Marcella Farina
IL ROVETO ARDENTE
Senza la domenica non possiamo vivere
Preghiera per il Congresso Eucaristico Nazionale
Padre Onnipotente, che in ogni domenica illumini l’universo con lo splendore della risurrezione del
tuo Figlio e chiami tutti gli uomini alle sorgenti della vita,
noi ti benediciamo.
Signore Gesù, che nella celebrazione eucaristica ci nutri alla mensa della Parola e del Pane di vita, e
ci doni la grazia di servire i fratelli nella carità,
noi ti ringraziamo.
Spirito Santo, che nella Pasqua settimanale raccogli la Chiesa nell’unità e la sospingi sulle strade
del mondo per edificare, con tutti gli uomini, la società nella giustizia e nella pace,
noi t’invochiamo.
Vergine Maria Odegitria, Donna eucaristica, a te affidiamo il Congresso Eucaristico Nazionale e,
nell’attesa della domenica senza tramonto, guardiamo a te, che brilli come stella sul nostro
cammino. Amen.
(Mons. Francesco Cacucci Arcivescovo di Bari-Bitonto)
O Dio, creatore e rinnovatore di tutte le cose,
aprici le porte della tua misericordia,
e fa’ che celebriamo santamente il giorno del Risorto,
giorno dell’ascolto e dell’agape eucaristica,
giorno della fraternità e del riposo,
Perché tutte le creature cantino con noi
a cieli nuovi e terra nuova
(Preghiera conclusiva delle Linee teologico-pastorali per una “catechesi mistagogica” sulla
domenica).
Premessa
Con cuore grato per essere accolta in questa comunità cristiana così ricca di doni divini vengo in
punta di piedi a condividere qualche pensiero.
Noi sappiamo che Gesù è risorto, quindi è presente in mezzo a noi e con la sua presenza rende
efficace questa nostra condivisione. Paolo direbbe: “Se Cristo non è risorto vana è la nostra
predicazione, vana anche la vostra fede” (1Cor 15,14). Lo dice in quella lettera in cui sottolinea che
al Signore è piaciuto salvarci con la stoltezza della predicazione (cf 1Cor 1,21). Nella povera parola
umana Egli, nella sua infinita condiscendenza, si degna di comunicare il suo messaggio di amore.
Egli, la Parola, si esprime attraverso la nostra voce.1 Quindi è Gesù con la forza dello Spirito che
rende fecondo l’annuncio della Chiesa, operando contemporaneamente sia in chi annuncia, sia in
chi ascolta, convertendo i cuori di entrambi al Vangelo.
In questa profonda consapevolezza, con semplicità, commento il tema affidatomi: Senza la
domenica non possiamo vivere.
Secondo le consegne datemi, dovrei sottolineare il fascino della Pasqua settimanale, giorno del
Risorto, giorno della Chiesa, giorno per eccellenza della celebrazione eucaristia.
Sulla tematica esiste una ricca e profonda letteratura, disponibile pure nei siti internet. Vi sono
documenti del magistero, testi elaborati in vista del 24° Congresso Eucaristico Nazionale, sussidi
approntati per il cammino di fede proposto a varie categorie di persone e di gruppi. Si sono
1
Cf CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica su La divina Rivelazione, Dei Verbum 13.
1
programmate, e già in parte realizzate, iniziative di studio mediante conferenze e convegni che
hanno a tema aspetti dell’Anno Eucaristico e del Congresso Eucaristico Nazionale.2
Non occorre, pertanto, portare nuove informazioni, ma piuttosto condividere indicazioni e criteri
che favoriscano la nostra conversione e ci appassionino nella testimonianza di Gesù e nell’annuncio
del suo Vangelo.
Certo, non possiamo dimenticare l’analfabetismo religioso che colpisce anche i cristiani praticanti,
una situazione che interpella la comunità credente a comunicare il Vangelo che, oggi in Italia, è
davvero una ‘nuova’ notizia. Anzi ciascuno di noi ha un ampio margine di ignoranza sul quale
lavorare per vivere la fede con consapevolezza e responsabilità.
Inoltre la cultura odierna della comunicazione informatica pone l’esigenza di non limitarsi alla
parola ‘informazione’, ma di proporre la parola che forma, che dà senso, dà orientamento
all’esistenza umana.
In questa direzione provo a organizzare le annotazioni intorno a tre nuclei tematici.
Nel primo offro alcuni elementi per contestualizzare il nostro esserci come singoli e come comunità
credente a confronto con le genealogie della fede, in comunione sincronica e diacronica.
Nel secondo esplicito l’espressione Senza la domenica non possiamo vivere, attingendo agli Atti dei
martiri di Abitene.
Nel terzo segnalo qualche coordinata del nostro essere ‘nel tempo’ che assume spessore umanistico,
quindi significato antropologico, proprio con il riferimento ad un giorno diverso, carico di valori
simbolici, come è la domenica.
In comunione con le genealogie della fede
L’icona del roveto ardente
Con singolare efficacia la parrocchia di S. Maria del Suffragio ha scelto per il suo itinerario
quaresimale l’icona del roveto ardente, inserendosi, così, nel cammino della Chiesa, sia italiana che
internazionale, e collegandosi misticamente alle generazioni credenti in senso diacronico e
sincronico.
L’icona simbolicamente evoca una molteplicità di prospettive convergenti nell’unico evento
salvifico: l’Alleanza tra il Signore e il suo popolo.
Infatti, ricorda l’esperienza mistica di Mosé e in maniera inclusiva l’evento dell’Antica Alleanza,
centro della fede di Israele, con tutto il complesso di promesse e di attese, di doni divini e di
speranza, di presenza e di invocazione, di misericordia e di ardimento ove il Dio vivente, con
tenerezza e sollecitudine, viene incontro alla sua creatura e all’intera famiglia umana, donando la
salvezza.
La comunità con l’icona del roveto ardente vuol far memoria delle grandi opere del Dio
dell’Alleanza accogliendo lo spirito di Mosè, quindi si pone alla ricerca di Dio, scorgendone i segni,
in attesa operosa della realizzazione delle promesse, ma anche disponibile alla missione affidatale,
una missione tanto ardita che pare impossibile. Come il mediatore dell’Antica Alleanza è chiamata
ad oltrepassare le obiezioni, confidando nell’anticipo di fiducia di Dio e offrendo un anticipo di
affidamento.
Si collega ai fratelli maggiori nella fede con gratitudine a Dio.
Lo fa con l’aiuto di questa singolare figlia di Sion che è Maria di Nazareth, Madre del Signore e
Madre della nuova umanità.
Il roveto ardente ci ricorda che il Signore viene nella storia dei suoi figli, che ascolta il grido di
aiuto e viene a liberare. Richiama, contemporaneamente, la ricerca umana di Dio basata su una natia
e sana curiosità che non dà spazio all’indifferenza e alla pigrizia (cf Es 3,1-15). Questa ricerca è
possibile perché Dio è già misteriosamente presente nella sincera e a volte confusa ricerca umana.
Qui sta la peculiarità della prospettiva religiosa biblico-cristiana: non è prima di tutto la creatura che
cerca Dio, ma Dio che cerca la sua creatura per comunicarle il suo amore misericordioso.
2
Cf www.congressoeucaristico.it, un sito ricco di materiale di studio.
2
Il roveto ardente conduce dall’Antica alla Nuova Alleanza, dal Sinai al Cenacolo, dal roveto che
arde e non si consuma alla Croce ove il Cristo si dona fino alla fine, fino al consummatum est.
Nel memoriale della pasqua antica il Signore offre in sacramento se stesso, nella sua pasqua che è
anche la pasqua dei suoi e la pasqua del mondo. Egli accoglie l’esperienza religiosa dei popoli, delle
generazioni, e la porta a pienezza.
Dal cuore della fede ebraica al cuore della fede cristiana: la Pasqua del Signore di cui l’Eucaristica è
il memoriale permanente.
Di questo passaggio e di questi intimi rapporti è testimone una martire del 20° secolo: Edith Stein.
Nel mosaico della cappella Redemptoris Mater il grande artista Marko Ivan Rupnik l’ha
rappresentata vicino al roveto ardente.
Questa umile e coraggiosa credente, filosofa, mistica, martire (Breslavia 12 ottobre 1891-Auschwitz
9 agosto 1942) fin dall’infanzia ha sognato celebrità e felicità, convinta di essere destinata a qualcosa
di grande.
Progressivamente la Provvidenza l’ha condotta a scoprire la sorgente di ogni gioia e grandezza: la
Croce di Cristo.
A soli due anni è raggiunta dal dolore della morte del padre. Le conseguenze spirituali, psicologiche ed
economiche che si ripercuotono sulla famiglia e su di lei si possono immaginare. Al liceo, verso il
1911, abbandona la fede ebraica. È appassionata nella ricerca della verità e all’università ha il
privilegio di essere non solo discepola, ma assistente di Husserl. Come Mosè che si spinge verso il
roveto che arde e non si consuma, ella cammina decisamente per abbeverarsi alla fonte della verità. E
la Verità è già accanto a lei e lancia i suoi segnali.
Nel 1917 dalle Fiandre giunge inaspettata la notizia della morte di Adolf Reinach. La giovane vedova,
consapevole della superiorità intellettuale del marito, la chiama a riordinarne le carte. Edith pensa di
trovare una donna distrutta, invece incontra una donna piena di speranza in Dio. Così tocca con mano
la realtà della chiesa nata dalla sofferenza del Redentore che vince la morte. Confessa che quello fu
l’evento che mise in crisi per sempre la sua incredulità e illuminò la sua esistenza con il mistero della
Croce di Cristo. È il primo chiaro incontro con il Crocifisso.
Nell’estate del 1921 un nuovo evento dà una direzione decisiva alla sua esistenza. È ospite di Conrad
Martius. Lì in una notte legge la vita di S. Teresa d’Avila. Ha un sussulto: ‘Ecco la verità’. Si industria
per istruirsi sulla fede cristiana. Quindi decide di prepararsi al battesimo che riceve nel 1922.
Continua il suo percorso verso il roveto ardente, verso la Verità, come Mosè, svolgendo la sua
missione di insegnamento e di testimonianza. Matura la decisione di entrare nel Carmelo, di salire la
santa montagna libera da ogni legame terrestre che possa ostacolare il cammino deciso verso il
Salvatore Crocifisso, l’ebreo Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio.
Il 12 ottobre del 1933, giorno del suo compleanno e festa dei Tabernacoli, passa l’ultimo giorno a casa,
trascorre la notte con la mamma. Al mattino va alla stazione con la nipote Erika che le dà l'ultimo
saluto: l'Eterno ti assista. Ebraismo e cristianesimo si congiungono.
Entra in Carmelo. Intuisce con sempre maggior lucidità l’avvicinarsi di tempi tenebrosi e ne prova un
intenso dolore, avverte i segnali premonitori della sciagura che sta per abbattersi sul suo popolo e
misteriosamente si prepara a condividerla. Comprende che la salvezza non è un prodotto umano, ma
frutto della passione di Cristo che ella vuole condividere, per questo sceglie il nome-programma
Teresia Benedicta a Cruce.
A Madre Petra il 9 dicembre del ‘38 scrive: “Ho portato il mio nome da religiosa già da postulante:
così come l'ho chiesto mi è stato dato. Sotto la croce ho capito il destino del popolo di Dio, che fin da
allora cominciava a preannunciarsi. Ho pensato che quelli che capiscono che tutto questo è la croce di
Cristo, dovrebbero prenderla su di sé in nome di tutti gli altri”.3
Il 31 dicembre dello stesso anno lascia Colonia. Per salvarla dalla possibile persecuzione viene
mandata ad Echt, in Olanda, insieme alla sorella Rosa. Ormai si avvicina la sua ORA e l’anticipa
interiormente come Gesù che nel Gestemani vive la sua pasqua interiore. Il 26 marzo 1939, domenica
di Passione, scrive alla sua Priora per chiederle di poter offrire la sua vita come vittima: “Cara madre
mi permetta di offrirmi quale vittima espiatrice al cuore di Gesù per impetrare la vera pace e che il
dominio dell'anticristo - possibilmente senza una seconda guerra mondiale - cessi e si costruisca un
3
In E. STEIN, La scelta di Dio. Lettere (1917-1942), a cura di C. BETTINELLI, Roma, Città Nuova 1973,132.
3
nuovo ordine. Siccome sono le dodici, desidererei farlo oggi stesso. So di essere un nulla, ma Gesù lo
vuole ed egli chiamerà certamente molti altri in questi giorni a fare lo stesso”.4
Viene arrestata dalla Gestapo insieme alla sorella il 2 agosto del ’42. È condotta al campo di raccolta di
Westerbork; il 7 dello stesso mese è deportata con altri ad Auschwitz ove muore in una camera a gas
qualche giorno dopo, forse il 9 agosto.
La testimonianza della Stein è diretta proprio al senso del Sine Dominico non possumus, quindi ci
interpella nel nostro itinerario quaresimale.
Un funzionario olandese, testimone dell’ultimo viaggio della santa, scrisse sulla rivista De Tijd:
“Quando incontrai questa donna al campo di Westerbork, dissi subito a me stesso: ‘Questa è veramente
una persona grande’.. In una conversazione disse: ‘Il mondo è formato di opposti [...], ma alla fine
nulla resterà di questi contrari. Solo un amore grande resterà.. E come potrebbe essere altrimenti?’.
Parlava con tanta sicurezza e umiltà che doveva conquistare gli ascoltatori. Un colloquio con lei [...]
era un viaggio in un altro mondo [...]. Una volta disse: ‘Ogni ora io prego per essi. Ascolterà Dio la mia
preghiera? Certo è che ascolta il loro lamento’. Quando ormai non restava più dubbio sulla
deportazione chiesi se dovesse avvertire qualcuno, magari le guardie fidate di Utrech. Sorrise, non
volle [...]. Perché un'eccezione per lei o per quel gruppo? Giustizia esigeva che a lei non venisse alcun
privilegio dal fatto di essere battezzata. Se non avesse potuto condividere la sorte degli altri, la sua vita
sarebbe stata come distrutta [...]. Così andò con la sorella Rosa alla carrozza. Vidi il suo sorriso, la sua
infrangibile risolutezza che l'accompagnarono ad Auschwitz”.5
Dio risponde al grido ancora oggi. Ed è ‘beato chi ha fame e sete di giustizia; chi cerca prima di
tutto il regno di Dio e la sua giustizia’
Questa beatitudine sia pure la nostra.
In cammino con tutta la Chiesa
La comunità parrocchiale di S. Maria del Suffragio accoglie il mistero del Signore prendendo come
simbolo il roveto. Non è un voltar pagina, ma un proseguire un cammino iniziato da anni. Ora lo
precisa con un riferimento più esplicito all’itinerario della Chiesa universale che si incentra
nell’Eucaristia, valorizzando, quindi, il patrimonio di dottrina e di testimonianza delle altre
comunità.
Vale la pena richiamare alcuni elementi in questo senso.
Con grande vantaggio spirituale ci si riferisce alle direttive del Pontefice. Ricordo la Lettera
apostolica del 7 ottobre 2004, Mane nobiscum Domine, con la quale egli ha indetto l'anno
dell'Eucaristia.
L’idea di dedicare un anno a questo grande mistero era nel suo cuore. L’ha espressa pubblicamente
nell’omelia del Corpus Domini, il 10 giugno 2004, nella quale annuncia appunto uno speciale Anno
dell'Eucarestia, facendolo iniziare il 17 ottobre 2004, a conclusione del 48° Congresso Eucaristico
Internazionale celebrato a Guadalajara (Mexico).6 La conclusione è fissata in occasione del sinodo
mondiale dei vescovi che si svolgerà in Vaticano dal 2 al 29 ottobre 2005 e avrà come tema:
L'Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa.7
Il Santo Padre ha sottolineato che non si tratta di una iniziativa da aggiungere a quelle già
programmate dalle Chiese particolari. Si tratta di andare al fondamento di esse, alla sorgente, al
Signore e alla sua presenza salvifica nel mondo.
Questi sono gli eventi più prossimi.
Ma l’idea del Pontefice è remota. Possiamo dire, come si intuisce dalla suddetta Lettera, che
dall’Eucaristia è stato sempre affascinato, da Essa ha sempre attinto le risorse per la sua esistenza di
credente e di missionario.
4
Ivi 138.
Ivi nota 49, p 50.
6
Svoltosi dal 10 al 17 ottobre 2004, con il tema L'Eucaristia, Luce e Vita del nuovo millennio.
7
In preparazione del sinodo il 31 marzo 2004 sono stati inviati ai vescovi di tutto il mondo i lineamenta.
5
4
Segnala, però, alcuni snodi fondamentali a partire dal Vaticano II. Ricorda in particolare
l’esperienza del grande giubileo, con il suo ricco iter di preparazione e di sviluppo: un evento che ha
sottolineato la centralità della vita sacramentale, specie dell’Eucaristia e della Confessione.
Nella Lettera apostolica Tertio millennio adveniente del 10 novembre ‘94 auspicava che il Duemila
fosse “un anno intensamente eucaristico: nel sacramento dell'Eucaristia il Salvatore, incarnatosi nel
grembo di Maria venti secoli fa, continua ad offrirsi all'umanità come sorgente di vita divina” (n.
55). Mentre nella Lettera apostolica del 6 gennaio 2001, Novo millennio ineunte, annota: “Nel
secolo XX, specie dal Concilio in poi, molto è cresciuta la comunità cristiana nel modo di celebrare
i Sacramenti e soprattutto l'Eucaristia. Occorre insistere in questa direzione, dando particolar rilievo
all'Eucaristia domenicale e alla stessa Domenica, sentita come giorno speciale della fede, giorno del
Signore risorto e del dono dello Spirito, vera Pasqua della settimana” (n. 35).
Circa due anni prima, il 31 maggio 1998, aveva esortato la chiesa intera a vivere il giorno del
Signore secondo la fede, valorizzandone le ricche possibilità teologiche, antropologiche e socioculturali: è la Lettera apostolica, Dies Domini, nella quale propone una meditazione sulla
Domenica, giorno del Signore risorto, giorno speciale della Chiesa, giorno di cui la celebrazione
eucaristica è il cuore.8
Che dire poi della Lettera enciclica del 17 aprile 2003, Ecclesia de Eucharistia, e della Lettera del
16 ottobre 2002, Rosarium Virginis Mariae nella quale il Pontefice propone di aggiunge i misteri
della luce che culminano con l’istituzione dell’Eucaristia?
Pure la Giornata Mondiale della Gioventù, che si svolgerà a Colonia dal 16 al 21 agosto 2005, pone
al centro il fascino dell’Eucaristia con il tema “Siamo venuti per adorarlo” (Mt 2,2). I Giovani
hanno già iniziato la preparazione a questo evento. Non sono pochi coloro che hanno scelto
l’adorazione eucaristica anche notturna ogni settimana.
La Chiesa Italiana dopo il concilio ha intrapreso un peculiare cammino di rinnovamento che ha
posto al centro l’Eucaristia. Lo testimoniano le proposte pastorali Evangelizzazione e Sacramenti
(per gli anni ’70), Comunione e comunità (per gli anni ’80), Evangelizzazione e testimonianza della
carità (per gli anni ’90) Comunicare il vangelo in un mondo che cambia.
Cvmc dedica una parte consistente a Il giorno del Signore e la parrocchia, tempo e spazio per una
comunità realmente eucaristica (47-49) i cui contenuti sono ripresi nella Nota pastorale del 30
maggio 2004, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (n 8).
L’Ufficio Liturgico Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana aveva già dedicato una
particolare attenzione alla Domenica nella Nota pastorale Il giorno del Signore dell’11 maggio
1984.
Ancor più diretta sul nostro tema è la bellissima lettera del Consiglio Episcopale Permanente della
CEI (1 novembre 2004) in preparazione del 24° Congresso Eucaristico Nazionale che si svolgerà a
Bari dal 21 al 29 maggio 2005, che, come sappiamo, ha come tema Senza la domenica non
possiamo vivere.
Tutti gli Uffici e le Commissioni CEI, proprio per operare in unità di intenti, nelle loro iniziative si
stanno ispirando contemporaneamente a Cvmc e al tema del Congresso Eucaristico.
Così il Centro Nazionale Vocazioni ha dedicato ad esso il convegno del 3-5 gennaio: Il dinamismo
vocazionale dell’Eucaristia nel giorno del Signore. Come?. Ha preparato un interessante materiale
dedicato sia al congresso eucaristico sia alla Giornata Mondiale dei Giovani di Colonia.
Interpellante è pure la scheda approntata per favorire l’approfondimento del tema della 48ª giornata
mondale di preghiera per le vocazioni con il titolo: Nel giorno del Signore… i tuoi giorni con le
seguenti scansioni: Nel giorno del Signore un’alba nuova per … i tuoi giorni, nel giorno del
Signore la luce del Risorto illumina… i tuoi giorni, Nel giorno del Signore esplode la gioia per
tutti … i tuoi giorni, Nel giorno del Signore l’Eucaristia è scuola di vita per… i tuoi giorni.
8
La Lettera coglieva un problema concreto delle comunità cristiane: la carente partecipazione dei fedeli alla S. Messa
(cf Domenica, in Liturgia, a cura di SARTORE D., TRIACCA A.M., CIBIEN C., Cinisello Balsamo, San Paolo
2001,585.588.
5
La diocesi di Bari-Bitonto, che ha il compito di organizzare la celebrazione del Congresso
Eucaristico, ha preparato e offerto, pure attraverso il sito dedicato, dei sussidi molto belli e utili. Tra
questi ricordo il Messaggio del 1° dicembre 2002 alla diocesi di Bari-Bitonto, firmata da mons.
Angelo Comastri, Arcivescovo Prelato di Loreto Presidente del Comitato dei Congressi Eucaristici
Nazionali, e da mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo della diocesi suddetta.
La scelta del tema del congresso è il frutto di un discernimento ecclesiale, quindi è come un
percorso aperto dallo Spirito che fa memoria del Signore nella comunità credente e rende i discepoli
testimoni. Infatti, Sine dominico non possumus indica la centralità di Gesù risorto nella vita cristiana
e propone la testimonianza coraggiosa dei 49 martiri di Abitene.
La parrocchia di S. Maria del Suffragio vuole percorrere in comunione questo cammino ecclesiale
non retoricamente, ma consapevolmente, nella gratitudine e nello slancio missionario.
Per questo è bene condividere il significato di Sine dominico non possumus, esplicitando dove, da
chi, come e quando è stata pronunciata l’espressione, e quale senso ha per la comunità cristiana e
per l’umanità contemporanea.
Sine Dominico non possumus
L’espressione è tratta dagli Atti dei martiri di Abitene, in particolare dalla professione di fede di
Emerito.
È stata scelta con grande saggezza evangelica, perché è la professione di fede coraggiosa di una
comunità che testimonia la centralità del giorno del Signore. Essa evidenzia l’essenza dell’essere
credente e dell’essere comunità di Cristo. Include pure il riferimento alle Scritture. Quindi chiama
in causa gli elementi che strutturano e caratterizzano la fede cristiana: la Mensa della Parola e del
Pane di Vita.
Per evitare che l’espressione sia ridotta a slogan, con molta opportunità sono stati pubblicati gli Atti
nella versione italiana con a fianco il testo latino, preceduti da una ricca introduzione. Il lavoro è
curato da Giuseppe Micunco9.
Una nota sugli Atti
L’autore
Il testo è di ignoto autore. Alcuni ne mettono in discussione l’autenticità, perché sarebbero tardivi e
forse sarebbero stati composti per ragioni legate alla controversia tra cattolici e donatisti, verso la
fine del IV secolo e l’inizio del V. I più propendono per la fine del IV secolo. L’autore potrebbe
essere un donatista che ha voluto sottolineare l’eroicità dei martiri e condannare i traditores.
Nella conferenza di Cartagine del 411, ove era presente anche s. Agostino, vi erano 286 vescovi
cattolici e 279 donatisti.. Questi avevano dichiarato invalida la riunione tenuta a Cirta nel 305
durante la quale era stato nominato un vescovo cattolico. Per mostrare l’invalidità della nomina
menzionavano gli Atti dei martiri di Abitene dai quali deducevano che mai si sarebbe tenuta una
riunione, perché la persecuzione impediva ogni riunione cristiana. I cattolici, proprio ricorrendo a
questi Atti, dimostravano il contrario, che, cioè, le riunioni si tenevano ugualmente. Infatti i martiri
confessavano proprio di aver partecipato alle assemblee.
Il fatto che l’autore potrebbe essere un donatista non mette in crisi la storicità e l’autenticità del
testo. Sembra che la redazione sia quasi con temporanea ai fatti, perché l’autore parla come
testimone diretto. Un donatista, probabilmente, per sostenere le sue idee, vi ha aggiunto un
preambolo e un’appendice. Pertanto, togliendo queste parti aggiunte, si può ricostruire con un’alta
probabilità il processo.
Il luogo
9
G. MICUNCO, Sine Dominico non possumus. I martiri di Abitene e la Pasqua domenicale, Bari, Editrice Ecumenica
2004.
6
Abitene (Abitinae) era una città dell’Africa proconsolare, nell’odierna Tunisia, situata, secondo una
indicazione di s. Agostino, a sud ovest dell’antica Mambressa, oggi Medjez el–Bab, sul fiume
Medjerda.
È attestata come sede episcopale fin dai tempi di s. Cipriano. Oggi è localizzata presso le rovine di
Henchir Chachoud, ipotesi confermata da due iscrizioni che collocavano la città a 4 km da
Mambressa, precisamente nella località di Chouchoud el-Batin.. El Batin evoca Abitene.
I 17 capitoli
Nel primo si presenta l’editto dell’imperatore di Diocleziano del 303, che comandava in particolare
di «ricercare i sacri e santi Testamenti del Signore e le divine Scritture, perché fossero bruciati;
[…di] abbattere le basiliche del Signore; […di] proibire di celebrare i sacri riti e le santissime
riunioni del Signore (celebrari Dominico)». Questo editto, scatena una violenta persecuzione contro
i cristiani, in varie parti dell’impero.
Al comando imperiale l’esercito del Signore Dio non cede, anzi afferra le armi della fede e lotta non
contro gli uomini, ma contro il diavolo. Alcuni cedono e consegnano ai pagani le Scritture del
Signore e i divini Testamenti. Ma moltissimi sono quelli che affrontano il martirio da forti per
custodire i libri, versando il sangue con gioia.
Di qui l’arresto dei 49 martiri di Abitene elencati nel secondo capitolo degli Atti. Sono arrestati
mentre celebrano il Dominicum (pasqua domenicale). Dai nomi si capisce che è una piccola e
variegata comunità. Vi è un senatore, Dativo, un presbitero, Saturnino con i suoi quattro figli, tra i
quali Saturno il giovane e Felice, entrambi lettori, Maria, vergine consacrata, e il fanciullo Ilarione;
vi è pure un’altra vergine, Vittoria, un lettore, Emerito. Contravvenendo agli ordini dell’Imperatore,
il gruppo si riunisce settimanalmente in casa di uno di loro, per celebrare la Pasqua domenicale
(ibique celebrantes ex more Dominicum). Si menziona la casa di Ottavio Felice, ma da altri passi
degli Atti emerge che si riuniscono in casa di Emerito.10
Nel terzo capitolo si parla dell’arresto. Questi cristiani vengono imprigionati durante una
celebrazione e condotti a Cartagine per essere interrogati dal proconsole Anulino. Vanno pieni di
esultanza. Davanti a tutti cammina Dativo, senatore, che appartiene a una famiglia cristiana; si
parla, infatti, dei suoi santi genitori. Viene poi il presbitero Saturnino, quindi i suoi figli, poi tutta la
milizia che risplende delle armi celesti: lo scudo della fede, la corazza della giustizia, l’elmo della
salvezza e la spada a doppio taglio della Parola di Dio (cf Ef 6,16s). Procedono forti, assicurando ai
fratelli la speranza della vittoria.
Sono portati al foro, lì, dove in precedenza Fundano, vescovo, aveva consegnato le Scritture del
Signore, ma era accaduto che, mentre il magistrato le metteva al fuoco, una improvvisa e torrenziale
pioggia e grandinata spensero il fuoco e devastarono il territorio. Il cielo aveva combattuto al posto
del vescovo.
Il quarto capitolo presenta i 49 testimoni che giungono a Cartagine ‘esultanti e lieti’; lungo tutto il
percorso hanno salmodiato al Signore con inni e cantici, colmi di gioia per l’imminente martirio.
Arrivati in città ricevono le catene, e, quali soldati di Cristo, stanno ritti, con animo fermo e forte,
davanti al proconsole Anulino. L’Autore degli Atti non intende descrivere il martirio con le sue
parole, ma registra quelle dei coraggiosi testimoni, facendo risplendere la loro forza e il loro
coraggio, e glorificando il Cristo Signore che dà loro la forza di sopportare i tormenti per il suo
nome.
Dal quinto capitolo inizia il processo davanti al proconsole perché hanno tenuto l’assemblea per
celebrare Dominicum, trasgredendo il divieto imperiale.
Dativo è il primo a comparire. Il proconsole gli chiede a quale condizione sociale appartenga e se ha
partecipato all’assemblea. Egli professa di essere cristiano, quindi di aver partecipato alla
celebrazione. Gli domanda chi ha organizzato la santissima assemblea e subito lo fa innalzare sul
cavalletto per la tortura. Mentre Dativo viene torturato, si fa avanti Telica che si getta tra i
torturatori e grida: “Siamo cristiani. Da noi stessi ci siamo radunati per l’assemblea”. Quindi il
proconsole fa infliggere gravissimi colpi al martire, lo fa stendere sul cavalletto e dilaniare dagli
10
Secondo Micunco potrebbe alludere all’ottavo giorno, giorno felice.
7
uncini. Ma Telica proprio in mezzo alla rabbia dei carnefici si rivolge al Signore pregando: “Rendo
grazie a Dio. Nel tuo nome, Cristo, Figlio di Dio, libera i tuoi servi.11
Il capitolo sesto presenta Dativo che prega in mezzo ai tormenti. Il proconsole gli chiede ancora chi
abbia organizzato con lui la riunione. Il martire, mostrando che la chiesa si raccoglie come popolo
sacerdotale (1Pt 2,9), indica la presenza con tutti loro del presbitero Saturnino, così sottolinea che
hanno celebrato integre, cioè validamente. Intanto, mentre il suo sangue sgorga abbondante, prega e
chiede perdono per i persecutori, ricordando l’insegnamento del vangelo.
È una preghiera bellissima nella quale confessa la loro innocenza e denuncia la loro ingiusta
condanna.
“Voi agite ingiustamente, o infelici; voi agite contro Dio. O Dio altissimo, non imputare loro questi
peccati (cf At 7,60). Voi state peccando, o infelici; voi agite contro Dio. Osservate i comandamenti
del Dio altissimo. Voi agite ingiustamente, o infelici; voi dilaniate degli innocenti. Non abbiamo
ucciso nessuno; non abbiamo frodato nessuno.12 Dio, abbi misericordia. Ti rendo grazie, Signore;
dammi la forza di soffrire per il tuo nome. Libera i tuoi servi dalla schiavitù di questo mondo. Ti
rendo grazie; non potrò mai renderti grazie abbastanza”. Mentre con maggiore violenza è torturato e
sgorga abbondante il sangue, sente dal proconsole: “Comincerai a provare quello che dovete
patire”. Ed egli: “Per la sua gloria. Rendo grazie a Dio che regna. Vedo già il regno eterno, il regno
che non si corrompe13. Signore Gesù Cristo, noi siamo cristiani, siamo al tuo servizio; tu sei la
nostra speranza (1Tm 1,1) tu sei la speranza dei cristiani”.
Il proconsole (che personifica il diavolo) continua a dire che avrebbe dovuto osservare l'editto
imperiale, ma Dativo, stremato ormai nel corpo e vittorioso nell'animo, con voce ancora forte e
ferma proclama: “Non mi curo se non della legge di Dio che ho appreso. Quella osservo, per quella
morirò, in quella per me è il compimento di tutto; fuori di quella non ve n'è un'altra”.
Anulino, vedendosi sconfitto, fa aumentare i tormenti. Infine, stanco, ordina di lasciarlo.14
Nel capitolo settimo si parla della fortissima lotta di Telica, mentre pende anche lui dal cavalletto,
come Gesù pendeva dalla Croce. Egli ripete a più riprese che è cristiano e che ha partecipato
all’assemblea. Ad un tratto si alza Fortunanziano e accusa il senatore di aver sedotto la sorella
Vittoria che ha condotto, insieme a Seconda e Restituta, da Cartagine nella colonia di Abitene. Ma
Vittoria confessa con coraggio che nella libertà è cristiana e vergine. Ha compiuto tutto di
spontanea volontà, ha partecipato all’assemblea e ha celebrato il Dominicum con i fratelli. Quindi
Anulino ordina di conficcare uncini al corpo del martire che viene straziato in ogni modo, ma il suo
animo è sempre integro e irremovibile. Infine, memore della sua dignità di senatore, si rivolge al
Signore, sotto i colpi: “Cristo Signore che io non sia confuso” (Sl 118,31)
La scena continua nel capitolo ottavo. L’animo del proconsole è turbato e confuso, fa smettere i
carnefici.15 Si fa avanti un altro pagano, Pompeiano, che rivolge accuse calunniose, ed egli continua
a confessare l’innocenza e la sua partecipazione al Dominicum con i fratelli e con degna devozione.
Ancora supplica: “Ti prego, Cristo, che io non sia confuso”.
Nel capitolo nono si annota che, mentre i carnefici raschiavano con gli uncini i fianchi di dativo,
viene sfidato al combattimento Saturnino, il presbitero, che già contempla il regno dei cieli e
giudica cosa lieve quanto sopportano i compagni. Il proconsole gli domanda perché ha agito contro
l’editto, radunando l’assemblea; egli risponde che in pace hanno celebrato il Dominicum. Il
proconsole gli chiede il perché; “non potest intermitti Dominicum” (non è possibile smettere di
celebrare il Dominicum), risponde. Mentre è tormentato ha accanto Dativo, che non facendo conto
11
Micuno richiama al riguardo 1Gv 4,15: “Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in Lui ed egli in
Dio”; Mt 6,13: “Liberaci dal male”, l’invocazione del Pater. Il termine ‘innalzare’ sul cavalletto, anziché ‘gettare’, vuole
evocare Cristo innalzato sulla Croce (cf Gv 12,32).
12
“La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere,
giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio” (1Pt 2,12); “e se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi!... nel momento
stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. È meglio infatti,
se così Dio vuole, soffrire operando il bene, che facendo il male” (1Pt 3,14-17).
13
Cf At 7,55-56). Il “regno che non si corrompe” richiama 1Pt 1,3-4: “(Dio) ci ha rigenerati mediante la risurrezione di Gesù Cristo
dai morti per una speranza viva, per un'eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce”. L'attesa del regno indica il
senso escatologico dell'Eucaristia: “venga il tuo regno” (Mt 6,10); “annunziate la morte del Signore finché egli venga”(1Cor 11,26).
14
In moltissimi Atti dei martiri emerge che i carnefici sono più sfiniti di loro. Penso ad es. ai martiri di Tivoli.
L’autore annota che non è giusto che Dativo muoia martire per una sua compagna, per Vittoria; deve morire per
Cristo.
15
8
del suo strazio, contempla il Signore e prega: “Soccorrimi, ti prego, Cristo. Abbi pietà. Salva
l’anima mia, custodisci il mio spirito. Che io non sia confuso. Ti prego, Cristo, dammi la forza di
soffrire per te”.
Il proconsole insiste sul fatto che, essendo egli di quella città e senatore, avrebbe dovuto consigliare
l’osservanza dell’editto, ma il martire con più forza e fermezza proclama di essere cristiano.
Anulino è vinto da queste parole, fa cessare i tormenti e fa gettare Dativo in carcere.
Intanto il presbitero Saturnino sostiene l’importanza della celebrazione del Dominicum. Ecco il
contenuto del decimo capitolo. Irrompe Emerito dicendo: “Il promotore sono io; è nella mia casa
che si sono tenute le assemblee”. Il proconsole, già tante volte sconfitto, si rivolge a Saturnino
chiedendo perché abbia trasgredito l’editto; questi replica che non si può smettere di celebrare il
Dominicum, così ordina la legge.16 Ancora il proconsole insiste che avrebbe dovuto aiutare a
osservare l’editto, quindi fa intensificare il supplizio, ma egli prega: “Ti prego Cristo, esaudiscimi.
Ti rendo grazie, o Dio, Fa’ che io sia decapitato! Ti prego, o Cristo, abbi misericordia. Figlio di Dio,
soccorrimi!”.. Il proconsole insiste sul perché abbia agito contro l’editto. Il martire ribatte: “La
nostra legge così comanda, la nostra legge così insegna”. Così testimonia a quale legge obbedisce e
con gioia, da presbitero, predica pure tra i tormenti. Stanco, il proconsole fa smettere la tortura e lo
fa condurre in carcere.
Il capitolo undicesimo è dedicato ancora ad Emerito. Ritorna sempre la domanda se nella sua casa si
siano svolte assemblee contro l’editto. Questi, inondato di Spirito Santo, risponde: “Nella mia casa
abbiamo celebrato il Dominicum”. “Perché davi il permesso di entrare da te…”; “Perché sono miei
fratelli e non potevo proibirglielo”; “Proibirglielo sarebbe stato tuo dovere”. “Non potevo, quondam
sine Dominicum non possumus. Subito il proconsole ordina che sia torturato sul cavalletto. Egli
prega: “Ti prego, Cristo, soccorrimi. E voi, infelici, state agendo contro il comandamento di Dio”. Il
proconsole: “Non avresti dovuto accoglierli in casa”; “Non potevo far altro che accoglierli, perché
sono miei fratelli”; “Ma prima veniva l’editto”; “Prima viene Dio… Ti prego Cristo, Ti rendo lode,
Cristo Signore. Dammi la forza di patire…”.. Mentre prega così, il proconsole gli domanda se
possiede le Scritture nella sua casa. Al che il martire risponde: “Nel mio cuore le ho. Ti prego,
Cristo, a te la lode. Liberami, Cristo; patisco per il tuo nome. Per poco patisco, con gioia patisco,
Cristo Signore. Che io non sia confuso”. Con la sua risposta Emerito attesta che la legge del Signore
è scritta nel cuore non su tavole di pietra (2Cor 3,3). Sottolinea con forza che senza Dominicum i
cristiani non possono vivere. Celebrazione e Scritture formano una unità inseparabile.
Il proconsole ordina di cessare dai tormenti e conclude: “Secondo le vostra confessione pagherete
tutti la pena che meritate”.
Nel capitolo dodicesimo, dopo la nota sulla stanchezza del proconsole e dei carnefici, si presenta
Felice. Anulino spera di convincerlo, ma egli con i compagni attesta di essere cristiano e di non
osservare altra legge che quella del Signore, disposto a praticarla fino all’effusione del sangue. Ma
il procuratore ribatte: “Non ti chiedo se sei cristiano, ma se hai partecipato all’assemblea e se hai
qualche libro delle Scritture”.
Qui l’autore degli Atti commenta: “Come se il cristiano potesse esistere senza celebrare i misteri del
Signore o i misteri del Signore si potessero celebrare senza la presenza del cristiano! Non sai
dunque, satana, che il cristiano vive della celebrazione dei misteri e la celebrazione dei misteri del
Signore si deve compiere alla presenza del cristiano, in modo che non possono sussistere separati
l’uno dall’altro? Quando senti il nome di cristiano, sappi che si riunisce con i fratelli davanti al
Signore e, quando senti parlare di riunioni, riconosci in essa il nome di cristiano” (Quasi christianus
sine Dominico esse possit, aut Dominicum sine cristiano celebrari… in Dominico Christianum et in
Cristiano Dominicum).17 Il martire confessa: “Abbiamo celebrato l’assemblea con solennità e per
leggere le Scritture del Signore siamo sempre convenuti in Dominicum”
Segue nella confessione l’altro Felice.
Il proconsole domanda ancora loro se posseggono in casa le Scritture. Essi confessano con coraggio
che le custodiscono nel cuore, mostrando, così, che la fede è incisa nella vita. Viene chiesto pure se
si sono riuniti e perché, nonostante il comando e la condanna imperiali. Essi mostrano di non
16
17
Un richiamo al comandamento di Gesù: “Fate questo in mia memoria”.
È come proclamare che l’Eucaristia fa la Chiesa e la Chiesa fa l’Eucaristia.
9
preoccuparsi affatto della morte e dichiarano di non poter venir meno alla assemblea. Affrontano
coraggiosamente la morte, pur di non rinnegare la loro fede nel Cristo risorto e non di venir meno
all’incontro con Lui nella celebrazione eucaristica domenicale.18
Nel capitolo tredicesimo segue il martirio di Ampelio che, fedelissimo, ha custodito le divine
Scritture. Confessa che ha partecipato all’assemblea, ha celebrato il Dominicum, e che conserva le
Scritture nel cuore. È la volta di Rogaziano, di Quinto, di Massimiano, dell’altro Felice, il giovane.
Questi proclama che la speranza e la salvezza dei cristiani è il Dominicum e che l’hanno celebrato
devotamente. Tutti attestano la loro fede nelle Scritture e nel Dominicum.
Avanza Saturnino, figlio del presbitero. È il contenuto del capitolo quattordicesimo. Interrogato
sempre sull’assemblea, confessa di aver partecipato all’assemblea perché cristiano, “perché Cristo è
il nostro Salvatore”. “Hai le Scritture?”, chiede il proconsole. “Sono cristiano!”, ribatte. Prosegue
l’interrogatorio. “Non ti chiedo se sei cristiano, ma se hai le Scritture e hai partecipato
all’assemblea. “Sono cristiano e non c’è altro nome che noi dobbiamo venerare come santo se non
quello di Cristo”; “Dimmi se hai le Scritture”. Torturato, mescola il suo sangue con quello del padre
e, come prendendo nuovo vigore da questa comunione, dice che le Scritture del Signore le ha, ma
nel mio cuore. Supplica il Signore: “Ti prego, Cristo, dammi la forza di patire. La mia speranza è in
Te…”.
Nel quindicesimo capitolo si descrive la scena della sera: Anulino cerca di convincere gli altri; i
carnefici sono stanchi di torturare. I martiri, invece non sono abbattuti, anzi rifulgono della luce di
Cristo. Nessuno cede, tutti lieti e trionfanti, ferventi nello Spirito, proclamano a una sola voce:
“Siamo cristiani”.
Il capitolo sedicesimo parla della vergine Vittoria, eminente per purezza e santità.. I genitori
volevano darla in sposa ed ella scappò, gettandosi da un precipizio e rifugiandosi nella chiesa. Ella
continua nel professare la fede e la volontà di conservare la verginità. Il fratello dice che è fuori di
mente, ma ella ribatte: “La mia mente sta ben salda in me e i miei fratelli sono coloro che osservano
i precetti divini”. Dichiara di aver partecipato alla celebrazione del Dominicum.
Gli Atti concludono con il capitolo diciassette ove si parla di Ilarione, uno dei figli del presbitero, il
più piccolo. Egli è felice di raggiungere il padre e i fratelli, quindi confessa di essere cristiano e di
aver partecipato all’assemblea di spontanea volontà. Viene minacciato, ma non si impaurisce. “Fa’
pure quello che vuoi, perché io sono cristiano”, dice al proconsole. Questi dà ordine che sia messo
in carcere ed egli: “Rendo grazie a Dio”.
Qui il diavolo viene battuto e vinto. Qui si allietano i martiri di Cristo, rallegrandosi in eterno per la
gloria futura destinata alla loro passione.
Il messaggio dei martiri di Abitene
Sine dominico non possumus, Senza la domenica non possiamo.19
L’espressione, tratta dal capitolo undicesimo, è pronunciata dal lettore Emerito nella sua
confessione di fede senza aggiungere alcuna spiegazione, quindi era chiarissima nell’indicare
l’identità cristiana.
Emerito afferma senza alcun timore di aver ospitato in casa sua i cristiani per celebrare il
Dominicum. E, quando il proconsole gli chiede perché lo abbia fatto, trasgredendo l’editto
imperiale, egli dice semplicemente: Sine dominico non possumus!
Ci chiediamo: Quale significato e quali contenuti includeva il termine latino dominicum da spingere
questi credenti ad affrontare la morte piuttosto che rinunciarvi?
Il martire pronuncia una parola sintesi, il principio che unifica la vita personale e comunitaria dei
cristiani, insistendo che senza Dominicum non si può essere credenti in Cristo, tanto meno vivere da
cristiani.
18
Non sono legati all’osservanza di un “precetto”, ma alla domenica e all’Eucaristia celebrata in questo giorno, perché
esse costituiscono la loro identità.
19
In termini equivalenti questa espressione ricorre nel capitolo dodicesimo. È come il filo rosso della testimonianza di
questi martiri.
10
Il termine compare negli Atti 19 volte ed è associato ai verbi celebrare, agere, convenire. È riferito
a corpus, sacrificium, sacramentum, mysterium, pascha, convivium, diem. È unito pure al luogo
della celebrazione ‘nella casa’ (in domo mea dice Emerito; in domo Octavi Felicis, si dice nel
capitolo secondo).
Quando il proconsole chiede il perché di questo celebrare ai vari prigionieri di Cristo, essi
sottolineano unanimemente che è legge del Signore, consuetudine; è salvezza e speranza, perché
Cristo è salvatore. Esso si celebra con il presbitero, formando un’unica famiglia, quindi si celebra
con i fratelli, si celebra con solennità e devozione, si celebra in pace.
È così importante questo celebrare che senza di esso non possono esistere. Il loro martirio si
trasforma, così, in una liturgia “eucaristica”. Tra i tormenti invocano: “Ti prego, Cristo,
esaudiscimi. Ti rendo grazie, o Dio… Ti prego, Cristo, abbi misericordia”. Questa loro preghiera,
insistente e lieta, è accompagnata dall’offerta della propria vita ed è unita alla richiesta di perdono
per i loro carnefici. Sono proprio memoria del Signore nel suo mistero di passione e di gloria.
Considerando complessivamente gli Atti, si può concludere che il “non possiamo” significa tante
cose ed un’unica cosa: esistere, operare, essere, avere identità cristiana, mentre il termine
Dominicum include un triplice significato: il giorno del Signore e, nello stesso tempo, tutto ciò che
lo costituisce come tale, cioè la presenza del Cristo nell’evento eucaristico, in virtù della
resurrezione, pertanto è anche il giorno della Chiesa e il giorno della persona credente.
Il Dominicum è associato alla Sacra Scrittura. Negli Atti questa viene menzionata una trentina di
volte. I testimoni si rifiutano di consegnarla, secondo l’editto imperiale, professando di averla incisa
nel cuore.
Sono discepoli del Signore, e possono vivere secondo il suo comando perché si alimentano
costantemente e coraggiosamente alla Mensa della Parola e del Pane di Vita.
Con la proclamazione Sine Dominico non possumus questi martiri ci lanciano un messaggio: senza
Gesù, senza il Signore, non si può vivere. Egli è il Salvatore, la risposta vera al desiderio umano, al
bisogno di salvezza. Egli è la pienezza di vita. Donare la vita per Lui è partecipare alla sua
oblazione d’amore, è celebrare e vivere la liturgia pasquale.
Il nostro giorno nel giorno del Signore, la
la nostra vita nella Pasqua del Signore
Sui passi dei martiri di Abitene
Ci poniamo sui passi dei martiri in una comunione diacronica e sincronica, nella comunione dei
santi.
Essi ci insegnano con la vita che l’identità cristiana matura dentro l’economia sacramentale, ove il
Signore ci comunica la sua Parola attraverso le sacre Scritture e ci comunica Se Stesso nelle specie
del Pane e del Vino.
Siamo chiamati a riscoprire la celebrazione e l’adorazione dell’Eucaristia, insieme all’ascolto
operoso della Parola, come momenti centrali del nostro essere Chiesa di Cristo.
Confortati dalla loro testimonianza, proseguiamo nel cammino di fede.
Proprio la Lettera agli Ebrei, che parla della Nuova Alleanza e del Nuovo Sacerdozio, pone i
credenti alla presenza di una moltitudine testimoni che inizia da Abele (Eb 11).
Con questi eroi invochiamo la grazia di restare saldi nella fede.
“Avendo noi intorno una così grande nube di testimoni, sbarazzatici d’ogni impaccio e del peccato
che facilmente irretisce, con paziente perseveranza corriamo l’agone a noi proposto, levando lo
sguardo all’autore e perfezionatore della fede, Gesù, il quale, per la gioia a lui proposta, tollerò la
croce, sprezzatane l’ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio. Riflettete, infatti, a colui
che ha sostenuto una così grande ostilità contro di sé da parte dei peccatori, affinché non vi
stanchiate perdendovi d’animo (Eb 12,1-3)
11
Mons. Cacucci, nel presentare il tema del congresso eucaristico, afferma: “Se riusciremo a vivere
sempre di più la celebrazione domenicale nella sua dimensione fondamentale e a riscoprire il
significato della adorazione eucaristica avremo vissuto in modo adeguato l’Anno dell’Eucaristia”.
Si tratta dunque di vivere “la domenica come tempo di riscoperta del senso del riposo e soprattutto
della festa per il Risorto e per la comunità che si riunisce e che si adopera per la carità”.
Negli OP Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, vi è un paragrafo dedicato a Il giorno
del Signore e la parrocchia, tempo e spazio per una comunità realmente eucaristica, ove si
afferma: “Ci sembra molto fecondo recuperare la centralità della parrocchia e rileggere la sua
funzione storica concreta a partire dall’Eucaristia, fonte e manifestazione del raduno dei figli di Dio
e vero antidoto alla loro dispersione nel pellegrinaggio verso il Regno […]. Ci sembra fondamentale
ribadire che la comunità cristiana potrà essere una comunità di servi del Signore soltanto se
custodirà la centralità della domenica, ‘giorno fatto dal Signore’ (Sal 118,24), ‘Pasqua settimanale’,
con al centro la celebrazione dell’Eucaristia, e se custodirà nel contempo la parrocchia quale luogo
– anche fisico – a cui la comunità stessa fa costante riferimento” (n. 47)
Ogni parrocchia è invitata a celebrare e vivere l’Eucaristia, irradiando la sua forza salvifica nel
mondo. Qui essa nasce come Chiesa di Cristo nella sua identità e missione.
Qui ogni domenica “il popolo cristiano è radunato da Cristo per celebrare l’Eucaristia, in
obbedienza al suo mandato: ‘Fate questo in memoria di me’ (Lc 22,19). Nell’Eucaristia Cristo
morto e risorto è presente in mezzo al suo popolo. Nell’Eucaristia e mediante l’Eucaristia lo genera
e rigenera incessantemente: ‘La Celebrazione eucaristica è al centro del processo di crescita della
Chiesa’ (EdE, 21).
Culmine dell’iniziazione cristiana, l’Eucaristia è alimento della vita ecclesiale e sorgente della
missione. In essa la comunità riconosce Cristo Salvatore dell’uomo e del mondo […]. Le nostre
parrocchie non si stanchino di ribadire a ogni cristiano il dovere-bisogno della fedeltà alla Messa
domenicale e festiva e di vivere cristianamente la domenica e le feste. La vita della parrocchia ha il
suo centro nel giorno del Signore e l’Eucaristia è il cuore della domenica. Dobbiamo ‘custodire’ la
domenica, e la domenica ‘custodirà’ noi e le nostre parrocchie, orientandone il cammino,
nutrendone la vita […].
Dal costato di Cristo scaturiscono, con i sacramenti, la comunione e la missione della Chiesa. Il
‘Corpo dato’ e il ‘Sangue versato’ sono ‘per voi e per tutti’: la missione è iscritta nel cuore
dell’Eucaristia. Da qui prende forma la vita cristiana a servizio del Vangelo.
Il modo in cui viene vissuto il giorno del Signore e celebrata l’Eucaristia domenicale deve far
crescere nei fedeli un animo apostolico, aperto alla condivisione della fede, generoso nel servizio
della carità, pronto a rendere ragione della speranza. È necessario ripresentare la domenica in tutta
la sua ricchezza: giorno del Signore, della sua Pasqua per la salvezza del mondo, di cui l’Eucaristia
è memoriale, origine della missione; giorno della Chiesa, esperienza viva di comunione condivisa
tra tutti i suoi membri, irradiata su quanti vivono nel territorio parrocchiale; giorno dell’uomo, in
cui la dimensione della festa svela il senso del tempo e apre il mondo alla speranza”.
Per alimentare questa consapevolezza e costruirsi costantemente come Corpo di Cristo soprattutto
oggi la parrocchia è chiamata a realizzare tre obiettivi.
“Difendere anzitutto il significato religioso, ma insieme antropologico, culturale e sociale della
domenica. Si tratta di offrire occasioni di esperienza comunitaria e di espressione di festa, per
liberare l’uomo da una duplice schiavitù: l’assolutizzazione del lavoro e del profitto e la riduzione
della festa a puro divertimento. La parrocchia, che condivide la vita quotidiana della gente, deve
immettervi il senso vero della festa che apre alla trascendenza. Un aiuto particolare va dato alle
famiglie, affinché il giorno della festa possa rinsaldarne l’unità, mediante relazioni più intense tra i
suoi membri; la domenica infatti è anche giorno della famiglia.
La qualità delle celebrazioni eucaristiche domenicali e festive va curata in modo particolare:
equilibrio tra Parola e Sacramento, cura dell’azione rituale, valorizzazione dei segni, legame tra
liturgia e vita […].
Il giorno del Signore è anche tempo della comunione, della testimonianza e della missione. Il
confronto con la parola di Dio e il rinvigorire la confessione della fede nella Celebrazione
eucaristica devono condurre a rinsaldare i vincoli della fraternità, a incrementare la dedizione al
12
Vangelo e ai poveri […]. Le parrocchie dovranno poi curare la proposta di momenti aggregativi,
che diano concretezza alla comunione, e rafforzare il collegamento tra celebrazione ed espressione
della fede nella carità. Così, nella festa, la parrocchia contribuisce a dar valore al tempo libero,
aiutando a scoprirne il senso attraverso opere creative, spirituali, di comunione, di servizio”.20
Il tempo e il suo mistero
“Che cos'è il tempo? - si chiede s. Agostino nelle Confessioni - e aggiunge: “Se nessuno me lo chiede,
lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so: eppure posso affermare con sicurezza di
sapere che se nulla passasse, non esisterebbe un passato; se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe un
futuro; se nulla esistesse, non vi sarebbe presente”.21
In tutte le culture è presente la domanda sul significato del tempo ed esistono modelli diversi di
organizzarlo a vantaggio dei singoli e della collettività, gestendo la sua duplice valenza del continuum
o durata, e del mutamento o divenire.
La persona umana abita il tempo ed è abitata da esso, percepisce la propria vita e l’intera realtà come
divenire incessante, scandito dalla nascita, crescita e fine. A differenza delle altre creature, è
consapevole di essere assoggettata alla legge del divenire e cerca di coglierne il senso e
l’orientamento. Si coglie identica a se stessa nel mutamento, attraverso i ritmi biologici, cosmici e
sociali, attraverso l’alternarsi del giorno e della notte, il ciclo delle stagioni e le fasi lunari, attraverso
eventi particolari quali grandi antecedenti che danno senso al suo esistere nel mondo. Così distingue il
passato, il presente e il futuro e ne cerca i significati profondi.
Deve fare i conti con il tempo cronologico, atmosferico, due costanti parametri entro i quali svolge le
sue attività, in quanto ogni cosa necessita di un suo tempo, anzi è favorita oppure ostacolata dalle
condizioni del tempo. Una bella o brutta giornata ha effetti diversi sulla propria esistenza. La prima
infonde energie, allegria, ottimismo, predispone agli incontri. La seconda deprime, rattrista, rende
pessimisti e porta ad isolarsi.
Sembra che lo stesso carattere dei popoli sia connotato dal tempo atmosferico. Allora nelle regioni
ove le giornate serene prevalgono su quelle nuvolose e fredde le popolazioni tendono ad essere solari
o socievoli, mentre quelle che abitano luoghi in cui i giorni nuvolosi e piovosi superano quelli in cui
splende il sole sono propensi alla tristezza e alla solitudine.
Il tempo atmosferico orienta anche una diversa percezione del tempo cronologico: le giornate
primaverili danno l’impressione di avere più tempo di quelle autunnali; a livello metaforico i giovani
sentono di avere più tempo degli adulti che, con la percezione di averne di meno, dovrebbero gestirlo
con più saggezza, consapevoli che certe occasioni non ritornano.
Quindi il ‘tempo’ associa in sé molteplici significati che vanno dal tempo atmosferico a quello
cronologico, da quello personale a quello sociale e istituzionale, da quello vincolato a quello libero…
Così interpella costantemente la persona a ricomprenderlo nei suoi molteplici risvolti e a gestirlo con
consapevolezza e responsabilità nei confronti di se stessa e del mondo.
Ma la cultura di oggi favorisce lo svolgimento di questo compito? Dà segnali per non confondersi
nel continuum e non perdersi nel divenire?
L’attuale percezione del tempo
Giovanni Paolo II dall’inizio del suo ministero di Pastore universale ha scandito il tempo con il
riferimento all’evento dell’incarnazione, annunciando la celebrazione del grande giubileo del Terzo
Millennio. Egli ha colto una domanda radicale, spesso implicita, nel mondo contemporaneo, che è
poi l’interrogativo che si pone ogni persona saggia: ‘Perché esisto? Da dove vengo e verso dove
cammino? Quale la mia collocazione nel mondo, quindi nello spazio e tempo? Quale la mia meta, il
mio destino, la mia felicità duratura?.
20
Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia: Alla mensa della Parola e del Pane: il giorno del
Signore (n 8).
21
SANT'AGOSTINO, Le Confessioni XI,11-14, in Opere 1, Roma, Città Nuova 1965, 379.
13
Gli OP fin dalle prime battute segnalano l’odierna problematicità nella relazione tra persona umana
e tempo, per l’affievolirsi della coscienza storica e la dilatazione del presente.
I vescovi italiani, in questo mondo che cambia, hanno identificato la missione della Chiesa
nell’annuncio e nella testimonianza della gioia e della speranza che sgorgano da Gesù e dal suo
messaggio di salvezza
“A tutti vogliamo recare una parola di speranza. Non è cosa facile, oggi, la speranza. Non ci aiuta il
suo progressivo ridimensionamento: è offuscato se non addirittura scomparso nella nostra cultura
l’orizzonte escatologico, l’idea che la storia abbia una direzione, che sia incamminata verso una
pienezza che va al di là di essa. Tale eclissi si manifesta a volte negli stessi ambienti ecclesiali, se è
vero che a fatica si trovano le parole per parlare delle realtà ultime e della vita eterna. C’è poi la
tentazione di dilatare il tempo presente, togliendo spazio e valore al passato, alla tradizione e alla
memoria. A volte abbiamo paura di fermarci per ricordare, per ripensare a ciò che abbiamo vissuto
e ricevuto. Preferiamo fare molte cose, o cercare distrazioni. Eppure sono l’ascolto, la memoria e il
pensare a dischiudere il futuro, ad aiutarci a vivere il presente non solo come tempo del
soddisfacimento dei bisogni, ma anche come luogo dell’attesa, del manifestarsi di desideri che ci
precedono e ci conducono oltre, legandoci agli altri uomini e rendendoci tutti compagni nel
meraviglioso e misterioso viaggio che è la vita.
Vorremmo perciò invitare con forza tutti i cristiani del nostro paese a riscoprire, insieme a tutti gli
uomini e le donne di buona volontà, i fili invisibili della vita, per cui nulla si perde nella storia e
ogni cosa può essere riscattata e acquisire un senso”.22
Nella fede e per la fede in Cristo, il Figlio di Dio che si è fatto nostro fratello, è possibile vivere il
tempo presente scorgendovi, nel discernimento dei segni dei tempi, l’oggi di Dio.23 E proprio nella
qualità data al tempo e allo spazio dalla proposta evangelica viene l’opportunità più significativa e
propositiva di umanizzare il mondo. Di qui la riflessione su Il giorno del Signore e la parrocchia,
tempo e spazio per una comunità realmente eucaristica.24
La CEI già nel 1984 aveva posto l’attenzione sulla domenica non semplicemente per richiamare i
fedeli alla celebrazione eucaristica, ma per indicarne il senso e la valenza nella costruzione
dell’identità cristiana e nella civilizzazione della società. Il discernimento operato nella scelta del
tema del 24° congresso eucaristico nazionale ha approfondito la proposta e l’ha concretizzata
mediante il confronto con i coraggiosi testimoni di Abitene, ponendo in maniera geniale al centro
dell’identità cristiana il Dominicum, interpellando pure la società contemporanea nella sua ricerca di
identità.
Vari studi segnalano un senso di disorientamento e di preoccupazione nella gente di oggi..
Documentano la difficoltà dei soggetti nella società complessa a instaurare un propositivo rapporto
con il tempo, a spazializzarlo e a decodificarne il senso, a gestirlo nelle sue svariate articolazioni.
Pure la domenica è presa in considerazione per la sua valenza antropologica, oltre che religiosa.25
È molto importante al riguardo tener presente come viene percepito il tempo personale in quello
collettivo, sociale e istituzionale, come si elabora il concetto di tempo storico, come viene gestito il
senso delle generazioni.
Il mutamento attuale crea non poche difficoltà per vari motivi.
Esso è diverso da quello delle epoche passate, perché è imprevedibile, privo di intenzionalità, non
lascia intravedere mete e obiettivi unificanti e condivisi, non favorisce la progettazione del futuro,
quindi non genera speranza. Si presenta come un intreccio di dinamiche scientifiche, tecnologiche,
politiche che sfuggono sia ai singoli soggetti, sia alla collettività.
22
Cvmc n. 2.
Cvmc n. 36-43.
24
Cvmc n. 47-49.
25
La ricerca Il tempo dei giovani, ricerca promossa dallo IARD, condotta da CALABRÒ A.R., CAVALLI A.,
COLUCCI C., LECCARDI C., RAMPAZI M., TABONI S., curata da A., CAVALLI Bologna, il Mulino 1985:
Sebbene sia dell’85 ha tuttora il suo valore. POLLO M. la valorizza nello studio Il vissuto giovanile del tempo, in
TONELLI R. – GARCIA J.M. (a cura di), Giovani e tempo, Roma, LAS 2000, 19-55; CENSIS, La domenica degli
italiani, I risultati dell’indagine, Massafra, 18 novembre 2004; Riflessioni sul Giorno del Signore del Card. Giacomo
Biffi (cf www.congressoeucaristico.it).
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Si intuisce come tutto ciò costituisca un problema non indifferente per la società presente e futura.
Infatti, se il mondo adulto non ha mete, le nuove generazioni faticano ad elaborare un progetto di
vita che abbia senso e durata. E la difficoltà a rapportare tempo sociale e tempo individuale, tempo
naturale e tempo sociale, tempo obbligato e tempo libero, non è solo del mondo giovanile.
Il raccordo tra i vari tempi comporta regole e criteri, esige una serie di capacità.
La ricerca IARD segnala in particolare tre capacità fondamentali.
La prima sta nel trasformare la quantità in qualità, quindi nel tradurre il tempo dato in tempo
vissuto con intensità. La complessità odierna, con la moltiplicazione e la sovrapposizione di eventi
esterni o interni, rischia di frammentare l’esistenza, di banalizzare i fatti, di svuotare il tempo.
Un'altra capacità sta nell’abilità a passare da un tempo all’altro, da un’attività all’altra,
conservando la propria identità, il proprio progetto di vita. Ma, ove i vari tempi si accavallano senza
essere ordinati in vista della realizzazione del progetto di vita, tale capacità è compromessa.
La terza capacità sta nello stabilire delle priorità tra le molteplici richieste temporali. Vi sono tempi
vincolati, in cui il soggetto è obbligato, e tempi dilazionabili, in cui egli può decidere secondo delle
priorità. Questo presuppone un orientamento teleologico, ossia l’elaborazione di un progetto a
lunga scadenza che fa differire le soddisfazioni immediate in vista di mete future per le quali vale la
pena la rinuncia presente.
La progettualità è uno dei modi fondamentali con cui la persona si rapporta al tempo.
Chi elabora un progetto significativo a livello personale è aperto all’imprevisto, non si chiude di
fronte al nuovo, ma si ridefinisce senza perdersi, gestendo i tempi e passando da un tempo all’altro
secondo priorità e finalità, costruendo strategie di azione ad hoc per organizzarsi con saggezza e
lungimiranza.. In questa direzione il tempo sociale, per quanto vincolante e costrittivo, non appare
come un grande orologio di cui si è un ingranaggio, ma come lo spazio di esistenza nel quale
costruire la propria soggettività.
Studiando la ricerca IARD, ho visto che le difficoltà attribuite ai giovani sono pure del mondo
adulto.
Infatti, non sono solo i giovani ad avere una rappresentazione della storia debole, ove sono come
sfocati i grandi antecedenti che motivano il presente e spingono verso il futuro, antecedenti
condivisi socialmente come un nucleo di valori ai quali vale la pena dedicarsi.
Oggi il passato non prefigura più l'avvenire che, conseguentemente, è molto meno conosciuto in
anticipo rispetto a qualche tempo fa. Soprattutto i giovani non hanno una via tracciata, una
professione che li attenda, pertanto il quotidiano si connota con i tratti dell’incertezza e
dell’impreparazione per i compiti futuri, indicendo sul senso dell'identità.
Vivere nel presente e per il presente più che una scelta appare una strada obbligata.
Ma ‘esserci’ qui e ora con responsabilità comporta la saggia gestione del quotidiano, perché esso è
il contesto concreto in cui le aspirazioni e le idealità prendono carne e danno orientamento
significativo alla vita, alimentando la progettualità e raccordando tempo personale e tempo sociale,
tempo obbligato e tempo libero, quindi anche tempo feriale e tempo festivo.
Ove non esiste progettualità a lungo termine, oppure essa è sfocata, emerge anche la fatica a gestire
il tempo e il rischio di ‘ammazzarlo’, di lasciarlo scorrere, senza mai decidersi per una scelta di vita
come compito.
Se la dimensione del consumo prevale su quella progettuale, la giornata appare come un grande
recipiente da riempire di volta in volta, a seconda delle occasioni, degli incontri, dell'estro del
momento, oppure da lasciare in tutto o in parte vuoto. Giorni festivi e giorni feriali scorrono nella
medesima, omogenea vacuità, come tempo vuoto di significato, talvolta come tempo di noia, tempo
rifiutato.
È la facoltà intellettuale di deduzione causale che favorisce la progettualità, che spinge a
considerare il tempo come una totalità funzionale e dinamica, come la relazione che intercorre tra il
soggetto che agisce ed il fine verso cui l'azione è diretta. La presentificazione, invece, rivela
l'assenza di dimensioni temporali che indichino il nesso di causa/effetto, la mancanza di
finalizzazione, quindi, di possibilità di elaborare e attuare un progetto. Ma l’effetto è che la
destrutturazione temporale indebolisce talmente l’identità da farla diventare facile preda di dominio
e di assoggettamento.
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La capacità di rintracciare il filo che lega le esperienze del presente a quelle del passato e di
guardare al futuro con speranza, matura nella consapevolezza della propria unicità.. La definizione
dell'identità è dunque strettamente connessa a quella del progetto.
Il vissuto del tempo domenicale non è indifferente in questo percorso del soggetto, anche quando
egli si dice del tutto indifferente al tempo sociale ‘festivo’ che scandisce la settimana.
L’attuale tendenza a far prevalere il riposo sulla festa ha riflessi sul senso della vita, sul rischio di
alimentare atteggiamenti narcisistici anche quando l’io è un io sociale, sulla banalizzazione dei fatti
e delle esperienze. Infatti il riposo si può attuare individualmente e in qualunque modo, senza
chiamare in causa motivi e ideali condivisi socialmente; mentre la festa, per essere vissuta
pienamente, presuppone uno stare insieme nella libertà per delle ragioni condivise, per delle finalità
e ideali che oltrepassano gli interessi individuali, pertanto favoriscono relazioni sociali solide,
aspirazioni nobili, quindi alimentano la speranza nel futuro.
L’attuale percezione della domenica
Dagli studi sulla domenica emerge come essa svolga un ruolo sociale non indifferente soprattutto
nell’ambito delle relazioni interpersonali, nella coltivazione di sé, nella organizzazione della vita in
spazi di gratuità che i giorni feriali, con lo stress del lavoro e dei compiti quotidiani, non
permettono.
Nelle moderne società urbanizzate il riposo dal lavoro è stato progressivamente esteso anche al
sabato e in un certo senso si tende a sfumare il valore simbolico della domenica. Ciò nonostante, per
la maggioranza del mondo adulto, stabilmente inserito nei ruoli produttivi, essa è per eccellenza un
giorno diverso. Il processo di secolarizzazione così forte in Italia non riesce ad eliminare la
domenica e le ricorrenze religiose cristiane importanti nella scansione del tempo. Quindi il volerla
oscurare anche a livello antropologico provoca una forma di svuotamento e banalizzazione
dell’esistenza.
Certamente la sua organizzazione esige un discernimento pastorale che prenda in considerazione le
obiezioni emergenti dal contesto socio-culturale attuale, anche magari smascherandone gli aspetti
ideologici.
Al riguardo rimando alla ricerca del CENSIS e alla riflessione proposta dal cardinal Giacomo Biffi:
Riflessioni sul Giorno del Signore.
Egli annota alcune critiche pretestuose fatte, talvolta, anche da cristiani. Le ha raccolte in ‘denunce’
o ‘consigli’ alle quali risponde demitizzando alcune proposte o miti.
La prima denuncia è relativa alla insistenza sull’osservanza del precetto festivo: insistere sul
precetto sarebbe cancellare il senso della festa e della gioia. La seconda attacca proprio la proposta
della domenica come giorno di festa, in quanto sarebbe un cedimento alla mentalità borghese che
narcotizza i poveri con la fuga nel religioso, coprendo, così, l’ingiustizia. L’assemblea domenicale
dovrebbe, invece, spingere il parroco a scuotere questi borghesi trasformando la fede in progetto
sociale. Un’altra critica è avanzata nei confronti delle assemblee parrocchiali che non sarebbero
ecclesialmente genuine e credibili, ma piuttosto una raccolta di ‘cristiani sociologici’; la proposta
potrebbe essere lasciar perdere questi cristiani di abitudine e rivolgersi alle comunità di base ove i
legami sono più sentiti. Ancora, nella società secolarizzata non vi è spazio per il sacro, perché tutto
è sacro e tutto è umano. Un'altra obiezione è sul volto pubblico della comunità cristiana. Essa non
dovrebbe cedere alla tentazione di avere una incidenza sociale, piuttosto i cristiani, superando la
concezione costantiniana di Chiesa, dovrebbero vivere in diaspora.
Il card. Biffi, successivamente, con l’acume che gli è proprio, risponde alle obiezioni, demitizzando
le proposte alternative.
In primo luogo sottolinea che il mito che caratterizza come oppressivo il ruolo della legge dimentica
che questa, lungi dall’essere oppressiva, aiuta il soggetto a conoscersi nella sua verità e ad essere
autenticamente se stesso. I martiri di Abitene che dicevano: “Sine dominico esse non possumus”,
non pensavano affatto a un’obbligazione di carattere meramente esteriore. La celebrazione
domenicale è obbligatoria e vincolante non perché sia arbitrariamente imposta dall’autorità, ma
perché è intrinseca alla stessa struttura interiore della personalità cristiana e alla natura misterica
della comunità ecclesiale.
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Il secondo mito da sfatare è l’idea che il culto di Dio sia un’alienazione, un idea marxista, non
cristiana. In Gesù l’idea di alienazione va in altra direzione. Ad esempio: “Qual vantaggio avrà
l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?” (Mt 16,26). “Non
accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano;
accumulatevi tesori nel cielo... Perché dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,19-21).
“Stolto questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?” (Lc
12,20). “La vita di un uomo non dipende dai suoi beni” (Lc 12,15). Secondo Gesù l’alienazione si
supera quando si ritorna a essere ciò per cui siamo stati creati, cioè contemplatori di Dio e del suo
progetto, quando si è alla ricerca dell’Unum necessarium, senza perdersi nella molteplicità delle
cose. “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù
Cristo” (Gv 17,3).
Il mito della diaspora emargina il senso genuino della salvezza: Gesù viene a radunare i figli di Dio
dispersi. La Chiesa è la fine della diaspora. La concezione che la realtà misterica della Chiesa non
dovrebbe avere riverbero sociologico è semplicemente ideologia. La comunità di Gerusalemme e le
Chiese paoline sono state autentiche cristianità, addirittura con elementi sociali, giuridici,
economici, che, secondo la moda dei nostri giorni, sarebbero ‘integralisti’. Certo le forme di
cristianità sono mutevoli, nessuna è eterna, ogni secolo deve costruirsi la propria, ma questo non
vuol dire che è incompatibile con la fede. La domenica è intrinsecamente orientata a trascendere la
diaspora e a essere una manifestazione oggettiva e visibile della cristianità. La disgregazione, come
tutti i fermenti di male che derivano dal peccato, è un’insidia sempre in atto per i discepoli di Gesù
che vivono ancora nel mondo. Il mistero del giorno del Signore, come il mistero dell’eucaristia dal
quale non può mai essere avulso, ci è dato proprio per superarla. Uomini, topograficamente e
socialmente dispersi, sono dalla domenica convocati in una unità anche esteriore e visibile. Ogni
celebrazione domenicale è dunque intimamente orientata a trionfare sull’impulso disgregante del
Maligno nella comunione donataci dal sacrificio di Cristo.
Il mito che enfatizza la comunità confonde comunità con comunione. La comunità è
un’aggregazione di persone che si conoscono, hanno tra loro rapporti di amichevole consuetudine,
pongono in comune problemi, gioie, aspirazioni, progetti, si sentono legate le une alle altre anche
sul piano emotivo. La comunione è, invece, una realtà teologica; rimanda al grande e sorprendente
dono del Padre che ci raduna per costituire un’unica realtà trascendente: il Corpo di Cristo, la
Chiesa, mistero di comunione, comunione santa di uomini peccatori che tentano di vivere da
fratelli. La parrocchia, pertanto, va vista come una comunione trascendente (fondata sulla fede, sul
battesimo, su un minimo di appartenenza al Corpo di Cristo), che si sforza e deve sforzarsi di
diventare sempre più comunità anche socialmente percepibile. La vitalità e il pregio di una
parrocchia, delle sue domeniche, delle sue celebrazioni eucaristiche saranno desumibili
dall’ampiezza, efficacia, generosità delle sue esperienze comunitarie. La piena coincidenza della
comunione con la comunità si avrà nella Gerusalemme celeste. Far coincidere sbrigativamente la
parrocchia con la comunità significa escludere dalla sollecitudine pastorale quei fratelli che per
diversi motivi non si inseriscono nelle iniziative e nei momenti comunitari, ma restano parrocchiani
a tutti gli effetti e sono anch’essi destinatari della carità pastorale.
Il mito della desacralizzazione dimentica il primato della grazia rispetto ad ogni nostra iniziativa.
Non tiene presente che viviamo nell’economia della redenzione. L’epoca in cui ci troviamo è già
l’epoca della vittoria di Cristo, ma non della totale e visibile disfatta del male. È l’epoca del
progressivo riscatto. Satana non è ancora estromesso ed esercita ancora la sua azione. Le realtà
vanno raggiunte e liberate dalla forza del Redentore una a una, i cuori vanno santificati uno a uno.
Tutti siamo coinvolti in questa lotta che si svolge dentro e fuori di noi. Qui si inserisce la
dimensione sacrale come una sorprendente misericordia del Padre, poiché egli ha scelto di apparire
temporaneamente sconfitto e quasi allontanato dalla sua creazione, si preoccupa di quelli che sono
suoi e sono costretti a restare nella tensione, nonostante la loro fragilità e la loro congenita tendenza
a disanimarsi. Li assicura, allora, di una sua speciale presenza salvifica che eccede quella puramente
creaturale e non si smarrisce coi nostri smarrimenti, sopravvive alle nostre sconfitte, rimane base
salda di ogni ripresa.
La sacralità è una dimensione essenziale del progetto salvifico. È presente in ogni dimensione del
mistero cristiano con diversa intensità, dai sacramenti ai sacramentali, agli oggetti, ai luoghi, ecc.
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La sacralità degli atti, delle cose, dei tempi, dei luoghi, è legata a questa epoca della storia di
salvezza. Nell’universo pacificato perderà la sua ragion d’essere. In questo tempo negare o
trascurare tale categoria significa non avere una comprensione adeguata della misericordia del
Padre presente tra noi con la sua forza rinnovatrice e liberante, oltre ogni nostra possibile defezione.
Entra in questo mistero della sacralità il mistero obiettivo della domenica. Esso comporta che in
quel giorno facciamo esplicita memoria della risurrezione di Cristo, anticipando coscientemente il
giorno eterno. Perciò, defininendo la domenica giorno sacro, cioè connesso obiettivamente col
mistero salvifico, si rende perciò stesso necessario chiedersi perché, in che senso, in che misura si
avvera questa connessione. Si rende, cioè, necessaria l’esplorazione e la contemplazione del mistero
della domenica, proprio come mistero, come grazia, come realtà che ci trascende.
Concludendo il cardinale segnala cinque rapide annotazioni di metodologia pastorale.
1. Occorre ripartire dal mistero salvifico, un dono da ricevere e da assimilare. L’azione liturgica è
un atto essenziale di obbedienza a un disegno che ci precede e ci sovrasta: il progetto salvifico
elaborato nell’eternità dalla sapienza divina. La realtà della domenica va, dunque, accolta in tutta la
sua ricchezza, come giorno del Signore risorto, giorno della gioia dei redenti, giorno della carità,
giorno epifanico della Chiesa, giorno dell’attesa e dell’anticipazione escatologica.
2. Il mistero della domenica va proposto continuamente a tutto il popolo di Dio nella sua verità e
nella sua totalità, senza mutilazioni, distorsioni o aggiunte stridenti; va presentato integralmente,
con chiarezza e fermezza, nella convinzione che in esso sta la salvezza dell’uomo.
3. Se la proposta di Dio è totalizzante e deve restare integra, la risposta dell’uomo è sempre
inadeguata e parziale. Questa perenne insufficienza della risposta è un fatto che va riconosciuto,
per non presumere di realizzare nel tempo la comunità purificata da ogni passività, di costruire una
piccola Chiesa di perfetti. Nessuno di noi è un cristiano intero. Siamo tutti dei tentativi di essere
cristiani; tentativi che riescono a percentuale diversa, misurata solo da Dio. L’azione pastorale mira
soprattutto ad ottenere che il tentativo sia da tutti ripetuto senza stanchezza. I veri pastori non
disprezzano mai neppure il più esiguo frammento del Regno, anzi sono sempre attenti e docili alla
parola del Signore: “Raccogliete i frammenti, perché nulla vada perduto” (Gv 6,12).
4. Non è necessario che un raggruppamento di battezzati costituisca una comunità umanamente viva
e compatta perché si possa celebrare la domenica, ma è necessario che un raggruppamento di
battezzati che celebra la domenica si sforzi di dare origine a una comunità viva e compatta. Non
sono le affinità elettive, ideologiche, culturali né le connessioni socialmente umane a metterci in
grado di entrare in comunione col mistero del Signore risorto, ma è il Signore risorto che ci raduna
in una comunione ecclesiale e ci sollecita a superare il nativo egoismo fino a costituire veramente
una famiglia.
5. Il grande numero dei fedeli che si riunisce nelle nostre chiese non va visto come un segno
necessario dell’autenticità del nostro annuncio. Il Signore non ha mai assicurato la maggioranza al
suo piccolo gregge. Ma non bisogna considerare le chiese deserte come un valore, una prova della
genuinità del Vangelo, un indizio di fede più personale e matura. Gli insuccessi e le apostasie
possono essere momenti inevitabili e anche previsti dal disegno di Dio, ma non vanno presentati
come eventi di grazia.
Ma, al di là di ogni esito, bisogna lavorare nella fedeltà e nella speranza. Le vittorie definitive non
sono in programma prima della venuta gloriosa del Signore alla quale dobbiamo aspirare con
intenso desiderio.
Ci si impegna con più animo, con maggior tranquillità interiore, con equilibrio più sicuro, a una più
cosciente e partecipata celebrazione della domenica terrena, quando ci si ricorda che in ogni caso
alla fine ci attende la domenica eterna.
Una prospettiva
Il giorno del Signore è quello della resurrezione, il primo giorno della settimana (Mt 28,1), ossia
l’inizio della nuova creazione, il primo giorno dopo il sabato (Lc 24,1), cioè l’ottavo giorno, il
giorno escatologico, definitivo che dà senso alla nostra esistenza terrestre che è il tempo penultimo.
Se Cristo non è risorto vana è la vostra fede, vana la nostra predicazione, dice Paolo (cf 1Cor
15,14).
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È il Cristo risorto la salvezza. Sì, il Figlio di Dio che si è fatto nostro fratello, in virtù della
resurrezione è presente nella nostra storia con la sua vicenda salvifica senza più essere limitato nello
spazio e nel tempo, accoglie in sé tutta la creazione, tutta l’umanità, non genericamente e in astratto,
ma ciascuno di noi, rigenerandoci a vita nuova.
È l’Emmanuel, il Dio con noi.
Nella sua santissima umanità ha assunto pienamente la nostra umanità e per questa assunzione tutta
la vita umana, nella sua scansione temporale e nella sua spazializzazione, è riscattata dal vacuità ed
è innalzata nei cieli (cf Col 2-3).
“In Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, 10e voi avete in lui parte alla sua
pienezza, di lui cioè che è il capo di ogni Principato e di ogni Potestà. 11In lui voi siete stati anche
circoncisi, di una circoncisione però non fatta da mano di uomo, mediante la spogliazione del nostro
corpo di carne, ma della vera circoncisione di Cristo. 12Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel
battesimo, in lui siete anche stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha
risuscitato dai morti. 13Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti per i vostri peccati e
per l’incirconcisione della vostra carne, perdonandoci tutti i peccati, 14annullando il documento
scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo
inchiodandolo alla croce; 15avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà ne ha fatto
pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo. 16Nessuno dunque vi condanni più in fatto di
cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a noviluni e a sabati: 17tutte cose queste che sono ombra delle
future; ma la realtà invece è Cristo!(2,9-17)
“1Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di
Dio; 2pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. 3Voi infatti siete morti e la vostra vita è
ormai nascosta con Cristo in Dio! 4Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi
sarete manifestati con lui nella gloria. […] 9Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue
azioni 10e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo
Creatore. 11Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita,
schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti. 12Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e eletti, di
sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; 13sopportandovi a
vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli
altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. 14 Al di sopra di tutto poi vi sia la carità,
che è il vincolo della perfezione. 15E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete
stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti! 16La parola di Cristo dimori tra voi
abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con
gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. 17E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia
nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre” (3,1-17).
Il giorno del Signore pienezza dei tempi
La creatura umana ha bisogno di delimitare il tempo per non confondersi nel divenire; ha bisogno di
dare senso, progettualità, alla sua esistenza perché il procedere sia teleologico.
Gesù con il mistero della sua Pasqua viene a dare senso, pienezza, perché favorisce una
delimitazione salvifica, innestando nel nostro tempo la sua vicenda quale meta e patria del desiderio
umano.
Questo mistero, grazie al dono del suo Spirito filiale, raggiunge ciascuno di noi singolarmente nella
svolgersi della propria esistenza, trasformandola in luogo in cui prolungare la sua opera di salvezza.
Nella sua infinita misericordia proporziona il suo mistero alla nostra capacità di accoglienza, quindi
lo scandisce nel tempo.
È la sacramentalità dell’anno liturgico ove è presentata la vicenda del Salvatore, l’Unigenito e il
Primogenito, che culmina nella Pasqua, includendo in questo evento tutta la sua esistenza terrestre.
La celebrazione dell’Eucaristia è al centro perché è il Signore risorto che si comunica a noi nel
memoriale della Cena Pasquale, gesto storico che compie la sua vicenda terrestre, anticipa
sacramentalmente l’offerta della sua vita e ci dona il pegno della vita futura, della vita eterna.
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Nel Memoriale Eucaristico, Gesù attraverso le sue opere e le sue parole, ripresentate nella
celebrazione, coniuga la nostra vita con la sua, la trasforma a sua immagine, facendola partecipe del
suo amore senza limiti.
Dire Eucaristia è dire Maria, perché Caro Christi caro Mariae, tanto vi è di presenza di Maria
nell’Eucaristica, quanto vi è di sua presenza nel mistero celebrato.
Si comprende, allora, come la spiritualità cristiana sia connotata fondamentalmente come
interpersonalità eucaristica e mariana. È in questa comunione radicale, in questo Dominicum, che
ciascuno di noi e la comunità intera impariamo vitalmente chi è Gesù in una conoscenza che è fede
e amore, che è testimonianza e servizio, che è esultanza e offerta di sé fino alla fine.
Così, se la Domenica è il cuore della settimana e l’Eucaristia è il cuore della Domenica, per questa
immersione della nostra vita nella Pasqua di Gesù, il nostro quotidiano nella sua ferialità diventa
dominicum.
La Domenica, in questo ottavo giorno, il giorno escatologico, interrompiamo il ritmo feriale del
tempo non semplicemente cessando dalle nostre attività, ma soprattutto innalzandole al loro vero
significato salvifico quale spazio per accogliere l’opera del Signore a vantaggio del mondo intero.
L’interruzione ciclica del lavoro mediante il riposo è una organizzazione del tempo presente in tutte
le culture, è un bisogno umano. La Domenica rende questa realtà umana sovrumana, perché
favorisce in noi l’apertura a fare di ogni momento, di ogni attimo, di ogni esperienza, in virtù
dell’incarnazione del Figlio di Dio e della sua resurrezione, luogo di comunione, di amore, di
salvezza.
Così dalla Domenica settimanale si giunge alla Domenica di ogni giorno, accolto e vissuto come
giorno del Signore, perché a Lui vogliamo appartenere.
In passato si consigliava di vivere la spiritualità eucaristica nella vita feriale proprio organizzando la
giornata in due parti, la prima vissuta in ringraziamento della Comunione ricevuta, la seconda in
preparazione di quella del giorno dopo. Così, mentre l’orologio scandiva le ore cronologiche, il
cuore scandiva le ore con l’amore del Signore.
Non meraviglia in questa prospettiva il cammino di quelle persone credenti che culmina proprio
nella partecipazione all’Ora di Gesù con l’offerta della vita in olocausto, come vittime d’amore per
la salvezza del mondo.
È il roveto ardente!
Ad esso si accostano i credenti di tutte le età, le nazionalità, le culture.
Prendete e mangiate: Questo è il mio corpo. Prendete e bevete: Questo è il mio sangue
La Domenica con la celebrazione dell’Eucaristia ci ammaestra e ci rende testimoni della spiritualità
del corpo umano. Gesù si comunica a noi attraverso il suo corpo e il suo sangue. Quindi il corpo è
luogo di comunione, possibilità di visibilizzare nell’esistenza terrestre l’amore, l’amore di Dio
effuso nei nostri cuori.
È la spiritualità del cuore.
Il Figlio di Dio, nel farsi uomo, ha incominciato ad amare il mondo con cuore umano, un cuore
creato nel quale trabocca in modo incontenibile l’amore divino che è infinito. Egli cerca fratelli e
sorelle nel quale riversare questo amore traboccante.
Così la Chiesa, mentre si ritrova nel cuore di Gesù Eucaristico, si trasforma in dimora, in cuore, per
accogliere le creature di Dio.
Dire corpo è dire lo scorrere delle età della vita con i suoi compiti di sviluppo.
Nell’Eucaristia accogliamo il nostro divenire, il nostro passare da un’età all’altra, accettandone i
limiti e le responsabilità.
Don Bosco ha intuito questo mistero di salvezza e, proprio in un tempo in cui imperava il
giansenismo, è stato l’apostolo della Comunione frequente offerta ai fanciulli.
Dall’Eucaristia i suoi preadolescenti, adolescenti e giovani hanno imparato le esigenze dell’amore
che fa rinunciare ai piaceri immediati in vista del raggiungimento di mete ideali, della vocazione
alla santità.
L’apostolo dei giovani ha tradotto la logica dell’Eucaristia in itinerario educativo, sottolineando che
due sono i fondamenti dell’educazione dei giovani: l’Eucaristia e la Confessione; due sono le
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colonne alle quali è ancorata la nave della Chiesa e la vita di ogni credente, specie delle nuove
generazioni: l’Ostia santa e la Vergine Immacolata Ausiliatrice.
Un frutto di questa spiritualità educativa è Domenico Savio che, proprio nutrito dall’Eucaristia, è
passato dalla vita ascetica alla santità gioiosa nell’esultanza della grazia.
È facile farsi santo, dice don Bosco, perché basta fare a tempo e luogo il proprio dovere per amore
con grande allegria, con grande ardore missionario.
La spiritualità eucaristica si fa, così, spiritualità educativa e l’educazione è cosa di cuore, è attuata
in una comunità, in una ecclesia, nello spirito di famiglia.
Dall’Eucaristica, ove Maria è particolarmente presente, matura pure la spiritualità dell’esultanza
ove la differenza uomo-donna è compresa e vissuta secondo il progetto del Creatore: come segno
fisico della chiamata all’amore, come appello permanente ad evitare ogni fascinazione di
isolamento e di narcisismo.
Fate questo in mia memoria
Dall’Eucaristia impariamo progressivamente l’itinerario di Gesù da ricordare al mondo: la vita è
dono, un dono che giunge fino alla fine: “Avendo amato i suoi, li amò sino alla fine”.
Gesù, il Signore e il Maestro, ci impartisce con profonda condiscendenza, con una pedagogia
amorevole, il comandamento fondamentale, non con lezioni esteriori, ma infondendo nel cuore
l’ethos dell’amore, quella energia che fa giudicare la realtà da un altro orizzonte, dall’Alto, dal
punto di vista di Dio misericordioso.
Così la Chiesa, inondata da questa sorgente di carità, diventa memoria, diventa epifania del Signore,
diventa Domenica, diventa dono.
Gesù si dona a noi, noi ci doniamo a Lui come risposta riconoscente e lo facciamo servendo i
fratelli.
Si comprende allora l’intimo nesso esistente tra Eucaristia e servizio ai poveri, un servizio che non è
semplicemente filantropia, ma solidarietà teologale, perché attuato nella spiritualità del’“l’avete
fatto a me”
Si costruisce una nuova solidarietà, con nuovi vincoli di parentela, che incide, e non può non
incidere, nell’organizzazione della società e nel suo autocomprendersi, che domanda di diventare
civiltà.
Ove la fede professata diventa fede pensata è possibile quel servizio tanto urgente oggi: la carità
intellettuale.
Ogni credente, ogni comunità cristiana è provocata a divenire discorso di e su Gesù, il Salvatore del
mondo, abbandonando ogni forma di latitanza e di fondamentalismo.
Adempie questa vocazione-missione semplicemente e chiaramente, mettendo in luce quanto i
martiri di Abitene hanno espresso nella loro professione di fede coraggiosa: “Sine Dominico non
possumus”
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