacrime,
come sempre era usata, disse queste parole:
“-tanto benefizio me ha dato oggi Idio, che el Cielo e la terra non li se poteriono
aparegiare“La predicta Madonna Chiara molto se delectava - è Suor Agnese de Oportulo che
parla - de udire la parola de Dio.
“Et ben che epsa non havesse studiato in lectere, niente di meno voluntieri udiva le
prediche litterali.
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“Et predicando uno dì Frate Filippo di Atri de l’Ordine de li frati Minori vide
appresso ad Sancta Chiara uno mammolo bellissimo et parevali da età quasi de tre
anni”.
Domandando al Signore la povera suora confusa da tanta visione, che
non fosse ingannata, udì una voce:
“Io sono in mezzo de loro: significando con queste parole come el mommolo era Jesu
Christo”.
PIANTO DELL’AGONIA
Passava giorni e notti in contemplazione davanti al Crocifisso.
Si racconta. Era il giorno dell’ultima Cena, il giorno in cui il Signore
aveva raccolto i suoi prima della fine.
Avvicinandosi l’agonia di Cristo, Chiara contristata e dolorante si
rinchiuse nel segreto della cella.
Pregò conl’anima inebriata di Lui. E pianse.
Trascorsero così la notte e il giorno seguente. Ella rimase sempre là,
assorta, lontana, sulla montagna del Calvario, ai piedi della Croce.
E venne la sera del sabato; il sole tramontava colorando di rosso
l’argento degli ulivi e di smeraldo le cime dei cipressi.
Calavano già, le prime ombre, dalla montagna.
Una sorella, che era entrata in punta di piedi, accese la candela.
Chiara allora si riscosse:
“Perché la candela? Non è forse giorno?”
“Madre un giorno è trascorso e una notte; un’altra ne cade”.
“Benedetto - esclamò Chiara - questo sonno, diletta figlia!
Dopo tanto desiderio mi è stato concesso. Ma tu nulla dirai di ciò,
finché io vivrò nella carne”.
IL DESIDERIO DEL MARTIRIO
Tanto amò Iddio da accettare con gioia il martirio.
Era l’anno 1220. I Francescani erano passati in Marocco, ad
evangelizzare e a predicare, tra gli infedeli, le parole di Cristo.
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Anche Francesco fu con loro, per poco. E tanti ne erano morti
trucidati con la palma del martirio.
Chiara, che aveva saputo di questo sublime sacrificio, voleva andare
laggiù, ove si poteva morire in nome del Signore.
Le monache spaventate ne piansero disperatamente.
Una delle sorelle, Suor Cecilia racconta:
“Chiara era in tanto fervore de spiritu che voluntieri voleva sostenere il
martirio per amore del Signore.
“Et questo lo demostrò quando, havendo inteso che a Marocchio erano
stati martirizzati certi frati, epsa diceva che ci voleva andare”.
Forse Francesco ancora vivo e la pietà per le povere sorelle, la
distolsero da questo proposito.
“Non andare madre, tu ci lascerai sole!
“Chi ci sveglierà la mattina , con chi pregheremo, chi ci aiuterà a
sopportare la sofferenza?
“Abbiamo bisogno di te in questa prigione”.
Ella sorrideva, con gli occhi gonfi di lacrime, e doveva promettere, a
tutte, una per una, che non sarebbe andata.
“Non andrò, figlie mie; restate sicure, io sarò ancora con voi”.
IL DISCORSO DELLA PASQUA
Erano i giorni dopo la Pasqua. Chiara aveva udito cantare in chiesa:
“Vidi aquam egredientem de templo, a latere dextro”.
Se ne rallegro profondamente, di una letizia celestiale, per tutta la
mattina. Al refettorio, dopo aver consumato il poco mangiare, disse a
una delle sorelle:
“Va a prendere, in chiesa, l’acqua benedetta”.
Nessuna sapeva che cosa la madre volesse farne.
Attesero con ansia e curiosità.
Chiara prese la catinella dell’acqua benedetta, la mostrò a tutte, e volle
che vi immergessero dentro le mani, che si segnassero e pregassero.
Poi disse:
“sorelle et figliole mie sempre dovete recordare et tenere nella memoria vostra, quella
benedetta acqua la quale usci’ dal lato dextro del signore jesu christo, pendente in
croce.”
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Da quel giorno “sempre de pò mangiare - racconta Suor Angeluccia - se
faceva dare ad se et alle Sore sue l’aqua benedecta”.
L’AMORE PER IL PROSSIMO
“Tucta era accesa de charitade - dice Suor Cristiana - et amava le suore sue come se
medesima”.
Più che se stessa. Nelle notti di inverno le copriva durante il sonno.
Voleva che mangiassero anche il suo pane e bevessero la sua acqua.
Fu misericordiosa con quelle che non potevano sopportare le
tribolazioni della penitenza. Prese per lei anche le loro.
Tenera, affettuosa con le inferme; le curava, le assisteva.
Alcune ne guarì. Ridette a Suor Benvenuta la voce che aveva perduto,
l’udito a Suor Cristiana. Liberò Amata dalla febbre e dall’idropisia, Suor
Benvenuta d’Assisi dalle fistole.
Vigilava sulle loro anime. Le esortava alla preghiera, alla penitenza, alla
confessione.
Suor Agnese de Oportulo racconta:
“La predicta Madonna Chiara alcuna volta havesse veduto alcuna de le Sore patere
qualche temptazione o tribolazione, con lacrime le consolava et alcuna volta li se
gittava a li piedi”.
Tra le tante, fu Suor Illuminata da Pisa.
Chiara capì il suo smarrimento. Era distratta nella preghiera, nervosa,
assente; un ricordo del mondo forse la turbava, un dubbio, un timore.
Le bagnò, un giorno, i piedi di lacrime, e la scongiurò che confidasse
nel Signore. In Lui avrebbe trovato la pace e la forza di lottare.
Predicava sovente alle damianite l’amore di Dio; quando si trovavano
insieme nel refettorio, o nel povero dormitorio, prima che prendessero
sonno.
Avrebbe voluto che tutte l’amassero, come lei l’amava.
Suor Benvenuta d’Assisi testimonia:
“Et epsa Madonna insegnò de amare Dio sopra omne altra cosa; secondo insegnò
che integralmente et spesso confessassero i peccati. Terzio ammaestrò che sempre ne
la memoria avessero la passione del Signore”.
Ebbe compassione per tutti gli afflitti. “Molti furono portati al Monastero a
la predicta Sancta Madre, ad essere curati - narra Suor Cecilia - et epsa fece lo
segno de la Croce sopra de loro e furono liberati”.
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I PREDILETTI
Tutti amò, ma due furono i prediletti dell’anima sua: Agnese e
Francesco.
Amò Agnese di terreno e fraterno affetto.
Chiara era felice in quei giorni al Monastero di Sant’Angelo di Panzo,
dopo la sua meravigliosa conversione.
Solo un pensiero la turbava : Agnese, la dolce sorella che aveva lasciato
alla casa del padre. Ma quella, dopo sedici giorni appena fuggì e la
raggiunse. I familiari accesi di furore salirono fin su al Convento.
Erano dodici uomini armati di tutto punto.
Dissimulando pacifici propositi, riuscirono ad entrare nel chiostro.
Cercarono Agnese ovunque; e uno di loro:
“Perché sei venuta qui? Presto, torna a casa con noi”.
Ma Agnese non volle, gridò che non avrebbe più abbandonato Chiara.
Quelli accecati d’ira, percossero la fanciulla quindicenne con pugni e
con calci; la trascinarono via per i capelli.
“Aiutami Chiara - gridava Agnese spaventata - non permettere che mi si
porti via al Signore!”.
La trascinarono per i sentieri del monte, tra le ginestre, i rovi e i prati.
Le sue vesti si lacerarono sugli sterpi. I capelli si sparsero lungo la via.
Le monache rinchiuse nelle celle, sentirono in lontananza gli urli degli
uomini inferociti e le grida di Agnese. Chiara pianse e pregò.
Pregò che il Signore accrescesse le forze della giovinetta, domasse le
violenze degli uomini.
Avvenne il miracolo. Ad un certo punto del cammino, non potettero
più sollevare il corpo di Agnese, pietrificata, che pesava come la roccia
della montagna.
Lo zio Monaldo, che volle ancora percuoterla restò in alto con la mano
paralizzata. Chiara giunse ansimante per la corsa tra i campi, con le
lacrime agli occhi scongiurò i parenti che desistessero.
E quelli confusi, e anche un poco spaventati, se ne andarono in silenzio
giù verso Assisi per i sentieri della collina.
Agnese si sollevò, e insieme a Chiara tornò al convento.
Dopo poco, prese anch’ella il velo.
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L’ALBERO
Amò Francesco, di divino amore. Egli fu il padre, l’albero, lei il suo
virgulto.
Trovava nei suoi occhi la luce di Dio, nelle sue parole la suprema
saggezza.
Dopo la notte della fuga, poche altre volte lo vide.
Avrebbe voluto, invece, spesso, parlargli, avere da lui esortazioni,
consigli e benedizioni.
Chiara gli aveva ripetutamente mandato a dire che andasse a predicare
alle sorelle e a visitarle.
Attesero tutte sperando.
Ma Francesco arrivò, dopo molto tempo, un giorno d’inverno quando
esse non l’aspettavano più.
Nevicava, e le cime dei cipressi incominciavano lentamente ad
imbiancare. I fiocchi sembravano pesare sugli olivi e le foglioline
tremavano scosse e rimbalzate.
Le zolle brune dei campi si inumidivano e si scioglievano. Il vento della
montagna trascinava il nevischio fitto e polveroso nel Chiostro e lo
sbatteva contro la porta e le fenestrelle.
Francesco entrò in Chiesa intirizzito e tremante.
Al “Pace e bene”, mormorato dalla sua voce, nella penombra, le sue
suore trasalirono.
Chiara ebbe un tuffo al cuore.
Interruppero, tutte, le loro preghiere e aspettarono che egli parlasse.
“Sorella - disse frate Francesco alla sacrestana - portami un po’ di
cenere”.
E ancora calda.
La prese nel cavo della mano e con essa disegnò sul pavimento un
cerchio con un gesto ampio del braccio.
Il resto se la sparse abbondantemente sul capo e sul saio lacero.
Le monache ricantucciate in un angolo, guardavano al colmo della
meraviglia.
Poi egli mosse le labbra come a rompere il silenzio.
Ma non predicò; recitò con voce sommessa il salmo di David:
“Miserere.....”.
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Finito che ebbe, si girò e s’avviò fuori a passi lenti. Uscì. Dalla porta
semiaperta entrò un soffio di vento gelido, e andò a inumidire di neve i
gradini dell’altare.
Chiare lo seguì. Fuori la neve era già alta, sul chiostro e sui campi.
Francesco camminava a piedi nudi con le mani nascoste tra le maniche
del saio, e il cappuccio tirato sul capo, a passi svelti, come se avesse
fretta.
Segnava le sue orme, sulla neve, una ad una.
Ella metteva, nel seguirlo, i suoi piedi dove erano stati un attimo prima
quelli di lui.
S’avvicinò ancora, senza parlare.
Erano tutti e due, bianchi come due angeli.
“Perché vai via così...., senza una parola?”.
Francesco fece segno di fermarsi, di voltarsi, poi riprese a camminare.
E senza guardare:
“Io temo, in verità temo, che voi amiate ed ammiriate la mia persona.
Questo non voglio e mai vorrò! che Dio deve essere il vostro unico
amore”.
“Non ci lasciare! cosa mai faremo senza di te?...
Chiara continuava a tenergli dietro, parlando, eretta in tutta la sua sottile
ed imponente persona, con il viso arrossato dal freddo e dal gelo.
“Cristiana, cristiana mia - disse, questa volta guardandola in volto - cosa
potrò fare io, per guardarvi, povero e piccolo uomo, che il freddo fa
tremare e agghiacciare, peccatore, mendicante? Il Signore vi guarderà,
Lui, si”.
“Dove vai, quando ci rivedremo?”.
“Per il mondo che non capisce e mormora, noi mai più, sorella, ci
rivedremo”.
“Ma forse un giorno, chissà, prima di morire...”.
Francesco che aveva ripreso a camminare sotto la neve, alzò le spalle e
le strinse tra il collo.
“Quando ci rivedremo?”.
Continuava la voce di sorella Chiara dietro di lui.
“Ci rivedremo.....” Egli disse.
“Quando? “ Lei ancora.
“Quando......”.
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Qui Francesco si fermò, un attimo, ad ascoltare il vento che fischiava
tra i rami degli alberi.
Guardò intorno la campagna diventata un deserto di neve, il cielo
nascosto anche lui, nel candore ovunque sparso. Poi continuò:
“Quando fioriranno le rose!”.
Così, come per dir mai.
Riprese a camminare, in fretta, quasi temendo che Chiara parlasse
ancora.
E sull’angolo del sentiero, proprio vicino alle sue orme, tra il bianco
della neve calpestata e rimossa, venne su, come di sangue, un cespo di
rose rosse.
Egli le vide e non parlò. Allontanandosi fece solo con la mano un
segno vago, un addio senza promesse.
Chiara sorrise dolente; lo guardò ancora per un poco e lo vide sparire e
confondersi, bianco, tra la neve bianca.
Si chinò e colse un mazzo di rose. Tornò indietro stringendole al petto.
Aveva freddo. Giunta sul sacrato della chiesa, si voltò, per dare
un’ultima occhiata.
Non lo vide più. Le orme erano scomparse sotto la neve.
S’era chiarito di un velo bianco, anche il vermiglio delle rose che ella
stringeva al cuore.
Francesco non si fece più vedere per un pezzo.
Un giorno gli chiese di poter mangiare con lui.
Francesco rifiutò.
Chiara ne rimase profondamente addolorata.
I compagni intercedettero per lei, presso il Santo.
“Padre, a noi pare, che questa rigidità non sia secondo la caritade
divina: che Suora Chiara, vergine così santa a Dio diletta, tu non
esaudisca in così piccola cosa, com’è mangiar teco e specialmente
considerando, che ella per la tua predicazione abbandonò le ricchezze e
le pompe del mondo”.
Francesco a loro:
“Pare a voi che io la debba esaudire?
Da poi che pare a voi, pare anche a me”.
Chiara, con una compagna, scese da San Damiano fino alla
Porziuncola, che era il luogo fissato per l’incontro.
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Potè cosi rivedere la cappelletta della Vergine, ove era stata “tondita” ed
eletta a sposa del Signore.
Il pranzo, per volontà di Francesco, fu apparecchiato sul prato, alle
soglie del bosco. Si misero a tavola.
Francesco “incominciò a parlare di Dio - si racconta nei Fioretti - si
altamente e si meravigliosamente, che discendendo sopra di loro
l’abbondanza della divina grazia, tutti furono in Dio ratti”.
Una luce improvvisa avvolse il bosco, la chiesetta e le povere capanne.
Le genti della collina temettero, per un attimo, che tutto bruciasse e
scesero con terra, secchi d’acqua, con badili a spegnere l’incendio.
Furono spettatori del grandioso miracolo del rapimento.
Francesco, Chiara e i compagni, tornati che furono dall’estasi sazi
nell’anima di celestiali visioni, non toccarono più cibo.
Questo il loro amore. Chiara amò Francesco di quell’amore che gli
uomini non conoscono e contaminano coi pensieri e i desideri.
E’ l’armonia, tra le creature in nome del Signore.
Amò a Francesco perché il suo corpo fu il tempio della passione; in lui
vide i segni di Cristo, le ferite sulle mani e sui piedi. Lo amò perché fu
cieco, dopo aver dato a tutti tanta luceò ebbe pietà di lui come di tanti
altri afflitti.
Lo pianse morto, con le figlie, perché fu santa ma anche donna.
Temette per un attimo di restar sola, senza di lui e il suo aiuto.
IL PIANTO DELLE POVERE DONNE
Francesco, in quei giorni, era al Palazzo Vescovile.
L’aretino Buon Giovanni, uomo di medicina e di scienza, lo curava e gli
faceva coraggio:
“Con l’aiuto di Dio, la tua salute potrà migliorare”.
“Ti chiedo di dire la verità fratello!” Rispose Francesco.
Il dottore:
“Io credo che tu potrai ancora vivere, Francesco sino alla fine di
settembre”.
“Ben venga, mia sorella morte”. Esclamò il Santo.
Un pensiero solo lo preoccupava : le povere donne di San Damiano.
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Chiara gli aveva mandato, spesso, dei messaggi in cui lo scongiurava di
andar giù, a farsi rivedere e a dire addio.
Francesco si dovette contentare di mandarle una lettera.
Raccomandò al fraticello portatore:
“Va, e dì a sorella Chiara che io l’assolvo da ogni mancanza, che possa
aver commesso verso il Figlio di Dio o verso di me, a che più non si
affligga; perché prima che ella muoia, lei e le sue mi rideranno”.
Non lo rividero più, vivo. Passò morto, da S.Damiano, in un grigio
giorno di ottobre.
Gliene mostrarono il corpo dalla grata della comunione.
Le sorelle piangevano.
“Padre, Padre, che cosa faremo?
“Tu ci hai abbandonate.
“Perché non possiamo morire con te?
“Che cosa sarà di noi, in questo cieco e chiuso carcere, ove tu mai più
tornerai a confortarci?
“Chi ci dirà ancora nella miseria, che essa è santa, chi nella sofferenza
che essa è di Dio?
“Chi ci aiuterà nel dubbio e nella tribolazione?”.
Chiara avrebbe voluto gridare con loro, umanamente manifestare quel
dolore che le stringeva il cuore, ma non lo fece.
Doveva confortare la grande afflizione delle figlie.
Era restata lei dopo di lui.
Come le colombe spaurite dalla tempesta riparano al nido, tra le siepi,
così quelle le si strinsero intorno.
Baciarono tutte, per l’ultima volta la salma del Padre.
Il pianto delle povere donne aveva spento nel corteo il giubilo.
Tacquero le trombe degli araldi e i canti di gloria.
Il drappello si mosse in silenzio, su per la salita.
Egli andò. Ma Chiara sapeva che un giorno lo avrebbe rivisto.
“LA GACTUCCIA”
Chiara amò tutte le creature, perché erano del Signore.
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Le aveva forse raccontato, il cappellano del convento che aveva avuto
la fortuna di essere con Francesco come per lui, ogni creatura, fosse
assolutamente una parola di Dio.
Voleva che nei giardini dei conventi, tra gli ortaggi si facesse posto ai
fratelli fiori.
A Greccio lo videro chinarsi tra una siepe, tutta fiorita in primavera, sui
piccini del nostro fratello pettirosso.
A Siena imbastiva, con le sue mani, i nidi per le tortorelle.
Quando vedeva per la strada un lumbrico o un verme, contorcesi tra la
mota e il fango, lo scostava perché non lo schiacciassero.
In inverno, portava miele agli alveari.
Amò gli animali, e gli animali amarono lui.
La lepre del Trasimeno, non voleva più lasciarlo.
Un coniglio selvatico, a Greccio, lo seguiva ovunque tra le balse della
montagna, nella grotta della penitenza.
Un candido gregge di pecorelle, un giorno a Siena, lo circundò su di un
prato con lunghi belati, come se volessero parlargli.
Anche Chiara amò i fiori che nascevano nel giardinetto; quelli di campo
che le serviziali portavano per la Chiesa, in primavera; gli ucelli che
nidificavano fra le pietre del convento; tutti gli animali.
C’era al monastero, una gattina tanto graziosa ed intelligente.
Tutte le monache l’amavano, e giocavano con essa.
La seguiva la notte nel dormitorio, il giorno nell’oratorio. Era sempre
con loro.
Chiara, per la sua malattia non poteva, in quégli ultimi tempi, più alzarsi
dal letto.
Le monache dovevano spesso allontanarsi, per la messa, per le
preghiere comuni, per le devozioni, e la lasciavano sola.
Ella ricamava e la gattina le teneva compagnia. Si sdraiava sul giaciglio
accanto a lei, o giocava con il suo filo.
Faceva le fusa in un angolino, fuggiva, ritornava di corsa a buttarglisi
addoso.
Chiara parlava con essa; quella la comprendeva, e le sbruffava il musino
umido contro la veste.
Un giorno la Santa, non potendosi muovere, chiamò una delle sorelle,
perché le portasse una tovagliola da ricamare.
Le monache non c’erano e nessuno rispose. Chiara chiamò ancora.
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Allora la gattina corse a prendere essa la tovaglia.
La fece scivolare dalla panca fin giù, con la bocca poi con le zampette
cominciò a trascinarla.
L’avrebbe tutta sciupata e insudiciata sul pavimento del dormitorio.
Chiara finse di rimproverarla.
“CACTIVA, TU NON LA SAI PORTARE; PERCHE’ LA
STRAGINI PER TERRA?”.
“Allora quella gacta - racconta Suor Francesca - come se havesse intese
quelle parole, incomenciò ad involgere quella tovaglia ad ciò che non
toccasse terra”.
La lasciò con un balzo tra le mani di Chiara e s’acquattò al posto suo,
sul giaciglio, mugugnando. Sentì passare una mano bianca e tremante,
lungamente, sul suo pelo morbido.
LE LODI DEL CREATO
Vedeva un pezzo di cielo, tra le inferriate, e un attimo di sole.
Qualche viola in primavera, su quel rettangolino di terra del suo
giardino, che il vento avrebbe potuto portar via.
A sera un fugace palpito d’ali di rondini. Niente più. Della terra sentiva
nella prigione, soltanto le voci.
L’alba aveva un grido e il suono di una campanella, il giorno un canto,
la sera un’Ave Maria, sulle cime dei cipressi; la notte un mormorio nel
silenzio.
Amò le cose del creato anche se non le vedeva, perché non le vedeva.
Alle suore inservienti, che uscivano per i fabbisogni del convento,
raccomandava che lodassero Dio e tutte le sue creature;
“quando camminerete su per la collina, per le stradette di campagna, quando
sosterete tra gli ulivi, nei campi riarsi dal sole, alle fresche sorgenti; quando
incontrerete uomini e donne al lavoro, sempre lodate il Signore”.
Anche per lei, per le sorelle sepolte, che non avrebbero più visto, nè
udito, più parlato.
“Le admoniva - racconta Suor Angeluccia - che, quando vedessero gli alberi
belli fioriti et fronzuti, laudassero Idio; et similmente quando vedessero li homini et
le altre creature, sempre de tucte et in tucte cose laudassero Dio”.
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Così il santo poeta cieco, le aveva insegnato in quegli ultimi giorni di
passione, a San Damiano, prima della fine.
Francesco infatti, stigmatizzato e dolorante, lasciata che ebbe la
montagna della Verna cavalcando per giorni un somarello, riparò al
nido delle Vergini.
Soffriva in una celletta, nei pressi del convento.
Frate asino, così egli chiamava il corpo, si è ormai ribellato
violentemente.
Non reggeva più. Sanguinavano i piedi, le mani, il costato; non vedeva
quasi più.
Gli occhi bruciavano come il fuoco vivo.
Nel giardinetto di Chiara, intanto che le monache erano in oratorio,
riparava volentieri per trovare sollievo alle sue tribolazioni.
Ella gli aveva preparato un paio di sandali che, anche con le stimmate,
gli permettevano di posare il piede a terra e di camminare.
Là cantò un giorno, le lodi del Signore e delle sue Creature, quelle che
aveva perdute sulle soglie della luce, in questo canto che è la poesia
evangelica della nuova umanità:
“Altissimu onnipotente bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria, e l’honore
Et omne benedictione.
A te solo, altissimo, se confanno,
Et nullo homo e’ ne dignu
Te mentovare.
Laudato sie mi Signore cum tucte le tue creature,
Specialemnte messer lo frate sole,
Lo quale jorno et allumini noi per loi.
Et ellu e’ bellu, e radiante
Cum grande splendore
De te altissimo porta significazione.
Laudato si mi Signore per sora luna e le stelle,
In cielu l’ai formate
Clarite et preziose et belle.
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Laudato si mi Signore per frate vento,
Et per aere, et nubilo, et sereno et omne tempo,
Per lo quale a le sue creature dai sostentamento.
Laudato si mi Signore, per sora acqua,
La quale e’ multo utile et humile,
Et pretiosa e casta.
Laudato si mi Signore, per frate focu,
Per lo quale illumini la nocte,
Et ello e’ bello et jucundo et robustoso e forte.
Laudato si mi Signore per nostra matre terra,
La quale ne sustenta et governa,
Et produce diversi frutti con coloriti fiori et erba.
Laudato si mi Signore
Per quelli che perdonano per lo tuo amore,
Et sostengono infirmitate et tribolatione.
Beati quelli che sosterranno in pace
Che da te altissimo
Siranno incoronati.
Chiara era là, ad ascoltare, con gli occhi gonfi di lacrime.
Questo canto, le resterà in cuore tutta la vita.
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NON PODDE ESSERE MAI INDUCTA CHE
VOLESSE ALCUNA COSA
PROPRIA, NÈ RICEVERE POSSESSIONE,
NÈ PER LEI, NÈ LO MONASTERO”
SORA POVERTA’
I PANI ROTTI
Francesco fu il Signore della povertà, in un mondo assetato di
ricchezze.
Vide in ogni povero, Cristo.
Soleva chiamare padre un vecchio mendico di nome Alberto.
“Benedicimi, padre mio. Il Signore te mi ha dato per genitore, te che
mi ami anche se l’altro, il vero, m’odia e mi maledice”.
Un giorno entrò , nelle ore di punta, un mendicante nel suo negozio di
stoffe.
E gli domandò elemosina in nome del Signore.
“Va, chè non ho tempo!”.
Poi pensò. “Se fosse venuto a chiederti qualcosa, o Francesco, in nome
dello Imperatore, tu tutto gli avresti dato.
E’ venuto in nome di Dio, e l’hai mandato senza niente”.
Vuotò allora il cassetto, rincorse per la strada il mendicante, gli chiese
perdono e gli diede tutto il denaro.
Volle essere anche lui mendico e restituì al padre quello che era del
padre.
Gli bastarono le vie del mondo.
La montagna e i boschi furono la sua casa; il cielo la terra, il sole l’acqua
la sua ricchezza.
La preghiera il suo pane, l’umiltà il suo sostentamento.
Un giorno, degli uomini che erano con lui sulla montagna e volevano
mangiare gli avevano detto:
“Fratello bisogna che tu ci dia qualcosa, un poco delle tue provviste,
perché niente abbiamo ottenuto nei cascinali ; e si che avremmo ben
pagato !”.
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Rispose:
“Non avete niente avuto, perché troppo confidate nelle vostre mosche
- così chiamate il denaro - ma andate, siate umili e poveri. Non vi
vergognate di chiedere l’elemosina in nome del Signore.
“Tutto avrete, e vi sfamerete”.
“Ove ci sarà povertà - soleva dire Francesco - non ci sarà mai fame”.
Il Signore e là, in mezzo a quelli che hanno bisogno di Lui.
Così Chiara.
L’autunno aveva inumidito i sentieri di fili d’acqua dorato che
inzuppavano le foglie morte, color di ruggine.
Frate Bentevenga, il cercatore di pane, delle povere donne di San
Damiano, camminava lentamente a piedi nudi, col peso del sacco sulle
spalle.
Andava curvo, nella sera, tra i campi aperti di tenere zolle, e gli ulivi
d’argento , verso la campanella del convento, che suonava Ave Maria.
Si fermò davanti alla finestrina della clausura e chiamò. Si sentivano dal
corole voci delle suore: stavano pregando.
S’era seduto appena accanto al sacco, ad asciugarsi le mani umidicce e
arrossate di sudore, sui fili grigi della barba, che una voce dall’altra
parte:
“Pace e bene, fratello che c’è?”
“Il pane, Suor Cristiana, - rispose Frate Bentevenga. - Le sere si fanno
più fredde tra i campi - soggiunse - ma più generoso è il cuore dei
villani”.
“M’han dato tanto, stavolta!.... Ce n’è pane, qui dentro, nel sacco ; per
tutto l’inverno”.
Suor Cristiana sorrise “Chiamo Madonna Chiara”.
Dopo un pò Bentevenga vide, al di là della grata, tra gli anellini di ferro,
il volto bianco di lei, i suoi occhi azzurri, velati di malinconia, il sorriso
d’angelo.
“Ecco madre, vedi il pane? Quanto !” E rivoltò il sacco sulla tavola
accanto.
Ne sfuggirono rotolando, mucchietti di tozzi. Qualcuno insecchito,
qualche altro sbocconcellato. Dal fondo, poi, Bentevenga, con un
sorriso d’orgoglio, lentamente tirò fuori una diecina di pani interi. E
sentì allora la sua voce, così dolce, che lo faceva sempre sussultare.
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“Frate mio, che ti li ha dati? Perché così tanti? E’ troppo. I pani rotti
basteranno”. Il poveretto restò senza fiato “Ma è elemosina, questa,
Madonna....m’han dato in nome del Signore, come Francesco ha
sempre detto”.
“T’han dato troppo, per noi....”. E se n’andò.
Il povero frate cercatore, dalla barba grigia, coi piedi nudi, insanguinati
dal cammino, la sentì allontanarsi, lievemente nell’ombra, come una
farfalla meravigliosa, in un giardino.
“E questo diceva - racconta Suor Filippa - perché amava più ricevere
per helemosina li pani rocti, che li sani”.
LA VESTE
Volle avere sempre la veste più povera. Era lacera, consunta,
rattoppata in ogni angolo; impossibile che qualcuna potesse averne una
peggiore.
Un giorno le monache erano in oratorio, sedute sui poveri sgabelli, una
di rimpetto all’altra, intente alla preghiera.
E Chiara s’accorse che proprio in faccia a lei, una sorella aveva una
veste più rabberciata e più umile della sua.
Se ne addolorò fortemente.
Finite che ebbero le preghiere comuni Chiara le si avvicinò.
“Togliti la veste, figliola mia!”.
“Perché, madre? Già, avrei dovuto accomodarla, perdonami!”.
“No, io la prenderò, e ti darò la mia” rispose Chiara.
“Ma la tua è più bella, e tiene più caldo in inverno. Non posso
cambiarla, non sarebbe giusto. Sei l’Abbadessa tu, non puoi mettere
una veste come questa”.
“Dammela, mi piace la tua. Non potrei più guardarti, se continuassi ad
essere più ricca di te.
Sono la madre delle povere donne; debbo essere la più povera.
Mi farai tanto felice, figlia mia, dammela!”.
Allora la suora si tolse la veste e gliela dette.
Chiara le dette la sua e mise l’altra.
“Grazie - poi disse - e la baciò teneramente”.
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“Et se alcuna volta havesse veduto - afferma Suor Pacifica - che alcuna
tonica delle sore fusse più vile che quella che portava epsa se la toglieva
per lei et dava a quella sora la sua migliore”.
“TUTTO QUELLO DE EPSA HEREDITA’, LO DISTRIBUI’ A
LI POVERI”
Era di ricchissima famiglia. E venne il tempo di ricevere la sua eredità.
Chiara non volle possedere, nemmeno per un attimo. Decise subito di
venderla.
“E li parenti de Madonna Chiara - è Suor Cristiana a raccontare - li
volsero dare più prezzo che nessuno de li altri. Epsa non volse vendere
ad loro, ma vendecte ad altri, ad ciò che li poveri non fussero
defraudati.
“Et tucto quello che recevve della vendita de epsa heredità, lo distribuì
a li poveri”.
Si trattava di conservare l’unità del patrimonio familiare; i suoi
sperarono di poter contare, anche sull’eredità di Chiara.
Offrendo molto, ella l’avrebbe data.
Non vendette invece ai suoi, perché non sembrasse che non si fosse
abbastanza spogliata. Perché non si dicesse che ella aveva dato ai ricchi,
perché lo fossero ancora di più, danneggiano e defraudando i miseri.
Temeva di non poter restare più povera in un mondo dove gli uomini
ogni giorno affrontavano la morte per la ricchezza.
I mercanti sui mari, in cerca di nuovi traffici e di nuove terre, i soldati di
venture sui campi di battaglia, o al sacco delle città.
Ella fu la viola del Vangelo.
“EL PREVILEGIO DE LA POVERTA’“
Il Papa era stato riluttante, perfino a concedere il consenso verbale alla
regola dei frati minori.
Quando Francesco volle che il contenuto del suo nuovo ordine fosse
l’assoluta povertà, suscitò sia nel popolo, come nello stesso ambiente
ecclesiastico, diffidenze, dubbi e timori.
Non potevano capire. E’ naturale.
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In quei tempi l’Ordine più forte ed antico, era quello dei Benedettini.
Il loro motto : “Ora et labora”.
Lavoravano, pregavano e possedevano.
I loro monasteri erano ricchissimi. Avevano terre, boschi, campi, vigne,
mandrie e pascoli; castelli e feudi, schiere di armati e di servi.
Anche nel contato di Assisi l’ordine Benedettino era fiorentissimo.
Alla gloriosa e ricca Abbazia di San Benedetto del Subasio, turrita e
munita come un castello facevano corona, il Monastero di San Pietro,
quello delle Suore di San Paolo de Abatissis all’Insula Romanesca,
quello di San Angelo di Panzo, che possedeva gran quantità de greggi e
di pascoli.
Da qui le diffidenze e le contrarietà.
Come sarebbero vissuti i nuovi frati? Se non avevano il sostentamento
necessario e la sicurezza di procacciarselo, come avrebbero potuto
pregare, operare, predicare, convertire?
Eppure i Minori camminarono per tutte le strade della terra,
viaggiarono per tutte le regioni d’Italia e d’Europa.
Predicarono ed insegnarono. Portarono la pace là ove era prima la
guerra e l’odio. Evangelizzarono il Marocco, e morirono martiri, anche
se continuarono sempre a non possedere.
Con la regola che Francesco le aveva data nel 1212, Chiara si presentò
anche lei, ad Innocenzo III per l’approvazione.
Domandò di potere intitolare i lsuo ordine alla povertà : le sorelle di S.
Damiano sarebbero state le povere dame.
Il Pontificie le disse:
“Siamo contenti, figliola, di questo tuo fervore, ma il proposito è
singolare; insolita la tua domanda.
Nessuno ha mai chiesto alla Santa Madre Chiesa una cosa come
questa”.
Poi sorridendo, aggiunse che avrebbe accondisceso.
E promise la prima regola.
“NON VOLSE ALCUNA COSA PROPRIA”
Dovette lottare anche per restar povera.
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“Non podde essere mai inducta che volesse alcuna cosa propria, nè
ricevere possessione, nè per lei, nè per lo Monastero”. Così Suor
Pacifica.
“E Messer Papa Gregorio li volse dare molte cose - continua - et
comparere le possessioni per lo monastero, ma epsa non volse mai
acconsentire”.
“E lo privilegio de la povertà lo quale li era stato concesso, lo honorava
con molta reverentia et guardavalo bene et con diligenzia, temendo de
non lo perdere”.
Nel maggio del 1228 Papa Gregorio IX venne in Assisi, per la
beatificazione di Francesco.
In verità era curioso di vedere quali fossero i risultati della nuova regola,
e del modo di vivere in perfetta povertà.
Sapeva qualcosa sui frati, ma niente sulle povere donne. E decise di
indagare personalmente.
Scese allora a San Damiano. Chiara e tutte le sorelle l’accolsero, con il
cuore gonfio di gioia.
Vide il convento : quattro mura intorno ad una chiesetta; poche
finestre, una porticina e una scala di legno.
Vide dove mangiavano e che cosa mangiavano : un tozzo di quel pane
che Fra Bentevenga portava nella bisaccia, su delle povere tavole nude.
Pregavano in un piccolo oratorio freddo e rustico, quasi senza aria e
senza luce.
Vide dove dormivano; su duri giacigli di paglia.
Domandò poi, se avesse tutto visto.
“Dov’è l’orto - continuò - per le verdure e le frutta, dove la dispensa, il
patrimonio del convento, dove era le vostre terre?”.
“Niente abbiamo di tutto questo, Padre, - rispose Chiara - il nostro
podere è quello della Provvidenza, la nostra dispensa, la bisaccia del
fratello elemosiniere”.
“Ma così non potrai vivere, non potrete continuare, figlia mia!
E se un giorno il fratello della questua, non verrà, perché ci sarà neve
per le strade di campagne, e il freddo avrà seccato gli alberi, e le case
saranno sbarrate, come farete?”.
“Verrà, perché il Signore non dimentica le sue figlie, Padre Santo”.
“Guarda come sono ridotte le tue sorelle, i loro volti.....”.
“Ma sono felici nel Signore”.
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“Compreremo, povere donne, - disse il Pontefice - per voi, un orto che
vi dia frutta e verdure e un campo da cui possiate avere pane, vino e
olio.
“Avrete una mucca per il latte e delle pecore per la lana delle vostre
vesti, che vedo così logore”.
“No padre,niente desideriamo e niente vogliamo”
gli rispose la colomba d’argento.
“Siete buono con noi, e questo vorremmo, questo dono, di poter restar
povere. Non moriremo, come non è morto di fame Francesco”.
“Se tu hai fatto un voto, sappi figlia, che noi da esso possiamo
scioglierti”.
“Padre Santo, rimettete i miei peccati, e che l’anima mia sia salva.
Giammai, dalle schiere del Signore vorrò essere rimossa”.
Pianse nel dire queste ultime parole; un brivido di paura le passò per il
volto bianchissimo.
Il Pontefice restò colpito e commosso, dalla straordinaria fermezza
dell’ancella del Signore.
Capì solo allora come la povertà fosse la sua eterna ricchezza, quella
che nemmeno lui gli avrebbe potuto dire.
Lottò fino sul letto di morte, per ottenere l’approvazione definitiva del
privilegio.
Innocenzo IV infine, gliela concesse.
E poche ore prima di morire, giunse un fraticello al nido delle vergini, a
portare la bolla. Aveva fatto di corsa tutta la strada dal Palazzo
Vescovile a San Damiano.
La prese tra le mani tremanti, come raccontano le sorelle che erano
presenti, e la baciò. Poteva ormai anche andare. Chiamò allora tutte le
figlie intorno al suo capezzale.
“Nelle ultime ore - racconta Suor Filippa - chiamate tucte le sore suoi,
loro raccomandò attentissimamente, lo privilegio della povertà”.
Come Francesco aveva raccomandato ai suoi fraticelli, nel suo
addolorato testamento, e prima di morire alla Porziuncola ai prediletti,
Madonna Povertà, la donna più ricca eredità che gli uomini possano
sperare sulla terra.
E’ la porta del cielo.
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“IO TE DEFENDERÒ, SEMPRE MAI”
I MIRACOLI
IL MIRACOLO DELLE CROCI
Il Papa era a San Damiano.
Desiderava moltissimo vederla e udirla parlare di Dio e delle cose
divine.
Essendo giunta l’ora del desinare, Chiara fece apparecchiare le mense.
Il Pontefice fu, in quel giorno, ospite delle damianite, nel povero
refettorio.
Il pane era sopra le tavole; allora Chiara inginocchiandosi, pregò che lo
benedicesse. E il Papa:
“Sorella Chiara, fedelissima del Signore, noi desideriamo che tu
benedica questa pane, facendo sopra con la mano il segno della Croce”.
“Padre santissimo, non son degna - rispose -.
Sarebbe atto di presunzione, se io volessi, vile femminella, benedire
questo pane, in nome di Dio”.
“Perché tu non possa pensare al peccato, noi ti ordiniamo per santa
obbedienza, di benedirlo”.
Ella s’alzò. Le altre erano restate in piedi; e avevano ascoltato assorte lo
strano colloquio.
Benedisse il pane con il segno della Croce. Su tutti i pani, sulla crosta
dorata, s’intagliò una croce meravigliosamente luminosa.
Parte se ne mangiò, parte se ne conservò.
Anche il Pontefice prima di andare, volle avere per se un pane del
miracolo.
IL MIRACOLO DELL’OLIO
Era il secondo anno di vita in convento.
Suor Pacifica racconta:
“Imperò che una volta essendo mancato l’olio nel Monastero, intanto
chè non ne avevano niente, epsa Beata Madre chiamò uno certo Frate
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de l’Ordine Minore lo quale andava per le elemosine per loro, chiamato
Frate Bentevenga et disselli che andasse ad cercare de l’olio et lui
respose che li apparecchiassero el vaso. Allora, epsa Madona Chiara,
tolse un certo vaso et lavollo con le proprie mani, et puselo sopra un
certo murello, lo quale era appresso lo uscio de la casa, ad ciò che lo
predicto Frate lo togliesse.
Et essendo quello vaso stato’ lì, per una piccola ora, quello Bentevenga,
andando per quello vaso lo trovò pieno de olio.
Et essendo cerchato diligentemente, non fu trovato chi ce lo avesse
messo”.
Furono presenti a questo miracolo oltre Suor Pacifica, che lo racconta,
anche “Sora Agnese, sorella di Sancta Chiara, Sora Balvina, la quale fu
Abbadessa nel Monastero de Vallis Glorie, et Sora Benvenuta da
Peroscia”.
I MAMMOLI
Un giorno venne al Convento una madre con un bimbo malato, e
scongiurò Chiara che glielo guarisse.
“Uno mammolo de la città de Spolete, chiamato Matthiolo de età de tre
overo de quactro anni; se mise una petrella piccolina in una de le nare
del naso suo in modo che per nessuno modo se ne poteva cavare, et lo
mammolo pareva stesse in pericolo.
Menato ad Sancta Chiara, facto da epsa sopra de lui lo segno de la
sancta Croce, subito gli cascò quella petrella del naso, e el mammolo fu
liberato”.
Questo il racconto di Suor Benvenuta.
Fu portato inoltre un altro fanciullo: “Un mammolo de Peroscia
haveva nello occhio - racconta Suor Amata - una certa macchia che li
copriva tucto l’occhio, unde fo menato ad Sancta Chiara, la quale toccò
l’occhio del mammolo et poi li fece il segno della Croce.
Poi disse:
“Menatolo alla mia madre, Sora Ortulana et faccia sopra di lui lo segno
della Croce. La quale cosa facta, el mammolo fo liberato”.
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“Unde Sancta Chiara diceva che la sua madre lo aveva liberato, e per lo
contrario la madre diceva che Madonna Chiara, sua figliola, lo haveva
liberato, et così ciascheduna dava questa grazia al’altra”.
“LA MERAVIGLIOSA REFEZIONE”
I frati erano venuti quel giorno, a far visita alle povere sorelle di san
Damiano. Attendevano fuori, nel chiostro. Bisognava dar pur loro
qualche cosa da mangiare.
Ma nel convento c’era un solo pane.
“La metà del quale fu mandato a li frati ; la predicta Madonna comandò
ad epsa, - è Suor Cecilia a parlare - che de quello mezzo pane ne facesse
cinquanta lesche et portassele a le Sore che erano andate alla mensa”.
La suora la guardò meravigliata:
“Ad ciò che de questo se ne facessero cinquanta lesche - disse - saria
necessario quello miraculo del Signore, de’ cinque pani e doi pesci”
“Va et fa come io te ho dicto”. Le rispose Chiara.
“Et così el Signore multiplicò quello pane per tale modo, che ne fece
cinquanta lesche bone et grande, come Sancta Chiara haveva
comandato”.
“IL MIRACOLO DELLA VISIONE”
Era la notte di Natale del 1252; Chiara era ammalata.
“Non potendo epsa per la grave infirmità levarse del lecto per intrare
nella Capella, le Sore andarono tucte al matutino, al modo usato,
lassando lei sola”.
Racconta Suor Filippa”.
La celletta era fredda ed oscura. Fuori la bufera, il vento fischiava
contro le imposte e sembrava scuotesse le mura dalle fondamenta, e
volesse estirpare gli olivi e schiantare le querce.
Nevicava; si sentiva soltanto qualche voce, e si vedeva qualche ombra
muoversi lentamente sulla neve.
I contadini salivano dalla valle verso la città, per andare ad assistere alla
solenne Messa nella Chiesa di San Francesco.
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“Allora epsa Madonna suspirando disse”
“O Signore Dio, eccho che sò lassata sola da Te, in questo loco. Allora subitamente, incominciò ad udire li organi et responsori et tucto
lo Uffizio delli Frati della Chiesa de Sancto Francesco, como se fusse
stata li presente”.
Una dolce armonia e i canti d’Alleluia. Vedeva la folla dei fedeli :
uomini, donne, frati, in ginocchio.
Si celebrava il Presepio, quello che il Poverello aveva istituito una notte
di Natale a Greccio, perché gli uomini ricordassero per sempre lo
straordinario evento del Dio che si era fatto uomo ed era nato dal
grembo della Vergine.
Chiara sognò forse di pregare sulla tomba di Francesco, di piangere e di
parlargli nell’estasi, ancora come una volta:
“Padre, verrò presto da te”.
“T’avevo detto, sorella, che ci saremmo rivisti”.
“FRA STEFANO E L’INSANIA”
Sor Benvenuta racconta:
“Essendo infirmata de insania un certo frate de l’Ordine delli Frati
Minori, lo quale se chiamava Frate Stephano, Sancto Francesco lo
mandò al Monastero di Sancto Damiano, ad ciò che Sancta Chiara
facesse sopra de lui lo segno della Croce”.
Arrivò un giorno trattenuto dai suoi confratelli. Aveva la barba irta, gli
occhi torbidi, sulle labbra una strana incosciente malvagità.
Chiara se lo fece portare avanti, e lo guardò. Trasfuse in quel volto
straziato dalla follia, tutta la dolcezza della sua santità.
Gli fece il segno della Croce. “Lo quale havendo facto, el frate dormì
uno pocho nel locho dove la Sancta Matre soleva orare. E da poi
resvegliato, mangiò un pocho et partisse liberato”.
Deve trattarsi di Fra Stefano da Narni, detto il semplice, per l’ingenuità
del suo spirito. Fu compagno di Francesco e soleva sempre, dopo la sua
morte, raccontare come il Santo fosse stato avverso alla familiarità delle
donne. Alla sola Chiara fu legato da affetto e da tenerezza umana e
divina. Mai la chiamò però per nome, ma solo le diceva “Cristiana”.
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“ I MIRACOLO DEI SARACENI”
Era il settembre del 1240. Un giorno di venerdì.
I Saraceni erano passati di sacco in sacco per tutti gli angoli del contado
di Assisi. Avevano smantellato i castelli, saccheggiato i villaggi,
assaltato i Monasteri. Ovunque e ogni volta li seguiva, in lontananza, il
fumo e il rosso degli incendi.
E giunsero attraverso gli olivi della collina, ai piedi del monte, anche al
Convento delle povere Dame.
Chiara era malata, immobilizzata sul letto.
Le suore sentirono i clamori tra gli oliveti e videro avvicinarsi la
masnada degli uomini che urlavano e che stavano scavalcando le mura,
per entrare nel chiostro.
Vedevano le armi, gli elmi brillare; i volti strani degli uomini : negri, con
pochi peli di barba, gli occhi di fuoco, i denti di neve aperti in un
bestiale sorriso.
Corsero spaurite, presso il letto della Santa.
Così ci racconta il miracolo Suor Francesca di Colle Mezzo:
“essendo li saraceni intrati nel chiostro del dicto monastero, epsa
madonna se fece menare per fine ad lo uscio del refectorio, et fece
portare innanzi una cassetta, dove era el santo sacramento del corpo del
nostro signore Jesu Cristo. Et gittandose prostrata in orazione in terra,
con lacrime oro’ , dicendo : - Signore, guarda tu, queste tuoi serve, pero’
che io non le posso guardare - allora s’audi’ una voce de meravigliosa
suavita’, la quale diceva :
“- io te defendero’, sempre mai “allora la predicta madonna oro’ anche per la cita’, dicendo:
“- Signore, piacciate defendere ancho questa cita’.- “e quella medesima
voce sono’ e disse:
“- la cita’ patera’ molti pericoli, ma sara’ defesa.
“et allora la madonna, se volto’ alle sore et disse a loro :
“- non voliate temere, pero’ che io sono ad voi recolta, che hora non
haverete alcuno male, ne’ hanco per lo advenire in altro tempo, perfine
che vorrete obedire alli comandamenti de dio “et allora li saraceni se partirono per tale modo, che non fecro alcuno
nocumento ne’ danno”.
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Il Convento ed Assisi, già tutta in armi sulle mura e sulle porte, furono
salvi.
“LA FUGA DI VITALE DI AVERSA”
Quest’altro miracolo, che i più confondono con quello dei Saraceni,
avvenne più tardi; circa otto mesi dopo.
Era il 22 giugno del 1241. Il Capitano di ventura, tale Vitale d’Aversa,
inviato dall’Imperatore Federico II, allora in urto con il Papa Innocenzo
IV, per ragione d’ambizioni e di predominio, assediava Assisi con un
poderoso esercito di circa ventimila uomini.
Bivaccavano davanti alla città, tra i campi di biade, dopo una lunga
marcia tra le gole degli Appennini, di saccheggio in saccheggio, di
incendio in incendio, per le contrade dell’Umbria.
Assisi aveva sbarrato loro le sue porte dopo aver raccolto quanti della
valle erano riusciti a scampare.
S’apprestavano alla difesa : lungo tutte le mura, sui bastoni, tra i merli
delle fortezze. La gente sbigottita attendeva la battaglia tappata nelle
case.
I balestrieri tendevano nervosamente gli archi, i soldati apparecchiavano
l’olio bollito.
Avrebbero attaccato, da un momento all’altro.
Ma nessuno si mosse.
Al Convento di San Damiano, le povere donne seppero dell’accaduto
dalle suore serviziali, che erano giunte affannate :
“I soldati assalgono Ascesi !”.
I contadini che riparavano al convento, dopo aver lasciato le loro case,
distrutte e saccheggiate, portavano sempre nuove notizie.
“Non hanno ancora attaccato, aspetteranno la notte”.
Suor Francesca, che era là, racconta ancora:
“Chiara chiamo’ le sore suoi et disse a loro:
- molti beni havemo ricevute da questa cita’ et impero’ devemo pregare
dio che epso la guarde -
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Unde comando’ che la matina, per tempo, venissero a lei. Et cosi’ le
sore, come loro era stato comandato, vennero la’ matina per tempo
denanti ad lei.
Et essendo venute, la predicta madonna se fece portare de la cenere, et
puse giu’ tucti li panni del capo suo et cosi’ fece fare ad tucte le altre
sore.
Et poi predendo la cenere, ne puse prima sopra lo capo suo, in grande
quantitade, che se lo haveva facto tondire novamente; et poi ne puse
sopra li capi de tucte le sore. Et facto questo, domando’ che tucte
andassero alla orazione nella cappella.
In tal modo fo facto, che nel seguente di’, la matina, se parti’ quello
esercito, essendo rocto et conquassato. In quello di’ de la orazione le
sore fecero abstinenzia degiunando in pane et aqua”.
Vitale d’Aversa, infatti, non avendo tempo per indugiare nell’assedio,
mandò degli ambasciatori a trattare la resa.
Gli assediati non vollero sentir ragioni. Si combattè. Dalle mura gli
Assisani facevano il vuoto fra le file degli assalitori.
Improvvisamente anche un violento temporale si abbatte
sull’accampamento delle truppe imperiali e lo distrusse.
Quelli spaventati, fuggirono allora disordinatamente per la collina.
E la città fu liberata. Le preghiere e la penitenza delle povere sorelle, il
miracolo di Chiara l’avevano salvata.
Per molti secoli, fino ad oggi, la città santa riconoscente scende nel
giorno del prodigio a rendere omaggio in San Damiano alla colomba
d’argento, a pregarla e a ringraziarla.
“SUOR ANDREA E LE SCROFOLE”
Suor Filippa ci racconta quest’altro miracolo.
“Sorella Andrea da Ferrara aveva le scrofole ne la gola”.
Una certa malattia, dolorosissima, che prende le ghiandole del collo.
“Madonna Chiara conobbe, per spiritu, che epsa era molto temptata de
volerne guarire”.
Una notte non resse più agli spasimi.
Le altre dormivano
tranquillamente; sentiva tutti i loro respiri.
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Le fistole, che umavano continuamente, le bruciavano e le prudevano.
Si girava e si rigirava sul pagliericcio
senza un attimo di solievo ; le sembrava di soffocare. Piangeva sotto le
coperte, silenziosamente, per non farsi sentire e per non svegliare le
altre.
Al colmo della disperazione, s’afferrà ad un tratto la gola con le mani.
“e si fortemente la strense, che perdette el parlare.questo conobbe la
sancta madre per spiritu”.
Chiara si svegliò allora, di soprassanto nella notte. Era già malata da un
pezzo,
“Filippa, Suor Filippa” chiamò.
Questa si levò mezza insonnolita.
“Si madre!”.
“- descende presto de socto, nel dormitorio, che sora andrea sta
inferma gravemente. Scardali uno ovo, et dalli a bere; et come havera’
rehauto lo parlare, menala ad me -.
Et cosi’ fu facto. Et ricercando epsa madonna, da sora andrea, que
havesse havuto o que havesse facto epsa suor andrea non li voleva dire.
Unde la Madonna li disse omne cosa per ordine, comi li’ era
intervenuto”.
“SANTA CHIARA E L’USCIO”
Il miracolo dell’ uscio, ce lo racconta Suor Cristiana.
“Essendo caschato uno uscio del monastero, lo quale era molto grieve,
addosso alla predicta madonna Chiara, una Sora chiamata sora
Angeluccia da Spoleto, chiamò forte, temendo che non la havesse
morta, imperò che epsa per se medesima non poteva levare, quello
uscio che tucto stava sopra epsa madonna”.
“- Venite sorelle, aiuto, aiuto! “Unte le altre Sore cursero. Anchora lo uscio li stava addosso”.
Doveva essere enorme. Le povere donne, provarono con tutte le loro
forze; ogni tanto aumentavano di numero. Qualcuna ne veniva dalla
chiesa, qualche altra dall’oratorio, alcune dalla porta.
Ma non riuscirono a sollevarla.
Chiamarono allora i frati elemosinieri del convento.
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“Era de tanta grandezza, che apena tra frati la poddero levare et
reponere nel loco suo”.
Le sorelle sollevarono Chiara.
“Sei ferita madre, dov’è che ti fa male?”.
“Vuoi che ti portiamo a letto?”.
Chiara scosse dolcemente la testa.
“Non m’ha fatto nessun male, figlie mie, m’è stato sopra come fusse
stato un mantello”.
Le Suore si guardarono l’un l’altra al colmo della meraviglia. Ma
nessuna aggiunse parola.
“I MIRACOLI DELLA PROFEZIA”
La predicta madonna Chiara haveva spiritu de prophezia, - narra Suor
Cecilia - però che mandando uno di Sancto Francesco, cinque donne
che fussero recevute nel monastero, Sancta Chiara se levò sù et
recevene quactro de loro, ma la quinta disse che non voleva ricevere,
perché non perseverava nel monastero se exiandio ce stesse tre anni.
Ma havendola poi, per la molto infortunità, recevuta, la predicta donna
apena ce stecte per mezzo anno.
Fo madonna Gaslia, figliola de Taccolo.
Et questo fo mentre che Sancto Francesco anchora viveva”.
Un altro testimone del processo, Messer Ugolino di Pietro Girardone,
cavaliere di Assisi racconta:
“Havendo lassata la donna chiamata Madonna Giudizia, et havendola
remandata de casa del padre et de la madre sua, et essendo stato per
tempo de vinte doi anni et più senza lei, e non potendo mai essere
inducto da persona che la volesse remenare et ricevere, benché più
volte ne fusse stato admonito, etiamdio da persone religiose; finalmente
li fo dicto per parte de la Sancta madonna Chiara come lei haveva
inteso in visione che la doveva presto ricevere et de lei generare uno
figliolo, del quale se doveva molto rallegrare et haverne consolazione.
Unde epso testimonio, udito questo li ricrebbe assai. Ma dopo pochi dì
fu constretto da tanta voluctà, che remenò et recevè la dicta sua donna
la quale tanto tempo innanzi, haveva lassato.
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Et poi de lei, come era stato veduto in visione da madonna Chiara,
generò uno figliolo, lo quale anche vive, et de epso molto se rallegra
havve grande consolazione”.
“IL LUPO DI MONTEGALLIANO”
La montagna di Galliano, tra Assisi e Valfabbrica, dissèminata di
fittissimi boschi, era in quei tempi infestata di lupi.
Una donna di là, una certa Bona de Montegalliano, aveva due figli. Uno
gliene avevano già rapito e divorato quelle bestie.
Un giorno, mentre era in casa intenta alle cure domestiche, e l’altro
bambino superstite passeggiava fuori, improvvisamente un lupo lo
addentò e se lo portò nel bosco.
I contadini, che erano nelle vigne, tra i campi, al lavoro, sentirono le
grida. Tornarono allora alla cascina, con le zappe sulle spalle e
domandarono alla donna:
“Guarda un pò se c’è tuo figlio?”.
Ella lo cercò, ma invano. Si disperò perché temeva; poi seppe
dell’accaduto e, al colmo del dolore, comincio ad invocare la vergine
Chiara.
“Santa e gloriosa Chiara; - diceva - dolce colomba della purezza,
ridammi il mio povero figlio!
Rendi ad una madre infelice il suo bimbetto.
Aiutami, o io mi getterò nelle acque del torrente”.
La gente armata di bastoni e di forche inseguì il lupo nel bosco.
Camminarono un poco tra gli alberi; avanzavano cautamente sperando
di vederselo sbucare da un momento all’altro da dietro un albero o una
siepe.
In una raduna, proprio nel cuore della foresta, trovarono il bimbo, vivo,
adagiato su di un verde praticello. Accanto, un cane lo stava leccando e
curando amorosamente.
Videro le tracce dei denti del lupo sul collo e sulle reni, ma il bimbo era
incolume.
Lo riportarono da sua madre; impazzita di gioia ella gridò al miracolo.
Chiara aveva salvato il suo bimbo.
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“I MIRACOLI AL SEPOLCRO”
Giovanni di Ventura, che era stato famiglio della casa paterna di Santa
Chiara racconta quest’altro miracolo:
“Un furioso ultramontano, ovvero indemoniato, legato con le funi fu
menato al sepolcro de madonna Chiara et in quello locho fo liberato”.
Si tratta del giovane paggio Francigena, di cui parla la leggenda, che era
in quei tempi con la corte pontificia in Assisi, tra il dodici agosto e il
quattro ottobre del 1253.
“Tucti quelli de la piazza el videro, et cursero insieme con lui al
sepolchro de la predicta madonna Sancta Chiara”.
Furono spettatori dello straordinaria miracolo.
Nella bolla di canonizzazione si legge:
“Dopo che ella morì, fu condotto al suo sepolcro un tale che era affetto
da malcaduto, e per avere le gambe rattrapite, gli era impossibile
camminare: quì poichè le gambe gli si stesero conun secco schiocco, fu
guarito dall’una e dall’altra infermità.
Molti, che andava piegati nelle reni o che erano vittime della follia o di
terribili accessi di demenza, riacquistarono la perfetta sanità. Uno che
per una grave percossa aveva perduto l’uso della mano destra, per
modo che, resa inutile non poteva più adoprarla, riacquistò la sanità per
merito della Santa”.
“IL CIECO DI NARNI”
Si racconta anche di un medico, un certo Iacobello cieco da più di
dodici anni. Non poteva fare un solo passo senza guida.
Una notte, mentre dormiva sotto il ponte di Narni, ebbe una visione.
Vide una donna meravigliosamente bella.
“Iacobello tu soffri! - disse - perché non vieni da me in Assisi? Io ti
libererò”.
L’indomani parlò del sogno ad altri ciechi, che erano con lui.
“Ma questa - gli dissero - è la Vergine di Assisi al cui sepolcro
avvengono ogni giorno tanti miracoli”.
Iacobello partì, solo. Sentiva sulla strada polverosa, il sole battergli
contro il viso e sulle occhiaie spente. La notte lo sorprese a Spoleto,
trovò ospitalità e si fermò.
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La mattina dopo, riprese il cammino per Assisi. Giunse stanchissimo.
La città era gremita di pellegrini arrivati da tutte le parti. Andò alla
chiesetta della Santa; entrava dalle porte spalancate un’immensa folla e
non riuscì a penetrare nella tomba. La marea lo respingeva. Non
poteva nelle sue condizioni; sarebbe rimasto soffocato nella calca.
Si sedette in un angolo. Gli veniva da piangere.
La gente continuava a passargli avanti, sentiva il rumore dei passi,
l’odore delle vesti, le voci. Uomini donne che tenevano per mano
bambini, infermi trasportati sulle spalle. Zoppi che speravano di poter
camminare, sordi di udire, tanti altri ciechi come lui che sognavano la
luce. Venne la sera e la piazza si illuminò improvvisamente di torce. La
folla sembrò azzittire per un attimo.
Incominciarono a pregare sommessamente:
“Ave Maria, gratia plena.....”.
Iacobello appoggiò la testa su di una pietra e lo colse il sonno.
Ancora una voce misteriosa:
“Se potrai entrare il Signore ti beneficherà grandemente”.
Si svegliò e incominciò tra le lacrime a pregare la folla.
“Fatemi passare, sono cieco io!”.
Qualcuno si scostò.
“Per pietà, per amore di Dio - continuava il povero mendico - che io
giunga al sepolcro, e riavrò la luce”.
Giunto che fu alla tomba si inginocchiò.
Aveva le vesti lacere e sporche e s’era cinto il collo di una correggia.
Poi la voce misteriosa gli sussurrò:
“Alzati, Iacobello poiché tu vedi”.
E vide. Vide nella penombra i volti della gente, l’interminabile marea,
le candele e le immagini. Scoppiò in un pianto dirotto. La folla pianse
con lui.
Così per secoli, ogni giorno un miracolo alla tomba della Colomba
d’argento.
I pellegrini devoti cantarono alla Vergine, l’inno della gloria e della
purezza.
Cantano ancora nelle primavere della città dello spirito dove salgono
scale e strade in cielo:
66
SANTA CHIARA, NOVA STELLA,
SPOSA A CRISTO MOLTO BELLA,
NOSTRO ESEMPIO E LUCE E VIA.
SANTA CHIARA, NOVA STELLA,
ALTA VERGINE PULSELLA,
DI ROSAI’ ROSA NOVELLA
CHE PER TUTTO IL MONDO AULI’A.
CRISTO IN TUA GIOVENTUTE
OPER’ GRANDE SALUTE,
CONFERMANDO LA VIRTUTE
DEL GIGLIO CHE’ N TE FIORI’A
STANDO FANTE DELICATA,
TRA LE SPINE ROSA NATA.
A CRISTO FUSTI DESPONSATA
DA CUI ‘L TUO AMOR VENI’A
SANTA CHIARA, NOVA STELLA,
SPOSA A CRISTO MOLTO BELLA,
NOSTRO ESEMPIO E LUCE E VIA.
IMMAGINE DEL CIECO INGINOCCHIATO,
CON LE BRACCIA IN ALTO RINGRAZIANDO
PER IL MIRACOLO ACCADUTO.
DIETRO SI VEDONO LE PERSONE CHE GUARDANO
67
Sommario
DIES NATALIS ............................................................................................. 5
Sorella Chiara ............................................................................................... 5
BEATI QUELLI CHE SOSTERRANNO IN PACE,
CHE DA TE ALTISSIMO
SARANNO INCORONATI. ....................................................................... 7
La visita del papa......................................................................................... 7
“La curte celestiale” .................................................................................... 9
Santa Chiara portata in braccio da un angelo al cielo nell momento
della morte ................................................................................................. 10
LA GLORIFICAZIONE ............................................................................ 12
Il pianto ...................................................................................................... 12
La lettera di Agnese .................................................................................. 14
La canonizzazione .................................................................................... 16
“MADONNA CHIARA FO SEMPRE DA TUCTI TENUTA
VERGINE PURISSIMA”. .......................................................................... 18
La verginità ................................................................................................ 18
“Lo grande lume” ..................................................................................... 18
“Volse permanere in verginità” .............................................................. 20
“Fu tondita nella chiesa di santa maria della porziuncola” ................ 22
“prese li panni dell’altare”........................................................................ 24
La crociata della purezza.......................................................................... 26
“FU DE MERAVIGLIOSA HUMILTA’ E TANTOA
DEPREZZAVA SE MEDESIMA CHE QUELLE OPERE LE
QUALI ERANO PIU’ VILI, FACEVA EPSA” ..................................... 28
La mortificazione ...................................................................................... 28
“Humiltà”................................................................................................... 28
68
La serviziale................................................................................................ 30
“Il castigo della carne” ............................................................................. 31
La preghiera ............................................................................................... 32
“TUCTA ERA ACCESA DE CHARITADE ET AMAVA LE
SUORE SUE CO ME SE MEDESIMA” ................................................ 34
A m o r e .................................................................................................... 34
“El mammolo Jesu” ................................................................................. 34
Pianto dell’agonia ...................................................................................... 35
Il desiderio del martirio............................................................................ 35
Il discorso della Pasqua ............................................................................ 36
L’amore per il prossimo ........................................................................... 37
I prediletti ................................................................................................... 38
L’albero....................................................................................................... 39
Il pianto delle povere donne ................................................................... 42
“La gactuccia” ........................................................................................... 43
Le lodi del creato ...................................................................................... 45
NON PODDE ESSERE MAI INDUCTA CHE VOLESSE
ALCUNA COSA PROPRIA, NÈ RICEVERE POSSESSIONE, NÈ
PER LEI, NÈ LO MONASTERO” ......................................................... 48
Sora povertà ............................................................................................... 48
I pani rotti .................................................................................................. 48
La veste ....................................................................................................... 50
“Tutto quello de epsa heredita’, lo distribui’ a li poveri”.................... 51
“El previlegio de la poverta’“.................................................................. 51
“Non volse alcuna cosa propria” ........................................................... 52
“IO TE DEFENDERÒ, SEMPRE MAI”............................................... 55
I miracoli .................................................................................................... 55
Il miracolo delle croci............................................................................... 55
69
Il miracolo dell’olio................................................................................... 55
I mammoli.................................................................................................. 56
“La meravigliosa refezione” .................................................................... 57
“Il miracolo della visione” ....................................................................... 57
“Fra stefano e l’insania” ........................................................................... 58
“I miracolo dei saraceni” ......................................................................... 59
“La fuga di vitale di aversa” .................................................................... 60
“Suor Andrea e le scrofole” .................................................................... 61
“Santa Chiara e l’uscio” ........................................................................... 62
“I miracoli della profezia” ....................................................................... 63
“Il lupo di Montegalliano” ...................................................................... 64
“I miracoli al sepolcro” ............................................................................ 65
“Il cieco di Narni” .................................................................................... 65
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Piero Mirti, Santa Chiara nel racconto delle sorelle