INTERVISTA
Gli italiani:
nonostante tutto,
felici
Enrico Finzi è uno dei più noti ricercatori sociali e tra l’altro ha avuto spesso occasione di collaborare con Manageritalia, realizzando ricerche e interventi molto apprezzati. È appena uscito nelle librerie un suo libro, che sorprende sin dal titolo: Come siamo felici. Gli abbiamo posto alcune domande
a cura di Enrico Pedretti
Tutti dicono che gli italiani sono
depressi, più poveri, stufi della
politica e delle troppe cose che
non vanno. Come fa allora a dire che sono, anzi, siamo felici?
I due fenomeni sono entrambi veri.
Da un lato circa il 70% dei nostri
connazionali si lamenta dei trend in
atto, della decadenza del paese,
dell’incertezza delle prospettive per
sé e per i propri cari. Io stesso, anche all’ultimo congresso di Manageritalia a Milano, ho ricordato tale
sentiment non positivo. Dall’altro
lato, però, in questo paese ben il
39% degli ultra 14enni si dichiara
molto felice, con un altro 20% che
lo è abbastanza o a volte.
Com’è possibile questa contraddizione?
Deriva dalla straordinaria capacità
del nostro popolo di saper essere felice anche quando le cose intorno
vanno male o malissimo. Infatti,
sin dal basso Medioevo abbiamo
sviluppato un’eccezionale abilità
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Enrico Finzi, sociologo e presidente di
Astra Ricerche.
nell’ambito della felicità privata: le
massime sources of happiness sono
da noi i figli, i nipoti, la famiglia, la
casa, gli amici, la micro-comunità di
appartenenza o di riferimento, la
generosità specifica.
C’è una differenza rispetto agli
altri paesi avanzati?
Sì, le ricerche mostrano diverse disparità. In negativo non leghiamo
la felicità all’etica pubblica, alla cul-
tura civica e al senso di responsabilità sociale. In positivo la connettiamo all’estroversione relazionale, alla cordialità, alla capacità di
condividere molti piccoli piaceri
della vita. In effetti, malgrado gli
auspici di molti di noi, l’analisi
dell’Italia dal punto di vista delle
culture della felicità mostra che il
paese, nel suo profondo, rimane
molto legato alla tradizione mediterranea, con un forte influsso della cultura cristiana. A conferma, il
tentativo di accrescere i propri
consumi oltre il livello medio da
noi non garantisce affatto un “di
più” di felicità, mentre la tensione
produttivistica di stampo angloamericano fa fatica ad affermarsi
presso oltre sei adulti su dieci.
Ha parlato di culture della felicità al plurale…
Certo, poiché le indagini sociali di
cui riferisco nel libro mostrano che
l’Italia è bella perché è varia anche
da questo punto di vista: c’è chi reputa che l’infelicità sia inesistente o
irraggiungibile, chi si affida passivamente alla fortuna, chi la identifica con la serenità priva di preoccupazioni (magari dopo esperienze
durissime), chi (è un’esigua mino-
po i piaceri della vita, dal momento
che gli appagati ci dicono che la felicità sta nell’“abbastanza” e nel “meno ma meglio”, insomma nel non
dannarsi per salire in alto, sempre
più in alto. Terzo: ricordare che la felicità deriva anche dai doveri (specie
quelli autoimpostisi) e dall’esercizio
della responsabilità, anche se è troppo poco praticato dagli italiani.
Quarto: partecipare alla vita di Manageritalia: puro servilismo, diranno
i lettori, avendo quasi totalmente ragione (ma non proprio totalmente,
poiché la vita associativa – se intensa – serve non solo a tutelare i propri
interessi ma anche a migliorare il bilancio della qualità vera della vita).
Grazie, Finzi, anche per il pistolotto
finale. Per “farla felice” le dirò che il
libro è veramente interessante e ricco di dati!
ranza poco appagata) la fa coincidere con l’eccitazione, chi (è la maggioranza) non crede a una vita integralmente realizzata ma sperimenta e cerca momenti di intensa beatitudine, chi infine ha un’idea “alta”
della felicità personale come frutto
dell’impegno continuo nel realizzare i propri valori (laddove conta non
il raggiungimento degli obiettivi ma
lo sforzo di conseguirli: il viaggio,
più che la destinazione).
E il lavoro?
È un potente happiness maker quasi
solo se è dotato di senso, serio, autorealizzativo, svolto in un “clima” gradevole e nell’ambito di un vero gioco
di squadra. Altrimenti, o è indifferente oppure – più spesso – è matrice d’insoddisfazione esistenziale.
I dirigenti sono più o meno felici della media?
I dati di cui dispongo riguardano i
manager sia pubblici sia privati, senza adeguate distinzioni. In generale,
sempre considerando le cose da un
punto di vista statistico, sono un po’
più appagati della media. Sono elementi positivi il tenore di vita medio/medio-alto, il livello di cultura e
di preparazione professionale (con-
trariamente a quel che molti credono la cultura tende a rendere felici),
la sensazione di utilità sociale, la
possibilità – se ben utilizzata – di interagire riccamente con altri, mettendo in campo skill sia razionali sia
emozionali. I rischi e i fattori depressivi consistono principalmente
nello stress e nella carenza di tempo,
nella frequente monodimensionalità della vita, nell’incertezza tipica di
chi ha responsabilità (ma può essere
diminuita da una filosofia positiva
del vivere).
Che consigli si sente di dare ai
nostri associati?
Nessuno. Come siamo felici è stato
scritto da me non come un manualetto per raggiungere la felicità terrena. Posso cavarmela, da buon venditore di matrice giudaica, invitando a
leggere il volume e in particolare la
parte finale sulle strategie felicitanti.
Ma, per non sembrare iper-commerciale, mi permetto di dare quattro
suggerimenti, non come opinioni
mie ma come parziale sintesi dell’analisi di quel 39% dei nostri connazionali che si definisce assai felice.
Primo: non essere seriosi ma coltivare la virtù dell’ironia e dell’autoironia. Secondo: non perseguire trop-
Enrico Finzi
Come siamo felici
Sperling & Kupfer
Pagg. 224 - € 17,00
Gli italiani non sono affatto contenti di come vanno
le cose. Eppure, quasi
quattro su dieci si dichiarano molto felici. La verità
è che da noi tanta gente,
da secoli, ha imparato a
vivere con gioia o con momenti di gioia spesso privati e nascosti, prescindendo dalle istituzioni e dal potere, anche in silenziosa opposizione a essi. Questo
libro racconta quali sono le sei culture della felicità,
quali atteggiamenti e comportamenti (una cinquantina) aiutano a vivere bene, come fanno gli italiani felici a esserlo in tanti modi diversi. Si scopre così che
il vero appagamento non deriva dal perseguire il
“molto” nel lavoro, nei consumi, nel tempo libero; al
contrario, le strategie esistenziali vincenti sono fondate sulla ricerca dell’“abbastanza”, del “meno ma
meglio”, attraverso il recupero del tempo per sé, per
le relazioni con gli altri, per la cura del proprio mondo interiore. Cinque anni di indagini demoscopiche,
un insolito viaggio attraverso l’Italia per svelare, con
metodo rigoroso e con originale e pacata simpatia per
le persone, le ricette – anche curiose – della felicità
made in Italy.
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Gli italiani: nonostante tutto, felici