La massa per la propulsione nello spazio
Antonio Rivetti
I.N.RI.M.
Sulla Terra, un veicolo per muoversi esercita una forza su un corpo esterno, sia esso il terreno
solido, l’acqua del mare o anche l’aria. Come le ruote di un’automobile esercitano una spinta contro
la superficie stradale, così fanno i remi di una barca contro l’acqua e l’elica di un aeroplano contro
l’aria.
Ma un veicolo nello spazio vuoto non ha nulla intorno a sé contro cui esercitare una spinta e per
muoversi deve utilizzare un altro metodo: deve disfarsi di una parte della propria massa lanciandola
alla massima velocità possibile in direzione opposta a quella verso cui intende muoversi.
E’ quella che si chiama comunemente propulsione a reazione: il veicolo espelle massa ad alta
velocità dietro di sé e per reazione si muove nella direzione opposta.
Un aereo a reazione funziona proprio in questo modo, solo che una gran parte della massa che
emette ad alta velocità, l’aria, l’aereo la prende dall’ambiente esterno: ciò che gli consente sì una
grande autonomia, ma è anche la sua principale limitazione perché, a meno di portarsi dietro una
grande scorta di aria, nello spazio il motore di un aereo a reazione non funzionerebbe. Nello spazio
infatti non c’è la possibilità di approvvigionarsi di massa da emettere e tutta quella che serve per
muoversi bisogna già averla con sé.
C’è da dire che se nello spazio non c’è aria da prendere e da utilizzare per muoversi, in compenso
non c’è neppure attrito e così nello spazio si può sperimentare facilmente la prima legge della
dinamica:
un corpo in quiete o in moto continua nel suo stato di quiete o di
moto fintantoché una forza esterna non intervenga a modificarlo
Un veicolo nello spazio, una volta raggiunta la velocità richiesta, la mantiene senza bisogno di
ulteriori spinte; gliene serviranno invece se vorrà rallentare, accelerare o cambiare direzione.
E’ ben noto infatti che i satelliti artificiali, una volta lanciati, continuano a ruotare intorno a noi
senza bisogno di motori, e solo quelli più vicini alla Terra (appena frenati dagli strati alti
dell’atmosfera) richiedono ogni tanto un po’ di spinta per mantenersi in quota.
Ma oltre alle piccole spinte di cui sopra, i veicoli spaziali hanno spesso necessità di cambiare
assetto o modificare la propria rotta, per eseguire i compiti per i quali sono stati costruiti
(telecomunicazioni, sorveglianza del territorio, spionaggio, meteorologia, astrometria, assistenza
alla navigazione, esplorazione del Sistema Solare, ecc.).
Ecco dunque la necessità di motori in grado di generare le spinte necessarie, in grado cioè di
emettere nella direzione voluta quantità ben determinate di massa alla massima velocità possibile.
E’ questo il modo di funzionare dei razzi che lanciano dietro di sé ad altissima velocità i gas
prodotti dalla reazione fra il comburente e il combustibile che portano nei propri serbatoi,
generalmente ossigeno e idrogeno liquidi.
A parità di massa emessa, più alta è la velocità di emissione, maggiore sarà l’impulso della spinta
che risulta pari alla quantità di moto della massa emessa:
r
r
F
⋅
dt
=
m
⋅
v
∫
dove:
r
∫ F ⋅ dt
: impulso della forza ricevuto dal veicolo (spinta)
m
r
v
: massa emessa
: velocità della massa emessa
I razzi a ossigeno e idrogeno liquidi sono in genere utilizzati per i razzi vettori che devono superare
la gravità terrestre per portare in orbita i satelliti: in questo caso essi producono spinte elevatissime
consumando tutto il propellente in pochi minuti.
All’inizio la spinta di questi razzi vettori è appena sufficiente a sollevare il razzo che inizia a
muoversi lentamente, poi, mano a mano che consuma combustibile e la massa complessiva del
razzo si riduce, la sua velocità aumenta rapidamente fino a consentirgli di portarsi in orbita.
I veicoli spaziali, una volta in orbita, richiedono per muoversi un tipo di spinta assai diversa: in
generale molto meno intensa però molto più duratura, ma il problema rimane lo stesso: bisogna
avere a bordo una grande quantità di massa da lanciare e si devono impiegare tecniche capaci di
emetterla nella direzione e nella misura giusta e alla massima velocità possibile: a parità di spinta
più è alta la velocità di emissione e meno massa sarà necessario consumare.
Infatti la spinta è il risultato del prodotto m⋅v (massa emessa x velocità di emissione).
La velocità di emissione della massa è dunque il parametro principale da cui dipende l’efficienza
del sistema di propulsione: sono stati sviluppati molti tipi di motori, sia di tipo classico come i
motori chimici e quelli fluidodinamici, sia di nuova generazione come quelli elettrici.
Questi ultimi, più propriamente noti come motori ionici, si basano su un semplice principio:
la massa da emettere, generalmente gas (ma può anche essere un solido come ad es. il cesio) viene
dapprima ionizzata cioè caricata elettricamente, indi accelerata mediante una serie di griglie
disposte nella direzione di emissione e portate ad un elevato potenziale elettrico: gli ioni emessi da
questo tipo di motore raggiungono velocità dell’ordine di 30 000 m/s (oltre 100 000 km/h) e quindi
possono generare spinte considerevoli pur consumando poca massa.
In compenso, per accelerare gli ioni si consumerà molta energia elettrica ma questo, se si resta nel
Sistema Solare, non è un grave problema perché con i pannelli foto-voltaici è possibile captare dal
Sole tutta l’energia necessaria.
I motori ionici sono un’innovazione relativamente recente e sono tuttora in fase sperimentale e non
è ancora chiaro quale sia la migliore fra le numerose soluzioni tecnologiche, sia dal punto di vista
dell’efficienza, sia da quello dell’affidabilità.
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