GARFAGAA
IL GIORALE DI CASTELUOVO DI
Redazione via traversa Vecchiacchi, 17 - 55032 Castelnuovo di Garfagnana (Lucca).
Email: [email protected] - www.ilgiornaledicastelnuovo.it
Anno VII - Numero 59 - Aprile-Maggio 2013
Direzione via Terme di Traiano, 25 - 00053 Civitavecchia (Roma)
Registrazione n. 871/07 del 19/12/2007 presso il Tribunale di Lucca
Come si studia, si disegna e si definisce l’elettorato
Il tuo voto tra testa, cuore e pancia
Quando si avvicina aria di elezioni
escono dai cassetti vecchi elenchi.
Sembra strano ma in Valle ci sono persone che si sono prese la briga di classificare gli elettori: nome per nome, casa
per casa, famiglia per famiglia. In verità
non è una cosa di questi anni. La classificazione è eredità della prima Repubblica, quando si sapeva tutto di
tutto o quasi.
O per lo meno si pensava così
fosse.
Seguire quei vecchi elenchi potrebbe portare oggi a sconvolgenti
risultati
perché
la
modulazione e lo studio del voto
non si fa più partendo dalla domanda “chi vota chi”, ma dal
tentare di districare il nodo di
“come vota chi”.
Siamo giunti a questo dopo la
fine di una ben chiara ripartizioni
classista della società; non esiste
più il blocco dei piccolo borghesi,
dell’alta società, della classe operaia, degli agricoltori o degli studenti. Tutto, come afferma
Bauman, oggi è “liquido”, sfuggente, difficilmente classificabile
e collocabile: per questo la vecchia regola del “chi vota chi” non può andare
più bene.
In questi anni si è cercato di studiare il
meccanismo per capire dove e come si
sposta il voto e sempre di più si è parlato di “nuove comunicazioni politiche”.
Esempio principe è il successo di
Obama, derivato in buona parte dall’uso di queste nuove regole. Ma non
può bastare come risposta, visto che
negli Stati Uniti votano solo il 50% degli
aventi diritto e la società è divisa tra
tanti e innumerevoli nord e profondi e
sperduti sud.
Le regole sono però necessarie per evitare il crollo della nostra piramide o per
lo meno di rivivere una nuova rivoluzione sociale che in meno di 30 anni (tra
il 1945 e il 1975) ha visto scomparire
dalla nostra società nobili, commendatori e ufficiali di ogni ordine e grado (il
ché non è poi stato un gran danno).
Ma torniamo alle nostre classificazioni.
La prima e fondamentale è quella di
cercare di comprendere “come vota
chi”. In altre parole ricreare le vecchie
fasce di elettorato, seguendo però tracciati di congiunzione diversi.
Quasi banalmente, in assenza di etichette sociali, oggi l’elettore viene diviso in tre grandi categorie: chi vota con
la testa; chi vota con il cuore; chi vota
con la pancia.
Vediamo in dettaglio di capire meglio
di cosa stiamo parlando (e cercate anche
voi di capire a quale categoria fate
parte).
L’elettore che vota con la testa è fortemente condizionato da elementi razionali e oggettivi. Quando si trova nel
segreto dell’urna risponde a logiche
meccaniche ben definite e chiare.
Questo elettore “deve qualcosa a qualcuno”, per favori ricevuti, per ricono-
scenza ma anche per un tornaconto personale o familiare. Si vota il determinato
schieramento politico perché si rincorre
una promessa che farà comodo. Dunque si vota Berlusconi perché toglierà
l’Imu e i Comunisti, o si vota per Bersani perché toglierà Berlusconi e i neofascisti (proprio per capirci fino in
fondo).
Ovviamente questa parte di elettorato è
la maggiore e più folta e rappresenta
numericamente il 40% dei cittadini.
Si può anche votare con il cuore: ovvero con le passioni, i sentimenti, i ricordi, le speranze, i desideri, che non
riguardano però i piccoli ambiti familiari ma grandi concetti umani.
Mi riferisco a coloro che seguono le idee
che muovevano la prima Repubblica
(dunque democristiani, liberali, comunisti, neofascisti, etc.), che cercano in
cuor loro di tornare ad una politica legata a schieramenti e idee come lo furono quelle che divisero e governarono
l’Italia dal 1945 al 1993.
Naturalmente tra questi ci sono gli “innamorati” degli uomini intesi come
Caudillio o Conducador che possono incarnare queste idee: un esempio è Renzi
nel quale buona parte del nostro elettorato ha visto l’uomo d’ordine, democristiano (dunque non certo rivoluzionario
e sovvertito dell’ordine borghese), ma
anche progressista quel tanto che basta
per far convergere su di lui una fetta
enorme di consensi (per questo è stato
ricacciato in malo modo a Firenze).
Questo gruppo si attesta grosso modo
al 20%.
Infine troviamo l’elettore che vota con
la pancia.
Questo gruppo è nato con la seconda
Repubblica ed è formato da uomini e
donne pronte a spostarsi in maniera
massiccia da uno schieramento all’altro.
Si vota facendosi condizionare dai mass
media, ma anche dai fallimenti di un
uomo o di un partito.
Definiti gli artefici dell’alternanza in quel modello quasi
naufragato del bipartitismo,
valgono circa il 20% del corpo
elettorale.
Qualcuno li identifica tra chi ha
votato Grillo ma commette un
grave errore. Il Movimento 5
Stelle ha estratto elettori in maniera quasi equa da tutti i contenitori elettorali e continuerà a
farlo fino a quando non si
andrà a creare una nuova realtà
fluttuante.
La storia ci aveva già donato
esempi come “L’uomo qualunque” di Giannini nel 1946 o la
Lega prima maniera modello
1994 (quella del celodurismo,
tanto per capirci o dell’accoltellamento alle spalle del primo governo
Berlusconi).
Abbiamo incontrato circa l’80% degli
elettori ma il mancante 20% cosa fa all’interno delle urne?
Questa fetta di elettori non può essere
classificata perché fluttua senza alcuna
definizione. Molti vengono incasellati
tra gli elettori che decidono solamente
quando si trovano la matita in mano al
seggio. Difficile conquistarli, perché
sono i veri figli della terza Repubblica.
Esprimono il loro voto per simpatia o
antipatia, ma scoperta irrazionalmente,
casualmente, magari dopo una bevuta
al bar.
Tutto è legato al caso e tra questi ci sono
anche quelli del partito della fetta di salame.
Ovvero, come dicono a Roma, “e ora magnateve pure questa”.
Come vedete definire “come vota chi”
appare complesso e difficile, ma la politica si sta armando per superare anche
questo nuovo problema.
La domanda a questo punto è una sola:
se volessi candidarmi a fare il Sindaco
di Castelnuovo come potrei vincere le
elezioni?
La risposta è una sola…
Andrea Giannasi
Si tenghino anco quello
“E oté ‘un l’hai visto che alla fin avevino ragione quelli che dicevino che sarebbe
tòrna la Democrazia Cristiana? Io canci anco il Giornale di Castelnovo avea
messo la balena bianca e il governo del nipotin di Letta è pròprio tutto zeppo di
democristiani”.
“O bischero e te pensavi che avrebbiro dato il giochin a qualchedun’altro? Se lo
tenghino ma ben stritto, stritto”.
“E òra?”
“E òra prepariti: sian nati democristiani e morian democristiani. E c’è di bello
che almen si va diritti in paradiso senza passa’ dal purgatorio”.
“Sì, e te ci credi bellin. Si tenghino ma anco quello”.
Il merlo giallo
Domani
Nel 1990 sono andato ad abitare a Pisa
dove studiavo Storia e lavoravo come
bibliotecario. Poi nel 1994 sono finito
a Siena dove ero giornalista al Cittadino – famoso quotidiano battagliero
in una città ante-litteram -, laureato in
Storia contemporanea (tecnica militare) e oste al Perbacco, in Pian d’Ovile
(contrada della Lupa); poi sono finito a
Civitavecchia come editore e dal 2005
abito a Lucca (a un passo dalla mia
terra), tra le mura, a occuparmi di libri,
storia (e storie) e comunicazione.
Questa la mia carriera che ricalca fedelmente quella di tantissimi giovani
che oggi dalla Garfagnana partono e
se ne vanno in giro per il mondo. Chi
a Pisa, chi a Milano, chi a Bruxelles, chi
a Londra.
Riprendono le strade dei nonni – il
mio se ne andò per qualche anno con i
genitori dopo il terremoto del ’20 in
Brasile – ma con maggior competenza
e professionalità. Sono laureati e specializzati o hanno comunque un mestiere tra le mani. Sanno fare qualcosa
che qui in valle non esiste o è già coperto professionalmente da altri.
E del resto l’onorevole Biagioni e lo
Stato ormai non ci sono più ad aiutare
e tutelare.
Alcuni tornano e dopo aver aperto la
mente vedono la nostra terra in maniera differente e cercano quindi di
portare idee e fare proposte. Vorrebbero cambiarla e in meglio, la Garfagnana, scontrandosi spesso con chi
non li capisce. Con chi vuole “non
cambiare” perché ha paura del futuro.
Certo segni frutto di ignoranza.
Anche per questo è tornata l’emigrazione che però non fa paura come un
tempo. Si parte e si finisce fino in Australia a fare il medico o lo psicologo o
il pizzaiolo o il falegname o l’esperto
di computer. Si parte dalla Garfagnana perché non offre opportunità ed
è giunta l’ora di domandarci come
poter creare lavoro e sviluppo in valle.
Come disegnare il nuovo domani.
Quali volani muovere per creare produttività; quali elementi attivare per
attivare risorse; quali forze donare alla
nostra terra.
I nostri amministratori sono sempre
più soli e persi a combattere contro le
buche nelle strade e l’odio politico,
tanto che alcuni conoscenti eletti mi
confidano scoramento e sfiducia. Ma
non è il momento di fermarsi; non possiamo tornare a vivere di rimesse dall’estero o di pensioni statali (che prima
o poi finiranno).
E’ il momento di rimboccarci le maniche e di contagiare gli altri al “fare”.
Ognuno con il suo piccolo esempio.
Solo così, tutti insieme, supereremo
anche questa crisi.
Il direttore
STUDIO PALMERO - BERTOLINI
ASSOCIAZIONE PROFESSIONALE
DOTT. LUCIANO BERTOLINI - DOTT. MICHELA GUAZZELLI
RAG. MASSIMO PALMERO - DOTT. SARA NARDINI
Castelnuovo di Garfagnana (LU) - Via Debbia, n. 6 - Tel. 0583/644115
Piazza al Serchio (LU) - Via Roma, n. 63 - Tel. 0583/1913100
P. IVA 0041711.046.7
Contabilità: Fax 0583/62117 - e-mail: [email protected]
Paghe: fax 0583/1990021 - e-mail: [email protected]
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Il Giornale di Castelnuovo di Garfagnana
Numero 59 - Aprile-Maggio 2013
Ma cosa sta succedendo? Perché simili gesti e tanta cattiveria?
Triste storia legata agli Alpini
Riceviamo e pubblichiamo integralmente: Sono Mario
Grassi, classe 1939, sottoufficiale artiglieria da montagna,
quarta generazione di alpini
in famiglia. In tanti anni insieme abbiamo realizzato
molte cose: la casa dell’Alpino
e della Protezione Civile a
Poggio, anzitutto. La ricostituzione della Fanfara Alpini
in congedo della Garfagnana
e Valle del Serchio; infine il
monumento ai caduti in
guerra a Puglianella. Sono
stato trentatre anni ininterrottamente Capogruppo di Camporgiano, per più di venti
Vicepresidente della Zona
Alpina della Garfagnana,
trentadue anni Presidente
della Fanfara Alpina e da oltre
diciassette anni Cavaliere Ufficiale al merito.
Ho educato, con amore e passione i nostri ragazzi per quaranta anni come insegnante.
La notizia che sto per raccontarvi dimostra come la cattiveria
e
l’egoismo
di
pochissimi possano offuscare
e corrompere la bontà, l’altruismo e la correttezza di
molti. Oggi grazie agli interventi “poco felici” è scomparsa
la
Squadra
di
Protezione Civile di Camporgiano, Vagli, Careggine e
l’Unità cinofila Tosca, composta da nove cani abilitati alla
ricerca di persone scomparse
sia in superficie sia in acqua,
unità che aveva operato con
successo sia su territorio che
fuori provincia. Sono stato,
prima commissariato dalla sezione PiLuLi, poi addirittura
radiato dall’organo disciplinare di primo grado a Milano:
voi vi chiederete perché? Me
lo sto domandando anch’io.
Contro il provvedimento suddetto ho proposto immediatamente ricorso all’organo
disciplinare di secondo grado,
che “ha sospeso ogni giudizio
in merito” perché non ho
provveduto al mio tesseramento nell’anno 2011-2012!
Commissariato: attendo ancora la motivazione! Dopo un
anno di commissariamento le
votazioni per eleggere un
nuovo Capogruppo e gli organismi dirigenti hanno dato
il seguente risultato: Luca Pedico 14 voti effettivi + 12 deleghe a suo favore non prese
neppure in considerazione;
Mario Angelini 9 voti. Il commissario incaricato Monelli,
inopinatamente, e contro ogni
evidenza democratica, dichiarava eletto Mario Angelini.
Non contenti, inviano contro
di me a Milano una lettera diffamatoria ed offensiva, firmandola genericamente “gli
alpini”, ma quanti alpini ne
erano a conoscenza? Nel giugno 2011 mi viene inflitta la
radiazione per “continua cattiva condotta morale”. Vengo
infine denunciato al Tribunale
di Lucca per “appropriazione
indebita della cassa dell’alpino e del gagliardetto”: ne
sono uscito senza condanna,
avendo restituito tutto, lungi
dal volermene appropriare,
come ingiustamente mi si accusava, mantenevo la custodia nell’interesse e per conto
di tutto il Gruppo Alpini di
Camporgiano, non potendo la
mia coscienza ed intelligenza
Il tempo scorre
Una mostra da non perdere è stata quella di Tommaso Teora
dal 30 marzo al
14 aprile. Inaugurata da Roberto Evangelisti
– Docente di Fotografia all’Università di Pisa, la
mostra fotograficera promossa
dal Comune di
Castelnuovo di
Garfagnana, dal
Parco delle Alpi
Apuane,
dall’Unione dei Comuni
e
dal
Circolo Fotocine
Garfagnana.
riconoscere la validità di una
elezione farsa; inoltre non potendo combattere la guerra da
solo pur con tutta la strenua
resistenza, ho seguito il consiglio del mio legale ed ho
provveduto alla restituzione,
accettando – e ciò mi è costato
davvero tanto in termini morali – le remissione della querela da parte di chi mi aveva
comunque ingiustamente denunciato. Questo vero e proprio incubo è cominciato in
seguito alla mia comunicazione all’Amministrazione comunale di Camporgiano,
nella quale si rendeva nota la
volontà degli alpini del
gruppo, per la maggior parte
avanti con l’età, di avvalersi
anche dell’aiuto di volontari
locali (iscritti Amici degli Alpini) per la gestione e manutenzione
della
Casa
dell’Alpino di Poggio. E’ doveroso d’altronde evidenziare
come nell’arco di trentatre
anni di guida del Gruppo Alpini di Camporgiano, nessun
alpino, né tantomeno la sezione abbia mai telefonato o
scritto per prestare il proprio
aiuto, la propria disponibilità
per la salvaguardia della casa
suddetta, frutto del volontariato di veri Alpini, i quali
ambivano che appartenesse a
tutti e non a pochi, e lo dimostra il fatto che abbia ospitato
il gruppo diurno dei disabili
per ben tre anni. Nell’allerta
terremoto di poche settimane
fa, è rimasta tristemente
vuota, dal momento che la
popolazione non la sente più
“propria”. Non voglio più dilungarmi sui fatti, quello che
maggiormente mi ha ferito, è
stato il mancato dialogo e
come sono stato per tanti
anni, e per tutti, amico, volontario, alpino, lo sarei stato
anche con Voi, bastava chiamarmi od invitarmi a parlare
di tutto quello che volevate ad
un tavolo, con serenità e spirito di corpo. L’unica cosa che
avrei chiesto, era rispettare la
casa dell’Alpino, che per me
resta un simbolo. Oggi mi
chiedo cosa ne volete fare?
Ora che l’avete ottenuta con
ogni mezzo. Permettete che
venga utilizzata da pochi e
per fini privati oppure… Non
mi stanco di ribadire: rispetto
ai nostri vecchi alpini, reduci,
combattenti che tanto hanno
contribuito alla Sua costruzione anche con sacrifici; rispetto per chi ha tanto dato
affinché l’Associazione Nazionale Alpini si mostrasse
come la più umana e credibile
nell’amore e nella solidarietà
verso il prossimo. Aiutare i
vivi per ricordare i morti, questo era il motto del gruppo
degli Alpini di Camporgiano
trentacinque anni fa… e tale
desidererei rimanesse
Mario Grassi
La Garfagnana a Torino
Dal 16 al 20 maggio la Garfagnana editrice sarà
al Salone Internazionale del Libro di Torino
ospite dello stand D34 padiglione 1, e non sarà
sola a rappresentare le eccellenze della nostra
terra. Il Salone 2013 sarà aperto dalla lectio magistralis di Mario Draghi è c'è attesa per le linee
guida economiche della banca Europea. I numeri come al solito sono importanti in quella che è
la prima manifestazione culturale italiana. Da Einaudi a Mondadori, da Feltrinelli a Il Mulino,
saranno al Salone oltre 1000 editori che accoglieranno 350.000 visitatori, per migliaia di eventi,
presentazioni, degustazioni, incontri. Tutti seguiti e trasmessi dalla RAI che al Salone ha una
serie di postazioni radiofoniche e televisive. Molto ricca la rassegna degli autori italiani: Simonetta Agnello Hornby, Lorenzo Amurri, Stefano Benni, Daria Bignardi, Daniele Bresciani, Massimo Carlotto, Marco Videtta, Donato Carrisi, Cristina Comencini, Fulvio Ervas, Paolo Giordano,
Massimo Gramellini... e molti altri ancora. Tanti gli stranieri provenienti da tutto il mondo e attratti dallo slogan di questa edizione: Dove osano le idee. E allo stand D34 le idee saranno veramente tante tra la folta rappresentanza garfagnina. Allo stand D34 ci saranno infatti Slow
Food Garfagnana valle del Serchio che ogni giorno alle 17 presenterà i prodotti della nostra
terra con una speciale degustazione per Garfagnana Orgolosa. Allo stand anche il Comune di
Barga con le tante attività culturali (Borgo Slow Food, Premio Giovanni Pascoli, Tra le righe, la
festa delle piazzette, etc.). Presente anche l’Unione dei Comuni della Garfagnana che metterà
a disposizione dello stand materiale turistico promozionale come i nuovi cataloghi dedicati alle
strutture e ai servizi turistici del territorio e il nuovo depliant del Garfagnana Trekking. Ci sarà
anche Ecoland e gli orti scolastici e Ponti nel tempo di Gal Garfagnana.
Allo stand oltre ai libri della Garfagnana editrice saranno distribuiti volantini e depliant della
nostra valle. Presente ovviamente anche Il Giornale di Castelnuovo. Sarà possibile seguire gli
eventi e il salone tramite Twitter e Facebook dove i lettori potranno trovare fotografie, filmati,
commenti, articoli, note. La partecipazione di tutte queste realtà è gratuita grazie alle spese totalmente sostenute da Prospettiva. (www.garfagnana-editrice.it)
Barbara Coli
Il dito nell’occhio
Si è spesso ironizzato, traendo spunto
da una citazione letteraria, sulla Garfagnana come terra di briganti, oltre
che di lupi. Cosa diranno a tal proposito allora i numerosi turisti che sicuramente visiteranno il nostro borgo di
Castelnuovo nei prossimi mesi estivi,
nel vedere come anche l'arredo urbano viene mantenuto incatenato e
lucchettato? La panchina incatenata si
trova nel centro storico di Castelnuovo nella piazzetta vicina al
Duomo. Forse che l'amministrazione
comunale è costretta a mantenere legata al palo anche una semplice panchina
pur
di
non
vederla
volatilizzarsi preda di qualche ignobile brigante?
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Zona stadio CASTELNUOVO GARFAGNANA
Numero 59 - Aprile-Maggio 2013
Il Giornale di Castelnuovo di Garfagnana
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In questo tempo di crisi aiutiamoci seguendo l’esempio cristiano
La Chiesa non arretra: rimane qui
Lo stato sociale è nato con il
Novecento. Prima, per esempio, non c’erano pensioni e gli
anziani dopo tanto faticare se
ne stavano in casa ad accudire
i nipoti e far piccoli lavori.
I giovani portavano in una
sorta di staffetta generazionale, il pane per la famiglia
che era allargata, ovvero composta spesso da due, tre o
quattro nuclei familiari fusi
insieme.
Se una persona stava male si
chiamava il medico condotto
che poi alla fine della visita
veniva pagato con denari o
prodotti della terra.
Non c’erano assicurazioni, diritto allo studio (in principio
dopo l’unità d’Italia c’era l’obbligo di fare almeno due anni
di elementari), e spesso se una
strada franava ci pensavano
gli abitanti del paese più vicino a riassettare tutto.
Insomma lo Stato era la faccia
del Re sulle monete, i Carabinieri, la tassa sul macinato, il
treno e il servizio di leva. Su
un territorio montano come
questo era anche comunque
difficile raggiungere tutti e
l’arcaica struttura sociale proseguiva ricalcando fedelmente quello che i padri
avevano già fatto prima dei
figli.
Unica realtà che usciva dal
rapporto viscerale e vitale
imposto dalla natura, tra
l’uomo e la terra era la
Chiesa.
Certo non da tutti amata e comunque condita da pregiudizi, credenze e paure, ma
scartate queste discutibili affermazioni (ci vorrebbe un
convegno per parlare della
Chiesa nella storia), era
l’unico luogo che rappresentava una struttura sociale. Le
quattro mura della Chiesa
erano la terra della sicurezza
e della dirittura morale.
L’esempio di Cristo in croce,
oltre ad indurre rispettoso e
doloroso timore, rappresentava l’esempio della durezza e
della difficoltà della vita.
Il prete non era solo confessore dei segreti delle comunità – e anche solo per questo
rispettato – ma spesso l’unico
che sapeva leggere e di cui ci
si poteva fidare ciecamente.
Confidente,
suggeritore,
spesso chiamato a dirimere
questioni o diverbi, incarnava
tante figure sovrapposte. Pastore di anime, arbitro, e colui
al quale si chiedevano suggerimenti o aiuti.
Pater familias di una comunità e per capire quanto fossero
vicini
ai
propri
parrocchiani basta leggere i
diari lasciati dai tanti sacerdoti della valle. Uomini che
spesso rischiarono la vita per
salvare la vita alle anime che
il Vescovo e Dio gli aveva
Torrite e Don Gigliante
Sta per essere pubblicato dalla Garfagnana editrice un libro
dal titolo “Torrite. Note storiche, Don Gigliante, Gli antichi bagni”
curato dalla Confraternita
della SS. Trinità e dal Maestro
Mariano Verdigi. Oltre alla
storia del paese, il saggio raccoglie l’inedito diario di Don
Gigliante Maffei, il parroco
che giunse sulle rive della
Turrite nel lontano 1934.
Oltre al testamento, sono presenti moltissime fotografie
che documentano la storia e
la vita di questa parrocchia
che è stata ed è molto importante per la valle intera. Con
questo libro si vuole ricordare la figura dell’amato sacerdote, guardare al passato,
ma anche - grazie al meraviglioso lavoro agli antichi
bagni - guardare al futuro.
Ci auguriamo che questa pubblicazione sia di sprone per una
maggiore attenzione verso le antiche strutture oggi restaurate
da un esperto gruppo di volontari.
consegnato.
E non è, cari lettori, furore letterario e narrativo quando si
disegnano come coraggiosi
oltre ogni limite gli uomini in
abito talare. La provincia di
Lucca ha consegnato alla storia il più alto numero di martiri sacerdoti di tutta Italia
durante gli anni della guerra
civile.
Un tempo si diceva – come
oggi – che la Chiesa è sempre
aperta a chi ha smarrito la
strada o a chi ha montagne
troppo alte da varcare. E veniamo al dunque.
Nel silenzio del rispetto
quando state leggendo questo articolo nella nostra valle
ci sono persone legate alla
Chiesa o ad associazioni cat-
toliche che si profondono in
mille sforzi per aiutare chi è
in difficoltà. Persone che disperatamente sono riuscite,
superando il pudore e la vergogna, a chiedere aiuto, oggi
hanno trovato sostegno. E
sono tante, tantissime, quelle
famiglie che vivono la crisi in
maniera grave e acuta.
A guidare questo silenzioso
esercito ci sono loro i sacerdoti con i quali siamo cresciuti tutti.
Uomini che ancora oggi non
dobbiamo dimenticarlo sono
le ancore delle nostre comunità.
Ebbene in tempi di crisi lo
Stato arretra dalle terre di
confine, ma la Chiesa rimane
qui. Se potete aiutare qual-
cuno quindi contattate le
realtà cattoliche sul territorio
e offrite quello che potete
dare.
Del resto la comunità siamo
noi e se non prendiamo sulle
spalle il testimone lasciato dai
nostri padri, rischiamo di perdere di vista, chiusi nel nostro
cieco consumismo individuale, l’esempio di Cristo che
agli uomini ha donato l’esempio.
Infine una riga su Papa Francesco. Ha chiesto di pregare,
perché la preghiera è gesto di
comunità,
momento
di
unione e condivisione.
Condivisione appunto: questa
la parola che amiamo di più.
Andrea Giannasi
Papa Francesco e Gemignani
Silvio Gemignani di Poggio Garfagnana, titolare dell’ agenzia di viaggi “I Viaggi di
Andrea”, un ruolo di collaboratore in Vaticano, è il primo lucchese laico ad aver incontrato Papa Francesco solo due giorni
dopo l’ elezione al soglio di Pietro e, diverse volte dopo. Gemignani, sintetizzerà
così la sua grande gioia.
“Vaticano, Piazza Santa Marta, venerdì
mattina 15 marzo : non me lo sarei mai immaginato ma, è già arrivato il momento di
fare conoscenza per la prima volta con
Papa Francesco. E’ un venerdì d’ inverno
cominciato sotto il cielo grigio e finito scaldandosi al tepore del sole. Di sicuro a me è
sembrato un sole più caldo e più avvolgente di quanto, in realtà, non fosse. Ma il
segreto delle cose che nascono da dentro è proprio quello: ancor prima di capire perché, ci si
guarda intorno e ci si sente già diversi. Oggi per me è un altro giorno inconsueto rispetto ad altre
volte nel passato : l’ emozione è grande. Alle ore 10,51 Papa Francesco esce dalla Domus Santa
Marta, la residenza vaticana che ha ospitato nei giorni del Conclave i cardinali elettori e dove
oggi Lui risiede, per andare all’ Udienza con il Collegio Cardinalizio riunito nella Sala Clementina. Una vecchia volkswagen passat, senza insegne vaticane, lo sta aspettando, due guardie
svizzere sorvegliano l’ ingresso, la piazza è quasi deserta. Per non mettere in difficoltà nessuno
rimango a distanza alzando solo la mano destra per porgergli il saluto ma, con un grande desiderio di avvicinarmi. Non faccio neanche in tempo di finire di pensare che, a sorpresa, Lui mi
viene incontro e mi accoglie con un abbraccio, come se mi avesse sempre conosciuto: un gesto
insolito e inaspettato per un Pontefice. Un momento indimenticabile.
E, le occasioni di vederlo si sono poi ripetute pochi giorni dopo: mercoledì 27 marzo 2013 prima
un nuovo appuntamento, a sorpresa, nella Basilica di San Pietro dove il Papa è venuto a salutare
i dipendenti vaticani riuniti per la messa presieduta dal cardinale Angelo Comastri e poi in
Piazza San Pietro in occasione della prima Udienza Generale.
Ho veduto e conosciuto un uomo angelico, segnato dalla Santità; un uomo dalla bontà infinita.
Quando gli ho stretto la mano, ho avvertito la sua dolcezza e la sua sensibilità. Incontrarlo da subito e parlargli sono stati momenti incancellabili, anche per chi ha sempre avuto familiarità con
i vari Pontefici, che terrò sempre nella memoria con indescrivibile gratitudine verso di Lui. Dai
suoi occhi traspare un’incredibile gentilezza d’ animo e generosità. E’ già un grande Papa. La
Chiesa sta cambiando, anzi è già cambiata. Una Chiesa povera per i poveri. I “no” di Papa Francesco alle consuetudini del passato diventano, su questo scenario, segni di una nuova identità
da ideare e l’ archiviazione indispensabile dei resti di quella passata. Una crescita sicura e inarrestabile. Papa Francesco sarà capace di piccoli grandi gesti che uniranno la Santa Sede al popolo
di Dio. Un uomo dalla semplicità autentica che, infrangendo i protocolli Vaticani diventerà un
Papa popolare amato dalle folle che torneranno, dopo Papa Wojtyla a mobilitarsi per lui. Grazie Papa Francesco!”.
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Il Giornale di Castelnuovo di Garfagnana
Numero 59 - Aprile-Maggio 2013
Non era solamente lavoro ma occasione di socializzazione
L’antica lavorazione del grano
Nei territori agricoli montani
certe operazioni, come la semina del grano, per motivi climatico-ambientali andavano
eseguite in anticipo rispetto
alla pianura ed alla bassa collina.
E così il grano, come del resto
anche la segale, veniva seminato praticamente all’inizio
dell’autunno subito dopo o
contemporaneamente alla raccolta delle patate.
C’è un antico proverbio contadino che dice: “Semina anticipata
rare
volte
fu
sbagliata!”. Si coltivavano
anche i “grani marzoli” o primaverili però in forma sporadica e poco praticata.
La coltivazione dei cereali
comparse ai primordi della civiltà tanto che fu uno dei
primi, se non il primo, prodotti agricoli di cui l’uomo
imparò a cibarsi. Varie sono le
specie di grano che si possono
lavorare: bisogna però tener
presenti, se si vuole ottenere
un buon raccolto, diverse cose
fra cui la posizione geografica,
più adatta ad un tipo di grano
piuttosto che ad un altro ed
alla qualità del terreno.
I chicchi da interrare dovevano essere grossi e sani,
quali presupposti per avere
piante più robuste e resistenti
tali da sopportare più agevolmente gli agenti atmosferici
avversi. Questo il contadino lo
sapeva e grande era la sua
preoccupazione rivolta in tal
senso.
I semi venivano poi cosparsi
di solfato di rame contro l’insorgenza di malattie. Si notava la sua presenza dal
colore azzurrognolo che assumevano i chicchi e da un lieve
strato di polvere quando il
contadino spargeva a spaglio
il seme nel campo preparato
ad accoglierlo.
Dopo qualche tempo dal
chicco era spuntata una tenera
pianticella che iniziava così il
suo ciclo vitale.
Il periodo di maturazione durava circa dieci mesi. Passava
tutto l’inverno nel campo, me-
glio se coperto di neve che impediva al terreno di ghiacciare
favorendone la conservazione, l’acclimatamento e l’irrobustimento.
A primavera quando la campagna era ritornata a nuova
vita, si procedeva alla roncatura che consisteva nel rompere la crosta di terra intorno
alla pianta erbacea, onde agevolarne lo sviluppo e per sradicare le erbacce che erano di
nocumento ad una normale
crescita della stessa.
Compiuta tale operazione, di
appartenenza generalmente
alle donne, non rimaneva che
attendere la mietitura che avveniva a cavallo dei mesi di
luglio ed agosto.
Intanto il contadino osservava
con compiacimento l’accrescimento dello stelo che si avviava lentamente a diventare
adulto e a mettere la spiga
“rappa” assumendo una colorazione via via sempre più
gialla. Il tempo della mietitura
era finalmente arrivato. Bisognava quindi apprestarsi a
compiere l’operazione della
raccolta del prezioso frutto da
cui ricavare il pane ed altri innumerevoli tipi di alimenti.
V’è da osservare che nelle famiglie contadine del passato
tutte le settimane si faceva il
pane e non sempre la quantità
del grano prodotto era sufficiente per il consumo di tutto
l’anno e quindi si doveva ricorrere all’acquisto di farina
presso mulini o consorzi
agrari. Nel frattempo la mietitura proseguiva regolarmente
e nei campi non si vedevano
altro che figure umane che
chinate con la falce in pugno,
sotto i raggi cocenti del sole,
tagliavano a mazzetti i gambi
della pianta facendone dei
mannelli o covoni che gli uomini legavano strettamente,
attingendo agli stessi prelevandone una esigua quantità.
Per ripararsi dal calore solare
si era soliti mettersi in testa un
cappello, meglio se di paglia o
un fazzoletto, questo naturalmente valeva per le donne,
annodato sotto il mento.
Una volta legati i mannelli venivano stesi al sole in quanto
dovevano essere ben secchi ed
asciutti in vista della battitura,
tanto che la sera, onde evitare
la guazza della notte, venivano addossati l’uno all’altro
in mucchi chiamati “cappette”.
Il giorno dopo si procedeva
alla stessa operazione fino a
quando l’agricoltore riteneva
che l’esposizione al sole era
stata sufficiente.
A quel punto i mannelli venivano portati presso il luogo
della battitura e sistemati in
modo da formare delle mete,
figure somiglianti a dei grossi
coni. Ciò avveniva quando
tutta l’operazione della mietitura era finita.
Intanto il giorno della battitura si avvicinava sempre di
più nell’euforia e nell’entusiasmo della famiglia interessata.
Il posto deputato a quest’opera era l’aia in genere
prospiciente la casa colonica.
Non di rado però, poiché non
tutte le abitazioni erano provviste di questi ambienti, venivano usati anche spiazzi di
terra pianeggiante “pianelle”
avendo cura di recingerle con
palizzate fatte di solito da
mannelli di frumento sistemati in modo eretto, con lo
scopo di disperdere il meno
possibile i chicchi del prezioso
cereale.
Il giorno della battitura do-
La bocciofila
Il buon gelato è...
in Piazza Duomo
a Castelnuovo di
Garfagnana
Domenica 27 gennaio 2013, nella gara regionale organizzata
dalla Bocciofila Migliarina di Viareggio, a cui hanno partecipato 240 atleti di tutta la Toscana, la terna della bocciofila Garfagnana di categoria B, composta da Marco Febbrai, Francesco
Fronzaroli e Giandomenico Pellegrinotti, si è comportata brillantemente vicendo la qualificazione a Lucca e perdendo soltanto la finale con la terna della Migliarina di categoria A.
Nella consapevolezza di far cosa gradita ai nostri sponsor, rendendo noto questo significativo successo, sentitamente li ringraziano, in particolar modo il sindaco di Castelnuovo di
Garfagnana Gaddo Gaddi, e il presidente dell’Unione dei Comuni della Garfagnana, Mario Puppa, con la preghiera di una
sempre attenta e puntuale sponsorizzazione, onde la nostra
associzione possa continuarea svolgere sul territorio, un’opera
dall’alto valore umano e sociale a beneficio non solo della perseone anziane, ma anche delle nuove generazioni.
veva essere un bel giorno di
sole, altrimenti non si poteva
procedere all’opera.
Individuata la giornata adatta
i mannelli dapprima erano
esposti un po’ al sole per motivi di praticità ed utilità operativa, poi venivano stessi
sull’aia facendone due file in
modo che le spighe si baciassero tra loro in lieve sovrapposizione l’una con l’altra.
A questo punto entravano in
azione i battitori che con le
“cerchie”, attrezzo agricolo
rudimentale formato da due
bastoni uno più lungo e
grosso e l’altro un po’ più
corto e piccolo, incominciavano il lavoro. Al primo veniva incisa all’apice una
scannellatura deputata a contenere e trattenere la correggia che poteva essere sia di
cuoio che di corda. Questa,
lunga una quindicina di centimetri e girevole, veniva collegata e ben fermata all’altro
bastone “circhin” ottenendo
così l’arnese pronto per l’uso.
Gli addetti al lavoro, di solito
quattro, due da una parte e
due dall’altra, impugnando
quello più grosso, facevano
roteare sopra la testa quello
più piccolo che si abbatteva
sulle spighe dei mannelli,
dapprima in modo non tanto
forte, onde evitare che i chicchi schizzassero fuori dal teatro di lavoro, poi più forte per
evitare che vi rimanessero
delle spighe nascoste tra gli
steli, meno propensi a lasciare
il loro contenuto.
Quindi bisognava girare sotto
sopra i covoni ed eseguire la
stessa operazione.
Il movimento dei battitori era
sincrono ed il rumore scaturito somigliava allo scalpitio
di cavalli itineranti su strade
lastricate. Al termine di questo atto si toglievano i mannelli, diventati ormai pura
paglia da usare principalmente per la copertura di
strutture agricole come capanne e capannelli, privi di
grano ma che tuttavia venivano scorsi uno per uno per
racimolare ancora qualche
chicco. Si provvedeva quindi
a togliere con un rastrello le
spighe vuote e tutta la parte
residua della battitura.
Rimaneva la pula che il contadino cercava di separare, almeno in parte, con l’azione
del vento provocato dallo
sbattere violentemente una
giacca aperta o balla sulla ginocchia, camminando sulla
scia dorata del grano. A questo punto il tutto veniva ammucchiato e deposto in
sacchi. Tuttavia la complessa
operazione non si era ancora
perfezionata del tutto. Nella
massa informe del cereale rimaneva qualcosa da togliere e
cioè quella porzione di pula in
essa tuttora presente.
A ciò provvedevano soprattutto le donne che riempivano
le vassoie dal sacco e sollevandole con le braccia le portavano sopra le loro teste e
tenendole leggermente inclinate, facevano scendere il contenuto che cadeva su delle
coperte predisposte all’uopo;
liberato il grano, col favore del
vento, della pula ed eventualmente di altre impurità.
Per questa faccenda si sceglieva una giornata di vento e
un luogo il più possibile ventilato. Vi era poi la crivellatura
quale ultimo e concreto atto
prima della macinatura.
Il crivello era un arnese a
forma di cassino con tanti piccoli fori dai quali, scuotendolo, uscivano piccoli corpi e
sostanze che potevano compromettere la qualità e genuinità della farina ottenuta.
Scene queste che sapevano di
tradizioni, folclore e feste che
rallegravano l’animo umano,
seppure nella fatica, da cui la
vita traeva nuovo slancio e
più marcato entusiasmo.
Tempi questi che difficilmente
torneranno.
Pietro Ciambelli
Lisa Andreini
Ha soltanto quindici anni, ma
la voce è già ben modulata e
accattivante. Parliamo della
giovane Lisa Andreini di Castelnuovo che sta partecipando a diversi concorsi
canori con successo e soprattutto con l’apprezzamento del
pubblico e gli incoraggianti
giudizi degli esperti.
Nei giorni scorsi Lisa si è classificata al secondo posto al
concorso “Canzoni sotto le
stelle”, a Villa Vezzani di Pescia, con la canzone “If i ain’t
got you” di Alicia Keys. Al
termine, a Lisa è stata consegnata anche una bella targa
che riproduce la prima pagina
de “La Nazione” alla sua
uscita nel 1859 e un portachiavi. La giovane Lisa da un
anno e mezzo frequenta la
Scuola civica comunale di musica di Castelnuovo, sotto la
guida del maestro Riccardo
Grandini di Filicaia. Numerosi tra l’altro sono i giovani,
per lo più ragazze, che frequentano la suddetta scuola
civica nel settore del canto,
con riscontri positivi al momento delle rassegne e partecipazioni ai concorsi. Ora Lisa
Andreini è attesa al teatro
Goldoni di Livorno.
d.m.
La Bocciofila Garfagnana
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Tel e Fax: 0583-641023 E-mail: [email protected]
Loc. Pantaline - 55036 Pieve Fosciana (LU)
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Numero 59 - Aprile-Maggio 2013
Il Giornale di Castelnuovo di Garfagnana
Pagina 5
Il passato ci riporta la storia di una giacca, di un uomo dabbene e della processione del Corpus Domini
Quei bottoni inconfondibili
La storia che sto per raccontare è quasi tutta vera. Veri i
personaggi, veri i luoghi (ai
quali non ho volutamente mutato il nome), vero l’inizio e
vero il finale.
Di quelle storie che si sentono
raccontare, ma che alla fine
sembrano quasi leggende
tanto paiono strane.
L’anno è il 1944. La guerra sta
correndo lungo l’Italia velocemente come veloce deve essere la corsa verso il rifugio
antiaereo.
La valle del Serchio ha già conosciuto il mitragliamento del
treno a Fornaci – cosa mai
vista prima d’ora – e seppur
l’estate venga incontro alla
gente con gli occhi felici di un
bambino e il suo balocco di
legno, le preoccupazioni crescono.
L’eco del bombardamento di
Piazza al Serchio rompe alla
fine gli indugi e la paura cade
forte sugli abitanti della Garfagnana. E’ lì, quando gli
scoppi si fanno più sordi e secchi, che le prime vedove di
guerra capiscono che al dolore
non c’è mai fine.
Castelnuovo subisce il bombardamento della stazione e
come già raccontato in qualche numero passato del nostro Giornale iniziano i
bombardamenti “mirati” ai
ponti. Del resto la Linea Gotica passa tra Treppignana,
Ponte di Campia, Fiattone,
Cascio, Molazzana, Vergemoli
e bisogna pur far qualcosa per
far faticare i nazifascisti.
Gli aerei, i tozzi ma efficaci
P47, entrano i picchiata nella
valle salutati dalle contraeree
che giocano al tiro facile e passano veloci tra San Romano e
Camporgiano, sfiorano la Capriola, sfilano su Pontecosi e
proprio sopra Castelnuovo lasciano andare la bomba che
cullano sotto la fusoliera.
Quella che dovrebbe far cadere il Ponte di Santa Lucia, il
Ponte Vittorio, il Ponte Novo
o il Ponte della Madonna.
In sette mesi gli alleati ripetono le operazioni decine di
volte, ma saranno poi i tedeschi – come sempre più efficaci
e
tenacemente
e
tecnicamente più precisi – a
buttare giù tutto con gli esplosivi nei giorni della fine tra il
18 e il 20 aprile del ’45.
E dunque le bombe d’aereo
cadono ovunque, spaccando
tutto ma non i ponti.
E non c’erano solo i bombardamenti aerei a colpire Castelnuovo. Ogni giorno da
Loppia e Fornaci, dove stavano in fila uno accanto all’altro
i
cannoni
americani,
gli alleati
colpiscono
il
capoluogo
in
maniera
chirurgica.
Colpo dopo
colpo.
Gli abitanti
in breve capiscono che
l’unica via
di salvezza
è quella di
lasciare
l’abitato e così fecero, ma non
tutti e non subito. Qualcuno
decise di resistere e resistette
fino a quando non furono
proprio i tedeschi e i fascisti
della neorepubblica di Salò a
farli sloggiare.
Tra la fine di ottobre e i primi
giorni di novembre ormai per
le vie non si vedeva più
anima viva.
Eppure Castelnuovo da sempre è il centro economico
della valle e non solo per il
mercato secolare del giovedì.
Qui c’erano e ci sono i negozi
da dove arrivava merce unica
e pregiata da Lucca, Livorno
o Firenze e qui dove scendevano e scendono i valligiani
per fare gli acquisti.
E c’erano come oggi tanti negozi. Tra questi – ma qui è doveroso, e sarà l’unica volta in
questo racconto, non citare il
nome – quello di stoffe e filati
di una signora che come altri
si interrogava sulla durata di
tutta quella buriana. Insomma sarebbero passati veloci e l’avrebbero fatta finita
presto con tutte quelle
bombe? La guerra si sarebbe
fermata o sarebbe andata
oltre?
Purtroppo non ci fu molto
tempo per capire e poi venne
quella mattina. La mattina durante la quale la signora come
altri scendeva con un carretto
a prendere la merce del negozio e le ultime suppellettili di
casa, perché qualche palazzo
era già venuto giù e il seminario (che se ne stava bello diritto dove oggi ci sono i
giardinetti di lato al Duomo)
era già mezzo sfondato.
Arrivata alla Madonna prese
con il marito d’infilata veloce
la via del Ponte che ancora
aveva la casetta della gabella
al centro e dopo aver risalito
la Barchetta non credette ai
propri occhi.
Alcuni negozi erano sfondati
e le saracinesche divelte e contorte lasciavano intravedere
gli interni rivoltati e sottosopra.
Il cuore correva veloce salendo in gola così come i due
che una volta di fronte alla
loro attività scoprirono che il
saccheggio aveva raggiunto
anche il loro negozio. Molto
mancava tra stoffe, filati, nastri, bottoni e quant’altro di
ben di Dio. Non rimase che
prendere ciò che rimaneva e
uscire da Castelnuovo.
Mentre tornavano sui loro
passi i due sentivano un misto
di rabbia, amarezza e paura,
ma soprattutto lo sconforto il
sentirsi disarmati di fronte a
tanta devastazione.
Derubati, ma la loro storia
presto si mischiò con tante,
tantissime, altre storie simili o
ben peggiori. La morte, la
fame, la precarietà della vita
rendeva ogni attimo, ogni
momento difficile. Il domani
era imperscrutabile.
Poi tutto finì quasi improvvisamente nella primavera del
1945.
In pochi giorni Castelnuovo
venne sgomberata dalla macerie e si iniziarono a montare
le prime impalcature di legno
per tirare su pareti o riassettare
tetti
sfondati. Il
palazzo del
negozio
aveva il tetto
completam e n t e
aperto e due
solai erano
caduti. Bisognava rimboccarsi le
maniche e
nei mesi succ e s s i v i
o g n u n o
spese ogni
minuto
e
ogni energia per ricostruire.
Non tutto venne rifatto.
Piazza delle Erbe – dove oggi
c’è il parcheggio - era una piccola piazzetta circondata da
palazzi storici. Vi si accedeva
da alcune entrate ad arco e vi
si teneva il mercato delle verdure.
Ancora oggi si vede come
manchi un bel pezzo del palazzo della vecchia biblioteca
e un palazzo di fronte alla
sede della Pro Loco.
Non tutto venne rifatto e
molto fu rifatto anche male.
Malissimo. Come alcuni palazzi che hanno la foggia delle
palazzine di periferia urbana
non più adornate da persiane,
ma con avvolgibili moderni.
Ma torniamo alla nostra commerciante che fece presto notare che il suo negozio era
stato saccheggiato.
Si rivolse a chi di dovere e ricevette una risposta: “vedremo di farle avere qualcosa
per la saracinesca”.
Gli anni passarono veloci, ma
non quella paura e quel triste
dolore misto a rabbia, fino a
quando una mattina degli
anni ’50 il marito della signora
non vide proprio sulla montatella un uomo dabbene di Ca-
stelnuovo con una bella giacchetta con su montati bottoni
inconfondibili. Era la festa del
Corpus Domini e la gente era
ricambiata a festa e quei bottoni parlavano di festa, ma
anche di un'altra storia.
Il marito corse dalla moglie e
riferì dell’accaduto.
Ne parlarono a cena e convennero che ci avrebbero dormito sopra una notte. Altro
che dormire; gli incubi della
guerra tornarono su uno ad
uno e si presentarono tra il comodino e il canterano in fila
come allo spaccio durante la
guerra con la tessera annonaria in mano.
Le bombe, i morti allineati il
13 febbraio del 1945, il negozio sfondato, le grida e il
pianto dei bambini, la fame di
sale e vino, la miseria che
mangia anche i gatti. Tutti si
presentarono in fila gli incubi
e i due non dormirono un minuto. Ma non si scambiarono
neppure una parola. Ognuno
curvo a scavare tra le proprie
intime angosce.
Al mattino si guardarono
negli occhi e decisero.
Avrebbero scavato nella verità e così il marito cercò
l’uomo dabbene e gli chiese
dove avesse preso quei bottoni tanto belli. Prima di farlo
però tacque un istante, sapeva
che avrebbe aperto una nuova
voragine, un nuovo dolore. E
poi se l’uomo dabbene avesse
fatto un nome, poi cosa avrebbero fatto i due coniugi?
Lo avrebbero denunciato o gli
sarebbero piombati in casa arrabbiati?
Altri problemi, altri tormenti.
Ignaro l’uomo dabbene rispose: l’ho comperati laggiù e
disse il luogo preciso, preciso,
alzando il dito e indicando
proprio il negozio della moglie del nostro indagatore.
L’anno dopo i coniugi si fermarono alla festa del Corpus
Domini sulla montatella per
vedere l’uomo dabbene e la
sua giacca con i bottoni che
raccontavano una storia.
E così per anni fino a quando
l’uomo dabbene morì e fu
chiuso nella cassa proprio con
indosso la giacca e il segreto
dei bottoni inconfondibili.
Meravigliosa, partecipata e sensibile iniziativa del gruppo Fratres Garfagnana
Doniamo il sangue e un sorriso
Cari Amici,
sempre ringraziandovi della
preziosa collaborazione veniamo a segnalare l’iniziativa
appena conclusa con la premiazione a cui hanno partecipato, in presenza degli alunni
i rispettivi Dirigenti scolastici,
gli Insegnanti e i Presidenti
dei Fratres.
E’ solo grazie all’interessamento dei Dirigenti scolastici
e dei Docenti che queste iniziative raccolgono consensi.
Il “MOTTO della VITA” alla
seconda edizione conferma
un trend decisamente positivo grazie agli oltre 300 studenti che anche quest’anno
hanno partecipato
La selezione è durata a lungo
e nella fase finale ben 4 sono
state le votazioni per decidere
i vincitori.
Tutte le votazioni sono state
espresse nel massimo rispetto
dei partecipanti infatti ai componenti la giuria era permesso
sapere del partecipante solo
se maschio o femmina, il testo
e la tipologia di scuola di appartenenza.
Giuria a cui hanno partecipato i Gruppi di: Camporgiano – Corrieri Carlo; Cascio
– Prontelli Francesco; Castelnuovo di Garf.na - Palandri
Michela; Gragnanella – Giannotti Silvia; Poggio Sillicano
Filicaia – Guidi Antonella; San
Romano in Garf.na – Fanani
Michelangelo; Vagli di Sopra
– Orsetti Alessandro.
Nella prima sessione ogni
“Giurato” ha potuto scegliere
solo 4 MOTTI per grado di
scuola (primaria – secondaria- superiori). Alla fine erano
Trattoria
Marchetti
di Clara Pedreschi
Loggiato Porta Castelnuovo di Garfagnana
Telefono 0583 639157
ben 51 i MOTTI prescelti per
le selezioni finali.
Ecco i risultati.
Sei i vincitori ( 2 per grado di
scuola ).
Scuole Superiori:
Turri Francesca – I.T.C.G. “ L.
Campedelli” Dona il sangue
regala un sorriso.
Damazzi Stefano e Lorenzetti
Andrea – I.T.I. “ F. Vecchiacchi” Una goccia di sangue è
un fiume di vita.
Scuole Secondarie: Tortelli
Alice – Scuola Secondaria di
Castelnuovo Il regalo più
bello che ti puoi fare è una
vita che puoi salvare.
Mori Gabriel – Scuola Secondaria di Castelnuovo Donare
il sangue, per te un minuto
per altri la vita.
Scuole Primarie:
Classe IV a – Scuola Primaria
“L. Radice” di Camporgiano
Facciamo tornare il sorriso
donando il sangue.
Classe IV e V – Scuola Primaria Vagli Sopra Stendi il braccio, stringi le dita per una
speranza di vita.
Ai vincitori sono stati consegnati moltissimi adesivi con il
loro “MOTTO” indicanti il
proprio nome e la sede scolastica di appartenenza.
Tutti i partecipanti hanno ricevuto l’evidenziatore a tre
colori Fratres.
Tutti coloro che hanno aderito
devono sentirsi vincitori per
aver contribuito all’iniziativa
che li avvicinerà a una vita
migliore perché solidale.
FRATRES
Raggruppamento
Garfagnana
Pagina 6
Il Giornale di Castelnuovo di Garfagnana
Numero 59 - Aprile-Maggio 2013
Il suo armamento fu svenduto nel 1700
La torre di Barga
In tempi di ristrettezze economiche è consuetudine che una
Nazione alieni parte dei propri beni, quelli ritenuti non
essenziali, per fare cassa.
Nel 1742, il Reale Consiglio
delle Finanze Granducali, decise di vendere al migliore offerente il materiale inservibile
facente parte dell’arsenale da
guerra custodito nella torre di
Barga.
Tutta l’attrezzatura in essa dislocata fu soggetta a rigoroso
inventario per la successiva
vendita all’incanto.
Il cattivo stato di conservazione delle armi era segno evidente che, l’unione con la
Firenze granducale, per la sua
accresciuta importanza geo-
politica, aveva determinato
sul territorio un lungo periodo di pace, a differenza
della Garfagnana, destabilizzata dalle continue lotte tra
Lucchesi e Modenesi.
Basti ricordare i lunghi assedi
a Castiglione di Garfagnana
(lucchese) da parte degli
Estensi nel 1603-1604 e poi
nel 1613.
Sul territorio di Barga nello
stesso periodo sono da registrarsi, solo brevi e circoscritte
liti di confine relative all’uso
demaniale del Monte di Gragno o dei territori oltre il crinale appenninico del versante
emiliano.
Sulla base dell’accluso inventario si decise quanto segue:
Avendo il Reale Consiglio
delle Finanze ordinato che la
Fortezza di Barga e sue chiavi
sia consegnata al Cancelliere
della Comunità di detto
luogo, assieme con li suoi
utensili, ed attrezzi; perciò il
Sig.re Depositario Gio. Leonardo Bonanni averà la bontà
di farne eseguire detto ordine
indelatamente, con far vendere al maggiore Offerente le
quì sotto notate Robe che in
essa si ritrovano, ed il restante
delle Robe che sono nell’inventario, cioè Pezzi di Artiglieria, e munizioni da
Guerra, averà la bontà di farle
porre tutte insieme in Luogo
a parte, con vedere come si
potrebbe contenere per il trasporto delle medesime a Firenze, ogni volta che fosse
questo ordinato, Osservando
di prenderne di tutto ciò che
consegnerà a detto Sig.re Cancelliere la respettiva ricevuta,
che ne verrà in tal forma validamente discaricato
Robe da vendersi
N° 5 - casse d’Artiglieria inutili
N° 26 - moschetti con loro
casse tarmate, inutili
N° 10 - moschetti smontati
inutili
N° - Forme da far palle tutte
consumate dalla ruggine di
peso libbre 70
Dato in Firenze il di 3 novembre 1742
Firmato Warren
Dopo alcuni anni, le autorità
cittadine decisero che la torre,
non rispondendo più a un
ruolo strategico nella struttura
difensiva del castello e in relazione al crescente indice demografico della popolazione e
Il 12 marzo 1808 fu posta all’incanto e fu rilasciata ad Antonio Iaccheri che la comprò
per sassi per scudi 88, offerta
fatta anticipatamente il dì 11
marzo di detto anno.
della relativa domanda di
strutture abitative, venisse demolita.
Della fine dell’ultima torre supestite, simbolo caratteristico
del periodo medioevale, ne
fece una sorta di necrologio il
Canonico Magri nella sua
opera “Il Castello di Barga”.
Si dice che in Barga anticamente esistessero molte torri
.[…] La sola sulla quale si
hanno memorie numerose,
era la torre posta presso le
mura di Porta Reale di fronte
al Rivellino, tra l’orto oggi
Bertacchi e il muro dell’orto
delle Monache, località che ritiene tuttora il nome di Torre.
Si trova fatta menzione di
questa torre in antico per
causa di restauri ed altro, ma
non se ne conosce l’origine. In
tempi posteriori fu tenuta dal
Comune e dal Governo come
deposito di armi e fu chiamata
per questo la torre delle armi.
Nel 1724 vi furono fatti diversi restauri a spese dello
Scrittoio di S.A.R. e fu stabilito
che servisse come prigione
per i soldati.
Nel 1786 fu appigionata ai fratelli Ciarpi per lire quindici
l’anno. […]
Finalmente nel 1808 ne fu decretata la vendita. Nell’interno della torre si trovavano:
un palco a tavole a cui si saliva per una scala di legno ed
un altro palco a volta di sassi a
cui parimente si saliva per
una scala mobile di legno.
La muraglia a levante formava porzione del muro di
clausura del Convento di S.
Elisabetta il quale appoggiava
inoltre in tutta la sua lunghezza alla cantonata delle
altre due muraglie esposte a
settentrione e mezzogiorno.
Si accedeva alla mentovata
torre per mezzo di un ripiano
lastricato più alto della strada
e sostenuto da un muro con
spalletta.
La stima complessiva del valore di detta torre ed agio,
fatta dai periti muratori Luigi
Piacentini e Antonio Iaccheri,
il 18 febbraio 1808, ascese per
la torre a scudi 115,3,8 e per
l’agio a scudi 3,6,6.
In tutto scudi 119,2,14 (da leggersi scudi 119 pari a lire 833,
soldi 2, denari 14).
Il 26 luglio di detto anno pervenne l’approvazione del
Sotto Prefetto di Pisa come
segue: “con resoluzione del
Signor Prefetto del Mediterraneo del dì 21 corrente è stato
approvato il rilascio in vendita fatto da codesta comunità
a favore di Antonio Iaccheri
di un fabbricato ad uso di
torre presso di codeste mura
castellane, per il prezzo di
scudi ottantotto, da tenersi dal
compratore nelle mani e pagare i frutti alla ragione del
quattro per cento”. […]
Il 10 giugno un editto del
Cancelliere aggiudicava al minore offerente la demolizione
della torre la quale era totalmente disfatta il 18 settembre
successivo, poiché con altro
editto del Cancelliere veniva
posto all’incanto il suolo dove
era situata, per lire novanta
Fiorentine.
E così ebbe fine anche questa
torre.
Cristian Tognarelli
Nota: Lo smeriglio era un can-
none di piccolo taglio, capace
di sparare palle del peso di 6
once circa, con una gittata intorno ai 250 passi.
Campeggio sul lago
E’ con immenso piacere che diamo questa notizia perchè ricca
di buoni aspetti.
Aperto il campeggio del lago di Gramolazzo, alle pendici delle
più imponenti vette delle Alpi Apuane.
Situato in una delle zone più incontaminate d' Italia, il campeggio vi concederà momenti di assoluto relax e di amichevole compagnia, vi accoglierà nelle piazzole erbose limitrofe al
lago oppure , per gli amanti dell'intimità, all'interno del boschetto.
Dispone di 4 chalet (3 da 4 posti e 1 da 6 posti) composti
ognuno da 2 camere, angolo cottura, bagno e soggiorno e da
posti camper. Il ristorante del campeggio soddisferà i vostri
palati con piatti saporitissimi, dai tipici locali ai classici italiani, dove la pizza cotta a legna farà da regina.
I gestori sono Patrizia Martinelli, Monica suffredini e Velia
Nardini
Cell: 340 9044988 Cell. 347 9138053 Cell. 329 2946818 e il sito
www.campeggiolagoapuane.com
Facebook: Campeggio lago Apuane.
MUSIC BAR
Via di Fondovalle di fronte alla Kedrion
Loc. Bolognana - Gallicano (LU)
Numero 59 - Aprile-Maggio 2013
Renzo Pellegrini, nato a
Castelnuovo, giornalista,
maestro, ci ha lasciato nel
2004. Per molti anni vivendo a Viareggio ha raccontato il carnevale, ma
tanti scritti ha lasciato un
diario: “Strage al Lager di
Hindenburg”.
Una storia di deportazione
e dolore terminata nel gennaio del 1945.
Oggi la Garfagnana editrice pubblica quelle pagine di memoria grazie al
lavoro di Tommaso Teora,
cognato di Renzo, che le ha
conservate per anni. Insieme una lunga appendice
documentaria che racconta
tante altre storie di lucchesi rastrellati e portati in
Germania a lavorare per il
Terzo Reich.
Il cannoneggiamento sovietico sulla città era continuo.
Giorno e notte. Il Lager, prossimo alle officine minerarie,
era esposto ai colpi.
Nelle baracche sbrecciate, i
tetti perforati, non era possibile restare. Presto ci trovammo divisi fra chi preferiva
una rapida partenza verso
l'interno della Germania e chi
proponeva di attendere l'arrivo dei sovietici.
Nei magazzini alimentari del
campo, sorvegliati dal Lagerfuhrer italiano, un maresciallo
di carriera in su con l'età, scarseggiavano le scorte dei viveri. Molti ne chiesero la
distribuzione appellandosi
alla libertà di fuggire; proteggerle divenne arduo.
I pericoli nel campo, nelle baracche, sotto il tiro dei mortai
russi, si fecero sempre più
fitti. si diffuse la voce che il
comandante fosse fuggito.
Il personale degli uffici amministrativi e dei lavori esterni,
tecnici e sorveglianti, era
come dissolto.
Sparito.
Fuori e dentro la zona mineraria, Lager compreso, si
erano attestati dei soldati in
divisa bianca, con le batterie
dei cannoni. Non tolleravano
le nostre apparizioni fuori
delle baracche.
Il capocampo strappò il consenso di trasferirci in un caseggiato di mattoni col tetto
solido dov'erano ubicati lo
spogliatoio e il bagno dei minatori.
Sotto era stato ricavato un
Bunker (rifugio) con un'unica
porta.
Per raggiungerlo bisognava
attraversare uno spiazzo
vasto, dove si mescolavano,
fra i mucchi di carbone, i carrelli in gran parte rovesciati.
Di fronte al Bunker, a una
ventina di metri, c'era il
"pozzo" con le ruote bloccate.
La campana che segnalava
l'immersione e la risalita degli
ascensori era muta da parecchi giorni ormai. Sul carbone,
Il Giornale di Castelnuovo di Garfagnana
Pagina 7
Pubblichiamo un estratto del diario di Renzo Pellegrini
Strage al Lager
sui carrelli, sui vagoni, sui
carri, sul terreno massacrato
dagli obici, sugli attrezzi abbandonati, sugli alberi divelti,
sui tetti, sulle macerie: la neve.
Tanta neve!
Il trasloco dal campo al Bunker non fu condiviso da tutti.
In quattro, Ezio ed Enzo, Danilo ed io, pur essendo legati
da salda amicizia, ci separammo.
Il nostro era un legame fatto
di tante cose: un lungo tratto
di vita militare; la cattura e la
prigionia patite fianco a
fianco; i mesi, i luoghi, i lavori
condivisi in Germania e Polonia; le reciproche regioni di
provenienza, la parlata, i profumi di casa, dei cibi, degli
usi, della gente. Veneti, Danilo
ed Ezio, di Vicenza e Verona.
Toscani, Enzo ed io, di Massa
e di Lucca. Danilo ed Ezio
oggi abitano a Verona. Enzo a
Cuneo. Io a Viareggio.
Siamo quattro pensionati settantenni, chi più chi meno,
con un lungo scampolo di vita
parallela e una tremenda avventura in comune.
Nel Bunker si ritrovarono i
più: ammassati, litigiosi, scalmanati, collerici.
La paura non consente la solidarietà.
Restò nelle baracche chi non
volle rinunciare alla disponibilità di un letto. Sul giaciglio
più elevato di un "castello" a
tre, un nostro compagno fu investito da una gragnuola di
proiettili.
Rientrato da Zabge sono andato a trovare Danilo. Mi ha
detto: "Ricordi? Il sangue colava, caldo, dal materasso".
Non è questo il solo episodio
che devo alla memoria, più
fervida della mia, di Danilo.
Insieme, tra il Lager e il Bunker, trovammo una terza soluzione: il sottosuolo della
miniera. Nella profondità
d'una galleria cercammo insistentemente di trascinare Ezio
ed Enzo. Invano. A loro avviso discendere in miniera
senza l'ascensore era un'impresa irrealizzabile.
C'era, invece, eccome se c'era!
Un mezzo per arrivare al
primo "stadio" dell'Hermannschacht, a 110 metri di profondità: una scala di ferro,
detta "di sicurezza". Undici
rampe a pioli dentro un cunicolo. L'accesso era sotto la tettoia degli ascensori.
Ezio ed Enzo furono irremovibili: "Oggi no, per ora restiamo qui; forse domani".
Non fummo i soli, Danilo ed
io, ad imboccare la scala.
Si unirono a noi due chimici.
Mai discesi prima nelle viscere di una miniera, furono
stimolati dalla nostra stessa
motivazione: sottrarsi alla deportazione tedesca nelle retrovie e allo scontro in città
degli eserciti.
Raggiungere la scala sotto la
tettoia dell'ascensore era rischioso! Bisognava procurarsi
una scorta di carburo per le
lampade. C'era da convincere
il capocampo a svuotare la dispensa e a spartire pane, margarina, marmellata.
M'incaricai del carburo e fui
fortunato. Doppiamente fortunato perché potei prelevare
nel deposito, assai distante
dal Bunker, anche delle torce
elettriche uscendo illeso nella
duplice corsa allo scoperto
contro tutti i Verboten!.
Fra il frastuono delle batterie
tedesche e lo sconvolgimento
di neve e di terra dei proiettili,
riparati dai carrelli rovesciati
e dal carbone, in fila indiana
distanziata, Danilo, io e gli
altri raggiungemmo la tettoia
del "pozzo", l'imbocco, la
scala.
Nel cunicolo il frastuono della
guerra divenne un boato.
Ci accompagnò il timore che
un obice colpisse l'imbocco.
Lo spostamento dell'aria provocato dai colpi esterni,
spense le lampade a carburo.
Lungo la scala precipitò di
tutto.
A "Quota 110" la miniera, buia
e deserta, ci fece un effetto
nuovo. Non c'erano la fila
delle fiammelle ondulanti dei
minatori, l'eco nelle gallerie
dei passi strascicati sul tavolato, il fracasso del trenino coi
carrelli in andirivieni, gli ordini degli Staiger, le bestemmie dei polacchi.
"Quota 110" era sconosciuta
anche a Danilo e a me.
Le nostre squadre scendevano
solitamente a 340 e a 500
metri. Dentro la guardiola del
custode dell'ascensore c'era la
luce elettrica. Una lampada
era accesa e funzionava il telefono. Poco distanti trovammo
le stalle dei cavalli ciechi: privati della vista, erano utilizzati per il traino dei carrelli. Ci
fu chi propose di macellarli.
Non subito, comunque!
Renzo Pellegrini
Il resto presto in libreria edito
dalla Garfagnana editrice.
www.garfagnana-editrice.it
Di corsa a Berlino
UniTre
L’alpino Rossi
Grande soddisfazione al Liceo Scientifico “G. Galilei” di Castelnuovo Garfagnana (LU) per la partecipazione delle classi
quinte alla 33° mezza maratona (km 21.0975) di Berlino del 07
aprile 2013. Gli alunni iscritti alla gara erano 35 di cui 12 maschi e 23 femmine e si sono classificati in 32. La mezza maratona, inserita
nel viaggio
d’istruzione
delle classi
quinte, era
l’obiettivo finale del prog e t t o
sportivo dell’ISI Simoni
effettuato in
collaborazione con il
GS
Orecchiella – Garfagnana come società tutor. Il progetto sportivo
denominato “Migliorare la qualità della vita” è nato nell’anno
scolastico 2011/2012 con l’obiettivo di creare sani momenti di
aggregazione e avvicinare alla corsa su strada un numero sempre maggiore di ragazzi. Sono stati effettuati allenamenti di
gruppo pomeridiani con cadenza settimanale e partecipazione
ad alcune marce del trofeo podistico lucchese. A partire da dicembre 2012 gli allenamenti sono diventati bisettimanali.
Il prof. Fabrizio Riva responsabile del progetto, la prof. Paola
Grassini tecnico FIDAL e la prof. Laura Nanna docente di lingua straniera si complimentano con gli alunni per l’impegno,
la serietà e l’entusiasmo dimostrati nell’affrontare la prova
sportiva.
Si ringraziano gli sponsor Impresa costruzioni Guidi Gino e
Idrotherm 2000.
"L’agricoltura e l’uomo:
aspetti economici, demografici e culturali” è l’argomento di un incontro
storico-culturale, in programma venerdì 5 aprile,
alle 15,30, nella sala “Pietro
Paolo Giannasi”, presso il
Centro sociale della Consulta comunale degli anziani, al Villaggio Unrra, a
Castelnuovo. In qualità di
relatore è stato invitato il
professor Dino Magistrelli,
titolare della cattedra di
Geografia
economica
presso l’Itcg “Campedelli”
di Castelnuovo.
L’iniziativa è promossa da
Unisenior-Università della
Terza Età della Garfagnana. L'incontro è aperto
a tutti gli interessati. L'Università della Terza Età è da
anni molto attiva a Castelnuovo e nell'intera Garfagnana.
Per informazioni rivolgersi
a Pietro Ciambelli ed
Osvaldo Casanovi.
Pietro Rossi, classe 1922, alpino, il più anziano reduce castelnuovese della tragica campagna di Russia dall’estate del 1941
al gennaio 1943 durante la seconda guerra mondiale, è stato il
protagonista della serata “I grandi eventi della Storia”, svoltasi nella saletta delle Volte, nella Rocca Arisostesca, a Castelnuovo. Rossi ha raccontato con vivacità e commozione gli
avvenimenti che lo videro presente.
La conferenza è stata introdotta da un intervento del vice sindaco Angiolo Masotti che ha riassunto, dal punto di vista storico, gli avvenimenti che videro coinvolte le truppe italiane in
Russia.
È quindi intervenuto Don Lorenzo Angelini, parroco di Pieve
Fosciana ed autore di un interessante volume dedicato ai garfagnini nella campagna di Russia.
Dino Magistrelli
Il Giornale di Castelnuovo
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Direttore: Andrea Giannasi
Caporedattrice Barbara Coli
In redazione
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Bertoncini, Cristian Tognarelli
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Commerciale
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Edizione Maggio 2013 - Il Giornale di Castelnuovo