Inchiesta pedagogica sull’origine di alcune idee del Bello. Perché parafrasare il titolo del famoso trattato di Edmond Burke pubblicato nel lontano 1756 Inchiesta filosofica sull’origine delle nostre idee del Sublime e del Bello? Intanto perché la parola “indagine” con le sue allusioni all’attività di un detective mi sembrava ironicamente appropriata se collegata all’argomento, in secondo luogo perché l’esito del disinvolto sondaggio fatto tra i miei studenti – secondo me- ha dato esiti avvicinabili a certe conclusioni cui era arrivato lo scrittore. Quell’inchiesta, poi, credo possa essere considerata uno dei fondamenti dell’estetica in termini moderni. Un’opera che va messa in relazione dialettica con quanto stava elaborando in Italia Winckelmann e cioè il concetto di Classico impostato sulla nozione di bellezza ideale. In quella seconda metà del XVIII secolo è tutto un incalzare di teorie dominate da propositi d’inquadramento razionale del concetto di bello. Quelle intenzioni, però, invece che risolvere definitivamente la questione, hanno portato a una moltiplicazione tale di enunciazioni da causare la frantumazione del gusto attuale. I ragionamenti logici e illuministici di Burke si chiudevano con una svalutazione del Bello a favore del Sublime poiché quest'ultimo comprende in sé aspetti positivi e negativi. Se il primo è incentrato principalmente sulla contemplazione, dunque fondato su un atteggiamento essenzialmente statico e riflessivo, il secondo è fondato sulla risposta emotiva e dinamica dell’uomo alla grandiosità e complessità del mondo che lo circonda. Le conclusioni del pensatore, raccolte e ampliate da altri filosofi, apriranno le porte al nascente spirito del romanticismo con l’incalzante accavallarsi di sensazioni, emozioni e sentimenti. Curiosamente è quasi lo stesso esito cui sono giunti dei giovani di oggi, almeno quelli che ho interpellato io. “Vieni tu dal cielo profondo o sorgi dall’abisso, Bellezza?” Charles Baudelaire Cos’è la Bellezza? È impressionante quanto possa essere insidiosa questa domanda all’apparenza semplice e quieta. Un concetto fragile come un cristallo che continua a mandare bagliori iridescenti, anche se finisce in mille pezzi come nelle risposte dei miei allievi. Una domanda così lapalissiana da ingenerare dubbi nella mente più razionale o spingere a un raggelante black out comunicativo: “La Bellezza è ciò che è”, oppure “La bellezza è tutto”. La domanda può farsi astrale e, come nelle geometrie non euclidee, si scopre che ragionando in modo lineare e dritto ci si allontana dalla meta, si procede su uno spazio curvo e dopo un lungo giro, magari, ci si ritrova al punto di partenza. Ragiona bene il poeta e pittore Khalil Gibran quando dice: ”La Bellezza è l’eternità che si contempla in uno specchio; e noi siamo l’eternità, e noi siamo lo specchio”. Perché non chiedere un’opinione ai miei studenti? Così mi è venuta l’idea di consegnare loro un fogliettino con la fatidica domanda, invitandoli – la richiesta era facoltativa e anonima- a scrivere velocemente qualche impressione e riflessione. Si tratta di giovani tra i quattordici e i diciannove anni, una fascia d’età assolutamente instabile per i dubbi e le criticità che caratterizzano questo momento della loro crescita, ma proprio per questo molto interessanti. La lettura della novantina di risposte è stata per certi versi sorprendente, scoprire cosa pensavano quelle menti, talora ancora più acerbe dei loro corpi, ma non prive di guizzanti intuizioni, è stata una cartina al tornasole illuminante. Le loro brevi note scritte presentano un’incredibile varietà di sfaccettature, dove si mescolano stereotipi, buon senso e inconsapevoli genialità che non permettono di tirare conclusioni sempre unificanti, ma è pur sempre l’interessante punto di vista di un gruppo sociale significativo. Ricordiamoci, poi, che le opinioni di questi giovani hanno una forte incidenza nella determinazione di mode, gusti e scelte connessi a prodotti come abbigliamento, strumentazioni tecnologiche, musica, accessori, gadget, cibi e bevande, per la vendita dei quali l’aspetto estetico ha una rilevanza notevole. Questi ragazzi sono degli utenti importanti anche per i risvolti economici legati al potere d’acquisto, tramite i genitori, che condiziona alcune fasce di mercato. Diceva Franz Kafka: “La giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza non diventerà mai vecchio”. Oggi più che mai si fa di tutto per allontanare la vecchiaia facendosi aiutare dalla scienza e spesso barando ricorrendo alla chirurgia estetica. Ma sono felici questi giovani, hanno la capacità di vedere la bellezza? Una ragazza mi sembra abbia riassunto l’istintiva posizione di molti suoi compagni citando la nota frase di Stendhal “La bellezza non è che una promessa di felicità”. La parola “promessa” pospone in un prossimo futuro il godimento di un qualcosa, crea uno stato d’attesa, talora di ansia, una tensione dal sapore un po’ romantico verso un qualcosa che non sempre è ben identificato ed è possibile raggiungere. Non sembra che il mondo di questi ragazzi, pieno di oggetti, di mezzi tecnologici, di occasioni, di luoghi, di relazioni, li soddisfi completamente. Cominciamo con l’opinione più diffusa tra le ragazze e i ragazzi e cioè “la bellezza è soggettiva”, molti lo scrivono direttamente e altri lo fanno capire indirettamente, solo qualcuno si pone il problema di regole o criteri che diano una maggiore oggettività alla valutazione. Questo perché la parola viene applicata a una varietà incredibile di oggetti, persone, ambienti, situazioni, ma soprattutto emozioni. Frequente la dichiarazione, dove la Bellezza è definita “ciò che suscita emozioni”, “ ciò che è legato al sentimento”, “ciò che non si vede ma si sente”. Con l’ultima frase addirittura usciamo perfino dalla dimensione del visibile, quasi a percepire o intuire il possibile allargamento dei valori all’aspetto etico. Eppure dubito che qualcuno di loro ricordi che la radice etimologica della parola “bello” deriva da “Buono”, oppure rammenti gli enunciati di alcuni filosofi greci antichi che affiancano i due concetti. A completamento di questi pensieri aggiungerei la seguente frase: “La bellezza non è quella immutabile e universale ma quella mutevole che cambia ogni giorno, è quella soggettiva che vien dal cuore e che ti suscita emozioni e rimane per sempre immagine nei tuoi sogni, pensieri, parole”. Un’altra ragazza, così chiude le sue riflessioni: ” La bellezza, quindi, non può essere concepita razionalmente, ma deve animare i sentimenti”. Frasi che avrebbero amareggiato il povero Johann Winckelmann perché in contrasto con la sua convinzione che il Bello sta nella nobile semplicità e quieta grandezza, sia nella posizione che nell'espressione e nella perfezione formale della statuaria antica presa come modello, che lui paragonava alla profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie. Definendo il concetto di classico egli aveva cercato di inquadrare una bellezza ideale assoluta valida al di là del tempo e dello spazio e sorretta da regole e criteri oggettivi. Ho fatto questa precisazione perché insegnando in una scuola artistica gli aspetti del fare, s’intrecciano quotidianamente con quelli del contemplare e teorizzare, pertanto è d’obbligo segnalare ai ragazzi che, a tutt’oggi, canoni e normative, talora ricavate da studi scientifici, continuano ad angustiare e appassionare gli artisti, i pubblicitari, gli stilisti, i designer e tutte le categorie di creativi. A loro forse sembra che il mondo contemporaneo sia solo sfrenata libertà e fantasia, ma per infrangere le regole è buona pratica conoscere le precedenti e comporne di nuove, altrimenti anche il continuo gioco fantastico diventa routine ancora convenzionalità; ma come dargli torto quando una ragazza mi scrive “Bellezza …è la spensieratezza di avere 16 anni e sapere di avere tutta la vita davanti per sbagliare e imparare, divertirsi e soffrire”. Gli allievi, pertanto, preferiscono la mobilità della superficie del mare, l’incresparsi delle onde, i marosi, l’onda anomala e le loro risposte insistono comprensibilmente –a volte in maniera commovente- sul tasto del cuore. C’è chi trova la bellezza “negli occhi verdi della mia ragazza che a me piace e come mi da forza quando sto male”, oppure “nel sorriso di mio padre dopo tutta la fatica che fa per noi” e un altro ancora “nei volti delle persone che si impegnano, negli atti di compassione e mi viene da piangere”. Anche nel caso estremo di un’affermazione come “Per me la bellezza è una cosa non del tutto necessaria: ad esempio, per una persona cieca la bellezza di un quadro o di un qualsiasi paesaggio non ha significato poiché si affida a tutti gli altri sensi” alla fine finirà con “La bellezza è ciò che sento, l’affetto che mi circonda, le azioni e i sentimenti, se sono buoni”. Tali posizioni sono solidamente supportate dalla statistica, per quanto approssimativa, relativa agli esempi concreti di “bello” da riportare in un elenco separato dalle considerazioni. Percentualmente la musica in generale, quella pop in particolare e un pochino di rap sono saldamente al primo posto. D’altra parte auricolari e vistose cuffie collegate a lettori MP3 o a iPhone, come ineludibili protesi, stanno incollate sulle loro teste, un’incessante colonna sonora interrotta, purtroppo, dalle nostre spiegazioni, talora. Se accorpassimo alla musica anche il consistente apprezzamento dei film compresi quelli di animazione, allora si ottiene che l’industria dell’entertainment domina le loro vite. Emozione, commozione ed eccitazione sono una sorta di triade sacra per questi giovani, una reazione comprensibile dato che sono ancora alla ricerca di una più precisa identità e la risposta alle sollecitazioni dei sensi non può che essere istintiva. Nella graduatoria, subito dopo, arriva l’esercito di fidanzati, fratelli, amici e parenti esempi di bellezza sia fisica sia morale. Ritorniamo al punto iniziale le emozioni innanzitutto, la ricerca della felicità e del piacere, sognare e fantasticare, insomma i nostri ragazzi sono degli inguaribili romanticoni, perfino quelli che amano l’Heavy Metal. L’ambiente naturale ottiene ammirazione solo presso una limitata fascia di giovani, o perlomeno non sembra stare in cima ai loro interessi. Ne ricavo la valutazione che il mondo in cui vivono, soprattutto quello urbano, non gli piace molto, loro lo percepiscono un po’ ostile, ecco perché cercano mondi alternativi; non armeggiano molto bene con i sentimenti e hanno un gran bisogno di affetto e di relazioni rasserenanti. Non abbiamo lo spazio ma sarebbe interessante ragionare ulteriormente sulla molteplicità di personaggi, soggetti, storie, suoni che hanno indicato, basterebbero come esempio alcuni cantanti o musicisti o modelli giovanissimi a volte meno che ventenni immancabilmente belli in termini classici e con l’aria di ‘maledetti’. Ma l’arte? Proprio la disciplina connaturata e creatrice della parola bellezza? Arriva in terza posizione, almeno saliamo sul podio per un bronzo. E non si venga a obiettare che per essere una scuola artistica si poteva aspirare a una collocazione migliore, gli studenti vengono da noi soprattutto per socializzare: sono inconsapevoli seguaci di Walter Benjamin per il quale il rapporto arte-vita nella società del Novecento è inevitabile, figurarsi oggi. Intanto scelgono la vita, poi seguirà la techne. In fondo non hanno tutti i torti, perché L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica ha perso la sua aura, sono stati stravolti i processi operativi, bisogna trovare altre strade per raggiungere l’obiettivo e la scuola italiana, così com’è strutturata, non brilla certo per capacità di adeguamento alle nuove richieste della società e dei giovani. Ciò non vuol dire che le persone che ci lavorano, in questa scuola, non provino a far qualcosa. Com’è andata la hit parade artistica? Premesso che in pratica quasi ogni studente ha indicato un artista e talora un’opera diversi, dovendo proprio stabilire una graduatoria, anche se con poche segnalazioni, il primo premio se lo aggiudica Simonetta Vespucci, alias La Venere di Botticelli (un’opera che figura ai primissimi posti nei più svariati sondaggi mondiali come quello su Focus). Poi abbiamo tre secondi posti pari merito: Michelangelo (La Pietà di San Pietro e il David), Canova con Amore e Psiche e Dalì. A pensarci bene diventano quasi più indicative le assenze. Praticamente nessun riferimento ad artisti o movimenti realisti, dell’arte greca l’unica statua nominata è il Laocoonte, nessun architetto ricordato. Che fine ha fatto la Gioconda di Leonardo? E degli altri personaggi mitici? C'è Silenzio su Raffaello e non pervenuti, tra i moderni, Van Gogh e Picasso. Per quanto l’indagine non avesse l’ambizione di ottenere risultati misurabili scientificamente mi viene spontanea una riflessione: ma cosa e come ho spiegato durante le ore di lezione? Sarà rimasto qualcosa? Forse, un po’ a macchia di leopardo e, se tutto va bene, chissà, lo saprò a distanza di molti anni quando casualmente li ritroverò fuori dell’ambito scolastico. Il mio lavoro, tra le altre cose, consiste nel far apprezzare la bellezza attraverso lo studio della Storia dell’arte in una scuola artistica. Una situazione invidiabile si dirà, una strada tutta in discesa, e invece… Da più di tre decenni mi accaloro e mi sbraccio nel tentativo di avvicinare schiere di adolescenti a disegni, quadri, sculture, architetture e artisti. Io ci provo a parlare ai ragazzi di canoni, di proporzioni, di simmetrie e armonie, di tecniche e materiali, di simboli e teorie, ma (quasi) nessuna scintilla fa brillare i loro occhi. Emblematica la risposta di una ragazza al questionario “Se penso che per secoli è stata la matematica fonte di bellezza mi vengono i brividi”. Qualora si alzi una mano durante le spiegazioni, di solito, implacabilmente la domanda sarà: “Posso uscire?”. Fame, sete, funzioni corporali e brufoli sono ben più importanti. Gli ormoni, messaggeri chimici, battono Hermes mille a uno. A dire il vero non sono tutti e sempre disinteressati, solo che, pur guardandoci e parlandoci, sembra di viaggiare su due treni diversi che stanno procedendo in parallelo ma a velocità differenti: per un po’ ci incrociamo, poi ci perdiamo, poi ci ritroviamo e infine ci riperdiamo. Non parliamo, poi, del crescente distacco del linguaggio, il loro sempre più gergale e sincopato, il mio inesorabilmente arcaico e oscuro ai loro orecchi; così gli somministro dei test lessicali che loro affrontano con l’ansia di chi deve rispondere a un complicato rebus. Si può immaginare la reazione quando gli parlo di elementi stilistici, valori formali, rapporti cromatici, mi rendo conto di ingaggiare una seria battaglia sul fronte dei pregiudizi oltre a quello linguistico. La parola forma gli fa venire l’orticaria. Solo una stoica fermezza permette di controllare gli istinti e rimanere discorsivi di fronte a certe loro candide uscite come: “Ma prof ha visto le spalle inclinate di quella donna (Maddalena Doni di Raffaello)? Non sono mica belle! Ma era così bruttina o Raffaello non sapeva disegnare le spalle?”. O di fronte ai nudi femminili di Tiziano: ”Nooo…Ma… prof! Le donne erano tutte così cellulitiche a quell’epoca, seni piccoli e fianchi larghi? A parte il viso sono brutte!”. Dopo quasi due secoli di fotografia e sue evoluzioni tecnologiche sono faticosi da leggere i quadri (peraltro riprodotti fotograficamente), mi sa che le loro menti nascono già con le immagini formate da pixel. Una studentessa ha scritto così sulla bellezza: “È legata al gusto personale a sua volta legato al contesto storico-culturale, alla tradizione, alla moda, ma anche alla trasgressione e alla perversione…la bellezza è un qualcosa che non si può catalogare, categorizzare, imporre o insegnare è un concetto personale di pace interiore e sensoriale”. Il ragionamento parte da un assunto dato per certo, ossia il gusto personale, che si divide in due rami, il primo lega tale gusto all’ambiente storico e culturale, il secondo nega la possibilità che possa esserci una guida o un insegnamento relativamente alla definizione di detta qualità estetica: è da questo fertile ma contraddittorio pregiudizio che nascono le curiose osservazioni e le difficoltà a insegnare Storia dell’Arte. Sembra che nel mondo dell’arte la professionalità sia un optional e tutto si risolve con il genio, con l’ispirazione divina, basta avere le idee. In ogni caso tra il Doriforo e il Laocoonte, la guerra dei like è scontata: vincerà sempre il secondo con percentuali plebiscitarie. Il primo è un canone fatto statua, il secondo è dramma fantasy. La gara potrebbe continuare così: tra La Scuola di Atene di Raffaello e il Giudizio Universale di Michelangelo, vedrà il secondo strappare maggiori consensi. Vuoi mettere la potenza dinamica dei santi e profeti palestrati (in quel caso i corpi non sono considerati deformi grazie a Arnold Schwarzenegger e al suo Terminator), rispetto alle complesse e algide allegorie formaliste dell’urbinate! Qui forse ci sta bene il commento di una studentessa: “Sinonimo di bellezza per me è energia. E quale energia è più forte di quella degli Dei?” Siamo già alla multiculturalità che incontra la multitemporalità. Solo con Caravaggio si ritrova l’unanime concordanza: ”Foortee! Sembra vero”. Quando cerco di spiegare i valori formali, il gioco luministico, ecco che arriva subito la richiesta: ”Sì, si va bene, ma ci parli della vita!”. Mi fermo un istante a riflettere e penso: ”Che sublimi questi ragazzi!”. Poi gli parlo della vita di Caravaggio, e non solo. Penso che la comprensione a volte possa arrivare per vie alternative, al di là dei collegamenti storico-artistici, vista la riflessione di quest’allievo “anche nei momenti più brutti, quando tutto sembra nero, uno spiraglio di luce c’è: la bellezza della speranza”. Ecco perché molti di loro hanno scritto “La bellezza è tutto ciò che suscita emozioni…è soggettiva…è legata al sentimento” e solo una ragazza si è azzardata a scrivere “Per me la Bellezza sta nella cultura, nella conoscenza e nella continua ricerca, nello scoprire cose nuove”. Per la maggior parte di loro evidentemente il cuore è più veloce della testa. Il Neoclassicismo sarà facilmente accantonato rispetto al Romanticismo, salvo l’eccezione di Canova come si è visto dal sondaggio. Che cosa segnalano come preferenza del sensibile scultore veneto? Amore e Psiche, ovviamente. E non poteva essere altrimenti per chi ha lo scomparto sentimenti ed emozioni sempre in tumulto, mentre io gli avevo parlato dell’esecuzione sublime e dei monumenti funebri, come ad esempio la piramide di Maria Cristina d’Austria. Con gli studenti, però, “finché c’è morte c’è speranza”, citando Giuseppe Tomasi di Lampedusa e un po’ d’attenzione la ottengo, tanto che non è stato impossibile leggere un commento come “La bellezza può anche essere la morte, perché solo in quel momento si smette di soffrire…si lascia spazio a una nuova vita”. Rifletto sul fatto che tutto sommato li sto perfino avvicinando al dualismo di Eros e Thanatos più facilmente del previsto. In Quarta capita che ci si fermi a discutere dell’uso della parola “bello” ed io rilevo che bisogna intendersi sul significato. Per esempio tra i giovani è abituale dire che belli sono anche i film horror popolati di zombie, fantasmi terrorizzanti, bambole assassine e tutto il supermercato splatter di corpi lacerati che fa da contorno. Belli per loro sono Frankenstein o Dracula e tutti i mostri delle storie e dei fumetti fantasy soprattutto dei Manga e delle Anime giapponesi che li entusiasmano. Oltre a questi personaggi nei test sono segnalati tra gli altri anche i film di Tim Burton, le saghe di J.R.R. Tolkien, di J. K. Rowling col suo maghetto Potter, storie e film che hanno visto un proliferare di varianti come Eragon e Le cronache del mondo emerso, scritte da epigoni adolescenti. Per forza fatico a far passare la mia umile versione della mitologia greca, quando devo scontrarmi con la ben più attraente e spettacolare versione fantasy, Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo dello scrittore statunitense Richard Russell "Rick" Riordan, che ha venduto milioni di copie nel mondo. Gli studenti si stupiscono se osservo che definire “bello” un mostro è praticamente un ossimoro, al massimo si potrà ragionare sulla bellezza dell’esecuzione tecnica con la quale è realizzato. Non è un caso che la chiesa nel medioevo temesse le rappresentazioni mostruose e quelle del Diavolo, perché, se ben realizzate, per traslazione, dall’ammirazione artistica si potesse passare all’approvazione del contenuto. Infatti, alcuni ragazzi hanno scritto nel test che la bellezza può stare nella peculiarità e nella diversità e uno persino che può trovarsi nella trasgressione e nella perversione. L’importanza data alle mirabilia, ai prodigi, all’immaginario perché producono emozioni forti mi spinge a presentargli la parola “sublime” forse più appropriata per quello che giudicano bello. Mi sembrano in linea con questa posizione le frasi di alcuni ragazzi che trovano la bellezza nell’originalità e nella stravaganza, o nell’imperfezione, o addirittura nell’insieme dei difetti: insomma il"brutto" è stato completamente riassorbito nel "bello": è il trionfo di Burke. Credo che ai miei allievi piacerebbe l’aforisma di Ada Merini: “La bellezza non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori”. Ci sono pensieri, però, che potrebbero spiazzare anche la diatriba tra bello e sublime, testimonianza di come tale argomento sia oltremodo serio, più ancora di quello che io potessi immaginare. Queste le scioccanti considerazioni di un giovane ragazzo: ”La bellezza è semplicemente l’illusione di noi umani che purtroppo esiste nella vita di tutti i giorni. Io personalmente odio chi si definisce “bello”, perché noi siamo esseri imperfetti e siamo tutti brutti. […]La bellezza comporta solo disastri secondo me, è uno dei fattori psicologici più caotici del mondo e se non esistesse il mondo sarebbe un posto migliore. Molte persone pensano che la bellezza sta nell’amore, nell’amicizia, nella serenità… sono soltanto pensieri falsi e inverosimili. Io sarò sempre dell’idea che la bellezza può anche essere tolta dall’esistenza della terra, perché comporta solo dolore e sofferenza, se tutto fosse né bello né brutto, tutti vivrebbero meglio, no? […]Non c’è niente di bello in questo mondo se non la riflessione delle persone e le parole”. Certo anche Picasso aveva detto “Bellezza? … Per me è una parola senza senso perché non so da dove venga il suo significato né dove esso conduca”, ma il grido di questo ragazzo è di un angosciante nichilismo nietzschiano e deve far riflettere, una visione così negativa non può che suonare come un campanello d’allarme. Egli non cerca altri mondi in cui fuggire con la fantasia, ma di fronte alla presunta impenetrabilità della realtà che gli sta di fronte, s’innesca una sorta d’implosione non solo del mondo apparente ma anche degli affetti, riassorbiti da una sorta di buco nero che fonde e supera al suo interno bello e brutto. È un grido d’aiuto che per antitesi io leggo come una disperata richiesta proprio di bellezza e di amore. Per fortuna, nell’ultima frase, ci sono elementi di positività come "la riflessione" e "le parole", unico ponte rimasto per un auspicabile ritorno da quella cupa visione. La lunga esperienza d’insegnante mi ha permesso di costatare la crescente difficoltà della nostra organizzazione scolastica e didattica nel fronteggiare i cambiamenti strutturali della società e l’adeguamento alle nuove tecnologie. Per esempio si tende a pensare che quando questi ragazzi vengono a lezione siano impostati metodologicamente e le loro menti siano dei vasi che è possibile riempire ulteriormente. Invece, come asserisce il famoso motto orientale zen, le loro teste sono dei contenitori già in pratica pieni, riempiti dall’enorme quantità di informazioni e immagini che loro hanno spontaneamente assorbito dai nuovi mezzi informatici al di fuori dell’ambiente scolastico. È il modo, molto random e destrutturato, col quale hanno acquisito le informazioni che fa la differenza, la rete con le sue veloci interconnessioni acuisce le capacità di agile correlazione dei dati ma tutto tende a rimanere a un livello di superficialità, ciò tende a creare una barriera tra il mio lavoro e il loro apprendimento. Mi rendo conto che “verso” le spiegazioni in un recipiente già quasi pieno e mi considero fortunato se, nella tracimazione delle nozioni e dei concetti, almeno una parte dei miei gli rimanga in testa, mescolandosi con quelli presenti. Per modificare la situazione non bastano tutte le novità tecnologiche di questo mondo, gli strumenti in quanto tali sono utili ma neutri e non risolutivi, spesso una sana e vivace discussione in classe rimane il modo migliore per formare i ragazzi. Scemata sempre più l’autorità del docente, senza voler giudicare se questo è un bene o un male, bisogna affrontare questa nuova situazione oggettiva, ossia l’incontro-scontro tra l’intreccio informale di dati assorbiti dal cinema, dalla televisione, dalla rete e le nostre nozioni rigidamente strutturate, che spesso si schianta come contro una corazza. Questo melting pot è accompagnato dalla difficoltà a formarsi un senso critico, a ragionare stabilendo una graduatoria d’importanza di fatti ed eventi, per loro tutto sta sullo stesso piano, le cose vere e quelle false, tutto si mescola indistintamente frenando qualsiasi tentativo di elaborazione personale. Non è invidiabile e facile la loro situazione se pensiamo che la grande libertà di scelta sia solo apparente, visti i forti condizionamenti imposti dalla pubblicità, dall’industria dell’entertainment e dal mondo del web. I loro gusti sono inevitabilmente “guidati” da spot, videoclip e social network, perfino quelli che vogliono fare gli anticonformisti, rischiano di farsi riassorbire da una forma di commercio anche se alternativo. Nonostante questo eccesso di bellezza formalizzata in maniera molto sofisticata, questa “ sorta di pellicola che ricopre oggetti, persone, cose, animali”, dalle risposte dei ragazzi emerge un qualche spiraglio, pur avvolti in questo velo di Maya, s’intuisce lo sforzo per aprire una breccia alla ricerca di qualche briciola di verità in questo mondo di apparenze, di business e consumi forzati. Nella nostra scuola esiste da dieci anni un progetto chiamato Blitzart, che, pur essendo sostanzialmente una mostra di fine anno, chiede agli studenti di presentare lavori e proposte artistiche al di fuori della didattica curricolare, nei quali si mettono in gioco come persone. I lavori presentati in questi anni potrebbero ben fare da apparato iconografico a questo sondaggio, sono una testimonianza visiva di quanto esposto, forse la migliore esemplificazione dei loro concetti di bellezza. Tecnicamente, per esempio, prediligono la fotografia e i mezzi multimediali rispetto ai tradizionali disegni, quadri e sculture, le proposte di performance musicali e coreografiche sono una costante, con una predilezione per immagini che si riferiscono a loro stessi, ai loro amici e ai loro mondi, ovviamente. Vorrei chiudere riportando alcune frasi di Madalina Antal una studentessa che ha elaborato una definizione confortante e fa ben sperare sulle possibilità di questi nostri giovani: “La bellezza la trovo tra i suoni di un vinile, tra le pagine di un buon libro, nel cibo gustoso, nelle sfumature di un pensiero coinvolgente, nella personale interpretazione di un'opera d'arte. Il mondo è pieno di bellezza e meraviglia[…]Ma anche se la bellezza è così varia, c'è un filo di unità che collega tutte queste idee. L'amore è il criterio di collegamento per cui , dove c'è amore, troviamo bellezza. […]L'amore è l'essenza della bellezza. Credo che sia nella nostra natura cercare la bellezza, proprio come una pianta che cresce verso la luce. Per riconoscere qualcosa di bello, ci deve già essere qualche connessione con esso, qualche elemento di riconoscimento[…] C'è qualcosa in noi con cui giudichiamo il bello … e questo significa che abbiamo l'essenza della bellezza già dentro di noi, anche se è anche al di là di noi. La bellezza è un respiro, cambia e si evolve all'interno di culture e società diverse. […]Alcuni definiscono la bellezza come il matrimonio di armonia e varietà. Musica, con tutte le sue variazioni rappresenta quel concetto”. Note. Tutte le frasi tra virgolette, salvo altra specificazione, sono tutte tratte dalle riflessioni degli studenti. L’ultima citazione è l'unica col nome e ha avuto il consenso dell’allieva che si è appena diplomata. Ho somministrato agli allievi delle mie sei classi che vanno dalla prima alla quinta, un semplice questionario chiedendo solo una loro opinione sul concetto di bellezza e un breve elenco di cose, persone, luoghi o altro che ritenevano esemplari ai loro occhi. La compilazione era facoltativa, anche se quasi nessuno si è rifiutato di farlo, d’altra parte era anonimo. Ho dato mezzora poco più di tempo per la compilazione e ho lasciato la possibilità di usare i loro smartphone, tanto l’avrebbero fatto lo stesso, visto che ci provano anche durante i compiti. Credo che la gran parte delle frasi che hanno scritto siano sostanzialmente loro idee. In ogni caso anche avessero copiato dei pensieri il fatto stesso di sceglierli e farli propri lo considero indicativo dei loro orientamenti e gusti, in fondo i social e la rete sono il loro mondo. Ringrazio con affetto tutti i miei studenti che hanno mostrato disponibilità e interesse per questo sondaggio sulla bellezza, che l’hanno preso seriamente sforzandosi di rispondere con sincerità.