DIARIO
MARTEDÌ 23 OTTOBRE 2007
DI REPUBBLICA
■ 37
A NOVANT’ANNI DA QUELL’EVENTO CHE SCONVOLSE IL MONDO
Lenin arringa
l’assemblea dei
lavoratori davanti
alle officine Putilov
a Pietrogrado, in
un’illustrazione
SANDRO VIOLA
ovant’anni dopo,
della rivoluzione
russa resta quasi
soltanto il colore.
Il pittoresco. Le
immagini forti,
gli eventi spettacolari di quei
giorni dell’ottobre ’17 nelle
strade, nei palazzi dell’aristocrazia, nelle caserme, nei covi
bolscevichi di San Pietroburgo.
Queste sì, restano: immortalate
da fotografi anonimi eppure geniali, da qualche spezzone di ripresa cinematografica, e dalle
cronache in presa diretta di tanti testimoni. Le folle che si riversano per le strade al grido di
“Pane, pane”, la cavalleria cosacca che le fronteggia a sciabolate, il primo sangue sulla neve
precoce di quell’autunno che
sarebbe risultato il più freddo
da mezzo secolo. Le redingote e
i colletti duri dei membri del governo provvisorio, il febbrile
andirivieni dello stato maggiore bolscevico nelle stanze sin allora linde e silenziose dello
Smolnij, il collegio per le ragazze della nobiltà svuotato qualche giorno prima dalle Guardia
rossa con i moschetti spianati.
Nel 1917 le rivoluzioni non
vengono più ritratte col bulino
degli incisori o il pennello dei
pittori. A partire da cinque o sei
N
OTTOBRE
anni prima, dalla rivoluzione
messicana di Villa e Zapata, sono i fotografi che s’incaricano di
consegnarle alla storia. E la fotografia è capace d’un realismo
senza pari, un’incisività, una
forza suggestiva che neppure
Jacques-Louis David, dipingendo sullo sfondo di un’altra
rivoluzione la morte di Marat al
bagno, poteva avere.
Ecco quindi indimenticabili
– perfetti come un materiale di
scena per registi molto esigenti
– gli stivaloni di Trotskij, il “pince-nez” di Kamenev, l’IsottaFraschini di Kerenskij in fuga.
Le bandiere rosse, i morti sull’asfalto con le mogli piangenti, i
colbacchi e le mantelle color
tortora dei “Chevaliers gardes”,
il reggimento della Zarina. Stalin che fuma una piccola pipa in
un corridoio dello Smolnij, le
maglie a strisce orizzontali dei
marinai del Baltico, le ragazze
Un immenso e
arretrato paese
si risvegliò dal
sonno e dalla
oppressione zarista
del Battaglione femminile alla
difesa del Palazzo d’inverno, la
torpediniera “Aurora” alla fonda nelle acque della Neva, la
Guardia Rossa in posa dinanzi
alle officine Vulkan.
Quanto alle cronache, esse
forniscono sì dettagli avvincenti, ma versioni di parte: e pertanto vanno lette con cautela. I
partigiani della rivoluzione (per
primo il John Reed dei Dieci
giorni che sconvolsero il mondo)
ricamano infatti sull’eroismo
delle folle disarmate di fronte
alle sciabole cosacche, mentre i
testimoni di parte zarista si soffermano sulle torme d’operai
bene armati che, scesi in strada,
per prima cosa svuotano le
gioiellerie e i negozi di liquori.
Così, di tutte le cronache sulle
Il mito infranto della rivoluzione
settimane precedenti il colpo di
stato bolscevico, la rivolta e la
presa del Palazzo d’inverno,
quelle che sento più veritiere sono i diari e le testimonianze in
cui sono descritte le giornate
nell’albergo Astoria. Le angosce, gli sbalzi psicologici, l’usura nervosa d’una piccola fetta
del mondo che in quell’ottobre
fatale sta ormai per scomparire.
Perché una cosa è certa. Dalla
rivoluzione bolscevica non sorgerà, com’era stato promesso,
né una società giusta né un «uomo nuovo», salvo che per uomo
nuovo non s’intenda l’homo sovieticus: vale a dire l’uomo bianco più povero e oppresso del XX
secolo. Ma certo la rivoluzione
SILLABARIO
OTTOBRE
di Lenin dissolve il mondo di
prima. Tra guerra mondiale e rivoluzione russa, infatti, l’ancien régime sprofonda. Sparisce. E la sua agonia la possiamo
osservare in scene marginali
ma estremamente eloquenti,
nella hall, al ristorante, nelle camere dell’albergo Astoria.
Mentre la rivoluzione si prepara e poi inizia la sua marcia
travolgente, nell’albergo più
lussuoso di San Pietroburgo,
sulla piazza Sant’Isacco, davanti al monumento equestre
di Nicola I, s’è infatti radunata
una singolare e febbricitante
comunità.
Diplomatici stranieri che
hanno lasciato per sicurezza i
HANNAH ARENDT
a rivoluzione d’ottobre ottenne la vittoria
con stupefacente facilità in un paese dove
una burocrazia dispotica e accentrata governava una massa amorfa, che né i residui del feudalesimo rurale né il debole, nascente capitalismo
urbano avevano saputo organizzare. Quando Lenin affermava che in nessun altro paese del mondo sarebbe stato così facile conquistare il potere e
così difficile conservarlo, si rendeva conto non solo della debolezza della classe operaia russa, ma altresì delle anarchiche condizioni sociali che favorivano i cambiamenti improvvisi. Privo com’era
degli istinti del capo della massa, Lenin puntò subito su tutte le possibili differenziazioni, sociali,
nazionali, professionali, capaci di introdurre delle strutture nella popolazione, nella palese convinzione che tale processo stratificatore avrebbe
costituito la salvezza del potere rivoluzionario.
L
loro appartamenti, ufficiali di
collegamento degli eserciti alleati, e molti russi. Principi del
sangue, altri aristocratici, banchieri, avventurieri, avventuriere.
L’albergo è ancora confortevole di termosifoni bollenti, vini francesi, cocaina venduta a
cartocci da camerieri e barman.
Al bar si mescolano le avventuriere, le contesse, gli ufficiali feriti appena tornati dal fronte. La
principessa Orlov saluta gli
amici prima di partire per la sua
proprietà nel Caucaso, il giovane principe Sumarokov Elston –
di cui le donne dicono che è più
bello di Nijinskij – entra sventagliando il mantello foderato di
zibellino. Ma di quando in
quando, la pelliccia spruzzata
di neve, giunge nella hall qualcuno che porta notizie di quel
che avviene in città. E sono tutte
notizie, per gli ospiti dell’Astoria, ferali. Nuove rivolte, altri
saccheggi, e ogni giorno reparti
di soldati, marinai o cavalleggeri che s’uniscono ai cortei degli
operai.
Più ferali sono le notizie, e più
la vita nell’albergo Astoria si fa
agitata, delirante. All’ultimo
piano, un finanziere ricchissimo e omosessuale fa danzare
nudo, al collo una collana di
perle, il giovane guardiamarina
Lazarev, mentre al piano una
nobile decaduta, la baronessa
Keller, suona Stravinskij. Una
mattina che dalle finestre dell’albergo si vedono avanzare i
dimostranti, un ufficiale delle
Gardes si spara un colpo di rivoltella in bocca e la baronessa
Keller rotola ubriaca dalle scale.
Gli spari di fucile si fanno sempre più vicini, ma Maria Kirilovna, la moglie del direttore del
teatro Marinskij, conduce come ogni sera la sua caccia agli
ufficiali più giovani.
Questo resta, dell’ottobre ’17:
lo sfondo pittoresco, teatrale.
La materia d’un film stupendo
che Ejzenstejn avrebbe forse
potuto fare, ma non fece. Per il
resto, l’eredità non potrebbe
essere più grama. Il mito della
rivolta degli oppressi, del potere agli operai e ai contadini, della società senza classi e senza
sfruttamento dell’uomo sull’uomo, tutto è già svanito nel
1920 quando termina la guerra
civile. Subito infuria il Terrore
rosso, e una nuova autocrazia si
sostituisce a quella zarista. La
povertà è ancora più tremenda
di prima, e quando verso il ’24
comincia ad attenuarsi e la gente non muore più di fame nelle
strade, la “patria del socialismo” entra in un periodo di penurie e privazioni che durerà
per più di sessant’anni. Quanto
alle libertà, meglio non parlarne. A ripensarla negli anni Trenta, tra fucilazioni di massa e milioni di deportati nell’arcipelago Gulag, la polizia politica degli zar – l’Ochrana – apparirà infatti come una società di beneficenza.
Così che oggi siamo ancora a
ruminare lo stesso interrogativo: com’è stato possibile che la
tragedia del popolo russo, un’esperienza catastrofica come
quella del comunismo, la serie
ininterrotta dei fallimenti economici e sociali durata da Lenin
a Gorbaciov, il precipitoso declino delle arti e della cultura
russa in tutti i sette decenni dell’Urss, siano stati visti da milioni e milioni di uomini in tutto il
mondo come il paradiso in terra, la più consolante delle speranze, la meta a cui dedicare – e
se necessario sacrificare – le
proprie vite?
Questa è la vera, la sola cosa
che resta da discutere sull’ottobre ’17. Il suo incomprensibile
potere di seduzione. Il mistero
del fascino che ha esercitato per
tanto tempo su tanta gente. Lo
«charme universel d’octobre»,
come lo ha chiamato François
Furet nel suo libro Il passato di
un’illusione. Già nei primi Venti, infatti, la rivoluzione bolscevica era sfuggita all’analisi politica, alla critica, per diventare
oggetto d’amore e devozione.
Anche d’avversione, beninteso.
Ma se il rigetto da parte del
La grande illusione
fu di credere che
quel mutamento
epocale avrebbe
creato l’uomo nuovo
mondo borghese e capitalista
era comprensibile, aveva una
logica, l’incantamento dei suoi
fedeli risulterà più oscuro e indecifrabile ad ogni decennio
che passa. Una magia, dice ancora Furet.
Altro non c’è da aggiungere.
Salvo forse ricordare i calcoli
fatti dagli economisti all’inizio
degli anni Novanta, subito dopo che il comunismo sovietico
era finito nella pattumiera della
Storia. Non ci fosse stata la rivoluzione d’ottobre, la Russia dell’ultimo scorcio del XX secolo
avrebbe avuto un reddito procapite da tre a quattro volte superiore di quello che aveva
quando Boris Eltsin mise fuori
legge il partito comunista dell’Unione Sovietica.
Repubblica Nazionale
MARTEDÌ 23 OTTOBRE 2007
R2 DIARIO
■ 38
LA RIVOLTA DI FEBBRAIO
IL GOVERNO L’VOV MARZO
LENIN APRILE-MAGGIO
La rivolta di Pietrogrado provoca la caduta
dello zar e la formazione di un governo
provvisorio dominato dalle forze liberaldemocratiche. Le truppe non sparano sui
dimostranti. Nasce il Soviet di Pietrogrado
Si forma il governo provvisorio guidato dal
principe L’vov, che durerà dal 2 marzo al 5
maggio. La folla assalta i simboli e i seguaci
dello zarismo. Il Soviet lancia un appello
pacifista “ai popoli di tutto il mondo”
Una manifestazione di popolo chiede le
dimissioni del governo. Lenin, rientrato in
Russia dopo 17 anni di esilio, diffonde le
“Tesi d’aprile”, che pongono in primo
piano il problema della “presa del potere”
Le tappe
Le parole d’ordine e i simboli che accompagnarono la presa del potere
1917, LA DATA CANCELLATA
DALLA MEMORIA DEI RUSSI
BORIS KOLONICKIJ
LIBRI
MARCELLO
FLORES
1917. La
Rivoluzione,
Einaudi 2007
JOHN REED
I dieci giorni
che
sconvolsero il
mondo
Bur 2006
ROBERT
SERVICE
Lenin. L’uomo,
il leader, il mito,
Mondadori
2001
NIKOLAJ
BERDJAEV
Gli spiriti della
Rivoluzione
russa, Bruno
Mondadori
2001
ANTHONY
WOOD
La rivoluzione
russa, Il Mulino
1999
ORLANDO
FIGES
La tragedia di
un popolo,
Corbaccio
1997
SHEILA
FITZPATRICK
La Rivoluzione
russa, Sansoni
1997
RICHARD
PIPES
La rivoluzione
russa,
Mondadori
1994
ALEXANDERR
ABINOWITCH
I bolscevichi al
potere,
Feltrinelli 1978
MARC
FERRO
La rivoluzione
russa del 1917,
Mursia 1970
NIKOLAJ
SUCHANOV
Cronache della
Rivoluzione
russa, Editori
Riuniti
1967
E.H. CARR
Storia della
Russia
sovietica. La
rivoluzione
bolscevica,
Einaudi
1964
a rivoluzione russa del
1917 non suscita più le
passioni che ha suscitato nel XX secolo. Le sue
parole d’ordine e i suoi
simboli sono stati, dopo
il naufragio dell’Urss, inghiottiti dal
passato. Ora, una volta conclusa l’esperienza nata dalla rottura del
1917, gli storici possono cominciare a dipanare l’intricata matassa del
passato e, grattando via incrostazioni interpretative e luoghi comuni stratificatisi nel del fratello, il
granduca Michele. Quando anche questi rinunciò al trono, la
monarchia cessò di esistere.
Formalmente, l’ordinamento
statale sarebbe stato deciso dall’Assemblea Costituente, ma la
monarchia era ormai di fatto
impossibile. Sospettavano,
molti manifestanti, di aver abbattuto la monarchia?
Non si può immaginare la rivoluzione russa senza le dicerie
che correvano di bocca in bocca.
Erano, i personaggi principali di
queste dicerie, Rasputin e l’imperatrice. Nessuno storico ha dimostrato finora che Rasputin
fosse al soldo dei tedeschi, ma
l’opinione pubblica allora lo credeva. Così come credeva, senza
alcun fondamento, che la zarina
fosse fautrice di una pace separata con la Germania. Non c’erano forse persone assai ben informate che sostenevano persino
che l’imperatrice mandasse
quasi ogni giorno missive segrete a Berlino? Le maldicenze non
risparmiavano nemmeno lo zar.
A volte appariva come un depravato che aveva venduto la patria
al nemico. Più spesso però le malelingue dipingevano Nicola II
come un personaggio passivo,
dolente: un ubriacone privo di
volontà, succube della sua imperiosa consorte, che tradiva
quel buono a nulla dello “zar scemo” con Rasputin. Poco importa che queste dicerie avessero
poco a vedere con la realtà: quel
che conta è che milioni di persone vi credessero. Tanto che molti sostenevano che gli oppositori
della monarchia avessero messo
in piedi una vera e propria “fabbrica di dicerie” per minare l’autorità dell’autocrazia.
Una rivoluzione borghese?
Storici dei più diversi orientamenti hanno sostenuto che a
marzo in Russia era iniziata una
rivoluzione “borghese”: si erano
create le condizioni per lo sviluppo capitalistico. Pensavano
così anche alcuni contemporanei. Ma la lingua del 1917 era la
lingua di una rivoluzione borghese?
I contemporanei chiamavano
orgogliosamente la Russia “il
paese più libero del mondo”.
C’era in questo, si capisce, una
certa esagerazione, ma rispetto
agli altri paesi in guerra, in cui le
libertà erano sospese, le trasformazioni rivoluzionarie apparivano impressionanti. Tutti i partiti, tranne gli estremisti monarchici, godevano di piena libertà
politica.
Tuttavia, se si osservava la sfera dei simboli politici - una sfera
che assume un’importanza del
tutto particolare durante una rivoluzione, quando l’autorità del
potere va rinegoziata ogni giorno -, le cose stavano altrimenti.
Questa sfera era monopolizzata
L
La chiacchiera
Non si può immaginare la rivoluzione russa senza le dicerie
che correvano di bocca in bocca. Protagonisti erano Rasputin
e l’imperatrice. Le maldicenze non risparmiavano neppure lo Zar
che a volte appariva come un depravato, un traditore della patria
dai simboli della clandestinità
rivoluzionaria. Fin dai primi
giorni della rivoluzione la bandiera rossa era diventata di fatto
la bandiera nazionale. Veniva issata sul palazzo divenuto residenza del capo del Governo
provvisorio. Dominavano le
canzoni della clandestinità rivoluzionaria, e la “Marsigliese russa” – un canto in cui, rispetto all’originale francese, l’accento
era spostato sulla lotta di classe era diventata di fatto l’inno nazionale. Persino il celeberrimo
emblema con la falce e il martello non era un’invenzione bolscevica: si poteva vedere già il 1°
maggio del 1917 sulla residenza
del Governo provvisorio! Come
molti altri simboli rivoluzionari,
venne poi “bolscevizzato” dal
partito che aveva preso il potere.
Il fatto che i simboli rivoluzionari fossero dominanti ebbe
grande importanza. Proprio i
simboli avevano un’influenza
del tutto particolare sulle masse
che si iniziavano per la prima
volta alla politica. La complessa
realtà politica era descritta e
classificata con l’aiuto dei simboli rivoluzionari. Questo creava non pochi problemi ai socialisti moderati, fautori di una coalizione con i partiti “borghesi”. I
simboli rivoluzionari erano un
cattivo strumento per consolidare la pace sociale e poter proseguire la guerra. Per i bolscevichi e per gli altri socialisti radicali, invece, questa situazione di
monopolio dei simboli rivoluzionari offriva non poche possibilità.
E che dire della figura del nemico? Sia i simboli che la propaganda politica dei socialisti delle
diverse tendenze puntavano il
dito contro il nemico principale
della rivoluzione: la “borghesia”. Anche i sottili distinguo dei
socialisti moderati erano recepiti dalla coscienza di massa in
modo estremamente radicale. Il
paese rivoluzionario considerava colpevole di tutte le sventure
“il borghese”. Tutti lo denunciavano; nessuno desiderava identificarsi con la “borghesia”.
“Borghesia” era un concetto vago. Le opinioni politiche, la posizione etica e perfino l’appartenenza etnica potevano esser sufficienti per finire nella “borghesia”. La retorica antiborghese
era onnipresente.
Una rivoluzione democratica?
Dopo l’abbattimento della
monarchia giunsero al potere
uomini di orientamento democratico. Nel paese vennero introdotte le libertà democratiche;
vennero eletti gli organi di autogoverno locale. La parola democrazia era straordinariamente
popolare: era intesa come un
magico scongiuro, come un
mezzo universale per risolvere
tutti i problemi politici e sociali.
Democratizzarono la scuola, democratizzarono il teatro, democratizzarono la Chiesa ortodossa russa, democratizzarono l’esercito e la marina militare. Persone delle più diverse opinioni
politiche si davano l’attestato di
“democratici”. Tuttavia la parola democrazia, che sembra così
chiara, richiede, quando si leggono i testi del 1917, una traduzione particolare. Non sempre
democrazia era intesa come un
sistema politico: nella lingua
forgiata dalla cultura politica socialista “democrazia” era intesa
anche come un particolare soggetto del processo politico. A
volte stava a indicare gli operai, a
volte i partiti socialisti, a volte
ancora i nuovi organismi nati
dalla rivoluzione (soviet, comitati). Per di più la “democrazia”
non era opposta alla monarchia
o alla dittatura, ma alla “borghesia”. Questa opposizione fra
“borghesia” e “democrazia” non
era usata soltanto dai socialisti,
ma anche dalle pubblicazioni
BOLSCEVICHI
I soldati
bolscevichi
marciano
davanti al
Cremlino;
a sinistra, un
manifesto
sovietico di
propaganda
che
ricorda i giorni
della
Rivoluzione
d’ottobre
commerciali di massa e perfino
dagli ambasciatori stranieri.
Poiché tale era l’accezione del
termine “democrazia”, molti sostenitori dei bolscevichi si consideravano con sincerità i “democratici” più coerenti: proprio loro infatti esigevano di schiacciare risolutamente la “borghesia”.
Se per certi versi Ottobre del
1917 fu la negazione di Febbraio,
per molti altri ne fu la continuazione. Il dominio dei simboli rivoluzionari, la diffusione del linguaggio socialista, che veniva
“tradotto” in modo particolarmente radicale dalle masse in via
di politicizzazione, favorirono la
formazione di varie forme di coscienza antiborghese. Questo
rese più difficile la possibilità di
raggiungere la pace civile e, inversamente, aumentò il pericolo
di scivolare verso la guerra civile.
(Traduzione di Maria Ferretti)
Rivoluzione russa e Rivoluzione francese
si accavallano: i bolscevichi si scoprono
degli antenati giacobini, e i giacobini
diventano dei precursori del comunismo
Critica della Rivoluzione
francese, 1978
Iosif Brodskij
Le Guardie Rosse non incontrarono
alcuna resistenza; stuprarono metà
del reparto femminile che sorvegliava
il palazzo e ne saccheggiarono le sale
Fuga da Bisanzio
1986
Repubblica Nazionale
@
MARTEDÌ 23 OTTOBRE 2007
PER SAPERNE DI PIÙ
www.1917.org
www.casahistoria.net/Russian_Rev.htm
■ 39
IL GOVERNO KERENSKIJ LUGLIO
LA DECISIONE 23 OTTOBRE
LA RIVOLUZIONE 25 OTTOBRE
Il principe L’vov si dimette. A luglio,
soldati e operai scendono in piazza per
impedire la partenza al fronte di alcuni
reparti. Ad agosto si costituisce il nuovo
governo provvisorio guidato da Kerenskij
Durante una drammatica riunione del
Comitato centrale del partito bolscevico, si
decide di rovesciare con la forza il governo
Kerenskij. Trotzkij è l’organizzatore e la
mente militare dell’insurrezione
La mattina, soldati rivoluzionari e guardie
rosse circondano il Palazzo d’Inverno, sede
del governo. Alle 9 di sera, l’incrociatore
Aurora spara la prima cannonata. Alle 6 del
mattino la presa del potere è completata
Parla lo storico Teodor Shanin: la repressione e il sangue. Come leggere la modernità
DOPO L’OTTOBRE ROSSO
LA LUNGA TRAGEDIA CIVILE
ENRICO FRANCESCHINI
on molti docenti
universitari sanno
maneggiare un mitra. Ancora meno
sono quelli sopravvissuti all’esilio in
Siberia, alla fame, agli assedi, e che
poi sono tornati a servire la terra
che li ha perseguitati. Teodor Shanin è nato nel 1931 a Vilnius, nell’odierna Lituania, da una famiglia di ebrei polacchi. Suo padre,
che aveva combattuto nella rivoluzione d’Ottobre, fu imprigionato in Siberia da Stalin nel 1941, e
Teodor lo seguì con la madre. L’esilio gli salvò la vita, perché poche settimane più tardi i nazisti
entrarono a Vilnius, sterminando ogni ebreo trovato in
città. Alla fine della guerra,
dopo una fuga attraverso la
Russia, riuscì a mettersi in
salvo a Parigi. Ma ci restò poco, andando in Palestina ad
arruolarsi nei commandos
del nascente stato di Israele.
Poi ha studiato storia della
Russia alla Birmingham University, in Gran Bretagna. Tornato in Israele ha insegnato all’università di Haifa ed è stato trai
fondatori di Peace Now, il movimento per la pace con i palestinesi. Se n’è andato dallo Stato ebraico per protesta quando un lettore
arabo della sua università è stato
licenziato per motivi di sicurezza.
È tornato di nuovo nel Regno Unito, con la moglie, una ricercatrice
israeliana. Ha insegnato a Oxford.
È diventato rettore alla Manchester University. Dopo la fine dell’Urss ha fondato a Mosca un’università russo-britannica. Ora vive
tra Mosca e Cambridge.
Professor Shanin, la rivoluzione d’Ottobre, novant’anni dopo.
Come giudicarla?
«Ha segnato l’inizio di una nuova fase per l’umanità. È stata la più
significativa tra le rivoluzioni che
hanno sviluppato un nuovo tipo di
società, come la rivoluzione messicana, cinese, vietnamita. È stata
molto diversa dalle rivoluzioni dei
secoli precedenti. Ed è stata incompresa dai contemporanei, anche da coloro che la fecero. Ha presente il vecchio detto secondo cui
i generali combattono sempre la
guerra precedente? Penso che valga anche per i rivoluzionari. Gli artefici della rivoluzione russa usavano il linguaggio e le immagini
della rivoluzione francese: cantavano perfino la Marsigliese. Ma
nessuna di quelle immagini era
appropriata all’Ottobre rosso».
Proviamo a trovarne di appropriate, allora. Fu una tragedia?
«Tutte le rivoluzioni sono tragiche. Portano sangue, distruzione,
lotta fratricida fra cittadini della
stessa terra».
Veramente la rivoluzione d’Ottobre fece sì e no qualche morto a
Pietroburgo e arrivò nel resto della Russia “per telegrafo”: come un
comunicato a cui obbedire. Sangue e guerra fratricida vennero
solo dopo, con la guerra civile.
«Ha ragione, ma ha risposto da
solo alla sua obiezione. La rivoluzione non finì con i giorni dell’Ottobre, che fu solo la scintilla. Non
si può staccare l’Ottobre dagli anni di guerra civile tra rossi e bianchi. Lì i morti non si contarono. E lì
sta la tragedia».
Alludevo non solo a sangue,
morti e distruzione. Non fu una
tragedia che la Russia dell’inizio
N
Gli autori
Il convegno
IL SILLABARIO di
Hannah Arendt è
tratto da Le origini del
totalitarismo (Edizioni
di Comunità). Boris
Kolonickij è professore dell’Università
europea di San Pietroburgo. Teodor
Shanin, professore
all’Università di Manchester e rettore dell’Accademia di Mosca di Scienze economiche e sociali, ha
scritto saggi sulla storia e sull’economia
della Russia.
GLI storici Boris Kolonickij e Teodor Shanin
parteciperanno il
prossimo 9 novembre
al convegno internazionale organizzato
dalla Fondazione
Basso, a Roma, intitolato Dal febbraio all’ottobre: la rivoluzione russa del 1917 e la
crisi della modernità
europea. Al convegno, presentato da
Maria Ferretti, interverrà anche Al’bert
Nenarokov.
Eric J. Hobsbawm
La Rivoluzione d’Ottobre
produsse il più formidabile
movimento rivoluzionario
organizzato nella storia moderna
Il secolo breve
1994
Tzvetan Todorov
Il regime uscito dalla rivoluzione
d’Ottobre non era universalistico:
imponeva la sottomissione o la
liquidazione di parte dell’umanità
Memoria del male, tentazione
del bene, 2000
Confronti storici
Lenin vedeva se stesso come un giacobino: si
sentiva Robespierre. Questa identificazione
contribuì a farlo vincere nei giorni dell’Ottobre
e negli anni assai più difficili della guerra civile
ADDIO ZAR
Un manifesto
di propaganda
sovietica
celebra la
rivoluzione
dell’ottobre
1917;
più
in alto, la
statua dello
zar
Alessandro III
abbattuta dai
rivoluzionari
del ’900, un paese che esportava
burro e grano in tutta Europa, con
una moneta tra le più solide del
mondo, e un predominio mondiale nell’arte, nella letteratura,
nella musica, venisse stravolta
dalla rivoluzione e dalla dittatura
comunista che ne seguì?
«La dittatura comunista fu una
tragedia, indubbiamente, ma a
partire dal 1929, dopo la morte di
Lenin e l’avvento di Stalin, nel periodo che conduce alle purghe, al
terrore, alla collettivizzazione forzata. Prima di allora, fu uno sviluppo naturale e per certi versi
inevitabile della storia, a cui alcuni possono guardare con favore,
se credono nella necessità di un
rapido cambiamento sociale».
Quel cambiamento non sarebbe stato possibile per un’altra
strada? Attraverso le riforme, la
graduale democratizzazione che
era in corso in Russia da oltre un
decennio?
«Secondo me, no. Se non ci fosse stato l’Ottobre, in Russia sarebbe avvenuta un’esplosione violenta di altro tipo. Troppo forti
erano le diseguaglianze di classe.
Troppo estese povertà e arretra-
tezza, a dispetto di taluni passi
avanti economici. Troppo debole,
ignorante e corrotto era il potere
dello zar. La rivoluzione produsse
l’industrializzazione, un progresso scientifico e culturale di massa,
un balzo in avanti della società.
Lenin aveva corretto certi eccessi,
avviato riforme democratizzatrici
in campo economico e politico».
Aleksandr Jakovlev, braccio
destro di Gorbaciov e cosiddetto
“architetto della perestrojka”, mi
disse una volta che l’uomo russo
aveva finalmente cominciato ad
acquisire una coscienza individuale nei circa cinquant’anni
trascorsi tra l’abolizione della
servitù della gleba e il 1917.
Poi venne la rivoluzione
bolscevica, e per altri settant’anni l’uomo russo è
stato di nuovo privato di
una coscienza individuale. Non è stata una tragedia
anche quella?
«Io contesto che tra il ’17
e il ’29 si fosse spenta la coscienza dell’individuo. Fu
anche quello un decennio di
grande vivacità intellettuale, in
Russia, sotto molteplici aspetti.
Le cose, ripeto, cambiarono completamente dopo il ’29. Lo spirito
della rivoluzione russa, con Stalin,
diventò tutt’altra cosa».
Una prima ondata di revisionismo storico faceva una distinzione tra Lenin, buono, e Stalin, cattivo. In anni più recenti, anche
Lenin è stato dipinto, nel pensiero di gran parte della sinistra, come uno spietato dittatore con le
mani lorde di sangue. Chi era Lenin, per lei?
«Lenin vedeva se stesso come
un giacobino: si sentiva Robespierre. Questo fu efficace, nel farlo vincere nei giorni dell’Ottobre e
poi negli anni assai più difficili della guerra civile. Anche Lenin, certo, si è coperto di sangue. Ma i suoi
attacchi generalmente non furono contro i rivoluzionari, bensì
contro le forze che si opponevano
alla rivoluzione: lo zar, i bianchi, la
nobiltà, la borghesia. Stalin invece
attaccò anche e soprattutto i propri compagni, i propri fratelli. Per
quanto Lenin non sia indenne da
critiche e condanne, la differenza
tra lui e Stalin è innegabile,
profonda».
Andrebbe chiuso, il mausoleo
che ospita ancora la salma imbalsamata di Vladimir Ilich, sulla
Piazza Rossa?
«Ritengo che tutti gli uomini
debbano essere sepolti dignitosamente e non trasformati in culto,
in una forma di religione».
Dopo settant’anni, la rivoluzione si è spenta, l’Unione Sovietica è crollata, e con essa il comunismo. Come vede la fine dell’Urss?
«Una buona cosa, per la Russia
e per l’Europa. Ha aperto ai russi la
possibilità di nuovi sviluppi. Ha
aperto la porta a un potenziale di
cambiamento e di crescita sicuramente positivo».
Sarà realizzato questo potenziale? Dove andrà la Russia di Putin?
«La Russia è il più grande paese
del mondo, con enormi ricchezze
naturali. Può fare molto di bene e
molto di male. Ma lascio le previsioni sul suo futuro ai profeti. Come storico m’accontento di provare a comprendere il passato. È
già abbastanza complicato».
FILM
OTTOBRE
Ricostruzione,
a dieci anni di
distanza, degli
eventi che
portarono alla
Rivoluzione
d’ottobre.
Abbondanti i
tagli: tra le
scene
eliminate,
quelle con
Trotskij.
Di Sergej M.
Eizenštejn
1928
L’ARMATA A
CAVALLO
Guardie zariste
e bolscevichi
sono i
protagonisti
degli episodi
tratti dai
racconti di
Isaac Babel.
Di Miklós
Jancsó,
1967
SCHIAVA
D’AMORE
1917: mentre
l’Armata
bianca tenta di
contrastare la
rivoluzione
bolscevica,
una troupe
cerca di finire
le riprese di un
film.
Di Nikita
Michalkov
1975
REDS
La storia, vera,
di John Reed,
giornalista
americano
socialista che
parte con la
compagna
Louise Bryant
alla volta di
Pietroburgo,
dove sta per
scoppiare la
rivoluzione. Tre
premi Oscar.
Di Warren
Beatty,
1981
LA FINE DI SAN
PIETROBURGO
La presa di
coscienza di
un contadino
che prima
denuncia gli
organizzatori di
uno sciopero in
fabbrica e poi,
pentito,
diviene un
rivoluzionario.
Di Vsevolod I.
Pudovkin 1927
Repubblica Nazionale
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Il mito infranto della rivoluzione