Camera Civile di Cassino LA DELEGA E LA CUSTODIA NELLE ESECUZIONI IMMOBILIARI LA DELEGA AL PROFESSIONISTA 1. Considerazioni generali L'art. 591 bis c.p.c., introdotto dall'art. 3 della Legge n. 302/98, che consentiva al giudice dell'esecuzione di delegare le operazioni della vendita con incanto, è stato interamente riscritto dalla legge n. 80/2005, sia sotto il profilo soggettivo (destinatari della delega), sia sotto quello oggettivo (tipo di attività delegate). Con la novella del 2005, infatti, il legislatore ha ampliato le operazioni delegabili (aggiungendo alle operazioni di incanto le vendite senza incanto, previste dal comma 3 dell'art. 569 c.p.c.) ed ha altresì allargato la platea dei professionisti delegabili (ai notai ha affiancato gli avvocati, i dottori commercialisti e gli esperti contabili). L'ampliamento delle operazioni delegabili risponde ad una necessità di coerenza del sistema delle vendite immobiliari, il quale delinea la vendita senza incanto come una fase obbligatoria del procedimento della vendita. Le ragioni della delega al notaio, che erano alla base della legge n. 302/1998, sono tuttora valide: dare maggior efficienza all'esecuzione immobiliare, alleggerendo il lavoro del giudice da attività che non attenevano strettamente allo ius dicere. Il notaio veniva chiamato dal legislatore ad esercitare una funzione vicaria del giudice, concentrata nello svolgimento della vendita all'incanto e nelle attività preparatorie della distribuzione del ricavato. Per la particolare professionalità ed esperienza nelle vendite immobiliari, il notaio appariva il professionista più idoneo a liberare il giudice da quelle attività ed operazioni, processuali e non giurisdizionali, che costituivano, e costituiscono spesso, i principali punti di crisi e di rallentamento dell'esecuzione immobiliare: a) l'acquisizione delle certificazioni ipocatastali da allegare all'istanza di vendita; b) la determinazione del valore del bene; c) il procedimento di vendita; d) la predisposizione del decreto di trasferimento; e) l'esecuzione delle formalità di cancellazione delle trascrizioni ed iscrizioni conseguenti al decreto di trasferimento; e) la predisposizione della bozza del progetto di distribuzione. Coerentemente la legge n. 302 e l'attuale legge n. 80 non consentono la delega al notaio (oggi, ai professionisti) delle funzioni giurisdizionali, che restano di competenza del giudice e si manifestano con l'adozione di provvedimenti sostanzialmente tipici (l'ordinanza che dispone la vendita, il decreto di trasferimento dell'immobile, il provvedimento che dispone l'amministrazione giudiziaria, la dichiarazione di decadenza dell'aggiudicatario inadempiente). Quanto al contenuto della delega, le operazioni delegabili sono tutte quelle attinenti alla vendita, con e senza incanto: l'estensione della disciplina alle vendite senza incanto viene incontro alle richieste di quei giudici che non utilizzavano la delega, preferendo la vendita senza incanto come la forma più idonea ad evitare le turbative d'asta. 2. La delega 1 La delega al professionista interviene nella struttura del processo esecutivo così come delineata dalla sentenza n. 11178/1995 delle Sezioni Unite della Cassazione, ossia una successione di fasi autonome l'una dall'altra che progrediscono sino alla distribuzione del prezzo ricavato dalla vendita. In questa sequenza di fasi “chiuse” la delega si inserisce, soprattutto, anche se non esclusivamente, nella fase della vendita. La delega viene conferita, di regola, nell'udienza fissata per l'autorizzazione alla vendita con l'ordinanza, appunto, di vendita: il giudice, con l'ordinanza che fissa la vendita all'esito dell'udienza di comparizione delle parti (art. 569 c.p.c.), può scegliere se provvedere direttamente alla vendita forzata o se delegare un notaio, avente preferibilmente sede nel circondario del Tribunale, o un avvocato o dottore commercialista o esperto contabile, iscritti negli elenchi previsti dall'art. 179 ter disp. att. c.p.c. Il giudice delega in prima battuta le operazioni di vendita secondo le modalità indicate dal comma 3 dell'art. 569 c.p.c. In tal caso l'ordinanza di delega: stabilisce il termine di proposizione delle offerte (da novanta a centoventi giorni dalla data del provvedimento); fissa per il giorno successivo l'udienza per la (eventuale) delibera sull'offerta e (in alcuni tribunali) per la gara tra gli offerenti; provvede a disporre la vendita con incanto per i casi ivi stabiliti (nessuna offerta presentata, offerte inefficaci, offerte inferiori al valore dell'immobile ai sensi dell'art. 572 c.p.c. e in ogni caso in cui la vendita non si è tenuta); sulla base del nuovo comma 2 dell'art. 591 bis c.p.c., traccia i confini della delega; stabilisce il termine da rispettare per lo svolgimento delle operazioni delegate; fissa le modalità della pubblicità da eseguire; indica il luogo della presentazione delle offerte (ai sensi dell'art. 570 c.p.c.), il luogo dove le offerte vengono esaminate e dove si tiene la gara tra gli offerenti, nonché quello dove si svolge l'incanto. La decisione del giudice è discrezionale: egli sente gli interessati, ma non è obbligato a rispettarne il parere, che è solo consultivo. La discrezionalità della decisione gli consente di conferire deleghe ridotte quanto alle operazioni da svolgere rispetto al modello legale previsto dalla norma in commento (cfr. per la delega del solo piano di riparto in un procedimento pendente alla data di entrata in vigore della legge n. 302, Trib. S. Maria Capua Vetere, 13 gennaio 1999). L'ammissibilità della delega parziale o frazionata ha consentito, peraltro, l'applicazione del nuovo art. 591 bis c.p.c. ai procedimenti esecutivi pendenti alla data di entrata in vigore della legge n. 302 e non c'è motivo per non applicare la nuova norma ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore. La delega è sempre revocabile e modificabile dal giudice per il potere di direzione del processo esecutivo che gli spetta ex art. 485 c.p.c., potere che, tuttavia, non lo autorizza a sostituirsi al professionista nell'esercizio dei poteri delegati o ad impartirgli ordini al di fuori dell'ordinanza di delega o delle istruzioni di cui al decreto dell'art. 591 ter c.p.c. 3. Professionisti, incarichi e loro revoca Il giudice può delegare i notai, gli avvocati ed i dottori commercialisti e gli esperti nelle professioni contabili. Condizione per ricevere la delega è che il professionista abbia dichiarato al proprio Organo professionale la disponibilità a svolgere le operazioni di vendita dei beni immobili. 2 Il notaio deve avere sede “preferibilmente” nel circondario del Tribunale competente per l'esecuzione forzata. Rispetto al previgente testo, non è necessaria che la sede assegnata al notaio sia all'interno della circoscrizione dell'ufficio giudiziario, ma è preferibile; ciò consente di delegare le operazioni di vendita anche a notai la cui sede non si trova nel circondario del tribunale. Il Consiglio notarile distrettuale comunica ogni triennio ai presidenti dei tribunali gli elenchi distinti per circondari dei notai che si sono dichiarati disponibili a provvedere alle operazioni di vendita degli immobili. Non avendo gli altri professionisti la sede, come i notai, ogni triennio i presidenti del Consiglio dell'ordine degli avvocati e del Consiglio dell'ordine dei dottori commercialisti e esperti contabili comunicano al presidente del tribunale gli elenchi dei professionisti che si sono dichiarati disponibili a ricevere le deleghe. La comunicazione degli elenchi al presidente del tribunale, che da annuale è diventa triennale per tutte le professioni, deve contenere, quanto ai soli avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili, schede redatte dal singolo professionista, che rappresentino le specifiche esperienze maturate nello svolgimento di procedure esecutive ordinarie o concorsuali (art. 179 ter disp. att. c.p.c.). L'allegazione delle schede da parte delle professioni non notarili rivela, da un lato, la preoccupazione del legislatore di non subire, per effetto dell'allargamento della platea dei soggetti delegabili, un calo di efficienza e professionalità; dall'altro, offre agli uffici giudiziari un criterio di valutazione di merito per il conferimento delle deleghe, che si coordina con l'obbligo per il professionista di rispettare il termine fissato dal giudice per il compimento delle operazioni delegate. Nell'attuale sistema il giudice sceglie il professionista cui delegare le operazioni di vendita combinando i tre criteri indicati dagli artt. 179 ter e quater disp. att. c.p.c.: l'assenza di danno per l'amministrazione della giustizia e, dunque, un criterio di convenienza; equanimità nella distribuzione degli incarichi tra i professionisti e, dunque, un criterio di uguaglianza; esperienza e competenza del professionista e, dunque, un criterio di merito. Sulla corretta applicazione di tali criteri vigila il presidente del tribunale, il quale ha a disposizione oltre agli elenchi dei professionisti, il registro pubblico delle deleghe conferite e dei compensi pagati, il quale è tenuto dal cancelliere. Il professionista che ha dato la disponibilità ad accettare la delega, domandando l'iscrizione nell'elenco, non può rifiutare l'incarico, salvo ricorra un giusto motivo di astensione, come previsto dall'art. 68, comma 1, c.p.c. Una delle maggiori novità della legge n. 80/2005 in tema di delega ai professionisti è rappresentata dalla codificazione delle due cause di revoca della delega: il mancato rispetto del termine determinato dal giudice; il mancato rispetto delle direttive stabilite dal giudice nell'ordinanza a norma dell'art. 591 bis c.p.c. Al termine di ogni semestre, a seguito della revoca di una o più delega per le cause indicate, il presidente del tribunale cancella il professionista dall'elenco e, quale ulteriore sanzione, il professionista cancellato non può essere reinserito nell'elenco nel triennio in corso alla data del provvedimento di revoca e nel triennio successivo (art. 179 ter, ultimo comma, disp. att. c.p.c.). 4. Identità dei soggetti sostituiti. 3 Secondo la tesi che appare prevalente, il delegato non sostituisce solo il giudice, ma anche il cancelliere ed, in generale, tutto l’ufficio giudiziario: egli riunisce in sé tanto le funzioni del g.e., quanto l’apparato amministrativo ed organizzativo del tribunale, con l’unico limite del divieto di attività strettamente giurisdizionale. La prima peculiarità connessa a tale commistione di funzioni è che i verbali redatti dal delegato non sono atti propri della funzione da lui normalmente svolta nella vita lavorativa; si tratta di atti processuali in senso stretto e, pertanto, richiedono le forme necessarie adottate dal soggetto chiamati a redigerli. La seconda è che, quando il delegato fissa la data della vendita, assolve contestualmente sia alla funzione di g.e. che a quella di cancelliere con riferimento all’avviso. In terzo luogo, il delegato ha le stesse potestà certificative del cancelliere in ordine alla redazione degli atti che egli forma, compresa l’attribuzione di pubblica fede, essendo egli pubblico ufficiale. Per questo il delegato può rilasciare copia degli atti da lui formati e di cui è depositario. 5. Il compenso (art. 179 bis disp. att. c.p.c.) Il compenso del professionista è disciplinato dal rinnovato art. 179 bis disp. att. c.p.c., il quale prevede che il Ministro della Giustizia ogni tre anni, sentiti il Consiglio Nazionale del Notariato, il Consiglio Nazionale Forense ed il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, stabilisce i compensi dovuti ai professionisti per le operazioni di vendita dei beni immobili. Il decreto è emanato dal Ministro della Giustizia di concerto col Ministro dell'Economia e delle Finanze. Attualmente l’unico decreto vigente è il D.M. n. 313/99 (regolamento sui compensi spettanti ai notai), il che ha indotto molti tribunali ad utilizzare i parametri in esso previsti per tutte le liquidazioni, anche quelle relative a professionisti diversi dai notai (si vedano, da ultimo le innovazioni apportate, quanto ai parametri di riferimento, dal D.M. n. 140/12 e dal D.M. n. 106/13). Non mancano, tuttavia, soluzioni difformi: in alcuni tribunali, infatti, il D.M. n. 313/99 è utilizzato solo per le liquidazioni ai notai, mentre per gli altri professionisti si fa riferimento alle “vecchie” tariffe o al D.M. n. 140/12. Il compenso è liquidato dal giudice con l'indicazione specifica della parte relativa alle operazioni successive alla vendita, che sono a carico dell'aggiudicatario (art. 7 del D.M. n. 313/99). Essendo i delegati ausiliari del giudice, ex art. 53 disp. att. c.p.c., la liquidazione del compenso costituisce espressamente titolo esecutivo a favore del professionista, ex art. 179 bis, ultimo periodo, disp. att. c.p.c. (per la sua natura ingiuntiva, il decreto è opponibile con l'opposizione all'ingiunzione ex art. 645 c.p.c.). Se è pacifico che il compenso va considerato come spesa della procedura, è discusso se la parte non posta a carico dell’aggiudicatario vada inserita nel progetto di riparto come spesa in prededuzione o come spesa anticipata dal procedente. Se, infatti, nella sostanza nulla cambia (ben potendo il compenso in questione essere prelevato direttamente dall’attivo), dal punto di vista formale e contabile la questione pone problemi: ove, infatti, si opti per la tesi della prededuzione, non è chiaro nei confronti di chi debba essere emessa la fattura (tribunale, debitore o procedente). Proprio questo motivo giustifica la prassi di liquidare il compenso a carico del procedente per poi prelevarlo dall’attivo (in quanto si tratta di mera partita di giro) come se fosse una spesa in prededuzione con emissione di fattura nei confronti del creditore che ha anticipato le spese di procedura. 4 In caso di estinzione della procedura per rinuncia o inattività delle parti, il giudice provvede alla liquidazione del compenso spettante al professionista delegato, che va posto a carico del procedente, salva diversa pattuizione fra le parti. Il decreto di liquidazione è impugnabile unicamente con il reclamo ex art. 591 ter c.p.c. (art. 5, comma 3, del D.M. n. 313/99). In occasione del conferimento della delega, il giudice assegna al professionista un fondo spese, posto provvisoriamente a carico del creditore procedente, ex art. 95 c.p.c.: per l'art. 5 del D.L. 1999, n. 313, relativo al compenso dei notai, infatti, il giudice, col provvedimento di delega, determina l'ammontare che il creditore deve anticipare al notaio ed il relativo versamento. 6. La delega: disposizioni comuni L'art. 591 bis c.p.c. prevede una disciplina comune delle operazioni delegate, sia per la vendita senza incanto (indicata genericamente col termine "vendita"), che per quella con incanto. Per entrambe il giudice determina: il termine assegnato al professionista per il compimento delle operazioni delegate, al fine di assicurare le ragioni di efficienza e ragionevole durata del processo esecutivo e di controllare l'attività delegata e di disporre, se occorre, la revoca dell'incarico; il luogo dove si svolge la gara o l'incanto; le forme della pubblicità. Il professionista delegato provvede: alla determinazione del valore dell'immobile a norma dell'art. 568 c.p.c., se il giudice non ha già provveduto; ad autorizzare l'espromissione del debitore con l'assunzione dei debiti da parte dell'aggiudicatario o dell'assegnatario, a norma dell'art. 508 c.p.c.; sulle offerte in aumento di quinto dopo l'incanto, a norma dell'art. 584 c.p.c.; sul versamento del prezzo da parte del creditore ipotecario o dell'aggiudicatario assuntore del debito ipotecario nell'ipotesi di cui all'art. 585, comma 2, c.p.c.; alla fissazione degli ulteriori esperimenti di vendita dopo un tentativo infruttuoso, senza necessità di ritrasmettere il fascicolo al giudice dell'esecuzione; sull'istanza di assegnazione, ai sensi degli artt. 587, 590 e 591 c.p.c.; a ricevere ed autenticare la dichiarazione dell'avvocato rimasto aggiudicatario per persona da nominare, ex art. 583 c.p.c.; alla redazione della bozza del decreto di trasferimento ed all'esecuzione delle formalità di registrazione, trascrizione e voltura catastale del decreto stesso; alla sua comunicazione alla pubblica amministrazione negli stessi casi in cui si comunicano gli atti volontari di trasferimento (ad esempio in ipotesi di prelazione su immobili di valore artistico); all'espletamento delle formalità di cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie conseguenti alla pronuncia del decreto di trasferimento da parte del giudice; alla formazione del progetto di distribuzione ed alla sua trasmissione al giudice dell'esecuzione, affinché provveda ai sensi dell'art. 596 c.p.c. 7. Vendite. In caso di delega al professionista delle operazioni di vendita, con o senza incanto, il professionista provvede: alla redazione dell'avviso di vendita avente il contenuto indicato dall'art. 576 c.p.c., che deve contenere anche l'indicazione della destinazione urbanistica del terreno risultante 5 dal certificato di cui all'art. 30 del D.P.R. n. 380/01 (il certificato non è necessario quando si tratta di terreni pertinenziali di edifici censiti al Nuovo Catasto Edilizio Urbano, di superficie inferiore a 5.000 mq), nonché le notizie di cui all'art. 46 del citato D.P.R. circa l'eventuale abusività della costruzione dell'immobile e di cui all'art. 40 della legge n. 47/85 circa la mancata presentazione della domanda di sanatoria delle opere abusive; in caso di insufficienza di tali notizie, tale da determinare le nullità previste dall'art. 46, comma 1, del D.P.R. cit. ovvero dall'art. 40, comma 2, della legge n. 47/85, il professionista ne deve far menzione nell'avviso con avvertenza che l'aggiudicatario potrà, ricorrendone i presupposti, avvalersi delle disposizioni di cui all'art. 46, comma 5, del D.P.R. cit. e dell'art. 40, comma 6, della legge n. 47/1985; nell’ipotesi di abusi non sanabili provvede a rammentare la circostanza al giudice (che deve darne informativa nell’ordinanza di vendita) ed a riportarla nell’avviso e nelle pubblicità straordinarie; l'avviso deve essere notificato a tutte le parti del processo esecutivo ed ai creditori iscritti non intervenuti di cui all'art. 498 c.p.c.; nell'avviso si informa che tutte le attività che, a norma dell'art. 576 e seguenti c.p.c. devono essere compiute in cancelleria o davanti al giudice dell'esecuzione, dal cancelliere o dal giudice dell'esecuzione, vengono effettuate dal professionista delegato presso il suo studio ovvero nel diverso luogo da lui indicato o indicato nell’ordinanza di vendita; il professionista formerà l'avviso di vendita sulla base delle risultanze processuali ricavabili dal fascicolo dell'esecuzione; nei casi dubbi si rivolgerà al giudice ex art. 591 ter c.p.c. o compirà direttamente indagini nei registri immobiliari per integrare la documentazione prodotta; il professionista non può vendere all'incanto l'immobile pignorato dividendolo per lotti, non essendo espressamente prevista la delega di questa facoltà dall'art. 591 bis c.p.c., salvo sia stata prevista dal giudice; con riferimento all'avviso della vendita è il professionista che pubblica l'ordinanza e provvede alla pubblicità straordinaria eventualmente disposta; il professionista garantisce, anche nell'incanto, la riservatezza delle istanze di partecipazione e, in occasione della vendita, provvede alla redazione del verbale, dando atto delle circostanze di luogo e di tempo nelle quali la stessa si svolge, delle generalità delle persone ammesse e delle attività svolte; il professionista dichiara l'aggiudicazione provvisoria con l'identificazione dell'aggiudicatario; le somme versate dall'aggiudicatario sono depositate presso una banca indicata dal giudice nell'ordinanza di delega; dopo l'aggiudicazione definitiva, se il prezzo non è versato nel termine stabilito nell'ordinanza di delega e ripetuto nell'avviso di vendita, il notaio ne dà tempestivo avviso al giudice trasmettendogli il fascicolo; il delegato provvede alla trasmissione del fascicolo al giudice nel caso in cui non faccia luogo all'assegnazione o ad ulteriori incanti ai sensi dell'art. 591 c.p.c. Avvenuto il versamento del prezzo da parte dell'aggiudicatario, ai sensi degli artt. 585 e 590, comma 2, c.p.c., il professionista predispone il decreto di trasferimento, che trasmette senza ritardo al giudice dell'esecuzione insieme al fascicolo. Nonostante qualche opinione contraria, la bozza del decreto preparata dal professionista è un atto interno della procedura, come tale non impugnabile autonomamente. 6 Al decreto di trasferimento va allegato, se previsto, il certificato di destinazione urbanistica che risulta dal fascicolo processuale, indipendentemente dalla sua validità annuale, e quello aggiornato, che va sempre acquisito. Il professionista provvede, infine, all'esecuzione delle formalità di registrazione, trascrizione e voltura catastale del decreto di trasferimento, alla sua comunicazione alla pubblica amministrazione negli stessi casi in cui si comunicano gli atti volontari di trasferimento, nonché all'espletamento delle formalità di cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie conseguenti alla pronuncia del decreto di trasferimento da parte del giudice. 8. Rapporto professionista - giudice Nella novella introdotta dalla legge n. 302/98, l'art. 591 ter c.p.c. disciplina le controversie connesse all'attività del notaio delegato alle operazioni di vendita con incanto, ai sensi dell'art. 591 bis c.p.c. La norma si applica, a stretto rigore, solo alle operazioni di vendita con incanto delegate e non a quelle di vendita senza incanto previste dal comma 3 dell'art. 569 c.p.c.: l'analiticità della disciplina della vendita senza incanto ha probabilmente indotto il legislatore a ritenere inopportuno l'istituto del reclamo e sufficiente il rimedio generale dell'opposizione agli atti ex art. 617 c.p.c. Secondo la tesi che appare preferibile, invece, il reclamo è istituto generale, ammissibile anche nelle vendite senza incanto. L'articolo è strutturato in tre parti: la prima disciplina il rapporto professionista delegato-giudice dell'esecuzione, prevedendo il ricorso del professionista al giudice dell'esecuzione quando insorgano difficoltà, che vengono risolte dal giudice con decreto; la seconda appresta alle parti ed agli interessati il rimedio del reclamo al giudice contro gli atti del professionista delegato; la terza coordina il procedimento di reclamo col giudizio di opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c. Venendo alle origini della novella e della norma in commento, fin dal Convegno di Roma del 1993, si discusse del problema dei rimedi da apprestare alle parti contro gli atti del notaio delegato invalidi, illegittimi o inopportuni. Nella dottrina, il problema venne affrontato soprattutto da Oriani, che propose di adottare gli stessi rimedi già presenti nell'ordinamento ed utilizzabili contro gli atti del giudice, primo tra tutti l'opposizione agli atti esecutivi, ma anche l'art. 168 disp. att. c.p.c. (norma dedicata al reclamo contro gli atti dell'operato dell'ufficiale giudiziario incaricato della vendita mobiliare). Nel caso di assenza di delega, il decorso dei venti giorni previsto dall'art. 617 c.p.c. avrebbe fatto maturare la decadenza dal diritto all'opposizione, salva la revocabilità dell'ordinanza da parte del giudice ai sensi dell'art. 487 c.p.c. Nel caso, invece, di delega al professionista, la possibilità di reclamare contro i suoi atti senza dover rispettare alcun dies a quo, avrebbe prodotto la decadenza solo in un momento successivo e cioè dopo il decorso dei venti giorni dall'ordinanza emessa all'esito del reclamo od ancora dopo i venti giorni successivi al primo atto compiuto dal giudice dell'esecuzione dopo l'esaurimento della delega (ossia l’emissione del decreto di trasferimento o, secondo alcuni autori, la fissazione di nuove vendite). Quanto alla scelta tra opponibilità ex art. 617 c.p.c. degli atti o loro reclamabilità, l'opzione del legislatore a favore del reclamo si è richiamata al precedente positivo del procedimento di reclamo di cui all'art. 168 disp. att. c.p.c., nonché all'inopportunità di utilizzare l'incidente cognitivo del giudizio ex art. 617 contro gli atti notarili delegati per la natura degli stessi atti, 7 privi di contenuto giurisdizionale, per i costi e la durata del giudizio di cognizione e per la possibilità di un suo utilizzo in chiave dilatoria da parte del debitore esecutato. Su tutte queste ragioni poggia l'art. 591 ter c.p.c., il cui primo comma tratta del rapporto tra il giudice ed il professionista: il professionista quando incontra difficoltà può rivolgersi al giudice per ricevere istruzioni ed il giudice risponde con decreto. La norma definisce i ruoli e le posizioni dei due soggetti nel processo esecutivo. Dominus è il giudice dell'esecuzione, coerentemente con l'art. 484 c.p.c., che gli affida la direzione del procedimento; a lui il professionista può rivolgersi quando si verificano problemi particolari. Resta, quindi, un controllo pieno del giudice su ogni passaggio della procedura, confermato dalla sua titolarità dell'emissione del decreto di trasferimento dell'immobile, nonché dal potere di convocare le parti, quando lo ritiene necessario, ai sensi dell'art. 485 c.p.c. II professionista, d'altronde, quale delegato del giudice ad esercitare alcune delle sue funzioni, può risolvere le questioni, i problemi, le difficoltà che incontra nella delega, sia di fatto che di diritto, e, pur in presenza di controversie e contestazioni delle parti, può dirimerle lui stesso. In altre parole, il professionista valuta le circostanze di fatto, risolve le questioni giuridiche, interpretando la normativa sulla base degli orientamenti dottrinali e dell'interpretazione della giurisprudenza. Per converso, il professionista, se in dubbio sulla legittimità od opportunità della condotta da tenere, può decidere di non compiere atti anche in assenza di contestazioni delle parti e domandare il conforto del giudice, senza particolari formalità, chiedendogli di provvedere con decreto inaudita altera parte. Esempi: a) come procedere se ad un creditore iscritto non è stato notificato l'avviso ex 498 c.p.c. (Trib. Firenze, 16 marzo 2000); b) cosa fare in assenza della documentazione ipotecaria e catastale: risponde il giudice, pendendo il termine ex art. 13 bis, legge n. 302/1998, come modificato dalla legge n. 25/2000, invitando il creditore procedente a provvedere a depositarla (Trib. Firenze, 16 marzo 2000, cit.); c) verificato che la descrizione dell'immobile contenuta nell'atto di pignoramento l'immobile è corretta, ma è priva della citazione di una particella catastale, particella contro di cui non è stato trascritto il pignoramento, ma che è stata riportata nell'avviso di vendita, se sia opportuno procedere alla vendita di tutti i beni: risponde il giudice, il quale, premesse le considerazioni che l'incompletezza dell'atto di pignoramento integra una nullità sanabile, che il pignoramento si estende comunque a tutti i beni fisicamente uniti al bene principale anche se non menzionati nell'atto, ordina al creditore pignorante di presentare in conservatoria una nota di trascrizione a rettifica della trascrizione del pignoramento immobiliare entro 60 giorni, invitando il notaio ad attendere l'annotazione della rettifica (Trib. Firenze, 16 marzo 2000); d) se l'inerzia del creditore procedente ad effettuare la pubblicità straordinaria della vendita comporti l'estinzione del procedimento esecutivo od il semplice differimento dell'udienza e risponde il giudice indicandogli la seconda alternativa (Trib. Torino, 18 aprile 2003). 9. Reclami La richiesta di direttive al giudice si conclude, come visto, con un decreto, reclamabile allo stesso giudice dalle parti e dagli interessati, sul modello dell'art. 168 disp. att. c.p.c. Il rimedio del reclamo è apprestato anche a favore delle parti e degli interessati contro gli atti del professionista, che possono così essere contestati al giudice. Il procedimento di reclamo è incidentale, nel senso che si inserisce nel processo esecutivo all'interno della fase delle operazioni (tecnicamente solo di incanto) delegate al professionista; 8 il procedimento può investire due diversi provvedimenti: il decreto del giudice in esito alle domande del professionista in presenza delle difficoltà e l'atto o l’omissione dello stesso professionista. Legittimati attivi sono tutte le parti del processo esecutivo e, quindi, i creditori (quello precedente e quelli intervenuti), il debitore esecutato, il terzo assoggettato all'espropriazione, nonché gli interessati, quali l'offerente all'incanto, l'aggiudicatario provvisorio e l'offerente in aumento del quinto. Non tenendosi udienze avanti il professionista delegato, il reclamo si propone con ricorso al giudice, non potendosi proporre con dichiarazione resa a verbale dell'udienza, come previsto dall'art. 175 c.p.c., salvo che l’esigenza di reclamare l’atto non emerga proprio all’esito dell’udienza fissata dal g.e. su istanza del delegato. Il sistema delineato dall'art. 591 ter c.p.c. si articola in un quadro di controllo per gradi rappresentato dalla sequenza decreto - reclamo -ordinanza - opposizione 617 c.p.c., priva, tuttavia, delle preclusioni presenti nel processo di cognizione, con la conseguenza che in ogni momento della fase procedimentale delegata al professionista è possibile creare incidenti per tentare di ritardare la vendita. La mancata previsione di un termine a quo per la proposizione del reclamo, salvo quello ad quem dell'esaurimento della delega con la trasmissione della bozza del decreto di trasferimento dell'immobile al giudice, ex art. 591 bis, comma 8, c.p.c. ha indotto alcuni autori ad individuarlo aliunde, ad esempio nei venti giorni previsti dall'art. 617 c.p.c. o nei dieci giorni previsti dall'art. 739 c.p.c. per i reclami contro i decreti del Tribunale pronunciati in camera di consiglio. Si è detto che il reclamo dell'art. 591 ter c.p.c. è modellato sulla base dell'analogo procedimento previsto dall'art. 168 disp. att. c.p.c.: entrambi i procedimenti si svolgono col rito camerale avanti il Tribunale (giudice unico con funzioni di giudice dell'esecuzione) e si concludono con l'emissione di un'ordinanza, che tuttavia è diversamente disciplinata: non è impugnabile quella emessa all'esito del procedimento ex art. 168 disp. att. c.p.c., mentre è opponibile ex art. 617 quella emessa all'esito del procedimento ex art. 591 ter c.p.c. La definitività della prima ordinanza si spiega con la presenza, pur minima di un contraddittorio tra le parti, che vengono sentite dal giudice, contraddittorio, per converso, che può essere assente nel reclamo esecutivo. La proposizione del reclamo non sospende le operazioni di vendita, salvo il giudice disponga altrimenti, concorrendo gravi motivi. Nella delibazione dell'istanza di sospensione il giudice potrà far riferimento alla giurisprudenza cautelare formatasi sui concetti di fumus bonis iuris e periculum in mora. Contro l'ordinanza che conclude il procedimento di reclamo, salva la sua revocabilità fino a quando non abbia avuto esecuzione, è possibile proporre l'opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell'art. 617 c.p.c. 9 LA CUSTODIA 1. Premessa. La generalizzazione della figura del custode giudiziario terzo, nominato in sostituzione del debitore esecutato, rappresenta sicuramente l'elemento di novità più significativo della riforma delle procedure esecutive immobiliari introdotta con la legge n. 80/05 e la legge n. 263/05 ed è l'aspetto che maggiormente ne incarna lo spirito e ne costituisce, al tempo stesso, punto di forza e di debolezza. Nella visione del legislatore, il custode giudiziario nominato in sostituzione del debitore viene, in effetti, a connotarsi come il perno attorno a cui si sviluppa l'intero processo esecutivo: è per questo che sulla effettiva applicazione di tale istituto processuale nei singoli uffici giudiziari si fonda il successo e la credibilità stessa dell’innovazione legislativa. La nuova figura di custode, come delineata dalle modifiche normative, viene a configurarsi, o meglio dovrebbe configurarsi, come una sorta di curatore minor della procedura esecutiva, dotato di poteri non più solo conservativi, ma idonei ad incidere sull’alienazione del bene e, quindi, sul buon esito della procedura nel suo complesso. Il nuovo ruolo del custode si caratterizza, infatti, per questa specifica funzione di soggetto preposto ad accompagnare il bene nella sua collocazione sul mercato. L'esperienza insegna come sia essenziale per la rapida vendita dell'immobile con pieno realizzo dei valori di mercato la presenza di un soggetto incaricato dal giudice, che non può essere certamente lo stesso esecutato, che fornisca agli interessati tutte le informazioni sul bene, anche quelle non risultanti dalla perizia, che consenta loro di poterlo visionare e che si faccia altresì carico della liberazione del bene stesso in modo che non si verifichino incertezze o sorprese riguardo ai tempi d'immissione dell'acquirente nel godimento. La presenza del custode giudiziario, in altri termini, assicura che il contesto entro cui devono maturare le determinazioni degli interessati in ordine all'acquisto si avvicini sostanzialmente a quello del normale mercato immobiliare. È notorio che questa scelta del legislatore nasce dal recepimento normativo della esperienza positiva di alcuni tribunali italiani, che hanno adottato questa soluzione in via di prassi. 2. La natura giuridica del custode giudiziario. Già precedentemente alla entrata in vigore della riforma la figura del custode giudiziario era prevista e disciplinata nel codice di procedura civile, sia nella parte generale dedicata agli ausiliari del giudice (artt. 65 e ss., c.p.c.), sia nelle disposizioni speciali dedicate al processo esecutivo (artt. 559 e 560 c.p.c.), poi interessate dalla modifica legislativa, tanto che in dottrina si è anche sostenuto che le innovazioni apportate non sono poi così significative proprio perché rappresentano il recepimento di una prassi applicativa che si fondava sulla interpretazione evolutiva di norme già esistenti. Tale affermazione, però, non è condivisibile. 10 La funzione riservata al custode giudiziario individuato dall'art. 65 c.p.c. ha un ambito sicuramente più limitato rispetto alla nuova figura: il custode, infatti, non ha solo il compito di curare "la conservazione e l'amministrazione dei beni pignorati o sequestrati quando la legge non dispone altrimenti", ma è investito per legge, o per nomina del giudice, o in alcuni casi dell'ufficiale giudiziario, di un munus publicum avente ad oggetto la gestione di un patrimonio autonomo o separato, che costituisce centro di imputazione di rapporti giuridici attivi e passivi, costituito dal compendio dei beni pignorati e, in tale veste, deve provvedere, con la diligenza del buon padre di famiglia ed in modo imparziale, alla materiale conservazione della cosa pignorata, curando che essa resti integra e quindi funzionalmente idonea alla vendita. Il custode è, perciò, ausiliario di giustizia, in dottrina definito longa manus degli organi giudiziari. Sia in dottrina che in giurisprudenza (di merito e di legittimità) si opta per la natura pubblicistica dell'incarico e per il riconoscimento al custode della qualifica di pubblico ufficiale, in quanto egli è un ausiliario di giustizia che partecipa delle funzioni e dei poteri propri dell'organo giudiziario che presiede all'esecuzione forzata. E’ stata, per contro, esclusa la sua riconducibilità a istituti di natura privatistica, come la rappresentanza, la negotiorum gestio o il deposito. Ne consegue che il custode, ove manchi ai suoi doveri, assume una propria ed autonoma responsabilità, sia civile, che penale (Cass. Civ., n. 6115/84). 3. Autonomia e responsabilità. Le considerazioni che precedono tornano utili nel determinare correttamente il riparto di responsabilità tra il giudice dell'esecuzione ed il custode giudiziario. In qualità di ausiliario del giudice, il custode deve attenersi alle direttive del G.E., ma è pure un gestore autonomo. Il custode, dunque, ha innanzitutto il dovere di rappresentare correttamente i fatti al giudice nelle proprie relazioni periodiche: ove ciò sia fatto non sembra possa residuare una responsabilità del custode; in caso contrario invece, vi sarà una responsabilità ex art. 67 c.p.c. In giurisprudenza si è tuttavia sostenuto che il custode dei beni sottoposti a sequestro giudiziario, in quanto esponente e rappresentante nei confronti dei terzi di un patrimonio separato, risponde direttamente nei riguardi dei terzi degli atti compiuti in siffatta veste, quand'anche in esecuzione di provvedimenti del giudice (Cass. Civ., n. 1877/84). Il custode, inoltre, ha il dovere di agire autonomamente in ipotesi di urgenza: in tale ipotesi, è pacifico che egli sia pienamente responsabile, come più volte sottolineato dalla Corte di Cassazione. In definitiva, può condividersi l'opinione dalla Suprema Corte, che, prospettando la inerenza dei rapporti sostanziali al cd. patrimonio separato, conclude che la relativa responsabilità contrattuale ed extracontrattuale si lega indissolubilmente alla funzione del custode giudiziario e non all'individuo che la ricopre (Cass. Civ., n. 8146/97). Pertanto, una responsabilità diretta del custode quale persona fisica è configurabile non già in relazione agli obblighi assunti, ma in relazione a tutti gli obblighi connessi alla ordinaria gestione che siano violati con dolo o colpa. Vi è incertezza in dottrina sulla natura contrattuale, ovvero extracontrattuale, della responsabilità. Secondo alcuni, si tratterebbe di responsabilità contrattuale, ma la tesi contrasta con la natura della custodia come munus publicum (contra Trib. Catania, 24 febbraio 2005). Secondo l'opinione che appare preferibile, si verte sempre in tema di responsabilità aquiliana. Il criterio di diligenza astratta stabilito dalla legge per l'adempimento dei doveri di custodia va desunto dal menzionato art. 67 c.p.c. e non dall'art. 1768 c.c. e ciò in quanto la custodia di 11 beni pignorati o sequestrati è disciplinata da norme di diritto processuale specifiche, onde non sono applicabili, nell'ipotesi di perdita della cosa per colpa del custode, le disposizioni sulle obbligazioni nascenti dal contratto di deposito. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte è sempre necessaria la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, rapporto che postula l'effettivo potere sulla stessa, ossia la disponibilità giuridica e materiale che comporti il poteredovere di intervento (Cass. Civ., n. 16231/05; Cass. Civ., n. 2422/04). Così, nell’ipotesi di danneggiamenti apportati dal debitore che è autorizzato ad utilizzare il bene, la responsabilità del custode va, in linea generale, esclusa, ma si richiede comunque un obbligo di pronta rilevazione degli effetti di tali condotte (commissive o omissive), da effettuarsi in occasione dei periodici accessi, in modo da predisporre immediatamente gli opportuni rimedi per evitare o contenere il danno, se ancora possibile. Quando, invece, l'immobile è già stato liberato o non è occupato, il custode ha il dovere di porre in essere tutte le precauzioni per mantenerlo integro ed evitare danni a terzi, essendo applicabile l’art. 2051 c.c. A norma dell'art. 67, comma primo, c.p.c., il custode che non esegue l'incarico assunto può essere condannato dal giudice al pagamento di una pena pecuniaria (di importo poco più che simbolico), ma la norma può essere applicata in tutte le ipotesi di mancata esecuzione dei compiti tipici, sia dolosa, sia colposa. L'applicazione della pena pecuniaria non esclude, poi, che sia comminata al custode una ulteriore sanzione di tipo penale nell'ipotesi in cui la condotta integri anche gli estremi di un reato. Si è detto che il custode esercita una pubblica funzione e, in quanto organo ausiliario di giustizia, gli va riconosciuta la qualifica di pubblico ufficiale. Come tale, può rendersi responsabile del reato di rifiuto di atti dell’ufficio: si pensi al rifiuto di far visionare l'immobile, ovvero all’omissione di provvedere entro trenta giorni dalla richiesta scritta di chi vi abbia interesse, o al rifiuto di rispondere per esporre le ragioni del ritardo. Si ha, poi, responsabilità del custode anche nell’ipotesi in cui costui ometta le attività necessarie per mantenere o rendere gli immobili produttivi, qualora abbia a disposizione i fondi necessari. Per altro verso, il custode incorre nel reato di violazione colposa dei doveri inerenti alla custodia (art. 388 bis c.p.) ove per colpa cagioni la distruzione o agevoli la sottrazione dei beni (omissione di relazionare sullo stato di imminente crollo dell'immobile fatiscente sottoposto a pignoramento). Ancora, costui risponde ai sensi degli artt. 334 e 335 c.p., in presenza di condotte di “sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro” e di “violazione colposa di doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro”, o ai sensi dell’art. 388 c.c. in caso di “mancata dolosa esecuzione di un provvedimento del giudice”. 4. Il debitore custode ex lege e la sua sostituzione come regola generale. L'art. 559 c.p.c. stabilisce che con il pignoramento il debitore è costituito custode ex lege senza diritto al compenso: l'assunzione, da parte dell'esecutato, dell'incarico di custode dell'immobile pignorato costituisce, quindi, un effetto della notificazione del pignoramento. Con la notifica del pignoramento e la costituzione del debitore come custode dell'immobile pignorato, si realizza una vera e propria interversione del possesso sull'immobile pignorato. Per l'ipotesi in cui l'esecutato sia dichiarato fallito, il curatore va individuato come custode ex lege in luogo del debitore. Il debitore custode è tenuto a rendere il conto della gestione, ai sensi dell'art. 593 c.p.c. (art. 560, primo comma, c.p.c.), mentre non ha diritto al compenso, ma soltanto al rimborso per le 12 spese vive sostenute per l'ordinaria e la straordinaria manutenzione che abbia posto in essere su espressa autorizzazione del giudice (art. 559, comma primo, ultima parte c.p.c.). L'art. 66 c.p.c. già contemplava la possibilità per il giudice di sostituire in ogni tempo il custode, su istanza di parte o d’ufficio. La possibilità di sostituire il debitore costituito custode era prevista anche nella disciplina previgente in tema di esecuzioni, ma solo su istanza del creditore, evidentemente in presenza di violazioni del debitore: era dunque necessaria una condotta lesiva attinente al bene, il che, ad esempio, non accadeva in ipotesi di rifiuto di far visionare l’immobile. In riferimento alla applicabilità del potere di sostituzione ufficiosa del debitore nella custodia ex art. 66 c.p.c., la dottrina e la giurisprudenza si dividevano tra quanti ritenevano che la richiamata disposizione non trovasse applicazione nella espropriazione immobiliare, in presenza di una norma specifica e derogatoria con essa contrastante (l'art. 559, secondo comma, c.p.c.) e quanti, invece, ritenevano che anche il debitore, divenuto custode al momento della notifica del pignoramento, fosse investito di un munus publicum al pari di ogni altra persona cui fosse stato affidato detto incarico e, come tale, ben potesse essere sostituito ex art. 66 c.p.c. in caso di violazione dei suoi doveri. Nella concreta applicazione della maggior parte dei tribunali italiani si trattava di un istituto fondamentalmente dimenticato. Per tali ragioni, il legislatore della riforma ha introdotto e disciplinato tre ipotesi di sostituzione necessaria, nelle quali, dunque, il giudice è tenuto a provvedere d'ufficio, e che, di fatto, consentirebbero una applicazione pressoché generalizzata del meccanismo della sostituzione in tutte le procedure esecutive. È vero, infatti, che non è stata modificata la disposizione con cui esordisce la norma (con il pignoramento il debitore viene ancora costituito custode ex lege dei beni pignorati), ma quella che era la regola ante riforma, derogabile (come si è visto) solo su istanza di un creditore pignorante o intervenuto, non appare tale nel nuovo sistema: il debitore resta custode solo limitatamente alla fase iniziale o in casi che possono ritenersi residuali nel quadro complessivo dell'istituto. Appare, dunque, evidente che la regola fino ad oggi vigente è stata sostanzialmente abbandonata e che la sostituzione del custode-debitore su richiesta del creditore sia l’ipotesi residuale e marginale rispetto alla principalità delle altre e soprattutto rispetto a quella che è divenuta la regola generale: la sostituzione al momento della pronunzia della ordinanza di vendita o di delega. II secondo comma dell'art. 559 c.p.c., invero, ancora disciplina l'ipotesi della sostituzione del custode su istanza del creditore pignorante o di un creditore intervenuto. Tuttavia, va tenuto conto di tutte le ipotesi di sostituzione ufficiosa di cui ai commi successivi del medesimo articolo, introdotte con la novella del 2005-2006, in ragione delle quali appare davvero arduo ritagliare alla previsione in parola un ambito di applicazione residuale. La seconda parte del secondo comma dell'art. 559 c.p.c. prevede che "il giudice provvede a nominare persona diversa quando l'immobile non sia occupato dal debitore”: qui non vi è margine di discrezionalità. La sostituzione è altresì obbligata quando l'immobile è occupato da terzi, quanto meno per l'ovvia necessità ed opportunità di provvedere al recupero dei frutti pignorati. Sarà poi possibile valutare la eventualità di locare temporaneamente il bene, al fine di incrementare la massa su cui i creditori possono soddisfarsi (ipotesi ricorrente nel caso di immobili destinati ai soggiorni feriali). 13 Se poi l'immobile è occupato da un terzo, diviene indispensabile accertare se e quale titolo l'occupante vanti per restare nel possesso, al fine di poter correttamente valutare lo stato giuridico del bene, anche ai fini della sua stima. Si discute se sia necessario sentire iI debitore: trattandosi di potere officioso, si esclude un simile obbligo. Il terzo comma disciplina la sostituzione del debitore o del custode per inosservanza degli obblighi su di lui incombenti, ipotesi riferibile tanto al debitore custode che al custode giudiziario nominato dal giudice. Più in generale, la norma fa riferimento alla violazione di uno qualsiasi degli obblighi imposti al custode e funzionale alla corretta gestione del compendio pignorato ed alla trasparente amministrazione dei frutti o, in generale, all'efficienza e alla celerità della procedura esecutiva. In assenza di uno specifico richiamo, non può, infatti, ritenersi che la disposizione faccia esclusivo riferimento ai compiti del custode disciplinati dal successivo art. 560 c.p.c., ma deve ritenersi che, più in generale, faccia riferimento a tutti i compiti allo stesso attribuiti dalle norme del codice e persino a quelli individuati dal giudice dell'esecuzione con l’ordinanza di nomina. Anche in tale ipotesi è discusso se il debitore debba essere sentito: nella prassi si procede alla revoca prescindendo dal contraddittorio con il debitore. Il quarto comma dell'art. 559 c.p.c. prevede che, qualora si sia giunti al momento di fissare la vendita senza che il debitore sia stato ancora sostituito per una delle ipotesi di cui ai commi precedenti, la sostituzione diviene obbligatoria al momento dell'emissione dell'ordinanza che dispone la vendita o la delega al professionista. Almeno questa sembra la ricostruzione più convincente, sia per come è formulata la previsione, che contiene una compiuta descrizione di tutti gli elementi della fattispecie e la rende certamente del tutto autosufficiente e non suscettibile di diverse possibili opzioni interpretative, sia per la sua collocazione in un comma del tutto distinto, sia, soprattutto, per l'esplicito collegamento funzionale con la vendita ai fini dell'efficienza del relativo meccanismo. Il collegamento indissolubile con il procedimento liquidatorio è desumibile testualmente non solo dal fatto che il giudice deve provvedere in occasione dell'emissione dell’ordinanza di vendita, ma anche dal fatto che provvede con la medesima ordinanza che dispone la vendita. Il custode nominato ai sensi dell'art. 559, comma quarto, c.p.c. è un ingranaggio del meccanismo della vendita, come lo sono le forme della pubblicità e le altre modalità della vendita stabilite dal giudice. La sostituzione viene, dunque, disposta d'ufficio senza necessità di istanza di parte o di violazioni. La ratio che si evince da questo collegamento rafforza la ricostruzione di tale previsione normativa come vera e propria regola generale per la nomina del custode terzo, che sancisce la sostanziale automaticità e la obbligatorietà al momento della vendita del provvedimento di sostituzione, qualora non sia intervenuta nella fase anteriore. Infatti, è proprio il legislatore ad introdurre un'ipotesi eccezionale, consentendo al giudice di non procedere alla sostituzione quando, per la particolare natura dei beni, ritenga che la sostituzione non abbia utilità. La scarsa utilità non sembra potersi ricollegare al modesto valore dell'immobile: in tali casi, anzi, la figura del custode può rivelarsi in termini funzionali addirittura più proficua per la realizzazione di un utile risultato. 14 Né sembra potersi ritenere che non sia utile nell'ipotesi di immobile non occupato da terzi, laddove le esigenze di custodia appaiono particolarmente stringenti per la conservazione del bene staggito. È infine escluso, visto il richiamo letterale alla natura del bene, che i motivi possano essere ricondotti alla condotta meritevole del debitore custode o allo stato avanzato delle procedura. La interpretazione in chiave teleologica all'inizio richiamata sembra suggerire, in tale frangente, una accezione estremamente riduttiva del disposto normativo. 5. Soggetti. La lettera dell'art. 559, comma quarto, c.p.c. impone al giudice dell'esecuzione di individuare il soggetto terzo da nominare quale custode giudiziario dell'immobile in sostituzione del debitore nel professionista delegato alle operazioni di vendita ex art. 591 c.p.c. o nell’I.V.G. In effetti, restando strettamente ancorati alla interpretazione letterale della disposizione, la norma non sembrerebbe consentire la nomina di soggetti diversi da quelli elencati. Diversamente è a dirsi, tuttavia, ove il custode non sia nominato con l’ordinanza di vendita. In molti uffici, poi, si è fatto ricorso alla nomina di un pool di professionisti, frazionando la delega delle operazioni di vendita elencate nell'art 591 bis c.p.c. in capo a più soggetti ed affidando la custodia solo ad uno di essi. In altri uffici si è, invece, proceduto alla nomina sistematica del custode anticipatamente, così da poter tenere distinta la figura del custode giudiziario da quella del delegato alle vendite. In ipotesi di fallimento, si pone la questione se la nomina e la sostituzione del custode giudiziario sia regolata dalle norme dettate nel codice di procedura, con conseguente discrezionalità del g.e. nella individuazione del soggetto da investire della funzione, ovvero se debba piuttosto ritenersi che, poiché le funzioni di custode dei beni acquisiti al fallimento appartengono ex lege al curatore fallimentare, della nomina debba essere necessariamente investito quest'ultimo. Sul punto la Cassazione ha dato, nel corso degli anni, due antitetiche soluzioni. Nella misura in cui a norma dell'art. 42 del R.D. 646/1905 gli immobili pignorati dagli istituti di credito fondiario sono assoggettati ad un ordinario processo di esecuzione e sottratti alla disponibilità degli organi del fallimento, e tenendo conto che il curatore fallimentare è costituito ex lege custode degli immobili pignorati ai sensi dell'art. 559, comma primo, c.p.c., essendo subentrato in tutti i rapporti di diritto patrimoniale del fallito, sembra condivisibile ritenere che la sostituzione del curatore nelle funzioni di custode degli immobili pignorati dagli istituti di credito fondiario rientri nelle facoltà del giudice dell'esecuzione individuale senza che ciò costituisca interferenza nei poteri del tribunale fallimentare. Nell'ipotesi in cui, prima della dichiarazione di fallimento, sia stata iniziata da un creditore l'espropriazione di immobili del fallito, a norma dell'art. 107 L.F., il curatore si sostituisce al creditore istante e tale sostituzione opera di diritto, senza che sia necessario un intervento da parte del curatore o un provvedimento di sostituzione da parte del giudice dell'esecuzione: se, dunque, non è stato nominato un custode diverso dal debitore, anche la custodia dei beni pignorati si trasferisce immediatamente in capo al curatore, ex artt. 42 L.F. e 559 c.p.c. Tuttavia, contrariamente all'ipotesi del debitore esecutato, il curatore costituito custode ex lege non deve essere obbligatoriamente sostituito con il provvedimento che autorizza la vendita: costui, infatti, resta portatore di interessi altrui, rappresentando le ragioni della massa dei creditori, che non necessariamente devono ritenersi configgenti con quelli tutelati nell'espropriazione forzata, ma anzi in parte con questi coincidenti, quanto meno sotto il profilo della comune finalità liquidatoria. 6. II provvedimento di nomina. 15 L'art. 559, comma sesto, c.p.c. prevede che i provvedimenti di nomina e sostituzione sono pronunciati con ordinanza non impugnabile. La forma del provvedimento prevista (l'ordinanza presuppone il previo contraddittorio) e l'applicazione del principio generale dettato dall'art 485 c.p.c. suggerirebbero che l'emissione del provvedimento sia preceduta dall'audizione delle parti, atteso che proprio dalla previa instaurazione del contraddittorio deriverebbe l'inoppugnabilità del provvedimento. La preventiva audizione del debitore è, a dire il vero, prevista soltanto dal secondo comma, prima parte, per l’ipotesi di sostituzione su istanza del debitore: sembrerebbe, pertanto, esservi uno spazio interpretativo per sostenere che nelle residue ipotesi non sia necessaria tale previa convocazione. Nulla quaestio naturalmente per l'ipotesi contemplata dal quarto comma, atteso che siamo già all'udienza disciplinata dall'art. 569 c.p.c., disposta proprio per sentire le parti. I problemi sorgono per le ulteriori ipotesi di sostituzione d'ufficio prima enucleate. Nel silenzio della norma, che non contiene in tali casi l'inciso "sentito il debitore", si potrebbe optare per l’insussistenza dell’obbligo di instaurare il contradditorio, al fine di non frustrare lo scopo della norma, finalizzata alla rapida immissione del custode nella gestione dell'immobile. La suddetta interpretazione restrittiva è a fondamento della prassi di quei tribunali che dispongono la sostituzione del custode, ex art. 559, comma terzo, c.p.c., per omesso deposito del rendiconto trimestrale con il decreto di nomina dell'esperto ex art. 68 c.p.c. e di fissazione dell'udienza di comparizione per l'udienza di cui all'art. 569 c.p.c. Va poi chiarita la portata dell'espressione usata dal legislatore nella parte in cui afferma che l'ordinanza di nomina non è impugnabile. La giurisprudenza ha sul punto sempre escluso qualsiasi possibilità di sindacare i provvedimenti del giudice dell'esecuzione in riferimento alla nomina ed alla sostituzione del custode, ritenendo tali ordinanze atti non esecutivi perché volti alla migliore conservazione ed amministrazione dei beni pignorati e non all'attuazione della pretesa esecutiva (Cass. Civ., n. 3179/62). In particolare, è stato ritenuto che l'ordinanza di nomina del custode terzo non è ricorribile in Cassazione ex art. 111 Cost., perché priva di contenuto decisorio (Cass. Civ., n. 6812/96). Va però chiarito se la inoppugnabilità sancita dal legislatore implichi in senso assoluto la inopponibilità agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., che, secondo alcuni, appare inopportuna perché il riferimento alla natura amministrativa e conservativa dell' ordinanza in materia di custodia non esclude la sua natura di atto processuale e di espressione della funzione giurisdizionale (tesi minoritaria). Solo se si ammette la natura prettamente esecutiva di tali provvedimenti deve necessariamente ritenersi possibile il controllo sulla legittimità dell'atto con riferimento all'esistenza dei presupposti di legge per la sua emanazione, attraverso lo strumento dell' opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. Dalla inoppugnabilità dell'ordinanza conseguirebbe l'irrevocabilità, ma in senso contrario è stato osservato che la norma sopra citata, dopo il richiamo all'art. 176 c.p.c., reca l'inciso "in quanto applicabile", in tal modo aprendo la strada anche ad una opzione interpretativa di segno contrario a sostegno della quale sta il disposto normativo del terzo comma dell'art. 559 c.p.c. che prevede espressamente una ipotesi di modifica o revoca dell'ordinanza di nomina. In realtà, appare opportuno distinguere il provvedimento di revoca del custode precedentemente nominato (sicuramente ammissibile) dalla revoca del provvedimento di nomina, la quale non sembra configurabile. Quanto alla nomina ed all’accettazione, il sistema può essere così ricostruito: 16 la facoltà del soggetto nominato di rifiutare la custodia del bene pignorato può evincersi dalla assenza di una norma che sancisca l'obbligo di assumere l'incarico, come invece accade per i consulenti tecnici ed i periti (v. art. 63, comma primo, c.p.c.); a diversa conclusione si deve giungere, invece, per la designazione dei soggetti indicati dall'art. 559, comma quarto, c.p.c.: non sembra, infatti, che la lettera della norma lasci spazio per ritenere facoltativa l'assunzione dell'incarico di custode né per l'I.V.G., che addirittura è l'unico soggetto nominabile in assenza di delega, né per il professionista delegato, che ha l'obbligo di accettare anche la custodia ove il giudice dell'esecuzione gli attribuisca pure tale incombente; l’obbligatorietà della connessione custodia-delega non esclude, tuttavia, che possano adottarsi moduli organizzativi, quali la c.d. delega frazionata; non sembra, invece, necessario che l'accettazione sia espressa in forma scritta. 7. I compiti, i poteri e le funzioni. Il contenuto "elastico" della custodia. Sotto il profilo soggettivo, l'avere svincolato, con l'introduzione della sostituzione obbligatoria, le funzioni ed i compiti del custode dalla figura del debitore esecutato, ha rappresentato un primo decisivo punto di svolta ed un indispensabile presupposto per garantire l'effettività di un istituto che il legislatore ha voluto ripensare ex novo. Sotto il profilo oggettivo dei contenuti, anche il disposto dell'art. 560 c.p.c. individua le funzioni ed i poteri in modo discontinuo con il passato. Accanto alla tradizionale funzione di conservazione ed amministrazione, il legislatore della novella ha individuato una funzione del tutto inedita, quella di ausiliario per la liquidazione del compendio pignorato, che stravolge completamente la nozione stessa di custodia giudiziaria, assimilandola più alla figura del curatore fallimentare che a quella del custode giudiziario secondo il modello dettato nelle disposizioni generali del codice. La tradizionale funzione si è così arricchita di altri compiti che, pur muovendo in diverse direzioni, mirano al perseguimento di un'unica finalità: ottenere che l'esecuzione forzata possa garantire dei risultati economici rilevanti. Nell'analizzare il concreto contenuto della custodia giudiziaria di nuovo conio, viene immediatamente in evidenza un dato: l’articolo 560 c.p.c. assegna soltanto un contenuto minimo alla delega, più limitato rispetto ai numerosi e dettagliati compiti che le best practices avevano elaborato per il custode al fine di rendere più efficace, rapida ed incisiva la liquidazione del bene. La tecnica del riformatore è, in questo caso, del tutto antitetica rispetto a quella utilizzata, ad esempio nell'art. 173 bis disp. att. c.p.c. per i compiti dell'esperto, norma estremamente dettagliata e specifica nell'indicare le attività ausiliarie attribuite all'esperto ex art. 68 c.p.c. Sono fuori, ad esempio, dal dettato normativo tutti gli adempimenti in tema di pubblicità legale. È ragionevole pensare che l'intenzione del legislatore sia quella di lasciare mano libera al giudice, attribuendo allo stesso la discrezionalità di ampliare o restringere la sfera di competenze del custode: quindi, il contenuto della custodia può variare nella ampiezza da giudice a giudice, da ufficio giudiziario ad ufficio giudiziario, in base alle diverse prassi applicative che via via si sono formate nei diversi tribunali italiani. In sintesi è possibile individuare un contenuto minimo di compiti del custode giudiziario, che sono stati individuati dal legislatore in relazione alla funzione gestoria ed alla funzione liquidatoria, attorno ai quali il giudice dell'esecuzione può configurare il modello elastico di custodia che meglio si attagli alle peculiari esigenze organizzative dell'ufficio, del circondario e delle singole procedure esecutive. 17 Vai poi sottolineato come nel diritto vivente la gestione attiva sia parte essenziale della funzione di custodia, in quanto finalizzata alla conservazione "economica" del bene ed alla sua migliore collocazione sul mercato immobiliare, nell'interesse dei creditori e dello stesso debitore esecutato. Dall'esperienza delle prassi innovative emerge, quindi, una variegata serie di attività che sono state enucleate nella prospettiva di piena valorizzazione delle potenzialità del ruolo del custode giudiziario ai fini della maggiore efficienza delle procedure esecutive, attività che tendono via via ad arricchirsi ed a caratterizzarsi, soprattutto in funzione di una migliore collocazione del bene nel mercato immobiliare: regolarizzazione amministrativa del bene; acquisizione di elementi informativi completi e certi sullo stato del bene e sugli eventuali diritti di terzi opponibili; attività informativa dei confronti di dei terzi potenziali acquirenti; gestione delle visite all'immobile; liberazione del bene. In definitiva, dopo la riforma è possibile classificare i compiti attribuibili al custode in: A) compiti imposti ex lege: occuparsi della esecuzione dell'ordine di liberazione ed adoperarsi per far visionare gli immobili agli interessati ex art 560 c.p.c., ma anche (sulla base della ricostruzione proposta) provvedere alla conservazione ed amministrazione dell'immobile ai sensi dell'art. 65 c.p.c. con la diligenza richiesta dall’art 67 c.p.c.; B) compiti da ritenersi essenziali sulla base del diritto vivente, che il giudice deve affidare al custode, ma modulandoli in base alle specifiche esigenze, con un provvedimento autorizzatorio: si tratta di compiti non predefinibili, ma nel complesso riconducibili sia alle attività di gestione attiva (es. stipula di locazioni o altri contratti), collegate cioè alla conservazione del valore economico e di scambio del bene, sia a quelle attività di promozione per la collocazione del bene sul mercato (es. consulenza agli aspiranti offerenti sulle modalità di partecipazione alla vendita giudiziaria o sull' erogazione dei mutui agevolati, verifica della congruità della stima dell'esperto ai fini della determinazione del prezzo di vendita ecc.); C) compiti non essenziali che il giudice può affidare al custode ritenendone l'utilità sulla base di una valutazione discrezionale in relazione alle peculiari esigenze dell'ufficio ovvero della singola procedura, ex art. 484 c.p.c.: effettuazione delle operazioni di pubblicità; tutte le cd. attività ausiliarie del custode, tra cui in primis la cd. funzione transattiva (attività finalizzata a facilitare la definizione bonaria ed il soddisfacimento extragiudiziale delle pretese creditorie), ma anche l'assistenza in udienza, ovvero la verifica preliminare della documentazione allegata al fascicolo. In ogni caso, avendo riguardo alle funzioni svolte, è possibile ripartire le attribuzioni del custode tra: compiti attinenti all'amministrazione e conservazione del bene (cd. funzione gestoria); compiti precipuamente finalizzati alla liquidazione del cespite (cd. funzione liquidativa). 8. L'accesso all'immobile ed il contenuto della prima relazione. L'accesso all'immobile pignorato rappresenta un adempimento essenziale e preliminare per il corretto svolgimento delle attività, non solo per lo svolgimento di quelle di conservazione ed amministrazione, ma anche per la funzione di ausiliario alla liquidazione dell'immobile. 18 Va tuttavia chiarito che, contrariamente a quanto sostenuto nelle disposizioni generali diffuse in alcuni uffici giudiziari, il momento dell'accesso non va considerato come il momento in cui insorgono le responsabilità: a tali fini deve invece ritenersi rilevante solo il provvedimento di sostituzione. Nella prassi della maggior parte degli uffici giudiziari è, in ogni caso, richiesto al custode di procedere all'accesso dell'immobile entro un termine prefissato, solitamente molto breve, dal conferimento dell'incarico. Se il debitore esecutato non è collaborativo, si pone la necessità di effettuare un accesso forzoso all'immobile, la cui possibilità e legittimità va valutata in relazione allo stato di occupazione del bene. Va preliminarmente chiarito sul punto che deve essere tenuta ben distinta la nozione di accesso e custodia: il primo, infatti, ha carattere temporaneo ed è finalizzato esclusivamente ad effettuare il primo sopralluogo e le successive attività ispettive che possono condurre alla procedura di rilascio in esecuzione dell'ordine di liberazione emesso dal giudice. Se la detenzione del bene è in capo al debitore esecutato, ovvero ad un occupante sine titulo o ad un soggetto munito di titolo non opponibile, l’accesso forzoso sarà effettuato solo con l'ausilio di un fabbro e l'assistenza della forza pubblica, ex art. 68 c.p.c. Quindi, diversamente da quanto accade per la liberazione definitiva del bene, per il semplice accesso finalizzato al sopralluogo il custode può procedere direttamente, senza l'intervento dell'ufficiale giudiziario. In tale caso, infatti, l'accesso forzoso costituisce estrinsecazione dell'attività esecutiva e trova il suo fondamento giuridico nell'effetto di "interversione" che il pignoramento determina sul possesso del debitore esecutato, che perde il libero possesso e godimento privatistico del bene ed acquista una detenzione iure pubblico. Il ricorso all' assistenza della forza pubblica è autorizzato dal giudice dell'esecuzione con un provvedimento munito di efficacia esecutiva intrinseca (che nella prassi è contenuto in una ordinanza contenente le direttive generali dell'incarico emessa ex ante all'atto della nomina). Nell'ipotesi in cui il bene sia occupato da un terzo in forza di contratto opponibile, il custode subentra nell’identica posizione del debitore ed ha gli stessi poteri di ispezione e, come tale, deve munirsi di un provvedimento cautelare che gli accordi l'autorizzazione all' accesso forzoso previo riconoscimento del diritto ad ispezionare il bene locato. Se l’accesso deve avvenire su un bene gravato da diritto reale (usufrutto, uso, abitazione, assegnazione della casa coniugale) opponibile, secondo alcuni l’accesso forzato sarebbe precluso; altri, invece, valorizzano il disposto dell'art. 262, comma secondo, c.p.c. (che disciplina i poteri del giudice istruttore in tema di ispezione sui luoghi) quale espressione di un principio generale valevole anche al di fuori del processo di cognizione ed estensibile anche alle attività poste in essere dagli ausiliari del giudice e, pertanto, sostengono che il giudice dell'esecuzione potrebbe, in tali ipotesi, comunque disporre l'accesso forzoso anche nei confronti di "persone estranee al processo", sentite, se possibile, queste ultime e prendendo, in ogni caso, "le necessarie cautele per la tutela dei loro interessi". In effetti, non convince la tesi di quanti negano in tali casi il potere di disporre l'accesso forzoso, ritenendo tale attività non strettamente indispensabile in considerazione della natura del diritto pignorato: anche la collocazione della nuda proprietà sul mercato presuppone la necessità di far visionare lo stato e la consistenza dell'immobile con il conseguente obbligo del custode ex art. 560, comma quinto, c.p.c. L'adempimento di questo particolare compito costituisce un preciso obbligo del custode ed è sanzionato con la sostituzione, ex art 559, comma terzo, c.p.c., ed implica necessariamente la facoltà di accesso all'immobile. 19 Sarebbe pertanto incoerente imporre un obbligo al custode e negargli al tempo stesso la possibilità di adempiervi. Anche in caso di immobile in comproprietà con soggetti non esecutati deve ritenersi possibile l’accesso tenendo conto del disposto dell’art. 600 c.p.c. che sostanzialmente attribuisce al giudice dell' esecuzione il potere di disporre la vendita dell'intero immobile, previa instaurazione di un giudizio di divisione quale subprocedimento incidentale dell'esecuzione. In tali casi, deve ritenersi che i poteri del custode ex art. 560 c.p.c. debbano avere ad oggetto l'intero immobile. Nel diritto vivente, il primo sopralluogo del custode ed i relativi adempimenti sono stati codificati in appositi provvedimenti autorizzatori ed ordinatori emessi contestualmente al provvedimento di sostituzione del debitore e nomina del custode giudiziario terzo, che, mutatis mutandis, hanno nei vari uffici pressoché identico tenore. In sede di primo accesso (in molti tribunali è assegnato termine di 20 giorni dall'accettazione dell'incarico per tale adempimento) il custode, ritirata in cancelleria copia della relazione di stima, si presenta con copia del provvedimento di nomina e: verifica, in primo luogo, se il bene è occupato dal debitore esecutato ovvero da terzi; illustra quali sono le sue funzioni, in cosa consiste la sua attività e quali sono i doveri dell'occupante; ove l’immobile sia occupato dal debitore e dai suoi familiari, il custode comunica la data della vendita o la data dell’udienza per la vendita e fa presente che è ancora possibile evitare la vendita prendendo contatto con tutti i creditori (e non con il solo procedente) proponendo un accordo nel più breve tempo possibile (a tal fine il custode fornirà al debitore il nome di tutti gli avvocati); che è nel suo interesse pervenire a un eventuale accordo nel più breve tempo possibile, e ciò al fine di evitare le ulteriori spese della procedura e in particolare le spese di pubblicità e il progressivo aumento del compenso del custode; se l'immobile risulta occupato da terzi, il custode chiede in base a quale titolo essi occupino il bene ed acquisisce, se esistente, il contratto di locazione registrato o l'eventuale diverso titolo; in caso di locazione senza contratto scritto, acquisisce ogni utile elemento in ordine alla data di inizio della occupazione (es. certificato di residenza storico, contratti di fornitura di servizi ecc.); ove emerga l'esistenza di contratto opponibile, il custode verifica quale sia la prossima data di scadenza, provvede a inviare immediatamente a mezzo raccomandata la relativa disdetta, comunica la circostanza al giudice e ai creditori al fine di una eventuale azione giudiziale; in ogni caso, il custode provvede, nel corso dell'accesso, a farsi sottoscrivere la dichiarazione del terzo occupante; ove non venga esibita alcuna copia o se il contratto non è opponibile, il custode è tenuto a darne comunicazione immediata al giudice allegando alla stessa bozza dell'ordine di immediata liberazione; il custode accerta, interpellando l'amministratore del condominio, l'importo medio annuo delle spese condominiali e l'ammontare delle spese condominiali dovute per l'anno in corso e per quello precedente (trattandosi di spese per le quali rispondono anche gli acquirenti in solido); il custode comunica agli occupanti che essi non devono in alcun modo ostacolare l'attività del custode; che nei giorni preventivamente concordati l'occupante deve essere in loco per 20 consentire la visita del bene; che dovrà provvedere al regolare pagamento delle spese condominiali nelle more della procedura; che, in caso di mancata collaborazione o di inadeguata conservazione del bene pignorato, il giudice potrà disporre l'immediata liberazione dell'immobile; che il giorno dell' aggiudicazione il giudice ordinerà comunque il rilascio del bene; infine, il custode effettua il sopralluogo dell'immobile verificando e documentando opportunamente lo stato di manutenzione dello stesso e provvedendo a segnalare al giudice eventuali necessità di urgente manutenzione. In alcuni tribunali è fatto carico al custode di verificare anche la corrispondenza dello stato dei luoghi rispetto alla relazione di stima e di effettuare fotografie che saranno allegate alla apposita relazione indirizzata al giudice dell'esecuzione. Eseguito l'accesso, il custode invierà una sintetica comunicazione a tutti i creditori e trasfonderà il contenuto dei propri accertamenti in apposita relazione scritta che depositerà al giudice dell' esecuzione per le determinazioni di sua competenza. 9. La funzione gestoria. La riforma ha sicuramente incentrato la propria attenzione sulla figura del custode nella fase di liquidazione dell'immobile. Ciò non toglie, tuttavia, che la funzione gestoria sia essenziale e strategica per l’efficacia stessa del processo esecutivo. Infatti, in quegli uffici giudiziari dove il mercato immobiliare è estremamente vivace e dove si è già pervenuti all'obbiettivo del sensibile contenimento dei tempi del processo esecutivo, tra il momento della nomina del custode e la sottoscrizione del decreto di trasferimento non passano che pochissimi mesi. Ben più difficile, invece, può divenire la posizione del custode, e più gravosi gli oneri su di esso incombenti, in quegli uffici giudiziari in cui il mercato immobiliare è poco vivace, vuoi per la tipologia di immobili e la loro allocazione, vuoi per condizionamenti ambientali la cui origine è a tutti nota. In tali uffici la percentuale di in vendibilità può raggiungere anche il 50% e l'applicazione generalizzata della custodia (o meglio del custode terzo) deve confrontarsi con problematiche di gestione ed amministrazione di immobili che si sviluppano per lunghi ed, in alcuni casi, per lunghissimi periodi. In tali contesti, la parte gestoria assume una connotazione ed un peso che spesso sopravanza di gran lunga il momento puramente liquidatorio e l'istituto assume una connotazione, in termini di durata, che lo rende difficilmente distinguibile dall'amministrazione giudiziaria. Si è detto che, ai sensi del comma quinto dell'art. 560 c.p.c., il custode è tenuto a svolgere tutte quelle attività e quegli adempimenti che attengono all’amministrazione ed alla gestione degli immobili pignorati. La norma costituisce una specificazione del principio generale dettato dall'art. 65, comma 1, c.p.c. in cui è stabilito che "la conservazione e l' amministrazione dei beni pignorati e sequestrati sono affidate a un custode". Costituisce compito primario ed imprescindibile della custodia l’amministrazione conservativa, o conservazione in senso stretto, che consiste nel mantenimento della integrità materiale del bene e nella salvaguardia del suo valore economico e della sua utilità. Per assolvere con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 67 c.p.c.) e con la buona fede richiesta, il custode è tenuto ad effettuare l'accesso all'immobile per un primo sopralluogo e successivamente a compiere visite periodiche per verificarne le condizioni e per controllare l'eventuale stato di occupazione (dal debitore non autorizzato o da terzi privi di titolo). 21 Compete, quindi, all'ausiliario l'adozione di mezzi adeguati ad evitare intrusioni o danneggiamenti, quali, a titolo esemplificativo, la sostituzione della serratura, la chiusura di vani aperti, la recinzione di terreni incolti, o (in certi casi limite) persino la predisposizione di dispositivi di allarme. Incombe sul custode un dovere di sorveglianza, sia sulla condizione dell'immobile, al fine di rilevare tempestivamente eventuali pericoli che possano scaturire dalla cosa in custodia (ad esempio lo stato di inagibilità e pericolo di crollo, presenza di pozzi o buche), sia sull'operato dell'occupante. In relazione a tali doveri, peraltro, occorre distinguere il caso in cui il debitore, nonostante la nomina del custode, sia ancora nella detenzione materiale del bene da quello in cui l'immobile sia invece libero. Nel primo caso, si deve ritenere che il custode non possa ritenersi responsabile di eventuali danneggiamenti che il debitore apporti al bene durante la detenzione. In questa ipotesi si stabilisce un evidente concorso di poteri di fatto del custode e del debitore, sicché è naturale concludere che almeno una parte dei doveri di custodia, segnatamente quelli che attengono alla conservazione materiale dell'immobile, continuino a far capo al debitore, al quale incombe, se non il dovere di provvedere alla manutenzione, quanto meno quello di comunicare gli interventi necessari al custode o al giudice. Alla funzione di amministrazione conservativa, finalizzata alla conservazione della integrità materiale del bene, devono ricondursi anche gli interventi di manutenzione ordinaria e pure quelli di manutenzione straordinaria, che il custode ha il dovere di porre in essere quando siano funzionali alla salvaguardia del valore economico del bene. Il custode potrà, inoltre, essere autorizzato a provvedere alla disinfestazione o al pagamento delle utenze se ciò possa ritenersi funzionale non tanto alla conservazione del valore di scambio, quanto del valore d'uso del bene pignorato. In tal senso, potrebbero essere autorizzate anche opere di ripristino più gravose per mettere a profitto il bene nelle more del processo o in vista di una amministrazione giudiziaria. Dovere del custode, infatti, è non solo quello di preservare il valore economico di scambio del cespite pignorato (riferibile all'importo ricavato dalla vendita), ma anche di tutelare ed incrementare, se possibile, il suo valore d'uso che deve ritenersi compreso nell' oggetto del pignoramento ai sensi dell' art. 2912 c.c., laddove il riferimento ai "frutti" contenuto nella norma deve intendersi estensibile anche ai frutti civili e non solo ai frutti naturali (Cass. Civ., n. 20764/06). A tal fine, il custode deve provvedere alla riscossione dei canoni delle locazioni o degli affitti in corso, all'incasso delle indennità per ritardata restituzione ex art. 1591 c.c. e delle indennità di occupazione. Detto obbligo incombe dal provvedimento di nomina fino al decreto di trasferimento, momento in cui si realizza l'effetto traslativo in favore dell'aggiudicatario, ed ha per oggetto tutti frutti maturati dopo la trascrizione del pignoramento fino al decreto di trasferimento. Con riferimento ai frutti: il debitore risponde per quelli maturati dal pignoramento alla data di sostituzione; egli deve rimetterli alla procedura, pena il recupero coattivo ad opera del custode; il custode risponde per quelli maturati successivamente; il terzo, avendo avuto conoscenza legale del pignoramento con la trascrizione, è liberato se paga al debitore solo prima della trascrizione medesima. Ai sensi dell'art. 2912 c.c., qualora sia sottoposto a pignoramento un terreno agricolo, è riconducibile alla funzione di conservazione del valore d'uso la percezione dei frutti naturali, cioè la raccolta dei prodotti una volta giunti a maturazione. 22 Anche se la conservazione del cespite pignorato e del suo valore d'uso implica necessariamente un’attività gestoria, è comunque possibile individuare una categoria di compiti più propriamente riconducibili alla funzione di amministrazione. Rientrano nel novero delle attività di ordinaria amministrazione la vendita dei frutti naturali e la conclusione di contratti per la lavorazione del fondo agricolo finalizzata alla raccolta dei frutti e, secondo alcuni, anche la riscossione dei canoni di locazione (che vanno più correttamente ricomprese nella attività di conservazione del valore d'uso). Secondo le indicazioni contenute nelle circolari di alcuni tribunali, rientrerebbero tra i compiti di ordinaria amministrazione attribuiti al custode anche il pagamento degli oneri condominiali ed il pagamento dei tributi sull'immobile con presentazione delle relative dichiarazioni. 10. La stipula dei contratti di godimento. Il più rilevante compito di amministrazione cd. gestoria spettante al custode va individuato: nella gestione dei contratti di godimento stipulati dal debitore sull'immobile ed opponibili alla procedura, con particolare riguardo alle attività connesse a consentire, ovvero ad impedire (con la disdetta), la loro rinnovazione; nella stipulazione di contratti di godimento aventi ad oggetto il compendio pignorato. L'art. 560, comma 2, c.p.c. consente al custode, su autorizzazione del giudice dell'esecuzione, la stipula di contratti di locazione aventi ad oggetto l'immobile pignorato. Sebbene la norma faccia esplicito riferimento alla sola locazione, la ratio della disposizione induce a ritenere che la stessa sia applicabile a tutti i contratti di godimento ed agli altri negozi costitutivi di diritti. Il potere del giudice di autorizzare la stipula è assolutamente discrezionale e la previa audizione delle parti ex art. 171 disp. att. c.p.c. non è vincolante, tanto è vero che spesso si fa ricorso al cd. silenzio-assenso o al contraddittorio scritto senza fissare apposita udienza. In effetti, attraverso il provvedimento autorizzatorio il giudice dell'esecuzione è in grado di imprimere alla custodia una vocazione più o meno indirizzata verso la gestione attiva del patrimonio e gli consente di modulare l'intervento della procedura in relazione alle concrete esigenze del caso singolo. L'opportunità di addivenire alla stipula di un contratto di locazione o di procedere alla sua rinnovazione non è, infatti, determinabile in astratto. In proposito non sono condivisibili le affermazioni di principio sulla inopportunità di autorizzare locazioni o sulla necessità di autorizzare solo locazioni temporanee dell'immobile e ciò sul presupposto che la presenza di un locatario è sempre un disincentivo, perlomeno psicologico, alla partecipazione alla gara. La stipula di un contratto di locazione, infatti, può essere conveniente quando l'immobile si trova in una zona in cui il mercato immobiliare è piuttosto depresso o, in ogni caso, in tutte le ipotesi in cui la scarsa appetibilità del cespite lascia immaginare il rischio di una lunga serie di tentativi di vendita infruttuosi. Creare una redditività del cespite, oltre a essere sicuramente funzionale alla conservazione del suo valore d'uso, assume, in certi contesti, una precisa finalità anche in chiave liquidativa perché può incrementare l’appetibilità stessa di quel cespite sul mercato immobiliare, magari poco proiettato verso gli acquisti di prima casa e orientato, piuttosto, verso gli investitori immobiliari. Il difetto di autorizzazione non comporta la nullità assoluta del negozio, ma la sua inopponibilità ai creditori, all’aggiudicatario ed al debitore in caso di estinzione della procedura. Il contratto di godimento stipulato dal custode ai sensi dell'art. 560 c.p.c., per il particolare regime autorizzatorio cui è sottoposto e per il collegamento funzionale con il processo 23 esecutivo, ha sicuramente una speciale natura giuridica, che ne legittima la derogabilità alle discipline vincolistiche dettate in materia di locazione di immobili e di affitto di fondi rustici. La locazione stipulata dal custode non resta assoggettata alla normativa speciale, con la conseguenza che non sopravvive alla vendita e non è opponibile all'acquirente in executivis (Cass. Civ., Sez. Un., n. 459/94). Sia la dottrina che la giurisprudenza riconoscono validità a quelle clausole, abitualmente inserite nei contratti di locazione stipulate dai custodi giudiziari, che, ai sensi dell'art. 1603 c.c. ed in deroga alla normativa speciale, prevedono la risoluzione della locazione al momento dell’aggiudicazione. Il custode giudiziario può, infine, ricorrendone le condizioni e su autorizzazione del giudice, stipulare locazioni ad uso turistico. Va poi analizzato in che termini la disciplina vincolistica delle locazioni interagisca con la peculiare disciplina processuale dettata dall'art 560 c.p.c. per i contratti stipulati sull'immobile in corso di esecuzione quando non si debba procedere alla stipula di un contratto ex novo, ma, piuttosto, alla rinnovazione dei contratti di godimento già in essere. In particolare, ci si chiede se l'autorizzazione del giudice sia necessaria anche in ipotesi di rinnovazione tacita. La questione si pone in concreto per i contratti stipulati anteriormente al pignoramento e venuti a scadenza successivamente alla trascrizione del gravame. Si ritiene prevalentemente che, in tal caso, poiché la mancata disdetta equivale al perfezionamento di un nuovo negozio per facta concludentia, occorra sempre l’autorizzazione ex art. 560 c.p.c. In realtà pare opportuno distinguere fra locazioni ad uso abitativo e locazioni ad uso commerciale. Con riferimento alle prime, poi, occorre distinguere fra: contratti stipulati (ovviamente prima della trascrizione del pignoramento) ai sensi della legge n. 392/78, i quali conservano efficacia per il periodo pattuito, scadono al quarto anno senza necessità di disdetta da parte del custode e possono essere rinnovati solo con autorizzazione del giudice, atteso che la proroga non è un effetto legale del contratto; contratti stipulati dopo il 01 gennaio 1999 (contrati ex legge n. 431/98), i quali scadono al terzo anno (se a canone convenzionato) o al quarto anno (se a canone libero), ma solo a condizione che il custode invii, almeno sei mesi prima della scadenza, la disdetta, intervenendo altrimenti una proroga ex lege per altri due o quattro anni. Comunque il custode giudiziario deve assicurare la conservazione e la fruttuosa gestione della cosa pignorata previa autorizzazione del giudice dell'esecuzione, sicché è legittimato ad inviare la disdetta ed a promuovere la procedura di rilascio per finita locazione. Le norme citate, rettamente interpretate nel senso esposto, non suscitano dubbi di incostituzionalità per violazione dell'art. 3 Cost., in quanto la peculiare funzione del pignoramento nell'ambito del processo di esecuzione giustifica la particolarità della sua disciplina in cui si inquadra in modo armonico e coerente il suddetto secondo comma dell'art. 560 c.p.c. (Cass. Civ., n. 26238/07). Per i contratti di locazione ad uso non abitativo, invece, il rinnovo alla prima scadenza è un effetto legale: il custode, quindi, dovrà subire il rinnovo senza che occorra l’autorizzazione del giudice. Ciò non toglie che il custode giudiziario possa, in qualità di rappresentante d'ufficio del patrimonio separato rappresentato dall'immobile pignorato, su autorizzazione del giudice dell'esecuzione, avvalersi della facoltà di diniego del rinnovo prevista in favore del locatore 24 che intende vendere l'immobile a terzi, ai sensi dell' art. 3, lettera g), della legge 431/98, inviando tempestiva disdetta (sei mesi prima della scadenza). La possibilità di disdetta da parte del custode in luogo dell'esecutato è fuori di dubbio perché egli, sostituendo il debitore nella amministrazione, ne deriva anche i poteri e le facoltà; così come non può dubitarsi in caso di vendita forzata ricorra la finalità di porre in vendita l'immobile. La legge richiede l'ulteriore presupposto che il locatore non abbia altri immobili ad uso abitativo da porre in vendita, ma autorevole dottrina ha giustamente rilevato che nel caso di vendita forzata detto requisito deve essere riferito non all'intero patrimonio dell'esecutato, ma esclusivamente al compendio pignorato. 11. La funzione liquidativa. L'art. 560, ultimo comma, c.p.c. stabilisce che il giudice dell'esecuzione, con la medesima ordinanza che dispone la vendita ex art. 569 c.p.c., stabilisce "le modalità con cui il custode deve adoperarsi affinché gli interessati a presentare offerta di acquisto esaminino i beni in vendita". Si è ritenuto che detta disposizione presenti una carica particolarmente innovativa ed è stato osservato che non solo appare rilevante nell'impatto pratico, poiché consente ai soggetti interessati all'acquisto del bene pignorato di prenderne materialmente visione, ma anche sotto il profilo sistematico. Il custode non vede più le sue funzioni circoscritte alla conservazione ed alla amministrazione dei beni, ma ad esse se ne aggiunge una del tutto nuova: la funzione liquidativa. Proprio la difficoltà di accesso all’immobile, infatti, rendeva il sistema delle vendite forzate inadeguato ed imponeva la rimeditazione delle funzioni della custodia. Non a caso, infatti, le vendite fallimentari, ove il curatore era anche custode del bene, avevano esiti migliori e durata molto inferiore. La funzione va svolta evitando che i potenziali acquirenti possano entrare in contatto fra loro e garantendo l’accompagnamento durante le visite. 12. La funzione transattiva e gli ulteriori compiti. In alcuni uffici giudiziari sono state attribuite al custode giudiziario ulteriori compiti che non possono essere ricondotti, se non in via indiretta, alle funzioni normativamente attribuite a quest'ultimo. È stato, pertanto, correttamente sostenuto in dottrina che, in relazione a queste attività, il custode deve essere più propriamente qualificato come semplice ausiliario, ex art. 68 c.p.c. Solo a titolo esemplificativo, sono state affidate al custode le seguenti attività: l'esame della completezza della documentazione ipocatastale in atti in ausilio alle determinazioni dell'esperto ed in collaborazione con quest'ultimo; gli accertamenti anagrafici per la corretta individuazione delle parti, dei comproprietari, di eventuali eredi dell'esecutato; l'estrazione di copia di tutti gli atti irripetibili presenti nel fascicolo, muniti degli eventuali avvisi di ricevimento per la formazione del subfascicolo del professionista delegato; l'estrazione di una copia dell'intero fascicolo da conservare presso lo studio del custode a scopo archivio e che sarà utilizzata per la ricostruzione del fascicolo in caso di smarrimento; il controllo periodico dell'integrità e della completezza del fascicolo, nonché la segnalazione al giudice eventuali smarrimenti o ritardi per garantire il regolare andamento della procedura esecutiva; 25 l'onere di comparizione a tutte le udienze per l'assistenza al giudice e la relazione orale alle parti sulle problematiche della custodia; la redazione della bozza di ordinanza di vendita e dell' ordine di liberazione; l'acquisizione delle note di precisazione del credito e la predisposizione della bozza del progetto di distribuzione; l'elaborazione dei conteggi, con particolare riferimento al calcolo degli interessi a scalare in caso di rateizzazione, all'udienza ex art. 495 c.p.c. per la conversione del pignoramento. A rigore, non rientra tra le funzioni tipiche del custode neppure quella di occuparsi, in fase di rilascio dell'immobile, della posizione in cui viene a trovarsi il debitore con l'esecuzione dell' ordine di liberazione. Il riferimento è alle prassi di alcuni tribunali in cui sono date al custode specifiche istruzioni sui soggetti da contattare e da attivare (es. servizi sociali del comune di competenza) per far fronte a situazioni di disagio familiare o sociale, quali presenza di figli minori, condizioni di particolare indigenza o presenza di portatori di handicap. Tra le funzioni non strettamente attinenti alla custodia e tuttavia assegnate a tali ausiliari nella prassi, va annoverata la cd. funzione transattiva, che consiste nell'affidare al custode giudiziario lo specifico incarico di porre in contatto il debitore esecutato con i propri creditori, adoperandosi per favorire il più possibile il pagamento spontaneo o eventuali transazioni tra le parti, fino a rivestire, in certi casi, un ruolo attivo nelle trattative. Occorre in primo luogo interrogarsi circa la legittimazione del custode a porre in essere comportamenti finalizzati alla definizione bonaria delle pendenze dell'esecutato. Quale ausiliario del giudice ex art. 68 c.p.c. e pubblico ufficiale rivestito di un munus publicum, può ritenersi che possa essere assegnata al custode questa funzione conciliativa che è sempre insita nella funzione giurisdizionale e che ben può essere demandata ad un ausiliario del giudice, come dimostrano le disposizioni contenute negli artt. 199, 200 e 696 bis c.p.c. (riferite al consulente tecnico). Ciò anche perché il sistema normativo pone il giudice dell'esecuzione a presidio anche degli interessi del debitore (ad esempio nell’ipotesi di riduzione del pignoramento) ed appare evidente che il primario interesse dell' esecutato è quello di sottrarsi all' esecuzione adempiendo alle obbligazioni per le quali l'azione esecutiva è stata intrapresa. 13. La legittimazione processuale. L'art. 560, comma 5, c.p.c. attribuisce espressamente al custode il compito di esercitare "le azioni previste dalla legge ed occorrenti a conseguirne la disponibilità". Con il dettato normativo, introdotto con la riforma del 2006, si superano le incertezze della dottrina e della giurisprudenza circa i poteri processuali del custode. Sembra poi chiaro che sia necessaria, in ogni caso, l’autorizzazione del giudice per promuovere qualsiasi azione giudiziaria, fatta eccezione, naturalmente, per la procedura esecutiva di rilascio ex art. 560 c.p.c. L'inciso "previa autorizzazione", infatti, è senza dubbio riferibile sia all’amministrazione, sia all’esercizio delle azioni. Va poi chiarito che l'autorizzazione del giudice ad agire in giudizio viene rilasciata al custode giudiziario come organo della procedura e non come persona fisica. Cosa accade se il giudizio è intrapreso dal custode senza la necessaria autorizzazione? Sembra da condividere la tesi maggioritaria, secondo cui rileverebbe un vera e propria ipotesi di incapacità processuale, la quale si contrappone a quella minoritaria, secondo cui l'omessa autorizzazione non inciderebbe sui rapporti esterni alla procedura e, pertanto, il convenuto sarebbe carente di interesse ad eccepire il difetto di autorizzazione. 26 In realtà, il problema vero è quello di stabilire quali siano le azioni per le quali può ritenersi astrattamente legittimato il custode (ferma restando la necessità di ottenere l'autorizzazione del giudice per intraprenderle). Stando alla lettera dell'art 560, comma 5, c.p.c., le azioni ritenute esperibili sembrerebbero solo quelle occorrenti per conseguire la disponibilità materiale dell’immobile. E’ oramai pacifico, tuttavia, che la legittimazione attiva deve estendersi anche a tutte quelle azioni che siano attinenti alle nuove funzioni di conservazione, gestione ed amministrazione del bene. Il custode, a differenza del curatore fallimentare, atteso che il debitore esecutato non perde, per effetto del pignoramento, la propria capacità giuridica, non è un sostituto del debitore, ma nemmeno è un rappresentante dei creditori: egli è, invece, il rappresentante di un ufficio, il titolare di un munus publicum avente ad oggetto la gestione di un patrimonio autonomo e separato. E’ dunque in relazione a detto patrimonio che va costruita la legittimazione del custode, che trova il suo fondamento nel ruolo istituzionale che gli è proprio e che, pertanto, è connessa, ed al tempo stesso circoscritta, all'ambito delle sue funzioni. Appare chiaro, pertanto, che l'estensione della legittimazione processuale del custode, in quanto connessa alle funzioni attribuite dall'ordinamento all'ausiliario, risente della diversa interpretazione del significato attribuito alle nozioni di conservazione, amministrazione e gestione. La giurisprudenza, già prima della novella del 2006, si è evoluta verso una visione sempre più allargata delle nozioni di "conservazione e amministrazione", che si estende anche alla salvaguardia del valore economico di scambio e del valore d'uso del bene pignorato, la quale ha portato a maggiori aperture sulla legittimazione processuale del custode. Si è ammessa, ad esempio, la legittimazione sulla domanda per ottenere il rilascio dell'immobile pignorato nei confronti dell'occupante sine titulo (Cass. Civ., n. 2068/86), oppure sulla tutela possessoria dalle molestie poste in essere da terzi (Cass. Civ., n. 1877/84) o, infine, sulla domanda per il riconoscimento della indennità per ritardata consegna dell'immobile. Attualmente, dopo l'introduzione delle modifiche normative, deve ulteriormente aversi riguardo alla nozione di gestione attiva volta ad incrementare le potenzialità economico funzionali del bene che il diritto vivente ha assegnato alla figura e, naturalmente, alla nuova funzione liquidativa attribuita normativamente al custode e finalizzata alla migliore collocazione dell'immobile sul mercato. Seguendo, pertanto, il principio per cui al custode spetta la legittimazione per tutte le azioni relative ai suoi compiti istituzionali, è stata riconosciuta al custode la legittimazione ad agire per ottenere la risoluzione del contratto di godimento, proponendo domanda di sfratto per morosità o di licenza per finita locazione. Ancora, è stata ritenuta la legittimazione del custode a far dichiarare l'inopponibilità del contratto di locazione stipulato dal terzo non proprietario e richiedere la condanna al rilascio dell'immobile detenuto senza titolo. In dottrina è stata poi sostenuta la legittimazione processuale del custode in riferimento all'azione di accertamento della inopponibilità della locazione ex art. 2923, comma terzo, c.c., o per far valere la simulazione assoluta del contratto di godimento. Connessa a tale potere, nella misura ad esso corrispondente, è la legittimazione a stare in giudizio come convenuto. 14. L'ordine di liberazione. 27 Le prassi giurisprudenziali che a suo tempo valorizzarono la figura del custode come lo strumento per il superamento della "frattura" esistente tra il mercato delle vendite giudiziarie e quello commerciale, avevano altresì individuato come ulteriore fondamentale chiave di volta la necessità di garantire l’immediata liberazione dell’immobile posto in vendita. In effetti, la circostanza che il debitore esecutato continuasse ad abitare l'immobile espropriato e che, dunque, alla perdita della disponibilità giuridica del bene non si affiancasse anche la sottrazione immediata della disponibilità concreta, determinava, prima della riforma, negli uffici dove non erano state adottate prassi virtuose, la inevitabile conseguenza che anche dopo l'emissione del decreto di trasferimento era difficile entrare in possesso del bene. L'acquirente, infatti, doveva necessariamente intraprendere azione di rilascio ex art. 605 c.p.c. con il decreto di trasferimento in forma esecutiva, con tutti i disagi, le lungaggini e le incertezze processuali che questo comportava. Per questa ragione, nelle best pratices si giunse alla elaborazione pretoria di un autonomo provvedimento anticipato di rilascio del bene. Il legislatore ha fatto proprie le indicazioni derivanti da tali prassi prevedendo, all'art. 560, comma 3, c.p.c., che il giudice disponga, con ordinanza non impugnabile, la liberazione dell'immobile in due casi: quando nega al debitore l’autorizzazione a continuare ad abitare il cespite; quando provvede all’aggiudicazione o all’assegnazione. La prima previsione è fattispecie generale che attribuisce al giudice dell'esecuzione un ampio margine di discrezionalità; la seconda, invece, non presenta margini di discrezionalità, trattandosi di un potere-dovere vincolato. Tuttavia, poiché i certificati delle iscrizioni e delle trascrizioni ex art. 567, secondo comma, c.p.c. non sono in grado di escludere l'esistenza di locazioni opponibili al creditore pignorante (e perciò fondate opposizioni), sembra opportuno che la liberazione dell'immobile non sia mai disposta prima dell’esame della relazione dell’esperto. Nell'esercizio del suo potere discrezionale il giudice non potrà non tenere conto del fatto che il contenimento dei tempi per il processo entro i limiti di ragionevole durata è imposto dall'art. 111 Cost. e dall'esigenza di adeguare anche le procedure esecutive allo standard europeo, nonché dal costante trend della legislazione di rango primario. In termini pratici va poi posto in luce che l'anticipazione dei tempi di esecuzione evita che il protrarsi di compiti del custode, che portano ulteriori oneri per la procedura (da individuarsi quanto meno nel compenso dovuto all' ausiliario), possa interferire con la distribuzione del ricavato della vendita. Inoltre, per realizzare a pieno il valore reale del bene con l'aggiudicazione dell'immobile alla prima gara, occorre che gli interessati all'acquisto possano fare affidamento sulla sua consegna libero da persone e cose, in corrispondenza o a breve distanza dal pagamento del prezzo o, al più tardi, con l'emissione del decreto di trasferimento. L'ampiezza applicativa dello strumento esecutivo in parola è tuttavia sicuramente condizionata dall'estensione attribuita alla fattispecie, pure contemplata nel medesimo articolo, dell’autorizzazione al debitore di abitare l'immobile. Va subito detto che, rispetto alla precedente norma, l'applicabilità di questa disposizione ha una portata considerevolmente più limitata, in quanto, sebbene ai fini dell'accoglimento dell'istanza, anche nella attuale formulazione, la norma non esiga che l'esecutato di trovi in un vero e proprio stato di bisogno, a tenore della disposizione deve ritenersi che l'autorizzazione possa essere concessa solo all'esecutato e solo per fini abitativi. 28 Dalla interpretazione letterale, sistematica e teleologica della norma non può porsi in dubbio che tale previsione costituisca l'eccezione alla regola generale, costituita dalla liberazione dell'immobile staggito. In ogni caso, dalla necessità della previa audizione sancita dalla norma sembra evincersi anche che la forma del provvedimento (non impugnabile) non può che essere l'ordinanza. Quanto alla sua oppugnabilità, in considerazione della natura ordinatoria e non decisoria dello stesso, dovrebbe escludersi il ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost., mentre è dubbio l'utilizzo dell'opposizione ex art. 617 c.p.c. Il contraddittorio, inoltre, non deve essere necessariamente orale e deve ritenersi instaurato ogni qual volta il debitore abbia avuto la possibilità di partecipare all’udienza all’esito del quale è adottato il provvedimento. Circa la natura giuridica del provvedimento, si ritiene che, anche se può spiegare effetti nei confronti della parte debitrice e persino ultra partes, l'ordine di liberazione non abbia attitudine al giudicato ed abbia, pertanto, natura di provvedimento sommario, semplificato ed esecutivo, finalizzato ad agevolare la fase liquidatoria e fondato sul duplice presupposto della previa sostituzione del debitore nella custodia e della assenza di titoli opponibili al creditore pignorante. Dunque sono necessari due elementi: la sostituzione nella custodia; l’inesistenza di atti opponibili. Realizzata la fattispecie, l'emanazione del provvedimento non esige alcuna istanza di parte. Circa le modalità con cui il provvedimento deve essere adottato, non vi è una esplicita indicazione nella norma. Ove la liberazione non sia disposta contestualmente alla nomina del custode (in cui il contraddittorio è già instaurato), dovrebbe, pertanto, essere fissata l'udienza per la comparizione del debitore, del creditore istante e di quelli intervenuti. E’ pacifico, tuttavia, che il giudice possa prescindere da ogni convocazione ove sussistano gravi inadempimenti. Alcuni tribunali, addirittura, utilizzano la forma del decreto (prescindendo, quindi, dal contraddittorio), prendendo spunto dalle norme sull’emissione del decreto di trasferimento, che pure prevede l’ordine di liberazione. Quel che sembra imprescindibile è una sommaria istruzione avente ad oggetto la valutazione degli elementi costitutivi della fattispecie ed, in particolare, l'accertamento dell'esistenza di eventuali atti di disposizione (o di locazioni) opponibili al creditore pignorante. Destinatario dell' ordine è sempre e necessariamente il debitore, ma esso esplica efficacia potenzialmente erga omnes, atteso che l'art. 560, comma 4, c.p.c. attribuisce espressamente all'ordine di liberazione la natura di titolo esecutivo per il rilascio e dispone che lo stesso sia eseguito (necessariamente) "a cura custode anche successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento nell'interesse dell'aggiudicatario, se questi non lo esenta". Secondo l'opinione prevalente, al custode è conferito un potere - dovere di chiedere ed eseguire l’ordine di liberazione ed, in effetti, esso si traduce in un preciso obbligo a suo carico quale ausiliario del giudice, connesso alla sua funzione liquidativa. Obbligo imposto ex lege e, come si è detto, non soggetto ad autorizzazione e sottratto all'ordinario regime di esercizio delle azioni occorrenti per conseguire la disponibilità dell'immobile imposto dall'art. 560, comma quinto, c.p.c. Ai fini dell' opponibilità, va guardata la situazione giuridica dell'immobile al momento del pignoramento in virtù degli effetti del vincolo sanciti dagli artt. 2913 e seguenti c.c.: l’ordine, 29 dunque, è opponibile a tuti i soggetti che occupano l’immobile sine titulo e, proprio per questo motivo, si parla di potenziale efficacia erga omnes del provvedimento. 15. Le spese della custodia. Con riferimento alle attività che devono (o possono) essere compiute dal custode per l'amministrazione e la gestione dei beni pignorati, si pone il problema del reperimento dei fondi con i quali fare fronte alle relative spese. Nel caso in cui i beni pignorati non possano essere custoditi senza spese, queste debbono essere anticipate dal creditore procedente; ove il relativo provvedimento del g.e. manchi, le suddette spese debbono, secondo alcuni, essere anticipate dal custode. Salvo, ovviamente, che il g.e. non intenda dichiarare improcedibile l’esecuzione a causa del disinteresse manifestato dai creditori muniti di titolo. E’ ovvio che, ove il custode anticipi le somme, venendo in rilievo spese connesse ad un patrimonio separato, la successiva collocazione delle suddette non può che essere in prededuzione sul ricavato della vendita quale massa passiva del patrimonio separato ed in quanto intimamente connessa, sotto il profilo funzionale, alla sua gestione e conservazione. 16. Gli adempimenti fiscali. Secondo una parte della dottrina, tra i compiti del custode giudiziario rientrerebbero anche il pagamento dei tributi e la presentazione delle relative dichiarazioni. La giurisprudenza unanime, invece, ritiene che, fino all’emissione del decreto di trasferimento, tali oneri incombano sul debitore (I.M.U., I.R.PE.F.), con la sola esclusione di quelli che non presuppongono la titolarità del bene (registrazione contratti, I.V.A. ecc.). 17. L’assegnazione della casa familiare. Nel caso di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario dei figli minori per effetto di separazione o divorzio, si pongono notevoli problemi. In primis va evidenziato che possono verificarsi quattro ipotesi: a) provvedimento di assegnazione trascritto prima dell’ipoteca o del pignoramento; b) provvedimento di assegnazione trascritto dopo l’ipoteca, ma prima del pignoramento; c) provvedimento di assegnazione precedente alla trascrizione del pignoramento, ma non trascritto; d) provvedimento di assegnazione successivo al pignoramento. Se il provvedimento è trascritto prima dell’ipoteca e del pignoramento (ipotesi sub c) nulla quaestio: esso è opponibile ai creditori, e quindi all’aggiudicatario, fino alla sua estinzione. Il custode dovrà avvertire il g.e. e, se delegato alle vendite, dovrà curare che tale circostanza sia riportata nell’ordinanza di vendita, nell’avviso e nella pubblicità straordinaria. Se il provvedimento è successivo al pignoramento (ipotesi sub d) del pari non si pongono problemi: esso è inopponibile ai creditori ed all’aggiudicatario. Negli altri due casi (provvedimento di assegnazione trascritto dopo l’ipoteca, ma prima del pignoramento e provvedimento di assegnazione precedente alla trascrizione del pignoramento, ma non trascritto) occorre, invece, stabilire se possa trovare applicazione l’art. 2812 c.c., il quale prevede che, nell’ipotesi in cui vi sia un diritto di abitazione, uso o usufrutto il cui titolo sia trascritto prima del pignoramento, ma dopo l’ipoteca, l’ipotecario può far vendere la cosa come libera. Se, dunque, la norma dovesse trovare applicazione anche con riferimento all’assegnazione della casa familiare, potrebbe procedersi alla vendita ed il titolare dell’assegnazione potrebbe soddisfarsi solo sul ricavato, ma con postergazione rispetto al creditore ipotecario. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. Un., n. 11096/02), tuttavia, hanno optato per una tesi diversa, procedendo ad equiparare il diritto del coniuge assegnatario a quello del conduttore. 30 La Corte, dunque, ha affermato che: il provvedimento di assegnazione della casa familiare ha sempre data certa; pertanto, anche se non trascritto, lo stesso è sempre opponibile al creditore ed all’acquirente per un novennio, decorrente dalla data dell’assegnazione; se il provvedimento è pure trascritto prima del pignoramento, lo stesso è opponibile anche oltre il novennio. Anche in tali ipotesi, dunque, il custode dovrà avvertire il g.e. e, se delegato alle vendite, dovrà curare che tale circostanza sia riportata nell’ordinanza di vendita, nell’avviso e nella pubblicità straordinaria. IL RIPARTO. 1. INDIVIDUAZIONE DELLE MASSE. In sede di riparto, la prima operazione da effettuare consiste nell’individuare la massa oggetto del riparto stesso. Al riguardo, se vi è un solo immobile che è stato aggiudicato nella procedura, la massa coinciderà, evidentemente, con tale bene. Di contro, se vi sono più immobili aggiudicati nella medesima procedura, è necessario preliminarmente individuare le singole masse su cui l’unico o i diversi creditori intervenuti nella procedura dovranno essere soddisfatti. A tal fine, è in linea di massima opportuno considerare come singola massa l’importo ricavato dalla vendita di ogni singolo bene (1 immobile = 1 massa). Ciò non toglie, tuttavia, che, una volta individuati i creditori concorrenti sui diversi immobili, sia possibile accorpare in una unica massa quei beni su cui concorrano i medesimi creditori. 2. INDIVIDUAZIONE DEI CREDITORI CONCORRENTI. Individuata la massa oggetto della distribuzione, occorre individuare quali creditori possono legittimamente concorrere alla relativa distribuzione. A tal fine, occorre fare riferimento al pignoramento e/o agli atti di intervento e, quindi, qualificare questi ultimi in relazione alla loro ammissibilità ed alla loro tempestività. Al riguardo si osserva che, mentre il pignoramento indica sempre un determinato bene, molto spesso l’atto di intervento non contiene alcuna indicazione al riguardo. In tal caso, si deve considerare l’intervento come relativo ai ricavi di tutti i beni presenti nella procedura al momento dell’intervento, salvo che la procedura sia stata instaurata nei confronti di più debitori e l’intervenuto sia creditore di uno solo dei più debitori (in tale ultimo caso, si considererà l’intervento come relativo ai ricavi di tutti i beni presenti nella procedura al momento dell’intervento e pignorati contro quel debitore per l’intero o per la relativa quota). In caso di riunione di procedure, né i pignoramenti, né gli interventi presenti al momento della riunione in una delle due procedure si estendono automaticamente ai beni dell’altra procedura, salvo che non si tratti di beni comuni (per appartenenza e quote di titolarità) alle due esecuzioni. Ciò significa che i creditori pignoranti o intervenuti prima della riunione, per poter concorrere anche sui beni, diritti o quote non compresi nella procedura originaria, devono, se lo ritengono, depositare formale atto di intervento, chiedendo di partecipare alla distribuzione del ricavato di quei beni, diritti o quote. Essi, inoltre, ai fini del riparto del ricavato dalla vendita di quei beni, saranno considerati intervenienti tempestivi o tardivi a seconda della fase in cui avranno depositato tale atto e, 31 segnatamente, a seconda che siano intervenuti prima o dopo la prima udienza in cui è stata emessa l’ordinanza di vendita relativa a quel bene (intesa come la prima in ordine cronologico di tutte le procedure riunite). Gli interventi successivi alla riunione, invece, salva diversa indicazione contenuta nell’atto di intervento, sono validi per partecipare alla distribuzione del ricavo di ogni bene presente nelle procedure riunite (fermo restando quanto sopra esposto con riferimento all’ipotesi in cui l’intervenuto sia creditore solo di alcuni dei più debitori esecutati). 2.1. Interventi ammissibili e tempestivi. Individuati i creditori pignoranti ed intervenuti in relazione ad una data massa, occorre altresì individuare quali tra questi interventi possano essere utilmente esaminati ed ammessi in sede distributiva. Sul punto si rileva che la disciplina dell’intervento è stata oggetto di una profonda riforma ad opera delle leggi n. 80/05 e n. 263/05. 2.1.1. Disciplina pre-riforma. Sino al 28 febbraio 2006, potevano intervenire nell’esecuzione tutti coloro che avevano nei confronti del debitore un credito certo e liquido, fondato o non su titolo esecutivo (dovendo però sussistere al momento della distribuzione anche l’ulteriore presupposto dell’ esigibilità del credito). L’intervento era ritenuto tempestivo ove effettuato entro l’udienza in cui era stata pronunciata la prima ordinanza di vendita per il bene costituente la massa e gli effetti dell’intervento tardivo erano diversi solo a seconda del carattere privilegiato o non del credito. In caso di interventi spiegati entro tale data, dunque, era ininfluente, sia ai fini dell’ammissibilità dell’intervento, sia ai fini della collocazione del relativo credito, la circostanza che il creditore fosse o meno munito di titolo esecutivo. Pertanto, nel caso in cui i creditori siano intervenuti anteriormente al 01 marzo 2006, si dovrà verificare: la ricorrenza dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità del credito al momento della distribuzione; la tempestività dell’intervento e, in caso di intervento tardivo, la natura privilegiata o non del credito ai fini del riconoscimento del credito privilegiato e, ove possibile, dell’utile collocazione del chirografo. 2.1.2. Disciplina post riforma Le principali modifiche introdotte con riguardo all’intervento concernono: il titolo su cui tale intervento può essere fondato; il tempo in cui lo stesso può essere effettuato; il procedimento per il riconoscimento degli interventi non fondati su titolo esecutivo. A) Il titolo dell’intervento. A partire dal 01 marzo 2006 possono intervenire nell’esecuzione solo: i creditori muniti di titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c.; i creditori che, anteriormente alla trascrizione del pignoramento, avevano trascritto sui beni pignorati un sequestro; i creditori che, anteriormente alla trascrizione del pignoramento, avevano un diritto di pegno o di prelazione risultante dai pubblici registri; i creditori che, anteriormente alla trascrizione del pignoramento, avevano un credito per somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c., da prodursi munite del relativo estratto autentico notarile attestante che le scritture sono regolarmente tenute e vidimate (sono inidonee a fondare l’intervento le scritture 32 tributarie, le scritture certificate dal dirigente della banca ex art. 50 del D.Lgs. n. 385/93 e le scritture relative a crediti non pecuniari). Pertanto, in caso di interventi depositati dopo il 01 marzo 2006 e non fondati sui suindicati titoli, il credito non va preso in considerazione in sede distributiva. B) Il tempo dell’intervento L’interpretazione sistematica degli artt. 499, 565 e 566 c.p.c. induce a ritenere che, anche successivamente alla riforma, l’intervento è considerato tempestivo solo se depositato entro l’udienza in cui è stata emessa la prima ordinanza di vendita relativa alla massa. Dopo tale udienza possono intervenire solo i creditori muniti di titolo esecutivo, atteso che l’art. 510 c.p.c. consente l’accantonamento solo in favore dei creditori non titolati in tutto o in parte non riconosciuti, con ciò escludendo che il creditore non titolato che non è intervenuto entro il termine previsto per consentire l’instaurazione del subprocedimento di riconoscimento possa utilmente partecipare alla distribuzione. Conseguentemente: i creditori muniti di titolo esecutivo che siano tardivamente intervenuti potranno essere esaminati ai fini del riparto ed allo scopo si differenzieranno a seconda del fatto che siano in privilegiati o non privilegiati; i creditori non muniti di titolo esecutivo che siano tardivamente intervenuti non potranno essere considerati in sede distributiva, anche se privilegiati. Pertanto, in caso di interventi successivi al 01 marzo 2006, è necessario verificare se tali interventi sono fondati su titolo esecutivo o non: nel primo caso, si distinguerà in crediti privilegiati e non privilegiati e si applicheranno gli ordinari criteri; nel secondo caso, non si dovrà prendere in considerazione il relativo credito in sede distributiva. C. Il riconoscimento del credito non titolato ex art. 499 c.p.c. Come sopra esposto, si dovrà verificare questo profilo solo in caso di intervento non fondato su titolo esecutivo ed effettuato entro l’udienza nella quale è stata emessa la prima ordinanza di vendita. Ciò posto, in caso di riconoscimento del credito non titolato, si dovrà considerare tale credito, nei limiti della capienza, secondo gli ordinari criteri (il riconoscimento determina, infatti, una mera astrazione della causa del rapporto fonte del credito, ma non fa venire meno l’esigenza di quantificare correttamente il credito stesso in sede distributiva). Di contro, in caso di mancato riconoscimento del credito non titolato (in tutto od in parte), si dovrà preliminarmente verificare che tale creditore abbia depositato (entro il termine per la precisazione dei crediti) un’istanza di accantonamento delle somme corredata dalla prova dell’avvenuta proposizione, entro trenta giorni dall’udienza fissata per il riconoscimento, dell’azione necessaria a munirsi di titolo esecutivo (sarà allo scopo necessaria la produzione della certificazione della competente Cancelleria). In caso di mancato deposito di tale istanza, non si terrà conto del relativo credito in sede distributiva. Invece, in caso di deposito, si dovrà quantificare tale credito (ove la massa sia allo scopo capiente) secondo gli ordinari criteri e si dovrà prevedere nel progetto non l’attribuzione diretta, ma l’accantonamento della relativa somma ex art. 510 c.p.c., e si dovrà altresì chiarire a quali creditori ed in quale misura dovrà essere attribuita la somma accantonata (comprensiva degli interessi maturati nel triennio successivo all’udienza fissata ex art. 596 c.p.c.) nel caso in cui il creditore titolato non sia riuscito a munirsi di titolo esecutivo nel termine concesso. Pertanto, in caso di interventi successivi al 01 marzo 2006, tempestivi, ma non fondati su titolo esecutivo, si dovrà altresì verificare l’esito del procedimento di riconoscimento. 33 2.1.3. La disciplina transitoria. Com’è noto, la normativa transitoria prevede unicamente che gli interventi spiegati anteriormente al 01 marzo 2006 restano regolati dalla previgente disciplina. Tale regime transitorio non crea evidentemente problemi nel caso in cui tutti i creditori siano intervenuti anteriormente a tale data. Del pari, non sembrano emergere particolari problemi nel caso in cui si sia svolta successivamente al 01 marzo 2006 l’udienza ex art. 569 c.p.c. in cui è stata emessa la prima ordinanza di vendita relativa ai beni costituenti la massa. In tal caso, infatti, gli interventi spiegati anteriormente al 01 marzo 2006 restano regolati dalla disciplina previgente, mentre quelli successivi sono disciplinati dalla normativa introdotta dalla riforma, con conseguente inammissibilità degli interventi non fondati sui titoli sopra indicati, ex art. 499 c.p.c., nonché degli interventi tardivi e privi di titolo esecutivo. Problematica è, invece, l’ipotesi in cui la prima udienza ex art. 569 c.p.c. si sia svolta anteriormente al 01 marzo 2006 e l’intervento successivo non sia fondato su titolo esecutivo (in caso contrario, come sopra esposto, l’intervento fondato su titolo esecutivo potrà essere esaminato seguendo gli ordinari criteri in tema di intervento tardivo, privilegiato o non). In tale ipotesi non appare possibile, in assenza di chiare disposizioni normative al riguardo, ritenere che l’intervento tardivo non fondato su titolo esecutivo sia inammissibile in sede distributiva. Ed infatti, tale creditore intervenuto non è stato posto in condizioni di fruire dell’udienza di riconoscimento e privarlo del diritto a partecipare alla distribuzione significherebbe violare l’art. 499 c.p.c., a mente del quale lo stesso ben può intervenire anche senza titolo esecutivo dopo il 01 marzo 2006 (seppure nelle sole ipotesi normativamente indicate) e deve avere diritto all’instaurazione del subprocedimento di riconoscimento del proprio credito da parte del debitore. Ne discende la necessità, in relazione a tale ipotesi, che il giudice fissi un’udienza per il riconoscimento anteriormente all’udienza fissata ex art. 596 c.p.c., al fine di non privare tale creditore dei diritti attribuitigli dall’art. 499 c.p.c. e senza che ciò comporti un pregiudizio delle ragioni del debitore, il quale ben può limitarsi a non riconoscere il credito a tale udienza (con i conseguenti oneri sopra esaminati gravanti in tal caso sull’intervenuto per poter ottenere l’accantonamento). Pertanto, in caso di procedura esecutiva in cui l’emissione della prima ordinanza di vendita sia anteriore al 01 marzo 2006 ed in cui, successivamente a tale data, sia intervenuto un creditore non munito di titolo esecutivo, si dovrà verificare se è stata fissata l’udienza per il riconoscimento del credito: in caso positivo, si seguiranno i criteri già esposti; in caso negativo, si dovrà sollecitarne la fissazione prima dell’udienza ex art. 596 c.p.c. 2.2. Individuazione dei creditori concorrenti in caso di fallimento del debitore. Nel caso in cui il debitore sia stato dichiarato fallito, la procedura esecutiva può essere iniziata o proseguita solo dalla curatela del fallimento o dal creditore fondiario, ex art. 51 L.F. Da ciò discende che, a seguito dell’intervento della curatela ex art. 107 L.F., le uniche parti della procedura esecutiva individuale sono la curatela medesima e l’eventuale creditore fondiario (pignorante od intervenuto), mentre gli altri soggetti pignoranti od intervenuti possono vantare diritti in sede distributiva solo per il recupero delle spese sostenute ex art. 2770 c.c. e solo laddove abbiano dato impulso alla procedura anteriormente alla dichiarazione di fallimento. Nella stesura del progetto, dunque, bisogna seguire le seguenti ulteriori indicazioni: curatela (pignorante o intervenuta) che ha effettivamente dato impulso alla procedura e mancato intervento di creditore fondiario: l’intero attivo deve essere attribuito alla 34 curatela, pur dovendosi effettuare la determinazione delle somme da riconoscere al curatore ex art. 2770 c.c., le quali dovranno però essere concretamente liquidate in sede concorsuale; curatela (pignorante o intervenuta) che non ha dato impulso alla procedura e mancato intervento di creditore fondiario: l’intero attivo deve essere attribuito alla curatela, salva la somma riconoscibile al creditore che ha dato impulso alla procedura ex art. 2770 c.c., che deve essere determinata e liquidata in sede esecutiva individuale; in tal caso, l’onorario riconoscibile al curatore sarà invece determinato e liquidato esclusivamente in sede concorsuale. curatela (pignorante o intervenuta) e creditore fondiario (pignorante o intervenuto): in considerazione della natura meramente processuale del privilegio riconosciuto al creditore fondiario (Cass. Civ., n. 23572/04), l’attivo deve essere ripartito nel modo seguente: a) attribuzione al creditore che ha effettivamente dato impulso alla procedura delle somme riconoscibili ex art. 2770 c.c.; b) attribuzione al creditore fondiario della somma dovuta per capitale, interessi e spese; c) tale attribuzione non sarà mai definitiva, nemmeno in caso di produzione (in copia conforme e ad onere del curatore) dello stato passivo dichiarato esecutivo in sede fallimentare e/o del piano di riparto finale approvato sempre in sede fallimentare: l’assegnazione diverrà definitiva se e quando il fondiario sarà capiente in sede fallimentare e solo per quell’importo; d) se addirittura manca l’insinuazione al passivo fallimentare da parte del creditore fondiario, non potrà essere riconosciuta alcuna somma. Alla curatela va attribuito tutto o il residuo a seconda delle singole ipotesi. In caso di dichiarazione di fallimento solo di alcuni debitori esecutati e non di altri, si dovrà verificare la titolarità del diritto sul bene aggiudicato che costituisce la massa: in caso di titolarità esclusiva del diritto pignorato in capo al debitore fallito, si seguiranno le suesposte indicazioni; in caso di titolarità pro quota del debitore fallito e del debitore non fallito, si dividerà la massa in ragione delle quote e quindi si seguiranno le suesposte indicazioni per quanto concerne la quota del debitore fallito e gli ordinari criteri di seguito riportati per quanto concerne la quota del debitore non fallito. 3. DETERMINAZIONE DELLE SOMME NETTE RICAVATE DALLA VENDITA DEI BENI PIGNORATI . Individuata la massa ed i creditori sulla stessa concorrenti, occorre determinare l’esatto ammontare della massa attiva. Allo scopo, rispetto al prezzo di aggiudicazione (quale risultante dal verbale di vendita e dal decreto di trasferimento) deve essere: sottratto l’importo eventualmente versato a titolo di INVIM (come da comunicazione del competente ufficio); aggiunti gli eventuali frutti civili riscossi (interessi maturati sulla somma depositata dall’aggiudicatario; eventuali rendite percepite e depositate dal custode giudiziario derivanti dall’amministrazione del bene pignorato; somme acquisite alla procedura a titolo di decadenza del debitore dal beneficio della conversione od a titolo di decadenza di precedenti aggiudicatari); ove le somme da distribuire siano depositate su conto corrente bancario, vanno aggiunti gli interessi maturati e sottratte le eventuali spese di chiusura del conto; vanno computate anche le somme eventualmente già corrisposte dall’aggiudicatario, ai sensi dell’art. 41 T.U.B., agli istituti di credito fondiario (delle quali deve risultare in atti apposita quietanza in originale); 35 nel caso in cui, all’esito della predisposizione del piano di riparto, si verifichi che il creditore fondiario ha percepito una somma maggiore rispetto a quella dovuta, dovrà essere emesso l’ordine di restituzione della somma percepita in eccesso, che sarà firmato dal giudice (eventualmente in sede di udienza ex art. 596 c.p.c.). 4. DISTRIBUZIONE DELLA MASSA ATTIVA. Determinata la massa netta attiva della procedura, si deve procedere alla corretta graduazione dei crediti avendo riguardo, in proposito, alla cause legittime di prelazione. Nella determinazione delle somme riconosciute ai vari creditori, devono essere computate anche le somme eventualmente già percepite in sede di precedenti assegnazioni (piani di riparto parziale, conversioni, decadenza da precedenti aggiudicazioni), nonché i pagamenti effettuati dal debitore e risultanti da idonea documentazione in atti (ricevuta di versamento quietanzata), da imputarsi ex art. 1194 c.c. 4.1. Detrazione dalla massa attiva delle spese privilegiate ex art. 2770 c.c. I crediti per le spese di cui all’art. 2770 c.c. debbono essere riconosciuti in prededuzione rispetto ad ogni altro credito. Tali spese consistono in quelle sostenute nel medesimo giudizio di esecuzione in corso per atti conservativi o di esecuzione e sono, in genere, anticipate dal creditore o dall’aggiudicatario e non ancora rimborsate. Sono comprese in queste spese: le spese e l’onorario del custode giudiziario – professionista delegato, salvo che il compenso non sia stato posto a carico del procedente; in tale ipotesi è possibile anche porre il prelievo come fittiziamente prededucibile, venendo in rilievo una mera partita di giro (il procedente, infatti, anticipa e recupera in prededuzione); le spese per la stima e l’onorario del perito stimatore; le spese per INVIM e imposte collegate agli atti della procedura (Registro, I.V.A. ecc.); le spese di cancellazione delle ipoteche e dei pignoramenti iscritte e trascritti sul bene; le spese per la pubblicità straordinaria della vendita; eventuali spese di manutenzione e conservazione del bene; le spese legali sostenute dal solo creditore procedente (o del creditore che ha concretamente dato impulso alla procedura chiedendo i relativi atti ed effettuando i relativi adempimenti, quali, ad esempio, la pubblicità, gli avvisi ex artt. 498 o 599 c.p.c.). Al fine di curare l’inserimento di tali spese nel piano di riparto è necessario: verificare che sia in atti il provvedimento di liquidazione relativo alle spese liquidabili in sede giudiziale ed, in difetto, sollecitarne l’emissione; in ogni caso, l’importo riconosciuto nel progetto per tali spese dovrà essere comprensivo di I.V.A. e Cassa di Previdenza; in particolare, per quanto attiene alle spese del custode-p.d., dovranno essere depositate la nota delle spese e degli onorari ed il provvedimento di liquidazione; sempre per quanto attiene alle spese di custodia e delega, il professionista può anche formare il progetto di riparto prima della liquidazione da parte del giudice, ma in tale ipotesi dovrà verificare quale sia l’importo liquidato dal G.E. e dovrà depositare la bozza modificata – in caso di liquidazione di un diverso importo – almeno dieci giorni prima dell’udienza fissata ex art. 596 c.p.c.; per quanto concerne le spese di cancellazione, si dovrà verificare che sia in atti la documentazione giustificativa della competente Agenzia del Territorio relativa a tali spese e, in difetto, sollecitarne il deposito da parte dell’aggiudicatario; in caso di mancato 36 deposito, tali spese non potranno essere riconosciute in sede di riparto, salvo che non sia diversamente previsto nell’ordinanza di vendita; per quanto riguarda le spese legali, si dovrà verificare che sia in atti la nota delle spese e degli onorari del difensore, atteso che, in difetto, tali spese non potranno essere riconosciute in sede di riparto; in caso di deposito, si dovrà verificare che l’importo richiesto a titolo di onorario rientri nei limiti previsti, che l’importo richiesto sia relativo ad attività effettivamente svolte nel periodo in cui il procedente ha dato impulso alla procedura e che l’importo richiesto a titolo di spese sia documentato. 4.2. Detrazione dalla massa attiva dei crediti privilegiati ex art. 2771-2775 bis c.c. Successivamente al riconoscimento delle spese in prededuzione ex art. 2770 c.c., il professionista dovrà verificare la sussistenza di crediti assistiti da privilegi riguardanti gli immobili, i quali hanno carattere di specialità e dunque, per il disposto dell’art. 2748, comma secondo, c.c., sono preferiti ai crediti ipotecari, se la legge non dispone diversamente. I privilegi speciali riguardanti gli immobili sono enumerati dall’art. 2880 c.c. e devono essere posti in graduazione secondo il seguente ordine: crediti per tributi diretti sui redditi immobiliari: Irpef, Irpeg, Ilor limitatamente alla quota di imposta imputabile ai redditi immobiliari (art. 2771 c.c.); crediti per contributi relativi ad opere di bonifica e di miglioramento (art. 2775 c.c.); crediti dello Stato per concessioni di acque (art. 2774 c.c.); crediti per tributi indiretti: tassa di registro, tassa di successione, imposte catastali e ipotecarie, I.V.A. relativa alla cessione dell’immobile in caso di responsabilità solidale del cessionario, INVIM nel caso in cui sia richiesta all’acquirente per mancato pagamento da parte del venditore (art. 2772 c.c.); crediti vantati dal promissario acquirente dell’immobile oggetto di esecuzione per la mancata esecuzione del contratto preliminare di compravendita (art. 2775 bis c.c.). Ai sensi dell’art. 2749 c.c., il privilegio accordato al credito si estende alle spese sostenute per l’intervento nella procedura esecutiva, nonché agli interessi moratori per l’anno in corso alla data del pignoramento e per quelli maturati nell’anno precedente; di contro, gli interessi maturati successivamente possono essere riconosciuti in via privilegiata solo nella misura legale fino alla vendita (data del deposito del decreto di trasferimento). Da ultimo, in caso di più creditori assistiti da privilegio sullo stesso immobile in pari grado, detti crediti concorrono in proporzione agli importi rispettivamente fatti valere. 4.3. Detrazione dalla massa attiva dei crediti garantiti da ipoteca gravante sul bene costituente la massa. Successivamente al riconoscimento dei crediti privilegiati ex art. 2770 c.c. e degli eventuali crediti privilegiati ex art. 2771 – 2775 bis c.c., si dovrà verificare l’esistenza di crediti assistiti da privilegio ipotecario gravante sui beni che costituiscono la singola massa da ripartire. In base a quanto disposto dall’art. 2916 c.c., non danno luogo alla prelazione le ipoteche iscritte dopo il pignoramento, né quelle per le quali sia trascorso un ventennio dalla loro iscrizione senza essere rinnovate, ex artt. 2847 e 2878, n. 2, c.c. L’inefficacia per decorso del ventennio non è esclusa dal fatto che il creditore ipotecario abbia dato avvio alla procedura esecutiva o vi sia intervenuto. L’onere di provvedere alla rinnovazione viene meno solo al momento del deposito del decreto di trasferimento, il quale, per l’appunto, dispone la purgazione del bene dalle formalità pregiudizievoli. 37 Si dovrà, dunque, verificare se le ipoteche iscritte in relazione alla massa siano ancora efficaci al momento del riparto del ricavato e, in difetto, si dovrà riconoscere il relativo credito in chirografo. Inoltre, in caso di più ipoteche, la prelazione viene esercitata in ordine di grado (art. 2852 e ss. c.c.) e nel caso di grado eguale, i crediti concorrono in proporzione all’importo relativo (art. 2854 c.c.). 4.4. L’estensione del privilegio ipotecario: la disciplina dell’art. 2855 c.c. L’art. 2855 c.c. stabilisce che: “L’iscrizione del credito fa collocare nello stesso grado le spese dell’atto di costituzione d’ipoteca, quelle dell’iscrizione e rinnovazione e quelle ordinarie occorrenti per l’intervento nel processo di esecuzione. Per il credito di maggiori spese giudiziali le parti possono estendere l’ipoteca con patto espresso, purché sia presa la corrispondente iscrizione. Qualunque sia la specie di ipoteca, l’iscrizione di un capitale che produce interessi fa collocare nello stesso grado gli interessi dovuti, purché ne sia enunciata la misura nell’iscrizione. La collocazione degli interessi è limitata alle due annate anteriori a quella in corso al giorno del pignoramento, ancorché sia stata pattuita l’estensione a un maggior numero di annualità; le iscrizioni particolari prese per altri arretrati hanno effetto dalla loro data. L’iscrizione del capitale fa pure collocare nello stesso grado gli interessi maturati dopo il compimento dell’annata in corso alla data del pignoramento, però soltanto nella misura legale e fino alla data della vendita”. Sono, quindi, considerati crediti assistiti dal privilegio ipotecario: il capitale iscritto nei limiti del credito effettivamente esistente (atteso che l’iscrizione può anche essere maggiore del credito), comprensivo degli interessi già maturati al momento dell’iscrizione purché espressamente indicati nel valore garantito; le spese per l’atto di costituzione di ipoteca volontaria, ove rientranti nei limiti del totale iscritto (in caso contrario, l’eventuale eccesso dovrà essere collocato in chirografo); le spese di iscrizione (imposta ipotecaria, spese per copie, ecc.) e rinnovazione dell’ipoteca ove rientranti nei limiti del totale iscritto (in caso contrario, l’eventuale eccesso dovrà essere collocato in chirografo); gli interessi convenzionali maturati nell’anno in corso alla data del pignoramento e nel biennio anteriore solo se enunciati nell’iscrizione e nei limiti di tale enunciazione: sono infatti garantiti dal privilegio ipotecario i soli interessi iscritti ovvero quegli interessi determinati (o determinabili mediante indicazione del criterio di calcolo) che risultino dalla nota di iscrizione ipotecaria; qualora tale criterio non risultasse dalla nota di iscrizione o siano stati richiesti in base al titolo interessi più alti di quelli risultanti dalla nota di iscrizione, essi devono essere considerati come crediti chirografari (Cass. Civ., n. 15111/01); gli interessi legali ex art. 1284 c.c. dal primo giorno successivo al termine dell’anno in corso alla data del pignoramento e sino alla data della vendita (data di deposito del decreto di trasferimento); Sono invece considerati crediti non assistiti dal privilegio ipotecario e vanno, dunque, collocati in chirografo: a. le spese relative: alla formazione dell’atto costitutivo del credito (es. contratto di concessione di mutuo), salvo patto espresso contrario e autonoma iscrizione; all’emissione e la registrazione del decreto ingiuntivo o della sentenza fonti dell’ipoteca legale, salvo che vi sia specifica iscrizione per esse; all’atto da cui sia derivata l’eventuale ipoteca legale (es. compravendita); 38 b. gli interessi al tasso convenzionale e/o moratorio maturati successivamente all’iscrizione dell’ipoteca ed anteriormente al biennio anteriore al pignoramento; c. gli interessi moratori maturati nel triennio di cui all’art. 2855 c.c.: la giurisprudenza di legittimità esclude infatti che il privilegio ipotecario di cui a tale articolo si estenda agli interessi moratori, atteso che la norma fa riferimento ad un capitale che “produce” interessi (Cass. Civ., n. 4124/99; Cass. Civ., n. 8657/98); d. la somma pari alla differenza tra l’importo dovuto a titolo di interessi al tasso convenzionale e/o moratorio e l’importo riconosciuto a titolo di interessi al tasso legale in privilegio per il periodo successivo al termine dell’anno in corso alla data del pignoramento e sino alla vendita. 4.4.1 nozione di anno in corso: determinazione del biennio anteriore e dell’anno in corso alla data del pignoramento. L’anno in corso alla data del pignoramento non è l’anno solare, ma va determinato con il seguente procedimento: bisogna determinare la data di decorrenza del debito: nel caso di debiti da mutuo è la data contrattualmente prevista; nel caso di debiti accertati giudizialmente è la data della mora indicata nel provvedimento o, in mancanza, la data di pubblicazione del provvedimento; bisogna aggiungere alla data di decorrenza del debito un anno per tante volte sino a che sia superata la data di trascrizione del pignoramento; bisogna sottrarre un anno da tale data: così si ottiene il momento iniziale dell’anno in corso; bisogna sottrarre due anni dal momento iniziale: così si ottiene il momento iniziale del biennio anteriore Nel caso di ipoteca derivante da contratto di mutuo, occorrono, tuttavia, alcune precisazioni. La maggior parte dei contratti di mutuo prevedono la restituzione mediante rate periodiche (in genere semestrali) e, normalmente, ogni rata prevista dal piano di ammortamento è composta di una quota capitale e di una quota interessi. Dunque, se le rate che scadono nel biennio e nell’anno in corso possono essere collocate interamente tra i crediti privilegiati (limitatamente agli interessi corrispettivi e con esclusione dei moratori), per le rate anteriori al biennio bisogna operare una scomposizione, separando la quota interessi (che va al chirografo al tasso convenzionale o moratorio) da quella capitale (che va al privilegio). Pertanto, se vi sono rate anteriori al biennio è necessario sempre richiedere il piano di ammortamento. Una volta determinato, secondo tali indicazioni, il periodo rilevante ex art. 2855 c.c., si dovranno riconoscere dunque: gli interessi al tasso convenzionale maturati successivamente alla data di inizio del biennio anteriore alla e sino alla data di conclusione dell’anno in corso, i quali sono da considerare crediti privilegiati; gli interessi al tasso convenzionale o moratorio maturati anteriormente al biennio anteriore, i quali sono da considerare crediti chirografari, fatta eccezione per gli interessi già maturati al momento dell’iscrizione ed espressamente indicati nel valore garantito; gli interessi maturati successivamente al termine dell’anno in corso alla data del pignoramento e sino alla data di deposito del decreto di trasferimento, i quali sono da considerare crediti privilegiati nei limiti del tasso legale e vanno invece collocati in chirografo per il residuo. 4.5. Indicazioni generali in tema di computo degli interessi. 39 Oltre alle suesposte indicazioni in tema di applicazione dell’art. 2855 c.c., è necessario anche verificare, ove sorgano contestazioni, l’eventuale illegittima applicazione al credito dell’anatocismo o di tassi superiori ai tassi soglia di cui alla normativa anti – usura. Tali indicazioni potranno evidentemente trovare applicazione anche in relazione a crediti non riconosciuti in via ipotecaria. E’ ovvio che ciò vale nella sola ipotesi in cui il titolo posto a fondamento della pretesa creditoria azionata non si sia giudizialmente formato. In caso contrario (ad esempio in presenza di sentenza, di decreto ingiuntivo, di ordinanza anticipatoria ex art.186 ter o quater c.p.c.) si dovrà fare esclusivamente riferimento al titolo anche con riferimento alle modalità di computo degli interessi, ferma restando l’applicazione dell’art. 2855 c.c. 4.5.1. L’anatocismo Come è noto, l’art. 1283 c.c. stabilisce che, “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”. Nonostante tale dato normativo, nei contratti bancari (mutuo o conto corrente) per lungo tempo sono state inserite clausole negoziali che prevedevano la capitalizzazione periodica degli interessi debitori. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha accertato l’illegittimità di tali pattuizioni, dichiarando così illecita la richiesta di interessi sugli interessi anche nei contratti conclusi dagli operatori soggetti alla disciplina del T.U. in materia bancaria e creditizia. Successivamente a tali pronunce il Governo (in attuazione della delega conferita con la Legge 24 aprile 1998, n.128) ha emanato l’art.25 del Decreto Legislativo 4 agosto 1999 n.342. Esso stabilisce testualmente: 1. La rubrica dell'articolo 120 del D.lgs. 1° settembre 1993, n.385 è sostituita dalla seguente: "decorrenza delle valute e modalità di calcolo degli interessi". 2. Dopo il comma 1 dell'articolo 120 t.u. è aggiunto il seguente: " 2. il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori". 3. Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell'adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l'inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente. Il 9 febbraio 2000, il CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio) ha emesso la seguente delibera: Art.1 (Ambito di applicazione) 1. Nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito poste in essere dalle banche e dagli intermediari finanziari gli interessi possono produrre a loro volta interessi secondo le modalità e i criteri indicati negli articoli che seguono. Art.2(Conto Corrente) 1. Nel conto corrente l'accredito e l'addebito degli interessi avviene sulla base di tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti. Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità. 40 2. Nell'ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori. 3. Il saldo risultante a seguito della chiusura definitiva del conto corrente può se contrattualmente stabilito, produrre interessi. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica. Art.3 (Finanziamenti con piano di rimborso rateale) 1. Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l'importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica. 2. Quando il mancato pagamento determina la risoluzione del contratto di finanziamento, l'importo complessivamente dovuto può se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di risoluzione. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica. 3. Quando il pagamento avviene mediante regolamento in conto corrente si applicano le disposizioni dell'art. 2. 4. Nei contratti che prevedono un periodo di pre-finanziamento, gli interessi maturati alla scadenza di tale periodo, se contrattualmente stabilito, sono cumulabili all'importo da rimborsare secondo il piano di ammortamento. [omissis…] Art.5 (Domanda giudiziale e convenzioni posteriori alla scadenza) Gli interessi scaduti possono produrre interessi, oltre che nelle ipotesi e secondo le modalità di cui ai precedenti articoli, dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla scadenza e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi. [omissis…] Art.7 (Disposizioni transitorie) 1. Le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera devono essere adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il 30 giugno 2000 e i relativi effetti si producono a decorrere dal successivo 1 luglio. [omissis…] Per i contratti bancari stipulati successivamente al 20 aprile 2000 (data di entrata in vigore della delibera in parola), pertanto, il meccanismo della capitalizzazione degli interessi deve essere ritenuto pienamente lecito e si dovrà fare riferimento alle norme regolatrici dei singoli negozi conclusi tra le parti per verificarne la corretta applicazione. Per i contratti bancari stipulati anteriormente a tale data, invece, la norma di riferimento era dettata dal 3° comma del citato art. 25 D.lgs. 342/1999 (sostanzialmente richiamato dall’art. 7 della delibera C.I.C.R.) il quale, come visto, faceva salvo il meccanismo dell’anatocismo anche con riferimento a quella parte di rapporto negoziale svoltosi nel pieno vigore dell’art. 1283 c.c. Tale norma, tuttavia, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con la nota sentenza n. 425 del 17.10.2000. A fronte di ciò: 1. contratti di mutuo bancario o fondiario stipulati successivamente alla data del 20 aprile 2000. L’anatocismo deve essere ritenuto lecito e nei suesposti limiti di cui alla delibera del C.I.C.R.. 2. contratti di mutuo bancario ordinari stipulati anteriormente al 20 aprile 2000. 41 Preliminarmente si osserva che nei mutui, il problema dell’anatocismo si pone con riferimento agli interessi moratori (ossia gli interessi previsti nel caso di ritardo nel pagamento di ciascuna rata). Poiché, infatti, ogni rata è composta da una quota capitale e da una quota interessi, è inevitabile che una parte degli interessi di mora dia luogo ad anatocismo: più precisamente, costituiranno anatocismo quella parte degli interessi moratori che sono calcolati sulla quota interessi corrispettivi contenuta nella rata. Il professionista, pertanto, dovrà calcolare il quantum debeatur scomputando, dalla somma richiesta a titolo di interessi, l’importo degli interessi moratori computati sulla quota parte della rata scaduta relativa agli interessi convenzionali. 3. Contratti di mutuo fondiario stipulati anteriormente al 20 aprile 2000 . Con riferimento a tale categoria di mutui, si deve distinguere tra contratti stipulati anteriormente al 01 gennaio 1994 e contratti di mutuo stipulati successivamente. Per i primi la norma cui fare riferimento è quella dell’art. 38 del Regio Decreto 1905, n. 646, la quale stabiliva che il “pagamento di interessi, annualità compensi, diritti di finanza e rimborsi di capitoli dovuti non può essere ritardato da alcuna opposizione. Le somme dovute per tali titoli producono di pieno diritto interessi dal giorno della scadenza.” Deve, pertanto considerarsi ammissibile la richiesta di interessi anatocistici per tale tipologia di contratti. Per i secondi invece, giacché la norma citata non è stata riprodotta nel D.lgs n.385/1993, deve ritenersi applicabile la medesima disciplina prevista per i contratti di mutuo ordinario. 4. Contratti di conto corrente stipulati anteriormente al 20 aprile 2000 . Posto che anche per tali contratti vige il divieto di anatocismo, in caso di procedimento esecutivo in cui la banca sia intervenuta chiedendo il ristoro di quanto a lei dovuto a seguito di “scoperto di conto corrente” si dovrà ricalcolare il credito della banca scomputando gli eventuali interessi debitori capitalizzati periodicamente e procedendo, quindi a determinare il quantum debeatur sulla scorta degli interessi debitori convenzionali pattuiti. In caso di rimesse in conto corrente da parte del debitore, esse andranno imputate prima agli interessi maturati fino a quel momento e quindi al capitale da ripianare. 4.5.2. La disciplina della normativa anti-usura (Legge n. 108/96) Il 2° comma dell’art. 1815 c.c. (come modificato dall’art.4 della Legge n. 108/1996) stabilisce che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. Fino all’entrata in vigore della Legge n. 108/1996 la giurisprudenza riteneva che il mutuo con interessi usurari ricorresse solo qualora sussistessero tutti gli elementi del reato di usura (art.644 c.p.). Dovevano, quindi, concorrere i seguenti elementi: un vantaggio usurario, conseguito o conseguibile, lo stato di bisogno economico dell’obbligato, il consapevole approfittamento da parte del mutuatario. L’art. 1 della citata Legge n. 108/1996, nel modificare l’art. 644 c.p., ha statuito che la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Tale limite è fissato al tasso effettivo globale medio (comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse) degli interessi praticati dal sistema creditizio, rilevato trimestralmente dal Ministero dell’Economia e relativo alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà. La Legge n. 108/1996 è entrata in vigore il 24 marzo 1996 ed il suo art. 3 ha stabilito che, fino all’emanazione del primo Decreto Ministeriale di rilevazione dei tassi effettivi globali medi 42 (avvenuta con D.M. 22 marzo1997, applicabile a partire dal 02 aprile 1997), chiunque si fa dare o promettere da soggetto in condizioni di difficoltà economica o finanziaria, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e ai tassi praticati per operazioni similari dal sistema bancario e finanziario, risultano sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o altre utilità, compie il reato di usura. Fermo tale dato normativo, si è posto il problema della validità delle clausole relative alla pattuizione di interessi ad un tasso divenuto successivamente usurario. Il Legislatore con D.L. 29 dicembre 2000, n. 394 (convertito con modificazione nella Legge 28 febbraio 2001, n. 24) ha statuito che “ai fini dell'applicazione dell'articolo 644 del codice penale e dell'articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento” (si veda sul punto anche la sentenza della Corte Costituzionale n. 29/02 che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale proposte avverso la citata disciplina). A fronte di tale disposto normativo, parte della giurisprudenza di merito formatasi in materia di interessi chiesti sulla base di un titolo formato in epoca precedente all’entrata in vigore della L. n. 108/96, ha sposato un’interpretazione restrittiva dell’art. 1, comma 1, L. n. 24/01, a mente della quale tale articolo contiene la definizione della natura usuraria degli interessi unicamente ai fini della disapplicazione delle sanzioni di cui all’art. 4 L. n. 108/96 ai contratti in corso, ma non esclude la natura usuraria degli interessi ultra soglia maturati e scaduti successivamente all’entrata in vigore della legge n. 108/96, con conseguente riconduzione ex artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c. di tali interessi nei limiti dei tassi soglia (Trib. Padova, 10.8.2001; Trib. Monza, 10.9.2004). Atteso il nuovo dato normativo e la suesposta interpretazione bisogna: per i contratti stipulati in data anteriore al 02 aprile 1997, verificare se, successivamente a tale data, siano stati superati i tassi soglia e, in caso di superamento, ammettere, in chirografo od in privilegio secondo gli ordinari criteri, gli interessi nei soli limiti del tasso soglia; per i contratti stipulati successivamente a tale data, verificare se, in relazione ai tassi medi globali individuati dal D.M. in vigore al momento della stipula del contratto, il tasso effettivo globale non sia superiore al tasso soglia (nella determinazione del tasso effettivo globale praticato si dovrà tener conto non solo del saggio di interesse convenzionale pattuito, ma anche dell’eventuale meccanismo di capitalizzazione conforme alle delibere C.I.C.R. e degli altri accessori previsti dalla norma); in caso di superamento del tasso soglia, si dovrà indicare nel progetto di distribuzione il solo credito per capitale; per i contratti stipulati successivamente a tale data verificare se, successivamente a tale data, siano stati superati i tassi soglia e, in caso di superamento, dovrà ammettere, in chirografo od in privilegio secondo gli ordinari criteri, gli interessi nei soli limiti del tasso soglia. 4.5.3. Esempio: prospetto riassuntivo del procedimento di riconoscimento del credito derivante da mutuo garantito da ipoteca. 1. distinguere il credito per quota capitale, quota interessi corrispettivi e quota interessi moratori già maturati e verificare, ove sorgano contestazioni, che gli interessi convenzionali richiesti non superino, per il periodo successivo al 02 aprile 1997, i tassi soglia anti – usura: in caso di superamento, per il relativo periodo gli interessi dovranno essere riconosciuti in privilegio o chirografo secondo le modalità sotto indicate, ma comunque nei limiti dei tassi soglia; 43 2. 3. 4. 5. ammettere il capitale al privilegio; determinare il triennio di cui all’art. 2855 c.c.; ammettere al privilegio gli interessi corrispettivi maturati nel triennio; ammettere al privilegio gli interessi legali calcolati sul capitale iscritto puro e maturati dopo l’anno in corso all’atto della trascrizione del pignoramento e sino alla data del deposito del decreto di trasferimento; 6. ammettere al privilegio gli interessi già maturati al momento dell’iscrizione purché in questa espressamente indicati nel valore garantito; 7. ammettere al chirografo gli interessi moratori maturati nel triennio sulla sola quota capitale della rata (ovvero anche sulla quota interessi della rata nel solo caso in cui sia consentita l’applicazione dell’anatocismo); 8. ammettere al chirografo gli interessi corrispettivi e moratori maturati anteriormente al triennio, tenendo presente, quanto ai moratori, le indicazioni in tema di applicazione dell’anatocismo; 9. ammettere al chirografo la differenza tra gli interessi legali calcolati come al punto 6) e gli interessi corrispettivi o moratori (tenendo presente, quanto ai moratori, le indicazioni in tema di applicazione dell’anatocismo) maturati dopo l’anno in corso all’atto della trascrizione del pignoramento e sino alla data del deposito del decreto di trasferimento. 4.6. Collocazione dei creditori chirografari Sono creditori chirografari tutti coloro che non hanno alcun privilegio e i creditori muniti di privilegio per la parte di credito che, come si è visto, non può essere considerata assistita dalla garanzia ipotecaria. Il sistema del processo esecutivo attribuisce rilevanza, ai fini del riparto, al momento in cui i singoli creditori chirografari si sono insinuati nella procedura (artt. 565, 566 e 524 c.p.c.). In particolare, se la tardività dell’intervento (o del pignoramento in caso di procedure riunite) non nuoce ai creditori muniti di prelazione (derivante da ipoteca o altro privilegio), i quali concorreranno comunque sulla base del grado che gli spetta, essa, invece, pregiudica i creditori chirografari (pignoranti o intervenienti). Questi ultimi, per il solo fatto di essere tardivi, dovranno essere soddisfatti solo dopo i creditori chirografari che siano intervenuti tempestivamente. Inoltre, in caso di intervento (o di pignoramento in caso di procedure riunite) successivo al 01 marzo 2006, il creditore chirografario tardivo potrà essere soddisfatto, sempre dopo i chirografi tempestivi, solo se munito di titolo esecutivo. Nel caso in cui si giunga quindi a pagare il chirografo, dovrà dunque previamente controllarsi, tra i creditori chirografari, chi si è insinuato tempestivamente e chi tardivamente, anteponendo i primi rispetto a questi ultimi. Per stabilire se un creditore sia da considerarsi tempestivo o tardivo, occorre verificare se egli sia intervenuto prima o dopo la prima udienza fissata per l’autorizzazione alla vendita ex art. 569 c.p.c. Tale udienza è quella in cui sia stata pronunciata la prima ordinanza di vendita per quel bene, anche se poi la vendita fissata sia andata deserta e siano state pronunciate successivamente altre ordinanze di vendita. Se sia stata pronunciata ordinanza di vendita solo relativamente ad alcuni dei beni compresi nella procedura, l’intervento successivo sarà tardivo rispetto ai beni compresi nell’ordinanza, ma tempestivo per i beni per i quali non sia stata ancora fissata la vendita. Nel caso di più procedure riunite, la tempestività dovrà essere verificata con riferimento alla prima ordinanza di vendita pronunciata per quei beni, anche se emessa prima della riunione: in sostanza, deve procedersi come se la riunione fosse già avvenuta sin dal primo momento. 44 Qualora la procedura sia incapiente, la norma stabilisce che i crediti muniti dello stesso grado devono essere soddisfatti in percentuale al loro ammontare. 5. REDAZIONE DEL PROGETTO. 5.1. Modalità di redazione del progetto E’ opportuno, inoltre, che il professionista provveda a redigere una sintesi del progetto da sottoporre alle parti e dunque all’approvazione del G.E. In caso di più masse attive è chiaro che il professionista redigerà distinte bozze, nonché una bozza ed una tabella di sintesi globale che dia conto delle somme complessivamente attribuibili a tutte le parti masse da sottoporre alle parti e dunque all’approvazione del G.E., ex art. 596 c.p.c. La bozza del piano di riparto deve essere sempre trasmessa alle parti costituite nel medesimo termine previsto per il deposito della bozza stessa presso la Cancelleria; analogamente, dovrà essere trasmessa ai medesimi soggetti la bozza eventualmente modificata nel caso in cui il G.E. liquidi il compenso al professionista in misura difforme rispetto a quella dallo stesso indicata. 5.2.Dati da inserire espressamente nella parte espositiva progetto: la determinazione della singola massa in relazione a cui è stato predisposto il piano (con l’indicazione del/dei relativo/i numero/i di lotto); la determinazione della somma attiva da distribuire; l’ordine di graduazione di tutti i creditori pignoranti/intervenuti che concorrono in relazione a tale massa, con l’espressa indicazione: a) del titolo del credito e della somma richiesta come risultante dalla nota di precisazione del credito (o, in difetto, dall’atto di precetto/intervento); b) della natura privilegiata o non del credito; c) della tempestività o non del credito; il nominativo o la denominazione di tutti i creditori pignoranti/intervenuti concorrenti in relazione alla singola massa e risultati capienti in sede di riparto, con l’indicazione della somma complessivamente riconoscibile a ciascun creditore (in via definitiva o previo accantonamento) con l’analitica specificazione per ciascun creditore: a) delle somme riconoscibili in prededuzione con l’indicazione dello specifico privilegio e degli atti e/o del provvedimento del Giudice comprovanti la sussistenza del relativo credito prededucibile; b) delle somme riconoscibili in via ipotecaria (con espressa indicazione degli estremi della fonte dell’ipoteca e della relativa nota di iscrizione ipotecaria) a titolo di spese, capitale, interessi legali/corrispettivi, indicando espressamente il tipo di tasso, la misura e la decorrenza dello stesso, nonché dando esplicito conto del rispetto dei suesposti limiti in tema di applicazione dell’art. 2855 c.c., di anatocismo e di usura; c) delle somme riconoscibili in via chirografaria a titolo di spese, capitale, interessi legali/corrispettivi/moratori, indicando espressamente il tipo di tasso, la misura e la decorrenza dello stesso, nonché dando esplicito conto del rispetto dei suesposti limiti in tema di applicazione dell’art. 2855 c.c., di anatocismo e di usura; 5.3. Mancato deposito di documenti necessari alla predisposizione del progetto. Qualora il professionista ravvisi il mancato deposito dei titoli in originale od in copia conforme all’originale, egli dovrà darne comunicazione al procuratore costituito del creditore diffidandolo a depositarli in Cancelleria al più tardi entro 10 giorni ed avvisandolo che in difetto non si provvederà all’ammissione del relativo credito. 45 Qualora il professionista ravvisi il mancato deposito del piano di ammortamento o del prospetto degli interessi moratori e il professionista sia, dunque, nell’impossibilità di determinare in altro modo l’importo della quota capitale e di quella interessi del credito, dovrà darne comunicazione al procuratore del creditore, diffidandolo a depositarli in Cancelleria al più tardi entro 10 giorni ed avvisandolo che in difetto la quota interessi del credito sarà posta interamente in chirografo. 5.4. Indicazione della destinazione di eventuali sopravvenienze attive Poiché talvolta al momento dell’effettiva firma dei mandati di pagamento predisposti dalla Cancelleria possono verificarsi sopravvenienze attive, occorre indicare nominativamente i creditori cui tali importi andranno eventualmente distribuiti secondo le normali regole di graduazione. Come già esposto con riguardo al subprocedimento di riconoscimento dei crediti non titolati, il professionista dovrà prevedere anche il riparto delle somme accantonata a favore del creditore non titolato ove questi non riesca ad ottenere nei termini previsti il necessario titolo esecutivo. Dott. Andrea Petteruti giudice civile del Tribunale di Cassino 46