PRIMA COLONNA di Ivo Vidotto Santiago e Damjan DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww “Santiago era un vecchio magro e scarno, con rughe profonde sulla nuca. Sulle guance aveva le chiazze del cancro della pelle provocato dai riflessi del sole sul mare tropicale e le mani avevano cicatrici profonde, che gli erano venute trattenendo con le lenze i pesci pesanti”. Bastano queste poche parole per capire che si tratta di un passo tratto dal celebre romanzo “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway. Non vogliamo, però, raccontare la vita di un pescatore, il suo orgoglio e il suo coraggio e neppure la biografia dello scrittore americano al quale questo romanzo valse il premio Pulitzer nel 1953 e il premio Nobel l’anno successivo. A farci rivivere le avventure di Santiago – “tutto in lui era vecchio, tranne i suoi occhi, che, nonostante il passare del tempo, erano rimasti azzurri come il mare”, scrisse Hemingway – è stata una copia originale, ormai ingiallita, dell’inserto della rivista “Life”, uscito nel settembre del 1952, una specie di anteprima del libro, uscito dalle stampe quello stesso anno. Abbiamo avuto modo di sfogliarla presso l’antiquariato sito al pianterreno del “piccolo grattacielo” di via Ciotta, a Fiume, calandoci con la nostra fantasia nel mondo di Santiago, immaginando la sua lotta con un pesce spada, che racchiude tutta l’epica del romanziere americano. Dalla lotta immaginaria contro un pesce spada, passiamo a quella fin troppo reale vissuta una settimana fa da uno sloveno, appassionato di pesca subacquea, nelle acque attorno all’isola di Lissa. L’uomo, il 43.enne Damjan Pesek, non si sarebbe mai aspettato di incontrare in un mare “pacifico” come l’Adriatico uno squalo bianco – uno dei più affascinanti e misteriosi predatori dei mari – e il fatto di poterlo raccontare avrà significato per lui nascere una seconda volta. Quello degli squali bianchi è un mondo pervaso da luoghi comuni, che suscitano allo stesso tempo terrore e ammirazione, facendoci rivivere le scene da brivido del celebre film di Spielberg “Lo squalo”, uscito nel 1975. Il Grande squalo bianco (Carcharodon carcharias) è l’ultimo grande oscuro predatore degli oceani, simbolo di tutti i nostri orrori e delle nostre paure, ed è considerato il più grande pesce predatore del pianeta, le cui dimensioni massime possono raggiungere e forse superare i sette metri di lunghezza e le tre tonnellate di peso. Parlando dello squalo bianco, i nostri pensieri volano sempre verso l’Australia, il Sudafrica oppure verso la California, ma non è impossibile trovarlo – e l’attacco di Lissa lo conferma – anche nell’Adriatico. Abbiamo voluto, perciò, scavare nel passato più o meno remoto e scoprire altre testimonianze della sua presenza nel nostro mare. Una presenza che, in virtù della sua fama di “mangiatore di uomini”, ci mette i brividi e che non vorremmo mai riscontrare di persona. Non ci aiuta a sopprimere questo sentimento nemmeno la constatazione degli esperti, secondo i quali non è il mostro crudele che si avventa con ferocia su tutto quello che incontra come è stato raffigurato dalla cinematografia catastrofica hollywoodiana, e quindi così trasferito nell’immaginario collettivo, ma un animale cauto ed estremamente intelligente, che studia con attenzione le sue possibili prede e valuta attentamente i rischi che corre nello sferrare un attacco. An no IV mare 8 • n. 3 200 4 • Lunedì, 13 ottobre Lunedì, 13 ottobre 2008 AMBIENTE La difficile convivenza sulle isole quarnerine con questi animali intellige Cinghiali, quegli intrusi a due passi dal mare di Lucio Vidotto N essuno è oggi in grado di valutare quanti sono e soprattutto nessuno ha un’idea di come affrontare il problema della loro esistenza sulle isole. Stiamo parlando dei cinghiali, cioè di una di quelle specie che qualcuno ha portato dalla terraferma per motivi intuibili, ma non accertati. I cinghiali, più dei dai- tanto le isole. Lo troviamo anche sul litorale e nelle zone montane. Ci sono anche dei risultati. In un anno, sull’isola di Veglia sono stati abbattuti circa 400 cinghiali e altri 380 sulle altre isole. Non è semplice. C’è chi propone di avvelenarli senza pensare che in questo modo non rischiano soltanto i cinghiali. Possiamo dire che l’abbattimento delle specie alloctone viene ostacolato anche dalla legislazione in materia. Infatti, per portare avanti efficacemente questo programma, che determina peraltro un notevole impegno economico, si va contro la Legge che regola la caccia in generale, senza parlare del rispetto del fermo caccia in determinati periodi dell’anno. Il fermo nel nostro caso non dovrebbe essere applicato. Stiamo parlando di una materia estremamente complessa e di un problema che sarà difficile risolvere”. L’importanza di mantenere un equilibrio mangiati sei tonnellate di uva” ni o degli sciacalli dorati, hanno imparato ad arrangiarsi bene nel nuovo habitat e quando trovano cibo a sufficienza si riproducono velocemente. Di conseguenza aumenta la richiesta di cibo e a quel punto nasce un conflitto con la popolazione autoctona, quella umana, s’intende. Sono una delle specie alloctone o, in altre parole, dei veri e propri intrusi di cui si farebbe volentieri a meno. Chi li ha portati? Chi li può cacciare? Ci sono rimedi? Abbiamo cercato di ottenere qualche risposta da chi ha subito dei danni e in seno alla Regione Litoraneo-montana, dove il vicepresidente Vidoje Vujić ci ha fornito la sua visione. Può essere sufficiente, abbiamo chiesto, affidarsi a una società venatoria, composta da membri che ne fanno parte per hobby, passione, ma non per professione, per gestire un problema estremamente complesso? “Il ruolo delle società venatorie è importante per la salvaguardia della natura e per questo motivo noi diamo loro il nostro sostegno. Gli equilibri da mantenere sono un problema che non riguarda sol- “Sono previsti dei risarcimenti – precisa Vujić –, ad esempio, per chi è in grado di dimostrare che una pecora o un agnello sia stato sbranato da un animale selvatico. Ci sono tante denunce che non sono potute venire prese in considerazione per il semplice fatto che non esisteva alcuna prova che il danno sia veramente avvenuto. Qualcuno ha sicuramente cercato di fare il furbo e abbiamo anche le prove che tra chi ha sporto denuncia per la scomparsa di un certo numero di capi che precedentemente aveva provveduto a vendere”. Comunque, sarà necessario stabilire un certo equilibrio, in quanto l’allevamento di ovini sulle isole non può cambiare. Più precisamente, si può cambiare sistema di allevamento, ma allora cambia proprio tutto. Il metodo tradizionale consente alle greggi di girare liberamente, andando incontro a tanti pericoli. Sull’isola di Cherso, e non solo, questo modo di allevare le pecore rappresenta un elemento importante nell’ecosistema. Con le greggi rinchiuse dentro i recinti scomparirebbero inevitabilmente i grifoni che popolano l’isola e che si nutrono delle carcasse di quegli animali uccisi dalla loro stessa natura, alla ricerca di pascoli in zone impervie. Per essere riUn cannone “spaventacinghiali” Sull’isola di Veglia i cinghiali h sarciti occorre fornire le prove e talvolta è impossibile. Che disastro nei vigneti Quando si parla di danni veri e provati c’è un esempio che riguarda i cinghiali in un altro ruolo. Sull’isola di Veglia non viene visto come un pericolo per le greggi bensì per l’uva. A Ivan Katunar i cinghiali si sono mangiati 6 tonnellate d’uva prima della vendemmia. È successo poche settimane fa, quando per la prima volta sono stati adottati dei metodi particolari per tenere alla larga questi ghiotti e intelligenti animali, in grado di riprodursi a dieci mesi dalla nascita e di mettere al mondo fino a sei piccoli. Ecco come la vede il viticoltore di Verbenico. “L’arrivo dei cinghiali sulle isole è stato pianificato per trasformare i terreni agricoli in qualcosa di diverso. È un problema che interessa molte altre isole. Le attività tradizionali non sono state mai minacciate come lo sono adesso, né dalle varie occupazioni né dal comunismo. I rimedi attuati finora si sono dimostrati insufficienti. Secondo me non basta affidare a una società venatoria la gestione del problema. I cacciatori sono membri di una società di cui fanno parte su base volontaria. Pertanto, non si può richiedere da loro un impegno professionale e serio, come invece sarebbe opportuno. In altre parole, il loro ruolo è quello di salvaguardare certi equilibri. Io pratico la pesca sportiva e sono membro di un club che però non ha, giustamente, delle mansioni così impegnative. La gestione del patrimonio ittico è prerogativa di strutture più competenti. Se in un anno sono stati abbattuti 400 cinghiali è altrettanto vero che in circolazione ce ne sono ancora parecchi. Il numero sembra grande, ma non lo è se ne sono rimasti 4.000. Personalmente ho la fortuna di essere stato nelle condizioni di fornire tutte le prove del danno subito. Ho chiamato la polizia per denunciare il fatto e quindi sono stati i periti giudiziari a valutarne l’entità. I maiali selvatici si sono mangiati poco meno di 6 tonnellate d’uva dopo di che si è capito quanto sia seria la faccenda”. Cannonate per salvare il raccolto Nella vallata alle spalle di Verbenico sono stati sistemati venti cannoni caricati a gas che a intervalli di pochi minuti sparavano, giorno e notte, fino alla fine della vendemmia. Sono serviti per spaventare sia i cinghiali, che con il passare dei giorni vi si sono abituati, sia gli uccelli, altri animali ghiotti di uva. “Immediatamente dopo la prima razzia nei miei vigneti, dove i cinghiali hanno mangiato tre tonnellate di Chardonnay, è stato organizzato un agguato notturno da parte dei cacciatori. Da quanto mi sia dato a sapere, in quella circostanza ne sono stati abbattuti due, ma nessuno è stato in grado di capire quanti fossero. L’unica cosa che so è che hanno ricoperto di orme ogni metro quadrato dei vigneti. I danni li fanno anche altrove, facendo franare i muri di sassi entro Lunedì, 13 ottobre 2008 nti, ghiotti e dannosi anno trovato un habitat ideale cui pascolano e vengono custodite le greggi. A qualcuno, evidentemente, interessa di far scomparire certe attività”. Prima della prossima vendemmia, come è stato annunciato, l’intera vallata di Verbenico verrà recintata, una misura che dovrebbe impedire l’accesso ai cinghiali che saranno costretti a ripiegare, chissà, sui pomodori, che sono un altro “brand” della zona oltre alla Žlahtina, il noto vino locale. Sull’isola di Veglia si svendono terreni agricoli e aree boschive I terreni non coltivati e mal gestiti diventano facile preda degli speculatori che vogliono appropriarsene per pochi soldi Se trovano un ambiente favorevole, i cinghiali si riproducono molto velocemente Vidoje Vujić: “È una materia estremamente complessa” in attesa che il loro valore cresca una volta in mano a uno e non a tanti proprietari. Abbiamo scoperto che il noto imprenditore edile Tomislav Horvatinčić ha riscattato dei vasti territori nella zona Sottovento sull’isola di Veglia, in una fascia vicinissima al mare che, osservando il Piano territoriale per l’isola, in nessun modo si presta ad attività edilizie. Non c’è quindi il rischio che i documenti di pianificazione possano subire delle modifiche drastiche, nel senso che un terreno agricolo, a causa dello scarso interesse per questa attività meno remunerativa rispetto all’edilizia, con la complicità dei fattori esterni, possa divenire area edificabile entro un certo periodo? “Ignoro il fatto – ammette Vujić – che ci sia qualcuno che acquista aree boschive o agricole. Gli speculatori ci sono dovunque. Evidentemente sanno dove investire per trarre dei vantaggi in futuro. In questo momento l’interesse può derivare forse dalla consapevolezza che determinate aree saranno interessate da interventi infrastrutturali”. Un impegno notevole a favore delle isole La Regione Litoraneo-montana è comunque tra le prime della classe quando si parla di incentivi e attività per favorire l’agricoltura e specie quella tradizionale come l’olivicoltura e viticoltura. Lo sottolinea il vicepresidente della Regione Litoraneo-Montana Vujić: “Abbiamo adottato per primi il modello di sostegno dell’olivicoltura con il sovvenzionamento parziale per l’acquisto delle piante di ulivo in cui la Regione partecipa con un terzo, le autonomie locali con un terzo e gli olivicoltori con un terzo. Questo ha portato a un grande sviluppo del settore. Per favorire la vita sulle isole vengono sovvenzionate anche le linee marittime. Oggi vivere sulle isole può anche essere un privilegio, se teniamo conto del fatto che quella di Veglia non può essere considerata un’isola. Con le altre isole ci sono delle ottime vie di comunicazione e molti dei disagi che esistevano una volta non esistono più”. Le greggi corrono grossi rischi durante il pascolo 4 mare Lunedì, 13 ottobre 2008 Lunedì, 13 ottobre 2008 5 ATTUALITÀ Il caso dello sloveno Damjan Pesek, attaccato da uno squalo bianco a Lissa, ha riportato alla ribalta il grande predatore «Shark attack» nell’Adriatico: allarme ingiustificato I 12 «personaggi» che hanno contribuito a creare il mito del killer Dallo squalo bianco al martello e al tigre Sguardo da serial killer e ghigno minaccioso... Ridurre il rischio di attacchi Il rischio relativo di un attacco da parte di uno squalo è molto piccolo, ma dovrebbe essere ridotto ulteriormente laddove è possibile, con qualche accorgimento: • Restare sempre in gruppo: infatti gli squali preferiscono attaccare individui isolati • Non vagare troppo distanti dalla barca perché oltre ad essere isolati si è troppo lontani per un eventuale soccorso • Evitare di entrare in acqua durante la notte o all’imbrunire, quando gli squali sono particolarmente attivi e dotati di un indubbio vantaggio sensoriale • Non entrare in acqua se sanguinanti da una ferita aperta o durante le mestruazioni: l’olfatto degli squali è molto acuto • È sconsigliato indossare gioielli perché i loro riflessi assomigliano a quelli delle squame dei pesci • Evitare acque con fogne o immondizia, e quelle usate per la pesca sportiva o commerciale, specialmente se sono presenti esche o sono state pasturate. La presenza di uccelli marini è indicativa di queste zone • Gli avvistamenti dei delfini non indicano l’assenza di squali: spesso si trovano a mangiare nelle stesse zone lo stesso cibo • Usare molta cautela quando le acque sono torbide ed evitare di indossare abbigliamento troppo colorato: gli squali vedono i contrasti particolarmente bene • Porre cautela in acqua nelle vicinanze dei litorali sabbiosi e rive scoscese, sono tra i luoghi preferiti dagli squali Il 43.enne Damjan Pesek, sopravvissuto all’attacco dello squalo bianco Gli squali sono considerati tra gli animali più pericolosi esistenti. Una informazione troppo spesso inesatta e lacunosa, ha tuttavia contribuito al diffondersi di informazioni non veritiere e false credenze. In realtà, delle quasi 500 specie attualmente note, solo una ventina possono, in alcune situazioni, divenire un reale pericolo. Inoltre, anche le specie più temibili, il più delle volte non attaccano gli esseri umani quando vi vengono in contatto. Questo indica chiaramente che l’uomo non può essere considerato una preda abituale di alcuna specie di squalo. La maggior parte di attacchi consiste in un singolo morso, dopo il quale l’animale non torna ad attaccare. Perché allora in alcuni casi certe specie di squali attaccano? Sicuramente per diversi motivi, quali: fame, curiosità, difesa, errore nel riconoscimento della preda. Il dodici per cento degli attacchi a persone in mare nei quali si è potuto identificare l’aggressore, sono imputabili allo squalo bianco, il che ne fa la specie più famigerata per quello che riguarda la sua pericolosità nei confronti dell’uomo. Eppure lo squalo bianco non è da solo sul banco degli imputati. Delle circa 350 specie note di squali, sono 27 quelle che di certo hanno attaccato persone o barche; una quarantina sono giudicate potenzialmente pericolose; le rimanenti 280 sono innocue. Ecco un elenco dei 12 “personaggi” che più hanno contribuito a creare il mito dello squalo assassino. Gli squali bianchi consumano i pasti con una frenesia sanguinaria di Alessandro Superina G li squali hanno un problema d’immagine piuttosto serio: con quello sguardo da serial killer, unito al ghigno minaccioso dai denti storti e seghettati sparsi in file e alla frenesia sanguinaria con cui consumano i pasti, non è per nulla difficile capire perché gli esseri umani non li abbiano mai amati. Gli scrittori prima e i registi hollywoodiani poi non sempre hanno contribuito alla loro causa. Il celebre scrittore ottocentesco Herman Melville, più volte testimone degli attacchi degli squali durante i suoi lunghi viaggi a bordo delle baleniere, definì lo squalo “pallido divoratore di orrida carne” (le balene arpionate) dalle “fauci profonde e seghettate”. Ernest Hemingway, che negli anni trenta dello scorso secolo si rifugiò per un periodo alle Bahamas armato di macchina da scrivere e canna da pesca, imprecava contro gli squali che spolpavano i pesci presi all’amo prima che riuscisse a tirarli fuori dall’acqua. Comunque si ritrovò a scriverne con grande ammirazione nel celebre libro “Il vecchio e il mare” (splendida e indimenticabile l’interpretazione sul grande schermo di Spencer Tracy) dove il protagonista Santiago si esprime con le seguenti parole a proposito di uno squalo mako: “Era bello in ogni parte tranne nelle mascelle, nobile e non ha paura di nulla”. Una splendida creatura e non un assassino La pessima e scientificamente non provata reputazione di “divoratore di uomini” fu elevata alle stelle nel 1974 quando Peter Benchley scrisse “Lo squalo”, un racconto che ha come personaggio principale non un uomo ma un grande squalo bianco. L’autore, che oggi si batte per la salvaguardia di questo predatore, adottò la teoria dello squalo vagabondo che – affamato – si spostava lungo le spiagge di una regione particolare cercando di soddisfare la sua brama di carne umana. Il libro ottenne un successo formidabile e il film tratto dal racconto – siamo nel 1975 – per un po’ di tempo detenne il record d’incassi di Hollywood. Il regista Steven Spielberg, per rendere quanto più spettacolari e mozzafiato le riprese, si affidò alla superconsulenza di Rodney Fox il quale, nel 1963 durante una competizione di pesca sub nell’Australia meridionale, fu attaccato da un grande squalo bianco salvandosi per un pelo grazie a una serie straordinaria di circostanze fortunate: erano serviti 462 punti di sutura e mesi di convalescenza per rimetterlo in sesto. Da allora Fox dedica la vita allo studio e alla protezione dello squalo bianco e alla prima dello “Squalo” ci rimase male. Quella presentata da Spielberg era un’immagine distorta dello squalo bianco, “una splendida creatura e non un assassino”. Non perdonò mai il famoso regista americano. Rischio quasi nullo, però... Gli attacchi da squali sono diventate notizie da prima pagina in tutto il mondo ma il rischio concreto di subire un’aggressione nell’Adriatico in particolare e nel Mediterraneo in generale è per la casistica insignificante, quasi nullo. Ad esempio, si corrono molti più rischi di morire per annegamento che anche solamente di poter vedere uno squalo. Molta più gente è ferita o uccisa mentre guida per andare in spiaggia o tornare a casa che da uno squalo in acqua. La probabilità di un attacco è anche meno comune rispetto ad altri tipici incidenti da spiaggia come cadute, disidratazione, meduse e ustioni solari. Inoltre, vengono messi molti più punti ai piedi per ferite da conchiglia che per morsi di squalo. Api, vespe e serpenti sono responsabili di molte più disgrazie ogni anno. Negli Stati Uniti il rischio annuale di morte da fulmini è 30 volte maggiore di quello da un attacco di squalo. La (s)fortuna del sub sloveno Non andatelo però a raccontare a Damjan Pesek, il 43.enne pescatore sub sloveno, attaccato esattamente una settimana fa, lo scorso 6 ottobre, da uno squalo bianco di quasi 5 metri nell’insenatura di Mala Smokova sull’isola di Lissa, ed entrato nella statistica del MEDSAF – l’archivio degli attacchi di squalo del Mediterraneo che completa ed estende i dati già conservati nell’International Shark Attack File (ISAF) – sotto la voce “attacco non fatale”. Pesek è stato aggredito a circa 10 metri dalla riva, in una zona dove il fondale è sabbioso e la profondità dell’acqua non supera i 2-3 metri, mentre nuotava vicino alla barca con fissata alla cintola una ricciola di circa 5 chilogrammi. È una prassi, quella di appendere i pesci catturati a una sorta di guinzaglio tondeggiante fissato alla muta, che viene generalmente adottata da tutti i pescatori sub che cacciano nell’Adriatico, incuranti della prima voce del capitolo “come ridurre il rischio di attacchi di squali”, che recita più o meno “se si pratica pesca subacquea portare subito fuori dall’acqua i pesci uccisi”. È vero che lo sloveno ha avuto una sfor- tuna pazzesca – ma possiamo parlare anche di fortuna, visto l’esito dell’attacco, perché lo squalo bianco quasi mai lascia vive le proprie “prede” –, perché gli avvistamenti del grande predatore nell’Adriatico sono rari, ma la presenza dello squalo bianco nelle nostre acque, anche se sporadica, è comunque confermata. Un attacco «urta e mordi» E in caso di contatto ravvicinato sono guai, guai seri. La ricciola, sanguinante, ha attirato lo squalo che ha attaccato Damjan Pesek, mordendolo al polpaccio e iniziando a compiere i caratteristici movimenti circolari intorno alla vittima, comportamento classico di quelli che vengono definiti attacchi “urta e mordi”. Lo sloveno si è salvato grazie alla prontezza di spirito. Anche se gravemente ferito ha trovato la forza di respingere un secondo attacco – che sarebbe risultato fatale – con una fiocina e rifugiarsi sul canotto che fungeva da life-boat. Quindi il pronto intervento degli amici che si trovavano sull’imbarcazione, i quali sono riusciti a fermare la copiosa emorragia, e successivamente del dottore di Lissa e dei chirurghi di Spalato, hanno scongiurato conseguenze ben peggiori se non letali. I precedenti nell’Adriatico e in Europa Quello di Damjan Pesek è il sesto caso ufficiale di attacco da squalo verificatosi lungo la costa croata. Quattro quelli mortali, l’ultimo dei quali registrato nel 1974, dunque 34 anni fa, a Rogoznica dove uno squalo bianco uccise un turista tedesco. Il primo decesso risale al 21 agosto 1934: la 18.enne Agnes Novak viene ferita mentre nuota nei pressi della tonnara dell’isola di Sansego: morirà dissanguata. Il 24 settembre 1961 nelle acque di Abbazia uno squalo bianco attacca il 19.enne studente serbo Sabit Plana mentre nuota in compagnia di sette amici a 100 metri dalla riva. Più volte morso alla mano e agli arti inferiori, il ragazzo era già morto all’arrivo dei soccorritori. Nonostante un’accurata ricerca effettuata su varie riviste e siti internet specializzati, non siamo riusciti a risalire al luogo d’attacco e alle generalità della quarta vittima. L’International Shark Attack File dell’Università della Florida afferma che l’Italia è il paese europeo dove lo squalo ha attaccato maggiormente l’uomo: 13 aggressioni su 40, di cui 4 sono risultati mortali e l’ultima risale al febbraio 1989 a Piombino. Un sub stava facendo la manutenzione ordinaria di alcuni cavi sottomarini quando improvvisamente si è ritrovato faccia a faccia con uno squalo di oltre 6 metri. In Europa gli altri attacchi all’uomo si sono verificati rispettivamente in Grecia (9 volte), in Croazia (6 volte), in Francia (4 volte), in Spagna (4 volte), in Gran Bretagna (2 volte) e a Malta (2 volte). Gli attacchi totali sono stati 40 dei quali 17 mortali. Questo studio ha raccolto anche i dati su tutti gli attacchi accertati suddividendoli per zone. Dai risultati si evince che le acque più pericolose sono quelle australiane, dove 136 delle 329 aggressioni sono state fatali. Gli Stati Uniti detengono invece il record degli attacchi, 837 di cui “soltanto” 41 fatali. Gli altri attacchi sono stati riscontrati rispettivamente in Africa (276-70), nelle isole del Pacifico (121-50), in Asia (116-54), nelle Hawaii (107-15), nel Sud America (100-23), nelle Antille Bahamas (65-19), nel centro America (60-31), nella Nuova Zelanda (469), e nelle Bermuda (4). In totale ci sono state 2.100 aggressioni con 447 vittime. Lo squalo tigre è il responsabile del 10 per cento degli attacchi Carcharodon Carcharias (Squalo bianco) Cosmopolita, è noto come uno degli animali più pericolosi e aggressivi. È particolarmente sensibile all’odore del sangue, che scatena in lui una sorta di frenesia aggressiva, inducendolo ad attaccare qualunque corpo in movimento. Quando cattura una preda, la ingoia senza masticare, anche se di dimensioni pari a metà della propria; solitamente si tratta di foche, delfini e altri cetacei, tartarughe, altri squali, pesci e rifiuti abbandonati in acqua dalle navi. La maggior parte degli esperti è concorde nell’affermare che la pessima reputazione dello squalo bianco sia in larga misura immeritata. Alcuni specialisti ritengono, inoltre, che la specie sia in pericolo di estinzione a causa della riduzione delle fonti alimentari alle quali attinge e dell’eccessiva pesca cui è sottoposta da parte dei cacciatori di trofei. Carcharhinus amblyrhynchos (Squalo grigio di scogliera) Di taglia medio-piccola, frequente lungo le barriere coralline del mar Rosso, dell’oceano Indiano e dell’oceano Pacifico australe, ma assente nel Mediterraneo. Mentre in mar Rosso e oceano Indiano sembra sia abbastanza benevolo nei confronti dell’uomo, è noto per la sua aggressività nel Pacifico, dove ha attaccato di frequente, soprattutto per difendere il suo territorio da intrusioni. Carcharhinus brevipinna (Squalo spinner) Cosmopolita, comune in acque tropicali e temperato-calde, nel Mediterraneo lo si può trovare sopratutto lungo le coste dell’Africa. La sua lunghezza massima è inferiore ai due metri e ottanta. Malgrado abbia attaccato l’uomo, non viene considerato pericolosissimo. Carcharhinus leucas (Squalo Zanibezi, carcarino) Cosmopolita ma assente nel Mediterraneo. Dopo lo squalo bianco, il tigre e il mako è considerato il più pericoloso, nonostante non raggiunga la lunghezza di tre metri e mezzo: gli si attribuisce l’8 per cento degli attacchi. Si nutre soprattutto di altre specie di squali. L’acqua dolce non costituisce per lui un problema, e pertanto lo si può trovare anche nei grandi fiumi tropicali a migliaia di chilometri di distanza dalla foce, come nel Rio delle Amazzoni, lo Zambesi, il Gange, il Missisipi e il Tigri. Carcharhinus longimanus (Carcarino longimano) Specie tropicale d’alto mare, la cui presenza nel Mediterraneo è dubbia, mentre è considerata comunissima su acque oceaniche. Le pinne pettorali tipicamente allungate gli Lo Squalo martello maggiore, la più grande e pericolosa delle 8 specie di squalo martello hanno valso il nome specifico. La sua lunghezza massima è di poco inferiore ai quattro metri. Viene da molti considerato uno degli squali più pericolosi, e forse il principale responsabile di molte stragi in occasione di naufragi avvenuti in mare aperto. Carcharhinus melanopterus (Carcarino dalle pinne nere) Tipico squalo di barriera corallina, di media taglia, con la punta delle pinne elegantemente orlata di nero. È presente nell’oceano Indiano, nel Pacifico occidentale e nel mar Rosso. Di qui, attraverso lo stretto di Suez, è passato nelle acque costiere mediterranee dell’Egitto. Ha attaccato attratto dal pesce fiocinato, per lo più senza esiti mortali. Carcharhinus obscurus (Squalo bruno) Cosmopolita, comune tanto in acque costiere quanto al largo, soprattutto nei mari tropicali. È presente, ma raro nel Mediterraneo sudoccidentale. Raggiunge la lunghezza di quattro metri. È una specie che incute rispetto, e si sa che talvolta ha attaccato l’uomo. Galeocerdo cuvier (Squalo tigre) Secondo solo allo squalo bianco nella fama di aggressore, è il responsabile del 10 per cento degli attacchi. Tropicale e costiero, non è mai stato osservato nel Mediterraneo. Raggiunge forse i sei metri di lunghezza massima. Molto aggressivo, non esita ad avventurarsi in acque bassissime oppure nelle sporche acque dei porti in cerca di cibo. È uno degli squali dalla dieta più varia. Isurus oxyrinchus (Mako o ossirina) Pelagico, cosmopolita in acque tropicali e temperate, è presente ma non molto comune in Mediterraneo. Supera la lunghezza di quattro metri. È uno squalo veloce, scattante e aggressivo, molto elegante, che si ciba prevalentemente di tonni e pesci spada ma che ha attaccato l’uomo più volte (9 per cento dei casi), spesso con esito fatale. Un esemplare di Verdesca, probabilmente lo squalo più comune del Mediterraneo Negaprion brevirostris (Squalo limone) Molto comune nelle acque costiere dei Caraibi e del golfo del Messico, è invece assente dal Mediterraneo. La sua lunghezza massima è di tre metri e mezzo. Ha attaccato l’uomo, specialmente se molestato. Prionace glauca (Verdesca) Cosmopolita, pelagico, abitante delle acque temperato-calde, è probabilmente lo squalo più comune del Mediterraneo. Di un bel colore azzurro sul dorso, non raggiunge i quattro metri di lunghezza. Anche se non viene considerato tra gli squali più pericolosi, il 4 per cento delle aggressioni umane è a suo carico, e dovrebbe incutere rispetto. Sphyrna mokarran (Squalo martello maggiore) È la più grande (oltre sei metri di lunghezza) delle 8 specie di squalo martello, e pertanto considerata la più pericolosa, anche se attacchi da martelli (complessivamente il 5 per cento del totale) sono forse imputabili anche a specie più piccole. Presente nelle acque tropicali e temperato calde di tutto il mondo, costiere e pelagiche, si trovano anche in Mediterraneo, soprattutto lungo la costa africana. 6 mare Lunedì, 13 ottobre 2008 STORIE DI VITA Presso l’antiquariato in via Ciotta a Fiume una copia originale del Con Santiago sulle pagine ingi di Ivo Vidotto «E L’inserto di “Life”, un’anteprima della pubblicazione del libro ra un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantadue giorni ormai che non prendeva un pesce. Nei primi quaranta giorni lo aveva accompagnato un ragazzo, Manolo, ma dopo quaranta giorni passati senza che prendesse neanche un pesce, i genitori del ragazzo gli avevano detto che il vecchio era decisamente e definitivamente salao, che è la peggior forma di sfortuna, e il ragazzo aveva ubbidito andando in un’altra barca dove prese tre bei pesci nella prima settimana. Era triste per il ragazzo veder arrivare ogni giorno il vecchio con la barca vuota e scendeva sempre ad aiutarlo a trasportare o le lenze addugliate o la gaffa e la fiocina e la vela serrata all’albero. La vela era rattoppata con sacchi da farina e quand’era serrata pareva la bandiera di una sconfitta perenne”. Molti avranno capito subito che si tratta di un passo tratto da “Il vecchio e il mare” (titolo originale The Old Man and the Sea), il celebre romanzo dello scrittore e giornalista statunitense Ernest Hemingway (Oak Park, 21 luglio 1899 – Ketchum, 2 luglio 1961), definito un “personaggio affascinante, le cui pagine – profondamente ispirate L’impari lotta tra Santiago e il pescespada in un disegno originale a uno stile di vita – sono pervase da un senso assoluto della vigoria morale e fisica, dallo sprezzo del pericolo ma anche dalla perplessità davanti al nulla che la morte reca con sé”. “Il vecchio e il mare” – che narra la storia di un vecchio pescatore, Santiago, e di un ragazzo, Manolo, al quale insegna a pescare e che gli trasmette la forza di ritornare a solcare il mare – è stato pubblicato per la prima volta sulla rivista “Life” nel 1952. Grazie a questo libro Hemingway riceverà il premio Pulitzer nell’anno 1953 e il premio Nobel nel- l’anno 1954. Rovistando tra i libri e le pubblicazioni presso l’antiquariato in via Ciotta a Fiume, al gestore Saša Dmitrović è bastato nominare Hemingway perché tirasse fuori una copia originale dell’inserto pubblicato sulla rivista “Life”. Il romanzo venne terminato il 17 febbraio del 1952 e lo stesso anno Leland Hayward gli offrì di pubblicarlo su un numero unico di “Life”, con uscita in settembre, mentre Adriana Ivancich disegnò la copertina del libro per l’editore Scribner che pubblicò il romanzo nello stesso anno. Saša Dmitrović nell’antiquariato di via PESCE La specie più diffusa e comune nell’Adriatico Sardina, buona in piatto ed esca prelibata La sardina è senza dubbio il pesce più diffuso e comune dalle nostre parti e anche quello più pescato ed è tra la specie di interesse commerciale di maggiore nell’Adriatico centrale e settentrionale. La sardina (Sardina pilchardus) si trova, in varie specie, anche in tutti i mari temperati del globo terrestre. È l’unica specie appartenente al genere Sardina nel Mediterraneo e, come la Cheppia (Alosa fallax nilotica), la Papalina (Sprattus sprattus), l’Alaccia (Sardinella aurita) e l’Alice (Engraulis enchrasicolus) appartiene alla stesso ordine sistematico dei Clupeiformi. I caratteri che permettono la distinzione di queste specie con la Sardina sono essenzialmente legati all’assenza di carena e alla minore lunghezza della mascella inferiore nell’Alice, all’assenza di striature sugli opercoli (lisci) nella Papalina e nell’Alaccia, e alle dimensioni e al numero di squame, più piccole e circa il doppio nella Cheppia. Raramente supera i 20 cm di lunghezza; quelle comunemente pescate si aggirano attorno ai 15 centimetri. Le sardina è anche un piccolo migratore: nel periodo della riproduzione (ogni femmina emette 50-80.000 uova) si riunisce in banchi che si avvicinano alla costa e restano in prossimità della superficie; nei mesi invernali si allontana e si rifugia in acque profonde e più al largo. Si trova fino a 180 m di profondità, ma vive generalmente tra i 25 e i 35 m di giorno, mentre di notte si spinge fino a pochi cm dalla superficie. Si nutre generalmente di plancton, piccoli molluschi e uova di altri pesci. Ha una forma slanciata e snella. Presenta la mascella inferiore leggermente più sporgente di quella superiore, squame abbastanza grandi e pinna caudale appiattita con biforcazione pronunciata; si notano delle strie sugli opercoli argentati. La colorazione del dorso è azzurro-verdastra, con fascia azzurra sui lati, mentre i fianchi e il ventre sono biancoargentei; lungo i fianchi possono essere presenti alcune macchiette nerastre. Assieme all’Acciuga, la Sardina è il pesce più prelibato da usarsi come esca, risultando appetito dalla totalità degli abitanti marini oggetto della pesca sportiva. Al vantaggio di un costo modesto, la sardina unisce il pregio di una carne molto saporita e piuttosto grassa, facilmente deperibile; le carni sono più grasse in estate, più magre in inverno, molto gustose sia fresche che conservate. È un pesce ricco di acidi grassi Omega 3, che riducono il livello di trigliceridi nel sangue e hanno un contenuto alto di lipoproteine ad alta densità (Hdl), cioè di colesterolo “buono”, noto perché protegge contro le plac- mare 7 Lunedì, 13 ottobre 2008 celebre romanzo iallite de «Il vecchio e il mare» Il numero di “Life” nel quale viene annunciata la pubblicazione del romanzo Prima di arrivare all’antiquariato sito al pianterreno del “piccolo grattacielo” di via Ciotta, il celebre inserto di “Life” ha fatto praticamente il giro del mondo e probabilmente il suo percorso meriterebbe un... romanzo. Tenerlo in mano, sfogliarlo e ammirare le illustrazioni originali dell’epoca, ci ha fatto provare una sensazione particolare. In un attimo ci siamo trovati sulla barca del “vecchio magro e scarno, con rughe profonde sulla nuca”. Santiago aveva “sulle guance le chiazze del cancro della pelle provocato dai riflessi del Ciotta che che possono occludere i vasi sanguigni e causare attacchi di cuore o ictus. Buona parte di questo pesce viene ritirato dalle industrie conserviere, per essere confezionato sott’olio. Al momento “Tutto in lui era vecchio, tranne i suoi occhi, che, nonostante il passare del tempo, erano rimasti azzurri come il mare” sole sul mare tropicale e le mani avevano cicatrici profonde, che gli erano venute trattenendo con le lenze i pesci pesanti”, come abbiamo potuto leggere sulla prima pagina dell’inserto di “Life”, segni di una vita dura e piena di sacrifici. Tutto in lui era vecchio, tranne i suoi occhi, che, nonostante il passare del tempo, erano rimasti azzurri come il mare. La sua lotta con il pesce, anche se non si concluderà a buon fine, affermerà il suo orgoglio e il suo coraggio, che sembravano già persi da tempo, ma anche la notevole forza che dimostrerà combattendo quasi a mani nude con i pescecani. Il fatto che della sua preda rimanga solo lo scheletro è una sconfitta relativa al piano economico, non a quello morale. Leggendo quelle pagine ormai ingiallite, i nostri pensieri andavano ripartiti equamente tra Santiago e il romanziere americano che ne descrisse la vita, con un linguaggio particolare, essenziale ma non scarno. In questa breve storia di un vecchio che lotta con un pesce spada c’è tutta l’epica di Hemingway, che dopo aver vinto il Premio Pulitzer, ricevette per telefono la notizia che gli era stato assegnato anche il premio Nobel. Il suo stato di salute, già precario, non gli permise di viaggiare fino a Stoccolma e il premio venne ritirato dall’ambasciatore Jon Cabot. Si dice anche che alla consegna del premio lo scrittore abbia risposto al messo “Too late”, “Troppo tardi”. Ma non è mai “troppo tardi” per navigare con Santiago sulle pagine ingiallite de “Il vecchio e il mare”... dell’acquisto, le sardine si devono presentare ben rigide al tatto. Essendo ricche di grassi, si prestano bene alle cotture alla griglia, ma vengono consumate anche fritte, impanate e anche lessate. È tra i più grandi pesci pelagici Manta, razza «cornuta e diabolica» Tra i più grandi pesci pelagici, la manta ha un aspetto curioso che la fa assomigliare più a un grande aquilone che a una creatura marina. Simile nell’aspetto a un grande mantello, la manta è una strana presenza nel mare che ha attirato da sempre l’attenzione di pescatori e navigatori per il suo fluttuare leggero nelle azzurre acque marine. Tuttavia, vederla è considerato un evento piuttosto raro anche se è presente un po’ in tutto il Mediterraneo. Ha destato quindi un piacevole stupore l’avvistamento effettuato al largo delle limpide acque di Lampedusa di sei esemplari di manta Mobula mobular. A effettuare l’avvistamento sono stati ricercatori del Necton Marine Reserch Society che stanno effettuando uno studio nella zona. Si tratta di individui adulti e il più grande di questi presentava un’apertura alare di circa 3,5 metri. La manta è una specie protetta che può raggiungere anche gli 8 metri di apertura alare e 2 tonnellate di peso. Nonostante le grandi dimensioni è un pesce assolutamente tranquillo e si nutre di plancton. Le curiose pinne cefaliche, simili a corna, gli hanno fatto guadagnare il soprannome di razza cornuta o pesce diavolo. 8 mare Lunedì, 13 ottobre 2008 UN TUFFO NEL PASSATO Il principale artefice dello sviluppo della marina austroungarica Massimiliano, l’arciduca marinaio di Giacomo Scotti S ul finire del 1994, in concomitanza con l’ottantesimo anniversario dell’inizio della prima guerra mondiale che avrebbe segnato la fine della grande avventura asburgica sull’Adriatico e sugli altri mari, venne pubblicato un volume illustrato, a cura di Horst Friedrich Mayer e Dieter Winkler, dal titolo nostalgico Als die Adria Osterreichisch war (Quando l’Adriatico era austriaco) che; percorre le tappe della presenza asburgica nel nostro mare. Il principio o l’annuncio della fine della marina austriaca si ebbe con l’agonia dell’istituzione votata al futuro di quella marina, la chiusura dell’Accademia navale di Fiume, dove, a cominciare dalla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento – e dopo i periodi di Venezia fino al 1848 e di Trieste dal Quarantotto al 1857 – gli ufficiali avevano appreso mestiere e disciplina. L’Adriatico era stato anche il mare delle due più potenti basi della marina da guerra austroungarica: Pola e Cattaro. Negli ultimi decenni dell’Ottocento il Casinò di Marina ovvero Marinekasino di Pola aveva conosciuto le feste più fastose, lì aveva suonato il re dell’operetta Franz Lehar. A Pola, a Fiume e a Trieste erano state costruite le più potenti navi della flotta militare dell’impero. Dalle città adriatiche i marinai più arditi Le grandi e piccole città dell’Adriatico nord-orientale, da Venezia a Trieste, l’Istria, Fiume, le isole del Quarnero e la Dalmazia avevano dato per un secolo i più arditi marinai di quella marina, mercantile e militare. Veneti, triestini, istriani, quarnerini e dalmati furono pure gli uomini degli equipaggi delle spedizioni scientifiche che partirono per tutto il mondo. Nella seconda metà dell’Ottocento furono rifatte tutte le carte navali della costa adriatica, di quella occidentale fino al Po nel 1859 poi dell’intera costa orientale e delle isole dalmate nel quadriennio 1866-187 Solo per la costa orientale il risultato furono 167 mappe, 137 studi idrografici e 40 piante di porti. commerciali e scientifiche della flotta Asburgica: “per sua volontà si costruirono navi, si modernizzarono gli arsenali, si costruì la nuova sede di Fiume per l’Accademia navale (l’attuale grande Ospedale Civico), si aumentarono le difese ai porti, si creò un ministero per la marina”. Dal mare lo strapparono i gravosi incarichi affidatigli dal fratelimperatore Francesco GiusepLa gloriosa fregata lo pe, che lo nominò Governatore del Lombardo-Veneto e successiva«Novara» mente, negli anni Sessanta, lo conChe cosa si può ancora rac- vinse ad accettare la corona impecontare di una marina che era di- riale del Messico dove fu fucilato ventata la quinta al mondo allo dai rivoluzionari. La gloriosa frescoppio della prima guerra mon- gata “Novara”, che era già divendiale? Molto moltissimo. Ma so- tata il leit-motiv della sua voglia di prattutto si dovrebbe parlare di un nuovi orizzonti, ne riportò la salma il 6 gennaio 1868 in quella Trieste dove aveva costruito la propria regale dimora, il castello di Miramare. Pochi sanno che l’arciduca Massimiliano d’Asburgo ha lasciato un libro di “Viaggi in Italia”. È un vero e proprio giornale di bordo, un diario delle sue visite alle città italiane di Napoli, Palermo, Pisa, Lucca e Firenze compiute durante i viaggi per mare a cavallo fra il 1850 e il 1852. Alcuni brani ci rivelano la grande passione del principe, governatore e imperatore per il mare. Il principe monta la guardia “Alle 7 suon l’ora in cui si avverò il mio desiderio da così lungo tempo custodito nell’animo: un viaggio per mare (...) Un ritratto dell’arciduca questo momento mi proMassimiliano vocò una forte, istintiva uomo che fu il principale artefice commozione, era la pridello sviluppo e della potenza di ma volta che lasciavo la quella marina: l’arciduca Mas- patria per un lungo periosimiliano d’Asburgo (fratello do, e mi affidavo al mare dell’imperatore Francesco Giu- per un lungo viaggio. Veloseppe), l’uomo che dopo un viag- cemente tagliammo le onde gio nell’Egeo compiuto nel 1850, e già verso le 7 e un quarto decise di restare sui mari e si svi- salimmo, al suono dell’inno luppare le potenzialità militari, nazionale, a bordo della fregata ‘Novara’, il nostro futuro palazzo navigante, il cui solo nome dovrebbe essere di buon auspicio per un austriaco”. Il diario di Massimiliano comincia così. La nave partiva da Trieste,dove l’arciduca era arrivato in compagnia di “alcuni conoscenti”. Preso congedo da questi e dai signori del seguito, il barcarizzo con a bordo il principe venne issato a bordo. Era la sera del 30 luglio 1851. Nella cabina del comandante, l’arciduca scrisse alcune righe ai suoi genitori prima di tagliare l’ultimo legame con la terraferma. I preparativi per la partenza si protrassero però più a lungo del previsto, e fu “grande fatica per la ciurma” quella di levare le ancore “dato che una nuova invenzione francese rallentò il movimento del salpa-ancore, fermandole varie volte”. Nell’occasione, purtroppo, un marinaio fu ferito gravemente e La fine di Massimilano ne “L’esecuzione”, nota opera di Édouard Manet L’arciduca, che amava descrivere i paesaggi che si offrivano ai suoi occhi nel corso dei viaggi per terra Fino all’ora e per mare, non poté farlo per la costa istriana; il cielo totalmente ricodegli spiriti... perto dalle nuvole e la densa foschia Finalmente, presa a rimorchio non gli permisero di “scorgere dei dalla corvetta a vapore “Lucia”, la particolari interessanti”. Il mattino fregata “Novara” si mosse alle ore dell’11 agosto, invece, “avvistam21. Dopo aver messo ordine nella mo il Monte Ossero ed alcune isole del Quarnero”. Il tempo, già “troppo cattivo” il giorno precedente, era tornato al bello, e il mare era meno mosso. “Ciò nonostante, tutti si sentivano ancora male”. Il principe marinaio montò nuovamente la guardia dalle 8 a mezzogiorno, “e mi sentii stanco morto avevo stivali troppo stretti e piedi dolenti, cosicché dovetti fare molti sforzi per resistere fino all’ora degli spiriti”. dovette essere sbarcato e ricoverato all’ospedale. «Bagliori e lampi illuminavano a giorno...» Un giovane Massimiliano sua “spaziosa, ariosa e confortevole” cabina, l’arciduca Massimiliano prese alle 22 il tè con il comandante ed altri ufficiali, “dopo di che mi sistemai in un’amaca per trovare il riposo notturno”. Il mattino del 31 luglio, dalle 8 alle 12, il principe della imperial-regia casa d’Austria montò la sua prima guardia. Scrisse: “Il mare era molto mosso, la nave rollava notevolmente e ben presto cadde una forte e insistente pioggia. Tutti intorno a me erano altamente sofferenti, ma la prova a cui fummo sottoposti era notevole per il primo giorno. Dopo poco il vento ci fu talmente contro, che dovemmo slegare il cavo di rimorchio del vapore ed iniziare a bordeggiare verso terra. La costa dell’Istria era in vista”. Nel frattempo l’orizzonte tornò ad annuvolarsi, “bagliori e lampi illuminarono a giorno per brevi momenti la nave”, abbagliando la vista di chi scrutava l’orizzonte, fino ad arrecargli un forte dolore agli occhi. “Tali spettacoli su una scena così grandiosa ed ampia – commentò l’arciduca – vengono offerti solo a coloro che viaggiano per mare”. Il 2 agosto la “Novara” si avvicinò alle sponde italiane, e precisamente alle coste degli Abruzzi ovvero del Regno di Napoli, la nave ne era distante solo otto miglia marine. “La piccola cittadina di Vieste era distinguibile ad occhio nudo. La regione sembra molto montagnosa, abbastanza boscosa e venata da strisce di terra gialla. La città non riveste alcuna importanza e si trova su una di quelle colline gialle”. L’arciduca notò pure la presenza di antiche torri che, a distanza ravvicinata tra di loro, “si susseguono lungo tutta la costa, furono erette contro le passate invasioni dei Turchi. Al largo di Vieste incontrammo molte barche da pesca napoletane dalle vele curiose”. Segue nel prossimo numero Anno IV / n. 34 del 13 ottobre 2008 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MARE [email protected] Redattore esecutivo: Ivo Vidotto / Impaginazione: Vanja Dubravčić Collaboratori: Roberto Venturini, Giacomo Scotti, Lucio Vidotto, Danilo Prestint, Alessandro Superina Foto: Ivo Vidotto, Lucio Vidotto, Goran Žiković La fregata austriaca “Novara” in navigazione La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004