“Galeso” novecento metri di mito. di Enrico Vetrò Carmina, II, 6, Septimi, Gadis aditure… Odi, II, 6 All’amico Settimio … Unde si Parcae prohibent iniquae, dulce pellitis ovibus Galaesi flumen et regnata petam Laconi rura Phalantho. … E se il destino avverso mi terrà lontano (da Tivoli dove vorrei consumare vecchiaia e stanchezza della vita) allora cercherò le dolci acque del Galeso caro alle pecore avvolte nelle pelli, e gli ubertosi campi che un dì furono di Falanto lo Spartano1. Ille terrarum mihi praeter omnes angulus ridet, ubi non Hymetto mella decedunt viridique certat baca Venafro; ver ubi longum tepidasque praebet Iuppiter brumas et amicus Aulon fertili Baccho minimum Falernis invidet uvis. Ille te mecum locus et beatae postulant arces; ibi tu calentem debita sparges lacrima favillam vatis amici. Quinto Orazio Flacco (Venosa 65a.C-Roma 8a.C.) ====================== Quell’angolo di mondo più d’ogni altro m’allieta, là dove i mieli a gara con quelli del monte Imetto2 fanno e le olive quelle della virente Venafro3 eguagliano; dove Giove primavere regala, lunghe, e tepidi inverni, e dove Aulone4, caro pure a Bacco che tutto feconda, il liquor d’uva dei vitigni di Falerno5 non invidia affatto. Quel luogo e le liete colline Te chiedono accanto a Me; dove tu lacrime spargerai, come l’affetto tuo esige nei confronti miei, sulla cenere ancòra calda dell’amico tuo poeta. (e. v.) =============================== Qualunque cosa si voglia dire di questo nostrano rivoletto si avverte a livello 1 Tipologia di unità monetaria Tarentina: Didracma d’argento - 430-425 a.C. Recto: l’eponimo Taras cavalca nudo un delfino (simbolo del dio Apollo). Il frutto di mare è un canestrello, figura dell’abbondanza accordata dal dio Nettuno ai Tarentini. Ai bordi del campo, (a partire dall’alto ore 12) è leggibile l’iscrizione in greco arcaico “TARANTINON ”. Verso: Falanto di Sparta. L’ecista, seminudo con l’himátion sugli arti inferiori, è seduto su uno sgabello di bronzo a quattro piedi. Con la mano sn. regge un fuso per la lavorazione della lana(!) e con la ds. un kantharos, ossia una tazza per degustare ottimo vino delle vigne locali(!) Dal sito: “Phalantos Coinage” [Classificazione di e. vetrò]. Pausania, scrittore e storico greco della seconda metà del II sec. a.C., nella sua opera “Periegesi della Grecia”, Lib. X, ci dice che Falanto, l’ecista (fondatore) spartano al seguito dei Parteni, fondò Taranto e ne divenne re intorno al 706 a.C. 2 Un monte ricco di timo, oltre che di miele, presso Atene nell’Attica. 3 Città della Campagna, ai confini del Sannio, situata in una fertile pianura; era rinomata per il suo olio. 4 Studiosi accreditati, diversi anni or sono, hanno supposto che si trattasse di Monte Melone, una piccola altura nei pressi della marina di Pulsano. 5 Agro di Falerno. Regione della Campania sett., ancora oggi rinomata per l’eccellente qualità dei vini che produce. 1 epidermico la necessità di partire da Q. Orazio Flacco. Il poeta venosino più di duemila anni or sono riuscì magistralmente a comporre uno spartito di sentimenti e musicalità elegiaca che faranno per sempre da cornice preziosa alla storia della “imbelle Tarentum”(Taranto la pacifica),[Orazio, Epist. I, 7, 45], peraltro già apprezzata e rinomata in quel tempo per la sorprendente raffinatezza dei costumi: “nobilis et opulentissima urbs”, a detta dello storico di Roma Tito Livio [(59 a.C - 17A.D.) - Ab Urbe Condita L. XXI, 15)]. Il cantore latino dei Carmina, con sublime semplicità, ma anche con lo spirito di un novello Cincinnato, ci mette a parte del suo entusiasmo, tutto rigorosamente ecologico si direbbe oggi, nel dipingere di rutilante verde agrestità e di amena quiete la dolce terra di Taranto, il luogo della bella morte. La sua è tersa poetica filmica. L’obiettivo verbale agile e accorato ci fornisce primi piani intrisi di suggestione. Ecco allora le brucanti pecore, “ovibus”, dalle lane pregiate e più che mai rinomate,[“Lana Tarentino violas imitata veneno”, Orazio, Epist. II, 1, 207], che certo dovevano apparire goffe ed impacciate agli occhi di un foresto che si trovasse a passare da quelle parti. Era, infatti, inconsueta abitudine dei pastori locali l’involgere in pelli conciate di animali, dunque “pellitis”, l’apprezzatissimo vello delle loro greggi, a mo’ di cappottino, per salvaguardarne la qualità da intemperie e da ogni altro potenziale agente nocivo. Tutto questo viene poi confermato da un erudito latino dalla cultura enciclopedica, Marco Terenzio Varrone (116 ca.-27 a.C): “Pleraque … longum … tepidasque brumas”, dono pio e generoso elargito dall’onnipotente re degli dei, il “Pater Iuppiter”. E il miele, e le olive, e il vino dal genuino bouquet, prodotti di una terra benedetta, che non potevano e non dovevano temere – spero mi si perdoni la commistura di classico e di economico ipermoderno - il marchio D.O.C. di frutti messi a coltura in agri per così dire reclamizzati in diretta dallo stesso poeta di Venosa. Il tutto all’insegna di un immaginario, che facendosi sempre più collettivo, porta il fiumicello tarentino e la nobile area su cui insiste ad essere identificato con l’“èu tópos”,ovvero il luogo ideale per eccellenza, dove rifugiarsi dalla frenetica quotidianità (già d’allora!) e, perché no?! dove poter ben volentieri trascorrere, quandanche indulgendo ad una serenità melanconica, quel che rimane del tempo che gli Dei dell’Olimpo e le “Parcae”, (il destino!), hanno voluto benevolmente accordare. La dovizia dei particolari fornita con ispirati colpi di pennello, ma così pregni di sorprendente realismo, lascia facilmente intuire che Orazio doveva conoscere bene la “molle Tarentum”[Sat. II, 4, 34] e ovviamente il suo amato Galaesus. ================================ similiter faciendum in ovibus pellitis, quae propter lanae bonitatem, ut sunt Tarentinae et Atticae, pellibus integuntur, ne lana inquinetur quo minus vel infici recte possit vel lavari ac putari.” [La stessa cosa deve essere fatta con le pecore impellicciate, quali quelle del Tarantino e dell’Attica, che per l’alta qualità del vello, vengono avvolte di pelli, perché la lana non si macchi, o quanto meno possa essere tinta in modo appropriato, o perché possa essere lavata e ripulita.], De re rustica, II, 2, 18. Ecco il tratteggio del “Galaesi flumen” dalle fresche, albe e placide acque, ricco allora di tigli, platani, olmi e tantissimi pini che lo rendevano “ombroso”: “Tu canis ombrosi subter pineta Galaesi”. [“Tu, (Virgilio) canti per le pinete del Galeso ombroso”], afferma il poeta latino Sesto Properzio, (47 ca. – 15 a.C.), nelle Elegie, Libro, II, 34, 68. Il clima poi risulta dolcissimo e fonte di “Il fiume Galeso è un breve corso d’acqua lungo appena 900 m. che sfocia nel 1° Seno di Mar Piccolo di Taranto; ha una portata variabile tra i 43.922 mc/g nel periodo estivo e i 56.928 mc/g nel periodo autunnale, ed è alimentato da sorgenti ipogee di acqua salmastra.” (Foto di Massimo Vetrò - 29 Marzo 2005). Marano, G. - Vaccarella, R. - Pastorelli, A. M. Martino, G. – “Alterazioni antropiche sulla biocenosi del fiume Galeso (Mar Piccolo - Taranto)” - in: Thalassia Salentina, vol. 15, 1985 (pp. 53 – 61 ).- =========================================== benessere per il corpo e per la mente, “ver 2 È ragionevole ritenere che il poeta fosse già stato a Taranto, in compagnia del suo potente protettore di stirpe regale e inseparabile amico Mecenate, che egli considerò sempre “la metà dell’anima sua”. [A titolo puramente informativo costui gli era stato presentato da P. Virgilio Marone, l’autore dell’Eneide. Mecenate divenne del versificatore venosino amico a tal punto che intorno al 33 a.C. gli fece dono di un podere nella Sabina, regione storica del Lazio, presso Tivoli]. È stato difatti appurato che il consigliere di Gaio Giulio Cesare Ottaviano giunse dalle nostre parti in veste ufficiale di negoziatore, con un compito particolarmente delicato da portare a termine: sottoscrivere un accordo politico tra il futuro primo Imperatore di Roma e Marco Antonio (nipote di Giulio Cesare!), colui che diventerà l’amante di Cleopatra, regina dell’Egitto. Nella nostra città gli esperti di latinitas più accreditati ci dicono che Orazio vi rimase un bel po’ di tempo: fra il 37 e il 36 a.C.6 Ciò permise all’insigne quanto mai abile verseggiatore di ricavare gradatamente una esaltante impressione dalla nostra città, situata allora nella Taranto Vecchia dell’attuale penisola compresa fra i due ponti. Egli, pertanto, ebbe modo di scoprire ed apprezzare le bellezze di “ille terrarum … angulus” (quell’angolo di mondo), ivi compresi i prodotti dell’enogastronomia locale, diremmo tranquillamente oggi nei panni di turisti della domenica: “mella”, “baca”, “uvis”, ovvero miele, olive e vino schietto e sincero, e molto probabilmente l’afrore tutto particolare dell’aglio locale “porri”, ancora decantato con entusiasmo ai tempi del poeta Marco Valerio Marziale (40ca. A.D. - 104ca. A.D.): “Fila Tarentini graviter redolentia porri/edisti quotiens, oscula clusa dato”(Tutte le volte che avete mangiato l’aglio di Taranto dalla forte fragranza baciate sempre con la bocca chiusa) [EPIGRAMMATOM - LIBER XIII XENIA - XVIII: “Porri Sectivi”]]. Che il Galeso fosse conosciuto e tenuto in conto in epoche di gran lunga precedenti rispetto al tempo in cui Orazio fu in vita ce lo conferma lo storico greco Polibio (205125/120 a.C) grazie alle sue “ Istorìai ”. Nel Libro VIII, 35 egli narra di Annibale che nel corso della seconda guerra punica tra Roma e Cartagine, giunge con il suo esercito a Taranto nel 207 a.C. e, avendo costui “lasciato sufficiente numero di soldati e i necessari cavalli a guardia della città e a difesa del mare, pose gli accampamenti in un luogo discosto dalla città quaranta stadi, presso il fiume chiamato da alcuni “Galeso” ma dalla maggior parte “Eurota” che bagna la Laconia e corre presso Sparta: ed ha molta somiglianza la campagna e la città dei Lacedémoni, con quella dei Tarentini, perciocché questi sono, a detta di tutti, coloni ed anche congiunti 7 di sangue dei primi” . “Eurota”, dunque, in luogo di “Galeso”, nella terra opulenta dell’ecista Falanto e dei suoi Parteni, presumibile ingiunzione dell’eroe una volta approdato sul nostro litorale (località Satyrion = Saturo!) nell’VIII sec., intorno all’anno 706 a.C.! Alla luce di quanto ci viene tramandato è lecito supporre che essi trovassero il nostro corso d’acqua dolce affine al fiumicello che scorreva nei pressi di Sparta, da qui il patronimico geografico. Motivi affettivi?! Psicologici?! Politici?!Chi può asserirlo con certezza oggi?! È in ogni caso pressoché fuori discussione che per molto tempo il nostro rivoletto si chiamò Eurota (dal greco “εύρoέω” = “che scorre bene”). Orazio (L'immagine è tratta dal sito Venosa città di Orazio) 6 Cfr.: Adolfo Gandiglio – “Presso il Galeso”, a cura di Paolo De Stefano, Scorpione Editrice, Taranto, 1993, pag. 36. 7 Cfr.: Felice Presici, “Falanto e i Parteni”, Pietro Lacaita Editore, 1990, pag. 45.- 3 Scampoli di “Gal” … aesus” nella letteratura italica La semantica della componente tematica “Gal” in seno all’idronimo “Gal/aesus” ha solleticato la curiosità tutta intellettuale di non pochi studiosi locali. Le relative indagini effettuate in siffatta direzione – più per la tenuità delle fonti storico-letterarie a disposizione, ad onor del vero - hanno lasciato in buona sostanza insoddisfatti i numerosi interrogativi sollevati. Le supposizioni maggiormente accreditate si rivelano in ogni caso affascinanti e coinvolgenti. La certosina “collectio” critica e ragionata delle ipotesi più attendibili è stata effettuata dal “vir doctissimus”, il Chiarissimo Prof. Paolo De Stefano, unanimemente riconosciuto da sempre come faro della cultura tarentina e non solo, (europea! io direi a buona ragione) di cui mi onoro di essere amico, e per tantissimi aspetti allievo. Il suo volume, nei confronti del quale il mio modesto presente contributo è estremamente riconoscente, si rivela in tal senso deliziosamente esaustivo.8 “Gal” conferirebbe “al piccolo grande rivolo”, secondo taluni, il significato di “fiume freddo”, dalle “acque fresche”. Secondo altri, per contro, il tema rientrerebbe nell’ambito dell’aggettivo “albus”, che più che “limpido”, avrebbe l’accezione di “bianco”, alludendo “al candeggio delle lane che si esercitasse in quelle acque”9. Catald’Antonio Atenisio Carducci, umanista e traduttore poetico delle “Deliciae Tarantinae” di Tommaso Niccolò D’Aquino(1625-1721), farebbe risalire il nome del fiumicello alla nozione di “tosare”. L’etimo - riveniente a suo dire dai Fenici - si spiegherebbe, infatti, con l’abitudine d’immergere le pecore nelle acque del Galeso per rendere più lucide e morbide le lane prima di procedere all’operazione di tosatura. Lo stesso Carducci non escluderebbe poi l’accezione di “halesus”, ovvero di “fiume giocondo per l’ubertà del pascolo”10 “Versi” che serbano memoria di un “fasto” ancestrale Si è già discettato di Orazio e della sua “Aurea Mediocritas”(Odi, II,10,v.5), ossia dell’ansia tutta sua di volere cogliere i piaceri della vita in contesti semplici e/o bucolico-pastorali come quelli del Galeso, discosto dai clamori della vita frenetica dell’Urbs, la Roma Caput Mundi. Egli fu anima piuttosto incline a schivare la mondanità di “Gentes” del suo tempo (noi diremmo oggi VIP = very important person/s), molte delle quali si mostrarono sinceramente amiche e disponibili nei suoi confronti: vedi Mecenate, Virgilio e lo stesso Imperatore Ottaviano Augusto. A puro titolo informativo ed esemplificativo qui di seguito sarà citata(!) la stragrande maggioranza di quanti cantarono le lodi del nostro casalingo rivo d’acqua o concorsero ad accrescerne la dignità, sia pure a volte con stringati ma sempre felici richiami. La sintesi illustrativa che si andrà a riportare mal si addice all’ampiezza e alla possente valenza culturale della disquisizione socio-storico-letteraria intrapresa da tanti illustri studiosi predecessori sul Galaesus, di ciò si è pienamente consapevoli e in tutta scienza e coscienza si fa ammenda. Il presente lavoro vuole avere solo la modesta pretesa di fornire dati il più possibilmente semplici ed immediati, in un’ottica di fruizione più ampia possibile, nella convinzione di contribuire almeno un tantino ad inculcare l’amore per il nostro fiumicello e quindi per la nostra terra. In ogni caso, coloro che intendessero sollazzarsi con trattazioni di gran lunga più esaurienti in materia non devono assolutamente lasciarsi sfuggire l’opportunità di gustare la lettura del delizioso volume del Chiar.mo Prof. P. De Stefano. 8 Cfr.: Paolo De Stefano, “IL GALESO nella poesia latina”, PR.A.SS.I. s.r.l., Taranto, 1999, pp. 139-144.Ibidem, pagg. 140-141. 10 Ib. pag. 142. 9 4 PUBLIO VIRGILIO MARONE (70 a.C - 19 a.C) … Namque sub Oebaliae memini me turribus arcis, qua niger umectat flaventia culta Galaesus, Coricyum vidisse senem, cui pauca relicti iugera ruris errant, nec fertilis illa iuvencis nec pecori opportuna seges nec commoda Baccho … Georgiche, libro IV, 125-129. “De Coricio sene” … Ricordo, sotto le torri della rocca di Ebalia (Taranto) dove l’ombroso Galeso scorre fra la bionda campagna di aver visto un vecchio di Còrico che aveva pochi iugeri di campo abbandonato, terra al lavoro dei buoi infeconda, non adatta alle greggi né buona per la vite cara a Bacco. =========================================== SESTO PROPERZIO (50-46 ca. a.C. – 15 (?) a.C) … Tu canis umbrosi subter pineta Galaesi Thirsyn et attrutus Daphnin harundinibus. Elegie, libro II, 34, 67-68. … Tu canti (o Virgilio) per i boschi di pini dell’ombroso Galeso Tirsi e Dafne con le loro vecchie canne. ============================================ IACOPO SANNAZARO (1456-1530) … Mox salentinus ibis metator in agros qua secat Oebalia culta Galesus aqua. Elegie, libro III, I, 73-74. … E subito andrai di là a segnare i confini delle terre salentine per dove il Galeso bagna con l’acqua sua gli ebalici (tarentini) campi fecondi. 5 TOMMASO NICCOLÒ D’AQUINO [Taranto(!) (1665-1721)] … Hic sed mira canam; nigras qua aequora conchas Oebaliae servant, riguo data munera Coelo edocuit quendam indigenum, qui culta, Galaesus, alluit, et parvo Numen qui presidet alveo. Deliciae Tarentinae Libro II, 263-266. … Qui tuttavia prenderò a cantare cose mirabili, dirò dei nicchi neri tarentini il cui seme, dono del Cielo, insegnò ad un tizio del luogo il Galeso che i campi coltivati bagna nel suo breve percorso, un dio che quelle acque presiede. … Tunc vero numen pavitatem, ac multa timentem talibus aggreditur dictis: absiste moveri, Antigenes piscator, aquae sum praeses, et alvei fluctibus allabens felicia culta Galaesus. Deliciae Tarentinae Libro II, 302-313. … E repentinamente quel dio ad Antigene che molto teme e che ha paura così gli parla: O pescatore Antigene non andare via; io sono il Dio del fiume; io sono che rendo, con le onde, sempre più ubertosi i campi che bagna il Galeso. ==================================== GIOVANNI PASCOLI(!) I (1855-1912) Unam vidi apem cum secum diceret aeger Vergilius: « Sic est tepet tibi bruma, Tarentum? sic mihi terrarum super omnes, angule, rides ? sic, flumen, glacie consistis, dulce Galaesi ? …» Liber De Poetis Senex Corycius – Cilix, (1-4). Parte I Vide un’ape Virgilio quando fra sé e sé rattristato diceva: “È questo dunque, Taranto, il tuo inverno tiepido? È questo l’angolo che sopra ogni altra terra a me sorride? È questo il dolce fiume Galeso, ora sbarrato dal gelo? …” ============================================================ 6 ADOLFO GANDIGLIO(allievo di G. Pascoli) (1876-1931) … Turres adverso procul ardens sole Tarenti interlucentis supra pineta Galaesi. Prope Galesum, 41-42 … Di lontano brillano di contorno al sole le torri di Taranto sopra la pineta del Galeso che di luci traluce . “Galaesus” oggi … Cronaca di un “barbone” in agonia! (Foto panoramica del 29 Marzo 2005 - di Massimo Vetrò) L’inesorabile degrado subìto dal Galeso e dall’area in cui insiste ci sovviene a partire dalle testimonianze di scrittori e giornalisti stranieri che giunsero dalle nostre parti sin dal secolo XVIII11, tanto da mettere in dubbio che non fosse questo il fiume così carnalmente celebrato da Orazio. Da quell’epoca le cose andarono via via peggiorando. La scalata vera e propria della negatività subì un’accelerazione fatale a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, quando abusivismo, usi impropri e la successiva costruzione del Ponte di Punta Penna Pizzone infersero al fiume un duro colpo sotto il profilo dell’immagine paesaggistica [furono abbattuti centinaia di eucalipti e altrettanti morirono soffocati dal materiale di risulta allorché si dragò dissennatamente il fiumicello e se ne cementificarono in più punti gli argini]. L’opera di bonifica provocò lo stravolgimento dell’ecosistema fluviale e l’aumento dei livelli di salinità 11 P. De Stefano, ibidem, pp. 104-107 ; pp. 142-144. 7 testimoniati da studi autorevoli(vedi didascalia sotto la foto a pag. 2 del presente lavoro). In un articolo di Antonio Rizzo sulla Voce del Popolo, 197112 si legge: “…Fermiamo i tecnici della Cassa del Mezzogiorno. Fermiamo l’opera degli sradicatori di alberi e degli sbancatori di argini di alberi e degli inquinatori di acque. Ma soprattutto salviamo il Galeso dall’incuria, dalla sonnolenza, dal quietismo dei Tarantini. In quale altra città d’Europa un fiume così ricco di memorie storico-culturali sarebbe stato abbandonato all’inciviltà di coloro che lo hanno trasformato in lavatoio pubblico per automobili? In quale altra città d’Europa si sarebbe lasciata perdere l’occasione per trasformare una zona ricca di acque sorgive in un ampio e riposante parco pubblico? … ”. Alla luce di quanto appena quotato sorge spontaneo l’interrogativo: perché la ristrutturazione dell’area Cimino e la creazione del relativo parco (bellissimo ad onore del vero!) sono riuscite ad avere la meglio in fatto di priorità su un Galeso dal passato così vetusto e dalla valenza culturale così altisonante, e anch’esso disperatamente bisognoso di qualunque forma di soccorso?! Immaginate per un attimo quanto è stato fatto per Cimino completamente trapiantato sul Galeso … L’ottava meraviglia del mondo! Per non parlare poi delle ricadute occupazionali a vocazione interamente turistico-culturale! Miopia?! Interessi economici?! Gelosia?! Egoismo?! Indifferenza totale?! Solo Domine Iddio può saperlo … Quanto rimane drammaticamente attuale quell’articolo!? Se non sei di questa terra, se non sei un figlio del sud che crede nella fedeltà e devozione delle messi dei suoi campi, nei muri a secco che ancora oggi separano agro da agro la ricchezza fatta di vigne ed oliveti, allora rassegnati! Non potrai mai, dico mai, capire il dolore e l’emozione che all’unisono ti attanagliano il cuore e ti accartocciano l’anima sin nelle sue più recondite pieghe, nel vedere UNA CREATURA così barbaramente bistrattata, schiaffeggiata, umiliata, annichilita e violentata all’infinito. No! No! Non lo potrai mai capire questo scempio che continua a perpetrarsi ai danni del nostro SPLENDIDO BARBONE! No! Se non sei nato in questa terra! (Foto del - 29 Marzo 2005 M. Vetrò). Ambiente acquatico sempre più oligotrofico “le ricche e pescose acque” 12 Antonio Rizzo, da la “Voce del Popolo”, anno LXXXVIII, n.14, 10 aprile 1971. 8 ’U mè’, sté’ ttremíjende aqquáne?! … … Honne chiatráte l’alíe … ! … ôtre le chiàcchiere! (Foto del - 29 Marzo 2005 - M.V.) Tubi di cemento e cementificazione nelle “limpide acque” (Foto del - 29 Marzo 2005, M.V.) “Riposano” e si ammonticchiano i detriti nella desolazione della “pineta ombrosa” 9 (Foto del 29 Marzo 2005 - M.V.) Diradamento e morte! della flora … sul “niger Galaesus!” La foce del “flumen” di Orazio! … (Ogni commento risulta superfluo!). (foto del 29 Marzo 2005, M.V.) 10 “Se stè squàgghie ’u sànghe ìndr’a ’lle véne!” … Plastica in luogo dei fiori della “lunga primavera tarentina” (Foto del - 29 Marzo 2005, M.V.) (Foto del - 29 Marzo 2005, M.V.) … E l’ombrosa pineta?! Che fine ha fatto?! 11 Al mio “Galeso”con grande affetto e simpatia! « Tànne se cchiànge ’u bbéne, quànne se pèrde!» (Foto del - 29 Marzo 2005, M.V.) … Ga … leso In pàtio angusto di platani cenciosi il Diafano Barbone sonnecchia e si gode i suoi silenzi limosi. e le pecore felici dal pregiato stame? Innanzi alla verde folla di erba accovacciata sulle sponde il vento conta le Sue favole con le lingue delle foglie ... piano ... quasi le bisbiglia ... per non turbarne i sogni. Dalla sterposa alcòva scivola il suo presente chiòccola e s'inalba nel pèlago del disamòre. Le Ninfe, i vogliosi Fauni che t'avvolsero di mito dove sono? Dove i pastorelli coi flauti festanti Enrico Vetrò 12 BIBLIOGRAFIA • “La città antica di Taranto”, Mandese Editore, Martina Franca (Ta), 1989. • Adolfo Gandiglio – “Presso il Galeso”(“Prope Galesum”), a cura di Paolo De Stefano, Scorpione Editrice, Taranto, 1993. • Andrea Martini, “Breve storia di Taranto”, Jonica editrice, Taranto,1969. • Antonio Rizzo, da la “Voce del Popolo”, anno LXXXVIII, n.14, 10 aprile 1971. • D’Aquino N.T., “Delle delizie Tarantine”, Raimondiana, Napoli 1771. • DE VINCENTIIS D. L., “Storia di Taranto”, presentazione di Cosimo Damiano Fonseca, Mandese Editore, Taranto, 1983. • Felice Presicci, “Falanto e i Parteni”, Pietro Lacaita Editore, Manduria (Taranto), 1990. • G.Pascoli, “Poesie Latine”, a.c. di M. Manara Valgimigli, Milano 1970. • Hooker J.T., “Gli Spartani”, Bompiani, Milano, 1984. • Nicola Gigante, “Dizionario della Parlata Tarantina”, Mandese editore, Taranto 2002. • Orazio, “I Carmi”, Felice Le Monnier, Firenze, 1965, XVII edizione. • Paolo De Stefano, “IL GALESO nella poesia latina”, PR.A.SS.I. s.r.l., Taranto, 1999. • Pausania, “Periegesi della Grecia”, Libro X, Classici della BUR, Milano, 1997, 2a ed. • Polibio, “Le Storie”, U.T.E.T., Torino, 1885. SITOGRAFIA • WWW. Progettopo.net/percorsi. Taranto.htm.: “Indagini sulle diatomee del fiume Galeso e loro possibile uso come bioindicatori”, di Bruno Fasano. • WWW.unisaat.it/images. • Marano, G. - Vaccarella, R. - Pastorelli, A. M. - Martino, G. – “Alterazioni antropiche sulla biocenosi del fiume Galeso (Mar Piccolo - Taranto)” - in: Thalassia Salentina, vol. 15, 1985 (pp. 53-61). • http://www.wildwinds.com/coins/greece/calabria/taras/i.html. • http://www.fondazionemichelagnoli.it/editoria/provincia_SM&C/prov_tar anto%20pagg33-60.pdf 13 Taranto, addì 31 Marzo 2005, 17.30 hrs. Enrico Vetrò Nota dell’autore: 12.06. 2009 Qualcosa è stato fatto nei mesi scorsi per il recupero del nostro piccolo grande fiumicello. Si tratta comunque di una goccia in mezzo all’oceano della indifferenza e disinformazione. L’interessamento al nostro liquido barbone avviene quasi sempre in corso di momenti caldi sotto il profilo politico, come le campagne elettorali, per la solita captatio benevolentiae. Poi il fragoroso silenzio! Lo capirebbe anche il più sprovveduto dei nostri conterranei che con la grave crisi in cui versa la nostra città, una priorità di stanziamento economico anti degrado e abbandono - teso a risolvere il vergognoso caso Galeso una volta per sempre - costituirebbe la più gigantesca delle fantasticheria. Spero tanto di potermi sbagliare. I fatti, per contro, ci dicono che la barbarie tutta nostrana è sempre in agguato e pronta in ogni momento a martirizzare la liquida creatura. Qualche Tarantino abbia OGGI! la compiacenza di ammirare in tutta tranquillità lo spettacolo che si para agli occhi di chiunque lì dove il fiumicello si riversa in mare, e rifletta sugli interventi sciorinati dai nostri cittadini di buona volontà sui mass media locali! E poi chi andrebbe ora come ora ad ammirare un fiume pregevole quanto si vuole sotto il profilo storico – ma ahimè sito in un luogo isolato privo di qualsivoglia vigilanza locale, alla mercé di qualunque male intenzionato?! Altro dato incontrovertibile è che LA GRAN PARTE dei nostri giovani di Taranto IGNORA la storia millenaria del Galeso. Ammirevole lo sforzo informativo di qualche isolato docente di scuola media tarantina. La classica cattedrale nel deserto! Provare per credere. Sarebbe bello dare a noi Tarentini un parco Galeso, un sogno! Forse questo avverrà un giorno. Monito! Purché non abbia a fare la fine del Parco Cimino! “Disclaimer” Attenzione! I CONTENUTI PUBBLICATI NELLE PRECEDENTI PUNTATE E QUELLI DELLA PRESENTE, appartengono all'autore e non possono essere replicati neanche parzialmente senza il suo consenso. Il resto del materiale pubblicato, dove non indicato espressamente, è copyright dei rispettivi legittimi proprietari, e ha il solo scopo di recensione/divulgazione. Sono a disposizione per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e delle illustrazioni. MI SENTIRÒ PIÙ CHE MAI LUSINGATO SE DAGLI SCRITTI PRODOTTI VI VERRÁ VOGLIA DI ATTINGERE A SCOPO UNICAMENTE FORMATIVO-DOCUMENTATIVO. LA CULTURA DEVE ESSERE APPANNAGGIO DEL MONDO, NE SONO PIÙ CHE MAI CONVINTO. MA CITATEMI IN DETTAGLIO! QUESTA È LA CORTESIA CHE VI CHIEDO! CITATE SEMPRE LE FONTI DEI VOSTRI PRELIEVI! LA COSA NON POTRÀ CHE FARVI ONORE, GIACCHÈ RATIFICHERÀ SENZA OMBRA DI DUBBIO IL VOSTRO IMPEGNO A NON VOLERVI ATTRIBUIRE MERITI E … SOPRATTUTTO DEMERITI … CHE NON VI APPARTENGONO. NEL FARE QUESTO GRATIFICHERETE NON POCO CHI HA LAVORATO IN BUONA FEDE E TANTO, CON LA IMPERDONABILE PRESUNZIONE DI POTERE CONTAGIARE QUALSIVOGLIA LETTORE CON IL VIRUS DELL’AMORE PER L’INDAGINE E LA CONOSCENZA! Enrico Vetrò 14