IL PRINCIPATO DI MELFI
Vicende storiche di un antico stato feudale
I CARACCIOLO DEL SOLE
La morte del sovrano
Roberto d’Angiò, sopraggiunta nel 1343, apre per il
Regno di Napoli un lungo
periodo di crisi costellato
da continue lotte intestine
aventi come obiettivo la
successione al trono1.
Per accaparrarsi l’alleanza
dei feudatari, i pretendenti
che si alternarono alla guida della nazione, nel tentativo di consolidare la loro
posizione istituzionale, furono costretti ad elargire
nei confronti dei baroni
continui benefici e privilegi, provocando l’inevitabile
e progressivo indebolimento del potere centrale ed il
conseguente potenziamento di quello feudale.
I piccoli e frammentari
possedimenti assegnati generalmente a militi che si
erano distinti al servizio dei
vari regnanti del Meridione a partire dal periodo
normanno-svevo, divenero, nella prima metà del
XV secolo, veri e propri
stati feudali, i cui possessori, grazie anche ad un efficace sistema fondato sulla
parentela e sull’alleanza tra
i casati, avevano la capacità
di influenzare in maniera
determinante le vicende
politiche dell’intero regno2.
La città di Melfi, Atella e
il feudo di Lagopesole fu-
rono affidati nel 1416 a
Sergianni Caracciolo.
Discendente da un ramo
dei Caracciolo detto “del
Sole”, Sergianni si era dapprima distinto in guerra al
fianco del re Ladislao di
Durazzo, divenendo poi
l’amante ufficiale della regina Giovanna II, dalla
quale ebbe i predetti possedimenti e la carica di gran
siniscalco del regno3.
Nel giro di pochi anni la
contea si ingrandì con altri
feudi: Candela, Rapolla, S.
Fele, Avigliano e Forenza.
Al 1420 risale l’acquisto di
Ripacandida dai Bonifacio 4 , mentre Abriola fu
portato in dote dalla moglie di Sergianni, Caterina
Filangieri5.
Il Caracciolo ottenne anche il ducato di Venosa
(1425) 6, ed esercitò indirettamente il controllo su
Oppido, sul castrum di
Monticchio e su Lavello7.
Il prestigio acquisito da
Sergianni cominciò a destare serie preoccupazioni
negli ambienti vicini alla
monarchia angioina, soprattutto dopo la scoperta
del suo tentativo di avvicinamento alla fazione aragonese. Fu perciò la stessa
Giovanna II a tessere la
congiura che portò all’assassinio del Caracciolo
proprio nel giorno del matrimonio tra il figlio Troia-
no e Maria Caldora,
nell’agosto del 14328.
Fu un duro colpo per
Troiano, che si vide confiscare tutti i feudi, ma la fine del governo angioino
era imminente, e il Caracciolo ne doveva essere consapevole, dal momento che
negli anni successivi si pose
al servizio di Alfonso
d’Aragona contribuendo al
successo di quest’ultimo, e
fu premiato pertanto nel
1441 con il titolo ducale e
la restituzione dell’intero
stato di Melfi9.
Per oltre quarant’anni la
configurazione del vasto
comprensorio di feudi non
subì alcuna variazione, nonostante il diretto successore di Troiano, Giovanni
II Caracciolo, avesse sostenuto il partito francese
all’inizio degli anni ’60 del
XV secolo, nell’interminabile conflitto tra iberici e
transalpini per il dominio
sul Meridione d’Italia10.
La partecipazione di
Giovanni II all’ennesima
congiura contro Ferdinando I d’Aragona, ordita nel
1485, costò al duca di Melfi la confisca dei feudi e,
dopo la prigionia nelle segrete di Castelnuovo, a Napoli, la stessa vita (1487)11.
La storia dei Caracciolo
del Sole sembra ripetersi ciclicamente. Quanto accaduto a Troiano I successe
— 115 —
di Francesco Manfredi
anche al nipote Troiano II,
figlio di Giovanni II, che
dovette barcamenarsi tra
simpatie filofrancesi alimentate dalla spedizione di
Carlo VIII nel Regno di
Napoli, e la fedeltà alla
monarchia aragonese, ma
nel 1495 riuscì a rientrare
in possesso dei feudi di Rapolla, Ripacandida, Candela ed Abriola12.
Il 17 dicembre 1498
Troiano II venne insignito
del titolo di principe di
Melfi da Federico d’Aragona13, ricomponendosi cosi
gli antichi confini dello stato feudale, fatta eccezione
per Avigliano, pervenuto
nel frattempo in possesso
dei discendenti del ramo
cadetto dei Caracciolo del
Sole, i quali, a partire da
Diomede, avevano assunto
la denominazione di Caracciolo di Avigliano14.
Alla morte di Troiano II
(1520) il suo erede, Giovanni III, dichiarò 6.728
ducati di entrate feudali
per l’intero principato, derivanti soprattutto da Melfi
(2.754 ducati), Candela
(1.105) ed Atella (1.018)15.
Tra i feudi montani soltanto Lagopesole offriva
una rendita rispettabile
(572 ducati), se si tiene
conto che quel vasto territorio era in gran parte boscoso, e gli unici terreni
coltivati erano ubicati nella
piana di Iscalunga, posta al
confine col demanio di
Atella.
Le entrate dichiarate dal
principe, finalizzate a precisi adempimenti fiscali
verso la regia corte di Napoli, potrebbero, però, essere state falsate, così come
lascia supporre la ricognizione ordinata nel 1530 da
Carlo V alla fine del conflitto franco-spagnolo 16 .
Melfi, Atella e Candela fecero registrare rispettiva-
mente 3.500, 1.586 e
1.486 ducati. Per gli altri
feudi i valori sono pressoché doppi rispetto a quelli
del 1520, ma il caso clamoroso è ancora una volta costituito da Lagopesole, la
cui rendita assommava a
1.450 ducati.
Il lungo dominio dei Caracciolo del Sole finì definitivamente nel 1528
quando Giovanni III,
avendo prestato servizio al
seguito dei Francesi, venne
privato da Carlo V di tutti i
suoi beni e costretto all’esilio in Francia17.
Per oltre un secolo la regione del Vulture-Melfese
era stata lo scenario di
cruenti scontri, spesso decisivi per la definitiva affermazione spagnola. Va pertanto ricordato l’episodio
del sacco di Atella, compiuto durante l’estate del
1496 dall’esercito francese
comandato da Gilberto di
Borbone conte di Montpensier. Questi fece della
cittadina fortificata il baluardo della resistenza alla
reazione aragonese, la qua-
le ebbe la meglio soltanto
dopo un lungo assedio
condotto dallo stesso sovrano, Ferdinando II, poi
deceduto a causa della malaria contratta proprio ad
Atella18.
Alla città di Melfi è legato il drammatico saccheggio dei Francesi guidati dal
Lautrec. Moltissimi furono
i cittadini massacrati ed i
superstiti furono costretti
ad abbandonare la città per
diversi giorni, facendovi ritorno nel giorno della Pentecoste del 152819.
I risvolti negativi dovuti
alle vicende militari verificatesi nella microregione
del Vulture-Melfese accomunano anche altri luoghi
del Mezzogiorno durante il
corso del XV secolo e parte
del XVI. Tuttavia, la presenza di un’unica famiglia
feudale in un lasso di tempo di oltre un secolo contribuì a porre le basi per la
realizzazione di interventi
finalizzati allo sfruttamento delle risorse esistenti
sull’intero territorio del
principato, senza perdere
di vista le diversità ambientali esistenti tra i singoli
feudi, cui si possono aggiungere le difficoltà di
rapporto con le università
e, ancor più, con l’amministrazione diocesana (chiese
e monasteri dipendevano
dai vescovi di Ascoli Satriano, Melfi, Rapolla, Venosa,
Potenza e Muro).
I Caracciolo si mostrarono benevoli nei confronti
delle ondate migratorie albanesi. Dopo l’insediamento della colonia di Barile (1478) concessero agli
esuli di Scutari il territorio
di Massa Lombarda presso
Ripacandida, per la fondazione di un centro abitato
che assunse la denominazione di Ginestra20.
In campo urbanistico fu
Melfi, capoluogo del principato, a beneficiare di
continui interventi innovativi, in parte ancora oggi
leggibili nell’edilizia civile e
religiosa della città.
Agli eventi bellici seguirono diverse catastrofi (epidemie, carestie, terremoti)
che ostacolarono ripetutamente lo sviluppo economico e demografico dell’area.
Fig. 1: voluzione territoriale dello stato di Melfi
(da F. MANFREDI, Avigliano tra Medioevo ed età moderna. Storia feudale e sviluppo urbano, Potenza 1995, tav. 1)
— 116 —
Dal confronto tra la prima tassazione focatica aragonese (1447) 21 e quelle
volute nel 1521 e nel
153222 (Tab. 1) da Carlo V,
pur accogliendo questi dati
con le dovute cautele che
gli studi di demografia storica impongono, si può costatare come in poco più di
settant’anni la popolazione
del principato, pur restando sostanzialmente stabile,
subì evidenti sconvolgimenti interni.
La ripresa di Melfi, il tracollo di Atella e l’exploit
dei feudi montani, restano
peraltro i principali indicatori di una tendenza destinata a non mutare nei secoli successivi.
I DORIA
L’apporto determinante
delle navi di Andrea Doria
in favore di Carlo V durante la guerra franco-spagnola fruttò all’ammiraglio genovese l’assegnazione dello
stato di Melfi col titolo
principesco (20 dicembre
1531)23.
La configurazione dell’antico complesso feudale
venne però notevolmente
ridimensionata. Ne facevano parte soltanto Melfi,
Candela, Lagopesole e Forenza, divisi in due tronconi dal nucleo centrale della
regione del Vulture, ricadente nei territori di Atella,
Rapolla, Ripacandida e S.
Fele, assegnati ad altre famiglie gentilizie24.
I Doria ereditarono una
pesante situazione, derivante dal continuo susseguirsi per oltre un trentennio, di guerre, pestilenze e
carestie. Tale stato di cose
non sfuggì al nuovo governo vicereale spagnolo, che,
con l’intento di favorire la
ripresa economica, ridusse
il carico fiscale nei confronti delle popolazioni del
Fig. 2: Napoli, chiesa di S. Giovanni a Carbonara. Sepolcro di Sergianni Caracciolo, particolare. (Foto D. Gerardi)
Vulture25. È questo il contesto in cui s’inserisce il
programma dell’amministrazione Doria, fondato
sul massiccio incremento
della cerealicoltura, attraverso l’introduzione di due
essenziali meccanismi di
conduzione delle aziende:
l’affitto e la colonia.
L’intraprendenza del
principe ereditario Marcantonio Doria del Carretto, grazie anche alla sua fre-
quente presenza nello stato, determinò lo sfruttamento di terreni prima incolti o adibiti al pascolo.
Alla fine del decennio
1571-80 vennero raggiunti
livelli produttivi elevatissimi, preludio purtroppo di
un nuovo periodo di recessione che si concluse soltanto intorno al 162026.
Lo sfruttamento delle
terre feudali non distolse
l’attenzione dei Doria dalle
Tab. 1: le tassazioni focatiche nei centri dello stato di Melfi tra XV e XVI secolo
Centri abitati
(fuochi)
1447
1521
1532
Melfi
631
792
781
Atella
789
497
532
Forenza
310
336
325
Rapolla
161
168
123
Ripacandida
134
87
100
Abriola
127
194
249
Candela
72
99
158
S. Fele
60
114
135
Avigliano
55
129
133
— 117 —
potenziali possibilità
espansionistiche in Basilicata. S’iniziò con Tursi,
città che non entrò mai a
far parte del principato a
causa della sua notevole distanza dal Melfese, ma che
restò sempre sotto la giurisdizione della famiglia genovese27.
Con la cessione di Lacedonia al prezzo di 76.500
ducati da parte di Carlo
Pappacoda (1584)28, si attivò il primo importante
passo finalizzato all’ampliamento dei confini dello
stato feudale.
L’impossibilità di ricompattare il principato tramite l’acquisto di Atella indusse i Doria quantomeno
a cercare di potenziare singolarmente ognuno dei
due poli. Puntarono così
ad acquisire Rocchetta, terra che s’incunea tra Melfi,
Candela e Lacedonia, pagandola 72.000 ducati ad
Innigo del Tufo il 9 ottobre
160929.
Sull’altro versante le mire
dei principi di Melfi si rivolsero sin dal 1608 su Avigliano, ma furono necessari altri quattro anni per
portare a conclusione l’acquisto di quella terra. I
48.000 ducati pagati al
giurista Ferrante Rovito il
24 maggio 1612 sembrano
in apparenza una cifra
esorbitante per una terra sita tra monti con un esiguo
territorio coltivabile ed una
rendita leggermente superiore ai 2.000 ducati
annui30, ma la cittadina era
in forte ascesa demografica
e diversi suoi abitanti erano
impegnati nella colonizzazione del feudo disabitato
di Lagopesole, gia intorno
alla metà del Cinquecento
Marcantonio del Carretto,
aveva concesso agli aviglianesi una forte riduzione sul
pagamento dei terraggi in
cambio della spesa del dissodamento e della messa a
coltura dei boschi del feudo, ottenendo sin dal principio lusinghieri risultati31.
Il 31 maggio 1613 venne
conclusa la trattativa per
l’acquisto di S. Fele, pervenuta nel 1607 a Giacomo
Grimaldi, esponente del
patriziato genovese, il cui
erede, Giambattista, la cedette per 69.000 ducati32.
Con S. Fele diventano
pressoché definitivi i confini del principato, su cui i
Doria esercitarono il proprio dominio fino all’abrogazione della feudalità
(1806).
La gestione amministrativa dello stato, che in principio i Doria seguirono
personalmente, a partire
dalla fine del XVI secolo
iniziò ad essere affidata ad
una persona di fiducia del
principe, ovvero al governatore. Costui, scelto in seno alle famiglie nobili genovesi alleate dei Doria,
rappresentava la massima
autorità politica e militare
del principato, fungendo
da un lato da trait d’union
Fig. 3: l’ammiraglio Andrea Doria ritratto dal pittore fiammingo Jan Metsys nel
1560. (da Specchio della Stampa, 13 gennaio 1997, n. 52, p. 91)
Fig. 4: Potenza, Università degli Studi della Basilicata, Rettorato. Dipinto raffigurante lo stato di Melfi, XVIII sec., adespota
(Riproduzione fotografica di A. Sileo)
— 118 —
tra il potere feudale e quello centrale, e dall’altro tra
potere feudale ed amministrazione civica (università)
delle terre 33 . L’azione di
controllo in loco era demandata ai capitani, presenti in ognuno dei sette
centri abitati, mentre la cura del feudo di Lagopesole
dipendeva dal castellano
che dimorava all’interno
del maniero federiciano.
L’asfissiante presenza baronale si faceva sentire tanto sotto il profilo fiscale
quanto in riferimento
all’organizzazione della
giustizia, sottoponendo le
popolazioni a continue
vessazioni. Ciò portò le
università ad acquisire una
forte coscienza politica e i
feudatari, ancora prima
dell’arrivo dei Doria, si videro costretti a sottoscrivere degli statuti per regolamentare i più elementari
diritti dei cittadini34.
Gli echi della rivolta napoletana capeggiata da Masaniello (1647) giunsero
rapidamente nelle province
del viceregno. Il governatore Marco De Franchi ritenne opportuno -ad esempioprendere provvedimenti
eccezionali consistenti nel
munire di artiglieria le fortificazioni di Melfi, faticando non poco per sedare
le sommosse popolari di
Avigliano, dove venne giustiziato il capopopolo,
mentre a Candela nove cittadini persero la vita nel
tentativo di impedire l’insediamento del nuovo capitano35.
Il 10 settembre 1656 sulla città di Melfi si abbatté il
flagello della peste, che determinò nei cinque mesi
successivi la morte di oltre
cinquecento persone. Anche Candela venne duramente colpita. In undici
mesi perirono circa due-
cento persone sugli 866
abitanti di quel centro36.
Le conseguenze della peste si ripercuotono dolorosamente sull’economia del
principato. La difficoltà di
commercio del grano fra le
comunità del regno chiuse
in quarantena, il calo del
fabbisogno alimentare della stessa capitale, Napoli,
dovuto alla morte di circa
270.000 abitanti sui
450.000 stimati all’inizio
dell’epidemia37, il proliferare del banditismo, rappresentarono i principali
fattori del danno subito sia
dall’azienda feudale dei
Doria sia dai piccoli e grandi massari.
Il viceré di Napoli non
indugiò a varare nuove
norme per la numerazione
dei fuochi fiscali, praticando all’indomani della peste
uno sgravio alquanto disomogeneo nelle terre abitate
dello stato di Melfi38. Tuttavia la popolazione complessiva passò dalle 16.606
anime censite nel 1656 alle
17.832 del 1668 pur in
presenza di una diminuzione dei fuochi fiscali pari al
20,37%. Non fu un grosso
passo in avanti, e bisognerà
attendere ancora molti anni per poter rilevare una ripresa demografica accettabile, che maturò lentamente durante l’ultimo ventennio del Seicento ed il primo trentennio del secolo
successivo, nonostante le
immancabili calamità: il
terremoto distruttivo del
1694, l’invasione di cavallette del 1711 provocante
gravi danni ai raccolti,
un’epidemia di afta epizootica (1712) cui segui la
paurosa decimazione del
patrimonio armentizio con
la perdita di ben ottantatré
bovi aratori sui cento complessivi da parte dell’azienda feudale39.
Tab. 2: la popolazione dei centri dello stato di Melfi nei secoli XVII e XVIII
Centri abitati
(abitanti)
1656
1668
1735
1795
ca.
Melfi
5.427
5.262
5.525
8.000
Avigliaano
3.900
4.150
5.500
9.000
S. Fele
2.795
2.853
3.200
5.800
Forenza
1.728
2.254
2.700
4.700
Rocchetta
1.136
1.297
Candela
866
876
Lacedonia
754
1.140
Un massiccio incremento della popolazione si avrà
soltanto nella seconda
metà del Settecento, sfiorando negli ultimi anni del
secolo la soglia dei 40.000
abitanti (come si evince
dalla Tab. 2)40.
Nel corso del XVIII secolo il ceto dei ricchi proprietari terrieri e dei maggiori fittavoli del principe
va acquisendo un peso
sempre crescente nei centri
abitati del principato. La
borghesia agraria annovera
1732
2.382
4.000
3.000
2.183
5.000
nelle sue fila professionisti
come notai, avvocati, medici, ma anche numerosi
studenti, spesso in contatto
con l’ambiente “illuminato” napoletano, in un momento particolarmente fervido quale quello della seconda metà del secolo.
Grazie a questo nuovo
ceto la modernizzazione
raggiunge rapidamente le
province ed anche i Doria
vi si adeguano, cercando di
adattare il modello di gestione dei loro possedi-
Fig. 5: lo stato di Melfi, XVIII sec., particolare di Melfi
(Riproduzione fotografica di A. Sileo)
— 119 —
menti alle nuove esigenze
di innovazioni. Vi fu inoltre la revisione dei diritti
feudali esercitati sulle università, e grande rilievo assunse la conduzione dell’azienda.
Sin dal 1746 i poteri
conferiti al governatore subiscono un ridimensionati
e le decisioni riguardanti
l’amministrazione economica vennero affidate ad
un nuovo organismo: la
Consulta, che si riuniva in
assemblea ogni settimana
nel castello di Melfi, mentre il governatore fu affiancato dal tesoriere e dal razionale 41 . I poteri della
Consulta aumentarono soprattutto in seguito alle direttive emanate nel 1767
dal principe, il quale individuò le cariche preposte
ad esaminare le problematiche di natura economica,
politica e giudiziaria nel tesoriere, nel razionale, nel
soprintendente economico
e nell’agente generale.
Quest’ultima figura sostituì, sin dai primi anni í60,
definitivamente il governatore42.
Per meglio seguire i rapporti con le istituzioni statali, in primo luogo con la
Regia Camera della Sommaria, dove lunghissime
vertenze giudiziarie si susseguivano contro le università, il principe Andrea IV
Doria nominò nel 1792 un
apposito funzionario di
stanza a Napoli: Domenico
Mastellone, grande esperto
principale fonte di reddito
per la famiglia genovese44.
Lo sterminato latifondo
(circa 8.500 ettari) sarà frazionato soltanto con l’attuazione della riforma
agraria, a partire dal
195345.
Ivi, p. 209;
Vedi nota 3;
6
G. FORTUNATO, Ser Gianni Caracciolo duca di Venosa
nel 1425, Napoli 1907, pp.
6-16, rist. anastatica n. 15 dei
Quaderni “Conoscere il Vulture”. Nel 1432 Giovanna II
concede alla città il privilegio
4
5
Fig. 6: lo stato di Melfi, XVIII sec., particolare di Lacedonia
(Riproduzione fotografica di A. Sileo)
in materie giuridiche43.
Intanto il sistema feudale
era ormai giunto al suo ultimo stadio. Messa in discussione durante la rivoluzione giacobina del 1799,
la feudalità venne abolita
definitivamente dal governo francese nell’agosto del
1806, a pochi mesi dal suo
insediamento alla guida del
Regno di Napoli.
Se il principato cessò di
esistere come organismo
feudale, l’azienda Doria,
radicalmente trasformata
nel suo assetto organizzativo continuò ad essere la
Note
* Elaborazione digitale delle
illustrazioni: Foto Sileo - Avigliano.
1
T. PEDIO, La Basilicata. Dalla caduta dell’Impero Romano
agli Angioini , vol. IV, Bari
1989, p. 60;
2
Notevoli contributi per l’approfondimento dei meccanismi delle parentele ed alleanze tra i lignaggi sono in G.
DELILLE, Famiglia e proprietà
nel Regno di Napoli (XV-XIX
secolo), Mappano (TO) 1988,
in particolare i capitoli I e III;
3
T. PEDIO, op. cit., p. 187;
di “stare in demanio”. Poi, nel
1454 la regia corte vende Venosa a Pirro del Balzo. Cfr. A.
CAPANO, Venosa ed i suoi
feudatari: note storiche , in
“Radici”, rivista lucana di storia e cultura del Vulture, n. 6,
dicembre 1990, p. 146;
7
Sergianni acquista il feudo
di Oppido nel 1426 e lo cede
l’anno successivo al fratello
Marino col castrum di Monticchio. Nel 1428 Giovanni Antonio Orsini, principe di Taranto, in occasione delle nozze del fratello Gabriele con la
figlia di Sergianni, dona al
congiunto la città di Lavello.
Fig. 7: lo stato di Melfi, XVIII sec., particolare di Rocchetta
(Riproduzione fotografica di A. Sileo)
— 120 —
Cfr. T. PEDIO, op. cit., p. 210;
8
V. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, vol. II,
Milano 1928-32, p. 305. Sergianni Caracciolo fu sepolto
nella chiesa di S. Giovanni a
Carbonara a Napoli;
9
Dimostrazione De’ gravami
proposti dalla Università di
Melfi contro l’Exfeudatario illustre Principe Doria da giudicarsi dalla Commissione da S.
M. stabilita a relazione del
meritevolissimo Signor Vincenzo Coco Regio Consigliere
Commissario , Napoli 1808,
p. 10;
10
I principali documenti contenenti l’elenco completo dei
feudi dello stato di Melfi risalgono rispettivamente al 1447
ed al 1468, Cfr. G. DA MOLIN, La popolazione del regno
di Napoli a metà quattrocento
(Studio di un foculario aragonese), Bari 1979, p. 11, e L.
CASTALDO MANFREDONIA,
Pro Partibus-Quarta Pars-Processuum Passuum Regni (a.
1367-1480), in “Fonti Aragonesi a cura degli archivisti napoletani”, serie II, vol. XII,
1983, pp. 70-73. Sulla rivolta
di Giovanni II si veda G. VITALE, La rivolta di Giovanni Caracciolo duca di Melfi e di
Giacomo Caracciolo conte di
Avellino contro Ferrante I
d’Aragona, in “Arch. Stor. Per
le Prov. Napoletane”, II serie,
V-VI, 1966-67;
11
V. SPRETI, op. cit., p. 306;
12
C. CONTE, M. SARACENO, Territorio uomini e merci
ad Atella tra Medioevo ed età
moderna , Lavello 1996, pp.
15 e 19;
13
La trascrizione del privilegio
di concessione è in E. NAVAZIO, M. TARTAGLIA (a cura
di), Melfi e la sua storia, Lavello 1992, p. 82, in Il turismo
educativo, a cura della Comunità Montana del Vulture, vol.
II;
14
La successione feudale ad
Avigliano è esposta in dettaglio in F. MANFREDI, Aviglia-
no tra Medioevo ed età moderna. Storia feudale e sviluppo urbano, Potenza 1995, pp.
3-16 e tav. 2;
15
Archivio di Stato di Napoli,
Spoglio delle Significatorie dei
Relevi, vol. I, f. 26r;
16
N. CORTESE, Feudi e feudatari napoletani della prima
metà del Cinquecento, Napoli
1931, pp. 53-55, ed anche
G. FORTUNATO, Badie Feudi
e Baroni della Valle di Vitalba,
a cura di Tommaso Pedio, vol.
III, Matera 1968, pp. 259260;
17
Vedi nota 11;
18
Le celebrazioni del quinto
centenario dell’assedio hanno
offerto lo spunto per la pubblicazione di tre interessanti volumi incentrati sulla storia della cittadina dalle origini
all’avanzata età moderna,
con particolari approfondimenti relativi al XV secolo.
Cfr. T. PEDIO, M. SARACENO, Atella 1496, Rionero in
Vulture 1996; AA.VV., Dal
Casale alla Terra di Atella, Lavello 1996; C. CONTE, M.
SARACENO, Territorio uomini e merci ad Atella, cit.;
19
E. NAVAZIO, M. TARTAGLIA, op. cit., p. 75;
20
G. FORTUNATO, op. cit. ,
vol. II, p. 223;
21
G. DA MOLIN, op. cit., pp.
68 e 71;
22
T. PEDIO, Un foculario del
Regno di Napoli del 1521 e la
tassazione focatica dal 1447
al 1595, in “Studi Storici Meridionali”, anno XI, n. 3, settembre-dicembre 1991, pp.
254-255. Dello stesso autore
si veda anche La tassazione
focatica in Basilicata dagli Angioini al XVIII secolo, in “Bollettino della Biblioteca Prov. Di
Matera”, a. IV, n. 7, 1983. I
fuochi di Candela nel 1532
sono riportati in L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli,
tomo III, Napoli 1797, p. 78;
23
R. COLAPIETRA, Recenti studi sul principato di Melfi, in
“Arch. Stor. per la Calabria e
la Lucania”, anno XLVIII
(1981), pp. 191-192. Per una
puntuale conoscenza storica
del principato relativa al XVI
secolo è indispensabile dello
stesso autore I Doria di Melfi
ed il Regno di Napoli nel
’500, in “Miscellanea Storica
co. Cfr. C. PALESTINA, Ripacandida dalle origini agli aragonesi. Note storiche, in “Radici”, n. 10, maggio 1992, p.
148;
25
S. ZOTTA, Rapporti di produzione e cicli produttivi in regime di autoconsumo e di produzione speculativa. Le vicen-
scente Gian Andrea Doria col
titolo marchesale. Cfr. R. COLAPIETRA, op. cit. , p. 195.
Agli inizi del Seicento Tursi è
assegnata a Carlo, terzogenito di Gian Andrea, col titolo
ducale. Cfr. R. COLAPIETRA, Il
principato di Melfi nella prima
metà del Seicento, in Scritti in
memoria di Leopoldo Cassese,
vol. I, a cura dell’Università
degli Studi di Salerno, collana
Fig. 8: lo stato di Melfi, XVIII sec., particolare di Candela
(Riproduzione fotografica di A. Sileo)
Ligure”, 1969, pp. 9-111;
24
Atella e S. Fele vengono donati da Carlo V ad Antonio de
Leyva, principe di Ascoli,
nell’agosto del 1532. Cfr. C.
CONTE, M. SARACENO, op.
cit., p. 37. Rapolla e Ripacandida passarono rispettivamente a Diego Hurtado de Mendoza ed ai Grimaldi di Mona-
de dello “stato” di Melfi nel
lungo periodo (1530-1730) ,
in A. MASSAFRA (a cura di),
Problemi di storia nelle campagne meridionali nell’età
moderna e contemporanea ,
Bari 1981, pp. 233-234;
26
Ibidem;
27
Nel 1553 la giurisdizione
della città passa all’adole-
Fig. 9: lo stato di Melfi, XVIII sec., particolare di Avigliano e Lagopesole
(Riproduzione fotografica di A. Sileo)
— 121 —
di studi e testi, VII, Napoli
1971, p. 148. Alla vigilia
dell’eversione della feudalità i
Doria sono ancora feudatari
di Tursi con la principessa
Giovanna. Cfr. L. GIUSTINIANI, op. cit. , tomo IX, Napoli
1805, p. 275;
28
S. ZOTTA, Momenti e problemi di una crisi agraria in
uno “stato” feudale napoletano (1585-1615), in “Melanges de l’Ècole Francaise de
Rome”, (1978), 2, tomo 90, p.
717;
29
R. COLAPIETRA, Il principato di Melfi, cit., pp. 151-152;
30
Ivi , pp. 151-156. L’autore
spiega con estrema chiarezza
il complesso meccanismo che
permise al barone Alessandro
Ferrero di sottrarre Avigliano
della Terra... e dei suoi diritti
da parte di Giangiacomo Grimaldi, in “Radici”, n. 11, dicembre 1992, pp. 155-162;
33
Gli aspetti organizzativi
dell’amministrazione feudale
dello stato di Melfi vengono
esaustivamente analizzati in
P. B. ARDOINI, Descrizione
civici nel territorio di Melfi
(1037-1738), Roma 1958, p.
160 e ss., ed Avigliano durante la seconda metà del ‘500,
cfr. F. MANFREDI, op. cit., p.
17 e ss.;
35
R. COLAPIETRA, L’amabile
fierezza di Francesco d’Andrea. Il Seicento napoletano
Fig. 10: lo stato di Melfi, XVIII sec., particolare di Forenza
(Riproduzione fotografica di A. Sileo)
all’acquisto da parte dei Doria
nel dicembre del 1609 e la
successiva vendita a questi ultimi;
31
S. ZOTTA, Momenti e problemi , cit., pp. 759-762, e
dello stesso autore, Rapporti
di produzione, cit., p. 237;
32
R. COLAPIETRA, Il principato di Melfi, cit., pp. 156-157,
ed anche M. MARTONE, San
Fele, 1607. Presa di possesso
del Stato di Melfi (1674), introduzione e note di Enzo Navazio, Lavello 1980, pp. 2948. Sull’ordinamento delle
università nel Regno di Napoli
si veda T. PEDIO, Baroni, galantuomini e contadini nell’età
moderna, Bari 1982, pp. 5774;
34
È opportuno ricordare
l’esempio di Melfi (1525), cfr.
E. CIASCA, Terre comuni e usi
nel carteggio con Gian Andrea Doria, Roma 1981, p. 3
e dello stesso autore, Il principato di Melfi, op. cit., p. 209;
36
S. ZOTTA, Rapporti di produzione, cit., p. 270; E. NAVAZIO, Peste e morte a Melfi
nel 1656 , in “Radici”, n. 1,
gennaio 1989, pp. 17-31. Un
quadro generale sulla diffusione della peste del 1656-57
è offerto in L. DEL PANTA, Le
Fig. 11: lo stato di Melfi, XVIII sec., particolare di S. Fele
(Riproduzione fotografica di A. Sileo)
— 122 —
epidemie nella storia demografica italiana (secoli XIVXIX) , Torino 1980, pp. 166178;
37
C. DE SETA, Napoli , in Le
città nella storia d’Italia, Bari
1984, p. 160;
38
R. COLAPIETRA, L’amabile
fierezza, cit., pp. 23-24;
39
S. ZOTTA, Rapporti di produzione, cit., pp. 285-286;
40
I dati relativi agli anni 1656
e 1668 sono in R. COLAPIETRA, L’amabile fierezza , cit.,
p. 42. Per il 1732 ed il 1735
si veda S. ZOTTA, Rapporti di
produzione , cit., p. 284. La
popolazione esistente verso il
1795 è riportata in L. GIUSTINIANI, op. cit., tomo II (Avigliano), tomo III (Candela e
Lacedonia), tomo IV (Forenza), tomo V (Melfi), tomo VIII
(Rocchetta e S. Fele);
41
A. SINISI, Il “buon governo”
degli uomini e delle risorse.
Gestione di uno “Stato” feudale e governo del territorio
nel Mezzogiorno fra Settecento e Ottocento, Napoli 1996,
p. 37;
42
Ivi, p. 38;
43
Ivi, pp. 39-40;
44
Dopo essersi imparentati
con i Pamphili di Roma, i Doria ereditano il patrimonio di
questa famiglia e con Andrea
IV, nella seconda metà degli
anni í60 del XVIII secolo si trasferiscono nella città pontificia. Cfr. A. SINISI, op. cit., p.
133;
45
T. RUSSO, La Francia, l’Italia giacobina, il Mezzogiorno,
in AA.VV., Popolo Plebe e
Giacobini. Napoli e la Basilicata nel 1799, a cura di Nino
Calice, Rionero in Vulture
1989, p. 43.
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