II
GIOVEDÌ 19 MAGGIO 2011
il Cittadino
Sezione
GLI EPISODI SI SVOLSERO NEL 1848 E 1859
In due occasioni la città
è stata terreno di scontro
nel percorso verso l’unità
A sinistra una
delle due sale
del castello
mediceo che
ospitano
l’esposizione,
si notano
le bacheche con
gli enormi fucili
utilizzati anche
durante gli
scontri avvenuti
a Melegnano
nelle guerre di
indipendenza
ARMI, BORRACCE E ALTRI OGGETTI RIMASERO SUL CAMPO DOPO I COMBATTIMENTI E FURONO RACCOLTI
Il Risorgimento nel museo di Melegnano
è “raccontato” a partire da una battaglia
M
elegnano come il Carso e
l’Isonzo. Luoghi dove uo­
mini sotto differenti ban­
diere hanno obbedito alla
parola Patria, al comando delle ar­
mi, affrontando l’irruzione nella
loro vita dell’esperienza che non
cessa mai di stupire noi moderni
per la “normalità” con la quale i
nostri antenati l’hanno guardata:
la guerra. Uomini contro. Ci si
sente disorientati di fronte al pa­
ragone tra campi di battaglia “mo­
numentali” e la pacifica borgata
commerciale sul Lambro. Eppure
è così. Centocinquantadue anni
fa, neanche moltissimi se li si pa­
ragona alla distanza che ci separa
da Dante Alighieri o dalla Bolla
del Perdono (concessa nel 1563), a
Melegnano si è combattuto. O me­
glio, sono arrivati degli eserciti,
due eserciti stranieri, e si sono af­
frontati nei luoghi dove oggi si al­
lineano insegne di agenzie immo­
biliari, panifici, parrucchieri,
centri estetici e bar. Ma andando
indietro al rallentatore, immagi­
nando di veder sparire una dopo
l’altra queste insegne e di vederne
comparire di più antiche ed “es­
senziali”; immaginando di vedere
le case perdere qualche piano in
altezza, via le automobili, poi le
biciclette cedendo il passo a qual­
che carretto, si arriva alle 17 del
pomeriggio di mercoledì 8 giugno
1859. I melegnanesi sono circa tre­
mila, fanno per l’ottanta per cento
i contadini. C’è anche qualche no­
bile – i Medici di Marignano­ e un
po’ di borghesia liberale, quella
classe istruita che probabilmente
è l’unica a saper leggere i giornali
(tradotti dalla “Wiener Zeitung”)
e capire, almeno in parte, cosa sta
succedendo. Bambini e giovani
non hanno conosciuto pratica­
mente nient’altro che la cittadi­
nanza del regno Lombardo­Vene­
to, tranne che per il ricordo più o
meno conscio delle Cinque Gior­
nate del 1848. I più anziani, alme­
no sessantenni, hanno una vaga
cognizione di quel Napoleone Bo­
naparte: sempre uno straniero, co­
me quelli che dal 1515 tengono Mi­
lano. In ogni caso, quel pomerig­
gio dal cielo coperto di nuvole di
mercoledi 8 giugno 1859, di mele­
gnanesi rimasti ce ne sono vera­
mente pochi. O scappati «in di pai­
san», vale a dire nelle cascine at­
torno (basta arrivare a Casalma­
iocco o Vizzolo) oppure barricati
in casa. Perché nelle strade è pie­
no di soldati austriaci – o meglio
imperiali, croati, slavi, tirolesi –
armati fino ai denti che trascina­
no cannoni. Per qualche strana
voce è arrivata la notizia che i
francesi, assieme al re del Pie­
monte, quel giorno o al massimo
un po’ dopo arriveranno a prende­
re Melegnano, strategica per la
sua posizione sul Lambro. E infat­
ti poco prima di sera, dalle parti di
Carpiano e lungo lo “stradale” di
Rocca Brivio, la via Emilia, co­
Oggi due sale del castello
ospitano i cimeli dei giorni
in cui qui si fece l’Italia
minciano le cannonate. Possiamo
immaginarcelo così, visivamente,
lo scenario di quel giorno lontano
di quasi estate nel quale Melegna­
no entrò nel Risorgimento. I due
eserciti lasciarono sul campo fuci­
li, proiettili, attrezzature militari,
uniformi, di tutto. Passata la tem­
pesta molti residenti portarono a
casa il loro cimelio, altri continua­
rono a trovare resti della battaglia
per anni.
Questi oggetti oggi in larga parte
sono custoditi nell’unico museo,
fra Lodigiano e Sudmilano, che
parli dell’800 attraverso una batta­
glia: il Museo del castello Medi­
ceo, collocato nelle sale dell’illu­
stre maniero. Sono due sale, in
corrispondenza con la torre est. È
inutile raccontare per filo e per se­
gno cosa si possa trovare. Basta
andarci, e rendersi conto di quan­
to Melegnano 1859 non fu affatto
una scaramuccia. I soli fucili – co­
lossali, smisurati per un’epoca in
cui la gente era alta un metro e
sessantacinque – occupano due
bacheche. È pieno di bossoli e pal­
lottole. Di gavette, borracce, zaini,
persino strumenti musicali. Ca­
scati dalle tasche di soldati com­
battenti, forse morti o feriti, si
spera sopravvissuti : monete, bot­
toni, persino medagliette e un ro­
sario. L’Italia unita e l’Europa fa­
ticosamente riunita la raccontano
anche quei bottoni. Il Museo del
Risorgimento di Melegnano, gesti­
to dalla Pro Loco con le Guide sto­
riche amatoriali, si può visitare il
sabato dalle 14.30 alle 17.30 (visita
guidata ore 15.30) e la domenica
dalle 15 alle 19 (accompagnamento
ore 15.30 e 17).
Emanuele Dolcini
I fucili , colossali rispetto alla
statura degli uomini di allora,
occupano da soli due bacheche
Alcune immagini
dei reperti che
compongono la
collezione, tra le
divise e le pipe
ci sono anche
monete, bottoni
e un rosario,
tutti oggetti
che raccontano
una storia
D
urante il Risorgimento Melegnano fu per
due volte lo scenario di episodi bellici non
secondari nel complesso sentiero che por­
terà all’Italia unita. La ragione è da ricer­
care nella posizione geografica dell’antico borgo:
posto a cavallo del fiume Lambro, valicato da un
ponte che a quei tempi costituiva punto di passag­
gio obbligato tra area di influenza milanese e Lo­
digiano, prendere (o difendere) Melegnano per
eserciti di differenti bandiere risultava un obiet­
tivo fondamentale.
Il primo episodio militare importante avvenne
nel 1848, subito dopo la conclusione della solleva­
zione popolare ­ le Cinque Giornate di Milano ­
che costrinse gli austriaci a ritirarsi dal capoluo­
go lombardo. Il 23 marzo una colonna dell’impe­
rial­regio esercito discendeva verso sud lungo
l’attuale via Emilia, che allora attraversava il
centro di Melegnano senza circonvallazione. E i
melegnanesi non rimasero indifferenti, in quel
clima attraversato da entusiasmi per una libera­
zione dallo straniero che sembrava (a torto, si ve­
drà nel giro di un anno) così a portata di mano.
Un pugno di patrioti, ragazzi melegnanesi di allo­
ra in sostanza, con poche armi tentarono di op­
porsi al passaggio dei ben più numerosi e potenti
reparti austriaci.
La conseguenza fu quella che si può facilmente
immaginare: le truppe del Radetzky si aprirono la
strada verso Lodi a suon di cannoni, fucilate e
saccheggi. Il borgo subì gravissimi danni e vi fu­
rono morti e feriti tra la popolazione civile: la la­
pide in piazza Garibaldi, che oggi pochi notano,
quando 163 anni dopo vi si passa davanti per an­
dare in banca, li ricorda. Gli austriaci trascinava­
no con sé anche una ventina di ostaggi tra i quali
Filippo Manzoni, uno dei numerosi figli del gran­
de scrittore, e il conte Carlo Porro, scienziato na­
turalista che proprio a Melegnano trovò in quelle
ore la morte in circostanze poco chiare, ma quasi
certamente in uno sbrigativo “regolamento di
conti” che vedeva coinvolta la soldataglia croata.
Anche di questo c’è memoria: bisogna alzare gli
occhi fra le vie Dezza (strada strapiena di epigra­
fi, tutte da restaurare, nda) e San Martino.
Il secondo e ben più consistente evento fu il com­
battimento dell’8 giugno 1859 nel corso della Se­
conda guerra d’Indipendenza, quella che alla fine
otterrà il sofferto traguardo di un’Italia autono­
ma e (quasi tutta) unita. Dopo avere sconfitto gli
austriaci a Magenta il 4 giugno, l’esercito france­
se di Napoleone III, alleato di Vittorio Emanuele
II (a quel tempo “solo” re di Sardegna), si aprì la
strada verso Milano ove i due sovrani entrarono
trionfalmente proprio quel mercoledì 8 giugno.
Gli austriaci avevano mantenuto alcune teste di
ponte sulla riva destra dei fiumi della Lombardia
centrale, allo scopo di coprire il ripiegamento
verso le loro fortificazioni del quadrilatero (Man­
tova, Legnago, Verona e Peschiera del Garda). Fra
le teste di ponte vi era Melegnano, strategicamen­
te importante come già dimostrato dai fatti del
1848. Nel tardo pomeriggio dell’8 giugno le truppe
francesi, al comando del maresciallo Achille Ba­
raguey d’Hilliers, in­
vestirono Melegnano
per ricacciare gli au­
striaci al di là del fiu­
me. Il combattimento
ebbe sostanzialmente
due epicentri: uno nel
luogo che i più anzia­
ni melegnanesi anco­
ra indicano come “Il
Po n t e d i M i l a n o ” ,
presso il vecchio cimi­
tero oggi totalmente
scomparso dal rettifi­
lo di Vittorio Veneto.
L’altro nella zona det­
ta del Portone ­ l’arco
sopra via Conciliazio­
ne ­ accanto al castello
visconteo­mediceo.
Lo scontro, appoggia­
to dall’artiglieria, du­
rò circa tre ore, sotto
un violento tempora­
le. Le perdite da ambo
le parti furono ingen­
ti: circa duemila uo­
mini fuori combatti­
mento tra morti e feri­
ti (questi ultimi in
buona misura desti­
nati a soccombere nel­
le ore successive: la
Croce Rossa nascerà
proprio pochi mesi
dopo). Anche se non si
trattò di una battaglia nel senso tecnico del termi­
ne, il combattimento di Melegnano ebbe una sua
importanza, forse più psicologica che militare
(gli austriaci si sarebbero infatti comunque riti­
rati). L’esito favorevole dello scontro contribuì
piuttosto a diffondere la convinzione dell’invinci­
bilità dell’alleanza franco­sarda, che avrebbe ri­
portato di lì a un paio di settimane la vittoria di
Solferino­San Martino, alle porte del Quadrilate­
ro.
Em. Dol.
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Il Risorgimento nel museo di Melegnano è “raccontato