Cass. Civ., sez.II, Sent., n°27328 del 19-12-2011
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 35711 del 2000, il Tribunale di Roma, accoglieva l'opposizione proposta dal Ministero della
Giustizia avverso il decreto ingiuntivo con il quale il Pretore di Roma su ricorso di B.C.B., lo condannava al
pagamento della somma di lire 19.750.551, oltre interessi per la custodia giudiziale per veicoli sottoposti a
sequestro penale. In particolare, il Tribunale di Roma, affermava l'intervenuta prescrizione quinquennale
del credito, ai sensi dell'art. 2948 c.c., n. 4.
Avverso tale sentenza proponeva appello, davanti alla Corte di Appello di Roma, B.C.B. sostenendo che nel
caso di specie sarebbe applicabile la ordinaria prescrizione decennale e, comunque, vi sarebbero stati degli
atti interruttivi.
Si costituiva l'Amministrazione appellata chiedendo il rigetto dell'appello e sostenendo la correttezza della
decisione di primo grado. La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 4881 del 2004, rigettava l'appello. A
sostegno di questa decisione, la Corte di Appello di Roma, osservava: a) che la prescrizione in materia si
consuma nel termine quinquennale ai sensi dell'art. 2948 c.c., n. 4;
b) Il termine di prescrizione decorre da ogni singolo periodo di custodia (anche a giorni) e, quindi, anche a
voler, per assurdo, ritenere sussistente il termine prescrizionale ordinario, la prescrizione si sarebbe
comunque consumata per tutti quei giorni antecedenti il quinquennio trascorso tra la maturazione
dell'indennità giornaliera e la i richiesta di liquidazione, che è del 1992; c) Non può essere accolta la
domanda sussidiaria di cui all'art. 2041 c.c., dato che è stata solo accennata nella fase dell'appello e per
altro non ribadita con la precisazione delle conclusioni.
La cassazione della sentenza n. 4881 del 2004 della Corte di appello di Roma è stata chiesta da B.C.B. con
ricorso affidato a due motivi. Il ministero della Giustizia, intimato, in questa fase, non ha svolto alcuna
attività difensiva.
otivi della decisione
1.- Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2948 c.c., in relazione
all'art. 2946 c.c., il tutto in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Avrebbe errato la Corte di Appello di Roma,
secondo il ricorrente, per aver ritenuto che il diritto al corrispettivo per la, custodia giudiziaria di veicoli
sottoposti a sequestro penale, fosse soggetto a prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 c.c., n. 4, e
tale termine decorresse da ogni singolo periodo di custodia (anche a giorni) posto a base del calcolo
dell'indennità. Epperò, secondo il ricorrente il termine di prescrizione del diritto all'indennità del custode
non può che essere quello ordinarie, cioè, quella decennale ex art. 2946 c.c., perchè il fatto che il compenso
debba essere liquidato sulla base e secondo il parametro della durata giornaliera della custodia non
significa che il custode debba recarsi giornalmente al Ministero per la liquidazione delle sue spettanze, nè
che tale attività incombe sul Ministero. Piuttosto- aggiunge il ricorrente- il rapporto da cui trae origine il
diritto al corrispettivo è unitario ed esso ha inizio dal conferimento dell'incarico e cessa con il venir meno
dello stesso. Insomma, il credito vantato dall'attuale ricorrente sarebbe unico, nonostante, sia stato
richiesto frazionatamente.
1.1.- il motivo è fondato e va accolto per quanto di ragione.
1.2.- Va, anzitutto, osservato che il regime giuridico vigente non individua un termine legale di prescrizione
del diritto del custode al corrispettivo, per la custodia giudiziaria dei veicoli sottoposti a sequestro penale.
Vero è che nel tempo si era formato in seno alla giurisprudenza di legittimità un contrasto, che si articolava
in due orientamenti tuttavia, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte di Cassazione hanno avuto modo di
comporre quel contrasto e di fissare il principio, secondo il quale "Il diritto del custode giudiziario di cose
sequestrate nell'ambito di un procedimento penale al compenso per l'attività svolta, che non deriva da un
rapporto di diritto privato, ma da un. incarico di natura pubblicistica, è correlato a una prestazione non
periodica, ma continuativa, e matura di giorno in giorno, sicchè è soggetto a prescrizione decennale,
decorrente da ogni singolo giorno, a meno che nel provvedimento di conferimento dell'incarico sia stabilita
una periodicità nella corresponsione del compenso, dovendosi in tal caso ritenere configurabile una
prestazione periodica, con conseguente applicazione del termine quinquennale di prescrizione stabilito
dall'art. 2948 c.c., n. 4, per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi"(sent..
n. 25161 del 24/04/2002).
1.3.- Alla luce di questo principio, era necessario verificare se il provvedimento di conferimento dell'incarico
stabiliva una periodicità nella corresponsione del compenso,, perchè, in quest'ultima ipotesi, il termine
prescrizionale del diritto al compenso sarebbe quinquennale, mentre, diversamente, quel termine sarebbe
decennale. La Corte di Appello di Roma, insomma, avrebbe dovuto, ma non sembra che l'abbia fatto,
verificare se il provvedimento di incarico prevedesse una periodicità nella corresponsione del compenso.
2- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2041 c.c., in
relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Avrebbe errato la Corte di Appello di Roma, secondo il ricorrente, per aver
negato la configurabilità nell'azione promossa dal B. (attuale ricorrente) della sussistenza in ogni caso di
ragioni di credito a titolo di arricchimento senza causa.
2.1- Il motivo è infondato e non può essere accolto perchè - come, già, evidenziato dalla Corte romana la
domanda di cui all'art. 2041 c.c., integrava gli estremi di una domanda nuova, considerato che era stata
solo accennata nel grado di appello e, tuttavia, non presente nelle conclusioni nelle quali, invece, si
chiedeva il rigetto dell'opposizione ad ingiunzione.
2.2.- Tuttavia, l'ipotesi in esame non integra gli estremi della fattispecie di cui all'art. 2041 c.c.. Tale
disposizione, in verità, si riferisce alle ipotesi in cui il trasferimento di utilità economica non trova la sua
giustificazione in una disposizione di legge oppure in una convenzione concordata tra le parti; e ciò
nell'intento non già di risarcire il danno bensì di restituire e di ovviare a trasferimenti ingiustificati di
ricchezza, in ossequio al principio aristotelico di i giustizia commutativa.
Piuttosto, nell'ipotesi di specie: a) il custode è un "ausiliario" del giudice e non la controparte di un
"contratto di deposito", tenuto conto che: l'incarico non è pattizio; la nomina avviene con atto pubblico
processuale; l'incarico non può essere ricusato (art. 366 c.p., comma 2). La custodia penale integra, dunque,
una "pubblica funzione", una "collaborazione obbligatoria" prestata all'autorità giudiziaria e la nomina
autoritaria del custode è costitutiva di un "pubblico ufficio", che trova nei codici penali e nelle leggi
complementari le fonti primarie. b) Il custode di cose sottoposte a sequestro penale ha diritto al compenso
e - dopo la sentenza n. 230/1989, con la quale la Corte Costituzionale ha sostanzialmente eliminato il
parametro fisso stabilito dalla previgente "Tariffa penale" approvata con R.D. 23 dicembre 1865, n. 2701,
(lire 300 al giorno), le spese di custodia vanno liquidate con riferimento alle tariffe vigenti ed agli usi locali
(come stabilito dal D.P.R. 29 luglio 1982, n. 571, art. 12), anche se non in pedissequa ed obbligatoria
osservanza dei medesimi.
Sicchè, il compenso dovuto al custode giudiziario è riconducibile ad un: negozio giuridico che - dottrina e
giurisprudenza - qualificano siccome processuale. La richiesta, pertanto, del compenso è riconducibile ad un
atto di incarico e rappresenta il corrispettivo di una pubblica funzione.
In definitiva, va accolto il primo motivo, rigettato il secondo e cassata la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto, il processo va rinviato alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà
attenersi a quanto sopra rilevato e deciderà anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte
d'Appello di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese processuali.
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