La crisi tra mito e realtà. Esercizio di decostruzione felice Luisa de Paula – Marco Bulletta, Roma Sono in crisi; tempo di crisi: dal setting psicoterapico alle cronache nere sugli esuberi, la crisi è diventata parola d’ordine, una sorta di formula magica che, al pari della vis dormitiva nel molièriano Malade imaginaire, spiega tutto senza nulla farci comprendere: come le fisime ipocondriache di Argan, anch’essa, per essere ‘curata’ andrebbe spogliata di ogni presunta ovvietà e chiarita alla luce di una razionalità critica e conscia dei propri limiti. Nel presente articolo proponiamo una sorta di decalogo decostruzionista volto a far emergere risvolti inediti e potenzialmente costruttivi di un’idea dall’apparenza fin troppo familiare. 1 CRISI, CRITICA, CRITICISMO Per i greci Krisis era forza distintiva, separazione, decisione, sentenza, giudizio; e, ancora discordia, contesa: una vera e propria potenza discriminatoria, come suggerisce anche la sua consonanza fonetica con Krátos, potere, appunto, e insieme dominio, vittoria. Nell’agone della Krisis c’è chi vince e c’è chi perde, ma a contare sono le armi della ragione. A crisi e giudizio, il sanscrito vimarza (विमर्श), associa intelligenza e conoscenza, in un plesso semantico che evoca il lessico kantiano. Sempre transitando per le etimologie, scopriamo che crisi, più che inerzia negativa, è l’intero di una dinamica processuale: lo dice il sanscrito KArya (कार्य), che nel concetto di crisi identifica l’insieme di atti necessari al compimento di un’impresa rischiosa. Alludendo invece a un nesso in ombra, la parola saMdhi (संधि) evidenzia Luisa de Paula, Marco Bulletta 82 la continuità soggiacente la discontinuità: continuità eufonica tra ultima e prima lettera di due parole consecutive; tra luce e buio in quel magico momento di sospensione che è il crepuscolo; tra i corpi nell’amplesso erotico; tra gli interessi nelle trattative di pace, dove il gioco delle parti si rinnova nel segno ambivalente di una violenza sempre latente. È la violenza della separazione, della scelta, della decisione. Violenza necessaria per superare lo stallo dell’indeterminazione e imboccare la via dell’azione; violenza all’origine di una prolifica arte: la Kritiké, anziana progenitrice di giurisprudenza e diritto. Proprio su quest’accezione giurisprudenziale di krisis nasce la metafora kantiana del tribunale della ragione,1 icona del rilancio della funzione critica del pensiero al culmine dell’Illuminismo europeo. Guidando lo sforzo costruttivo della ragione tra gli impervi sentieri dell’exsistere2, l’avventura criticista e il pensiero critico offrono indicazioni di metodo per noi oggi tanto preziose quanto neglette. A oscurarne ricchezza e valore sarà forse la pandemia compulsiva del PIL che, travolgendoci in una folle corsa, ci fa dimenticare il nostro essere finiti, costituzionalmente instabili e precari, condannati a un’insuperabile contingenza e a quell’inquietante ma meravigliosa imprevedibilità dell’esistere che nessuna scienza potrà mai esorcizzare. E saranno le sacre bende dell’ideologia, vettore ingenuo di una delle peggiori prove di Dummheit che hanno segnato e stanno segnando la storia contemporanea: la nefasta concatenazione di giochi imposti dalla tecnologia alla scienza, e dall’economia alla tecnologia. Duplice tradimento che risucchia ogni sforzo critico nel dogma del profitto, stravolgendo la mente e gli interessi reali della gente. Kant, I., Critica della ragion pura, Utet, Torino, 1967, p. 65. Esistere, da ex e sistĕre: “esser fuori”. V. Heidegger, M., Essere e tempo, Longanesi, Milano, 20094, p. 591. 1 2 La crisi tra mito e realtà. Esercizio di decostruzione felice 83 2 PAROLA L’yiddish םירבשמהsta sia per crisi sia per parlare. Da un lato testimonia che le parole sono cruciali, dall’altro, il loro nesso con la crisi ed il suo attraversamento. Se scambio verbale, confronto e trattativa ne sono parte, allora il concetto di crisi abbraccia l’essenza stessa dei rapporti umani: da vertice saltuario di flussi di tensioni, diviene primo motore della quotidiana, costante e reiterata esperienza di confronto che permea le più varie forme di convivenza. La sua immagine, non più megalitica e rigorosamente delineata, appare polveriforme e lattiginosamente diffusa, impossibile da ricompattare fuori dall’orizzonte che gli è proprio e che sembra oggi in totale oblio: quello della polis, dove di scena sono parola, dialogo, partecipazione. Per riappropriarsi dello spazio politico della parola occorre tirarsi fuori dalla soffocante strettoia dell’oggi con un audace salto oltre il quale non è dato sapere con esattezza cosa ci attende. Nel duplice senso di strettoia e crisi, il sanscrito, SaMkata (संकट), restituisce l’immagine di questo transito malagevole, di ampiezza ridotta, passo ostico, approdo quanto mai incerto. Ma la temibile strettoia della crisi è anche l’opportunità di ritrovare l’intero spazio di apertura al di là di essa. Esemplare, a tal proposito, l’ideogramma cinese traducibile con crisi, presuntivamente derivato dalla sintesi di pericolo ed opportunità. Se wei ji, (危机 ) e ji hui (机会) corrispondessero rispettivamente a ciò che per noi sono il pericolo e l’opportunità, la crisi risulterebbe in effetti dalla loro somma. Ma tra gli esperti serpeggia scetticismo: la traduzione sarebbe viziata dal filtro occidentale dell’ottimismo e dell’intraprendenza esasperati, della ricerca del profitto e del successo personale a tutti i costi. Eppure, se anche si trattasse di un falso storico deliberato, nato in ambienti affaristici e riconfezionato ad hoc per una Cina in corsa libera per il mercato, sarebbe un falso testimone di verità. Sono infatti i momenti di crisi ad offrirci l’opportunità di uscire dai percorsi abituali e dal circolo chiuso d’idee all’apparenza fin troppo scontate, Luisa de Paula, Marco Bulletta 84 obbligandoci al confronto con ciò che per paura o per pigrizia tendiamo a schivare: l’altro, il diverso, la strada mai percorsa, le possibilità ancora tutte da inventare. 3 IMMAGINARIO Latouche individua tre cardini su cui l’economia globalizzata fa leva per procedere a ciò che l’illustre teorico della sostenibilità ha brillantemente definito colonizzazione dell’immaginario: la scuola, che forma la maggioranza a un consumo disciplinato in vista dell’operato di una minoranza iperproduttiva; la manipolazione mediatica, che induce bisogni e dipendenze; e infine, la quotidianità, che consolida tali dipendenze creando assuefazione al consumo.3 La via d’uscita dall’immaginario colonizzato è un contromovimento di decolonizzazione che mette in gioco pensiero critico ed immaginazione progettuale. In questo senso la crisi globale offre su un piatto d’argento l’occasione per un “lavoro di delegittimazione dei valori e dell’ideologia dominante” che conduca a una vera e propria Stiftung nel senso hussserliano di rifondazione di stili ed atteggiamenti di pensiero. È in gioco la ridefinizione del benessere: significativa, a riguardo, l’osservazione di Pallante: “mai come ora, meno è stato sinonimo di meglio”4, che individua nella crisi un grimaldello capace di aprire le porte a un nuovo modo d’intendere benessere e felicità. Ma in gioco è innanzitutto il riesame critico dell’intera parabola dell’economicismo: dall’avvento di un capitalismo imperniato sulla triade produzioneconsumo-profitto, alla globalizzazione quale esito della conversione planetaria al sistema di mercato. Al centro della parabola, la vertiginosa globalizzazione che avrebbe dovuto consolidare i nuovi assetti mondiali e che invece, foriera dei pericoli insiti nella corsa allo sviluppo, dimostra solo che “l’economia trasforma l’abbondanza naturale in rarità con la creazione artificiale della mancanza e del bisogno attraverso l’appropriazione della natura e la sua 3 4 Latouche, S., La Scommessa della decrescita, Feltrinelli, Milano, 2007, p. 103 e ss. Pallante, M., La felcità sostenibile, Rizzoli, Milano, 2009. La crisi tra mito e realtà. Esercizio di decostruzione felice 85 mercificazione”5: espressione che mina dalle fondamenta i presupposti impliciti di un feticismo economico castrante per un’evoluzione libera e creativa dell’umanità. Decolonizzare l’immaginario significa allora anche restituire terreno e legittimità alle dimensioni mentali della creatività, liberandole dal Moloc della ratio calcolante e dai suoi diktat omologanti. Occorre riscoprire, al di là della metafisica del denaro e delle mitologie del presente, le risorse della progettualità lucida e responsabile, orientata a un’etica del limite gioiosa e conviviale. Occorre quindi, in primis, un lavoro di decostruzione a macchia d’olio, che smantelli strato a strato le modalità attuali del sentire, del pensare e dell’ex-sistĕre risalendone le storiche genealogie. Va decostruita innanzitutto la percezione del tempo a noi più familiare: la disposizione delle epoche e dell’arco della vita su un asse rettilineo che avanza da un’origine rozzamente primitiva verso un asintotico traguardo in cui l’uomo sarà privo di bisogni, di necessità, e quindi, presumibilmente, anche di desideri6. Con il tracciato di questo “nostro” tempo vissuto, poco ha a che fare il tempo vissuto dagli Ashanti africani, che hanno il passato davanti a sé, in quanto già noto e quindi visibile e, viceversa, il futuro alle proprie spalle, denso d’incognite e imperscrutabile. 4 SENSO E SENSI Sentire il futuro davanti vuol dire concepirlo in piena luce, nell’abbagliante e pur tuttavia confortevole illusione che sia già tracciato, prevedibile e monopolizzabile entro margini preventivamente segnati. Sentirselo alle spalle, invece, che incombe da ‛dietro’ implica il riconoscimento della propria umana gettatezza7 e l’apertura al movimento del senso, che, nella sua incoercibile immanenza, c’investe senza preavviso, senza piegarsi alle leggi di prevedibilità Illich, I. e Dupy, J-P. cit. in Latouche, op. cit., p. 103 e ss. V. Recalcati, M., L’uomo senza inconscio, Raffaello Cortina, Milano, 2010. 7 Geworfenheit, Heidegger, op. cit., p. 596. 5 6 Luisa de Paula, Marco Bulletta 86 e trasparenza in cui vorrebbe ingabbiarlo l’epistemologia corrente. Il senso che può incontrare chi, a latitudini diverse dalle nostre, non si accanisce ad esorcizzare la paticità dell’esistenza8, risuona come un appello ineludibile: è il severo richiamo a gettare la spugna di ogni delirio di onnipotenza, per riconoscerci nella propria umana fragilità, perennemente esposta all’inatteso, all’impensato, all’im-possibile, per dirla con Derrida, quali altrettanti inviti ad ad-tendere, a pensare, a inventare nuove possibilità, e quindi a progettare senza precludersi nulla di ciò che non sia già stato e che proprio per questo potrebbe ancora essere. Il modello dell’anticipazione su cui è ricalcata la nostra concezione del futuro chiude l’orizzonte dell’ad-venire ad un rango ristretto di possibili, agendo già a livello fisiologico e percettivo: incanalati dalle strategie dal cogito, l’udito, l’olfatto, la vista, vengono precocemente atrofizzati dall’egemonia di una mente che si presume disincarnata. Soggiogati e indeboliti, sono sempre meno pronti a lasciarsi avvolgere dai quotidiani spettacoli offerti dalla natura e sempre più frustrati dalla sistematica violazione di ogni estetica del paesaggio e della bellezza. Non resta loro che assopirsi nel dominio dittatoriale della ragione, dove il profumo del denaro inebria più di quello di rose e biancospino che in primavera ancora si ostinano a spuntare timidi e non visti tra grate di asfalto e di cemento. 5 REALE Ma la perdita del senso e dei sensi del mondo, del legame affettivo, etico-patico con ciò che ci circonda, non è l’unico effetto e concausa della fede economicista che tramuta l’abbondanza in rarità. A doppio filo con l’anestesia narcotizzante di sensi ed intelletto è legato il processo della perdita del reale quale referente concreto dell’esperienza vissuta (Erlebnis). La derealizzazione ha suggerito ai suoi teorici diverse diagnosi e cure. Il lessico medico non stona: in psichiatria, la ‛derealizzazione’ è 8 V. Masullo, A., Paticità e indifferenza, Il Melangolo, Genova, 2003. La crisi tra mito e realtà. Esercizio di decostruzione felice 87 una sindrome i cui sintomi maggiori sono l’incapacità di percepire le esperienze concretamente in atto e una crasi emotivo-cognitiva associata, nella letteratura scientifica, ad ipnosi e stati affini. Il richiamo all’ipnosi è un buon indizio del nesso tra patologia individuale e deriva sociale teorizzata da illustri maîtres à penser: nel vuoto della formazione etico-critica, le suggestioni indotte dai poteri mediatici e dall’avanzata inarrestabile del virtuale rappresentano una sorta d’ipnosi di massa che divora ogni possibilità di oggettivazione condivisibile dell’Erlebnis. Radicale la denuncia di Baudrillard: la realtà, nella sua accezione più comune e quotidiana, letteralmente scompare dietro la potenza ipnotica ed autoreferenziale dell’ordine segnico, che ne risucchia lo spettro ormai consunto nel vortice di un immaginario perverso. Icone e modelli finiscono per diventare i veri ‘originali’, mentre persone e cose si degradano al rango di mere copie. È uno scenario che deve molto ai primi studi di Baudrillard, dedicati al consumismo e alla critica del valore di scambio9. Qui, abbracciando i drammi geopolitici, lo sguardo anticonformista del filosofo insegue il filo sociopsico-esistenziale di una ‛realtà’ assediata e stravolta dalle scorribande del virtuale. Continuando a seguire questo filo arriviamo a cogliere alle sue radici l’illusionismo virtuosistico della speculazione finanziaria che, mentre inghiotte nel suo vortice ogni ricchezza reale, moltiplica oggettiva ed omologa i bisogni delle persone e delle comunità, disseminando ovunque il senso di un’insolvibile indigenza. 6 AMBIENTE Oggettivata, derealizzata, prosciugata e al contempo paradossalmente esclusa dal mondo (post)umano, la natura non può lamentarsi o recriminare contro i danni irreversibili che subisce, ma solo presentarci conti impossibili da saldare. 9 Da Le Systmème des objets (1968)a L’Échange symbolique e la mort (1976). 88 Luisa de Paula, Marco Bulletta Incremento della temperatura media globale, vertiginoso calo della biodiversità, collasso delle risorse alimentari ed energetiche, accumulo di prodotti di scarto di qualsivoglia entità, il tutto provocato da uno sfruttamento indiscriminato ed ostinatamente imprevidente: lo sappiamo, eppure...10 Se da un lato la parabola del Movimento Ecologista e il decollo delle ricerche di settore hanno implementato la consapevolezza di rischi e responsabilità umane nei confronti dell’ambiente, dall’altro non sono arrivati a colpire il bersaglio, lasciando sostanzialmente immutati stile di vita e abitudini al consumo. Dopo il duplice fallimento del sistema statalista e di quello iperliberista, sembra esser venuto meno ogni percorso possibile perché l’umanità possa realizzare la propria legittima aspirazione ad evolversi e progredire. Ma persistere nel non voler vedere vie alternative equivale a un atto d’ipocrita abdicazione, con cui, dichiarandoci impotenti, ci condanniamo a restare paralizzati nella strettoia della crisi. 7 SCIENZA E CONOSCENZA Al pensiero critico della ragione, che procede in bilico tra dubbi e incertezze, l’era postumana11 predilige una versione corrotta delle scienze, deriva della cieca esaltazione di un potenziale tecnologico orfano di ogni direzione etica e sottoposto al giogo di un’economia degradata a mero economicismo. La forza peculiarmente umana della fragilità della ragione, alimentata dal dialogo civile e dal coraggio di pensare in prima persona, è stata scalzata dal delirio dell’impersonale: qui la mira è la conoscenza assoluta dell’oggetto, con la pretesa di afferrarlo al di fuori di ogni prospettiva. Eppure, grazie al lavoro di Heisenberg, Gödel, Penrose, e molti altri, già all’inizio del Novecento nessuno scienziato poteva 10 V. Living Planet Report 2012 a cura del WWF, http://awsassets.panda.org/ downloads/lpr_2012_summary_booklet_final.pdf. 11 Barcellona, P. e Garufi, T., Il furto dell’anima. La narrazione post-umana, Dedalo, Bari, 2008. La crisi tra mito e realtà. Esercizio di decostruzione felice 89 permettersi di ignorare che l’osservazione della realtà è legata alla forma incarnata e prospettica dell’osservatore. Crollato il postulato della neutralità che fondava la gerarchia tra Naturwissenschaften e Geisteswissenschaften, resta da attuare la svolta epistemologica in direzione di un sapere realmente a misura d’uomo,12 molteplice, plurale, ma asintoticamente orientato verso il medesimo traguardo: la Lebenswelt, il mondo della vita, che può essere esplorato solo rinunciando all’artificio di una netta separazione tra soggetto ed oggetto, mente e corpo, cuore e cervello. 8 SOGGETTO La crisi che oggi investe il soggetto trascinandolo nel baratro della depressione e di un’insostenibile fragilità esistenziale è anche frutto della degradazione utilitaristica dello scambio alla mera logica monetaria, che invade anche le più innocue forme di convivialità. La percezione del singolo come parte inessenziale della società, e della società come somma numerica di individui, è una strada a senso unico verso la perdita del senso di sé, del proprio valore e della propria appartenenza al mondo, laddove la presenza (Dasein) smarrisce quel carattere relazionale che è invece presupposto irriducibile dell’unicità di ogni persona e prassi sociale. Se l’individuo, ridotto a una o più funzioni, mimeticamente disperso nei suoi ruoli, stenta a riconoscersi nel duale e nel plurale delle relazioni, non sorprende l’incremento esponenziale del consumo di psicofarmaci degli ultimi decenni. Purtroppo i nuovi consumatori sono soprattutto bambini, perfettamente a proprio agio nel virtuale digitalizzato, ma sempre più abbandonati a se stessi e sempre meno preparati a relazionarsi con il prossimo. Ad inghiottirli nel baratro della post-umanizzazione è un meccanismo vampiristico13 veicolato da genitori eterni adolescenti, ossessivamente 12 Nussbaum, M. C., Non per profitto, Il Mulino, Bologna, 2011; Coltivare l’umanità, Carocci, Roma, 20062. 13 Andreani, M., Twilight. Filosofia della vulnerabilità, EV Editrice, Macerata, 2011. Luisa de Paula, Marco Bulletta 90 proiettati sul successo personale e lavorativo, dal sistema delle multinazionali e della pubblicità, che risucchia nel vortice dei bisogni indotti la naturale spinta evolutiva del desiderio, e da un sistema educativo omologante, che, anziché spingere il sangue del pensiero a circolare liberamente e immunizzarsi contaminandosi, lo obbligano a flussi preordinati e diete autoimmunitarie che uccidono ogni piacere e capacità di usare la propria testa. 9 SOCIETÀ La nostra è una società liquida14, atomizzata in individui costretti ad abbracciare la flessibilità come istinto e perfino come valore15, dove le relazioni umane, isterilite, si riducono a dinamiche di ruolo. È inesorabile il fallimento dei rapporti umani? Le arcinote analisi di Vico su corsi e ricorsi docent: se la strada è in rapida accelerazione verso il basso, può e deve diventare occasione di risalita. Ma occorre un pensiero criticamente militante, in grado di esorcizzare quella sorta di patologia della specie umana rubricata nei manuali di psicoanalisi sotto il titolo di coazione a ripetere. Lo racconta la storia, da Vico così opportunamente valorizzata: se da un lato l’umanità, afflitta dall’istinto a ripetere i propri errori, non si è praticamente mai dimostrata all’altezza di farne tesoro evitando, quanto meno, di farsi cogliere impreparata, dall’altro proprio i ciclici momenti di crisi sono stati, nel corso della nostra storia, veri e propri momenti, nel senso latino di tragici stati di sospensione dagli esiti quanto mai imprevedibili, in cui uomini e comunità hanno rivelato di possedere risorse altrimenti insospettate e insospettabili. Le situazioni di minaccia e pericolo spingono infatti gli individui di ogni specie verso quel limite estremo delle proprie capacità naturali che però solo l’uomo è chiamato a sfidare per mezzo di lucida consapevolezza ed illuminata progettualità. Le crisi sono sempre state anche momenti d’intenso 14 15 Bauman, Z., Modernità liquida, Laterza, Bari, 2003. Sennett, R., L’uomo flessibile, Feltrinelli, Milano, 2001. La crisi tra mito e realtà. Esercizio di decostruzione felice 91 confronto, e quindi opportunità per riconquistare l’antica arte del dia-logo costruttivo e rispettoso delle ragioni dell’altro, in cui le conflittualità possono emergere liberamente perché sostenute dalla fiducia nella mediazione e in traguardi comuni. Proprio in tale fiducia va rintracciata l’origine di ogni com-munitas: messa in comune dei doni unici che ciascuno porta dentro di sé, all’insegna del vincolo spontaneo alla reciprocità. Non solo, dunque, Historia magistra vitae, ma anche Crisis magistra vitae. 10 ECONOMIA Alla luce del percorso critico-decostruttivo fin qui tracciato, il tracollo finanziario e l’impoverimento generale che più ci preoccupano sono solo la punta dell’iceberg di una caduta ben più radicale, che, oscurati i consueti punti di riferimento, ci consegna al più totale spaesamento. È la crisi percepita all’unisono nella propria interiorità e nella freddezza esteriore di un mondo senza fiducia né utopie. Dentro e fuori di noi, qualcosa si è spezzato, precipitandoci in un abisso. Risalire è impossibile in mancanza di un senso, di una o più direzioni che possano riconnettere le fila di quel tempo che, ci ricorda Heidegger, altro non è se non il nostro stesso essere, irrimediabilmente sospeso tra la positiva incertezza dell’origine e la certezza inesorabile dell’imponderabile fine, che ci obbliga a un perpetuo esercizio di anticipazione. Alla vana speranza di una corsa senza fine sacrifichiamo il tempo reale che ci è concesso, fatto d’istanti unici e non intercambiabili, che scorre implacabile strutturando il nostro conesser-ci16 nella sua incoercibile finitudine. Allo stesso modo, immoliamo ogni naturale impulso all’evoluzione sull’altare del profitto e dell’accumulazione, obbedendo alla legge di una metafisica del denaro che ha ben poco a che vedere con l’inter-esse17 economico. Si dovrebbe forse ripensare criticamente l’economia 16 17 Mitdasein, Heidegger, op. cit., p. 601. In latino, “essere-tra”. Luisa de Paula, Marco Bulletta 92 a partire dalla sua forma originaria di oikonomia, gestione delle risorse all’interno di un nucleo familiare votato a espandersi in cum-munitas: spazio politico e società civile. Nel profilo generale di un ritorno al futuro dell’economia possono proficuamente ibridarsi modelli proposti da maîtres à penser della sostenibilità fino ad oggi antagonisti: l’embeddedness à la Polanyi,18 cioè l’incorporazione delle attività economiche nei network sociali sostenuti da legami comunitari, responsabilità individuale, dinamiche culturali, consolidamento della naturale tendenza alla reciprocità; dall’altra l’oikonomia neoclanica in cui in primo piano ritroviamo sempre la reciprocità, stavolta nell’ottica conviviale dell’informalità vernacolare,19 cioè di ciò che, indipendentemente da ogni processo di mercificazione, presenta un suo proprio, autentico valore. Abstract Luisa de Paula, Marco Bulletta La crisi tra mito e realtà. Esercizio di decostruzione felice La crisi è sulla bocca di tutti. Come una pandemia cui nulla e nessuno riesce a sfuggire: gli individui singoli, sempre più stretti nella morsa del precariato lavorativo ed esistenziale; le famiglie, abortite, sgretolate, o più semplicemente depresse, da croniche instabilità e ristrettezze finanziarie, pendant di una fatale impossibilità a costruire un Noi; la società, frantumata da un atomismo dilagante; intere nazioni ridotte al lastrico; l’ecosistema che, non potendo ribellarsi, diviene vittima predestinata d’istinti insaziabili e campo di battaglia d’inedite competizioni. Eppure, in regioni dimenticate della terra, nel silenzio sedicente dei media, si respira aria di ottimismo; la fame diminuisce, la parola democrazia si arricchisce di nuove valenze. E anche nel Belpaese, chi ieri stava molto bene oggi sta benissimo. O almeno, così crediamo per fede nel reddito, mentre ci sforziamo di mantenerci ben Polanyi, K., La Grande Trasformazione, Einaudi, Torino, 1974. Illich, I., “Vernacular values”, in Resurgence n. 72, feb. 1979; Latouche, S., Per un’abbondanza frugale, Bollati Boringhieri, Torino, 2012. 18 19 La crisi tra mito e realtà. Esercizio di decostruzione felice 93 saldi, in funambolico equilibrio, sugli assi friabili di un immaginario delirante, seguendo ostinatamente itinerari già tracciati, quasi fossero gli unici percorribili, accecati dai miti imposti dalla logica del profitto e sordi ad ogni richiamo verso possibili alternative. Nel presente articolo mettiamo a frutto le risorse del pensiero critico, strumenti ben rodati dalla tradizione occidentale, per proporvi un esercizio di decostruzione della retorica della crisi in 10 tappe, corrispondenti ad altrettanti risvolti positivi del momento che stiamo vivendo. Parole chiave: abbondanza frugale – anedonia – decolonizzazione dell’immaginario – embeddedness – etica del limite – globalizzazione – pensiero critico – postumanesimo – vampirismo narcisistico – Stiftung Luisa de Paula, Marco Bulletta The Crisis between Myth and Reality. An Exercise in Positive Deconstruction The crisis is on everyone’s lips. Like a pandemonium from which nothing or no one is safe; individuals increasingly victims of working and existential precariousness; families failed, demolished, or simply depressed, beset by chronic financial instability and poverty, accompanied by a fatal impossibility to construct an Us; society, devastated by a rampant atomism; entire nations reduced to poverty; an ecosystem unable to rebel, the predestined victim of insatiable instinct and the battlefield of a new form of competition. Yet, in forsaken, hidden regions of the earth, in the silence of the media, one breathes an air of optimism, hunger diminishes, the concept of democracy is enriched with new values. And even in the Belpaese, Italy, those who in the past were well off, are now even better off. Or at least, they believe they are, as apparently proven by profit. At the same time, they struggle to remain firm, in acrobatic equilibrium, on the crumbling plank of a delirious fiction, obstinately following old well-trodden itineraries, as though they were the only ones possible, 94 Luisa de Paula, Marco Bulletta blinded by the myths imposed by the logic of that profit and deaf to any hint as to possible alternatives. In this article, we draw from the well-tried resources of critical thought of western tradition, to propose an exercise of deconstruction of the rhetoric of the crisis in ten stages, corresponding to as many positive aspects of the present historical phase. Keywords: frugal abundance – anhedonie – decolonization of the imaginary – embeddedness – ethic of limit – globalization – critical thought – postHumanism – narcissistic vampirism – Stiftung Marco Bulletta, Ingegnere, funzionario del Ministero delle Politiche Agricole e Ufficiale del Corpo Forestale, collateralmente alle funzioni più tradizionalmente legate alla propria formazione, è stato anche direttamente coinvolto, nell’ambito della propria attività professionale, nella gestione di problematiche ambientali: dal trattamento delle acque alle istruttorie per la stima del danno ambientale, dalla gestione delle Riserve Naturali a quella del rischio incendi boschivi, dalla didattica della meteorologia e climatologia alla gestione dei sistemi informativi. A partire da queste esperienze sul campo ha maturato un approccio critico e multiprospettico che lo ha spinto anche ad impegnarsi nella divulgazione e ad assumersi in carico la redazione di pagine dedicate all’ambiente di rinomati periodici nazionali. Luisa de Paula, filosofa, consulente filosofica, certified member dell’APPA (American Philosohical Practitioners Association) e giornalista dell’ODG Lazio è autrice di centinaia di pubblicazioni e sta mandando in stampa il suo primo libro, Il sogno senza inconscio, versione divulgativa della tesi di dottorato svolta in cotutela Università di Urbino Carlo Bo-Université Paris Diderot Paris 7. Socia del CSPL e dello IASD (International Association for the study of Dreams), collabora e ha collaborato con diverse cattedre in Italia e all’estero. Oggi si dedica soprattutto ad attività freelance di scrittura e formazione dalla sua base romana, e alla cogestione di un progetto universitario di ricerca-azione sul territorio marchigiano nell’ambito del Caregiving.