“Galeso”
novecento metri di mito.
di
Enrico Vetrò
Carmina, II, 6,
Septimi, Gadis aditure…
Odi, II, 6
All’amico Settimio
…
Unde si Parcae prohibent iniquae,
dulce pellitis ovibus Galaesi
flumen et regnata petam Laconi
rura Phalantho.
…
E se il destino avverso mi terrà lontano
(da Tivoli dove vorrei consumare vecchiaia e
stanchezza della vita) allora cercherò le dolci
acque del Galeso caro alle pecore avvolte
nelle pelli, e gli ubertosi campi che un dì
furono di Falanto lo Spartano1.
Ille terrarum mihi praeter omnes
angulus ridet, ubi non Hymetto
mella decedunt viridique certat
baca Venafro;
ver ubi longum tepidasque praebet
Iuppiter brumas et amicus Aulon
fertili Baccho minimum Falernis
invidet uvis.
Ille te mecum locus et beatae
postulant arces; ibi tu calentem
debita sparges lacrima favillam
vatis amici.
Quinto Orazio Flacco
(Venosa 65a.C-Roma 8a.C.)
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Quell’angolo di mondo più d’ogni altro
m’allieta, là dove i mieli a gara con quelli
del monte Imetto2 fanno e le olive quelle
della virente Venafro3 eguagliano;
dove Giove primavere regala, lunghe, e
tepidi inverni, e dove Aulone4, caro pure a
Bacco che tutto feconda, il liquor d’uva dei
vitigni di Falerno5 non invidia affatto.
Quel luogo e le liete colline Te chiedono
accanto a Me; dove tu lacrime spargerai,
come l’affetto tuo esige nei confronti miei,
sulla cenere ancòra calda dell’amico tuo
poeta.
(e. v.)
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Qualunque cosa si voglia dire di questo
nostrano rivoletto si avverte a livello
1
Tipologia di unità monetaria Tarentina:
Didracma d’argento - 430-425 a.C.
Recto: l’eponimo Taras cavalca nudo un delfino (simbolo
del dio Apollo). Il frutto di mare è un canestrello, figura
dell’abbondanza accordata dal dio Nettuno ai Tarentini.
Ai bordi del campo, (a partire dall’alto ore 12) è leggibile
l’iscrizione in greco arcaico “TARANTINON ”.
Verso: Falanto di Sparta. L’ecista, seminudo con
l’himátion sugli arti inferiori, è seduto su uno sgabello di
bronzo a quattro piedi. Con la mano sn. regge un fuso per
la lavorazione della lana(!) e con la ds. un kantharos, ossia
una tazza per degustare ottimo vino delle vigne locali(!)
Dal sito: “Phalantos Coinage” [Classificazione di e. vetrò].
Pausania, scrittore e storico greco della seconda
metà del II sec. a.C., nella sua opera “Periegesi della
Grecia”, Lib. X, ci dice che Falanto, l’ecista
(fondatore) spartano al seguito dei Parteni, fondò
Taranto e ne divenne re intorno al 706 a.C.
2
Un monte ricco di timo, oltre che di miele, presso
Atene nell’Attica.
3
Città della Campagna, ai confini del Sannio,
situata in una fertile pianura; era rinomata per il
suo olio.
4
Studiosi accreditati, diversi anni or sono, hanno
supposto che si trattasse di Monte Melone, una
piccola altura nei pressi della marina di Pulsano.
5
Agro di Falerno. Regione della Campania sett.,
ancora oggi rinomata per l’eccellente qualità dei
vini che produce.
1
epidermico la necessità di partire da Q. Orazio
Flacco. Il poeta venosino più di duemila anni or
sono riuscì magistralmente a comporre uno
spartito di sentimenti e musicalità elegiaca che
faranno per sempre da cornice preziosa alla
storia della “imbelle Tarentum”(Taranto la
pacifica),[Orazio, Epist. I, 7, 45], peraltro già
apprezzata e rinomata in quel tempo per la
sorprendente raffinatezza dei costumi: “nobilis
et opulentissima urbs”, a detta dello storico di
Roma Tito Livio [(59 a.C - 17A.D.) - Ab Urbe
Condita L. XXI, 15)].
Il cantore latino dei Carmina, con sublime
semplicità, ma anche con lo spirito di un
novello Cincinnato, ci mette a parte del suo
entusiasmo, tutto rigorosamente ecologico si
direbbe oggi, nel dipingere di rutilante verde
agrestità e di amena quiete la dolce terra di
Taranto, il luogo della bella morte. La sua è
tersa poetica filmica. L’obiettivo verbale agile e
accorato ci fornisce primi piani intrisi di
suggestione.
Ecco allora le brucanti pecore, “ovibus”, dalle
lane pregiate e più che mai rinomate,[“Lana
Tarentino violas imitata veneno”, Orazio, Epist.
II, 1, 207], che certo dovevano apparire goffe
ed impacciate agli occhi di un foresto che si
trovasse a passare da quelle parti. Era, infatti,
inconsueta abitudine dei pastori locali
l’involgere in pelli conciate di animali, dunque
“pellitis”, l’apprezzatissimo vello delle loro
greggi,
a
mo’
di
cappottino,
per
salvaguardarne la qualità da intemperie e da
ogni altro potenziale agente nocivo. Tutto
questo viene poi confermato da un erudito
latino dalla cultura enciclopedica, Marco
Terenzio Varrone (116 ca.-27 a.C): “Pleraque
… longum … tepidasque brumas”, dono pio
e generoso elargito dall’onnipotente re
degli dei, il “Pater Iuppiter”.
E il miele, e le olive, e il vino dal genuino
bouquet, prodotti di una terra benedetta,
che non potevano e non dovevano temere –
spero mi si perdoni la commistura di
classico e di economico ipermoderno - il
marchio D.O.C. di frutti messi a coltura in
agri per così dire reclamizzati in diretta
dallo stesso poeta di Venosa. Il tutto
all’insegna di un immaginario, che
facendosi sempre più collettivo, porta il
fiumicello tarentino e la nobile area su cui
insiste ad essere identificato con l’“èu
tópos”,ovvero il luogo ideale per eccellenza,
dove rifugiarsi dalla frenetica quotidianità
(già d’allora!) e, perché no?! dove poter
ben volentieri trascorrere, quandanche
indulgendo ad una serenità melanconica,
quel che rimane del tempo che gli Dei
dell’Olimpo e le “Parcae”, (il destino!),
hanno voluto benevolmente accordare. La
dovizia dei particolari fornita con ispirati
colpi di pennello, ma così pregni di
sorprendente realismo, lascia facilmente
intuire che Orazio doveva conoscere bene
la “molle Tarentum”[Sat. II, 4, 34] e
ovviamente il suo amato Galaesus.
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similiter faciendum in ovibus pellitis, quae propter
lanae bonitatem, ut sunt Tarentinae et Atticae,
pellibus integuntur, ne lana inquinetur quo minus vel
infici recte possit vel lavari ac putari.” [La stessa cosa
deve essere fatta con le pecore impellicciate, quali quelle del
Tarantino e dell’Attica, che per l’alta qualità del vello,
vengono avvolte di pelli, perché la lana non si macchi, o
quanto meno possa essere tinta in modo appropriato, o
perché possa essere lavata e ripulita.], De re rustica, II,
2, 18.
Ecco il tratteggio del “Galaesi flumen” dalle
fresche, albe e placide acque, ricco allora di
tigli, platani, olmi e tantissimi pini che lo
rendevano “ombroso”: “Tu canis ombrosi
subter pineta Galaesi”. [“Tu, (Virgilio) canti per
le pinete del Galeso ombroso”], afferma il poeta
latino Sesto Properzio, (47 ca. – 15 a.C.), nelle
Elegie, Libro, II, 34, 68.
Il clima poi risulta dolcissimo e fonte di
“Il fiume Galeso è un breve corso d’acqua lungo appena
900 m. che sfocia nel 1° Seno di Mar Piccolo di Taranto; ha
una portata variabile tra i 43.922 mc/g nel periodo estivo e i
56.928 mc/g nel periodo autunnale, ed è alimentato da
sorgenti ipogee di acqua salmastra.” (Foto di Massimo
Vetrò - 29 Marzo 2005).
Marano, G. - Vaccarella, R. - Pastorelli, A. M. Martino, G. – “Alterazioni antropiche sulla biocenosi
del fiume Galeso (Mar Piccolo - Taranto)” - in:
Thalassia Salentina, vol. 15, 1985 (pp. 53 – 61 ).-
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benessere per il corpo e per la mente, “ver
2
È ragionevole ritenere che il poeta fosse già
stato a Taranto, in compagnia del suo
potente protettore di stirpe regale e
inseparabile amico Mecenate, che egli
considerò sempre “la metà dell’anima sua”.
[A titolo puramente informativo costui gli
era stato presentato da P. Virgilio Marone,
l’autore dell’Eneide. Mecenate divenne del
versificatore venosino amico a tal punto
che intorno al 33 a.C. gli fece dono di un
podere nella Sabina, regione storica del
Lazio, presso Tivoli]. È stato difatti
appurato che il consigliere di Gaio Giulio
Cesare Ottaviano giunse dalle nostre parti
in veste ufficiale di negoziatore, con un
compito particolarmente delicato da
portare a termine: sottoscrivere un accordo
politico tra il futuro primo Imperatore di
Roma e Marco Antonio (nipote di Giulio
Cesare!), colui che diventerà l’amante di
Cleopatra, regina dell’Egitto. Nella nostra
città gli esperti di latinitas più accreditati ci
dicono che Orazio vi rimase un bel po’ di
tempo: fra il 37 e il 36 a.C.6 Ciò permise
all’insigne quanto mai abile verseggiatore
di ricavare gradatamente una esaltante
impressione dalla nostra città, situata
allora nella Taranto Vecchia dell’attuale
penisola compresa fra i due ponti. Egli,
pertanto, ebbe modo di scoprire ed
apprezzare le bellezze di “ille terrarum …
angulus” (quell’angolo di mondo), ivi
compresi i prodotti dell’enogastronomia
locale, diremmo tranquillamente oggi nei
panni di turisti della domenica: “mella”,
“baca”, “uvis”, ovvero miele, olive e vino
schietto e sincero, e molto probabilmente
l’afrore tutto particolare dell’aglio locale
“porri”, ancora decantato con entusiasmo
ai tempi del poeta Marco Valerio Marziale
(40ca. A.D. - 104ca. A.D.): “Fila Tarentini
graviter redolentia porri/edisti quotiens,
oscula clusa dato”(Tutte le volte che avete
mangiato l’aglio di Taranto dalla forte
fragranza baciate sempre con la bocca
chiusa) [EPIGRAMMATOM - LIBER XIII
XENIA - XVIII: “Porri Sectivi”]].
Che il Galeso fosse conosciuto e tenuto in
conto in epoche di gran lunga precedenti
rispetto al tempo in cui Orazio fu in vita ce
lo conferma lo storico greco Polibio (205125/120 a.C) grazie alle sue “ Istorìai ”. Nel
Libro VIII, 35 egli narra di Annibale che
nel corso della seconda guerra punica tra
Roma e Cartagine, giunge con il suo
esercito a Taranto nel 207 a.C. e, avendo
costui “lasciato sufficiente numero di soldati e i
necessari cavalli a guardia della città e a difesa del
mare, pose gli accampamenti in un luogo discosto
dalla città quaranta stadi, presso il fiume chiamato da
alcuni “Galeso” ma dalla maggior parte “Eurota”
che bagna la Laconia e corre presso Sparta: ed ha
molta somiglianza la campagna e la città dei
Lacedémoni, con quella dei Tarentini, perciocché
questi sono, a detta di tutti, coloni ed anche congiunti
7
di sangue dei primi” .
“Eurota”, dunque, in luogo di “Galeso”,
nella terra opulenta dell’ecista Falanto e
dei suoi Parteni, presumibile ingiunzione
dell’eroe una volta approdato sul nostro
litorale (località Satyrion = Saturo!)
nell’VIII sec., intorno all’anno 706 a.C.!
Alla luce di quanto ci viene tramandato è
lecito supporre che essi trovassero il nostro
corso d’acqua dolce affine al fiumicello che
scorreva nei pressi di Sparta, da qui il
patronimico geografico. Motivi affettivi?!
Psicologici?! Politici?!Chi può asserirlo con
certezza oggi?! È in ogni caso pressoché
fuori discussione che per molto tempo il
nostro rivoletto si chiamò Eurota (dal greco
“εύρoέω” = “che scorre bene”).
Orazio
(L'immagine è tratta dal sito Venosa città di Orazio)
6
Cfr.: Adolfo Gandiglio – “Presso il Galeso”, a cura
di Paolo De Stefano, Scorpione Editrice, Taranto,
1993, pag. 36.
7
Cfr.: Felice Presici, “Falanto e i Parteni”, Pietro
Lacaita Editore, 1990, pag. 45.-
3
Scampoli di “Gal” … aesus” nella letteratura italica
La semantica della componente tematica “Gal” in seno all’idronimo “Gal/aesus” ha
solleticato la curiosità tutta intellettuale di non pochi studiosi locali. Le relative indagini
effettuate in siffatta direzione – più per la tenuità delle fonti storico-letterarie a disposizione,
ad onor del vero - hanno lasciato in buona sostanza insoddisfatti i numerosi interrogativi
sollevati. Le supposizioni maggiormente accreditate si rivelano in ogni caso affascinanti e
coinvolgenti. La certosina “collectio” critica e ragionata delle ipotesi più attendibili è stata
effettuata dal “vir doctissimus”, il Chiarissimo Prof. Paolo De Stefano, unanimemente
riconosciuto da sempre come faro della cultura tarentina e non solo, (europea! io direi a
buona ragione) di cui mi onoro di essere amico, e per tantissimi aspetti allievo. Il suo volume,
nei confronti del quale il mio modesto presente contributo è estremamente riconoscente, si
rivela in tal senso deliziosamente esaustivo.8
“Gal” conferirebbe “al piccolo grande rivolo”, secondo taluni, il significato di “fiume freddo”,
dalle “acque fresche”. Secondo altri, per contro, il tema rientrerebbe nell’ambito dell’aggettivo
“albus”, che più che “limpido”, avrebbe l’accezione di “bianco”, alludendo “al candeggio delle
lane che si esercitasse in quelle acque”9. Catald’Antonio Atenisio Carducci, umanista e
traduttore poetico delle “Deliciae Tarantinae” di Tommaso Niccolò D’Aquino(1625-1721),
farebbe risalire il nome del fiumicello alla nozione di “tosare”. L’etimo - riveniente a suo dire
dai Fenici - si spiegherebbe, infatti, con l’abitudine d’immergere le pecore nelle acque del
Galeso per rendere più lucide e morbide le lane prima di procedere all’operazione di tosatura.
Lo stesso Carducci non escluderebbe poi l’accezione di “halesus”, ovvero di “fiume giocondo
per l’ubertà del pascolo”10
“Versi” che serbano memoria di un “fasto” ancestrale
Si è già discettato di Orazio e della sua “Aurea Mediocritas”(Odi, II,10,v.5), ossia dell’ansia
tutta sua di volere cogliere i piaceri della vita in contesti semplici e/o bucolico-pastorali come
quelli del Galeso, discosto dai clamori della vita frenetica dell’Urbs, la Roma Caput Mundi.
Egli fu anima piuttosto incline a schivare la mondanità di “Gentes” del suo tempo (noi
diremmo oggi VIP = very important person/s), molte delle quali si mostrarono sinceramente
amiche e disponibili nei suoi confronti: vedi Mecenate, Virgilio e lo stesso Imperatore
Ottaviano Augusto. A puro titolo informativo ed esemplificativo qui di seguito sarà citata(!)
la stragrande maggioranza di quanti cantarono le lodi del nostro casalingo rivo d’acqua o
concorsero ad accrescerne la dignità, sia pure a volte con stringati ma sempre felici richiami.
La sintesi illustrativa che si andrà a riportare mal si addice all’ampiezza e alla possente
valenza culturale della disquisizione socio-storico-letteraria intrapresa da tanti illustri studiosi
predecessori sul Galaesus, di ciò si è pienamente consapevoli e in tutta scienza e coscienza si fa
ammenda. Il presente lavoro vuole avere solo la modesta pretesa di fornire dati il più
possibilmente semplici ed immediati, in un’ottica di fruizione più ampia possibile, nella
convinzione di contribuire almeno un tantino ad inculcare l’amore per il nostro fiumicello e
quindi per la nostra terra. In ogni caso, coloro che intendessero sollazzarsi con trattazioni di
gran lunga più esaurienti in materia non devono assolutamente lasciarsi sfuggire
l’opportunità di gustare la lettura del delizioso volume del Chiar.mo Prof. P. De Stefano.
8
Cfr.: Paolo De Stefano, “IL GALESO nella poesia latina”, PR.A.SS.I. s.r.l., Taranto, 1999, pp. 139-144.Ibidem, pagg. 140-141.
10
Ib. pag. 142.
9
4
PUBLIO VIRGILIO MARONE
(70 a.C - 19 a.C)
…
Namque sub Oebaliae memini me turribus arcis,
qua niger umectat flaventia culta Galaesus,
Coricyum vidisse senem, cui pauca relicti
iugera ruris errant, nec fertilis illa iuvencis
nec pecori opportuna seges nec commoda Baccho …
Georgiche, libro IV, 125-129.
“De Coricio sene”
…
Ricordo, sotto le torri della rocca di Ebalia (Taranto) dove
l’ombroso Galeso scorre fra la bionda campagna di
aver visto un vecchio di Còrico che aveva pochi
iugeri di campo abbandonato, terra al lavoro dei buoi
infeconda, non adatta alle greggi né buona per la
vite cara a Bacco.
===========================================
SESTO PROPERZIO
(50-46 ca. a.C. – 15 (?) a.C)
…
Tu canis umbrosi subter pineta Galaesi
Thirsyn et attrutus Daphnin harundinibus.
Elegie, libro II, 34, 67-68.
…
Tu canti (o Virgilio) per i boschi di pini dell’ombroso Galeso
Tirsi e Dafne con le loro vecchie canne.
============================================
IACOPO SANNAZARO
(1456-1530)
…
Mox salentinus ibis metator in agros
qua secat Oebalia culta Galesus aqua.
Elegie, libro III, I, 73-74.
…
E subito andrai di là a segnare i confini delle
terre salentine per dove il Galeso bagna con
l’acqua sua gli ebalici (tarentini) campi fecondi.
5
TOMMASO NICCOLÒ D’AQUINO
[Taranto(!) (1665-1721)]
…
Hic sed mira canam; nigras qua aequora conchas
Oebaliae servant, riguo data munera Coelo
edocuit quendam indigenum, qui culta, Galaesus,
alluit, et parvo Numen qui presidet alveo.
Deliciae Tarentinae
Libro II, 263-266.
…
Qui tuttavia prenderò a cantare cose mirabili,
dirò dei nicchi neri tarentini il cui seme,
dono del Cielo, insegnò ad un tizio del luogo
il Galeso che i campi coltivati bagna
nel suo breve percorso, un dio che
quelle acque presiede.
…
Tunc vero numen pavitatem, ac multa timentem
talibus aggreditur dictis: absiste moveri,
Antigenes piscator, aquae sum praeses, et alvei
fluctibus allabens felicia culta Galaesus.
Deliciae Tarentinae
Libro II, 302-313.
…
E repentinamente quel dio ad Antigene che molto
teme e che ha paura così gli parla: O pescatore
Antigene non andare via; io sono il Dio
del fiume; io sono che rendo, con le onde,
sempre più ubertosi i campi che bagna il Galeso.
====================================
GIOVANNI PASCOLI(!)
I
(1855-1912)
Unam vidi apem cum secum diceret aeger
Vergilius: « Sic est tepet tibi bruma, Tarentum?
sic mihi terrarum super omnes, angule, rides ?
sic, flumen, glacie consistis, dulce Galaesi ?
…»
Liber De Poetis
Senex Corycius – Cilix, (1-4).
Parte I
Vide un’ape Virgilio quando fra sé e sé rattristato
diceva: “È questo dunque, Taranto, il tuo inverno tiepido? È
questo l’angolo che sopra ogni altra terra a me sorride? È
questo il dolce fiume Galeso, ora sbarrato dal gelo? …”
============================================================
6
ADOLFO GANDIGLIO(allievo di
G. Pascoli)
(1876-1931)
…
Turres adverso procul ardens sole Tarenti
interlucentis supra pineta Galaesi.
Prope Galesum, 41-42
…
Di lontano brillano di contorno al sole
le torri di Taranto sopra la pineta del
Galeso che di luci traluce .
“Galaesus” oggi …
Cronaca di un “barbone” in agonia!
(Foto panoramica del 29 Marzo 2005 - di Massimo Vetrò)
L’inesorabile degrado subìto dal Galeso e dall’area in cui insiste ci sovviene a partire dalle
testimonianze di scrittori e giornalisti stranieri che giunsero dalle nostre parti sin dal secolo
XVIII11, tanto da mettere in dubbio che non fosse questo il fiume così carnalmente celebrato
da Orazio. Da quell’epoca le cose andarono via via peggiorando. La scalata vera e propria
della negatività subì un’accelerazione fatale a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, quando
abusivismo, usi impropri e la successiva costruzione del Ponte di Punta Penna Pizzone
infersero al fiume un duro colpo sotto il profilo dell’immagine paesaggistica [furono abbattuti
centinaia di eucalipti e altrettanti morirono soffocati dal materiale di risulta allorché si dragò
dissennatamente il fiumicello e se ne cementificarono in più punti gli argini]. L’opera di bonifica
provocò lo stravolgimento dell’ecosistema fluviale e l’aumento dei livelli di salinità
11
P. De Stefano, ibidem, pp. 104-107 ; pp. 142-144.
7
testimoniati da studi autorevoli(vedi didascalia sotto la foto a pag. 2 del presente lavoro). In un
articolo di Antonio Rizzo sulla Voce del Popolo, 197112 si legge:
“…Fermiamo i tecnici della Cassa del Mezzogiorno. Fermiamo l’opera degli sradicatori di alberi
e degli sbancatori di argini di alberi e degli inquinatori di acque. Ma soprattutto salviamo il
Galeso dall’incuria, dalla sonnolenza, dal quietismo dei Tarantini. In quale altra città d’Europa
un fiume così ricco di memorie storico-culturali sarebbe stato abbandonato all’inciviltà di coloro
che lo hanno trasformato in lavatoio pubblico per automobili? In quale altra città d’Europa si
sarebbe lasciata perdere l’occasione per trasformare una zona ricca di acque sorgive in un ampio
e riposante parco pubblico? … ”.
Alla
luce di quanto appena quotato sorge spontaneo l’interrogativo: perché la
ristrutturazione dell’area Cimino e la creazione del relativo parco (bellissimo ad onore del
vero!) sono riuscite ad avere la meglio in fatto di priorità su un Galeso dal passato così vetusto
e dalla valenza culturale così altisonante, e anch’esso disperatamente bisognoso di qualunque
forma di soccorso?! Immaginate per un attimo quanto è stato fatto per Cimino
completamente trapiantato sul Galeso … L’ottava meraviglia del mondo! Per non parlare poi
delle ricadute occupazionali a vocazione interamente turistico-culturale! Miopia?! Interessi
economici?! Gelosia?! Egoismo?! Indifferenza totale?! Solo Domine Iddio può saperlo …
Quanto rimane drammaticamente attuale quell’articolo!? Se non sei di questa terra, se non
sei un figlio del sud che crede nella fedeltà e devozione delle messi dei suoi campi, nei muri a
secco che ancora oggi separano agro da agro la ricchezza fatta di vigne ed oliveti, allora
rassegnati! Non potrai mai, dico mai, capire il dolore e l’emozione che all’unisono ti
attanagliano il cuore e ti accartocciano l’anima sin nelle sue più recondite pieghe, nel vedere
UNA CREATURA così barbaramente bistrattata, schiaffeggiata, umiliata, annichilita e
violentata all’infinito. No! No! Non lo potrai mai capire questo scempio che continua a
perpetrarsi ai danni del nostro SPLENDIDO BARBONE! No! Se non sei nato in questa terra!
(Foto del - 29 Marzo 2005 M. Vetrò).
Ambiente acquatico sempre più oligotrofico “le ricche e pescose acque”
12
Antonio Rizzo, da la “Voce del Popolo”, anno LXXXVIII, n.14, 10 aprile 1971.
8
’U mè’, sté’ ttremíjende aqquáne?!
…
… Honne chiatráte l’alíe … !
… ôtre le chiàcchiere!
(Foto del - 29 Marzo 2005 - M.V.)
Tubi di cemento e cementificazione nelle “limpide acque”
(Foto del - 29 Marzo 2005, M.V.)
“Riposano” e si ammonticchiano i detriti nella desolazione della “pineta ombrosa”
9
(Foto del 29 Marzo 2005 - M.V.)
Diradamento e morte! della flora … sul “niger Galaesus!”
La foce del “flumen” di Orazio! … (Ogni commento risulta superfluo!).
(foto del 29 Marzo 2005, M.V.)
10
“Se stè squàgghie ’u sànghe ìndr’a ’lle véne!”
… Plastica in luogo dei fiori della “lunga primavera tarentina”
(Foto del - 29 Marzo 2005, M.V.)
(Foto del - 29 Marzo 2005, M.V.)
… E l’ombrosa pineta?! Che fine ha fatto?!
11
Al mio “Galeso”con grande affetto e simpatia!
« Tànne se cchiànge ’u bbéne, quànne se pèrde!»
(Foto del - 29 Marzo 2005, M.V.)
…
Ga … leso
In pàtio angusto
di platani cenciosi
il Diafano Barbone
sonnecchia e si gode
i suoi silenzi limosi.
e le pecore felici
dal pregiato stame?
Innanzi alla verde folla
di erba accovacciata sulle sponde
il vento conta le Sue favole
con le lingue delle foglie ...
piano ... quasi le bisbiglia ...
per non turbarne i sogni.
Dalla sterposa alcòva
scivola il suo presente
chiòccola e s'inalba
nel pèlago del disamòre.
Le Ninfe, i vogliosi Fauni
che t'avvolsero di mito
dove sono? Dove i pastorelli
coi flauti festanti
Enrico Vetrò
12
BIBLIOGRAFIA
• “La città antica di Taranto”, Mandese Editore, Martina Franca (Ta), 1989.
• Adolfo Gandiglio – “Presso il Galeso”(“Prope Galesum”), a cura di Paolo
De Stefano, Scorpione Editrice, Taranto, 1993.
• Andrea Martini, “Breve storia di Taranto”, Jonica editrice, Taranto,1969.
• Antonio Rizzo, da la “Voce del Popolo”, anno LXXXVIII, n.14, 10 aprile
1971.
• D’Aquino N.T., “Delle delizie Tarantine”, Raimondiana, Napoli 1771.
• DE VINCENTIIS D. L., “Storia di Taranto”, presentazione di Cosimo
Damiano Fonseca, Mandese Editore, Taranto, 1983.
• Felice Presicci, “Falanto e i Parteni”, Pietro Lacaita Editore, Manduria
(Taranto), 1990.
• G.Pascoli, “Poesie Latine”, a.c. di M. Manara Valgimigli, Milano 1970.
• Hooker J.T., “Gli Spartani”, Bompiani, Milano, 1984.
• Nicola Gigante, “Dizionario della Parlata Tarantina”, Mandese editore,
Taranto 2002.
• Orazio, “I Carmi”, Felice Le Monnier, Firenze, 1965, XVII edizione.
• Paolo De Stefano, “IL GALESO nella poesia latina”, PR.A.SS.I. s.r.l.,
Taranto, 1999.
• Pausania, “Periegesi della Grecia”, Libro X, Classici della BUR, Milano,
1997, 2a ed.
• Polibio, “Le Storie”, U.T.E.T., Torino, 1885.
SITOGRAFIA
• WWW. Progettopo.net/percorsi. Taranto.htm.: “Indagini sulle diatomee
del fiume Galeso e loro possibile uso come bioindicatori”, di Bruno Fasano.
• WWW.unisaat.it/images.
• Marano, G. - Vaccarella, R. - Pastorelli, A. M. - Martino, G. – “Alterazioni
antropiche sulla biocenosi del fiume Galeso (Mar Piccolo - Taranto)” - in:
Thalassia Salentina, vol. 15, 1985 (pp. 53-61).
• http://www.wildwinds.com/coins/greece/calabria/taras/i.html.
• http://www.fondazionemichelagnoli.it/editoria/provincia_SM&C/prov_tar
anto%20pagg33-60.pdf
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Taranto, addì 31 Marzo 2005, 17.30 hrs.
Enrico Vetrò
Nota dell’autore: 12.06. 2009
Qualcosa è stato fatto nei mesi scorsi per il recupero del nostro piccolo grande fiumicello. Si
tratta comunque di una goccia in mezzo all’oceano della indifferenza e disinformazione.
L’interessamento al nostro liquido barbone avviene quasi sempre in corso di momenti caldi
sotto il profilo politico, come le campagne elettorali, per la solita captatio benevolentiae. Poi il
fragoroso silenzio! Lo capirebbe anche il più sprovveduto dei nostri conterranei che con la
grave crisi in cui versa la nostra città, una priorità di stanziamento economico anti degrado e
abbandono - teso a risolvere il vergognoso caso Galeso una volta per sempre - costituirebbe la
più gigantesca delle fantasticheria. Spero tanto di potermi sbagliare. I fatti, per contro, ci
dicono che la barbarie tutta nostrana è sempre in agguato e pronta in ogni momento a
martirizzare la liquida creatura. Qualche Tarantino abbia OGGI! la compiacenza di
ammirare in tutta tranquillità lo spettacolo che si para agli occhi di chiunque lì dove il
fiumicello si riversa in mare, e rifletta sugli interventi sciorinati dai nostri cittadini di buona
volontà sui mass media locali! E poi chi andrebbe ora come ora ad ammirare un fiume
pregevole quanto si vuole sotto il profilo storico – ma ahimè sito in un luogo isolato privo di
qualsivoglia vigilanza locale, alla mercé di qualunque male intenzionato?! Altro dato
incontrovertibile è che LA GRAN PARTE dei nostri giovani di Taranto IGNORA la storia
millenaria del Galeso. Ammirevole lo sforzo informativo di qualche isolato docente di scuola
media tarantina. La classica cattedrale nel deserto! Provare per credere. Sarebbe bello dare a
noi Tarentini un parco Galeso, un sogno! Forse questo avverrà un giorno. Monito! Purché
non abbia a fare la fine del Parco Cimino!
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LA
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CITATEMI IN DETTAGLIO! QUESTA È LA CORTESIA CHE VI CHIEDO!
CITATE SEMPRE LE FONTI DEI VOSTRI PRELIEVI! LA COSA NON POTRÀ
CHE FARVI ONORE, GIACCHÈ RATIFICHERÀ SENZA OMBRA DI DUBBIO
IL VOSTRO IMPEGNO A NON VOLERVI ATTRIBUIRE MERITI E …
SOPRATTUTTO DEMERITI … CHE NON VI APPARTENGONO. NEL FARE
QUESTO GRATIFICHERETE NON POCO CHI HA LAVORATO IN BUONA
FEDE E TANTO, CON LA IMPERDONABILE PRESUNZIONE DI POTERE
CONTAGIARE QUALSIVOGLIA LETTORE CON IL VIRUS DELL’AMORE
PER L’INDAGINE E LA CONOSCENZA! Enrico Vetrò
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