Rocco Lico:
PROGETTO S.E.T.I.
Searching for ExtraTerrestrial Intelligence
Siamo soli nell’Universo?
E’ proprio per rispondere ad
una delle domande più
antiche dell’umanità, che
nasce il progetto S.E.T.I.,
acronimo di Searching for
ExtraTerrestrial Intelligence,
e lo fa scandagliando da più
di 40 anni il cielo in banda
radio alla ricerca di segnali di
tipo artificiale.
Di cosa si tratta?
Il SETI in sé e per sé non rappresenta un progetto preciso: è l’insieme di tutti gli
esperimenti volti alla ricerca di segnali da parte di forme di vita extraterrestre
intelligenti.
Si tratta di un obiettivo molto ambizioso e difficile, considerando che in
linea di principio bisognerebbe scandagliare l'intero cielo e soprattutto
sintonizzare il ricevitore sulla giusta frequenza, vale a dire che per ogni
punto del cielo bisognerebbe captare tutte le possibili frequenze che
arrivano al ricevitore.
Bisogna quindi fare delle assunzioni "ragionevoli" per restringere il
campo di ricerca, ma non abbiamo modo di sapere se tali semplificazioni
siano corrette oppure no.
Ma cosa cerchiamo di preciso…
Il vero problema è che non si sa di preciso che tipo di segnale cercare, non si ha
idea di come un segnale alieno possa essere modulato o di come i dati siano
codificati. Risulta plausibile dunque cercare segnali a banda stretta molto più
forti del rumore di fondo a intensità costante, e se magari mostrano uno schema
regolare e complesso di impulsi è più probabile che siano di origine artificiale.
I segnali artificiali sono riconoscibili da quelli
naturali per la maggior collimazione. I segnali
naturali più collimati che si conoscono, infatti,
sono i maser interstellari che hanno
un’ampiezza del centinaio di Hertz.
Per questo si usa uno spettrometro
multicanale in grado di scomporre il segnale
in intervalli piccolissimi in frequenza, con
ampiezze dell’ordine dell’Hertz.
Fig.1: Allen Telescope Array (Calaifornia).
La portante
Inoltre la decodifica richiederebbe tempi estremamente lunghi di
osservazione, che il SETI non ha a disposizione (immaginate,
infatti, di campionare il segnale della vostra televisione 1 volta ogni
minuto: sarebbe pressoché impossibile riconoscere un programma
o anche distinguere che si tratti di una trasmissione e non di
rumore e basta).
In una trasmissione radio la maggior parte dell’energia è concentrata nella
portante: un segnale quasi monocromatico che funziona come canale di
trasmissione. Il messaggio che si vuole trasmettere è contenuto nella
modulazione della portante, che è estremamente più debole e molto più
dispersa in frequenza. Il SETI mira a rivelare le portanti e non a codificare i
messaggi eventualmente contenuti in esse. Questo perché la portante, avendo
la gran parte dell’energia dell’onda, è molto più facile da rivelare;
Il metodo FUDD
Esiste un metodo che effettua l’eliminazione dei falsi allarmi: il
FUDD (Follow Up Detection Device), cioè l’osservazione
simultanea con due antenne poste a un centinaio di km di
distanza.
In questo modo, infatti, si sfrutta l’effetto Doppler che il segnale ha per via del
moto della sorgente rispetto alla Terra, e del moto della Terra attorno al proprio
asse. Trovandosi le due antenne in luoghi diversi, e quindi soggette a Doppler
diversi, il segnale deve essere leggermente diverso tra le due (di qualche decina
di Hz), altrimenti viene eliminato.
Individuati i candidati, dopo un’analisi più approfondita, si punta la
sorgente e la si muove fuori e dentro il campo di vista, in maniera
da verificare se il segnale è di origine terrestre; se infatti il segnale
resta costante, è di origine terrestre; se invece il segnale scompare
ogni qual volta ci si allontana dalla sorgente, significa che si è
trovato qualcosa di molto interessante.
Ovviamente, per segnali di natura non ben definita, la spiegazione
che siano di origine aliena è solo una delle possibili; infatti
potrebbero benissimo essere fluttuazioni del rumore degli
strumenti o la modulazione da parte del mezzo interstellare di
segnali di sorgenti radio naturali remote.
Fig.2: Segnale registrato dalla Sonda spaziale Cassini in orbita vicino Saturno.
Si gettano le basi della ricerca
L’idea nacque quando nel 1959 Cocconi e Morrison pubblicarono
un articolo sulla rivista Nature, sulla potenzialità delle onde radio
per la comunicazione interstellare, e dunque la possibilità di
comunicare via radio con intelligenze extraterrestri.
Sostenevano che le frequenze più adatte fossero quelle comprese
tra 1 e 10 GHz, per i seguenti motivi:
Sotto 1 GHz le sorgenti radio sono coperte dalla radiazione di
sincrotrone, emessa dagli elettroni relativistici nei campi magnetici
nelle galassie.
Sopra 10 GHz interferisce con la ricezione del segnale il
rumore prodotto nell’atmosfera dalle molecole di acqua e dagli
atomi di ossigeno.
La riga 21 cm
Cocconi e Morison segnalarono come particolarmente interessante
la frequenza di 1,420 GHz che corrisponde all’emissione
spontanea di radiazione da parte degli atomi di idrogeno neutro
interstellare (meglio nota come riga 21 cm della transizione
iperfina), elemento predominante in tutte le galassie.
Questa regione dello spettro è
particolarmente favorevole poichè sono
ridotti al minimo sia il naturale rumore di
fondo della Galassia, sia l’assorbimento
dell’atmosfera terrestre.
Un’ eventuale civiltà extraterrestre
avrebbe molto probabilmente
scelto questa frequenza per
inviare intenzionalmente segnali
radio.
Il primo progetto S.E.T.I.
Fu il radioastronomo Frank Drake, che
nel marzo 1959, con il patrocinio del
neo direttore del centro di Green Bank
in Virginia, Otto Struve, iniziò
ufficialmente la ricerca attiva di
intelligenze extraterrestri, che
all’epoca prese il nome di “progetto
OZMA” dal racconto fantastico del
"MAgo di OZ".
Fig.3: Frank Drake.
Fu utilizzato un radiotelescopio di 25 m
di diametro e un ricevitore monocanale
con banda di 100 Hz.
L’inizio e la fine di OZMA…
Inizialmente si cercarono segnali nelle regioni in prossimità di due
stelle molto simili al nostro Sole, Tau Ceti (fig.4) ed Epsilon Eridani
(fig.5), entrambe a circa 11 anni luce da noi.
fig.4: Costellazione della Balena.
fig.5: Costellazione di Eridano.
Entrambe le ricerche, per un complessivo di 150 ore di ascolto, diedero risultato
negativo. Nel Luglio 1960 il progetto OZMA venne cancellato.
Un po’ di storia…
Nel 1964-65 i russi Kardashev e Shiolomizkij ripresero il lavoro, osservando
per 80 ore, con una batteria di 8 antenne, due quasar e notando un radiospettro
anomalo che, come si saprà da successivi riscontri dell’osservatorio di monte
Palomar, proveniva da regioni troppo remote perché potesse essere un segnale
di origine artificiale.
Nel 1971, interviene per la prima volta la Nasa finanziando il cosiddetto
”Progetto Ciclope”, che prevedeva la costruzione di un radiotelescopio di 1.500
antenne, ma l’idea fu presto abbandonata a causa dell’eccessivo costo
dell’operazione.
Nel 1979 l’Università di Berkeley dà inizio al progetti SETI noto come
SERENDIP (Search for Extraterrestrial Radio Emission from Nearby Developed
Intelligent Population, ma pure abbreviazione del termine “serendipity” che
significa casuale, inaspettato.), che si protrarrà fino ai giorni nostri, nell’attuale
quarta generazione. Si serve del secondo ricevitore del grande radiotelescopio
di Arecibo, di 305 metri di diametro e 174 milioni di canali simultanei, che è lo
strumento più sensibile al modo.
Nel 1985, sulla scia di SERENDIP, ha inizio il progetto META (Million Channel
Extraterrestrial Array), finanziato dalla Planetary Society, con un analizzatore di spettro
con una capacità di 8 milioni di canali, ciascuno con risoluzione di 0.5 Hz.
Il progetto META ebbe un seguito che prese il nome di progetto BETA
(Billion Channel Extraterrestrial Array). Si scandagliano ora 250 milioni di canali con
ampiezza di 0,5 Hz.
Per entrambi i progetti si è fatto uso del telescopio di 24 metri della stazione di
Agassiz, e di uno dei radiotelescopi di 30 m della stazione di Cordoba in
Argentina, rispettivamente nell’emisfero Boreale e Australe.
Si cominciò anche a pensare
all’ambizioso progetto ATA (Allen
Telescope Array (Fig 6)), che prevede
l’allineamento di circa 350 piatti radio
gregorian, ciascuno di 6,1 m di diametro.
Nell’ottobre del 2007 è entrato in
funzione il primo segmento del progetto.
Fig.6: Allen Telescope Array (Calaifornia).
Entra in gioco la NASA
Anche la NASA verso la fine degli anni 70 torna in gioco, e costituisce un
progetto per la ricerca di segnali radio, chiamato High Resolution
Microwave Survey (HRMS), con quartier generale all’Ames in California.
Sono state usate le antenne della rete per
lo spazio profondo (il Deep Space
Network, DSN (fig.7)), già adoperate per le
missioni interplanetarie.
La ricerca ad ampio raggio nella finestra
microonde fu affidata al Jet Propulsion
Laboratory di Pasadena, che adoperò
l’antenna da 32 metri del DSN. Il centro di
Ames si sarebbe invece dedicato alla
ricerca più dettagliata per segnali deboli
da regioni entro 100 anni luce da noi.
Fig.7: Deep Space Network
All’interno di questo stesso progetto, che comprendeva anche la ricerca
di segnali tra i 1000-3000 MHz provenienti da ammassi globulari e
galassie vicine, furono adoperati il radiotelescopio da 350 m di Arecibo
(fig. 8 nella pagina successiva), il 64 m di Parkes in Australia e il 42 m in
West Virginia.
Le osservazioni iniziarono il 12 Ottobre 1992 e terminarono in
Ottobre dell’anno seguente, per lo stop alla richiesta di fondi da
parte del governo degli Stati Uniti, con la giustificazione “Che cosa
interessa a noi degli omini verdi?” (il programma SETI occupava solo l’
1/1000 del bilancio della intera NASA).
Fig.8: Il radiotelescopio di Arecibo (Puerto Rico).
Il progetto PHOENIX
Ma ci fu chi non perse la speranza, e così poco tempo dopo, febbraio 1995,
il SETI rinacque dalle proprie ceneri con il progetto denominato proprio
PHOENIX (il nome deriva dal mito dell fenice risorta dalle proprie ceneri).
Questa volta però i finanziamenti vennero quasi interamente da enti privati,
per lo più da industrie Hi-tech della Silicon Valley in California e da donazioni
di privati cittadini.
Per le prime osservazioni fu utilizzato il più
grande radiotelescopio dell'emisfero australe, il
radiotelescopio Parkes (Australia).
In pratica vengono monitorati segnali radio su una
banda di 1 Hz tra i 1000 e 3000 MHz, provenienti
da circa 800 stelle di tipo solare contenute in
raggio di circa 200 anni luce.
Si usano ancora una volta rivelatori radio multicanale, ereditati dal progetto
NASA, che consentono di osservare simultaneamente per 28 milioni di canali,
ognuno con ampiezza di pochi Hertz.
Il progetto PHOENIX
PHOENIX, affidato a Jill Tarter, ex principale ricercatrice dell’ente americano,
persegue gli stessi obbiettivi del vecchio progetto, che la stessa Tarter riassume
in:
1 - Ricercare segnali artificiali aventi larghezza di banda molto stretta,
polarizzati, sia continui che ad impulsi;
2 - Scandagliare la finestra delle microonde da 1000 a 3000 Mhz;
3 - avere accesso ai più grandi radiotelescopi del mondo;
4 - Tenere sotto controllo ogni segnale per almeno 300 sec;
5 - Analizzare almeno 1000 stelle di tipo solare;
6 - Essere altamente automatizzato, in modo da non richiedere la presenza di
operatori e aumentando in tal modo la qualità e l’uniformità della ricerca.
La grossa novità introdotta era il controllo, da parte di una seconda
antenna posizionata a un centinaio di km dalla principale, di eventuali
segnali anomali ricevuti dalla prima antenna in tempo reale, inoltre si
iniziò a scandagliare anche il cielo sud, ancora inesplorato.
Nel marzo 2004 fu ufficialmente annunciato che la ricerca condotta
sulle 800 stelle della lista non ha riportato nessun tipo di segnale a
che possa essere ritenuto di origine extraterrestre.
Fig.9: Radiotelescopio di Parkes nel Nuovo Galles del Sud (Australia)
Ma per quanto il SETI non abbia mai avuto veri e propri successi, bisogna
registrare l’esistenza di un segnale di natura non ancora identificata, il
cosiddetto “WOW signal”, chiamato così proprio per l’esclamazione di sorpresa
dell’astronomo che lo scoprì. Fu registrato all’Ohio State University il 15 Agosto
1977 alle 23 e 16 locali dal radiotelescopio “Big Hear” in assenza di operatore.
Era un segnale a banda
molto stretta e di
particolare potenza, alla
frequenza tipica
dell’idrogeno neutro, 1420
MHz, con larghezza di
banda di 10KHz, la cui
intensità superava di 30
volte il fondo e della durata
di 3 minuti. La direzione
del segnale era RA=19h
22m 25s, DE=-27° 3’, nel
Sagittario.
A distanza ormai di 30 anni questo segnale non si è ancora
ripresentato e tuttora il caso è dibattuto.
Il SETI in Italia
Il progetto SERENDIP è molto attivo anche in Italia alla stazione
radio di Medicina (BO), dove ci sono due diversi radiotelescopi, la
Croce del Nord (fig. 10) e l’antenna da 32 m (fig. 11) (che fa parte del
VLBI con la gemella a Noto in Sicilia).
Fig.10: Croce del nord (Medicina, BO).
Fig.11: L’antenna di 32 m di Medicina.
SERENDIP IV
Abbinato all’antenna da 32 m c’è un analizzatore multicanale in grado di gestire 4 milioni
di canali per volta, del tipo SERENDIP IV. In questo caso non c’è un vero e proprio
progetto di osservazione in atto, si tratta semplicemente di lavorare in parallelo con le
osservazioni che in quel momento sono effettuate al telescopio da altri ricercatori, così da
non richiedere alcun tempo di concessione dell’antenna. Ciò garantisce la possibilità di
osservare 24 ore su 24, ma, per contro, non permette di scegliere il campione da
analizzare.
Il SERENDIP IV (costruito alla
Berkeley) (fig.12) è in grado di
analizzare 4 milioni di canali in
1.7 sec; ogni canale ha una
larghezza di 0.625 Hz visto che
la banda passante è 2.5 MHz; si
spera, con l’aggiunta di nuove
schede, di arrivare anche a 12.5
MHz di banda passante e 20
milioni di canali analizzabili.
Fig.12: SERENDIP IV.
Questo tipo di strumento ha applicazioni non solo per il SETI, ma anche
per rivelare l’eco di asteroidi (come è stato fatto per NEO 1998WT24),
oppure con sonde spaziali come la Cassini, per la cui rivelazione ha
lavorato nel 2002.
Un altro strumento utilizzato a
Medicina è MSPEC0, uno
spettrometro digitale che viene
adoperato non solo per il SETI ma
anche per applicazioni diverse,
come la rivelazione, nel 1994, della
riga di emissione dell’acqua nel
punto di impatto della
Schoemacher Levy 9.
Fig.13: SERENDIP IV.
Nel maggio 1999 L’università di Berkeley dà inizio al progetto
Seti@home. Si tratta di un programma, che grazie a uno speciale
algoritmo, rileva segnali radio 10 volte più deboli di quelli rilevabili
in tempo reale dal radiotelescopio di Arecibo (che con un diametro
di 305 m è l’antenna più grande attualmente esistente).
Si tratta di un algoritmo che nessun altro dei progetti seti utilizza, per la
mancanza di potenza di calcolo. Per questo motivo serve la collaborazione di
migliaia di persone che mettano a disposizione i loro computer per analizzare
spezzoni di dati provenienti da Arecibo, acquisiti via internet (si tratta di workunit
da 350 Kb raccolti da SERENDIP IV SETI) che dopo l’elaborazione vengono
restituiti e uniti agli altri dati già elaborati.
Nel 2004 si ha la seconda edizione con il SETI@home II, che si appoggia su un
nuovo programma BOINC (Berkeley Open Infrastructure for Network
Computing), grazie al quale si possono svolgere in parallelo progetti analoghi e
nello stesso tempo viene migliorata l'efficienza di calcolo.
Chiunque può essere
coinvolto al SETI@home
semplicemente scaricando il
software. Attualmente
Partecipano al progetto oltre
5 milioni di persone di diverse
nazioni, che hanno già dato
un contributo significativo alla
ricerca.
Fig.14: SETI@home versione 3.08.
Le osservazioni ottiche: OSETI
Sebbene molti elementi ci inducono a concentrare gli esperimenti seti nella
banda radio, alcuni ricercatori hanno considerato la possibilità di comunicare a
distanze interstellari per mezzo di potenti laser in banda ottica.
Il Primo a prendere sul serio la cosa nel 1983 fu Charles Townes, uno degli
inventori del laser. Ma il vero problema di questo tipo di osservazioni è l’alta
direzionalità dei laser. Cioè noi potremmo osservarlo solo se “casualmente” ci
trovassimo ad attraversarlo, inoltre un raggio siffatto potrebbe benissimo essere
bloccato da una nube di gas interstellare.
Alcuni studi teorici mostrano che se l’emissione del laser non segue la legge
dell’inverso del quadrato, come la luce emessa dalle stelle, apparirebbe
enormemente più luminosa del Sole.
Attualmente i ricercartori del SETI non escludono questa strada, ed è in corso la
costruzione di un dispositivo ottico di 1,8 m, all’Oak Ridge Observatory ad
Harvard (Massachuttes).
PROGETTO C.E.T.I.
Accanto al’interesse per la ricerca SETI, bisogna considerare
l’eventualità di dover comunicare attivamente con intelligenze
aliene, e il progetto CETI (Communication with Exterrestrial
Intelligence) si occupa proprio di questo, proponendo che i
messaggi debbano essere basati su matematica e scienza.
Lo scienziato Douglas Vakoch dice che la scienza e la matematica potrebbero
rappresentare una specie di Stele di Rosetta del cosmo, una sorta di linguaggio
universale. Un’ ipotetica civiltà che ha sviluppato tecnologie tali da poter inviare
messaggi nello spazio interstellare, deve necessariamente avere i concetti di
base dello spazio-tempo, dei segnali elettromagnetici e di un qualche tipo di
matematica.
Quale tipo di matematica?
Il problema è capire che tipo di matematica usare!
L’ esperto di intelligenze artificiali Marvin Minsk, basandosi sul presupposto che
tali civiltà che debbano conoscere necessariamente l’aritmetica di base, ha
proposto che, invece di messaggi complessi, si potrebbero inviare programmi
per computer che illustrassero la base di questi messaggi, come per esempio la
successione di Fibonacci: 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, ..., che si ottiene sommando i 2
termini precedenti (1+1=2, 2+1=3, 3+2=5, 5+3=8, ...). Cioè inserendo nel
messaggio sia l’algoritmo, sia il risultato, renderemmo comprensibile parte della
nostra matematica;
Lo psicologo Louis Narens evidenzia l’eventualità che l’aritmetica
possa essere simile alla nostra, ma non il concetto di numeri
naturali.
Cosa comunicare?
La seconda parte del problema, relativa a quanto comunicare di noi, è nata nel
momento in cui ci furono critiche al fatto che il messaggio sulle Voyager
riportasse solo cose positive sull’umanità .
Se ci trovassimo a dover
comunicare con intelligenze aliene,
dunque, sarebbe giusto mentire
facendoci sembrare una civiltà
pacifica socialmente evoluta che ha
risolto tutti i suoi problemi o
dovremmo comunicare anche i
molteplici lati oscuri dell’umanità con
il rischio che, conoscendoci bene,
ET faccia dietrofront per non farsi
mai più sentire?
Fig.15: Il Voyager Golden Record .
In conclusione…
Il SETI non ha mai avuto dei successi fino ad ora ma, come dice Montebugnoli,
direttore del SETI a Medicina, “nel caso non si rivelasse nulla, l’assenza
dell’evidenza non significherebbe comunque l’evidenza dell’assenza”.
Il futuro obiettivo del SETI è però ben più ambizioso: avere un proprio
radiotelescopio e non doversi appoggiare ad altri. In questo senso Frank Drake
parla di progetti su radiotelescopi particolari, come ad esempio un’insieme di
antenne molto piccole sul tipo dei ricevitori satellitari, poco costose e che
darebbero all’apparato una grande flessibilità, in grado di raggiungere aree di
raccolta dell’ordine di quella di Arecibo, ma con costi infinitamente inferiori.
Bibliografia
http://www.wikipedia.org/
http://setiathome.ssl.berkeley.edu/
http://www.seti-italia.cnr.it/
http://www.med.ira.inaf.it/
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