DOJO CULTURA E INFORMAZIONE SUL KARATE‐DO
Seishinkan Karate‐Do M°Mauro Mancini A cura di Alessandro Parodi Karate no shugyo wa issho de aru ‐ Il karate si pratica tutta la vita
n°7 - Aprile 2007
Il Kata Abbiamo avuto modo di vedere una definizione molto sintetica di kata, che li pone come degli schemi prestabiliti, i quali, simulano un combattimento contro diversi avversari. Questi “esercizi formali”, da praticare individualmente, variano in complessità, in relazione al grado di cintura del karateka e seguono un ordine ben preciso di attacchi, parate, contrattacchi. Ne esistono più di cinquanta e sono chiamati anche “forme”. Lo studio dei Kata, al pari del kumite e del kihon è considerato imprescindibile dagli altri due, nel senso che, non può esserci progresso nel praticante senza la loro conoscenza in tutti gli aspetti. I kata possono essere suddivisi in due gruppi: quelli adatti al potenziamento muscolare e allo sviluppo fisico, apparentemente semplici, e quelli che sviluppano i riflessi e la velocità. Entrambi i gruppi, se studiati correttamente, permettono lo sviluppo della coordinazione e del ritmo nei movimenti. L’esecuzione di un kata è più complessa di quanto, agli occhi di un osservatore, potrebbe apparire. In effetti, non si tratta solo di imparare mentalmente ed essere quindi capaci di eseguire uno schema di attacchi e parate, ma occorre includere nell’esecuzione, una miriade di aspetti tutt’altro che visibili a occhio nudo. La pratica di queste forme oltre ad essere fisica, è anche spirituale. Il praticante dovrebbe esprimere coraggio e sicurezza, ma sopratutto umiltà, senso della misura e cortesia. Lo stesso Funakoshi era solito ripetere ai suoi allievi che “senza cortesia lo spirito del karate‐do va perduto”. Il saluto, che si esegue all’inizio e al termine di ogni kata, nella posizione musubi‐dachi (posizione naturale a piedi divaricati), è l’espressione di questo precetto. In tale posizione le braccia sono rilassate, le mani poggiate leggermente sulle cosce, lo sguardo fisso in avanti. Dopo il saluto, ci si pone in kamae, il primo movimento del kata. Tale posizione è rilassata, con spalle e ginocchia senza tensione, e la respirazione quieta. Tutta la forza e la concentrazione si trovano nel baricentro, il tanden. Questa posizione, dovrebbe trasmettere al karateka la sensazione di sentirsi pronto ad ogni evenienza, pieno di spirito combattivo. E’ una condizione di rilassamento ma nello stesso tempo di guardia, che dovrebbe essere tenuta anche alla fine del kata, durante il saluto. Essa viene chiamata zanshin. Concludere perfettamente un kata è molto importante, e a volte una perfetta esecuzione delle tecniche, seguita da un saluto finale senza zanshin, può inficiare i risultati di valutazione generale. Ogni kata inizia con una tecnica di parata, ed è composto da un numero preciso di movimenti, da eseguirsi secondo una sequenza prestabilita, i quali possono subire nel tempo qualche variazione, sia nella complessità che nel tempo richiesto a completarli. Ogni movimento però ha una sua funzione e un significato e non c’è niente di superfluo. L’esecuzione segue un preciso tracciato chiamato embusen (tracciato), la cui forma varia per ogni kata. Ovviamente durante la pratica il karateka, oltre ad immaginarsi mentalmente questo tracciato, dovrebbe figurare intorno a sé, tanti avversari ed essere pronto ad eseguire tecniche di difesa e d’attacco, in qualsiasi direzione. Durante l’esecuzione di un kata, è necessario non essere pecipitosi e mantenere la calma. Questo per essere consapevoli, in ogni momento, del giusto tempo d’esecuzione di ciascun movimento. In definitiva gli aspetti più importanti da curare nello studio dei kata sono: 1. Successione delle tecniche: il numero delle tecniche e la loro successione sono predeterminati e vanno eseguiti con esattezza. 2. Inizio e fine: il kata deve inziare e finire sempre nello stesso punto dell’embusen. 3. Significato di ciascun movimento: ogni movimento di difesa e d’attacco va compreso a fondo ed espresso per il suo significato e la sua funzione. Lo stesso vale per il kata nel suo complesso. 4. Coscienza del bersaglio: occorre sapere sempre dov’è il bersaglio di una tecnica e quando questa deve essere eseguita. 5. Ritmo e tempo: ogni kata ha un proprio ritmo e il corpo, per poterlo seguire deve, durante l’esecuzione, rimanere flessibile e senza tensioni. E’ necessario quindi raggiungere un equilibrio fra tre fattori: corretto uso della potenza, velocità o lentezza d’esecuzione, contrazione e decontrazione. 6. Corretta respirazione: la respirazione dovrebbe seguire un preciso ritmo, che permetta al karateka di eseguire ogni tecnica con la giusta dose di forza e velocità. Di norma si dovrebbe inspirare durante le parate, ed espirare negli attacchi o nelle tecniche decisive. Tra una tecnica e l’altra occorre invece inspirare rapidamente. 7. Il kiai: è molto legato alla respirazione, e in genere si effettua a metà e alla fine del kata, nei movimenti di massima tensione. E’ utile, ai fini del nostro studio, esporre un semplice schema, che raffigura il ritmo di un kata tipico dello shotokan: Bassai kiai
1 2 ‐ 3 4 ‐ 5 6 ‐ 7 8 9 10 ‐ 11 12 ‐ 13 14 15 16 ‐ 17 18 19 20 kiai
21 22 23 ‐ 24 25 26 27 28 29 ‐ 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 2
Il nome Bassai indica lo spirito e la forza necessari ad irrompere in una fortezza nemica. Gli ideogrammi, infatti, significano “attraversare o distruggere la fortezza”, e i movimenti veloci e potenti che lo caratterizzano, esprimono in pieno tale significato. Il kata deve essere pieno di vitalità, ma anche maestosa dignità, altrimenti le sue caratteristiche peculiari non possono venire espresse. Dopo aver appreso i fondamentali attraverso i kata di base, questo è uno dei kata che vanno necessariamente padroneggiati. Imparare l’impiego degli opposti: compostezza e agilità, forza e mutamento, velocità e lentezza, leggerezza e potenza. Senza questo non vi sarà efficacia. L’embusen è a forma di T. I movimenti sono quarantadue e la durata di circa un minuto. Appartenente allo stile Tomari‐te o Shuri‐te (origini non certe), introdotto dal M° Oyadomari. : continuo veloce : forte : gradualmente più forte : potente : lento, potente : pausa Yoi 1‐ Migi Uchi Ude Uke Kosa Dachi Yoi 12 ‐
Shizentai Chudan Zuki 30 A ‐ Migi Gedan Barai Hidari Soete Kiba Dachi 29 ‐ Vista frontale 36 ‐ Koshi Gamae 36 ‐ Vista Heisoku laterale Dachi 37 ‐ Yama 37 A ‐ Zuki Harai Zenkutsu Fumikomi Dachi 19 A 19 ‐ Gedan Kesage 25 ‐ Hidari Nagashi Uke Migi Gedan Nukite Zenkutsu Dachi 26 ‐
Heisoku Dachi Manji Kamae 27 A 27 ‐ Gedan Barai Kiba Dachi 32 ‐ Koshi Gamae Zenkutsu Dachi 32 ‐ Vista laterale 33 ‐ Yama Zuki Zenkutsu Dachi 33 ‐ Vista laterale 38 ‐ Migi Gedan Sukui Uke 3
39 ‐ Hidari Gedan Sukui Uke 40 A 34 ‐ Koshi Gamae Heisoku Dachi 35 A ‐ Harai Fumikomi 40 ‐ Chudan Shuto Uke Kokutsu Dachi 22 A 22 ‐ Vista frontale 28 ‐ Chudan Haishu Uke Kiba Dachi 28 A 10 ‐ Chudan Zuki 29 A ‐ Migi Mikazuki Geri 41 29 ‐ Migi Enpi Uchi Kiba Dachi 35 A ‐ Vista laterale 38 B 9 ‐ Chudan Tate Shuto Uke 20 ‐ Hidari 21 ‐ Migi Chudan Chudan Shuto Shuto Uke Uke Kokutsu Kokutsu Dachi Dachi 38 A 8 Shizentai Koshi Gamae 30 ‐ Hidari 31 ‐ Migi Gedan 30 A ‐ Vista Gedan Barai Barai frontale Hidari Soete Migi Soete Kiba Dachi Kiba Dachi 6 ‐ Soto Uke Zenkutsu Dachi 17 ‐ Chudan 18 ‐ Gyaku Shuto Uke Hanmi Kokutsu Kaeshi Dachi Dori 24 ‐ Chudan Oi Zuki Zenkutsu Dachi 23 ‐ Chudan 23 ‐ Vista Tettsui frontale Hasami Uchi 6 A ‐ Gedan Sukui Uke 5 ‐ Migi Chudan Uchi Uke Zenkutsu Dachi 7 ‐ Chudan Uchi Uke Gyaku Hanmi Zenkutsu Dachi 15 ‐
16 ‐ Chudan Chudan Shuto Uke Shuto Uke Kokutsu Kokutsu Dachi Dachi 23 A ‐ Vista frontale 23 A 14 ‐ Chudan Shuto Uke Kokutsu Dachi 13 ‐ Chudan Uchi Uke 4 ‐ Chudan 2 ‐ Hidari 3 ‐ Chudan Soto Uke Chudan Uchi Uke Gyaku Uchi Uke Gyaku Hanmi Hanmi Zenkutsu Zenkutsu Zenkutsu Dachi Dachi Dachi 35 ‐ Yama Zuki Zenkutsu Dachi 42 A 20 ‐ Chudan Shuto Uke Kokutsu Dachi Yame Il kata può essere considerato il sistema, da sempre utilizzato dai maestri, per tramandare le proprie conoscenze sul karate, ai propri allievi. Uno dei motivi che spingono i grandi maestri a modificarli nel tempo, pur conservandone l’impronta originaria, è proprio quello di includere nuove tecniche, agli schemi che loro stessi hanno appreso a loro volta dai propri maestri. Lo studio di un kata, o idearne uno e pefezionarlo poteva richiedere anche anni di esercizi. Le tecniche e gli stessi kata, vengono studiati e perfezionati per renderli più efficaci e puliti. L’essenzialità, infatti, come si è già visto, è uno degli elementi principali dei kata, dove non ci sono tecniche superflue. Nell’esecuzione di un kata, il maestro Egami sosteneva l’importanza della sua continua ripetizione, meglio ancora di un kata semplice, arrivando allo stremo delle forze, e continuare in questo stato fino ad eliminare la partecipazione della mente dal processo. Il corpo, in questo modo, acquisirà direttamente ed esclusivamente i movimenti, senza passare per la mente. Si arriverà così ad uno stadio, dove la mente diventerà trasparente e in grado di “capire” i movimenti del corpo, e in definitiva, a comprendere la relazione fra la mente e il corpo. I movimenti del corpo ed il flusso di sensazioni saranno inizialmente molto confusi, calmandosi poi lentamente e tramutandosi in uno stato di tranquillità e concentrazione, mentre il respiro sarà divenuto regolare nonostante il vigore dei movimenti. Solo dopo una lunga pratica, quando il corpo sarà completamente allenato, sarà possibile avvicinarsi a tale stato. Questo tipo di allenamento, dovrebbe essere eseguito con movimenti veloci, come ad esempio il Taikyoku kata in 5 secondi, oppure al contrario risulta produttivo eseguire lo stesso kata in tre minuti o addirittura in quindici minuti. Quest’ultimo tipo d’allenamento, sarà più difficile del primo. La pratica del kata non deve mai essere considerata come un qualcosa di scontato. Quello che bisogna tenere sempre presente, è che si sta entrando in un mondo sconosciuto, un mondo di pratica nel quale, lo stato attuale di conoscenza, è insufficiente. E’ allora necessario continuare a praticare fino a quando il corpo non apprende.
Tra i vari kata, ve ne sono alcuni i cui fondamenti sono stati dettagliatamente descritti. Ciò nonostante è ostico eseguire un kata seguendo alla lettera i suoi fondamenti. Anche quando non si riesca a comprendere a pieno, non si deve commettere l’errore di pensare che ciascun movimento sia privo di significato. E’ consigliabile eseguire ogni movimento pensandolo ed interpretandolo. Per concludere è bene cominciare ad introdurre una trattazione, che seguirà nei prossimi numeri, dei kata Heian, i quali risultano fondamentali per lo studio e la comprensione di Bassai. I cinque kata Hejan, in origine denominati Pinan o Ping‐nan, sono stati creati dal maestro Anko Itosu (1830‐1915) maestro, insieme ad Anko Azato di Gichin Funakoshi che ne mutò il nome successivamente. Alcuni sostengono che Ping‐nan sia la città cinese di provenienza del maestro In Shu Ho, residente, nella seconda metà dell’800, ad Okinawa in un villaggio di Tomari, che avrebbe insegnato al maestro Matsumura, due forme chiamate ch’ang‐an (pace e tranquillità). Matsumura in seguito creò da queste due forme, tre kata che insegnò al suo allievo Itosu, il quale a sua volta, aiutato si crede dallo stesso In Shu Ho, le scisse in altrettanti 5 kata (gli attuali Heian), ai quali ci aggiunse alcune tecniche di kanku dai. In seguito questi kata furono introdotti tra il 1897 e il 1901, nelle scuole d’Okinawa. Prima di tale intrduzione però Itosu ne sperimentò l’efficacia didattica sui suoi stessi allievi e, accortosi che l’esecuzione a mani aperte fosse molto pericolosa, stabilì che i kata dovevano essere eseguiti con le mani chiuse a pugno. Se vuoi scriverci puoi contattare i seguenti indirizzi di posta elettronica: [email protected][email protected] Grazie per la collaborazione Alessandro
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