L’ITALIA VISTA DALL’EUROPA
Verso i traguardi di Lisbona: i risultati dell’Italia – 2004
Sintesi
L’obiettivo strategico dell’Unione europea per il decennio in corso, stabilito dai Capi di Stato e di Governo degli Stati membri a
Lisbona nel marzo del 2000, è quello di “diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”. A tal
fine, l’Unione europea si è fissata una serie di traguardi economici, sociali e ambientali. Tra i più noti vi è l’obiettivo del 70% del
tasso di occupazione per la popolazione in età lavorativa e il conseguimento di un livello di spesa in ricerca e sviluppo pari al 3%
del Pil.
Alla base della strategia di Lisbona vi è la convinzione che l’Europa, con l’attuazione delle riforme necessarie, possa riprendere agli
Stati Uniti la leadership nell’economia mondiale e fronteggiare l’ascesa economica dell’Oriente, in primis della Cina.
La sfida per l’Italia è ancora più importante dato che il paese è partito da una posizione di svantaggio rispetto agli altri paesi
europei. Lo scopo di questo documento è quello di verificare in modo sintetico, e con cadenza annuale, i risultati dell’Italia sulla via
dell’attuazione della strategia di Lisbona, confrontando le performance dell’Italia rispetto agli obiettivi fissati dall’Unione e ai risultati
degli altri partner europei.
Dalla valutazione globale dei risultati nell’attuazione della strategia di Lisbona presentata dalle istituzioni europee nel 2004 risulta
che l’Italia registra risultati generalmente insufficienti anche se alcuni progressi si sono realizzati, specie in materia di
occupazione.
Prendendo in considerazione i principali indicatori macroeconomici, l’Italia appare quasi sistematicamente in posizione di netto
ritardo nell’Unione europea con un tasso di crescita inferiore alla metà della media Ue questi ultimi due anni, un tasso di inflazione
superiore, una produttività del lavoro in calo e una situazione delle finanze pubbliche preoccupante. Se si considera una delle
priorità della strategia di Lisbona, la volontà cioè di trasformare l’economia europea in un’economia basata sulla conoscenza, che
produca beni e servizi innovativi e a forte valore aggiunto, l’Italia è uno dei paesi europei in grave ritardo.
Il documento pone l’accento altresì su alcuni dei fattori che contribuiscono ad elevare il costo del far impresa in Italia al di sopra di
quanto risulta negli altri paesi della Unione europea. Servizi eccessivamente regolamentati, i costi dell’energia più elevati d’Europa,
alti costi d’avvio di un’impresa, una giustizia eccezionalmente lenta sono fattori che frenano la voglia di far impresa e l’attrazione di
investimenti esteri. Da questo punto di vista, il nostro Paese è al penultimo posto in Europa, seguito solo dalla Grecia. Infatti,
mentre nell’UE-15 la media degli investimenti stranieri diretti (per il periodo 1999-2001) ammonta a circa il 7% del Pil, in Italia si
attesta a poco più dell’1%.
I principali ritardi riportati in questa nota rappresentano gli ostacoli alla ripresa dell’economia italiana, che comunque negli ultimi
anni ha dato segnali della sua capacità di creare benessere e lavoro. In particolare, le analisi del Centro Studi Confindustria
evidenziano che le riforme avviate negli ultimi anni hanno prodotto risultati significativi in termini di flessibilità del mercato del lavoro,
contribuendo in modo determinante alla creazione di nuovi posti di lavoro.
La fiducia nella ripresa è testimoniata dal fatto che il 61% degli imprenditori – secondo un sondaggio realizzato dalla Ipsos in
occasione del convegno “La sfida dello sviluppo” (Milano, 2-3 aprile) – ha realizzato investimenti rilevanti nel corso degli ultimi tre
anni. Di fronte alle difficoltà create dalla difficile situazione internazionale e dalla crescente competizione a livello mondiale, il
modello italiano si distingue a livello europeo per la capacità di far nascere imprese e di farle sopravvivere nel tempo, per la
propensione all’innovazione anche al livello delle piccole e medie imprese, per il legame con il territorio per l’apertura
all’esportazione, e per le capacità di essere competitivi grazie alla qualità del prodotto. La consapevolezza dell’unicità è
profondamente radicata nelle aziende italiane, tanto che il 71% degli imprenditori, secondo la citata ricerca Ipsos per Confindustria,
ritiene che l’imprenditoria italiana sia significativamente diversa da quella degli altri Paesi.
Mettere in luce e monitorare annualmente i lacci che ancora imbrigliano il “Sistema Italia” serve innanzitutto a favorire la presa di
coscienza da parte di tutti gli attori - pubblici e privati – degli ostacoli da superare per vincere la sfida dello sviluppo e porre il nostro
paese tra le economie trainanti della crescita europea.
1
“L’Italia vista dall’Europa” comprende quattro sezioni: 1) una valutazione globale dei risultati del paese in base ai principali indicatori
strutturali utilizzati dalla Commissione europea per valutare i progressi realizzati nel raggiungimento della strategia di Lisbona; 2) un
raffronto Italia / media Ue-15 sui principali indicatori macroeconomici; 3) un approfondimento su alcuni indicatori significativi della
transizione del paese verso un’economia della conoscenza fondata sulla ricerca e l’innovazione (obiettivo fondamentale della
strategia di Lisbona); 4) una rassegna di alcuni fattori (legati alla pubblica amministrazione oppure a taluni servizi) che
contribuiscono ad aumentare i costi del far impresa in Italia rispetto agli altri Stati membri Ue.
1. Valutazione globale
Insufficienti
Medi
Notevoli
Grecia
Belgio
Francia
Alcuni
Italia
Spagna
Finlandia
Irlanda
Danimarca
Svezia
Regno Unito
Scarsi
Tuttavia, raffrontando i dati 2004 con quelli del 1999, si registrano
alcuni progressi nell’attuazione della strategia di Lisbona. Il paese
si classifica tra i migliori nell’Ue-15 per: aumento del tasso di
occupazione, riduzione del tasso di disoccupazione di lunga durata,
aumento degli investimenti delle imprese.
Risultati globali
Progressi
In base agli indicatori strutturali utilizzati dalla Commissione
1
europea per valutare l’attuazione della strategia di Lisbona , la
performance globale dell’Italia è da considerarsi insufficiente.
Per nessuno dei principali indicatori il paese registra risultati
significativamente migliori della media europea; al contrario, per
cinque indicatori la Commissione segnala risultati particolarmente
deludenti: tasso di occupazione totale, tasso di occupazione dei
lavoratori più anziani, disoccupazione di lunga durata, disparità tra
regioni in termini di occupazione, spese in ricerca e sviluppo. Gli
altri Stati membri con risultati insufficienti sono la Grecia, la Spagna
ed il Portogallo.
Buoni
Portogallo
Germania
Paesi Bassi
Lussemburgo
Austria
Fonte: Confindustria in base agli indicatori strutturali ripresi nella
relazione di primavera della Commissione europea (gennaio 2004).
Nel contempo però il tasso di crescita della produttività del lavoro è
stato addirittura negativo nel periodo 1999-2003, dato riscontrabile
solo per i Paesi Bassi e il Lussemburgo.
In sintesi, nonostante qualche segnale di progresso, l’Italia è ancora lontana dal raggiungere le altre grandi economie
europee - in particolare Germania e Francia – che registrano risultati intermedi rispetto agli indicatori di Lisbona.
2. Principali indicatori macro-economici
-
L’economia italiana è cresciuta meno della media europea nei due anni passati. Germania (0,1% di crescita tra 2002 e 2003) e
Paesi Bassi (in recessione) hanno fatto peggio mentre Spagna e Regno Unito sono stati più reattivi (circa il 2% negli ultimi due
anni).
-
L’inflazione è stata sistematicamente superiore alla media europea, con un differenziale più ampio (+0,8%) nel 2003.
-
La produttività del lavoro è diminuita nel 2002 e 2003 rimanendo tuttavia ad un livello superiore alla media (indice 106 nel
2003, per una media Ue-15 fissata a 100);
-
Il livello di occupazione è aumentato più della media europea, così come è diminuito il numero di disoccupati (che risale invece
dal 2001 nel resto d’Europa);
-
Ciononostante, il tasso di occupazione rimane il più basso nell’Ue-15 (9 punti percentuali al di sotto della media nel 2002) e i
risultati sono molto deludenti per quanto riguarda l’occupazione delle donne, dei più anziani e in termini di divario tra Nord e
Sud del paese;
-
Sul fronte delle finanze pubbliche, il saldo di bilancio si è degradato, meno però che in Germania, Francia e Regno Unito;
tuttavia, la situazione italiana è probabilmente più preoccupante di quella dei nostri partner europei dato il livello tutt’ora
estremamente elevato del debito pubblico, il più alto tra i quindici (106% del Pil, rispetto a 64% in Germania e 40% nel Regno
Unito). Viste le previsioni di disavanzo per il 2004 (3,2% del Pil), la Commissione ha proposto di avviare, nell’aprile 2004, il
meccanismo di avvertimento preventivo (early warning).
1
Gli indicatori strutturali principali sono i seguenti 14: Pil pro capite; produttività del lavoro; tasso di occupazione; tasso di occupazione dei lavoratori
più anziani; realizzazioni del sistema dell’istruzione; spese in ricerca e sviluppo; investimenti delle aziende; livello comparato dei prezzi; tasso di
rischio di povertà; disoccupazione di lunga durata; dispersione dei tassi regionali di occupazione; emissioni di gas a effetto serra; intensità
energetica dell’economia; volume trasporti.
2
Principali indicatori – Raffronto Italia/media Ue-15
Italia
Ue-15
2000
2001
2002
2003
2004
2000
2001
2002
2003
2004
Tasso di crescita del Pil
3,0
1,8
0,4
0,3
1,2
3,6
1,7
1,1
0,8
2,0
Tasso di inflazione
2,6
2,3
2,6
2,8
2,2
1,9
2,2
2,1
2,0
-
Tasso di crescita della
produttività del lavoro
1,3
0,1
-0,9
-0,2
0,9
1,5
0,5
0,6
0,6
1,6
Tasso di occupazione
53,7
54,8
55,5
-
-
63,4
64,1
64,3
-
-
Tasso di crescita
dell’occupazione
1,9
2,0
1,3
0,4
0,3
2,2
1,4
0,6
0,3
0,4
Tasso di disoccupazione
10,4
9,4
9,0
8,7
8,6
7,8
7,4
7,7
8,0
8,1
Saldo di bilancio (% Pil)
-0,6
-2,6
-2,3
-2,4
-3,2
1,0
-1,0
-2,0
-2,6
-2,6
Debito pubblico (% Pil)
111,2
110,6
108,0
106,2
106,0
64,2
63,4
62,7
64,2
64,4
Fonte: Commissione europea – Comunicazione sull’attuazione degli indirizzi di massima per le politiche economiche (gennaio 2004) e
Previsioni economiche di primavera (aprile 2004)
3. Economia della conoscenza: ricerca e innovazione
Indice sintetico dell'innovazione 2003
Il contributo degli investimenti in ricerca e sviluppo al potenziale di crescita di un’economia è ormai ampiamente riconosciuto.
Nell’ambito della strategia di Lisbona, l’Ue ha fissato l’obiettivo di raggiungere un livello di spese pari al 3% del Pil nel 2010, due
terzi dei quali provenienti dal settore privato. L’Ue è ancora complessivamente lontana da tale meta (la spesa è di poco inferiore al
2% del Pil) ma tra gli Stati membri vi sono rilevanti differenze tra quelli che hanno addirittura già superato il traguardo (Svezia e
Finlandia) e quelli in forte ritardo, tra i quali l’Italia, con un tasso dell’1,07% del Pil. In termini assoluti, le dimensioni dell’economia
nazionale permettono al paese di raggiungere il quarto posto europeo. Tuttavia, con circa 12,5 miliardi di euro di spese, l’Italia
risulta molto lontana dai primi tre classificati, la Germania (51,5 miliardi), la Francia (32 miliardi) e il Regno Unito (30
miliardi). Tutti comunque a grande distanza dagli Stati Uniti, che raggiungono un livello di spese pari a 2,82% del Pil ovvero circa
315 miliardi di euro. Il grafico di seguito riporta (asse delle ordinate) la posizione degli Stati membri relativamente a un indice
sintetico dell’innovazione – che integra i risultati in materia di ricerca e sviluppo, diplomati in materie scientifiche, brevetti, capitale di
rischio, ecc. – e (asse delle ascisse) la tendenza riscontrabile negli Stati membri raffrontando i dati più recenti con quelli del periodo
1998-2000. I risultati dell’Italia sono negativi poiché il paese, unico tra gli Stati membri, combina risultati globali inferiori alla media
(con Grecia, Portogallo, Spagna, Lussemburgo e Austria) ed una tendenza mediocre (progressi negli indicatori dell’innovazione
inferiore alla media europea, come Francia, Germania e Paesi Bassi, che partono però da una situazione migliore). L’Italia è
quindi l’unico paese Ue ad occupare nella figura il quadrante in basso a sinistra, ossia sembra incapace di migliorare la
propria posizione e, anzi, perde ulteriore terreno rispetto ai suoi concorrenti.
0,8
2. Rallentamento
1. Ulteriori progressi
FI
0,7
SV
0,6
UK
DE
0,5
NL
BE
0,4
IT
0,3
DK
IE
FR
AT
LU
ES
PT
EL
0,2
0,1
4. Retrocessione
3. Recupero
0
0
0,05
0,1
0,15
0,2
Tendenza
Fonte: Commissione europea – Quadro 2003 di valutazione dell’innovazione (novembre 2003)
3
0,25
Capitale di rischio nelle fasi di avvio (per mille Pil) - 2002
L’avvio di nuove imprese rappresenta senz’altro un
fattore
di
promozione
dell’innovazione
in
un’economia. La disponibilità di fonti alternative di
finanziamento per l’avvio di imprese costituisce
pertanto un criterio significativo da tener in
considerazione. Sotto questo profilo, è preoccupante
la carenza in Italia di capitali di rischio per le fasi di
avvio di un’impresa (seed e start up). Secondo le
statistiche raccolte dalla Commissione europea, il
paese è addirittura all’ultimo posto in Europa (0,05‰
del Pil speso in capitale di rischio nelle fasi di avvio
rispetto a 0,285‰ del Pil di media nella Ue-15),
lontanissimo dai paesi scandinavi – che eccellono
anche in questo campo – e assai distante anche dalle
grandi economie dell’Ue.
Svezia
Danimarca
Finlandia
Paesi Bassi
Stati Uniti
Belgio
Regno Unito
Germania
Francia
Irlanda
Spagna
Austria
Grecia
Portogallo
Italia
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
Fonte: Commissione europea –Cifre chiave su scienza, tecnologia e
innovazione 2003-2004 (novembre 2003)
4. I costi del fare impresa in Italia
La produttività dell’economia italiana e la sua capacità di crescita appare ostacolata non solo dai limiti già ricordati in materia di
ricerca e innovazione ma altresì dalla presenza di “costi del far impresa” in genere più elevati che nel resto dell’Unione europea,
senza parlare dei concorrenti di altre aree del mondo. Quattro esempi possono illustrare questa condizione di svantaggio
competitivo e spiegare inoltre perché l’Italia attira molti meno investimenti diretti esteri rispetto ai propri partner europei.
a) Troppe regolamentazioni: il caso dei servizi
professionali
Indice del livello di regolamentazione dei servizi
professionali
Italia
Austria
Germania
In alcuni settori dell’economia italiana un livello
elevato di regolamentazioni può limitare l’impatto
benefico della concorrenza su qualità e costi.
Nel caso dei servizi professionali, uno studio citato
dalla Commissione indica nell’Italia lo Stato membro
dell’Ue-15 con il livello più alto di regolamentazioni,
con un indice di ben tre volte superiore a quello
riscontrabile per Irlanda e Regno Unito. Le
regolamentazioni analizzate riguardano sia le
modalità di accesso alla professione sia la condotta
(prezzi e tariffe, pubblicità, ecc.).
Lussemburgo
Spagna
Contabili
Avvocati
Architetti
Ingegneri
Farmacisti
Francia
Belgio
Svezia
Finlandia
Paesi Bassi
Danimarca
Regno Unito
Irlanda
0
5
10
15
20
25
30
35
Fonte: studio IHS, citato dalla Commissione europea – Relazione sulla
concorrenza nei servizi professionali (febbraio 2004)
4
b) Costi dell’energia più elevati d’Europa
Le imprese italiane devono far fronte ad un netto
svantaggio rispetto ai concorrenti europei circa i costi
dell’energia. Come mostra il grafico di seguito,
relativo ai costi dell’elettricità per l’industria, vi è una
netta differenza tra il livello dei prezzi italiani e quelli
osservabili negli altri Stati membri dell’Ue: 8,32 euro
per 100 kWh rispetto ai 4,90 euro in Spagna, ai 4,87
euro in Francia oppure ai 2,62 euro in Svezia.
Mentre esiste in Europa una tendenza decrescente
dei costi dell’energia a partire dagli anni Novanta, in
Italia la tendenza è invece di segno opposto con un
ampliamento del divario rispetto alla media europea
nel periodo più recente (2000-2003).
Tra le cause, oltre ad un processo di liberalizzazione
incompiuto su scala europea ed un elevato livello
d’imposizione fiscale, vi sono cause strutturali quali
un mix di fonti per la produzione poco favorevole e
delle difficoltà di approvvigionamento all’estero legate
anche a limiti infrastrutturali.
Prezzi dell'elettricità per l'industria 2002 - Euro per 100
kWh
8,32
Italia
Irlanda
Belgio
Portogallo
Germania
Regno Unito
Grecia
4,9
Spagna
Francia
Finlandia
Lussemburgo
2,62
Svezia
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Fonte: Commissione europea – L’energia e i trasporti nell’UE in cifre
2003 (dicembre 2003)
c) Troppi oneri burocratici: il caso dell’avvio di
un’impresa.
Costo dell'avvio di un'impresa (% Rnl pro capite)
Grecia
Gli oneri burocratici rappresentano un ostacolo alla
nascita e alla crescita delle imprese. Al fine di facilitare i
raffronti internazionali, la Banca mondiale ha
recentemente istituito una banca dati che utilizza vari
indicatori, tra cui la stima del costo da sostenere per
avviare un’impresa, ovvero per eseguire tutte le
procedure necessarie (iscrizioni, adempimenti contabili
e fiscali, autorizzazioni, ecc.).
L’Italia è lo Stato membro dell’Ue, eccezion fatta per la
Grecia, nel quale risulta più costoso avviare un’impresa
con un valore che corrisponde in media a 24,1% del
reddito nazionale lordo pro capite, ovvero circa 4580
dollari (rispetto a 5,9% in Germania, circa 1340 dollari,
3% in Francia, circa 670 dollari, e 1% nel Regno Unito,
circa 260 dollari).
24,1
Italia
Spagna
Paesi Bassi
Portogallo
Belgio
Irlanda
Austria
5,9
Germania
Finlandia
3
Francia
Regno Unito
Svezia
0
10
20
30
40
50
60
70
Fonte: Banca mondiale – “Doing Business in 2004” (ottobre 2003)
5
80
d) Una giustizia lenta: il recupero crediti.
Tempo medio necessario per ottenere il rispetto di un
contratto (giorni)
Italia
Un altro fattore di svantaggio per le imprese italiane
rispetto agli altri partner europei è la lentezza del
nostro sistema giudiziario. La Banca mondiale
fornisce una stima, in giorni, del tempo necessario
per ottenere il rispetto di un contratto e segnatamente
il recupero di un credito, dall’avvio della procedura
all’effettivo recupero dell’importo. Ancorché indicativo,
il risultato è estremamente sfavorevole poiché si
stima che in Italia siano necessari in media ben 645
giorni per ottenere il rispetto di un contratto, il peggior
risultato nella Ue-15, rispetto a 210 giorni in Francia,
154 in Germania oppure 101 nel Regno Unito.
Austria
Portogallo
Belgio
Grecia
Finlandia
Francia
Svezia
Irlanda
Germania
Spagna
Regno Unito
Danimarca
Paesi Bassi
0
100
200
300
400
500
600
700
Fonte: Banca mondiale “Doing Business in 2004” (ottobre 2003)
6
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