Marcella Farina IL ROVETO ARDENTE Senza la domenica non possiamo vivere Preghiera per il Congresso Eucaristico Nazionale Padre Onnipotente, che in ogni domenica illumini l’universo con lo splendore della risurrezione del tuo Figlio e chiami tutti gli uomini alle sorgenti della vita, noi ti benediciamo. Signore Gesù, che nella celebrazione eucaristica ci nutri alla mensa della Parola e del Pane di vita, e ci doni la grazia di servire i fratelli nella carità, noi ti ringraziamo. Spirito Santo, che nella Pasqua settimanale raccogli la Chiesa nell’unità e la sospingi sulle strade del mondo per edificare, con tutti gli uomini, la società nella giustizia e nella pace, noi t’invochiamo. Vergine Maria Odegitria, Donna eucaristica, a te affidiamo il Congresso Eucaristico Nazionale e, nell’attesa della domenica senza tramonto, guardiamo a te, che brilli come stella sul nostro cammino. Amen. (Mons. Francesco Cacucci Arcivescovo di Bari-Bitonto) O Dio, creatore e rinnovatore di tutte le cose, aprici le porte della tua misericordia, e fa’ che celebriamo santamente il giorno del Risorto, giorno dell’ascolto e dell’agape eucaristica, giorno della fraternità e del riposo, Perché tutte le creature cantino con noi a cieli nuovi e terra nuova (Preghiera conclusiva delle Linee teologico-pastorali per una “catechesi mistagogica” sulla domenica). Premessa Con cuore grato per essere accolta in questa comunità cristiana così ricca di doni divini vengo in punta di piedi a condividere qualche pensiero. Noi sappiamo che Gesù è risorto, quindi è presente in mezzo a noi e con la sua presenza rende efficace questa nostra condivisione. Paolo direbbe: “Se Cristo non è risorto vana è la nostra predicazione, vana anche la vostra fede” (1Cor 15,14). Lo dice in quella lettera in cui sottolinea che al Signore è piaciuto salvarci con la stoltezza della predicazione (cf 1Cor 1,21). Nella povera parola umana Egli, nella sua infinita condiscendenza, si degna di comunicare il suo messaggio di amore. Egli, la Parola, si esprime attraverso la nostra voce.1 Quindi è Gesù con la forza dello Spirito che rende fecondo l’annuncio della Chiesa, operando contemporaneamente sia in chi annuncia, sia in chi ascolta, convertendo i cuori di entrambi al Vangelo. In questa profonda consapevolezza, con semplicità, commento il tema affidatomi: Senza la domenica non possiamo vivere. Secondo le consegne datemi, dovrei sottolineare il fascino della Pasqua settimanale, giorno del Risorto, giorno della Chiesa, giorno per eccellenza della celebrazione eucaristia. Sulla tematica esiste una ricca e profonda letteratura, disponibile pure nei siti internet. Vi sono documenti del magistero, testi elaborati in vista del 24° Congresso Eucaristico Nazionale, sussidi approntati per il cammino di fede proposto a varie categorie di persone e di gruppi. Si sono 1 Cf CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica su La divina Rivelazione, Dei Verbum 13. 1 programmate, e già in parte realizzate, iniziative di studio mediante conferenze e convegni che hanno a tema aspetti dell’Anno Eucaristico e del Congresso Eucaristico Nazionale.2 Non occorre, pertanto, portare nuove informazioni, ma piuttosto condividere indicazioni e criteri che favoriscano la nostra conversione e ci appassionino nella testimonianza di Gesù e nell’annuncio del suo Vangelo. Certo, non possiamo dimenticare l’analfabetismo religioso che colpisce anche i cristiani praticanti, una situazione che interpella la comunità credente a comunicare il Vangelo che, oggi in Italia, è davvero una ‘nuova’ notizia. Anzi ciascuno di noi ha un ampio margine di ignoranza sul quale lavorare per vivere la fede con consapevolezza e responsabilità. Inoltre la cultura odierna della comunicazione informatica pone l’esigenza di non limitarsi alla parola ‘informazione’, ma di proporre la parola che forma, che dà senso, dà orientamento all’esistenza umana. In questa direzione provo a organizzare le annotazioni intorno a tre nuclei tematici. Nel primo offro alcuni elementi per contestualizzare il nostro esserci come singoli e come comunità credente a confronto con le genealogie della fede, in comunione sincronica e diacronica. Nel secondo esplicito l’espressione Senza la domenica non possiamo vivere, attingendo agli Atti dei martiri di Abitene. Nel terzo segnalo qualche coordinata del nostro essere ‘nel tempo’ che assume spessore umanistico, quindi significato antropologico, proprio con il riferimento ad un giorno diverso, carico di valori simbolici, come è la domenica. In comunione con le genealogie della fede L’icona del roveto ardente Con singolare efficacia la parrocchia di S. Maria del Suffragio ha scelto per il suo itinerario quaresimale l’icona del roveto ardente, inserendosi, così, nel cammino della Chiesa, sia italiana che internazionale, e collegandosi misticamente alle generazioni credenti in senso diacronico e sincronico. L’icona simbolicamente evoca una molteplicità di prospettive convergenti nell’unico evento salvifico: l’Alleanza tra il Signore e il suo popolo. Infatti, ricorda l’esperienza mistica di Mosé e in maniera inclusiva l’evento dell’Antica Alleanza, centro della fede di Israele, con tutto il complesso di promesse e di attese, di doni divini e di speranza, di presenza e di invocazione, di misericordia e di ardimento ove il Dio vivente, con tenerezza e sollecitudine, viene incontro alla sua creatura e all’intera famiglia umana, donando la salvezza. La comunità con l’icona del roveto ardente vuol far memoria delle grandi opere del Dio dell’Alleanza accogliendo lo spirito di Mosè, quindi si pone alla ricerca di Dio, scorgendone i segni, in attesa operosa della realizzazione delle promesse, ma anche disponibile alla missione affidatale, una missione tanto ardita che pare impossibile. Come il mediatore dell’Antica Alleanza è chiamata ad oltrepassare le obiezioni, confidando nell’anticipo di fiducia di Dio e offrendo un anticipo di affidamento. Si collega ai fratelli maggiori nella fede con gratitudine a Dio. Lo fa con l’aiuto di questa singolare figlia di Sion che è Maria di Nazareth, Madre del Signore e Madre della nuova umanità. Il roveto ardente ci ricorda che il Signore viene nella storia dei suoi figli, che ascolta il grido di aiuto e viene a liberare. Richiama, contemporaneamente, la ricerca umana di Dio basata su una natia e sana curiosità che non dà spazio all’indifferenza e alla pigrizia (cf Es 3,1-15). Questa ricerca è possibile perché Dio è già misteriosamente presente nella sincera e a volte confusa ricerca umana. Qui sta la peculiarità della prospettiva religiosa biblico-cristiana: non è prima di tutto la creatura che cerca Dio, ma Dio che cerca la sua creatura per comunicarle il suo amore misericordioso. 2 Cf www.congressoeucaristico.it, un sito ricco di materiale di studio. 2 Il roveto ardente conduce dall’Antica alla Nuova Alleanza, dal Sinai al Cenacolo, dal roveto che arde e non si consuma alla Croce ove il Cristo si dona fino alla fine, fino al consummatum est. Nel memoriale della pasqua antica il Signore offre in sacramento se stesso, nella sua pasqua che è anche la pasqua dei suoi e la pasqua del mondo. Egli accoglie l’esperienza religiosa dei popoli, delle generazioni, e la porta a pienezza. Dal cuore della fede ebraica al cuore della fede cristiana: la Pasqua del Signore di cui l’Eucaristica è il memoriale permanente. Di questo passaggio e di questi intimi rapporti è testimone una martire del 20° secolo: Edith Stein. Nel mosaico della cappella Redemptoris Mater il grande artista Marko Ivan Rupnik l’ha rappresentata vicino al roveto ardente. Questa umile e coraggiosa credente, filosofa, mistica, martire (Breslavia 12 ottobre 1891-Auschwitz 9 agosto 1942) fin dall’infanzia ha sognato celebrità e felicità, convinta di essere destinata a qualcosa di grande. Progressivamente la Provvidenza l’ha condotta a scoprire la sorgente di ogni gioia e grandezza: la Croce di Cristo. A soli due anni è raggiunta dal dolore della morte del padre. Le conseguenze spirituali, psicologiche ed economiche che si ripercuotono sulla famiglia e su di lei si possono immaginare. Al liceo, verso il 1911, abbandona la fede ebraica. È appassionata nella ricerca della verità e all’università ha il privilegio di essere non solo discepola, ma assistente di Husserl. Come Mosè che si spinge verso il roveto che arde e non si consuma, ella cammina decisamente per abbeverarsi alla fonte della verità. E la Verità è già accanto a lei e lancia i suoi segnali. Nel 1917 dalle Fiandre giunge inaspettata la notizia della morte di Adolf Reinach. La giovane vedova, consapevole della superiorità intellettuale del marito, la chiama a riordinarne le carte. Edith pensa di trovare una donna distrutta, invece incontra una donna piena di speranza in Dio. Così tocca con mano la realtà della chiesa nata dalla sofferenza del Redentore che vince la morte. Confessa che quello fu l’evento che mise in crisi per sempre la sua incredulità e illuminò la sua esistenza con il mistero della Croce di Cristo. È il primo chiaro incontro con il Crocifisso. Nell’estate del 1921 un nuovo evento dà una direzione decisiva alla sua esistenza. È ospite di Conrad Martius. Lì in una notte legge la vita di S. Teresa d’Avila. Ha un sussulto: ‘Ecco la verità’. Si industria per istruirsi sulla fede cristiana. Quindi decide di prepararsi al battesimo che riceve nel 1922. Continua il suo percorso verso il roveto ardente, verso la Verità, come Mosè, svolgendo la sua missione di insegnamento e di testimonianza. Matura la decisione di entrare nel Carmelo, di salire la santa montagna libera da ogni legame terrestre che possa ostacolare il cammino deciso verso il Salvatore Crocifisso, l’ebreo Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio. Il 12 ottobre del 1933, giorno del suo compleanno e festa dei Tabernacoli, passa l’ultimo giorno a casa, trascorre la notte con la mamma. Al mattino va alla stazione con la nipote Erika che le dà l'ultimo saluto: l'Eterno ti assista. Ebraismo e cristianesimo si congiungono. Entra in Carmelo. Intuisce con sempre maggior lucidità l’avvicinarsi di tempi tenebrosi e ne prova un intenso dolore, avverte i segnali premonitori della sciagura che sta per abbattersi sul suo popolo e misteriosamente si prepara a condividerla. Comprende che la salvezza non è un prodotto umano, ma frutto della passione di Cristo che ella vuole condividere, per questo sceglie il nome-programma Teresia Benedicta a Cruce. A Madre Petra il 9 dicembre del ‘38 scrive: “Ho portato il mio nome da religiosa già da postulante: così come l'ho chiesto mi è stato dato. Sotto la croce ho capito il destino del popolo di Dio, che fin da allora cominciava a preannunciarsi. Ho pensato che quelli che capiscono che tutto questo è la croce di Cristo, dovrebbero prenderla su di sé in nome di tutti gli altri”.3 Il 31 dicembre dello stesso anno lascia Colonia. Per salvarla dalla possibile persecuzione viene mandata ad Echt, in Olanda, insieme alla sorella Rosa. Ormai si avvicina la sua ORA e l’anticipa interiormente come Gesù che nel Gestemani vive la sua pasqua interiore. Il 26 marzo 1939, domenica di Passione, scrive alla sua Priora per chiederle di poter offrire la sua vita come vittima: “Cara madre mi permetta di offrirmi quale vittima espiatrice al cuore di Gesù per impetrare la vera pace e che il dominio dell'anticristo - possibilmente senza una seconda guerra mondiale - cessi e si costruisca un 3 In E. STEIN, La scelta di Dio. Lettere (1917-1942), a cura di C. BETTINELLI, Roma, Città Nuova 1973,132. 3 nuovo ordine. Siccome sono le dodici, desidererei farlo oggi stesso. So di essere un nulla, ma Gesù lo vuole ed egli chiamerà certamente molti altri in questi giorni a fare lo stesso”.4 Viene arrestata dalla Gestapo insieme alla sorella il 2 agosto del ’42. È condotta al campo di raccolta di Westerbork; il 7 dello stesso mese è deportata con altri ad Auschwitz ove muore in una camera a gas qualche giorno dopo, forse il 9 agosto. La testimonianza della Stein è diretta proprio al senso del Sine Dominico non possumus, quindi ci interpella nel nostro itinerario quaresimale. Un funzionario olandese, testimone dell’ultimo viaggio della santa, scrisse sulla rivista De Tijd: “Quando incontrai questa donna al campo di Westerbork, dissi subito a me stesso: ‘Questa è veramente una persona grande’.. In una conversazione disse: ‘Il mondo è formato di opposti [...], ma alla fine nulla resterà di questi contrari. Solo un amore grande resterà.. E come potrebbe essere altrimenti?’. Parlava con tanta sicurezza e umiltà che doveva conquistare gli ascoltatori. Un colloquio con lei [...] era un viaggio in un altro mondo [...]. Una volta disse: ‘Ogni ora io prego per essi. Ascolterà Dio la mia preghiera? Certo è che ascolta il loro lamento’. Quando ormai non restava più dubbio sulla deportazione chiesi se dovesse avvertire qualcuno, magari le guardie fidate di Utrech. Sorrise, non volle [...]. Perché un'eccezione per lei o per quel gruppo? Giustizia esigeva che a lei non venisse alcun privilegio dal fatto di essere battezzata. Se non avesse potuto condividere la sorte degli altri, la sua vita sarebbe stata come distrutta [...]. Così andò con la sorella Rosa alla carrozza. Vidi il suo sorriso, la sua infrangibile risolutezza che l'accompagnarono ad Auschwitz”.5 Dio risponde al grido ancora oggi. Ed è ‘beato chi ha fame e sete di giustizia; chi cerca prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia’ Questa beatitudine sia pure la nostra. In cammino con tutta la Chiesa La comunità parrocchiale di S. Maria del Suffragio accoglie il mistero del Signore prendendo come simbolo il roveto. Non è un voltar pagina, ma un proseguire un cammino iniziato da anni. Ora lo precisa con un riferimento più esplicito all’itinerario della Chiesa universale che si incentra nell’Eucaristia, valorizzando, quindi, il patrimonio di dottrina e di testimonianza delle altre comunità. Vale la pena richiamare alcuni elementi in questo senso. Con grande vantaggio spirituale ci si riferisce alle direttive del Pontefice. Ricordo la Lettera apostolica del 7 ottobre 2004, Mane nobiscum Domine, con la quale egli ha indetto l'anno dell'Eucaristia. L’idea di dedicare un anno a questo grande mistero era nel suo cuore. L’ha espressa pubblicamente nell’omelia del Corpus Domini, il 10 giugno 2004, nella quale annuncia appunto uno speciale Anno dell'Eucarestia, facendolo iniziare il 17 ottobre 2004, a conclusione del 48° Congresso Eucaristico Internazionale celebrato a Guadalajara (Mexico).6 La conclusione è fissata in occasione del sinodo mondiale dei vescovi che si svolgerà in Vaticano dal 2 al 29 ottobre 2005 e avrà come tema: L'Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa.7 Il Santo Padre ha sottolineato che non si tratta di una iniziativa da aggiungere a quelle già programmate dalle Chiese particolari. Si tratta di andare al fondamento di esse, alla sorgente, al Signore e alla sua presenza salvifica nel mondo. Questi sono gli eventi più prossimi. Ma l’idea del Pontefice è remota. Possiamo dire, come si intuisce dalla suddetta Lettera, che dall’Eucaristia è stato sempre affascinato, da Essa ha sempre attinto le risorse per la sua esistenza di credente e di missionario. 4 Ivi 138. Ivi nota 49, p 50. 6 Svoltosi dal 10 al 17 ottobre 2004, con il tema L'Eucaristia, Luce e Vita del nuovo millennio. 7 In preparazione del sinodo il 31 marzo 2004 sono stati inviati ai vescovi di tutto il mondo i lineamenta. 5 4 Segnala, però, alcuni snodi fondamentali a partire dal Vaticano II. Ricorda in particolare l’esperienza del grande giubileo, con il suo ricco iter di preparazione e di sviluppo: un evento che ha sottolineato la centralità della vita sacramentale, specie dell’Eucaristia e della Confessione. Nella Lettera apostolica Tertio millennio adveniente del 10 novembre ‘94 auspicava che il Duemila fosse “un anno intensamente eucaristico: nel sacramento dell'Eucaristia il Salvatore, incarnatosi nel grembo di Maria venti secoli fa, continua ad offrirsi all'umanità come sorgente di vita divina” (n. 55). Mentre nella Lettera apostolica del 6 gennaio 2001, Novo millennio ineunte, annota: “Nel secolo XX, specie dal Concilio in poi, molto è cresciuta la comunità cristiana nel modo di celebrare i Sacramenti e soprattutto l'Eucaristia. Occorre insistere in questa direzione, dando particolar rilievo all'Eucaristia domenicale e alla stessa Domenica, sentita come giorno speciale della fede, giorno del Signore risorto e del dono dello Spirito, vera Pasqua della settimana” (n. 35). Circa due anni prima, il 31 maggio 1998, aveva esortato la chiesa intera a vivere il giorno del Signore secondo la fede, valorizzandone le ricche possibilità teologiche, antropologiche e socioculturali: è la Lettera apostolica, Dies Domini, nella quale propone una meditazione sulla Domenica, giorno del Signore risorto, giorno speciale della Chiesa, giorno di cui la celebrazione eucaristica è il cuore.8 Che dire poi della Lettera enciclica del 17 aprile 2003, Ecclesia de Eucharistia, e della Lettera del 16 ottobre 2002, Rosarium Virginis Mariae nella quale il Pontefice propone di aggiunge i misteri della luce che culminano con l’istituzione dell’Eucaristia? Pure la Giornata Mondiale della Gioventù, che si svolgerà a Colonia dal 16 al 21 agosto 2005, pone al centro il fascino dell’Eucaristia con il tema “Siamo venuti per adorarlo” (Mt 2,2). I Giovani hanno già iniziato la preparazione a questo evento. Non sono pochi coloro che hanno scelto l’adorazione eucaristica anche notturna ogni settimana. La Chiesa Italiana dopo il concilio ha intrapreso un peculiare cammino di rinnovamento che ha posto al centro l’Eucaristia. Lo testimoniano le proposte pastorali Evangelizzazione e Sacramenti (per gli anni ’70), Comunione e comunità (per gli anni ’80), Evangelizzazione e testimonianza della carità (per gli anni ’90) Comunicare il vangelo in un mondo che cambia. Cvmc dedica una parte consistente a Il giorno del Signore e la parrocchia, tempo e spazio per una comunità realmente eucaristica (47-49) i cui contenuti sono ripresi nella Nota pastorale del 30 maggio 2004, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (n 8). L’Ufficio Liturgico Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana aveva già dedicato una particolare attenzione alla Domenica nella Nota pastorale Il giorno del Signore dell’11 maggio 1984. Ancor più diretta sul nostro tema è la bellissima lettera del Consiglio Episcopale Permanente della CEI (1 novembre 2004) in preparazione del 24° Congresso Eucaristico Nazionale che si svolgerà a Bari dal 21 al 29 maggio 2005, che, come sappiamo, ha come tema Senza la domenica non possiamo vivere. Tutti gli Uffici e le Commissioni CEI, proprio per operare in unità di intenti, nelle loro iniziative si stanno ispirando contemporaneamente a Cvmc e al tema del Congresso Eucaristico. Così il Centro Nazionale Vocazioni ha dedicato ad esso il convegno del 3-5 gennaio: Il dinamismo vocazionale dell’Eucaristia nel giorno del Signore. Come?. Ha preparato un interessante materiale dedicato sia al congresso eucaristico sia alla Giornata Mondiale dei Giovani di Colonia. Interpellante è pure la scheda approntata per favorire l’approfondimento del tema della 48ª giornata mondale di preghiera per le vocazioni con il titolo: Nel giorno del Signore… i tuoi giorni con le seguenti scansioni: Nel giorno del Signore un’alba nuova per … i tuoi giorni, nel giorno del Signore la luce del Risorto illumina… i tuoi giorni, Nel giorno del Signore esplode la gioia per tutti … i tuoi giorni, Nel giorno del Signore l’Eucaristia è scuola di vita per… i tuoi giorni. 8 La Lettera coglieva un problema concreto delle comunità cristiane: la carente partecipazione dei fedeli alla S. Messa (cf Domenica, in Liturgia, a cura di SARTORE D., TRIACCA A.M., CIBIEN C., Cinisello Balsamo, San Paolo 2001,585.588. 5 La diocesi di Bari-Bitonto, che ha il compito di organizzare la celebrazione del Congresso Eucaristico, ha preparato e offerto, pure attraverso il sito dedicato, dei sussidi molto belli e utili. Tra questi ricordo il Messaggio del 1° dicembre 2002 alla diocesi di Bari-Bitonto, firmata da mons. Angelo Comastri, Arcivescovo Prelato di Loreto Presidente del Comitato dei Congressi Eucaristici Nazionali, e da mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo della diocesi suddetta. La scelta del tema del congresso è il frutto di un discernimento ecclesiale, quindi è come un percorso aperto dallo Spirito che fa memoria del Signore nella comunità credente e rende i discepoli testimoni. Infatti, Sine dominico non possumus indica la centralità di Gesù risorto nella vita cristiana e propone la testimonianza coraggiosa dei 49 martiri di Abitene. La parrocchia di S. Maria del Suffragio vuole percorrere in comunione questo cammino ecclesiale non retoricamente, ma consapevolmente, nella gratitudine e nello slancio missionario. Per questo è bene condividere il significato di Sine dominico non possumus, esplicitando dove, da chi, come e quando è stata pronunciata l’espressione, e quale senso ha per la comunità cristiana e per l’umanità contemporanea. Sine Dominico non possumus L’espressione è tratta dagli Atti dei martiri di Abitene, in particolare dalla professione di fede di Emerito. È stata scelta con grande saggezza evangelica, perché è la professione di fede coraggiosa di una comunità che testimonia la centralità del giorno del Signore. Essa evidenzia l’essenza dell’essere credente e dell’essere comunità di Cristo. Include pure il riferimento alle Scritture. Quindi chiama in causa gli elementi che strutturano e caratterizzano la fede cristiana: la Mensa della Parola e del Pane di Vita. Per evitare che l’espressione sia ridotta a slogan, con molta opportunità sono stati pubblicati gli Atti nella versione italiana con a fianco il testo latino, preceduti da una ricca introduzione. Il lavoro è curato da Giuseppe Micunco9. Una nota sugli Atti L’autore Il testo è di ignoto autore. Alcuni ne mettono in discussione l’autenticità, perché sarebbero tardivi e forse sarebbero stati composti per ragioni legate alla controversia tra cattolici e donatisti, verso la fine del IV secolo e l’inizio del V. I più propendono per la fine del IV secolo. L’autore potrebbe essere un donatista che ha voluto sottolineare l’eroicità dei martiri e condannare i traditores. Nella conferenza di Cartagine del 411, ove era presente anche s. Agostino, vi erano 286 vescovi cattolici e 279 donatisti.. Questi avevano dichiarato invalida la riunione tenuta a Cirta nel 305 durante la quale era stato nominato un vescovo cattolico. Per mostrare l’invalidità della nomina menzionavano gli Atti dei martiri di Abitene dai quali deducevano che mai si sarebbe tenuta una riunione, perché la persecuzione impediva ogni riunione cristiana. I cattolici, proprio ricorrendo a questi Atti, dimostravano il contrario, che, cioè, le riunioni si tenevano ugualmente. Infatti i martiri confessavano proprio di aver partecipato alle assemblee. Il fatto che l’autore potrebbe essere un donatista non mette in crisi la storicità e l’autenticità del testo. Sembra che la redazione sia quasi con temporanea ai fatti, perché l’autore parla come testimone diretto. Un donatista, probabilmente, per sostenere le sue idee, vi ha aggiunto un preambolo e un’appendice. Pertanto, togliendo queste parti aggiunte, si può ricostruire con un’alta probabilità il processo. Il luogo 9 G. MICUNCO, Sine Dominico non possumus. I martiri di Abitene e la Pasqua domenicale, Bari, Editrice Ecumenica 2004. 6 Abitene (Abitinae) era una città dell’Africa proconsolare, nell’odierna Tunisia, situata, secondo una indicazione di s. Agostino, a sud ovest dell’antica Mambressa, oggi Medjez el–Bab, sul fiume Medjerda. È attestata come sede episcopale fin dai tempi di s. Cipriano. Oggi è localizzata presso le rovine di Henchir Chachoud, ipotesi confermata da due iscrizioni che collocavano la città a 4 km da Mambressa, precisamente nella località di Chouchoud el-Batin.. El Batin evoca Abitene. I 17 capitoli Nel primo si presenta l’editto dell’imperatore di Diocleziano del 303, che comandava in particolare di «ricercare i sacri e santi Testamenti del Signore e le divine Scritture, perché fossero bruciati; […di] abbattere le basiliche del Signore; […di] proibire di celebrare i sacri riti e le santissime riunioni del Signore (celebrari Dominico)». Questo editto, scatena una violenta persecuzione contro i cristiani, in varie parti dell’impero. Al comando imperiale l’esercito del Signore Dio non cede, anzi afferra le armi della fede e lotta non contro gli uomini, ma contro il diavolo. Alcuni cedono e consegnano ai pagani le Scritture del Signore e i divini Testamenti. Ma moltissimi sono quelli che affrontano il martirio da forti per custodire i libri, versando il sangue con gioia. Di qui l’arresto dei 49 martiri di Abitene elencati nel secondo capitolo degli Atti. Sono arrestati mentre celebrano il Dominicum (pasqua domenicale). Dai nomi si capisce che è una piccola e variegata comunità. Vi è un senatore, Dativo, un presbitero, Saturnino con i suoi quattro figli, tra i quali Saturno il giovane e Felice, entrambi lettori, Maria, vergine consacrata, e il fanciullo Ilarione; vi è pure un’altra vergine, Vittoria, un lettore, Emerito. Contravvenendo agli ordini dell’Imperatore, il gruppo si riunisce settimanalmente in casa di uno di loro, per celebrare la Pasqua domenicale (ibique celebrantes ex more Dominicum). Si menziona la casa di Ottavio Felice, ma da altri passi degli Atti emerge che si riuniscono in casa di Emerito.10 Nel terzo capitolo si parla dell’arresto. Questi cristiani vengono imprigionati durante una celebrazione e condotti a Cartagine per essere interrogati dal proconsole Anulino. Vanno pieni di esultanza. Davanti a tutti cammina Dativo, senatore, che appartiene a una famiglia cristiana; si parla, infatti, dei suoi santi genitori. Viene poi il presbitero Saturnino, quindi i suoi figli, poi tutta la milizia che risplende delle armi celesti: lo scudo della fede, la corazza della giustizia, l’elmo della salvezza e la spada a doppio taglio della Parola di Dio (cf Ef 6,16s). Procedono forti, assicurando ai fratelli la speranza della vittoria. Sono portati al foro, lì, dove in precedenza Fundano, vescovo, aveva consegnato le Scritture del Signore, ma era accaduto che, mentre il magistrato le metteva al fuoco, una improvvisa e torrenziale pioggia e grandinata spensero il fuoco e devastarono il territorio. Il cielo aveva combattuto al posto del vescovo. Il quarto capitolo presenta i 49 testimoni che giungono a Cartagine ‘esultanti e lieti’; lungo tutto il percorso hanno salmodiato al Signore con inni e cantici, colmi di gioia per l’imminente martirio. Arrivati in città ricevono le catene, e, quali soldati di Cristo, stanno ritti, con animo fermo e forte, davanti al proconsole Anulino. L’Autore degli Atti non intende descrivere il martirio con le sue parole, ma registra quelle dei coraggiosi testimoni, facendo risplendere la loro forza e il loro coraggio, e glorificando il Cristo Signore che dà loro la forza di sopportare i tormenti per il suo nome. Dal quinto capitolo inizia il processo davanti al proconsole perché hanno tenuto l’assemblea per celebrare Dominicum, trasgredendo il divieto imperiale. Dativo è il primo a comparire. Il proconsole gli chiede a quale condizione sociale appartenga e se ha partecipato all’assemblea. Egli professa di essere cristiano, quindi di aver partecipato alla celebrazione. Gli domanda chi ha organizzato la santissima assemblea e subito lo fa innalzare sul cavalletto per la tortura. Mentre Dativo viene torturato, si fa avanti Telica che si getta tra i torturatori e grida: “Siamo cristiani. Da noi stessi ci siamo radunati per l’assemblea”. Quindi il proconsole fa infliggere gravissimi colpi al martire, lo fa stendere sul cavalletto e dilaniare dagli 10 Secondo Micunco potrebbe alludere all’ottavo giorno, giorno felice. 7 uncini. Ma Telica proprio in mezzo alla rabbia dei carnefici si rivolge al Signore pregando: “Rendo grazie a Dio. Nel tuo nome, Cristo, Figlio di Dio, libera i tuoi servi.11 Il capitolo sesto presenta Dativo che prega in mezzo ai tormenti. Il proconsole gli chiede ancora chi abbia organizzato con lui la riunione. Il martire, mostrando che la chiesa si raccoglie come popolo sacerdotale (1Pt 2,9), indica la presenza con tutti loro del presbitero Saturnino, così sottolinea che hanno celebrato integre, cioè validamente. Intanto, mentre il suo sangue sgorga abbondante, prega e chiede perdono per i persecutori, ricordando l’insegnamento del vangelo. È una preghiera bellissima nella quale confessa la loro innocenza e denuncia la loro ingiusta condanna. “Voi agite ingiustamente, o infelici; voi agite contro Dio. O Dio altissimo, non imputare loro questi peccati (cf At 7,60). Voi state peccando, o infelici; voi agite contro Dio. Osservate i comandamenti del Dio altissimo. Voi agite ingiustamente, o infelici; voi dilaniate degli innocenti. Non abbiamo ucciso nessuno; non abbiamo frodato nessuno.12 Dio, abbi misericordia. Ti rendo grazie, Signore; dammi la forza di soffrire per il tuo nome. Libera i tuoi servi dalla schiavitù di questo mondo. Ti rendo grazie; non potrò mai renderti grazie abbastanza”. Mentre con maggiore violenza è torturato e sgorga abbondante il sangue, sente dal proconsole: “Comincerai a provare quello che dovete patire”. Ed egli: “Per la sua gloria. Rendo grazie a Dio che regna. Vedo già il regno eterno, il regno che non si corrompe13. Signore Gesù Cristo, noi siamo cristiani, siamo al tuo servizio; tu sei la nostra speranza (1Tm 1,1) tu sei la speranza dei cristiani”. Il proconsole (che personifica il diavolo) continua a dire che avrebbe dovuto osservare l'editto imperiale, ma Dativo, stremato ormai nel corpo e vittorioso nell'animo, con voce ancora forte e ferma proclama: “Non mi curo se non della legge di Dio che ho appreso. Quella osservo, per quella morirò, in quella per me è il compimento di tutto; fuori di quella non ve n'è un'altra”. Anulino, vedendosi sconfitto, fa aumentare i tormenti. Infine, stanco, ordina di lasciarlo.14 Nel capitolo settimo si parla della fortissima lotta di Telica, mentre pende anche lui dal cavalletto, come Gesù pendeva dalla Croce. Egli ripete a più riprese che è cristiano e che ha partecipato all’assemblea. Ad un tratto si alza Fortunanziano e accusa il senatore di aver sedotto la sorella Vittoria che ha condotto, insieme a Seconda e Restituta, da Cartagine nella colonia di Abitene. Ma Vittoria confessa con coraggio che nella libertà è cristiana e vergine. Ha compiuto tutto di spontanea volontà, ha partecipato all’assemblea e ha celebrato il Dominicum con i fratelli. Quindi Anulino ordina di conficcare uncini al corpo del martire che viene straziato in ogni modo, ma il suo animo è sempre integro e irremovibile. Infine, memore della sua dignità di senatore, si rivolge al Signore, sotto i colpi: “Cristo Signore che io non sia confuso” (Sl 118,31) La scena continua nel capitolo ottavo. L’animo del proconsole è turbato e confuso, fa smettere i carnefici.15 Si fa avanti un altro pagano, Pompeiano, che rivolge accuse calunniose, ed egli continua a confessare l’innocenza e la sua partecipazione al Dominicum con i fratelli e con degna devozione. Ancora supplica: “Ti prego, Cristo, che io non sia confuso”. Nel capitolo nono si annota che, mentre i carnefici raschiavano con gli uncini i fianchi di dativo, viene sfidato al combattimento Saturnino, il presbitero, che già contempla il regno dei cieli e giudica cosa lieve quanto sopportano i compagni. Il proconsole gli domanda perché ha agito contro l’editto, radunando l’assemblea; egli risponde che in pace hanno celebrato il Dominicum. Il proconsole gli chiede il perché; “non potest intermitti Dominicum” (non è possibile smettere di celebrare il Dominicum), risponde. Mentre è tormentato ha accanto Dativo, che non facendo conto 11 Micuno richiama al riguardo 1Gv 4,15: “Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in Lui ed egli in Dio”; Mt 6,13: “Liberaci dal male”, l’invocazione del Pater. Il termine ‘innalzare’ sul cavalletto, anziché ‘gettare’, vuole evocare Cristo innalzato sulla Croce (cf Gv 12,32). 12 “La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere, giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio” (1Pt 2,12); “e se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi!... nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. È meglio infatti, se così Dio vuole, soffrire operando il bene, che facendo il male” (1Pt 3,14-17). 13 Cf At 7,55-56). Il “regno che non si corrompe” richiama 1Pt 1,3-4: “(Dio) ci ha rigenerati mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti per una speranza viva, per un'eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce”. L'attesa del regno indica il senso escatologico dell'Eucaristia: “venga il tuo regno” (Mt 6,10); “annunziate la morte del Signore finché egli venga”(1Cor 11,26). 14 In moltissimi Atti dei martiri emerge che i carnefici sono più sfiniti di loro. Penso ad es. ai martiri di Tivoli. L’autore annota che non è giusto che Dativo muoia martire per una sua compagna, per Vittoria; deve morire per Cristo. 15 8 del suo strazio, contempla il Signore e prega: “Soccorrimi, ti prego, Cristo. Abbi pietà. Salva l’anima mia, custodisci il mio spirito. Che io non sia confuso. Ti prego, Cristo, dammi la forza di soffrire per te”. Il proconsole insiste sul fatto che, essendo egli di quella città e senatore, avrebbe dovuto consigliare l’osservanza dell’editto, ma il martire con più forza e fermezza proclama di essere cristiano. Anulino è vinto da queste parole, fa cessare i tormenti e fa gettare Dativo in carcere. Intanto il presbitero Saturnino sostiene l’importanza della celebrazione del Dominicum. Ecco il contenuto del decimo capitolo. Irrompe Emerito dicendo: “Il promotore sono io; è nella mia casa che si sono tenute le assemblee”. Il proconsole, già tante volte sconfitto, si rivolge a Saturnino chiedendo perché abbia trasgredito l’editto; questi replica che non si può smettere di celebrare il Dominicum, così ordina la legge.16 Ancora il proconsole insiste che avrebbe dovuto aiutare a osservare l’editto, quindi fa intensificare il supplizio, ma egli prega: “Ti prego Cristo, esaudiscimi. Ti rendo grazie, o Dio, Fa’ che io sia decapitato! Ti prego, o Cristo, abbi misericordia. Figlio di Dio, soccorrimi!”.. Il proconsole insiste sul perché abbia agito contro l’editto. Il martire ribatte: “La nostra legge così comanda, la nostra legge così insegna”. Così testimonia a quale legge obbedisce e con gioia, da presbitero, predica pure tra i tormenti. Stanco, il proconsole fa smettere la tortura e lo fa condurre in carcere. Il capitolo undicesimo è dedicato ancora ad Emerito. Ritorna sempre la domanda se nella sua casa si siano svolte assemblee contro l’editto. Questi, inondato di Spirito Santo, risponde: “Nella mia casa abbiamo celebrato il Dominicum”. “Perché davi il permesso di entrare da te…”; “Perché sono miei fratelli e non potevo proibirglielo”; “Proibirglielo sarebbe stato tuo dovere”. “Non potevo, quondam sine Dominicum non possumus. Subito il proconsole ordina che sia torturato sul cavalletto. Egli prega: “Ti prego, Cristo, soccorrimi. E voi, infelici, state agendo contro il comandamento di Dio”. Il proconsole: “Non avresti dovuto accoglierli in casa”; “Non potevo far altro che accoglierli, perché sono miei fratelli”; “Ma prima veniva l’editto”; “Prima viene Dio… Ti prego Cristo, Ti rendo lode, Cristo Signore. Dammi la forza di patire…”.. Mentre prega così, il proconsole gli domanda se possiede le Scritture nella sua casa. Al che il martire risponde: “Nel mio cuore le ho. Ti prego, Cristo, a te la lode. Liberami, Cristo; patisco per il tuo nome. Per poco patisco, con gioia patisco, Cristo Signore. Che io non sia confuso”. Con la sua risposta Emerito attesta che la legge del Signore è scritta nel cuore non su tavole di pietra (2Cor 3,3). Sottolinea con forza che senza Dominicum i cristiani non possono vivere. Celebrazione e Scritture formano una unità inseparabile. Il proconsole ordina di cessare dai tormenti e conclude: “Secondo le vostra confessione pagherete tutti la pena che meritate”. Nel capitolo dodicesimo, dopo la nota sulla stanchezza del proconsole e dei carnefici, si presenta Felice. Anulino spera di convincerlo, ma egli con i compagni attesta di essere cristiano e di non osservare altra legge che quella del Signore, disposto a praticarla fino all’effusione del sangue. Ma il procuratore ribatte: “Non ti chiedo se sei cristiano, ma se hai partecipato all’assemblea e se hai qualche libro delle Scritture”. Qui l’autore degli Atti commenta: “Come se il cristiano potesse esistere senza celebrare i misteri del Signore o i misteri del Signore si potessero celebrare senza la presenza del cristiano! Non sai dunque, satana, che il cristiano vive della celebrazione dei misteri e la celebrazione dei misteri del Signore si deve compiere alla presenza del cristiano, in modo che non possono sussistere separati l’uno dall’altro? Quando senti il nome di cristiano, sappi che si riunisce con i fratelli davanti al Signore e, quando senti parlare di riunioni, riconosci in essa il nome di cristiano” (Quasi christianus sine Dominico esse possit, aut Dominicum sine cristiano celebrari… in Dominico Christianum et in Cristiano Dominicum).17 Il martire confessa: “Abbiamo celebrato l’assemblea con solennità e per leggere le Scritture del Signore siamo sempre convenuti in Dominicum” Segue nella confessione l’altro Felice. Il proconsole domanda ancora loro se posseggono in casa le Scritture. Essi confessano con coraggio che le custodiscono nel cuore, mostrando, così, che la fede è incisa nella vita. Viene chiesto pure se si sono riuniti e perché, nonostante il comando e la condanna imperiali. Essi mostrano di non 16 17 Un richiamo al comandamento di Gesù: “Fate questo in mia memoria”. È come proclamare che l’Eucaristia fa la Chiesa e la Chiesa fa l’Eucaristia. 9 preoccuparsi affatto della morte e dichiarano di non poter venir meno alla assemblea. Affrontano coraggiosamente la morte, pur di non rinnegare la loro fede nel Cristo risorto e non di venir meno all’incontro con Lui nella celebrazione eucaristica domenicale.18 Nel capitolo tredicesimo segue il martirio di Ampelio che, fedelissimo, ha custodito le divine Scritture. Confessa che ha partecipato all’assemblea, ha celebrato il Dominicum, e che conserva le Scritture nel cuore. È la volta di Rogaziano, di Quinto, di Massimiano, dell’altro Felice, il giovane. Questi proclama che la speranza e la salvezza dei cristiani è il Dominicum e che l’hanno celebrato devotamente. Tutti attestano la loro fede nelle Scritture e nel Dominicum. Avanza Saturnino, figlio del presbitero. È il contenuto del capitolo quattordicesimo. Interrogato sempre sull’assemblea, confessa di aver partecipato all’assemblea perché cristiano, “perché Cristo è il nostro Salvatore”. “Hai le Scritture?”, chiede il proconsole. “Sono cristiano!”, ribatte. Prosegue l’interrogatorio. “Non ti chiedo se sei cristiano, ma se hai le Scritture e hai partecipato all’assemblea. “Sono cristiano e non c’è altro nome che noi dobbiamo venerare come santo se non quello di Cristo”; “Dimmi se hai le Scritture”. Torturato, mescola il suo sangue con quello del padre e, come prendendo nuovo vigore da questa comunione, dice che le Scritture del Signore le ha, ma nel mio cuore. Supplica il Signore: “Ti prego, Cristo, dammi la forza di patire. La mia speranza è in Te…”. Nel quindicesimo capitolo si descrive la scena della sera: Anulino cerca di convincere gli altri; i carnefici sono stanchi di torturare. I martiri, invece non sono abbattuti, anzi rifulgono della luce di Cristo. Nessuno cede, tutti lieti e trionfanti, ferventi nello Spirito, proclamano a una sola voce: “Siamo cristiani”. Il capitolo sedicesimo parla della vergine Vittoria, eminente per purezza e santità.. I genitori volevano darla in sposa ed ella scappò, gettandosi da un precipizio e rifugiandosi nella chiesa. Ella continua nel professare la fede e la volontà di conservare la verginità. Il fratello dice che è fuori di mente, ma ella ribatte: “La mia mente sta ben salda in me e i miei fratelli sono coloro che osservano i precetti divini”. Dichiara di aver partecipato alla celebrazione del Dominicum. Gli Atti concludono con il capitolo diciassette ove si parla di Ilarione, uno dei figli del presbitero, il più piccolo. Egli è felice di raggiungere il padre e i fratelli, quindi confessa di essere cristiano e di aver partecipato all’assemblea di spontanea volontà. Viene minacciato, ma non si impaurisce. “Fa’ pure quello che vuoi, perché io sono cristiano”, dice al proconsole. Questi dà ordine che sia messo in carcere ed egli: “Rendo grazie a Dio”. Qui il diavolo viene battuto e vinto. Qui si allietano i martiri di Cristo, rallegrandosi in eterno per la gloria futura destinata alla loro passione. Il messaggio dei martiri di Abitene Sine dominico non possumus, Senza la domenica non possiamo.19 L’espressione, tratta dal capitolo undicesimo, è pronunciata dal lettore Emerito nella sua confessione di fede senza aggiungere alcuna spiegazione, quindi era chiarissima nell’indicare l’identità cristiana. Emerito afferma senza alcun timore di aver ospitato in casa sua i cristiani per celebrare il Dominicum. E, quando il proconsole gli chiede perché lo abbia fatto, trasgredendo l’editto imperiale, egli dice semplicemente: Sine dominico non possumus! Ci chiediamo: Quale significato e quali contenuti includeva il termine latino dominicum da spingere questi credenti ad affrontare la morte piuttosto che rinunciarvi? Il martire pronuncia una parola sintesi, il principio che unifica la vita personale e comunitaria dei cristiani, insistendo che senza Dominicum non si può essere credenti in Cristo, tanto meno vivere da cristiani. 18 Non sono legati all’osservanza di un “precetto”, ma alla domenica e all’Eucaristia celebrata in questo giorno, perché esse costituiscono la loro identità. 19 In termini equivalenti questa espressione ricorre nel capitolo dodicesimo. È come il filo rosso della testimonianza di questi martiri. 10 Il termine compare negli Atti 19 volte ed è associato ai verbi celebrare, agere, convenire. È riferito a corpus, sacrificium, sacramentum, mysterium, pascha, convivium, diem. È unito pure al luogo della celebrazione ‘nella casa’ (in domo mea dice Emerito; in domo Octavi Felicis, si dice nel capitolo secondo). Quando il proconsole chiede il perché di questo celebrare ai vari prigionieri di Cristo, essi sottolineano unanimemente che è legge del Signore, consuetudine; è salvezza e speranza, perché Cristo è salvatore. Esso si celebra con il presbitero, formando un’unica famiglia, quindi si celebra con i fratelli, si celebra con solennità e devozione, si celebra in pace. È così importante questo celebrare che senza di esso non possono esistere. Il loro martirio si trasforma, così, in una liturgia “eucaristica”. Tra i tormenti invocano: “Ti prego, Cristo, esaudiscimi. Ti rendo grazie, o Dio… Ti prego, Cristo, abbi misericordia”. Questa loro preghiera, insistente e lieta, è accompagnata dall’offerta della propria vita ed è unita alla richiesta di perdono per i loro carnefici. Sono proprio memoria del Signore nel suo mistero di passione e di gloria. Considerando complessivamente gli Atti, si può concludere che il “non possiamo” significa tante cose ed un’unica cosa: esistere, operare, essere, avere identità cristiana, mentre il termine Dominicum include un triplice significato: il giorno del Signore e, nello stesso tempo, tutto ciò che lo costituisce come tale, cioè la presenza del Cristo nell’evento eucaristico, in virtù della resurrezione, pertanto è anche il giorno della Chiesa e il giorno della persona credente. Il Dominicum è associato alla Sacra Scrittura. Negli Atti questa viene menzionata una trentina di volte. I testimoni si rifiutano di consegnarla, secondo l’editto imperiale, professando di averla incisa nel cuore. Sono discepoli del Signore, e possono vivere secondo il suo comando perché si alimentano costantemente e coraggiosamente alla Mensa della Parola e del Pane di Vita. Con la proclamazione Sine Dominico non possumus questi martiri ci lanciano un messaggio: senza Gesù, senza il Signore, non si può vivere. Egli è il Salvatore, la risposta vera al desiderio umano, al bisogno di salvezza. Egli è la pienezza di vita. Donare la vita per Lui è partecipare alla sua oblazione d’amore, è celebrare e vivere la liturgia pasquale. Il nostro giorno nel giorno del Signore, la la nostra vita nella Pasqua del Signore Sui passi dei martiri di Abitene Ci poniamo sui passi dei martiri in una comunione diacronica e sincronica, nella comunione dei santi. Essi ci insegnano con la vita che l’identità cristiana matura dentro l’economia sacramentale, ove il Signore ci comunica la sua Parola attraverso le sacre Scritture e ci comunica Se Stesso nelle specie del Pane e del Vino. Siamo chiamati a riscoprire la celebrazione e l’adorazione dell’Eucaristia, insieme all’ascolto operoso della Parola, come momenti centrali del nostro essere Chiesa di Cristo. Confortati dalla loro testimonianza, proseguiamo nel cammino di fede. Proprio la Lettera agli Ebrei, che parla della Nuova Alleanza e del Nuovo Sacerdozio, pone i credenti alla presenza di una moltitudine testimoni che inizia da Abele (Eb 11). Con questi eroi invochiamo la grazia di restare saldi nella fede. “Avendo noi intorno una così grande nube di testimoni, sbarazzatici d’ogni impaccio e del peccato che facilmente irretisce, con paziente perseveranza corriamo l’agone a noi proposto, levando lo sguardo all’autore e perfezionatore della fede, Gesù, il quale, per la gioia a lui proposta, tollerò la croce, sprezzatane l’ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio. Riflettete, infatti, a colui che ha sostenuto una così grande ostilità contro di sé da parte dei peccatori, affinché non vi stanchiate perdendovi d’animo (Eb 12,1-3) 11 Mons. Cacucci, nel presentare il tema del congresso eucaristico, afferma: “Se riusciremo a vivere sempre di più la celebrazione domenicale nella sua dimensione fondamentale e a riscoprire il significato della adorazione eucaristica avremo vissuto in modo adeguato l’Anno dell’Eucaristia”. Si tratta dunque di vivere “la domenica come tempo di riscoperta del senso del riposo e soprattutto della festa per il Risorto e per la comunità che si riunisce e che si adopera per la carità”. Negli OP Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, vi è un paragrafo dedicato a Il giorno del Signore e la parrocchia, tempo e spazio per una comunità realmente eucaristica, ove si afferma: “Ci sembra molto fecondo recuperare la centralità della parrocchia e rileggere la sua funzione storica concreta a partire dall’Eucaristia, fonte e manifestazione del raduno dei figli di Dio e vero antidoto alla loro dispersione nel pellegrinaggio verso il Regno […]. Ci sembra fondamentale ribadire che la comunità cristiana potrà essere una comunità di servi del Signore soltanto se custodirà la centralità della domenica, ‘giorno fatto dal Signore’ (Sal 118,24), ‘Pasqua settimanale’, con al centro la celebrazione dell’Eucaristia, e se custodirà nel contempo la parrocchia quale luogo – anche fisico – a cui la comunità stessa fa costante riferimento” (n. 47) Ogni parrocchia è invitata a celebrare e vivere l’Eucaristia, irradiando la sua forza salvifica nel mondo. Qui essa nasce come Chiesa di Cristo nella sua identità e missione. Qui ogni domenica “il popolo cristiano è radunato da Cristo per celebrare l’Eucaristia, in obbedienza al suo mandato: ‘Fate questo in memoria di me’ (Lc 22,19). Nell’Eucaristia Cristo morto e risorto è presente in mezzo al suo popolo. Nell’Eucaristia e mediante l’Eucaristia lo genera e rigenera incessantemente: ‘La Celebrazione eucaristica è al centro del processo di crescita della Chiesa’ (EdE, 21). Culmine dell’iniziazione cristiana, l’Eucaristia è alimento della vita ecclesiale e sorgente della missione. In essa la comunità riconosce Cristo Salvatore dell’uomo e del mondo […]. Le nostre parrocchie non si stanchino di ribadire a ogni cristiano il dovere-bisogno della fedeltà alla Messa domenicale e festiva e di vivere cristianamente la domenica e le feste. La vita della parrocchia ha il suo centro nel giorno del Signore e l’Eucaristia è il cuore della domenica. Dobbiamo ‘custodire’ la domenica, e la domenica ‘custodirà’ noi e le nostre parrocchie, orientandone il cammino, nutrendone la vita […]. Dal costato di Cristo scaturiscono, con i sacramenti, la comunione e la missione della Chiesa. Il ‘Corpo dato’ e il ‘Sangue versato’ sono ‘per voi e per tutti’: la missione è iscritta nel cuore dell’Eucaristia. Da qui prende forma la vita cristiana a servizio del Vangelo. Il modo in cui viene vissuto il giorno del Signore e celebrata l’Eucaristia domenicale deve far crescere nei fedeli un animo apostolico, aperto alla condivisione della fede, generoso nel servizio della carità, pronto a rendere ragione della speranza. È necessario ripresentare la domenica in tutta la sua ricchezza: giorno del Signore, della sua Pasqua per la salvezza del mondo, di cui l’Eucaristia è memoriale, origine della missione; giorno della Chiesa, esperienza viva di comunione condivisa tra tutti i suoi membri, irradiata su quanti vivono nel territorio parrocchiale; giorno dell’uomo, in cui la dimensione della festa svela il senso del tempo e apre il mondo alla speranza”. Per alimentare questa consapevolezza e costruirsi costantemente come Corpo di Cristo soprattutto oggi la parrocchia è chiamata a realizzare tre obiettivi. “Difendere anzitutto il significato religioso, ma insieme antropologico, culturale e sociale della domenica. Si tratta di offrire occasioni di esperienza comunitaria e di espressione di festa, per liberare l’uomo da una duplice schiavitù: l’assolutizzazione del lavoro e del profitto e la riduzione della festa a puro divertimento. La parrocchia, che condivide la vita quotidiana della gente, deve immettervi il senso vero della festa che apre alla trascendenza. Un aiuto particolare va dato alle famiglie, affinché il giorno della festa possa rinsaldarne l’unità, mediante relazioni più intense tra i suoi membri; la domenica infatti è anche giorno della famiglia. La qualità delle celebrazioni eucaristiche domenicali e festive va curata in modo particolare: equilibrio tra Parola e Sacramento, cura dell’azione rituale, valorizzazione dei segni, legame tra liturgia e vita […]. Il giorno del Signore è anche tempo della comunione, della testimonianza e della missione. Il confronto con la parola di Dio e il rinvigorire la confessione della fede nella Celebrazione eucaristica devono condurre a rinsaldare i vincoli della fraternità, a incrementare la dedizione al 12 Vangelo e ai poveri […]. Le parrocchie dovranno poi curare la proposta di momenti aggregativi, che diano concretezza alla comunione, e rafforzare il collegamento tra celebrazione ed espressione della fede nella carità. Così, nella festa, la parrocchia contribuisce a dar valore al tempo libero, aiutando a scoprirne il senso attraverso opere creative, spirituali, di comunione, di servizio”.20 Il tempo e il suo mistero “Che cos'è il tempo? - si chiede s. Agostino nelle Confessioni - e aggiunge: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so: eppure posso affermare con sicurezza di sapere che se nulla passasse, non esisterebbe un passato; se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe un futuro; se nulla esistesse, non vi sarebbe presente”.21 In tutte le culture è presente la domanda sul significato del tempo ed esistono modelli diversi di organizzarlo a vantaggio dei singoli e della collettività, gestendo la sua duplice valenza del continuum o durata, e del mutamento o divenire. La persona umana abita il tempo ed è abitata da esso, percepisce la propria vita e l’intera realtà come divenire incessante, scandito dalla nascita, crescita e fine. A differenza delle altre creature, è consapevole di essere assoggettata alla legge del divenire e cerca di coglierne il senso e l’orientamento. Si coglie identica a se stessa nel mutamento, attraverso i ritmi biologici, cosmici e sociali, attraverso l’alternarsi del giorno e della notte, il ciclo delle stagioni e le fasi lunari, attraverso eventi particolari quali grandi antecedenti che danno senso al suo esistere nel mondo. Così distingue il passato, il presente e il futuro e ne cerca i significati profondi. Deve fare i conti con il tempo cronologico, atmosferico, due costanti parametri entro i quali svolge le sue attività, in quanto ogni cosa necessita di un suo tempo, anzi è favorita oppure ostacolata dalle condizioni del tempo. Una bella o brutta giornata ha effetti diversi sulla propria esistenza. La prima infonde energie, allegria, ottimismo, predispone agli incontri. La seconda deprime, rattrista, rende pessimisti e porta ad isolarsi. Sembra che lo stesso carattere dei popoli sia connotato dal tempo atmosferico. Allora nelle regioni ove le giornate serene prevalgono su quelle nuvolose e fredde le popolazioni tendono ad essere solari o socievoli, mentre quelle che abitano luoghi in cui i giorni nuvolosi e piovosi superano quelli in cui splende il sole sono propensi alla tristezza e alla solitudine. Il tempo atmosferico orienta anche una diversa percezione del tempo cronologico: le giornate primaverili danno l’impressione di avere più tempo di quelle autunnali; a livello metaforico i giovani sentono di avere più tempo degli adulti che, con la percezione di averne di meno, dovrebbero gestirlo con più saggezza, consapevoli che certe occasioni non ritornano. Quindi il ‘tempo’ associa in sé molteplici significati che vanno dal tempo atmosferico a quello cronologico, da quello personale a quello sociale e istituzionale, da quello vincolato a quello libero… Così interpella costantemente la persona a ricomprenderlo nei suoi molteplici risvolti e a gestirlo con consapevolezza e responsabilità nei confronti di se stessa e del mondo. Ma la cultura di oggi favorisce lo svolgimento di questo compito? Dà segnali per non confondersi nel continuum e non perdersi nel divenire? L’attuale percezione del tempo Giovanni Paolo II dall’inizio del suo ministero di Pastore universale ha scandito il tempo con il riferimento all’evento dell’incarnazione, annunciando la celebrazione del grande giubileo del Terzo Millennio. Egli ha colto una domanda radicale, spesso implicita, nel mondo contemporaneo, che è poi l’interrogativo che si pone ogni persona saggia: ‘Perché esisto? Da dove vengo e verso dove cammino? Quale la mia collocazione nel mondo, quindi nello spazio e tempo? Quale la mia meta, il mio destino, la mia felicità duratura?. 20 Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia: Alla mensa della Parola e del Pane: il giorno del Signore (n 8). 21 SANT'AGOSTINO, Le Confessioni XI,11-14, in Opere 1, Roma, Città Nuova 1965, 379. 13 Gli OP fin dalle prime battute segnalano l’odierna problematicità nella relazione tra persona umana e tempo, per l’affievolirsi della coscienza storica e la dilatazione del presente. I vescovi italiani, in questo mondo che cambia, hanno identificato la missione della Chiesa nell’annuncio e nella testimonianza della gioia e della speranza che sgorgano da Gesù e dal suo messaggio di salvezza “A tutti vogliamo recare una parola di speranza. Non è cosa facile, oggi, la speranza. Non ci aiuta il suo progressivo ridimensionamento: è offuscato se non addirittura scomparso nella nostra cultura l’orizzonte escatologico, l’idea che la storia abbia una direzione, che sia incamminata verso una pienezza che va al di là di essa. Tale eclissi si manifesta a volte negli stessi ambienti ecclesiali, se è vero che a fatica si trovano le parole per parlare delle realtà ultime e della vita eterna. C’è poi la tentazione di dilatare il tempo presente, togliendo spazio e valore al passato, alla tradizione e alla memoria. A volte abbiamo paura di fermarci per ricordare, per ripensare a ciò che abbiamo vissuto e ricevuto. Preferiamo fare molte cose, o cercare distrazioni. Eppure sono l’ascolto, la memoria e il pensare a dischiudere il futuro, ad aiutarci a vivere il presente non solo come tempo del soddisfacimento dei bisogni, ma anche come luogo dell’attesa, del manifestarsi di desideri che ci precedono e ci conducono oltre, legandoci agli altri uomini e rendendoci tutti compagni nel meraviglioso e misterioso viaggio che è la vita. Vorremmo perciò invitare con forza tutti i cristiani del nostro paese a riscoprire, insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, i fili invisibili della vita, per cui nulla si perde nella storia e ogni cosa può essere riscattata e acquisire un senso”.22 Nella fede e per la fede in Cristo, il Figlio di Dio che si è fatto nostro fratello, è possibile vivere il tempo presente scorgendovi, nel discernimento dei segni dei tempi, l’oggi di Dio.23 E proprio nella qualità data al tempo e allo spazio dalla proposta evangelica viene l’opportunità più significativa e propositiva di umanizzare il mondo. Di qui la riflessione su Il giorno del Signore e la parrocchia, tempo e spazio per una comunità realmente eucaristica.24 La CEI già nel 1984 aveva posto l’attenzione sulla domenica non semplicemente per richiamare i fedeli alla celebrazione eucaristica, ma per indicarne il senso e la valenza nella costruzione dell’identità cristiana e nella civilizzazione della società. Il discernimento operato nella scelta del tema del 24° congresso eucaristico nazionale ha approfondito la proposta e l’ha concretizzata mediante il confronto con i coraggiosi testimoni di Abitene, ponendo in maniera geniale al centro dell’identità cristiana il Dominicum, interpellando pure la società contemporanea nella sua ricerca di identità. Vari studi segnalano un senso di disorientamento e di preoccupazione nella gente di oggi.. Documentano la difficoltà dei soggetti nella società complessa a instaurare un propositivo rapporto con il tempo, a spazializzarlo e a decodificarne il senso, a gestirlo nelle sue svariate articolazioni. Pure la domenica è presa in considerazione per la sua valenza antropologica, oltre che religiosa.25 È molto importante al riguardo tener presente come viene percepito il tempo personale in quello collettivo, sociale e istituzionale, come si elabora il concetto di tempo storico, come viene gestito il senso delle generazioni. Il mutamento attuale crea non poche difficoltà per vari motivi. Esso è diverso da quello delle epoche passate, perché è imprevedibile, privo di intenzionalità, non lascia intravedere mete e obiettivi unificanti e condivisi, non favorisce la progettazione del futuro, quindi non genera speranza. Si presenta come un intreccio di dinamiche scientifiche, tecnologiche, politiche che sfuggono sia ai singoli soggetti, sia alla collettività. 22 Cvmc n. 2. Cvmc n. 36-43. 24 Cvmc n. 47-49. 25 La ricerca Il tempo dei giovani, ricerca promossa dallo IARD, condotta da CALABRÒ A.R., CAVALLI A., COLUCCI C., LECCARDI C., RAMPAZI M., TABONI S., curata da A., CAVALLI Bologna, il Mulino 1985: Sebbene sia dell’85 ha tuttora il suo valore. POLLO M. la valorizza nello studio Il vissuto giovanile del tempo, in TONELLI R. – GARCIA J.M. (a cura di), Giovani e tempo, Roma, LAS 2000, 19-55; CENSIS, La domenica degli italiani, I risultati dell’indagine, Massafra, 18 novembre 2004; Riflessioni sul Giorno del Signore del Card. Giacomo Biffi (cf www.congressoeucaristico.it). 23 14 Si intuisce come tutto ciò costituisca un problema non indifferente per la società presente e futura. Infatti, se il mondo adulto non ha mete, le nuove generazioni faticano ad elaborare un progetto di vita che abbia senso e durata. E la difficoltà a rapportare tempo sociale e tempo individuale, tempo naturale e tempo sociale, tempo obbligato e tempo libero, non è solo del mondo giovanile. Il raccordo tra i vari tempi comporta regole e criteri, esige una serie di capacità. La ricerca IARD segnala in particolare tre capacità fondamentali. La prima sta nel trasformare la quantità in qualità, quindi nel tradurre il tempo dato in tempo vissuto con intensità. La complessità odierna, con la moltiplicazione e la sovrapposizione di eventi esterni o interni, rischia di frammentare l’esistenza, di banalizzare i fatti, di svuotare il tempo. Un'altra capacità sta nell’abilità a passare da un tempo all’altro, da un’attività all’altra, conservando la propria identità, il proprio progetto di vita. Ma, ove i vari tempi si accavallano senza essere ordinati in vista della realizzazione del progetto di vita, tale capacità è compromessa. La terza capacità sta nello stabilire delle priorità tra le molteplici richieste temporali. Vi sono tempi vincolati, in cui il soggetto è obbligato, e tempi dilazionabili, in cui egli può decidere secondo delle priorità. Questo presuppone un orientamento teleologico, ossia l’elaborazione di un progetto a lunga scadenza che fa differire le soddisfazioni immediate in vista di mete future per le quali vale la pena la rinuncia presente. La progettualità è uno dei modi fondamentali con cui la persona si rapporta al tempo. Chi elabora un progetto significativo a livello personale è aperto all’imprevisto, non si chiude di fronte al nuovo, ma si ridefinisce senza perdersi, gestendo i tempi e passando da un tempo all’altro secondo priorità e finalità, costruendo strategie di azione ad hoc per organizzarsi con saggezza e lungimiranza.. In questa direzione il tempo sociale, per quanto vincolante e costrittivo, non appare come un grande orologio di cui si è un ingranaggio, ma come lo spazio di esistenza nel quale costruire la propria soggettività. Studiando la ricerca IARD, ho visto che le difficoltà attribuite ai giovani sono pure del mondo adulto. Infatti, non sono solo i giovani ad avere una rappresentazione della storia debole, ove sono come sfocati i grandi antecedenti che motivano il presente e spingono verso il futuro, antecedenti condivisi socialmente come un nucleo di valori ai quali vale la pena dedicarsi. Oggi il passato non prefigura più l'avvenire che, conseguentemente, è molto meno conosciuto in anticipo rispetto a qualche tempo fa. Soprattutto i giovani non hanno una via tracciata, una professione che li attenda, pertanto il quotidiano si connota con i tratti dell’incertezza e dell’impreparazione per i compiti futuri, indicendo sul senso dell'identità. Vivere nel presente e per il presente più che una scelta appare una strada obbligata. Ma ‘esserci’ qui e ora con responsabilità comporta la saggia gestione del quotidiano, perché esso è il contesto concreto in cui le aspirazioni e le idealità prendono carne e danno orientamento significativo alla vita, alimentando la progettualità e raccordando tempo personale e tempo sociale, tempo obbligato e tempo libero, quindi anche tempo feriale e tempo festivo. Ove non esiste progettualità a lungo termine, oppure essa è sfocata, emerge anche la fatica a gestire il tempo e il rischio di ‘ammazzarlo’, di lasciarlo scorrere, senza mai decidersi per una scelta di vita come compito. Se la dimensione del consumo prevale su quella progettuale, la giornata appare come un grande recipiente da riempire di volta in volta, a seconda delle occasioni, degli incontri, dell'estro del momento, oppure da lasciare in tutto o in parte vuoto. Giorni festivi e giorni feriali scorrono nella medesima, omogenea vacuità, come tempo vuoto di significato, talvolta come tempo di noia, tempo rifiutato. È la facoltà intellettuale di deduzione causale che favorisce la progettualità, che spinge a considerare il tempo come una totalità funzionale e dinamica, come la relazione che intercorre tra il soggetto che agisce ed il fine verso cui l'azione è diretta. La presentificazione, invece, rivela l'assenza di dimensioni temporali che indichino il nesso di causa/effetto, la mancanza di finalizzazione, quindi, di possibilità di elaborare e attuare un progetto. Ma l’effetto è che la destrutturazione temporale indebolisce talmente l’identità da farla diventare facile preda di dominio e di assoggettamento. 15 La capacità di rintracciare il filo che lega le esperienze del presente a quelle del passato e di guardare al futuro con speranza, matura nella consapevolezza della propria unicità.. La definizione dell'identità è dunque strettamente connessa a quella del progetto. Il vissuto del tempo domenicale non è indifferente in questo percorso del soggetto, anche quando egli si dice del tutto indifferente al tempo sociale ‘festivo’ che scandisce la settimana. L’attuale tendenza a far prevalere il riposo sulla festa ha riflessi sul senso della vita, sul rischio di alimentare atteggiamenti narcisistici anche quando l’io è un io sociale, sulla banalizzazione dei fatti e delle esperienze. Infatti il riposo si può attuare individualmente e in qualunque modo, senza chiamare in causa motivi e ideali condivisi socialmente; mentre la festa, per essere vissuta pienamente, presuppone uno stare insieme nella libertà per delle ragioni condivise, per delle finalità e ideali che oltrepassano gli interessi individuali, pertanto favoriscono relazioni sociali solide, aspirazioni nobili, quindi alimentano la speranza nel futuro. L’attuale percezione della domenica Dagli studi sulla domenica emerge come essa svolga un ruolo sociale non indifferente soprattutto nell’ambito delle relazioni interpersonali, nella coltivazione di sé, nella organizzazione della vita in spazi di gratuità che i giorni feriali, con lo stress del lavoro e dei compiti quotidiani, non permettono. Nelle moderne società urbanizzate il riposo dal lavoro è stato progressivamente esteso anche al sabato e in un certo senso si tende a sfumare il valore simbolico della domenica. Ciò nonostante, per la maggioranza del mondo adulto, stabilmente inserito nei ruoli produttivi, essa è per eccellenza un giorno diverso. Il processo di secolarizzazione così forte in Italia non riesce ad eliminare la domenica e le ricorrenze religiose cristiane importanti nella scansione del tempo. Quindi il volerla oscurare anche a livello antropologico provoca una forma di svuotamento e banalizzazione dell’esistenza. Certamente la sua organizzazione esige un discernimento pastorale che prenda in considerazione le obiezioni emergenti dal contesto socio-culturale attuale, anche magari smascherandone gli aspetti ideologici. Al riguardo rimando alla ricerca del CENSIS e alla riflessione proposta dal cardinal Giacomo Biffi: Riflessioni sul Giorno del Signore. Egli annota alcune critiche pretestuose fatte, talvolta, anche da cristiani. Le ha raccolte in ‘denunce’ o ‘consigli’ alle quali risponde demitizzando alcune proposte o miti. La prima denuncia è relativa alla insistenza sull’osservanza del precetto festivo: insistere sul precetto sarebbe cancellare il senso della festa e della gioia. La seconda attacca proprio la proposta della domenica come giorno di festa, in quanto sarebbe un cedimento alla mentalità borghese che narcotizza i poveri con la fuga nel religioso, coprendo, così, l’ingiustizia. L’assemblea domenicale dovrebbe, invece, spingere il parroco a scuotere questi borghesi trasformando la fede in progetto sociale. Un’altra critica è avanzata nei confronti delle assemblee parrocchiali che non sarebbero ecclesialmente genuine e credibili, ma piuttosto una raccolta di ‘cristiani sociologici’; la proposta potrebbe essere lasciar perdere questi cristiani di abitudine e rivolgersi alle comunità di base ove i legami sono più sentiti. Ancora, nella società secolarizzata non vi è spazio per il sacro, perché tutto è sacro e tutto è umano. Un'altra obiezione è sul volto pubblico della comunità cristiana. Essa non dovrebbe cedere alla tentazione di avere una incidenza sociale, piuttosto i cristiani, superando la concezione costantiniana di Chiesa, dovrebbero vivere in diaspora. Il card. Biffi, successivamente, con l’acume che gli è proprio, risponde alle obiezioni, demitizzando le proposte alternative. In primo luogo sottolinea che il mito che caratterizza come oppressivo il ruolo della legge dimentica che questa, lungi dall’essere oppressiva, aiuta il soggetto a conoscersi nella sua verità e ad essere autenticamente se stesso. I martiri di Abitene che dicevano: “Sine dominico esse non possumus”, non pensavano affatto a un’obbligazione di carattere meramente esteriore. La celebrazione domenicale è obbligatoria e vincolante non perché sia arbitrariamente imposta dall’autorità, ma perché è intrinseca alla stessa struttura interiore della personalità cristiana e alla natura misterica della comunità ecclesiale. 16 Il secondo mito da sfatare è l’idea che il culto di Dio sia un’alienazione, un idea marxista, non cristiana. In Gesù l’idea di alienazione va in altra direzione. Ad esempio: “Qual vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?” (Mt 16,26). “Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi tesori nel cielo... Perché dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,19-21). “Stolto questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?” (Lc 12,20). “La vita di un uomo non dipende dai suoi beni” (Lc 12,15). Secondo Gesù l’alienazione si supera quando si ritorna a essere ciò per cui siamo stati creati, cioè contemplatori di Dio e del suo progetto, quando si è alla ricerca dell’Unum necessarium, senza perdersi nella molteplicità delle cose. “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3). Il mito della diaspora emargina il senso genuino della salvezza: Gesù viene a radunare i figli di Dio dispersi. La Chiesa è la fine della diaspora. La concezione che la realtà misterica della Chiesa non dovrebbe avere riverbero sociologico è semplicemente ideologia. La comunità di Gerusalemme e le Chiese paoline sono state autentiche cristianità, addirittura con elementi sociali, giuridici, economici, che, secondo la moda dei nostri giorni, sarebbero ‘integralisti’. Certo le forme di cristianità sono mutevoli, nessuna è eterna, ogni secolo deve costruirsi la propria, ma questo non vuol dire che è incompatibile con la fede. La domenica è intrinsecamente orientata a trascendere la diaspora e a essere una manifestazione oggettiva e visibile della cristianità. La disgregazione, come tutti i fermenti di male che derivano dal peccato, è un’insidia sempre in atto per i discepoli di Gesù che vivono ancora nel mondo. Il mistero del giorno del Signore, come il mistero dell’eucaristia dal quale non può mai essere avulso, ci è dato proprio per superarla. Uomini, topograficamente e socialmente dispersi, sono dalla domenica convocati in una unità anche esteriore e visibile. Ogni celebrazione domenicale è dunque intimamente orientata a trionfare sull’impulso disgregante del Maligno nella comunione donataci dal sacrificio di Cristo. Il mito che enfatizza la comunità confonde comunità con comunione. La comunità è un’aggregazione di persone che si conoscono, hanno tra loro rapporti di amichevole consuetudine, pongono in comune problemi, gioie, aspirazioni, progetti, si sentono legate le une alle altre anche sul piano emotivo. La comunione è, invece, una realtà teologica; rimanda al grande e sorprendente dono del Padre che ci raduna per costituire un’unica realtà trascendente: il Corpo di Cristo, la Chiesa, mistero di comunione, comunione santa di uomini peccatori che tentano di vivere da fratelli. La parrocchia, pertanto, va vista come una comunione trascendente (fondata sulla fede, sul battesimo, su un minimo di appartenenza al Corpo di Cristo), che si sforza e deve sforzarsi di diventare sempre più comunità anche socialmente percepibile. La vitalità e il pregio di una parrocchia, delle sue domeniche, delle sue celebrazioni eucaristiche saranno desumibili dall’ampiezza, efficacia, generosità delle sue esperienze comunitarie. La piena coincidenza della comunione con la comunità si avrà nella Gerusalemme celeste. Far coincidere sbrigativamente la parrocchia con la comunità significa escludere dalla sollecitudine pastorale quei fratelli che per diversi motivi non si inseriscono nelle iniziative e nei momenti comunitari, ma restano parrocchiani a tutti gli effetti e sono anch’essi destinatari della carità pastorale. Il mito della desacralizzazione dimentica il primato della grazia rispetto ad ogni nostra iniziativa. Non tiene presente che viviamo nell’economia della redenzione. L’epoca in cui ci troviamo è già l’epoca della vittoria di Cristo, ma non della totale e visibile disfatta del male. È l’epoca del progressivo riscatto. Satana non è ancora estromesso ed esercita ancora la sua azione. Le realtà vanno raggiunte e liberate dalla forza del Redentore una a una, i cuori vanno santificati uno a uno. Tutti siamo coinvolti in questa lotta che si svolge dentro e fuori di noi. Qui si inserisce la dimensione sacrale come una sorprendente misericordia del Padre, poiché egli ha scelto di apparire temporaneamente sconfitto e quasi allontanato dalla sua creazione, si preoccupa di quelli che sono suoi e sono costretti a restare nella tensione, nonostante la loro fragilità e la loro congenita tendenza a disanimarsi. Li assicura, allora, di una sua speciale presenza salvifica che eccede quella puramente creaturale e non si smarrisce coi nostri smarrimenti, sopravvive alle nostre sconfitte, rimane base salda di ogni ripresa. La sacralità è una dimensione essenziale del progetto salvifico. È presente in ogni dimensione del mistero cristiano con diversa intensità, dai sacramenti ai sacramentali, agli oggetti, ai luoghi, ecc. 17 La sacralità degli atti, delle cose, dei tempi, dei luoghi, è legata a questa epoca della storia di salvezza. Nell’universo pacificato perderà la sua ragion d’essere. In questo tempo negare o trascurare tale categoria significa non avere una comprensione adeguata della misericordia del Padre presente tra noi con la sua forza rinnovatrice e liberante, oltre ogni nostra possibile defezione. Entra in questo mistero della sacralità il mistero obiettivo della domenica. Esso comporta che in quel giorno facciamo esplicita memoria della risurrezione di Cristo, anticipando coscientemente il giorno eterno. Perciò, defininendo la domenica giorno sacro, cioè connesso obiettivamente col mistero salvifico, si rende perciò stesso necessario chiedersi perché, in che senso, in che misura si avvera questa connessione. Si rende, cioè, necessaria l’esplorazione e la contemplazione del mistero della domenica, proprio come mistero, come grazia, come realtà che ci trascende. Concludendo il cardinale segnala cinque rapide annotazioni di metodologia pastorale. 1. Occorre ripartire dal mistero salvifico, un dono da ricevere e da assimilare. L’azione liturgica è un atto essenziale di obbedienza a un disegno che ci precede e ci sovrasta: il progetto salvifico elaborato nell’eternità dalla sapienza divina. La realtà della domenica va, dunque, accolta in tutta la sua ricchezza, come giorno del Signore risorto, giorno della gioia dei redenti, giorno della carità, giorno epifanico della Chiesa, giorno dell’attesa e dell’anticipazione escatologica. 2. Il mistero della domenica va proposto continuamente a tutto il popolo di Dio nella sua verità e nella sua totalità, senza mutilazioni, distorsioni o aggiunte stridenti; va presentato integralmente, con chiarezza e fermezza, nella convinzione che in esso sta la salvezza dell’uomo. 3. Se la proposta di Dio è totalizzante e deve restare integra, la risposta dell’uomo è sempre inadeguata e parziale. Questa perenne insufficienza della risposta è un fatto che va riconosciuto, per non presumere di realizzare nel tempo la comunità purificata da ogni passività, di costruire una piccola Chiesa di perfetti. Nessuno di noi è un cristiano intero. Siamo tutti dei tentativi di essere cristiani; tentativi che riescono a percentuale diversa, misurata solo da Dio. L’azione pastorale mira soprattutto ad ottenere che il tentativo sia da tutti ripetuto senza stanchezza. I veri pastori non disprezzano mai neppure il più esiguo frammento del Regno, anzi sono sempre attenti e docili alla parola del Signore: “Raccogliete i frammenti, perché nulla vada perduto” (Gv 6,12). 4. Non è necessario che un raggruppamento di battezzati costituisca una comunità umanamente viva e compatta perché si possa celebrare la domenica, ma è necessario che un raggruppamento di battezzati che celebra la domenica si sforzi di dare origine a una comunità viva e compatta. Non sono le affinità elettive, ideologiche, culturali né le connessioni socialmente umane a metterci in grado di entrare in comunione col mistero del Signore risorto, ma è il Signore risorto che ci raduna in una comunione ecclesiale e ci sollecita a superare il nativo egoismo fino a costituire veramente una famiglia. 5. Il grande numero dei fedeli che si riunisce nelle nostre chiese non va visto come un segno necessario dell’autenticità del nostro annuncio. Il Signore non ha mai assicurato la maggioranza al suo piccolo gregge. Ma non bisogna considerare le chiese deserte come un valore, una prova della genuinità del Vangelo, un indizio di fede più personale e matura. Gli insuccessi e le apostasie possono essere momenti inevitabili e anche previsti dal disegno di Dio, ma non vanno presentati come eventi di grazia. Ma, al di là di ogni esito, bisogna lavorare nella fedeltà e nella speranza. Le vittorie definitive non sono in programma prima della venuta gloriosa del Signore alla quale dobbiamo aspirare con intenso desiderio. Ci si impegna con più animo, con maggior tranquillità interiore, con equilibrio più sicuro, a una più cosciente e partecipata celebrazione della domenica terrena, quando ci si ricorda che in ogni caso alla fine ci attende la domenica eterna. Una prospettiva Il giorno del Signore è quello della resurrezione, il primo giorno della settimana (Mt 28,1), ossia l’inizio della nuova creazione, il primo giorno dopo il sabato (Lc 24,1), cioè l’ottavo giorno, il giorno escatologico, definitivo che dà senso alla nostra esistenza terrestre che è il tempo penultimo. Se Cristo non è risorto vana è la vostra fede, vana la nostra predicazione, dice Paolo (cf 1Cor 15,14). 18 È il Cristo risorto la salvezza. Sì, il Figlio di Dio che si è fatto nostro fratello, in virtù della resurrezione è presente nella nostra storia con la sua vicenda salvifica senza più essere limitato nello spazio e nel tempo, accoglie in sé tutta la creazione, tutta l’umanità, non genericamente e in astratto, ma ciascuno di noi, rigenerandoci a vita nuova. È l’Emmanuel, il Dio con noi. Nella sua santissima umanità ha assunto pienamente la nostra umanità e per questa assunzione tutta la vita umana, nella sua scansione temporale e nella sua spazializzazione, è riscattata dal vacuità ed è innalzata nei cieli (cf Col 2-3). “In Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, 10e voi avete in lui parte alla sua pienezza, di lui cioè che è il capo di ogni Principato e di ogni Potestà. 11In lui voi siete stati anche circoncisi, di una circoncisione però non fatta da mano di uomo, mediante la spogliazione del nostro corpo di carne, ma della vera circoncisione di Cristo. 12Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui siete anche stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. 13Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti per i vostri peccati e per l’incirconcisione della vostra carne, perdonandoci tutti i peccati, 14annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce; 15avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo. 16Nessuno dunque vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a noviluni e a sabati: 17tutte cose queste che sono ombra delle future; ma la realtà invece è Cristo!(2,9-17) “1Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; 2pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. 3Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! 4Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria. […] 9Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni 10e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. 11Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti. 12Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e eletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; 13sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. 14 Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo della perfezione. 15E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti! 16La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. 17E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre” (3,1-17). Il giorno del Signore pienezza dei tempi La creatura umana ha bisogno di delimitare il tempo per non confondersi nel divenire; ha bisogno di dare senso, progettualità, alla sua esistenza perché il procedere sia teleologico. Gesù con il mistero della sua Pasqua viene a dare senso, pienezza, perché favorisce una delimitazione salvifica, innestando nel nostro tempo la sua vicenda quale meta e patria del desiderio umano. Questo mistero, grazie al dono del suo Spirito filiale, raggiunge ciascuno di noi singolarmente nella svolgersi della propria esistenza, trasformandola in luogo in cui prolungare la sua opera di salvezza. Nella sua infinita misericordia proporziona il suo mistero alla nostra capacità di accoglienza, quindi lo scandisce nel tempo. È la sacramentalità dell’anno liturgico ove è presentata la vicenda del Salvatore, l’Unigenito e il Primogenito, che culmina nella Pasqua, includendo in questo evento tutta la sua esistenza terrestre. La celebrazione dell’Eucaristia è al centro perché è il Signore risorto che si comunica a noi nel memoriale della Cena Pasquale, gesto storico che compie la sua vicenda terrestre, anticipa sacramentalmente l’offerta della sua vita e ci dona il pegno della vita futura, della vita eterna. 19 Nel Memoriale Eucaristico, Gesù attraverso le sue opere e le sue parole, ripresentate nella celebrazione, coniuga la nostra vita con la sua, la trasforma a sua immagine, facendola partecipe del suo amore senza limiti. Dire Eucaristia è dire Maria, perché Caro Christi caro Mariae, tanto vi è di presenza di Maria nell’Eucaristica, quanto vi è di sua presenza nel mistero celebrato. Si comprende, allora, come la spiritualità cristiana sia connotata fondamentalmente come interpersonalità eucaristica e mariana. È in questa comunione radicale, in questo Dominicum, che ciascuno di noi e la comunità intera impariamo vitalmente chi è Gesù in una conoscenza che è fede e amore, che è testimonianza e servizio, che è esultanza e offerta di sé fino alla fine. Così, se la Domenica è il cuore della settimana e l’Eucaristia è il cuore della Domenica, per questa immersione della nostra vita nella Pasqua di Gesù, il nostro quotidiano nella sua ferialità diventa dominicum. La Domenica, in questo ottavo giorno, il giorno escatologico, interrompiamo il ritmo feriale del tempo non semplicemente cessando dalle nostre attività, ma soprattutto innalzandole al loro vero significato salvifico quale spazio per accogliere l’opera del Signore a vantaggio del mondo intero. L’interruzione ciclica del lavoro mediante il riposo è una organizzazione del tempo presente in tutte le culture, è un bisogno umano. La Domenica rende questa realtà umana sovrumana, perché favorisce in noi l’apertura a fare di ogni momento, di ogni attimo, di ogni esperienza, in virtù dell’incarnazione del Figlio di Dio e della sua resurrezione, luogo di comunione, di amore, di salvezza. Così dalla Domenica settimanale si giunge alla Domenica di ogni giorno, accolto e vissuto come giorno del Signore, perché a Lui vogliamo appartenere. In passato si consigliava di vivere la spiritualità eucaristica nella vita feriale proprio organizzando la giornata in due parti, la prima vissuta in ringraziamento della Comunione ricevuta, la seconda in preparazione di quella del giorno dopo. Così, mentre l’orologio scandiva le ore cronologiche, il cuore scandiva le ore con l’amore del Signore. Non meraviglia in questa prospettiva il cammino di quelle persone credenti che culmina proprio nella partecipazione all’Ora di Gesù con l’offerta della vita in olocausto, come vittime d’amore per la salvezza del mondo. È il roveto ardente! Ad esso si accostano i credenti di tutte le età, le nazionalità, le culture. Prendete e mangiate: Questo è il mio corpo. Prendete e bevete: Questo è il mio sangue La Domenica con la celebrazione dell’Eucaristia ci ammaestra e ci rende testimoni della spiritualità del corpo umano. Gesù si comunica a noi attraverso il suo corpo e il suo sangue. Quindi il corpo è luogo di comunione, possibilità di visibilizzare nell’esistenza terrestre l’amore, l’amore di Dio effuso nei nostri cuori. È la spiritualità del cuore. Il Figlio di Dio, nel farsi uomo, ha incominciato ad amare il mondo con cuore umano, un cuore creato nel quale trabocca in modo incontenibile l’amore divino che è infinito. Egli cerca fratelli e sorelle nel quale riversare questo amore traboccante. Così la Chiesa, mentre si ritrova nel cuore di Gesù Eucaristico, si trasforma in dimora, in cuore, per accogliere le creature di Dio. Dire corpo è dire lo scorrere delle età della vita con i suoi compiti di sviluppo. Nell’Eucaristia accogliamo il nostro divenire, il nostro passare da un’età all’altra, accettandone i limiti e le responsabilità. Don Bosco ha intuito questo mistero di salvezza e, proprio in un tempo in cui imperava il giansenismo, è stato l’apostolo della Comunione frequente offerta ai fanciulli. Dall’Eucaristia i suoi preadolescenti, adolescenti e giovani hanno imparato le esigenze dell’amore che fa rinunciare ai piaceri immediati in vista del raggiungimento di mete ideali, della vocazione alla santità. L’apostolo dei giovani ha tradotto la logica dell’Eucaristia in itinerario educativo, sottolineando che due sono i fondamenti dell’educazione dei giovani: l’Eucaristia e la Confessione; due sono le 20 colonne alle quali è ancorata la nave della Chiesa e la vita di ogni credente, specie delle nuove generazioni: l’Ostia santa e la Vergine Immacolata Ausiliatrice. Un frutto di questa spiritualità educativa è Domenico Savio che, proprio nutrito dall’Eucaristia, è passato dalla vita ascetica alla santità gioiosa nell’esultanza della grazia. È facile farsi santo, dice don Bosco, perché basta fare a tempo e luogo il proprio dovere per amore con grande allegria, con grande ardore missionario. La spiritualità eucaristica si fa, così, spiritualità educativa e l’educazione è cosa di cuore, è attuata in una comunità, in una ecclesia, nello spirito di famiglia. Dall’Eucaristica, ove Maria è particolarmente presente, matura pure la spiritualità dell’esultanza ove la differenza uomo-donna è compresa e vissuta secondo il progetto del Creatore: come segno fisico della chiamata all’amore, come appello permanente ad evitare ogni fascinazione di isolamento e di narcisismo. Fate questo in mia memoria Dall’Eucaristia impariamo progressivamente l’itinerario di Gesù da ricordare al mondo: la vita è dono, un dono che giunge fino alla fine: “Avendo amato i suoi, li amò sino alla fine”. Gesù, il Signore e il Maestro, ci impartisce con profonda condiscendenza, con una pedagogia amorevole, il comandamento fondamentale, non con lezioni esteriori, ma infondendo nel cuore l’ethos dell’amore, quella energia che fa giudicare la realtà da un altro orizzonte, dall’Alto, dal punto di vista di Dio misericordioso. Così la Chiesa, inondata da questa sorgente di carità, diventa memoria, diventa epifania del Signore, diventa Domenica, diventa dono. Gesù si dona a noi, noi ci doniamo a Lui come risposta riconoscente e lo facciamo servendo i fratelli. Si comprende allora l’intimo nesso esistente tra Eucaristia e servizio ai poveri, un servizio che non è semplicemente filantropia, ma solidarietà teologale, perché attuato nella spiritualità del’“l’avete fatto a me” Si costruisce una nuova solidarietà, con nuovi vincoli di parentela, che incide, e non può non incidere, nell’organizzazione della società e nel suo autocomprendersi, che domanda di diventare civiltà. Ove la fede professata diventa fede pensata è possibile quel servizio tanto urgente oggi: la carità intellettuale. Ogni credente, ogni comunità cristiana è provocata a divenire discorso di e su Gesù, il Salvatore del mondo, abbandonando ogni forma di latitanza e di fondamentalismo. Adempie questa vocazione-missione semplicemente e chiaramente, mettendo in luce quanto i martiri di Abitene hanno espresso nella loro professione di fede coraggiosa: “Sine Dominico non possumus” 21