CAPITOLO 11 UNO SQUARCIO DI VERITÀ
IL TESTE DI BONZANIGO
UNO SQUARCIO DI VERITA’
Un fulmine a ciel sereno!
Nel corso del 1996, come un fulmine a ciel sereno che si fosse abbattuto sulla
agonizzante Versione Ufficiale ed i suoi irriducibili sostenitori, un teste oculare, residente
nel 1945 a poco più di un centinaio di metri da casa De Maria, rilasciò a Giorgio Pisanò (che
la rese nota nel libro “Gli ultimi cinque secondi di Mussolini”, 1 ) una deflagrante versione
sulla morte di Claretta Petacci e indirettamente anche su quella di Mussolini.
Lo shock per l’ambiente storiografico resistenziale, appena aggiustatosi con i ricordi di
Carissimi Priori e Michele Moretti fu devastante, tanto che si cercò di non dare peso, nei
limiti del possibile, a questo avvenimento oppure, molto sottilmente, quando proprio non si
poteva fare a meno di parlarne, si sorvolava e si liquidava la faccenda con frasi tipo:
“...c’è poi la versione di Pisanò, basata sulla testimonianza di una certa Mazzola....”.
Come se questa fosse una versione del Pisanò!
Quando la donna, Dorina Mazzola, il teste di Bonzanigo, è morta nel 2001 la stampa ha
pubblicato qualche trafiletto di cronaca, 2 ma poi tutto è rimasto come prima anche se, da
allora, quasi tutti i resoconti o le ipotesi su le vicende della morte del Duce non hanno potuto
prescindere da questa testimonianza, sebbene si è sempre cercato di accennarne il meno
possibile.
Solo dopo alcuni anni e molto in sordina hanno cominciato a spuntare, qua e la, dichiarazioni
ed attestazioni che direttamente o indirettamente, rendevano giustizia all’anziana residente del
famigerato borgo del comasco. 3
Ricapitolando si può dire che con il terzo millennio, i ricercatori e gli storici hanno
avuto a disposizione, ed in questo libro le abbiamo esposte, una vecchia versione ufficiale
assolutamente inattendibile, revisionata e riproposta anche da Giusto Perretta nella seconda
edizione del suo “Dongo 28 Aprile 1945 La verità” e tutta una serie di versioni alternative,
1
Gli ultimi cinque secondi di Mussolini Ed. Il Saggiatore 1996. Questa testimonianza venne anche rilasciata,
nel marzo del 1996, al giornalista Mario Lombardo di Epoca.
2
Ecco, come il quotidiano “La Stampa” ha riportato la notizia:
<< Milano 26 aprile 2001 –E’ morta, a 75 anni, alla vigilia della ricorrenza della Liberazione, Dorina Mazzola,
che affermò di essere stata testimone dell’uccisione di Claretta Petacci il 28 aprile del 1945. Dorina Mazzola,
partigiana, era malata da tempo di tumore ed era ospite della casa di cura "Villa Stefania", nel comune di Sala
Comacina (Como). Lascia il marito e tre figli. Divenne famosa, come testimone oculare dei fatti, per il libroinchiesta "Gli ultimi cinque secondi di Mussolini" di Giorgio Pisanò, lo scomparso parlamentare del Msi-Dn e
storico della RSI [segue un breve riassunto del libro]... La versione della partigiana, che a quei tempi aveva 19
anni, creò polemiche e anche richieste al Governo di aprire gli archivi dell’ex PCI per fare chiarezza>>.
3
.Con il tempo, ci sono state alcune conferme, anche da parte di vecchi partigiani, di una morte della Petacci
alquanto successiva a quella del Duce. Oggi poi, per esempio, possiamo leggere delle seppur indirette conferme
(per esempio dove si parla di un paio di attestazioni rilasciate durante le indagini preliminari che la Procura di
Como ha avviato per stabilire da chi e in che modo era stato ucciso Mussolini) in articoli come quello di G.
Moroni. Il pm: “Mussolini ucciso in camera, La Nazione, 15 Luglio, 2007; oppure: Ecco un’altra conferma: “Si
l’hanno uccisi in casa De Maria” nel sito ciaocomo.it. 2 Ottobre, 2007, ecc.
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alquanto poco credibili o indimostrabili, più questa testimonianza della signora Mazzola
prendere o lasciare raccolta da Pisanò.
Comunque, a parte la versione ufficiale e le varie versioni elaborate quali ricostruzioni di fatti
tramite confidenze e testimonianze (queste, come abbiamo visto, molto dubbie e spesso in
contraddizione con altre testimonianze), o tramite una applicazione logica che però mancava
di solide basi (cioè di elementi effettivamente accertati), le uniche due versioni che possono
riferirsi ad altrettanti presunti “testimoni oculari” erano quella del Lonati (pista inglese) e
quella del Landini (tramite Bernini), quest’ultima però arrivata nel 1998 dopo che si era
conosciuta la testimonianza di Dorina Mazzola e la si era quasi ignorata. 4
Della prima di queste due versioni, la spy story del Lonati, nonostante il clamore sollevato dai
mass media, abbiamo già illustrato i motivi che la rendono assolutamente improponibile;
per la seconda, oltre agli stessi motivi già evidenziati nel capitolo ad essa dedicato, dobbiamo
anche aggiungere la poca credibilità di questo soggetto (il partigiano Landini) che alla
veneranda età di 85 anni, si è messo a rivelare, smentendo se stesso nelle sue passate
testimonianze, quest’altra originalissima versione.
Il racconto del Landini, in definitiva, è una stramba variante della versione ufficiale, tramite
uno scambio di orario, di luoghi e di persone; in tal modo gli eventi dubbi sono, in un certo
senso, un pochino più credibili, sopratutto per la conferma, fuori tema, di una finta fucilazione
al cancello di Villa Belmonte, ma per un altro verso sono ancora meno credibili e creano altre
incongruenze, anche se (come in effetti all’epoca avvenne) affollano il borgo di Bonzanigo di
numerosi partigiani e automobili che per la versione ufficiale non dovevano esserci.
Tornando dunque agli inizi di quel 1996, anno fatidico in cui tra l’altro, guarda caso,
era scaduta l’imposizione del più volte ricordato silenzio cinquantennale, in definitiva
avevamo poco o nulla su cui poter contare per poter apprendere una credibile versione su la
morte del Duce proprio mentre, la forse non casuale apparizione dell’ex partigiano azionista
Luigi Carissimi Priori, con i suoi attestati e convincimenti, seppur indiretti e maturati al tempo
a Como durante la sua presenza alla questura, sembravano aver definitivamente avallato la
storica vulgata, seppur con qualche importante precisazione e variante.
Quand’ecco che, agli inizi del 1996, Giorgio Pisanò scovò e raccolse questa testimonianza da
parte di un teste oculare presente cinquant’anni addietro e soprattutto, a quell’epoca
abitante a poco più di un centinaio di metri da casa De Maria a Bonzanigo!
Particolari questi da non sottovalutare e di estrema importanza.
Non ci sono dubbi che questa testimonianza è un qualcosa di più che una nuova versione¸
anche se ovviamente non è possibile convalidarla con documenti e prove alla mano, ma
sicuramente, tra tutte le versioni riferite o elaborate in questi anni è questa la testimonianza
che a nostro avviso risulta più attendibile e concreta e che tra l’altro si concilia perfettamente
con la logica conosciuta di quegli avvenimenti e con tutti i rilievi fotografici
modernamente riscontrati su le foto dei cadaveri.
Di fronte ad una testimonianza del genere, sia pure fornita dopo ben 50 anni, ma sappiamo
che c’erano valide ragioni per mantenere questo segreto per tutto questo tempo, si ha una sola
alternativa: o la si rigetta, dimostrandone la sua falsità, oppure la si deve accettare, anche se
possono esserci dei particolari, dei dettagli alterati o non totalmente veritieri che magari a suo
4
E’ emblematico il fatto che, spesso, non potendo confutare la testimonianza di Dorina con argomenti seri, la si
ignora bellamente, oppure si cerca di aggirarla e stravolgerla o peggio, a volte alcune fonti, che rappresentano
versioni più o meno alternative dei fatti, cercano di utilizzarne qualche spezzone, per avallare le loro
ricostruzioni in qualche particolare, versioni che invece sono inconciliabili con quella di Dorina Mazzola. Il
trucchetto riesce solo con chi non è ben informato della materia.
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tempo il teste ha mal percepito oppure negli anni successivi, con quanto ha potuto leggere
dalle pubblicazioni su quei fatti, ha inteso aggiungervi qualcosa di suo, forse per rendere la
sua testimonianza il più attendibile possibile.
Ma in quest’ultimo caso, qualora rispondesse al vero e non è dimostrato sarebbero, tutto al
più, elementi e dettagli di secondaria importanza che non inficiano il complesso della sua
testimonianza.
E’ comunque doveroso, anche in questo caso, rispondere alle solite domande:
- è Dorina Mazzola un teste attendibile ?
- è il suo racconto credibile ?
Noi rispondiamo affermativamente e ne illustriamo i motivi.
Perchè Dorina Mazzola è un teste attendibile
Intanto cominciamo con il rilevare che la signora Mazzola non è un ex partigiano con
militanza storica 5 o un ex fascista e comunque non è un soggetto di parte, politicamente
impegnato tale da poter avere avuto un interesse ideale o politico per fornire una determinata
e mendace versione .
Si tratta, invece, di una semplice signora dell’età di 70 anni forse al tempo già malata (infatti
di lì a cinque anni, nel 2001, è deceduta).
Quindi, precisato questo, dobbiamo poi far rilevare:
1.
La testimonianza di Dorina Mazzola è attestata non soltanto dalle sue 31 pagine scritte
a mano (che qualcuno potrebbe insinuare che gli sono state fatte copiate), ma anche dai
suoi famigliari (figli e nipoti) che hanno avuto modo, in tutti questi anni, di sentirgliela
raccontare e quindi ne conoscevano il segreto.
Nella sua semplicità è una testimonianza genuina e resta veramente difficile il poter
pensare che trattasi del frutto di una mitomane o peggio.
2.
Questo racconto è talmente fuori da ogni binario attinente alla versione ufficiale o ad
altre versioni alternative ed assolutamente non ne ricalca, in nulla e per nulla, aspetti o
particolari che si credeva dati per scontati.
Non è pensabile che questa signora abbia potuto montare pezzo per pezzo un tal genere di
racconto. Infatti se avesse voluto, per qualche particolare motivo o per mitomania,
raccontare una storia, avrebbe probabilmente seguito, in qualche modo e almeno in parte,
la traccia della versione ufficiale da tutti conosciuta (un pò come hanno fatto i vari
Lazzaro, Landini, Lonati, ecc.), per inserivi poi dentro una sua diversa versione.
La teste, inoltre, cita troppi particolari, troppi nomi di concittadini coevi, troppe dinamiche
dei fatti, che oltretutto reggono anche ad una critica ragionata e logica ed ai riscontri su
alcuni rilievi cine fotografici sul vestiario indosso al cadavere di Mussolini, per pensare a
qualcosa di artefatto o frutto di mitomania.
Non è poi ininfluente il fatto che, all’epoca dei fatti, la teste abbia effettivamente abitato
in fondo a via del Riale, a valle di casa De Maria, dove un riscontro del luogo ha reso
plausibile la possibilità che la donna possa aver visto e udito quanto ha poi raccontato.
5
L’articolo della “La Stampa” che abbiamo prima riportato (nella precedente nota 2) la definisce ex partigiana,
ma in realtà Dorina a 19 anni non ha avuto alcun ruolo nella resistenza. Tutto quello che ha fatto, visto che aveva
un fratello, tale Trieste, più grande di tre anni e che si era dato alla macchia, è stato quello di avergli portato di
nascosto i viveri in montagna.
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Certamente tanti elementi che troviamo nella sua testimonianza erano conosciuti
attraverso la stampa, come ad esempio il “voi” che la Petacci usava in pubblico con
Mussolini, la ferita di Mussolini al fianco, la storia dello stivale rotto, il vestiario del Duce
e la pelliccia di Claretta, il fatto che la Petacci aveva un fratello, ma da qui a ipotizzare
che, attraverso la possibile conoscenza di questi particolari, la Mazzola abbia potuto
mettere in piedi (o gli sia stato suggerito) quel genere di racconto ce ne corre; forse è
possibile che vi abbia aggiunto, a posteriori, qualcosa di suo e più avanti espliciteremo
qualche nostro dubbio in proposito, ma sostanzialmente si tratta di particolari tali da non
inficiare la validità del suo racconto.
3. Possiamo anche escludere che la signora Mazzola possa aver inventato il suo racconto per
lucro, in quanto non ci sembra affatto che ne abbia tratto un utile, nè che lo abbia fatto per
un qualche genere di notorietà: alla sua età, gli sono solo potuti venire dei fastidi e basta,
visto non è che poi abbia parlato bene dei suoi compaesani che per tutti questi anni
sapevano ed hanno taciuto.
Certamente resterà da spiegare come è stato possibile che, essendo buona parte di quegli
avvenimenti a conoscenza di molti abitanti di Bonzanigo e dintorni, a cui oltretutto alcuni
di costoro, hanno anche partecipato direttamente ad alcuni episodi, in tutti questi anni non
siano trapelati particolari tali da far emergere la verità. Cercheremo di farlo nell’ultimo
capitolo.
4. Escluso quindi il dolo da parte del teste, resta da considerare la possibilità di qualcuno che
abbia sottilmente manipolato e imbeccato questa signora.
Questo qualcuno non potrebbe essere stato che Giorgio Pisanò.
Ma il discorso non regge.
Intanto Pisanò avrebbe dovuto andare a trovare e manipolare proprio l’unico abitante di
Bonzanigo a suo tempo ubicato in quella posizione davanti a casa De Maria e l’avrebbe
fatto consegnandogli un canovaccio da imparare a memoria e riscrivere di suo pugno
(perchè infatti ci sono i fogli scritti e conservati dal teste).
E’ evidente che ciò sarebbe potuto accadere soltanto dietro un forte compenso,
coinvolgendo oltretutto i familiari della donna, familiari che poi, guarda caso, anni dopo la
morte di Pisanò hanno sostenuto la stessa versione, presentandosi qualche volta persino in
Televisione.
Purtroppo per chi volesse propendere per questa ipotesi, dobbiamo intanto dire che non ci
sembra proprio che Pisanò abbia ricavato una fortuna da questa testimonianza: ha
semplicemente fatto qualche conferenza per presentare la sua scoperta, ha girato uno
spezzone di ripresa televisiva per riprendere i luoghi in oggetto con precisione visiva ed
ha pubblicato, attraverso le edizioni del Saggiatore, un modesto libro neppure troppo
costoso, ristampato anni dopo in edizione economica.
Ma elemento, questo decisivo, c’è oltretutto da rilevare che soltanto un imbecille poteva
azzardarsi a manipolare una signora di 70 anni ed i suoi famigliari con il rischio di venire
smascherato di li a pochi mesi e rendersi ridicolo!
Un conto è imbeccare un racconto che si sta raccogliendo sotto forma di intervista e che
poi in sede di stampa si può “correggere” ancora, ed un conto è inventare tutta quella
dovizia di particolari inediti, tutti quegli avvenimenti fuori del comune, passarli al teste
(una persona anziana e non certo pratica in queste cose) e poi farglieli capire,
memorizzare e quindi metterla in grado di riferire senza correre il pericolo che possa
contraddirsi quando sarà inevitabilmente assediata da cronisti e ricercatori storici!
Ma andiamo!
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E poi, oltretutto, Pisanò, come vedremo più avanti, avrebbe dovuto anche azzardarsi a
mistificare, con il rischio di essere smentito (se non denunciato) da tutte queste persone da
lui chiamate in causa e citate nel suo libro, per esempio:
Savina Santi (la vedova del Cantoni), per aver riportato (falsamente?) sue confidenze
ricevute dal marito (e da lei custodite in segreto per 50 anni) nonchè per la conferma
dell’esistenza del memoriale del marito.
Don Luigi Bianchi e la signora Adriana Scuri di Gera Lario per le (false?) attestazioni di
confidenze del sindaco Giulini e per la conferma che questi conservava il memoriale, della
cui esistenza afferma (sempre il falso?) anche il notaio Rodolfo Casnati di Como ed
inoltre lo stesso erede di Giulini, il sig. Ugo Tenchio che pur ne era al corrente.
Proprio la presenza di questo memoriale, come diremo più avanti, ovvero la sua supposta
effettiva esistenza, visto che poi non è venuto fuori, è decisiva per la conferma che pur
esiste un altra verità!
Il sig. Vanotti, ex amico del Cantoni per le (millantate ?) indicazioni, ricevute a suo
tempo dal Cantoni, su dove fu esattamente ucciso il Duce.
Il suo amico (di Pisanò e quindi sia pure relativamente) Bordin aiutante e presente nella
raccolta di queste testimonianze.
I coniugi Nastri (sia pure relativamente e indirettamente) proprietari dell’edificio di Casa
De Maria che Pisanò contattò per un sopralluogo sul posto.
Volenti o nolenti, si deve quindi digerire questa testimonianza anche perchè, come già
accennato, svariate testimonianze e riscontri fin dove è possibile farli, l’hanno sempre
sostanzialmente confermata !
Ma l’editoria e la ricerca storica su quegli eventi, influenzata da interessi di varia
natura, non l’ha tanto digerita, l’ha semplicemente esorcizzata!
Comunque sia la versione che si deduce dal racconto di Dorina Mazzola non indica,
nè svela chi furono i giustizieri del Duce anzi lei, al momento dei fatti, non sa neppure che
quello che sta osservando dalle finestre di casa sua riguarda Mussolini o la Petacci; lo dedurrà
solo successivamente quando ebbe modo di uscire di casa ed apprendere altri particolari.
Ma chi sia quel morto trasportato a braccia, quella donna che si dispera, chi siano i partigiani
presenti sul posto in quei momenti o quelle due donne impellicciate o quel signore in
impermeabile quasi bianco con macchina fotografica o quell’altro con i capelli corti brizzolati
e il giaccone grigio scuro, non lo sa proprio. Riconosce solo alcuni partigiani del posto.
Tutto il meccanismo, le modalità e la dinamica di come sono andati i fatti, occorrerà
dedurlo attraverso la sua testimonianza.
Tanto è vero che risulta alquanto difficile stabilire con precisione, dagli elementi forniti dalla
signora, l’ora della morte del Duce, la quale (anticipiamo qui) spesso parla di “un pò di tempo
dopo”, “dopo qualche tempo”, ma pur indicando molte volte l’orario, che apprende dal
campanile della chiesa, non si può stabilire con esattezza quanto sia esattamente questo
“qualche tempo” e quindi va a finire che, mentre per la Petacci abbiamo una indicazione
abbastanza precisa che fa risalire la sua morte a poco prima di mezzogiorno, per il Duce si
può dedurre un tempo variabile tra (??) poco dopo le nove e un pò prima delle 10.
Analogamente gli spari uditi e riferiti dal teste, possono generare confusione, anche perchè
sono frammisti ad altri spari che avvenivano in luogo o in lontananza per tenere la gente fuori
da quei posti. Ma soprattutto non sono legati con precisione ad eventi osservati dalla donna,
ma soltanto da lei connessi a svariati particolari osservati o uditi subito prima o subito dopo.
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Comunque sia, nonostante questo, il resoconto fornito da Dorina Mazzola è sufficiente per
riassumere un quadro abbastanza preciso degli avvenimenti.
Qui interviene anche Pisanò, che effettuò successivamente alcune interviste (ad un vecchio
amico di Sandrino Cantoni e alla stessa vedova di Sandrino) con le quali, oltre ad avere
convalida ai racconti di Dorina Mazzola, potè ricostruire sia il tragitto fatto fare ai due
cadaveri per nasconderli prima e poi portati a Villa Belmonte per la finta fucilazione e sia
apprendere il particolare della morte del Duce nel cortile, sembra legato alla porta della stalla.
Ovviamente la ricostruzione del Pisanò può essere non perfettamente corretta, o pur sempre
ipotetica, ma alla luce degli elementi forniti, crediamo che non sia troppo lontana dalla verità.
Purtroppo il Pisanò nella stesura del suo libro ha riportato solo la fotocopia di due pagine del
manoscritto del teste, 6 mentre tutto il resoconto ivi contenuto lo ha riportato sotto forma di
racconto dietro sua intervista alla signora Dorina Mazzola in Vanini. 7
Questo purtroppo non ci consente di giudicare se il racconto è stato riportato con esattezza o
se il Pisanò fosse incorso in qualche errore o manipolazione, anche se sembra che, prima della
pubblicazione, la signora abbia voluto rivedere il testo, che poi non ha mai smentito.
E poi, in questo caso, non potrebbe che trattarsi di particolari di poco conto.
Oggi possiamo dire che la testimonianza di Dorina Mazzola, ex vicina di casa dei coniugi
De Maria, resta il più genuino ed importante tassello che sia stato messo per la ricerca
della verità.
Come abbiamo visto, Massimo Caprara, che riportò la confidenza di Togliatti che
indicò in Lampredi il fucilatore del Duce, riferendo tempo dopo una confidenza di Celeste
Negarville (esponente comunista già direttore dell’Unità nel ‘44), asserì che:
<<Con la Petacci Lampredi non c’entra. La Petacci è stata uccisa altrove. Lampredi si trovò
un cadavere in più, che non era nel conto>>.
Angelo Carbone un 83 enne ex partigiano di Rivanazzano in Oltrepò, dicono amico di
Sandro Pertini, pur nel contesto di racconti alquanto raffazzonati, fece importanti
affermazioni. Disse, per esempio, sul settimanale “Epoca” del 10 marzo 1996:
<<Clara Petacci non doveva morire... doveva essere liberata. Rimase uccisa
accidentalmente, nella stanza dove era rimasta custodita con Mussolini>>.
Lo stesso poi, sul settimanale “Gente” del 8 maggio 1999, affermò di essere stato presente ai
fatti (in generale, ovvero al contesto di quegli eventi) e aggiunse:
<<Non è vero che Claretta Petacci fu uccisa con Mussolini davanti al cancello di villa
Belmonte. E’ una storia inventata di sana pianta>>.
Due affermazioni queste non ben specificate, ma che danno il senso di una qualcosa di affatto
diverso dalla versione ufficiale e molto vicino alla testimonianza di Dorina Mazzola.
Elena Curti, forse figlia naturale di Mussolini, autrice di “Il chiodo a tre punte” (Iuculano
editore 2003), ha anche riportato un suo importante ricordo:
<<Un ragazzo che all’epoca aveva solo 15 anni, e al quale i partigiani davano incarichi
come ricaricare le armi, mi raccontò che Claretta tentò la fuga; stava correndo su un prato
quando venne falciata da una raffica di mitra alle spalle>>.
Proprio quello che vide Dorina Mazzola.
6
Consegnato a Pisanò in fotocopie con firma apposta dal teste su ogni pagina.
7
La signora si era sposata nel gennaio del 1946, ma il marito ora viveva in un istituto perchè colpito da ictus.
Aveva avuto tre figlie, tutte sposate, e quattro nipoti.
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Come si ottenne questa testimonianza (1995 / ‘96)
Pisanò nel suo libro premette al racconto di Dorina Mazzola tutta la genesi,
quarantennale, relativa alle sue ricerche e pubblicazioni sulla morte del Duce. Parte di questa
rievocazione è di estremo interesse, e quindi la riassumiamo, in quanto vengono fatti alcuni
nomi a conferma della veridicità di molti particolari importanti.
Dunque, ricordando qualche vecchia confidenza che gli aveva fatto Sandrino Guglielmo
Cantoni, come per esempio: “Non è andata come la raccontano. Ma io non posso dirti niente
di più. Sono legato al segreto” e ricordando che, da qualche parte doveva forse trovarsi un
“memoriale” lasciato dallo stesso ad una persona di fiducia e da rendere pubblico dopo
cinquanta anni, nel novembre del 1995 Pisanò andò a Sorico, assieme al suo amico Giannetto
Bordin, a trovare Savina Santi vedova Cantoni la moglie di Sandrino, al tempo
sessantaseienne, nella sua casa di Pian di Spagna.
Dalla signora, che in questo primo incontro mantenne un forte riserbo, venne comunque ad
avere conferma dell’esistenza di questo memoriale che doveva essere stato custodito
dall’anziano Giuseppe Giulini ex sindaco di Gera Lario, 8 il quale tra l’altro lo aveva
personalmente confermato alla signora, ma alla morte di questi, avvenuta nel 1992 a 85 anni,
non se ne era saputo più nulla e neppure si ebbero notizie del memoriale allo scadere dei
cinquantanni di riserbo (cioè dopo l’aprile del 1995).
Forse, spiegò la signora Santi – Cantoni a Pisanò, il documento potrebbe essere nelle mani del
nipote Ugo Tenchio di Gera Lario anche se questi, a mia richiesta, disse di non averlo. 9
Altra importante conferma di questo memoriale e soprattutto di alcune confidenze fatte dallo
scomparso Giulini, Pisanò la ebbe dal parroco di Gera Lario, il settantacinquenne don Luigi
Bianchi, giornalista, scrittore e autore di numerose pubblicazioni.
Il parroco narrò di aver conosciuto bene il Giulini, degna persona e bravo sindaco e
confermò che lo stesso gli aveva confidato, senza vincolarlo alla riservatezza, di
custodire il memoriale di Sandrino.
Ed aggiunse anche una importante rivelazione:
una sera, proprio nella stanza dove soggiornavano in quel momento con Pisanò, e mentre
erano in compagnia di alcuni amici e giocavano una partita a carte, parlando della morte di
Mussolini il Giulini confermò di avere questo memoriale ed uno dei presenti, la signora
Adriana Scuri, gli domandò se il Duce era stato veramente ucciso da Michele Moretti.
Giulini rispose:
“no, non è stato Moretti a uccidere Mussolini”.
Allora è stato Lampredi, insistette la Scuri. “No, nemmeno Lampredi, nessuno dei due”,
replicò il Giulini e cambiò discorso.
La signora Adriana Scuri, contattata confermò poi il contenuto del breve scambio di battute di
quella sera con il Giulini:
“Si, lo ricordo benissimo. Disse che nè Moretti nè Lampredi avevano ucciso Mussolini”.
8
Giuseppe Giulini del 1907 di antica famiglia e benestante aveva esercitato durante il ventennio, nei ruoli del
Ministero degli Interni, il segretariato comunale in diversi comuni. Negli ultimi anni della sua carriera era stato
segretario di Gravedona. Nel 1951 i suoi compaesani lo avevano eletto sindaco e rimase primo cittadino di Gera
per 35 anni fino al 1986. Stimato dalle genti della zona era un notabile disponibile ad aiutare e consigliare su
problemi fiscali, amministrativi e di lavoro. Guglielmo Cantoni ne era amico e sembra che aveva interceduto a
suo favore nel 1945 quando alcuni partigiani volevano ucciderlo.
9
Il Tenchio, nipote del Giulini, era l’erede dello stesso ed esecutore testamentario.
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Teniamo a mente questa dichiarazione, perchè a nostro avviso è di estrema importanza.
Pisanò racconta allora che passarono anche dal nipote, erede ed esecutore testamentario di
Giulini, Ugo Tenchio, ma questi asserì di non custodire alcun memoriale. Disse al giornalista
di passare, semmai, dal notaio Rodolfo Casnati a Como che era il notaio di Giulini ed aveva
avuto il testamento dello stesso e forse anche una misteriosa busta allegata.
Arrivato a Como, dal notaio Casnati, lo stesso affermò che nel febbraio del 1993, su richiesta
dell’esecutore testamentario Ugo Tenchio, aveva provveduto alla pubblicazione del
testamento. Di buste allegate però non ne aveva mai viste.
Il Casnati comunque fece un altra importante ammissione:
“quel memoriale di Sandrino, in ogni caso, esisteva e lo custodiva appunto Giuseppe
Giulini. Fu lui stesso a dirmelo, precisandomi che alla sua morte sarebbe venuto alla luce
un documento di straordinaria importanza storica”.
E qui è ora opportuno fare una osservazione.
Dunque, a meno che non mentano tutte le persone precedentemente chiamate in causa oppure
il sindaco Giulini non sia un mitomane, o ancora che Pisanò si sia inventato tutto, sembra
confermato che Sandrino, testimone di quanto avvenne quel 28 aprile 1945, abbia lasciato un
memoriale al sindaco Giulini (la cosa, del resto, era abbastanza nota).
E’ ovvio che su questo memoriale non può che esserci la verità su quanto accadde quel
giorno a Bonzanigo e questa verità, è altrettanto ovvio, che sia totalmente difforme da
quella comunemente conosciuta, altrimenti non ci sarebbe stata la necessita di scrivere
questo documento e legarlo ad un segreto cinquantennale.
E’ un fatto però che alla morte di Giulini ed allo scadere dei cinquant’anni, non è uscito fuori
alcun memoriale ! E neppure il notaio del Giulini, alla pubblicazione del testamento, ha visto
questo memoriale.
Dunque in qualche modo il memoriale è stato prelevato, quando non è dato
sapere, e fatto sparire!
Prima considerazione: o sono stati investiti molti soldi (a favore di chi?) o altro per
eseguire questa sottrazione e qualcuno (chi?) ha venduto il memoriale oppure, più
probabilmente, il Giulini prima di morire aveva affidato il memoriale a qualche
Istituzione, magari anche ecclesiastica, 10 e chi di dovere, a conoscenza della cosa, ha poi
avuto argomenti convincenti per far desistere questa Istituzione dal rendere pubblico il
documento. O in questo modo può anche aver ritenuto opportuno comportarsi
l’Istituzione stessa.
Seconda considerazione: si pensi a quanto poteva riportare questo memoriale e quanto
importante era non farlo venire alla luce se, anche dopo cinquanta anni, è stato
necessario farlo sparire!
Dopo queste peripezie di Pisanò ci avviciniamo all’incontro con Dorina Mazzola, ma
precedentemente Pisanò, i primi di dicembre del ‘95, tornò ancora a Sorico da Savina Santi
vedova Cantoni, la quale più tranquillizzata perchè oramai erano trascorsi i cinquanta anni e
oltretutto gli fu fatto notare che erano morti tutti i protagonisti di quell’infausta giornata,
accettò di rispondere ad alcune domande.
10
Ai fini di una minima speranza, per una futura apparizione di questo memoriale, si spera che il vecchio Giulini
non lo abbia affidato a qualche Istituto storico della resistenza strettamente legato ad ambienti al tempo vicini al
PCI, oppure a qualche istituzione legata alla massoneria, perchè altrimenti ogni speranza sarebbe perduta!
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Oltretutto, fece presente Pisanò alla vedova, visto che il memoriale è stato fatto sparire
sarebbe meglio che venga fuori qualche accenno sul suo contenuto in modo che chi lo ha
preso capisca che potrebbe non valere più nulla.
Da parte di Savina Santi allora, seppur con pochissime parole, ne venne fuori una
sconvolgente verità, poi confermata a Pisanò indirettamente dal racconto avuto
successivamente da Dorina Mazzola.
Questo in sintesi quanto disse la signora Santi:
<<Mussolini e la Petacci non sono stati uccisi nel pomeriggio e davanti al cancello di Villa
Belmonte.
Mio marito mi disse che quella mattina lui si trovava di guardia alla stanza dove c’erano i
prigionieri, quando vide salire le scale Michele Moretti e altri due partigiani che non aveva
mai visto nè conosciuto. I tre gli ordinarono di restare sul pianerottolo fuori della stanza ed
entrarono nel locale.
Mio marito, restando sul pianerottolo, udì uno dei tre che diceva: <adesso vi portiamo a
Dongo per fucilarvi>, e un altro gridare: “No, vi uccidiamo qui!”. Poi mio marito udì altre
voci concitate, le urla della donna e colpi d’arma da fuoco..., ma non so dove li hanno
uccisi con certezza, credo però che lo sappia un altra persona che ebbe la confidenza da
mio marito. Proverò a domandargli se vuole riferirgliele>>.
Di quest’altra persona parleremo più avanti dopo aver riportato la testimonianza della signora
Mazzola.
Arriviamo così finalmente all’incontro con Dorina Mazzola.
Pisanò, infatti, nel frattempo e quasi per caso, aveva chiesto informazioni, senza contarci e
ricavarci troppo, sugli abitanti di quella casa a valle dell’abitazione dei De Maria, proprio
accanto allo slargo erboso nel punto di congiunzione di via del Reale e via Albana. 11
Casa che era anche allora (parliamo del 1996) di proprietà dalla famiglia Mazzola: il padre di
Dorina, priore laico della parrocchia di Mezzegra per la frazione di Bonzanigo, benestante e
commerciante in rottami, era morto oramai da trent’anni, la madre Giuseppina Bordoni era
ancora in vita con i suoi 95 anni e, anche se non si poteva più ottenere da lei un racconto,
aveva visto e sentito più o meno tutto quello che, quel 28 aprile del 1945, aveva vissuto la
figlia.
La casa era passata in proprietà ad uno dei figli maschi, Carlo, che aveva continuato l’attività
paterna di commercio in rottami.
La signora Dorina invece sposatasi era andata ad abitare ad Ossuccio.
Pisanò arrivò così ad Ossuccio il 22 febbraio del 1996, un giovedì, senza troppe pretese,
sempre assieme al suo amico e collaboratore, il sig. Bordin.
Fu accolto dalla signora e da sua figlia e quasi non credesse ai suoi occhi ebbe il sensazionale
racconto.
La signora spiegò che aveva letto sull’Unità, circa un mese addietro, 12 un articolo che
parlava della morte del Duce e della Petacci e indignata per quanto ancora una volta, vedeva
pubblicato con la verità stravolta, aveva deciso di scrivere a non ben precisati giornali o
riviste chiedendo di voler essere ascoltata in merito a quegli avvenimenti.
11
Arrivato, infatti, ad un punto morto delle sue ricerche, Pisanò si era chiesto come era possibile che accanto a
casa De Maria nessuno degli abitanti di allora aveva visto o udito nulla quel 28 aprile del 1945?
12
Si trattava degli articoli del gennaio 1996 con la famosa “Relazione di Lampredi”.
355
CAPITOLO 11 UNO SQUARCIO DI VERITÀ
IL TESTE DI BONZANIGO
La signora aveva così creduto che Pisanò, di cui aveva sentito parlare, fosse appunto un
giornalista mandato ad intervistarla. Chiarito l’equivoco la signora Mazzola si accinse a fare il
suo racconto, premettendo che lei, proprio il giorno dopo compiva settanta anni e che
all’epoca dei fatti, nel 1945, ne aveva 19.
Quella mattina del 28 aprile 1945 si trovava in casa sua, così come la sera precedente, e
proprio quel giorno aveva visto uccidere Claretta Petacci.
A questo punto la figlia Milena, comprendendo lo sbigottimento di Pisanò, intervenne
tenendo a precisare che la madre era sana di mente ed aveva anche scritto a mano, nel 1989,
quei ricordi su alcuni fogli protocollo e che le figlie ed anche i nipoti sapevano da anni
quella storia, ma avevano mantenuto il silenzio, perchè tutti quelli di Mezzegra che
sapevano o che dicevano in giro qualcosa, erano stati minacciati e intimiditi per decenni.
Trovavano persino bigliettini infilati di notte sotto le porte dove si imponeva di tacere
per cinquanta anni. Solo così non era successo niente ed erano rimasti tutti tranquilli.
Ora, proseguì la signora, i cinquanta anni erano passati ed era tempo di svelare quei brutti
avvenimenti, anche perchè non voleva morire portandosi dietro questo peso sullo stomaco.
Voleva rendere questa testimonianza per amore della verità.
Quindi l’amico Bordin uscì con il manoscritto e la nipote di Dorina, Elena, per andare a fare
le fotocopie visto che la signora gentilmente ne avrebbe dato una copia al giornalista,
chiedendo solo di poter leggere il testo di un eventuale libro che Pisanò stava completando e
che avrebbe pubblicato, in modo da controllare che il suo racconto fosse stato riportato con
esattezza.
Nel frattempo la signora specificò che aveva visto uccidere Claretta, ma non Mussolini
che invece aveva visto da morto senza riconoscerlo.
Ma credeva di sapere dove e quando gli avevano sparato.
Oltretutto, specificò la signora, quella mattina lei aveva assistito ad un terribile dramma senza
essere in grado di sapere che riguardava Mussolini e la Petacci.
***
Riassumiamo appresso il racconto di Dorina Mazzola raccolto da Giorgio Pisanò
e messo per iscritto dalla stessa. Purtroppo questo racconto dovrebbe essere
riferito integralmente e accompagnato con le foto e cartine dei luoghi interessati
(casa De Maria a Bonzanigo ed in fondo casa Mazzola a due piani, le strade
adiacenti, e quant’altro), cosa qui non possibile, per cui rimandiamo al libro di
Pisanò Gli ultimi cinque secondi di Mussolini Edizioni Il Saggiatore 1996.
Per una migliore esposizione abbiamo apposto nostre titolazioni ad alcuni
paragrafi.
356
CAPITOLO 11 UNO SQUARCIO DI VERITÀ
IL TESTE DI BONZANIGO
IL RACCONTO DI DORINA MAZZOLA
Il sopralluogo di mezzanotte a casa De Maria
Iniziamo con il dire che la signora Mazzola ricorda benissimo l’importante particolare
che già la notte del 27 aprile 1945, intorno alla mezzanotte (ora dedotta dai rintocchi di un
campanile) ebbe modo di sentire e quindi di scorgere dalla sua finestra a pian terreno 13 (in
quel tratto di strada vi erano nei pressi un paio di lampioni), degli uomini armati, dal
vestiario partigiano, che salivano verso Bonzanigo.
E’ la conferma di quanto aveva giustamente ipotizzato A. Zanella circa un sopralluogo a casa
De Maria molto prima dell’arrivo dei prigionieri.
La mattina successiva, verso le otto e mezzo arrivò in cucina il padre, che veniva dal
magazzino di rottami, tutto concitato ed alterato dall’emozione ad avvertire di non uscire
perchè c’erano in giro facce mai viste, uomini in borghese preceduti da altri armati di mitra.
Anche questo orario delle 8,30 o poco più la signora lo potette scorgere dall’orologio del
campanile della chiesa parrocchiale.
Dorina Mazzola stava per mettersi a stirare quando sentì due colpi di arma da fuoco
provenienti dall’alto ovvero dalla parte sinistra di Bonzanigo. Erano ben udibili perchè la
posizione di casa era, rispetto al territorio di Bonzanigo, come il fondo di un imbuto, dove
rumori e voci vi finiscono ed in particolare i rumori di casa De Maria distante circa 100 metri
in linea d’aria, ma sopraelevata di circa una quindicina di metri. Oltretutto, a quel tempo, non
c’erano rumori di traffico vicini o lontani.
La signora, tornata alle stanze al secondo piano udì quindi numerosi colpi di fucile, ma sparati
questa volta da destra, in aperta campagna. Saprà poi che erano spari in lontananza per tenere
la gente il più possibile rintanata in casa.
Il ferimento e la successiva uccisione del Duce
Poco dopo (intorno alle 9 ?) senti però altri due colpi, che sembravano di pistola, e
parevano proprio provenire questa volta da casa De Maria. A questi fecero seguito altri sei
colpi di fucile, provenienti però da destra. Ancora pochi secondi ed in casa De Maria scoppiò
un furibondo litigio. Giacomo De Maria urlava e picchiava pugni su un tavolo, mentre la Lia
piangeva e gridava disperata: “Sono cose da capitare in casa mia?”.
Mentre queste liti continuavano Dorina si accorse che nel cortile antistante casa De Maria
c’erano alcuni uomini che si agitavano tra la porta di casa e quella della cantina.
Essendo il punto in cui si trovava in quel momento la signora, sebbene al secondo piano, un
poco più basso rispetto a quello del cortile di casa De Maria, ella poteva vedere solo la parte
superiore del corpo, dalla cintola in su, delle persone ivi apparse.
E laggiù la signora venne colpita dalla vista di un uomo con la testa calva che,
nonostante la mattinata grigia e fredda, indossava solo una maglietta bianca e si
muoveva zoppicando a piccoli passetti lenti.
Proprio allora dal finestrone del secondo piano di casa De Maria si affacciò una giovane
donna che urlava “Aiuto, aiutateci”, ma qualcuno la tirò dentro mentre lei continuava a
gridare e piangere.
13
Casa Mazzola sorge dove termina via Albana costeggiando poi i primi 15-20 metri di via del Riale, una
mulattiera che dopo lo slargo erboso sale a casa De Maria.
357
CAPITOLO 11 UNO SQUARCIO DI VERITÀ
IL TESTE DI BONZANIGO
Nel frattempo il signore calvo era scomparso dalla vista della Mazzola e poco dopo
(quanto?) questa sentì nitidi, con un distacco preciso uno dall’altro, altri sette colpi.
Tutti esplosi lì, davanti a casa De Maria.
E’ bene precisare che Dorina non ha alcuna idea chi fossero tutte quelle persone, anche se
immaginerà che siano partigiani, ma sopratutto ignora chi sia la donna che strilla aiuto e
l’uomo calvo, claudicante e in maglietta bianca.
Il litigio in casa continuava, mentre uomini correvano entrando ed uscendo di corsa
dall’edificio. Altri varcavano il cancello che si apre su via del Riale e salivano verso il paese.
Poi ci fu una sparatoria nel cortile davanti a casa De Maria tanto che di colpo quel
frastuono cessò e rimase solo il pianto disperato della Lia De Maria e dell’altra donna.
Si può dire che si erano fatte circa le dieci.
L’allora diciannovenne Dorina tornò in cucina spaventata e nel proseguo di tempo si udirono
solo colpi di fucile provenienti dalla campagna a destra di Bonzanigo e dalla sinistra ove c’è
la chiesa parrocchiale di Sant’Abbondio.
Dal secondo piano di casa sua poi si accorse anche che nel piccolo slargo che si apre sul retro
della sua casa, all’inizio di via Albana, c’era parcheggiata un automobile scura.
Arrivarono le undici e vennero anche i piccioni abituati ad essere sfamati. Dorina poco dopo
prese il secchio del mangime e uscì all’esterno della casa per distribuirlo.
E qui facciamo una pausa per considerare alcuni particolari
1. Viene, con questo racconto, confermato quanto da più parti si vociferava,
ovvero che prima che Mussolini e la Petacci giungessero in quella casa,
qualcuno era venuto ad avvisare i proprietari, predisporre l’imminente arrivo
e forse a recare anche alcuni bagagli della Petacci. Quindi si sapeva da
tempo, prima della partenza delle macchine con i prigionieri da Dongo,
dove portarli e questo pone grossi interrogativi al misterioso girovagare
delle automobili in quella notte fino a Moltrasio e ritorno.
2. Il racconto, pur avendo vari riferimenti di tempo, non consente con
precisione di stabilire l’ora esatta della morte del Duce, questo perchè per
prima cosa lei non ha visto questa fucilazione, ma ha soltanto udito degli
spari e, seconda cosa, perchè quando la signora riferisce frasi tipo “dopo
un pò di tempo”, non è dato sapere, anche se probabilmente trattasi di
minuti o poco più di una decina minuti, a quanto ammonta esattamente
questo tempo. Lo stesso G. Pisanò nel proseguo della sua esposizione, ma
forse trattasi di un refuso, dirà che Mussolini è morto, una volta intorno alle
ore 9, e un altra volta dirà vicino le 10.
3. Più difficile ancora è stabilire quali colpi, uditi dalla signora, avrebbero
ucciso Mussolini. Questo perché lei ha riferito di aver udito svariati colpi
d’arma da fuoco, di diversa natura, sovrapposti o in tempi diversi ed
oltretutto altri ancora, sparati in lontananza ai lati della zona (questi,
sicuramente, per tenere lontani i curiosi).
Fermi restando validi i due colpi di pistola che la signora ha distintamente
udito in casa De Maria e che sono quelli che hanno ferito il Duce al fianco
(infatti dopo zoppicava), vi sono poi una serie di 7 colpi uditi con distacco
uno dall’altro e tutti esplosi lì davanti la casa.
358
CAPITOLO 11 UNO SQUARCIO DI VERITÀ
IL TESTE DI BONZANIGO
Poco prima il “signore calvo”, zoppicante e in canottiera era stato condotto,
a piccoli passetti, giù verso il cortile della casa.
Ma ancora dopo (tempo imprecisato) la signora ode un altra sparatoria nel
cortile davanti alla casa e poi il silenzio (circa verso le dieci).
Domanda: qual’è la sparatoria che ha ucciso il Duce?
I sette colpi precedenti oppure la sparatoria finale?
Pisanò più avanti affermerà che dovrebbero essere stati i sette colpi, ma in
questo caso c’è un problema interpretativo:
la signora dice che i sette colpi sono distinti, ora è chiaro che è difficile
distinguere, da quella distanza, colpi di una raffica di mitra. Il Duce, infatti,
attesta l’autopsia, è stato colpito anche da una raffica di mitra (sull’emitorace
sinistro ha una rosa ristretta di 4 colpi tipica di una sventagliata di mitra).
Dunque dobbiamo dedurre che la fucilazione si è verificata in due tempi ?
e che alcuni dei sette colpi distinti tra loro, siano andati precedentemente a
segno sul lato destro e poi la raffica finale lo ha ucciso definitivamente?
Ma questo è alquanto improbabile e contrasta oltretutto con una morte
descritta come piuttosto istantanea con i colpi che vennero sparati, a breve
distanza, su un bersaglio più o meno in piedi.
Come vedesi è questa una dinamica che è difficile, solo su la scorta del
racconto, poter sbrogliare in qualche modo. Forse i sette colpi distinti
precedenti non hanno niente a che vedere con l’uccisione del Duce, mentre
la sparatoria finale è quella che lo ha finito, ma chi ce lo può dire?
O ancora, la signora ha sentito bene e tra quei sette colpi c’è anche la
sventagliata di mitra che ha ucciso il Duce, mentre la sparatoria finale
riguarda qualche altro avvenimento. O forse il particolare di aver contato
sette distinti colpi è stato una aggiunta al racconto da parte del teste.
Comunque sia, l’ora della morte del Duce si può collocare tra poco dopo le
nove (forse orario più probabile) o poco prima delle dieci. Ma sono
congetture molto sui generis. Il problema resta irrisolto.
Specchietto riassuntivo (approssimato) orario uccisione del Duce
(compilato su quanto visto e/o udito dalla sig.ra Mazzola)
Possibile orario
8,30 / 8,40 ?
8,45 / 8,55 ?
8,55 / 9,15 ?
9,10 / 9,25 ?
9,20 / 9,50 ?
Successioni di tempo
Notato del traffico di persone verso casa De Maria.
Dopo un tempo indeterminato ode due colpi di pistola in casa De
Maria (ferimento del Duce in casa, al fianco e forse al braccio);
Poco dopo (quanto?) fuori casa appare l’uomo zoppicante e in
maglietta;
Poco dopo (quanto?) ode i 7 colpi distinti davanti casa De Maria
(altro ferimento ?, uccisione del Duce ?, oppure colpi estranei
all’uccisione ?;
Ancora poco dopo (quanto?) ode un certo trambusto e una
sparatoria finale seguita dal silenzio. Poi la signora dà l’orario:
circa le 10. (Uccisione del Duce ?, colpi di grazia sul Duce già
precedentemente colpito ?, sparatoria estranea alla fucilazione ?
359
CAPITOLO 11 UNO SQUARCIO DI VERITÀ
IL TESTE DI BONZANIGO
Riprendiamo il racconto della signora Mazzola
Il macabro corteo
Racconta Dorina: <<Il sole era ormai alto. Le undici erano suonate da oltre
mezz’ora. Il clima era diventato mite, ma la pioggia della notte aveva lasciato il terreno
bagnato.
Pensai così di non gettare il mangime per terra, ma su una lamiera zincata del deposito di mio
padre che, giorni prima, era scivolata dal mucchio dei rottami. E fu mentre gettavo il
mangime che, alzando gli occhi, notai alcuni uomini scendere da via del Riale.
Erano di certo partigiani. Camminavano lentamente. Poi si fermarono. Qualcuno di loro tornò
indietro. Uno si sedette sul muretto della strada: reggeva tra le braccia un grosso fagotto
con indumenti, coperte, e mi parve, un cappotto>>.
“Ma lei come faceva a vederli senza essere vista? (gli chiese Pisanò in questa intervista).
<<Per sfamare i piccioni mi ero portata a ridosso del mucchio dei rottami, accumulati nel
cortile della mia casa verso lo spiazzo erboso dove arrivava via del Riale. Stando dietro quei
rottami, che lasciavano spazi vuoti, potevo vedere che cosa accadeva nella stradina che
proveniva da Bonzanigo e quindi da casa De Maria. Ma chi scendeva non poteva vedere
me>>.
“E dal suo punto di osservazione, lei poteva vedere tutta la via del Riale fino al cancello
d’ingresso di casa De Maria?”
<<No, non tuta. A metà percorso tra casa De Maria e la mia abitazione, la strada, allora
una mulattiera, compiva in pochi metri una doppia curva a gomito: io vedevo bene solo
il tratto più in basso della stradina, dalla curva allo slargo erboso. Poco più di trenta
metri. Quei partigiani infatti li avevo notati solo quando erano apparsi dopo la doppia curva.
Intanto, mentre seguivo i loro movimenti, avevo sentito di nuovo il pianto disperato della
donna che aveva gridato aiuto.
Questa volta più vicino. Ed ecco dalla curva spuntare altri tre uomini che si tenevano a
braccetto e camminavano a passo molto lento. Dietro di loro apparve una donna che si
gettò in ginocchio davanti a quello dei tre che stava nel mezzo, abbracciandogli i piedi.
E gridava convulsamente qualche cosa che non riuscivo a capire, per via del fracasso che
facevano i piccioni raccogliendo il mangime dalla lastra zincata.
Allora mi spostai quanto più possibile sulla mia sinistra, sempre al riparo dei rottami
metallici.
Vidi uno dei partigiani avvicinarsi alla donna, parlarle accarezzandole i capelli e cercare di
sollevarla da terra.
Ma lei continuava a disperarsi. La sentii gridare, questa volta chiaramente: “Dov’è mio
fratello)”. Alla curva arrivò un terzo gruppo di uomini. Alcuni vestiti in borghese. C’erano
con loro almeno due donne....
La De Maria non c’era, l’avrei riconosciuta. Due donne non della zona. Non le avevo mai
viste. E nemmeno le rividi più>>.
A questo punto la signora azzarda una sua conta circa le persone più o meno intraviste
in quello strano trafficare: circa una quindicina, alcuni dei dintorni e riconosciuti da lei.
Gli uomini, usciti dalla curva, si fecero tutti attorno ai tre che camminavano stretti tra loro, ed
alla fine gli uomini e le donne dell’ultimo gruppetto tornarono dietro la curva.
360
CAPITOLO 11 UNO SQUARCIO DI VERITÀ
IL TESTE DI BONZANIGO
La signora si accorse anche che all’uomo al centro era stato cambiato il cappotto perchè
prima ne indossava uno militare ed adesso invece uno di taglio borghese e marrone.
Di colpo però si rese anche conto che quest’uomo al centro non camminava con le sue gambe,
ma era trasportato per le ascelle mentre la testa gli pendeva sulla sinistra. Era morto.
Pensò allora che doveva essere il padre o un famigliare della donna che si disperava.
Il particolare dello stivale
Dorina vide anche che questa donna, senz’altro giovane, vestita di scuro, si
aggrappava di sovente, urlando, alle gambe del morto, stringendole, tanto da finire per
sfilargli uno degli stivali.
Un partigiano strappò subito, dalle mani della donna, lo stivale e si chinò in terra per
rimetterlo al piede, ma prova e riprova dovette poi desistere. Scoppiò anche una lite tra i
partigiani e se la presero con quella donna che gli faceva perdere tempo.
La donna continuava a lamentarsi e gridava: “Cosa vi hanno fatto! Come vi hanno ridotto!”,
e la signora Mazzola rimase colpita da quel “voi” dato al morto che, pensò, non poteva essere
il padre perchè altrimenti si sarebbe espressa in altro modo.
Comunque il gruppo arrivò lentamente al famoso slargo erboso dove si può proseguire per la
via Regina curvando a destra per viale delle Rimembranze oppure proseguire per via del
Riale, fiancheggiando casa Mazzola ed immettersi, venti metri dopo, in via Albana.
Il gruppo si avviò verso il viale delle Rimembranze.
Nel frattempo la signora Mazzola, nascosta tra i rottami udì grida ed improperi anche in
dialetto locale: “Fate largo! Toglietevi dai piedi. Via di ball! Tornate dove siete stati fino
adesso...”. Quando però il gruppo svoltò verso viale delle Rimembranze Dorina non potette
più vederli perchè, di fatto, si trovava più in basso rispetto al livello dello slargo.
Evidentemente poi dovettero però invertire la marcia perchè tornò a vederli ed anzi la prima
che rivide fu la donna disperata.
Stringeva nella mano destra un foulard e sotto il braccio sinistro portava una borsetta.
Qualcuno le aveva anche gettato addosso una pelliccia sulle spalle.
Il vile assassinio di Claretta Petacci
La donna che continuava a disperarsi fece qualche passo in direzione di via del Riale
verso via Albana, alla signora Mazzola diede l’impressione che volesse correre avanti.
La vide bene perchè non era più distante da lei di sei o sette metri.
Fu allora che qualcuno fece partire una raffica di mitra. Alcune pallottole passarono
vicino alla signora Mazzola e falciando i muri della casa e del magazzino fecero alzare in volo
i piccioni.
Tra i partigiani si scatenò il finimondo. Urlavano, inveivano, bestemmiavano.
Le donne strillavano dallo spavento. Dorina udì frasi come: “Pezzo di merda! Guarda che
cosa hai fatto!” e ancora: “Chi è quel pezzo di merda che ha sparato? Da dove è arrivato?
Non ti far vedere da me, che ti lego le budella attorno al collo!”.
Anche gente del paese ed altri da fuori
Chi inveiva in italiano, chi in dialetto, racconta la signora, che riconobbe alcuni
ragazzi che conosceva: Carlo De Angeli, Pietro Faggi, che morì un anno dopo, e Paolo
Guerra, che divenne poi sindaco comunista di Tremezzo.
361
CAPITOLO 11 UNO SQUARCIO DI VERITÀ
IL TESTE DI BONZANIGO
Dorina, spaventata tornò in casa e passò in cucina, poi superando la paura cercò di guardare
anche dalla finestra di cucina che dava verso lo slargo, nonostante che la mamma cercasse di
toglierla di lì per paura degli spari.
Da qui sentì due colpi di pistola esplosi dietro la casa dove inizia la via Albana e la baraonda
cessò. Vide anche ricomparirgli alla vista l’uomo sorretto dai due partigiani.
Attorno a loro un gruppetto di persone ben vestite. Gente venuta da fuori.
Dorina ne ricorda bene un paio:
un signore molto distinto con un impermeabile quasi bianco, cintura alta in vita e uno
strano berretto con visiera in testa. A tracolla una lussuosa macchina fotografica.
L’altro, più piccolo con i capelli corti brizzolati ed un giaccone scuro.
Dietro il gruppo due donne in pelliccia, una di visone e l’altra di pelo vaporoso, bianche
in volto dallo spavento e occhi rossi di pianto. Mai viste da Dorina.
Comunque, calcola approssimativamente la signora, dall’apparizione dei primi partigiani alle
raffiche di mitra saranno passate da circa una ventina di minuti a mezz’ora.
Andata dalla cucina ad un altra finestra sempre a piano terra, che dava su via del Riale,
nascosta alla vista di fuori, vide ancora alcuni partigiani intenti ad infilare lo stivale al morto,
ma senza riuscirci. Dorina ora vide anche molto bene che il morto era sicuramente quell’uomo
che circa tre ore prima aveva notato zoppicante nel cortile di casa De Maria.
Aveva infatti, sotto il cappotto, la stessa maglietta bianca, ma lacera e insanguinata.
Attorno ai fianchi gli avevano messo una sciarpa attorcigliata ed in testa il passamontagna.
Neppure allora però la signora Mazzola immaginò chi fosse.
Mentre osservava tutto questo, vide spuntare da destra, strisciando contro il muro di casa, altri
partigiani che portavano il cadavere di una donna, coperto da un cappotto: proprio quella che
precedentemente piangeva e si disperava. Ammazzata da una raffica di mitra.
Giunsero dal campanile i rintocchi di mezzogiorno.
Mano a mano la gente se ne andava in varie direzioni e Dorina vide anche, portandosi al
secondo piano ad una finestra sul retro, l’automobile nera allontanarsi lentamente per via
Albana.
Facciamo un altra pausa per qualche considerazione
1.
Si deduce che Claretta Petacci, rimase nella casa, disperata e piangente e
guardata da qualche partigiano, fino a quasi le 11,30 ora in cui apparve dietro
al corpo di Mussolini trascinato dai due partigiani. Cosa è accaduto in quel
tempo?
E’ in quei frangenti che può essere avvenuta una violenza carnale di questa
poveretta, trovata morta senza le mutandine? Non è comunque provato.
Morì verso le 12.
2. Sembra, dal racconto, definitivamente risolto il problema dello stivale.
3. Stando ai dialoghi uditi dalla Mazzola, sembra anche che la morte della
Petacci fu provocata (accidentalmente) da un partigiano irascibile e nervoso
(o un elemento con un compito ben preciso?).
362
CAPITOLO 11 UNO SQUARCIO DI VERITÀ
IL TESTE DI BONZANIGO
Riprendiamo ora il racconto della signora Mazzola
Dorina Mazzola il pomeriggio, tra le quattordici e le quindici, da casa sentì ancora
sparare, ogni tanto, qualche colpo di pistola. Provenivano dal termine di viale delle
Rimembranze dove c’è un ponticello che passa sopra un torrente. Oggi, precisò la signora, il
letto di questo torrente è stato coperto, così come è stata spostata di una quindicina di metri
una fontanella che al tempo era lì.
Verso le sedici, comunque, l’allora ragazza, dovette uscire per andare ad Azzano a fare spese.
Ebbe così modo di vedere, al di là del cumulo di rottami, il punto dove aveva visto la donna
disperata l’ultima volta. C’era ancora del sangue per terra, tra l’erba.
Il lavaggio del cadavere alla fontanella
Poco dopo Dorina arrivò alla fontanella verso viale delle Rimembranze e, sorpresa,
notò acqua e sangue per terra. Ma non c’era nessuno, erano andati tutti verso Azzano.
Proprio allora Dorina si sentì chiamare. Era un certo signor Gilardoni proprietario di una casa
di fronte alla fontanella.
Questi, un pò nascosto tra le siepi del suo giardino, gli raccontò che un ora prima, da quelle
parti, c’erano dei partigiani che sparando in aria mandavano tutti giù al bivio di Azzano.
Poi era arrivata un automobile scura dalla quale avevano tirato fuori un cadavere
insanguinato. Posto in terra, vicino alla fontanella, gli hanno tolto la maglietta bianca
insanguinata e l’hanno lavato con delle pezze gettate poi nel torrente. Quindi l’hanno rivestito
e l’hanno portato a braccia giù per via delle Vigne, mentre l’auto ripartiva subito per viale
delle Rimembranze. Non aveva visto donne, nè vive, nè morte.
A Villa Belmonte nel frattempo...
Mentre Dorina stava parlando con il sig. Gilardoni, udirono raffiche di mitra provenire
da Giulino. Guardando il campanile della chiesa vide che erano le 16,25.
Nonostante che il sig. Gilardoni la sconsigliasse Dorina, incuriosita, si avviò per via delle
Vigne la quale dopo poche decine di metri sfocia in via 24 Maggio che porta a Giulino di
Mezzegra.
Il cadavere era stato portato a Giulino di Mezzegra
In via delle Vigne, mulattiera lastricata a ciottoli e lunga circa una trentina di metri,
Dorina notò chiazze di sangue che terminavano alla congiunzione con via 24 Maggio. Pensò
subito che il cadavere, portato a braccia, in quel punto venne caricato su un automobile.
Risalita via 24 Maggio per circa duecento metri venne però bloccata da due partigiani con i
mitra che gli imposero di non proseguire per Giulino perchè dovevano scendervi delle
automobili e la consigliarono di recarcisi tornando indietro per la scorciatoia.
Nel frattempo Dorina ebbe modo di scorgere l’auto scura che, precedentemente parcheggiata
dietro casa sua, era poi stata utilizzata per trasportarvi i cadaveri, ma la vide seminascosta da
altre due vetture. Le auto facevano da riparo ad un gruppetto di uomini che si agitavano
verso il cancello di Villa Belmonte.
In ogni caso, di questi avvenimenti, Dorina non potè fornire spiegazioni in particolare del
perchè il cadavere del Duce fosse prima stato lavato.
I cadaveri nascosti nell’albergo Milano
La signora, nella sua testimonianza, aggiunse però, di aver considerato il fatto che
alcuni percorsi erano obbligati, visto che via Albana termina all’incrocio con via Regina e che
363
CAPITOLO 11 UNO SQUARCIO DI VERITÀ
IL TESTE DI BONZANIGO
lì, all’angolo c’è ancora oggi l’Albergo Milano il cui proprietario era notoriamente amico dei
partigiani.
Tempo dopo, lei ebbe modo di chiedere a sua zia, una certa Mariola che lavorava nell’hotel,
se il 28 aprile, dopo mezzogiorno, aveva visto un auto scura vicino all’albergo.
La zia le rispose che tale auto era rimasta per qualche ora nel garage. La zia aveva anche
notato alcuni partigiani che l’avevano scortata nel garage ed erano poi entrati nell’albergo e
piangevano. Era chiaro, dedusse la signora, che verso le 15, quando lei aveva sentito i colpi di
rivoltella nella zona della fontana, i partigiani erano ripartiti dall’albergo Milano risalendo per
poche decine di metri. Poi avevano svoltato a sinistra per Vie Nuove e quindi a destra, su per
viale delle Rimembranze evitando così il bivio di Azzano che, a quell’ora, era pieno di gente.
Alla fontanella avevano tirato fuori il cadavere di Mussolini e l’automobile era tornata al
bivio di Azzano con a bordo il cadavere della Petacci, magari nascosto nel bagagliaio.
Da lì l’auto era risalita nuovamente per via 24 maggio e, all’incrocio con via delle Vigne,
aveva caricato di nuovo il corpo di Mussolini per andare a deporre, infine, i due cadaveri
davanti al cancello di Villa Belmonte.
Ecco qui sotto, ripreso sempre dal libro di G. Pisanò Gli ultimi cinque secondi di Mussolini
già citato, uno stralcio di cartina che indica i percorsi attestati dal racconto di Dorina.
Il tragitto dei cadaveri da casa De Maria al cancello di villa Belmonte:
Dopo un breve tratto a braccia i due cadaveri sono caricati sull’auto nera parcheggiata dietro
casa Mazzola.
Questa li porta nel garage Milano (1) all’incrocio con la Regina. Dopo qualche ora di sosta la
macchina esce e percorre via Albana in salita, svolta per vie Nuove, prende viale delle
Rimembranze e giunge alla fontanella in fondo al viale (2).
Qui, il solo cadavere di Mussolini viene scaricato e lavato alla fontanella. La macchina, con il
cadavere della Petacci, invece ridiscende viale delle Rimembranze ed al bivio di Azzano svolta per
via XXIV Maggio e si ferma in attesa al punto (3) cioè all’incrocio con via delle Vigne. Il cadavere di
Mussolini, lavato, viene quindi portato a braccia giù per via delle Vigne e arrivati al punto (3) viene
caricato nella macchina sopraggiunta che porterà i due cadaveri, per via XXIV Maggio fino al
cancello di villa Belmonte (4).
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CAPITOLO 11 UNO SQUARCIO DI VERITÀ
IL TESTE DI BONZANIGO
Come Dorina seppe che si trattava di Mussolini e la Petacci
La signora Mazzola quel pomeriggio tornò a casa senza fare le spese. Solo più tardi
scese di nuovo ad Azzano e strada facendo incontrò gente che gli disse che al cancello di Villa
Belmonte avevano ammazzato Mussolini e la Petacci.
Rimase sconvolta perchè solo allora capì chi erano l’uomo che aveva visto da morto e la
donna che aveva visto ammazzare. Lei sapeva come erano andati i fatti e comprese anche la
sceneggiata di Villa Belmonte. Altri pur non conoscendo quello che aveva visto lei già
parlavano però di una finta fucilazione davanti al cancello di Villa Belmonte.
Tanti sapevano di questa commedia inscenata al cancello della villa, sia a Mezzegra che nei
paesi vicini.
Giorni dopo Dorina incontrò Paolo Guerra, un giovane partigiano di Tremezzo che nutriva
una certa simpatia per lei. In seguito diventò anche sindaco comunista del suo paese. Morì nel
1992. A lui Dorina chiese particolari sulle varie sparatorie udite al mattino e questi disse che
era stato ordinato (anche a lui) di sparare alternativamente, alle spalle del paese, da sinistra a
destra, dove si sapeva che c’era Mussolini in casa De Maria e tenere così la gente lontana da
Bonzanigo.
Ad un certo momento però, raccontò il Guerra, “udimmo spari che provenivano da casa De
Maria e capimmo che qualcosa era andata storta. Venimmo così a sapere che Mussolini era
stato ucciso”.
Ma Dorina gli gridò in faccia che lei lo aveva anche visto nel gruppo che si agitava quando la
Petacci era stata uccisa. E lui gli consigliò di stare zitta altrimenti l’avrebbero ammazzata.
E lei, confermò, è rimasta zitta per tutti questi anni.
Anche i familiari di Dorina sapevano
Verso la fine di questa intervista/testimonianza che Pisanò stava raccogliendo,
arrivarono anche le figlie di Dorina: Albertina, Milana e Daniela che confermarono il fatto
che loro, tutti questi particolari, li conoscevano da quando erano divenute adulte, ma qualcosa
avevano anche immaginato fin da quando erano bambine visto che spesso il nonno, quando
giocavano a fianco della stradina di via del Riale, le richiamava: “Venite via, da quella
strada maledetta”.
Milena ricordò anche l’episodio della processione e del bouquet di fiori nel giorno delle nozze
della madre. Accadde infatti che poche settimane dopo il 28 aprile del ’45 venne organizzata
in paese una processione riparatrice. A Mezzegra ogni 16 luglio si festeggia la Madonna del
Carmine e ogni sette anni, quando il 16 luglio cade di domenica, si solennizza l’evento con
una grande processione che passa tra le frazioni di Giulino, Bonzanigo e Azzano.
Dorina ricordò che in quei giorni non riusciva a darsi pace e il padre e la madre (che ora a 95
anni non ricordava più nulla) al tempo sapevano tutto quello che sapeva lei, ma gli dicevano
di smetterla, di dimenticare. Ma anche loro, come altri del paese, erano rimasti scossi.
La processione riparatrice
Fu così che venne organizzata una processione riparatoria che portasse la statua della
Madonna del Carmine attraverso i viottoli e i campi teatro di quella tragedia.
A stabilire il percorso della processione fu proprio il padre che ricopriva una carica nella
parrocchia in rappresentanza degli abitanti di Bonzanigo. Dal percorso si dovette però
escludere via del Riale perchè, al suo inizio tra le case di Bonzanigo, passa sotto una volta in
muratura e ci si rese conto che la statua della madonna non ci sarebbe passata.
La processione seguì allora un percorso attorno all’abitato di Bonzanigo per scendere poi ad
Azzano. A quella strana processione, che Dorina non ricordava bene quando esattamente
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CAPITOLO 11 UNO SQUARCIO DI VERITÀ
IL TESTE DI BONZANIGO
avvenne, forse all’inizio dell’estate, ci furono tutti, in particolare quelli che sapevano cosa era
realmente accaduto. Era il periodo della fioritura dei gladioli ed infatti lungo il percorso
furono lasciati due vasi di gladioli: un con tanti gladioli quanti erano gli anni di Mussolini,
l’altro con tanti quanti erano gli anni della Petacci.
Il 26 gennaio del 1946 poi, ricordò la Milena, al matrimonio della madre tutti si accorsero che
non aveva il tradizionale bouquet di fiori pur consegnato dal fiorario.
Solo più tardì Dorina confidò che lo aveva voluto lasciare nel punto in cui era morta Claretta
Petacci.
Nei giorni seguenti Pisanò non rilevò dai giornali dell’epoca notizie circa questa processione
d’inizio estate. Nell’archivio della parrocchia di Mezzegra, però, saltò fuori, sia pure
indirettamente, che nel paese si dovette svolgere una processione non tradizionale. Nel diario
manoscritto dal parroco di allora, don Giacomo Del Mano, infatti, si legge che il 29 maggio
1946 si presentarono in parrocchia due funzionari della Questura di Como a chiedere se era
vero che le ceneri di Mussolini, raccolte in un urna, erano state portate in processione.
Con alcuni mesi di ritardo, evidentemente, delle notizie sia pur distorte circa qualche genere
di processione anomala erano arrivate alle autorità comasche.
Venne imposto un silenzio cinquantennale
Su questi avvenimenti tutti nel paese non dissero mai una parola. Anzi per molto
tempo ancora, ricordò la signora Mazzola, spesso si rinvenivano bigliettini sotto le porte che
ricordavano di mantenere un silenzio cinquantennale. Una minaccia evidente.
E il silenzio venne mantenuto, anzi nulla è uscito fuori per oltre cinquantanni, eccezion fatta
per Dorina Mazzola. Oltretutto, nel frattempo, molti spettatori di quegli eventi erano morti.
Eccetto alcune stranezze, rilevate nelle testimonianze, che raccolse in loco Franco Bandini e
qualche altro cronista nel dopoguerra, questa triste e ignobile realtà rimase sepolta in tutto il
circondario, e anche oltre. Incredibile.
E qui termina la testimonianza di Dorina Mazzola
di Bonzanigo al momento abitante ad Ossuccio.
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