PRIMA COLONNA
di Ivo Vidotto
Santiago
e Damjan
DEL POPOLO
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“Santiago era un vecchio magro
e scarno, con rughe profonde sulla
nuca. Sulle guance aveva le chiazze
del cancro della pelle provocato dai
riflessi del sole sul mare tropicale e
le mani avevano cicatrici profonde,
che gli erano venute trattenendo
con le lenze i pesci pesanti”. Bastano queste poche parole per capire che si tratta di un passo tratto
dal celebre romanzo “Il vecchio e il
mare” di Ernest Hemingway. Non
vogliamo, però, raccontare la vita
di un pescatore, il suo orgoglio e il
suo coraggio e neppure la biografia dello scrittore americano al quale questo romanzo valse il premio
Pulitzer nel 1953 e il premio Nobel
l’anno successivo. A farci rivivere
le avventure di Santiago – “tutto in
lui era vecchio, tranne i suoi occhi,
che, nonostante il passare del tempo, erano rimasti azzurri come il
mare”, scrisse Hemingway – è stata
una copia originale, ormai ingiallita, dell’inserto della rivista “Life”,
uscito nel settembre del 1952, una
specie di anteprima del libro, uscito dalle stampe quello stesso anno.
Abbiamo avuto modo di sfogliarla
presso l’antiquariato sito al pianterreno del “piccolo grattacielo”
di via Ciotta, a Fiume, calandoci
con la nostra fantasia nel mondo
di Santiago, immaginando la sua
lotta con un pesce spada, che racchiude tutta l’epica del romanziere
americano.
Dalla lotta immaginaria contro
un pesce spada, passiamo a quella
fin troppo reale vissuta una settimana fa da uno sloveno, appassionato
di pesca subacquea, nelle acque attorno all’isola di Lissa. L’uomo, il
43.enne Damjan Pesek, non si sarebbe mai aspettato di incontrare in
un mare “pacifico” come l’Adriatico uno squalo bianco – uno dei
più affascinanti e misteriosi predatori dei mari – e il fatto di poterlo
raccontare avrà significato per lui
nascere una seconda volta. Quello degli squali bianchi è un mondo pervaso da luoghi comuni, che
suscitano allo stesso tempo terrore
e ammirazione, facendoci rivivere
le scene da brivido del celebre film
di Spielberg “Lo squalo”, uscito nel
1975.
Il Grande squalo bianco (Carcharodon carcharias) è l’ultimo
grande oscuro predatore degli
oceani, simbolo di tutti i nostri orrori e delle nostre paure, ed è considerato il più grande pesce predatore
del pianeta, le cui dimensioni massime possono raggiungere e forse
superare i sette metri di lunghezza
e le tre tonnellate di peso. Parlando
dello squalo bianco, i nostri pensieri volano sempre verso l’Australia,
il Sudafrica oppure verso la California, ma non è impossibile trovarlo – e l’attacco di Lissa lo conferma – anche nell’Adriatico. Abbiamo voluto, perciò, scavare nel
passato più o meno remoto e scoprire altre testimonianze della sua
presenza nel nostro mare. Una presenza che, in virtù della sua fama di
“mangiatore di uomini”, ci mette i
brividi e che non vorremmo mai riscontrare di persona.
Non ci aiuta a sopprimere questo sentimento nemmeno la constatazione degli esperti, secondo i
quali non è il mostro crudele che si
avventa con ferocia su tutto quello
che incontra come è stato raffigurato dalla cinematografia catastrofica
hollywoodiana, e quindi così trasferito nell’immaginario collettivo, ma
un animale cauto ed estremamente
intelligente, che studia con attenzione le sue possibili prede e valuta
attentamente i rischi che corre nello sferrare un attacco.
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Lunedì, 13 ottobre 2008
AMBIENTE La difficile convivenza sulle isole quarnerine con questi animali intellige
Cinghiali, quegli intrusi
a due passi dal mare
di Lucio Vidotto
N
essuno è oggi in grado di valutare quanti sono e soprattutto nessuno ha un’idea di come affrontare
il problema della loro esistenza sulle isole. Stiamo parlando dei cinghiali, cioè di
una di quelle specie che qualcuno ha portato dalla terraferma per motivi intuibili,
ma non accertati. I cinghiali, più dei dai-
tanto le isole. Lo troviamo anche sul litorale e nelle zone montane. Ci sono anche dei risultati. In un anno, sull’isola di
Veglia sono stati abbattuti circa 400 cinghiali e altri 380 sulle altre isole. Non è
semplice. C’è chi propone di avvelenarli senza pensare che in questo modo non
rischiano soltanto i cinghiali. Possiamo
dire che l’abbattimento delle specie alloctone viene ostacolato anche dalla legislazione in materia. Infatti, per portare
avanti efficacemente questo programma,
che determina peraltro un notevole impegno economico, si va contro la Legge che
regola la caccia in generale, senza parlare
del rispetto del fermo caccia in determinati periodi dell’anno. Il fermo nel nostro
caso non dovrebbe essere applicato. Stiamo parlando di una materia estremamente complessa e di un problema che sarà
difficile risolvere”.
L’importanza di mantenere
un equilibrio
mangiati sei tonnellate di uva”
ni o degli sciacalli dorati, hanno imparato ad arrangiarsi bene nel nuovo habitat
e quando trovano cibo a sufficienza si riproducono velocemente. Di conseguenza
aumenta la richiesta di cibo e a quel punto nasce un conflitto con la popolazione
autoctona, quella umana, s’intende. Sono
una delle specie alloctone o, in altre parole, dei veri e propri intrusi di cui si farebbe volentieri a meno. Chi li ha portati?
Chi li può cacciare? Ci sono rimedi? Abbiamo cercato di ottenere qualche risposta da chi ha subito dei danni e in seno
alla Regione Litoraneo-montana, dove il
vicepresidente Vidoje Vujić ci ha fornito la sua visione. Può essere sufficiente,
abbiamo chiesto, affidarsi a una società
venatoria, composta da membri che ne
fanno parte per hobby, passione, ma non
per professione, per gestire un problema
estremamente complesso?
“Il ruolo delle società venatorie è importante per la salvaguardia della natura
e per questo motivo noi diamo loro il nostro sostegno. Gli equilibri da mantenere
sono un problema che non riguarda sol-
“Sono previsti dei risarcimenti – precisa Vujić –, ad esempio, per chi è in grado di dimostrare che una pecora o un
agnello sia stato sbranato da un animale
selvatico. Ci sono tante denunce che non
sono potute venire prese in considerazione per il semplice fatto che non esisteva
alcuna prova che il danno sia veramente
avvenuto. Qualcuno ha sicuramente cercato di fare il furbo e abbiamo anche le
prove che tra chi ha sporto denuncia per
la scomparsa di un certo numero di capi
che precedentemente aveva provveduto a vendere”. Comunque, sarà necessario stabilire un certo equilibrio, in quanto l’allevamento di ovini sulle isole non
può cambiare. Più precisamente, si può
cambiare sistema di allevamento, ma allora cambia proprio tutto. Il metodo tradizionale consente alle greggi di girare liberamente, andando incontro a tanti
pericoli. Sull’isola di Cherso, e non solo,
questo modo di allevare le pecore rappresenta un elemento importante nell’ecosistema. Con le greggi rinchiuse dentro i
recinti scomparirebbero inevitabilmente i
grifoni che popolano l’isola e che si nutrono delle carcasse di quegli animali uccisi dalla loro stessa natura, alla ricerca
di pascoli in zone impervie. Per essere riUn cannone “spaventacinghiali”
Sull’isola di Veglia i cinghiali h
sarciti occorre fornire le prove e talvolta
è impossibile.
Che disastro nei vigneti
Quando si parla di danni veri e provati c’è un esempio che riguarda i cinghiali
in un altro ruolo. Sull’isola di Veglia non
viene visto come un pericolo per le greggi
bensì per l’uva. A Ivan Katunar i cinghiali
si sono mangiati 6 tonnellate d’uva prima
della vendemmia. È successo poche settimane fa, quando per la prima volta sono
stati adottati dei metodi particolari per tenere alla larga questi ghiotti e intelligenti animali, in grado di riprodursi a dieci
mesi dalla nascita e di mettere al mondo
fino a sei piccoli. Ecco come la vede il viticoltore di Verbenico.
“L’arrivo dei cinghiali sulle isole è stato
pianificato per trasformare i terreni agricoli in qualcosa di diverso. È un problema che
interessa molte altre isole. Le attività tradizionali non sono state mai minacciate come
lo sono adesso, né dalle varie occupazioni
né dal comunismo. I rimedi attuati finora si
sono dimostrati insufficienti. Secondo me
non basta affidare a una società venatoria
la gestione del problema. I cacciatori sono
membri di una società di cui fanno parte su
base volontaria. Pertanto, non si può richiedere da loro un impegno professionale e serio, come invece sarebbe opportuno. In altre
parole, il loro ruolo è quello di salvaguardare certi equilibri. Io pratico la pesca sportiva e sono membro di un club che però non
ha, giustamente, delle mansioni così impegnative. La gestione del patrimonio ittico è
prerogativa di strutture più competenti. Se
in un anno sono stati abbattuti 400 cinghiali è altrettanto vero che in circolazione ce
ne sono ancora parecchi. Il numero sembra grande, ma non lo è se ne sono rimasti
4.000. Personalmente ho la fortuna di essere
stato nelle condizioni di fornire tutte le prove del danno subito. Ho chiamato la polizia
per denunciare il fatto e quindi sono stati i
periti giudiziari a valutarne l’entità. I maiali selvatici si sono mangiati poco meno di
6 tonnellate d’uva dopo di che si è capito
quanto sia seria la faccenda”.
Cannonate per
salvare il raccolto
Nella vallata alle spalle di Verbenico
sono stati sistemati venti cannoni caricati
a gas che a intervalli di pochi minuti sparavano, giorno e notte, fino alla fine della
vendemmia. Sono serviti per spaventare
sia i cinghiali, che con il passare dei giorni vi si sono abituati, sia gli uccelli, altri
animali ghiotti di uva.
“Immediatamente dopo la prima razzia nei miei vigneti, dove i cinghiali hanno mangiato tre tonnellate di Chardonnay,
è stato organizzato un agguato notturno da
parte dei cacciatori. Da quanto mi sia dato
a sapere, in quella circostanza ne sono stati abbattuti due, ma nessuno è stato in grado
di capire quanti fossero. L’unica cosa che so
è che hanno ricoperto di orme ogni metro
quadrato dei vigneti. I danni li fanno anche
altrove, facendo franare i muri di sassi entro
Lunedì, 13 ottobre 2008
nti, ghiotti e dannosi
anno trovato un habitat ideale
cui pascolano e vengono custodite le greggi.
A qualcuno, evidentemente, interessa di far
scomparire certe attività”. Prima della prossima vendemmia, come è stato annunciato,
l’intera vallata di Verbenico verrà recintata,
una misura che dovrebbe impedire l’accesso
ai cinghiali che saranno costretti a ripiegare, chissà, sui pomodori, che sono un altro
“brand” della zona oltre alla Žlahtina, il noto
vino locale.
Sull’isola di Veglia
si svendono terreni
agricoli e aree boschive
I terreni non coltivati e mal gestiti diventano facile preda degli speculatori che
vogliono appropriarsene per pochi soldi
Se trovano un ambiente favorevole, i cinghiali si riproducono molto velocemente
Vidoje Vujić: “È una materia estremamente complessa”
in attesa che il loro valore cresca una volta in mano a uno e non a tanti proprietari.
Abbiamo scoperto che il noto imprenditore edile Tomislav Horvatinčić ha riscattato dei vasti territori nella zona Sottovento
sull’isola di Veglia, in una fascia vicinissima al mare che, osservando il Piano territoriale per l’isola, in nessun modo si presta ad attività edilizie.
Non c’è quindi il rischio che i documenti di pianificazione possano subire
delle modifiche drastiche, nel senso che
un terreno agricolo, a causa dello scarso
interesse per questa attività meno remunerativa rispetto all’edilizia, con la complicità dei fattori esterni, possa divenire area
edificabile entro un certo periodo?
“Ignoro il fatto – ammette Vujić – che
ci sia qualcuno che acquista aree boschive
o agricole. Gli speculatori ci sono dovunque. Evidentemente sanno dove investire
per trarre dei vantaggi in futuro. In questo momento l’interesse può derivare forse dalla consapevolezza che determinate
aree saranno interessate da interventi infrastrutturali”.
Un impegno notevole
a favore delle isole
La Regione Litoraneo-montana è comunque tra le prime della classe quando
si parla di incentivi e attività per favorire l’agricoltura e specie quella tradizionale come l’olivicoltura e viticoltura. Lo
sottolinea il vicepresidente della Regione Litoraneo-Montana Vujić: “Abbiamo
adottato per primi il modello di sostegno
dell’olivicoltura con il sovvenzionamento parziale per l’acquisto delle piante di
ulivo in cui la Regione partecipa con un
terzo, le autonomie locali con un terzo e
gli olivicoltori con un terzo. Questo ha
portato a un grande sviluppo del settore.
Per favorire la vita sulle isole vengono
sovvenzionate anche le linee marittime.
Oggi vivere sulle isole può anche essere
un privilegio, se teniamo conto del fatto
che quella di Veglia non può essere considerata un’isola. Con le altre isole ci sono
delle ottime vie di comunicazione e molti dei disagi che esistevano una volta non
esistono più”.
Le greggi corrono grossi rischi durante il pascolo
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mare
Lunedì, 13 ottobre 2008
Lunedì, 13 ottobre 2008
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ATTUALITÀ Il caso dello sloveno Damjan Pesek, attaccato da uno squalo bianco a Lissa, ha riportato alla ribalta il grande predatore
«Shark attack» nell’Adriatico: allarme ingiustificato
I 12 «personaggi» che hanno contribuito a creare il mito del killer
Dallo squalo bianco al martello e al tigre
Sguardo da serial killer e ghigno minaccioso...
Ridurre il rischio di attacchi
Il rischio relativo di un attacco da parte di uno squalo è molto piccolo,
ma dovrebbe essere ridotto ulteriormente laddove è possibile, con qualche
accorgimento:
• Restare sempre in gruppo: infatti gli squali preferiscono attaccare individui isolati
• Non vagare troppo distanti dalla barca perché oltre ad essere isolati si è troppo lontani per un eventuale soccorso
• Evitare di entrare in acqua durante la notte o all’imbrunire, quando gli squali
sono particolarmente attivi e dotati di un indubbio vantaggio sensoriale
• Non entrare in acqua se sanguinanti da una ferita aperta o durante le mestruazioni: l’olfatto degli squali è molto acuto
• È sconsigliato indossare gioielli perché i loro riflessi assomigliano a quelli
delle squame dei pesci
• Evitare acque con fogne o immondizia, e quelle usate per la pesca sportiva o
commerciale, specialmente se sono presenti esche o sono state pasturate.
La presenza di uccelli marini è indicativa di queste zone
• Gli avvistamenti dei delfini non indicano l’assenza di squali: spesso si trovano a mangiare nelle stesse zone lo stesso cibo
• Usare molta cautela quando le acque sono torbide ed evitare di indossare
abbigliamento troppo colorato: gli squali vedono i contrasti particolarmente bene
• Porre cautela in acqua nelle vicinanze dei litorali sabbiosi e rive scoscese,
sono tra i luoghi preferiti dagli squali
Il 43.enne Damjan Pesek, sopravvissuto all’attacco dello squalo bianco
Gli squali sono considerati tra gli animali più pericolosi esistenti. Una informazione troppo spesso inesatta e lacunosa, ha tuttavia contribuito al diffondersi
di informazioni non veritiere e false credenze. In realtà, delle quasi 500 specie attualmente note, solo una
ventina possono, in alcune situazioni, divenire un reale
pericolo. Inoltre, anche le specie più temibili, il più delle volte non attaccano gli esseri umani quando vi vengono in contatto. Questo indica chiaramente che l’uomo non può essere considerato una preda abituale di
alcuna specie di squalo. La maggior parte di attacchi
consiste in un singolo morso, dopo il quale l’animale
non torna ad attaccare. Perché allora in alcuni casi
certe specie di squali attaccano? Sicuramente per diversi motivi, quali: fame, curiosità, difesa, errore nel
riconoscimento della preda.
Il dodici per cento degli attacchi a persone in mare nei
quali si è potuto identificare l’aggressore, sono imputabili
allo squalo bianco, il che ne fa la specie più famigerata per
quello che riguarda la sua pericolosità nei confronti dell’uomo. Eppure lo squalo bianco non è da solo sul banco
degli imputati. Delle circa 350 specie note di squali, sono
27 quelle che di certo hanno attaccato persone o barche;
una quarantina sono giudicate potenzialmente pericolose;
le rimanenti 280 sono innocue.
Ecco un elenco dei 12 “personaggi” che più hanno
contribuito a creare il mito dello squalo assassino.
Gli squali bianchi consumano i pasti con una frenesia sanguinaria
di Alessandro Superina
G
li squali hanno un problema d’immagine piuttosto
serio: con quello sguardo
da serial killer, unito al ghigno minaccioso dai denti storti e seghettati sparsi in file e alla frenesia sanguinaria con cui consumano i pasti,
non è per nulla difficile capire perché gli esseri umani non li abbiano
mai amati. Gli scrittori prima e i registi hollywoodiani poi non sempre
hanno contribuito alla loro causa. Il
celebre scrittore ottocentesco Herman Melville, più volte testimone
degli attacchi degli squali durante
i suoi lunghi viaggi a bordo delle
baleniere, definì lo squalo “pallido
divoratore di orrida carne” (le balene arpionate) dalle “fauci profonde
e seghettate”. Ernest Hemingway,
che negli anni trenta dello scorso
secolo si rifugiò per un periodo
alle Bahamas armato di macchina
da scrivere e canna da pesca, imprecava contro gli squali che spolpavano i pesci presi all’amo prima
che riuscisse a tirarli fuori dall’acqua. Comunque si ritrovò a scriverne con grande ammirazione nel
celebre libro “Il vecchio e il mare”
(splendida e indimenticabile l’interpretazione sul grande schermo
di Spencer Tracy) dove il protagonista Santiago si esprime con le
seguenti parole a proposito di uno
squalo mako: “Era bello in ogni
parte tranne nelle mascelle, nobile
e non ha paura di nulla”.
Una splendida creatura
e non un assassino
La pessima e scientificamente non provata reputazione di “divoratore di uomini” fu elevata alle
stelle nel 1974 quando Peter Benchley scrisse “Lo squalo”, un racconto che ha come personaggio
principale non un uomo ma un
grande squalo bianco. L’autore,
che oggi si batte per la salvaguardia
di questo predatore, adottò la teoria
dello squalo vagabondo che – affamato – si spostava lungo le spiagge
di una regione particolare cercando
di soddisfare la sua brama di carne
umana. Il libro ottenne un successo
formidabile e il film tratto dal racconto – siamo nel 1975 – per un po’
di tempo detenne il record d’incassi di Hollywood. Il regista Steven
Spielberg, per rendere quanto più
spettacolari e mozzafiato le riprese, si affidò alla superconsulenza
di Rodney Fox il quale, nel 1963
durante una competizione di pesca
sub nell’Australia meridionale, fu
attaccato da un grande squalo bianco salvandosi per un pelo grazie
a una serie straordinaria di circostanze fortunate: erano serviti 462
punti di sutura e mesi di convalescenza per rimetterlo in sesto. Da
allora Fox dedica la vita allo studio
e alla protezione dello squalo bianco e alla prima dello “Squalo” ci
rimase male. Quella presentata da
Spielberg era un’immagine distorta dello squalo bianco, “una splendida creatura e non un assassino”.
Non perdonò mai il famoso regista
americano.
Rischio quasi nullo,
però...
Gli attacchi da squali sono diventate notizie da prima pagina in
tutto il mondo ma il rischio concreto di subire un’aggressione nell’Adriatico in particolare e nel Mediterraneo in generale è per la casistica insignificante, quasi nullo. Ad
esempio, si corrono molti più rischi
di morire per annegamento che anche solamente di poter vedere uno
squalo. Molta più gente è ferita o
uccisa mentre guida per andare in
spiaggia o tornare a casa che da
uno squalo in acqua. La probabilità
di un attacco è anche meno comune
rispetto ad altri tipici incidenti da
spiaggia come cadute, disidratazione, meduse e ustioni solari. Inoltre,
vengono messi molti più punti ai
piedi per ferite da conchiglia che
per morsi di squalo. Api, vespe e
serpenti sono responsabili di molte
più disgrazie ogni anno. Negli Stati Uniti il rischio annuale di morte
da fulmini è 30 volte maggiore di
quello da un attacco di squalo.
La (s)fortuna
del sub sloveno
Non andatelo però a raccontare a Damjan Pesek, il 43.enne
pescatore sub sloveno, attaccato
esattamente una settimana fa, lo
scorso 6 ottobre, da uno squalo
bianco di quasi 5 metri nell’insenatura di Mala Smokova sull’isola
di Lissa, ed entrato nella statistica
del MEDSAF – l’archivio degli attacchi di squalo del Mediterraneo
che completa ed estende i dati già
conservati nell’International Shark
Attack File (ISAF) – sotto la voce
“attacco non fatale”. Pesek è stato aggredito a circa 10 metri dalla riva, in una zona dove il fondale
è sabbioso e la profondità dell’acqua non supera i 2-3 metri, mentre nuotava vicino alla barca con
fissata alla cintola una ricciola di
circa 5 chilogrammi. È una prassi,
quella di appendere i pesci catturati a una sorta di guinzaglio tondeggiante fissato alla muta, che viene generalmente adottata da tutti
i pescatori sub che cacciano nell’Adriatico, incuranti della prima
voce del capitolo “come ridurre il
rischio di attacchi di squali”, che
recita più o meno “se si pratica pesca subacquea portare subito fuori
dall’acqua i pesci uccisi”. È vero
che lo sloveno ha avuto una sfor-
tuna pazzesca – ma possiamo parlare anche di fortuna, visto l’esito
dell’attacco, perché lo squalo bianco quasi mai lascia vive le proprie
“prede” –, perché gli avvistamenti
del grande predatore nell’Adriatico sono rari, ma la presenza dello
squalo bianco nelle nostre acque,
anche se sporadica, è comunque
confermata.
Un attacco
«urta e mordi»
E in caso di contatto ravvicinato sono guai, guai seri. La ricciola, sanguinante, ha attirato lo
squalo che ha attaccato Damjan
Pesek, mordendolo al polpaccio e
iniziando a compiere i caratteristici movimenti circolari intorno alla
vittima, comportamento classico di
quelli che vengono definiti attacchi
“urta e mordi”. Lo sloveno si è salvato grazie alla prontezza di spirito. Anche se gravemente ferito ha
trovato la forza di respingere un
secondo attacco – che sarebbe risultato fatale – con una fiocina e rifugiarsi sul canotto che fungeva da
life-boat. Quindi il pronto intervento degli amici che si trovavano sull’imbarcazione, i quali sono riusciti
a fermare la copiosa emorragia, e
successivamente del dottore di Lissa e dei chirurghi di Spalato, hanno
scongiurato conseguenze ben peggiori se non letali.
I precedenti
nell’Adriatico e in Europa
Quello di Damjan Pesek è il sesto caso ufficiale di attacco da squalo verificatosi lungo la costa croata.
Quattro quelli mortali, l’ultimo dei
quali registrato nel 1974, dunque 34
anni fa, a Rogoznica dove uno squalo bianco uccise un turista tedesco.
Il primo decesso risale al 21 agosto 1934: la 18.enne Agnes Novak
viene ferita mentre nuota nei pressi
della tonnara dell’isola di Sansego:
morirà dissanguata. Il 24 settembre
1961 nelle acque di Abbazia uno
squalo bianco attacca il 19.enne studente serbo Sabit Plana mentre nuota in compagnia di sette amici a 100
metri dalla riva. Più volte morso alla
mano e agli arti inferiori, il ragazzo
era già morto all’arrivo dei soccorritori. Nonostante un’accurata ricerca
effettuata su varie riviste e siti internet specializzati, non siamo riusciti a
risalire al luogo d’attacco e alle generalità della quarta vittima.
L’International Shark Attack File
dell’Università della Florida afferma
che l’Italia è il paese europeo dove
lo squalo ha attaccato maggiormente l’uomo: 13 aggressioni su 40, di
cui 4 sono risultati mortali e l’ultima
risale al febbraio 1989 a Piombino.
Un sub stava facendo la manutenzione ordinaria di alcuni cavi sottomarini quando improvvisamente si
è ritrovato faccia a faccia con uno
squalo di oltre 6 metri. In Europa gli
altri attacchi all’uomo si sono verificati rispettivamente in Grecia (9 volte), in Croazia (6 volte), in Francia (4
volte), in Spagna (4 volte), in Gran
Bretagna (2 volte) e a Malta (2 volte). Gli attacchi totali sono stati 40
dei quali 17 mortali.
Questo studio ha raccolto anche
i dati su tutti gli attacchi accertati suddividendoli per zone. Dai risultati si evince che le acque più
pericolose sono quelle australiane, dove 136 delle 329 aggressioni sono state fatali. Gli Stati Uniti
detengono invece il record degli attacchi, 837 di cui “soltanto” 41 fatali. Gli altri attacchi sono stati riscontrati rispettivamente in Africa
(276-70), nelle isole del Pacifico
(121-50), in Asia (116-54), nelle
Hawaii (107-15), nel Sud America (100-23), nelle Antille Bahamas (65-19), nel centro America
(60-31), nella Nuova Zelanda (469), e nelle Bermuda (4). In totale ci
sono state 2.100 aggressioni con
447 vittime.
Lo squalo tigre è il responsabile
del 10 per cento degli attacchi
Carcharodon Carcharias (Squalo bianco) Cosmopolita, è noto come uno degli animali più pericolosi e aggressivi. È particolarmente sensibile all’odore del sangue, che scatena in lui una sorta di frenesia aggressiva,
inducendolo ad attaccare qualunque corpo in movimento.
Quando cattura una preda, la ingoia senza masticare, anche se di dimensioni pari a metà della propria; solitamente si tratta di foche, delfini e altri cetacei, tartarughe, altri
squali, pesci e rifiuti abbandonati in acqua dalle navi. La
maggior parte degli esperti è concorde nell’affermare che
la pessima reputazione dello squalo bianco sia in larga misura immeritata. Alcuni specialisti ritengono, inoltre, che
la specie sia in pericolo di estinzione a causa della riduzione delle fonti alimentari alle quali attinge e dell’eccessiva
pesca cui è sottoposta da parte dei cacciatori di trofei.
Carcharhinus amblyrhynchos (Squalo grigio di
scogliera) Di taglia medio-piccola, frequente lungo le barriere coralline del mar Rosso, dell’oceano Indiano e dell’oceano Pacifico australe, ma assente nel Mediterraneo.
Mentre in mar Rosso e oceano Indiano sembra sia abbastanza benevolo nei confronti dell’uomo, è noto per la sua
aggressività nel Pacifico, dove ha attaccato di frequente,
soprattutto per difendere il suo territorio da intrusioni.
Carcharhinus brevipinna (Squalo spinner) Cosmopolita, comune in acque tropicali e temperato-calde, nel
Mediterraneo lo si può trovare sopratutto lungo le coste
dell’Africa. La sua lunghezza massima è inferiore ai due
metri e ottanta. Malgrado abbia attaccato l’uomo, non viene considerato pericolosissimo.
Carcharhinus leucas (Squalo Zanibezi, carcarino)
Cosmopolita ma assente nel Mediterraneo. Dopo lo squalo bianco, il tigre e il mako è considerato il più pericoloso,
nonostante non raggiunga la lunghezza di tre metri e mezzo: gli si attribuisce l’8 per cento degli attacchi. Si nutre
soprattutto di altre specie di squali. L’acqua dolce non costituisce per lui un problema, e pertanto lo si può trovare
anche nei grandi fiumi tropicali a migliaia di chilometri di
distanza dalla foce, come nel Rio delle Amazzoni, lo Zambesi, il Gange, il Missisipi e il Tigri.
Carcharhinus longimanus (Carcarino longimano)
Specie tropicale d’alto mare, la cui presenza nel Mediterraneo è dubbia, mentre è considerata comunissima su acque oceaniche. Le pinne pettorali tipicamente allungate gli
Lo Squalo martello maggiore, la più grande
e pericolosa delle 8 specie di squalo martello
hanno valso il nome specifico. La sua lunghezza massima
è di poco inferiore ai quattro metri. Viene da molti considerato uno degli squali più pericolosi, e forse il principale
responsabile di molte stragi in occasione di naufragi avvenuti in mare aperto.
Carcharhinus melanopterus (Carcarino dalle pinne nere) Tipico squalo di barriera corallina, di media taglia, con la punta delle pinne elegantemente orlata di nero.
È presente nell’oceano Indiano, nel Pacifico occidentale e
nel mar Rosso. Di qui, attraverso lo stretto di Suez, è passato nelle acque costiere mediterranee dell’Egitto. Ha attaccato attratto dal pesce fiocinato, per lo più senza esiti
mortali.
Carcharhinus obscurus (Squalo bruno) Cosmopolita, comune tanto in acque costiere quanto al largo, soprattutto nei mari tropicali. È presente, ma raro nel Mediterraneo sudoccidentale. Raggiunge la lunghezza di quattro
metri. È una specie che incute rispetto, e si sa che talvolta
ha attaccato l’uomo.
Galeocerdo cuvier (Squalo tigre) Secondo solo allo
squalo bianco nella fama di aggressore, è il responsabile
del 10 per cento degli attacchi. Tropicale e costiero, non
è mai stato osservato nel Mediterraneo. Raggiunge forse
i sei metri di lunghezza massima. Molto aggressivo, non
esita ad avventurarsi in acque bassissime oppure nelle
sporche acque dei porti in cerca di cibo. È uno degli squali
dalla dieta più varia.
Isurus oxyrinchus (Mako o ossirina) Pelagico, cosmopolita in acque tropicali e temperate, è presente ma
non molto comune in Mediterraneo. Supera la lunghezza
di quattro metri. È uno squalo veloce, scattante e aggressivo, molto elegante, che si ciba prevalentemente di tonni
e pesci spada ma che ha attaccato l’uomo più volte (9 per
cento dei casi), spesso con esito fatale.
Un esemplare di Verdesca, probabilmente lo
squalo più comune del Mediterraneo
Negaprion brevirostris (Squalo limone) Molto comune nelle acque costiere dei Caraibi e del golfo del Messico, è invece assente dal Mediterraneo. La sua lunghezza
massima è di tre metri e mezzo. Ha attaccato l’uomo, specialmente se molestato.
Prionace glauca (Verdesca) Cosmopolita, pelagico,
abitante delle acque temperato-calde, è probabilmente lo
squalo più comune del Mediterraneo. Di un bel colore azzurro sul dorso, non raggiunge i quattro metri di lunghezza. Anche se non viene considerato tra gli squali più pericolosi, il 4 per cento delle aggressioni umane è a suo carico, e dovrebbe incutere rispetto.
Sphyrna mokarran (Squalo martello maggiore) È
la più grande (oltre sei metri di lunghezza) delle 8 specie
di squalo martello, e pertanto considerata la più pericolosa, anche se attacchi da martelli (complessivamente il 5
per cento del totale) sono forse imputabili anche a specie
più piccole. Presente nelle acque tropicali e temperato calde di tutto il mondo, costiere e pelagiche, si trovano anche
in Mediterraneo, soprattutto lungo la costa africana.
6 mare
Lunedì, 13 ottobre 2008
STORIE DI VITA Presso l’antiquariato in via Ciotta a Fiume una copia originale del
Con Santiago sulle pagine ingi
di Ivo Vidotto
«E
L’inserto di “Life”, un’anteprima della pubblicazione del libro
ra un vecchio che pescava da solo su una
barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantadue giorni ormai che non prendeva
un pesce. Nei primi quaranta giorni
lo aveva accompagnato un ragazzo,
Manolo, ma dopo quaranta giorni
passati senza che prendesse neanche un pesce, i genitori del ragazzo
gli avevano detto che il vecchio era
decisamente e definitivamente salao,
che è la peggior forma di sfortuna,
e il ragazzo aveva ubbidito andando
in un’altra barca dove prese tre bei
pesci nella prima settimana. Era triste per il ragazzo veder arrivare ogni
giorno il vecchio con la barca vuota e scendeva sempre ad aiutarlo a
trasportare o le lenze addugliate o la
gaffa e la fiocina e la vela serrata all’albero. La vela era rattoppata con
sacchi da farina e quand’era serrata
pareva la bandiera di una sconfitta
perenne”.
Molti avranno capito subito che
si tratta di un passo tratto da “Il
vecchio e il mare” (titolo originale
The Old Man and the Sea), il celebre romanzo dello scrittore e giornalista statunitense Ernest Hemingway (Oak Park, 21 luglio 1899
– Ketchum, 2 luglio 1961), definito un “personaggio affascinante, le
cui pagine – profondamente ispirate
L’impari lotta tra Santiago e il pescespada in un disegno originale
a uno stile di vita – sono pervase da
un senso assoluto della vigoria morale e fisica, dallo sprezzo del pericolo
ma anche dalla perplessità davanti al
nulla che la morte reca con sé”.
“Il vecchio e il mare” – che narra la storia di un vecchio pescatore,
Santiago, e di un ragazzo, Manolo,
al quale insegna a pescare e che gli
trasmette la forza di ritornare a solcare il mare – è stato pubblicato per
la prima volta sulla rivista “Life” nel
1952. Grazie a questo libro Hemingway riceverà il premio Pulitzer nell’anno 1953 e il premio Nobel nel-
l’anno 1954. Rovistando tra i libri e
le pubblicazioni presso l’antiquariato
in via Ciotta a Fiume, al gestore Saša
Dmitrović è bastato nominare Hemingway perché tirasse fuori una copia originale dell’inserto pubblicato
sulla rivista “Life”. Il romanzo venne terminato il 17 febbraio del 1952
e lo stesso anno Leland Hayward gli
offrì di pubblicarlo su un numero unico di “Life”, con uscita in settembre,
mentre Adriana Ivancich disegnò la
copertina del libro per l’editore Scribner che pubblicò il romanzo nello
stesso anno.
Saša Dmitrović nell’antiquariato di via
PESCE
La specie più diffusa e comune nell’Adriatico
Sardina, buona in piatto ed esca prelibata
La sardina è senza dubbio il
pesce più diffuso e comune dalle nostre parti e anche quello più
pescato ed è tra la specie di interesse commerciale di maggiore
nell’Adriatico centrale e settentrionale. La sardina (Sardina pilchardus) si trova, in varie specie,
anche in tutti i mari temperati del
globo terrestre.
È l’unica specie appartenente
al genere Sardina nel Mediterraneo e, come la Cheppia (Alosa fallax nilotica), la Papalina
(Sprattus sprattus), l’Alaccia
(Sardinella aurita) e l’Alice (Engraulis enchrasicolus) appartiene
alla stesso ordine sistematico dei
Clupeiformi. I caratteri che permettono la distinzione di queste
specie con la Sardina sono essenzialmente legati all’assenza
di carena e alla minore lunghezza
della mascella inferiore nell’Alice, all’assenza di striature sugli
opercoli (lisci) nella Papalina e
nell’Alaccia, e alle dimensioni e
al numero di squame, più piccole e circa il doppio nella Cheppia. Raramente supera i 20 cm di
lunghezza; quelle comunemente
pescate si aggirano attorno ai 15
centimetri.
Le sardina è anche un piccolo migratore: nel periodo della riproduzione (ogni femmina
emette 50-80.000 uova) si riunisce in banchi che si avvicinano
alla costa e restano in prossimità della superficie; nei mesi invernali si allontana e si rifugia in
acque profonde e più al largo. Si
trova fino a 180 m di profondità,
ma vive generalmente tra i 25 e
i 35 m di giorno, mentre di notte si spinge fino a pochi cm dalla
superficie. Si nutre generalmente
di plancton, piccoli molluschi e
uova di altri pesci.
Ha una forma slanciata e snella. Presenta la mascella inferiore leggermente più sporgente di
quella superiore, squame abbastanza grandi e pinna caudale appiattita con biforcazione pronunciata; si notano delle strie sugli
opercoli argentati. La colorazione del dorso è azzurro-verdastra,
con fascia azzurra sui lati, mentre
i fianchi e il ventre sono biancoargentei; lungo i fianchi possono
essere presenti alcune macchiette
nerastre.
Assieme all’Acciuga, la Sardina è il pesce più prelibato da
usarsi come esca, risultando appetito dalla totalità degli abitanti
marini oggetto della pesca sportiva.
Al vantaggio di un costo modesto, la sardina unisce il pregio
di una carne molto saporita e
piuttosto grassa, facilmente deperibile; le carni sono più grasse in estate, più magre in inverno, molto gustose sia fresche che
conservate. È un pesce ricco di
acidi grassi Omega 3, che riducono il livello di trigliceridi nel sangue e hanno un contenuto alto di
lipoproteine ad alta densità (Hdl),
cioè di colesterolo “buono”, noto
perché protegge contro le plac-
mare 7
Lunedì, 13 ottobre 2008
celebre romanzo
iallite de «Il vecchio e il mare»
Il numero di “Life” nel quale
viene annunciata la pubblicazione del romanzo
Prima di arrivare all’antiquariato
sito al pianterreno del “piccolo grattacielo” di via Ciotta, il celebre inserto di “Life” ha fatto praticamente il
giro del mondo e probabilmente il
suo percorso meriterebbe un... romanzo. Tenerlo in mano, sfogliarlo
e ammirare le illustrazioni originali
dell’epoca, ci ha fatto provare una
sensazione particolare. In un attimo
ci siamo trovati sulla barca del “vecchio magro e scarno, con rughe profonde sulla nuca”. Santiago aveva
“sulle guance le chiazze del cancro
della pelle provocato dai riflessi del
Ciotta
che che possono occludere i
vasi sanguigni e causare attacchi di cuore o ictus.
Buona parte di questo pesce viene ritirato dalle industrie
conserviere, per essere confezionato sott’olio. Al momento
“Tutto in lui era vecchio, tranne i suoi occhi, che, nonostante il passare del tempo, erano rimasti azzurri come il mare”
sole sul mare tropicale e le mani avevano cicatrici profonde, che gli erano venute trattenendo con le lenze i
pesci pesanti”, come abbiamo potuto leggere sulla prima pagina dell’inserto di “Life”, segni di una vita
dura e piena di sacrifici. Tutto in lui
era vecchio, tranne i suoi occhi, che,
nonostante il passare del tempo, erano rimasti azzurri come il mare. La
sua lotta con il pesce, anche se non
si concluderà a buon fine, affermerà il suo orgoglio e il suo coraggio,
che sembravano già persi da tempo,
ma anche la notevole forza che dimostrerà combattendo quasi a mani
nude con i pescecani. Il fatto che della sua preda rimanga solo lo scheletro è una sconfitta relativa al piano
economico, non a quello morale.
Leggendo quelle pagine ormai
ingiallite, i nostri pensieri andavano
ripartiti equamente tra Santiago e il
romanziere americano che ne descrisse la vita, con un linguaggio particolare, essenziale ma non scarno.
In questa breve storia di un vecchio
che lotta con un pesce spada c’è tutta
l’epica di Hemingway, che dopo aver
vinto il Premio Pulitzer, ricevette per
telefono la notizia che gli era stato
assegnato anche il premio Nobel. Il
suo stato di salute, già precario, non
gli permise di viaggiare fino a Stoccolma e il premio venne ritirato dall’ambasciatore Jon Cabot. Si dice
anche che alla consegna del premio
lo scrittore abbia risposto al messo
“Too late”, “Troppo tardi”. Ma non
è mai “troppo tardi” per navigare con
Santiago sulle pagine ingiallite de “Il
vecchio e il mare”...
dell’acquisto, le sardine si devono presentare ben rigide al
tatto. Essendo ricche di grassi,
si prestano bene alle cotture alla
griglia, ma vengono consumate
anche fritte, impanate e anche
lessate.
È tra i più grandi pesci pelagici
Manta, razza «cornuta e diabolica»
Tra i più grandi pesci pelagici, la manta ha un aspetto
curioso che la fa assomigliare
più a un grande aquilone che
a una creatura marina. Simile
nell’aspetto a un grande mantello, la manta è una strana
presenza nel mare che ha attirato da sempre l’attenzione
di pescatori e navigatori per
il suo fluttuare leggero nelle
azzurre acque marine. Tuttavia, vederla è considerato un
evento piuttosto raro anche se
è presente un po’ in tutto il Mediterraneo. Ha destato quindi
un piacevole stupore l’avvistamento effettuato al largo delle
limpide acque di Lampedusa di
sei esemplari di manta Mobula
mobular. A effettuare l’avvistamento sono stati ricercatori del
Necton Marine Reserch Society
che stanno effettuando uno studio nella zona. Si tratta di individui adulti e il più grande di
questi presentava un’apertura
alare di circa 3,5 metri.
La manta è una specie protetta che può raggiungere anche gli 8 metri di apertura alare e 2 tonnellate di peso. Nonostante le grandi dimensioni è
un pesce assolutamente tranquillo e si nutre di plancton. Le
curiose pinne cefaliche, simili a
corna, gli hanno fatto guadagnare il soprannome di razza
cornuta o pesce diavolo.
8 mare
Lunedì, 13 ottobre 2008
UN TUFFO NEL PASSATO Il principale artefice dello sviluppo della marina austroungarica
Massimiliano, l’arciduca marinaio
di Giacomo Scotti
S
ul finire del 1994, in concomitanza con l’ottantesimo anniversario dell’inizio della prima guerra mondiale
che avrebbe segnato la fine della grande avventura asburgica
sull’Adriatico e sugli altri mari,
venne pubblicato un volume illustrato, a cura di Horst Friedrich
Mayer e Dieter Winkler, dal titolo nostalgico Als die Adria Osterreichisch war (Quando l’Adriatico era austriaco) che; percorre le
tappe della presenza asburgica nel
nostro mare.
Il principio o l’annuncio della fine della marina austriaca si
ebbe con l’agonia dell’istituzione
votata al futuro di quella marina,
la chiusura dell’Accademia navale di Fiume, dove, a cominciare
dalla fine degli anni Cinquanta
dell’Ottocento – e dopo i periodi
di Venezia fino al 1848 e di Trieste dal Quarantotto al 1857
– gli ufficiali avevano appreso mestiere e disciplina.
L’Adriatico era stato anche il mare delle due più
potenti basi della marina
da guerra austroungarica: Pola e Cattaro. Negli
ultimi decenni dell’Ottocento il Casinò di Marina ovvero Marinekasino
di Pola aveva conosciuto
le feste più fastose, lì aveva suonato il re dell’operetta Franz Lehar. A Pola,
a Fiume e a Trieste erano
state costruite le più potenti
navi della flotta militare dell’impero.
Dalle città adriatiche
i marinai più arditi
Le grandi e piccole città dell’Adriatico nord-orientale, da Venezia a Trieste, l’Istria, Fiume, le
isole del Quarnero e la Dalmazia
avevano dato per un secolo i più
arditi marinai di quella marina,
mercantile e militare. Veneti, triestini, istriani, quarnerini e dalmati
furono pure gli uomini degli equipaggi delle spedizioni scientifiche
che partirono per tutto il mondo.
Nella seconda metà dell’Ottocento furono rifatte tutte le carte navali della costa adriatica, di quella occidentale fino al Po nel 1859
poi dell’intera costa orientale e
delle isole dalmate nel quadriennio 1866-187 Solo per la costa
orientale il risultato furono 167
mappe, 137 studi idrografici e 40
piante di porti.
commerciali e scientifiche della
flotta Asburgica: “per sua volontà
si costruirono navi, si modernizzarono gli arsenali, si costruì la nuova sede di Fiume per l’Accademia
navale (l’attuale grande Ospedale
Civico), si aumentarono le difese
ai porti, si creò un ministero per
la marina”.
Dal mare lo strapparono i gravosi incarichi affidatigli dal fratelimperatore Francesco GiusepLa gloriosa fregata lo
pe, che lo nominò Governatore del
Lombardo-Veneto e successiva«Novara»
mente, negli anni Sessanta, lo conChe cosa si può ancora rac- vinse ad accettare la corona impecontare di una marina che era di- riale del Messico dove fu fucilato
ventata la quinta al mondo allo dai rivoluzionari. La gloriosa frescoppio della prima guerra mon- gata “Novara”, che era già divendiale? Molto moltissimo. Ma so- tata il leit-motiv della sua voglia di
prattutto si dovrebbe parlare di un nuovi orizzonti, ne riportò la salma
il 6 gennaio 1868 in quella Trieste
dove aveva costruito la propria regale dimora, il castello di Miramare.
Pochi sanno che l’arciduca
Massimiliano d’Asburgo ha lasciato un libro di “Viaggi in
Italia”. È un vero e proprio
giornale di bordo, un diario
delle sue visite alle città italiane di Napoli, Palermo,
Pisa, Lucca e Firenze compiute durante i viaggi per
mare a cavallo fra il 1850 e
il 1852. Alcuni brani ci rivelano la grande passione
del principe, governatore e
imperatore per il mare.
Il principe monta
la guardia
“Alle 7 suon l’ora in
cui si avverò il mio desiderio da così lungo tempo custodito nell’animo:
un viaggio per mare (...)
Un ritratto dell’arciduca
questo momento mi proMassimiliano
vocò una forte, istintiva
uomo che fu il principale artefice commozione, era la pridello sviluppo e della potenza di ma volta che lasciavo la
quella marina: l’arciduca Mas- patria per un lungo periosimiliano d’Asburgo (fratello do, e mi affidavo al mare
dell’imperatore Francesco Giu- per un lungo viaggio. Veloseppe), l’uomo che dopo un viag- cemente tagliammo le onde
gio nell’Egeo compiuto nel 1850, e già verso le 7 e un quarto
decise di restare sui mari e si svi- salimmo, al suono dell’inno
luppare le potenzialità militari, nazionale, a bordo della fregata
‘Novara’, il nostro futuro palazzo navigante, il cui solo nome dovrebbe essere di buon auspicio per
un austriaco”.
Il diario di Massimiliano comincia così. La nave partiva da
Trieste,dove l’arciduca era arrivato in compagnia di “alcuni conoscenti”. Preso congedo da questi
e dai signori del seguito, il barcarizzo con a bordo il principe venne issato a bordo. Era la sera del
30 luglio 1851. Nella cabina del
comandante, l’arciduca scrisse alcune righe ai suoi genitori prima di
tagliare l’ultimo legame con la terraferma. I preparativi per la partenza si protrassero però più a lungo
del previsto, e fu “grande fatica per
la ciurma” quella di levare le ancore “dato che una nuova invenzione francese rallentò il movimento
del salpa-ancore, fermandole varie
volte”. Nell’occasione, purtroppo,
un marinaio fu ferito gravemente e
La fine di Massimilano ne “L’esecuzione”, nota opera di Édouard Manet
L’arciduca, che amava descrivere i paesaggi che si offrivano ai suoi
occhi nel corso dei viaggi per terra
Fino all’ora
e per mare, non poté farlo per la costa istriana; il cielo totalmente ricodegli spiriti...
perto dalle nuvole e la densa foschia
Finalmente, presa a rimorchio non gli permisero di “scorgere dei
dalla corvetta a vapore “Lucia”, la particolari interessanti”. Il mattino
fregata “Novara” si mosse alle ore dell’11 agosto, invece, “avvistam21. Dopo aver messo ordine nella mo il Monte Ossero ed alcune isole
del Quarnero”. Il tempo, già “troppo cattivo” il giorno precedente, era
tornato al bello, e il mare era meno
mosso. “Ciò nonostante, tutti si sentivano ancora male”.
Il principe marinaio montò nuovamente la guardia dalle 8 a mezzogiorno, “e mi sentii stanco
morto avevo stivali troppo stretti
e piedi dolenti, cosicché dovetti fare molti sforzi per resistere
fino all’ora degli spiriti”.
dovette essere sbarcato e ricoverato all’ospedale.
«Bagliori e lampi
illuminavano
a giorno...»
Un giovane Massimiliano
sua “spaziosa, ariosa e confortevole” cabina, l’arciduca Massimiliano
prese alle 22 il tè con il comandante
ed altri ufficiali, “dopo di che mi sistemai in un’amaca per trovare il riposo notturno”. Il mattino del 31 luglio, dalle 8 alle 12, il principe della
imperial-regia casa d’Austria montò la sua prima guardia. Scrisse: “Il
mare era molto mosso, la nave rollava notevolmente e ben presto cadde una forte e insistente pioggia.
Tutti intorno a me erano altamente
sofferenti, ma la prova a cui fummo
sottoposti era notevole per il primo
giorno. Dopo poco il vento ci fu talmente contro, che dovemmo slegare
il cavo di rimorchio del vapore ed
iniziare a bordeggiare verso terra.
La costa dell’Istria era in vista”.
Nel frattempo l’orizzonte
tornò ad annuvolarsi, “bagliori e lampi illuminarono a giorno per brevi momenti la nave”,
abbagliando la vista di chi scrutava l’orizzonte, fino ad arrecargli un forte dolore agli occhi. “Tali
spettacoli su una scena così grandiosa ed ampia – commentò l’arciduca – vengono offerti solo a coloro che viaggiano per mare”.
Il 2 agosto la “Novara” si avvicinò alle sponde italiane, e precisamente alle coste degli Abruzzi ovvero del Regno di Napoli, la nave
ne era distante solo otto miglia marine. “La piccola cittadina di Vieste
era distinguibile ad occhio nudo. La
regione sembra molto montagnosa,
abbastanza boscosa e venata da
strisce di terra gialla. La città non
riveste alcuna importanza e si trova su una di quelle colline gialle”.
L’arciduca notò pure la presenza di
antiche torri che, a distanza ravvicinata tra di loro, “si susseguono lungo tutta la costa, furono erette contro le passate invasioni dei Turchi.
Al largo di Vieste incontrammo molte barche da pesca napoletane dalle
vele curiose”.
Segue nel prossimo numero
Anno IV / n. 34 del 13 ottobre 2008
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: MARE [email protected]
Redattore esecutivo: Ivo Vidotto / Impaginazione: Vanja Dubravčić
Collaboratori: Roberto Venturini, Giacomo Scotti, Lucio Vidotto, Danilo Prestint,
Alessandro Superina Foto: Ivo Vidotto, Lucio Vidotto, Goran Žiković
La fregata austriaca “Novara” in navigazione
La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano
con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004
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13.10.2008 - EDIT Edizioni italiane