LA FOTOSINTESI
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Il Sole e la Vita: un legame forte e indissolubile
realizzato e mantenuto grazie alla fotosintesi
clorofilliana. Andiamo quindi a conoscere
meglio questo piccolo capolavoro di ingegneria
biologica. La fotosintesi clorofilliana consente
l’utilizzo di sostanze inorganiche semplici
come l’acqua e il biossido di carbonio per la
costruzione di molecole organiche complesse
come il glucosio ed è l’unico sistema in grado
di trasformare direttamente l’energia
trasportata dalla radiazione solare in energia
chimica. Il meccanismo attraverso il quale di
compie la fotosintesi è stato chiarito nel corso
del ventesimo secolo e può essere diviso in due
fasi distinte: la fase luminosa e la fase oscura.
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Durante la fase luminosa vi è
produzione di energia chimica
a partire da quella solare mentre
durante la fase oscura vi è
produzione di glucosio a partire
dall’energia chimica accumulata
in precedenza.
Queste serie di reazioni chimiche
avviene all’interno di organelli cellulari chiamati ‘cloroplasti’; nelle
piante i cloroplasti si trovano principalmente nelle foglie e nelle parti
verdi dei giovani fusti. Ogni cloroplasto contiene un sistema di
membrane in cui trovano posto le molecole di clorofilla. La parte di
glucosio che non viene utilizzata subito come fonte energetica può
essere convertita in altri composti organici come i lipidi oppure
immagazzinata sotto forma di amido oppure ancora trasformata in
cellulosa.
fotosintesi: 6CO2 + 6H2O + energia C6H12O6 + 6O2
LE ORIGINI DELLA
FOTOSINTESI
L'atmosfera in cui si sono evoluti i primi organismi era priva di
ossigeno libero. La loro fonte di energia derivava da processi
anaerobici. Successivamente si sarebbero evolute forme di vita
fotosintetiche che usavano l'anidride carbonica come riserva di
carbonio, e liberavano ossigeno. Senza ossigeno non si sarebbero
evolute le complesse forme di vita che esistono oggi sulla Terra. La
vita sulla Terra continua grazie alla fotosintesi. Le prime cellule si
nutrivano delle sostanze organiche presenti nel brodo primordiale,
la cui concentrazione diminuiva lentamente. Molto probabilmente la
scarsità di risorse e di energia provocò una selezione. Alcune cellule
acquisirono la capacità di trarre nutrimento da altre, mentre altre
cellule svilupparono la capacità di sintetizzare nuove sostanze
organiche usando l’energia delle ossidazioni.
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Ancora oggi esistono procarioti (cellule che non possiedono un
vero e proprio nucleo cellulare ma un “equivalente” nucleare) che
ricavano l’energia per vivere in questo modo, i cosiddetti batteri
chemosintetici. Altre cellule poterono invece sfruttare l’energia della
luce per trasformare l’acqua e ottenere l’idrogeno riducente
necessario per la fotosintesi. Gli organismi viventi in grado di fare la
fotosintesi liberavano però ossigeno elementare che, a causa della
sua alta affinità con le sostanze organiche, deve aver ucciso gran
parte delle forme cellulari primitiva. Sopravvissero quindi solo
quelle cellule in grado di sopportare la crescente concentrazione di
ossigeno. In seguito alcuni procarioti impararono ad usare
l’ossigeno libero come mezzo ossidante per la produzione di
energia. Era così comparsa la respirazione, che dava un vantaggio
enorme, potevano, infatti, procurarsi molta più energia di quella
prodotta con la fermentazione e assicurava la sopravvivenza
nell’atmosfera ricca di ossigeno.
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L’EVOLUZIONE DELLA
FOTOSINTESI
Da quell'era,la fotosintesi non è variata particolarmente ma sono
piuttosto le piante che hanno apportato cambiamenti nel loro modo
di fissare il carbonio in base all'ambiente e al clima in cui vivevano.
Ne sono dimostrazione le piante di tipo C4 e CAM.
 La maggior parte delle piante che abitano in un clima temperato
fissano la CO2 attraverso il ciclo di Calvin, detto anche ciclo C3 che
prevede il legame con il ribulosio-1,5-difosfato, catalizzato
dall'enzima RuBisCO. Queste piante sono chiamate di tipo C3
poiché il primo composto organico della fotosintesi è una catena
carboniosa a 3 atomi di carbonio, il 3 fosfato gliceraldeide.
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Si definiscono invece piante C4
alcune specie di piante dei
climi aridi, come ad esempio il
mais, il sorgo e la canna da
zucchero, che usufruiscono
di una via differente per la
fissazione della CO2 (uno
dei passaggi necessari per
portare a termine il processo fotosintetico).
Queste piante hanno sviluppato una via alternativa al ciclo di Calvin,
organizzata sulla presenza di due tipi di cellule funzionalmente e
morfologicamente diversi situate nel cloroplasto.
La fotosintesi C4 è perciò, insieme alla fotosintesi CAM, un
adattamento adottato da alcune specie di piante, viventi in climi aridi,
per risparmiare acqua nella fase di fissazione del carbonio. Questa via
biosintetica fu scoperta nel 1966 da due ricercatori australiani, M. D.
Hatch e C. R. Slack, infatti viene anche indicata come via biosintetica di
Hatch-Slack.
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La fotosintesi CAM (acronimo di
Crassulacean Acid Metabolism,
ossia metabolismo acido delle
crassulacee) è un ciclo metabolico
di fissazione del carbonio che
consente di ottimizzare l'attività
fotosintetica in ambienti estremi,
quali quelli desertici.
La fotosintesi CAM, attuata nelle Crassulaceae, nelle Cactaceae e in
alcune specie di altre famiglie (es. Ananas, Agave, Sedum, ecc.), è un
adattamento xerofitico vero e proprio perché consente lo svolgimento
della fotosintesi anche con gli stomi chiusi. Nelle vie metaboliche
ordinarie delle piante C3 e delle piante C4, infatti, la fotosintesi
necessita dell'apertura degli stomi affinché si svolgano gli scambi
gassosi (ingresso della CO2 e uscita dell'O2). In caso di chiusura degli
stomi, pertanto, le piante non svolgono la fotosintesi.
COSA CI ATTENDE?
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CAMBIAMENTO NEL CORSO DEGLI ANNI
Fra cinque miliardi di anni il Sole avrà esaurito l’idrogeno, il suo
principale combustibile nucleare, e a questo punto la nostra stella
avrà i giorni contati. È pur vero che i nuovi elementi che si sono
formati a partire dalla fusione dell’idrogeno (elio, berillio, boro,
ossigeno, etc.) possono a loro volta fondersi per formare elementi
ancora più pesanti ma questi nuovi combustibili nucleari avranno
una durata estremamente più breve di quella dell’idrogeno. Inoltre
man mano che la fusione nucleare coinvolge elementi sempre più
pesanti essa diventa sempre meno efficiente. La festa finisce quando
le reazioni di fusione producono ferro; il ferro è un materiale molto
stabile dal punto di vista nucleare e con questo elemento (e con
quelli più pesanti) la fusione nucleare non è più possibile. Di
conseguenza la forza di gravità, non più contrastata dal motore
interno del Sole ormai spento, prenderà il sopravvento e
comprimerà la nostra stella fino a ridurla a una sfera non più grande
della Terra;
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dopo di che il collasso si arresterà poiché la forza di gravità sarà
equilibrata dall’enorme pressione generata da così tanta materia
confinata in uno spazio così ristretto.
A questo punto inizia un lento ed inesorabile raffreddamento che
porterà ciò che resta del nostro Sole alla fase finale della sua vita:
una fredda e scura sfera di materia superdensa vagante nello spazio.
Senza la luce del Sole la vita come noi la conosciamo sarà
impossibile. Anche la tecnologia umana dipende fortemente dal
Sole; infatti l’energia che otteniamo dai combustibili fossili, dai salti
d’acqua, dai pannelli solari e dalle centrali eoliche è tutta energia
solare convertita. Però da circa cinquant’anni l’Uomo ha imparato
ad utilizzare una fonte di energia completamente indipendente dal
Sole: ci riferiamo all’energia nucleare. Oggi quasi il 20% dell’energia
elettrica prodotta nel mondo è di origine nucleare; gli attuali reattori
nucleari basano il loro funzionamento sulla fissione nucleare ma in
tutto il mondo sono in corso studi e ricerche finalizzati alla
realizzazione di reattori a fusione. Di conseguenza una civiltà
tecnologica può, almeno in linea di principio, fare a meno
dell’energia del Sole ma in un mondo del genere l’azzurro dei cieli, il
cinguettio degli uccelli e il fruscio del vento in mezzo alle foglie
degli alberi saranno solo un lontanissimo ricordo.
CURIOSITA’
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UNA MOLECOLA CHE PROTEGGE LE PIANTE
Un altro importante pezzo del puzzle della fotosintesi è stato messo a
posto. I ricercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory e
dell'Università della California di Berkeley hanno identificato una delle
molecole che contribuiscono a proteggere le piante dai danni
ossidativi che possono risultare dall'assorbimento di troppa luce. Gli
scienziati hanno determinato che, quando le molecole di clorofilla
nelle piante assorbono più energia solare di quella che sono in grado
di usare immediatamente, le molecole di zeaxantina, un pigmento
della famiglia dei carotenoidi, trasportano via l'energia in eccesso.
IMITAZIONI DELLA FOTOSINTESI
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IL FOTOVOLTAICO
L'effetto fotovoltaico consiste nella trasformazione della luce in
energia elettrica. Esso è noto fin dal secolo scorso, quando si scoprì
che era possibile trasformare direttamente l'energia solare in energia
elettrica tramite una cella elettrolitica senza passare per processi
termodinamici. La prima applicazione commerciale si ebbe nel 1954
negli Stati Uniti, quando i laboratori Bell realizzarono la prima cella
fotovoltaica utilizzando il silicio monocristallino. Esistono due tipi di
sistemi fotovoltaici: gli impianti senza accumulo e quelli con
accumulo; questi ultimi sono provvisti di accumulatori per "mettere
in serbo", durante il giorno e specialmente nelle ore di sole, l'energia
elettrica da utilizzare poi durante la notte e quando il sole è coperto.
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L'energia viene conservata in batterie (normalmente piombo-acido)
ed un regolatore di carica impedisce che la tensione di carica superi
un certo valore per salvaguardare l'integrità degli accumulatori.
Gli impianti con accumulo sono impiegati nelle "utenze isolate",
cioè là dove gli utilizzatori non sono collegati alla rete, e quindi, se
la loro fonte di elettricità fosse quella solare, ne rimarrebbero senza
proprio la notte, quando la luce è indispensabile. Gli impianti senza
accumulo sono normalmente utilizzati per fornire energia a una rete
elettrica già alimentata da generatori convenzionali e servono ad
immettervi altra energia. Attualmente i moduli fotovoltaici sono
costruiti partendo da semiconduttori al silicio, le applicazioni sono
essenzialmente per piccole potenze e sopratutto per utenze isolate
dove sarebbe oneroso collegarsi con la rete elettrica e non
sussistano altre fonti primarie quali venti costanti, corsi/salti
d'acqua ecc., esistono centrali solari di qualche MWp più che altro
utili a testare le tecnologie maturate, i costi degli impianti
attualmente funzionanti non sono competitivi con gli altri sistemi di
generazione di energia elettrica.
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Il generatore fotovoltaico:
E' costituito da un insieme di moduli
fotovoltaici moduli sono costituiti da
un insieme di celle
Più moduli collegati insieme formano
un pannello che può essere utilizzato
anche per piccoli sistemi.
Un insieme di pannelli, collegati
elettricamente in serie, costituiscono
una stringa.
Più stringhe, collegate generalmente in
parallelo, costituiscono un campo di
una centrale fotovoltaica
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La cella fotovoltaica:
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E' il componente base dei sistemi fotovoltaici, un dispositivo
costituito da una sottile fetta ( 0,3 mm ) di materiale semiconduttore
(wafer), in genere silicio, opportunamente trattata.
Tale trattamento è caratterizzato da diversi processi chimici, tra i
quali si hanno i cosiddetti “drogaggi”: inserendo nella struttura
cristallina del silicio delle impurità, cioè atomi di boro e fosforo, si
genera un campo elettrico e si rendono anche disponibili le cariche
necessarie alla formazione della corrente elettrica.
Riassumendo molto l'energia si ottiene quando i fotoni della luce
solare, colpendo una cella, "strappano" gli elettroni più esterni (di
valenza) degli atomi di silicio, gli elettroni sono raccolti dal reticolo
metallico serigrafato sulla superficie visibile della cella che
"incanalano" un flusso di elettroni ottenendo una corrente continua
di energia elettrica.
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In base al tipo di tecnologia di drogaggio utilizzata il silicio prende il
nome di : silicio monocristallino, multicristallino, amorfo.
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IL SILICIO MONOCRISTALLINO
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L' efficienza di queste celle fotovoltaiche è 12-16%,
Per la produzione di un pannello da un kWp occorrono 6-9 MWh di
energia.
L'energia prodotta nella vita media (20 anni) da un pannello FV da 1
kWp è 18-24 MWh. Il silicio monocristallino per applicazioni
fotovoltaiche è lo stato dell'arte nel settore. Grazie ad esso si
realizzano celle con efficienza elevata e spazi contenuti. Ciò significa
che a parità di spazio occupato questo tipo di pannello produce più
energia rispetto ad ogni altra tecnologia.
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La cella in silicio monocristallino si riconosce per la forma "subquadrata" e il colore blu scuro. Il wafer di monocristallo si produce
con il metodo
Czochralsky , basato sulla cristallizzazione di
un “seme” di materiale molto puro, che viene
immerso nel silicio liquido e quindi estratto e
raffreddato lentamente per ottenere un
“lingotto” di monocristallo, che avrà forma
cilindrica (da 13 a 30 cm di diametro e 200
cm di lunghezza). Successivamente le celle
ottenute affettando questo cilindro vengono
squadrate non completamente, lasciando i caratteristici angoli
smussati, a volte anche a forme ottagonali, il colore è uniforme.
IL SILICIO POLICRISTALLINO
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Le celle a silicio multicristallino (o policristallino) possono avere
efficienze del 10-13%
Per la produzione di un pannello da un kWp occorrono 4-7 MWh di
energia.
L'energia prodotta nella vita media (20 anni) da un pannello FV da 1
kWp è 16-20 MWh.
Il wafer di multicristallo si origina dalla fusione e successiva
ricristallizzazione del silicio di scarto dell’industria elettronica
(“scraps” di silicio). Da questa fusione si ottiene un “pane” che
viene tagliato verticalmente in lingotti con forma di parallelepipedo,
per cui i wafer ottenuti hanno forma squadrata e le caratteristiche
striature.
Il silicio policristallino è facilmente riconoscibile per il suo colore e
per i tipici riflessi azzurri. La tecnologia dei moduli al silicio
policristallino permette di raggiungere livelli di efficienza superiori
rispetto al film sottile riducendo gli spazi necessari per l'installazione.
IL SILICIO AMORFO
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Con l’amorfo, in realtà, non si può parlare di celle, in quanto si tratta di
deposizioni di silicio (appunto allo stato amorfo) in film sottili su
superfici che possono anche essere ampie.
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I moduli in silicio amorfo possono avere efficienze del 4-6% quelli
monogiunzione e 7-10% con le tecnologie a doppia o tripla giunzione
che sfruttano una più larga banda dello spettro solare utile.
Per la produzione di un pannello da un kWp occorrono 3-5 MWh di
energia.
L'energia prodotta nella vita media (20 anni) da un pannello FV da 1
kWp è 10-18 MWh secondo la tecnologia adottata.
Il maggiore vantaggio dei moduli in silicio amorfo è la potenziale
versatilità nell' integrazione architettonica dei moduli FV, sia per quanto
concerne la forma che le tonalità cromatiche, fino ad ottenere anche
superfici semitrasparenti utilizzabili in facciate vetrate.
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I moduli fotovoltaici al silicio
amorfo hanno la caratteristica
di generare mediamente più
energia rispetto a moduli che
adottano diverse tecnologie.
Questo è dovuto principalmente
alla loro capacità di operare da
un livello di irraggiamento molto basso. Il film sottile di silicio
utilizzato permette al modulo di pareggiare in breve tempo il
bilancio dell'energia necessaria per produrlo. La temperatura
influisce sulla capacità produttiva di tutti i moduli fotovoltaici,
infatti all'aumento della temperatura superficiale di un pannello,
corrisponde una diminuzione della efficienza.
Questo fenomeno è minimo sui moduli al silicio amorfo che hanno
un rendimento superiore in tali condizioni. Infine, la tecnologia di
produzione riesce a garantire una produttività stabile nel tempo.
LE DYE-SENSITIZED SOLAR
CELLS
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Losanna, sponda svizzera del lago di Ginevra: il laboratorio di fotonica dell’
Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne è immerso nel verde, con le
acque cristalline del lago come sfondo. E qui lavora uno dei 20 chimici più
famosi e citati del mondo, il professor Michael Grätzel, da poco premiato
con il “Millennium Technology Prize 2010” per l’ideazione e lo sviluppo
delle celle solari DSSC, Dye-Sensitized Solar Cells, anche dette celle di
Grätzel dal nome del loro inventore.
Il perché di tanto successo è facilmente comprensibile e fondamentalmente
si basa su una formula di successo: Sole a basso costo, cioè una fonte di
energia pulita, sostenibile, economica e soprattutto abbondante. Il nostro
pianeta riceve dal Sole mediamente 120000 terawatt di potenza, un’energia
largamente superiore alle esigenze umane; basti pensare che se si ricoprisse
lo 0.16% della superficie terrestre (cioè l’intera Gran Bretagna o 2 volte
l’isola di Cuba, o ancora meglio metà del deserto del Kalahari) con sistemi
fotovoltaici efficienti anche solo al 10%, si otterrebbero 20 terawatt di
potenza, il doppio del consumo mondiale di energia da fonti fossili e
corrispondenti a 20000 centrali nucleari da 1 gigawatt l’una.
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Ovviamente però l’energia del Sole non si può usare così com’è.
Intermittente e diffusa, legata sia a parametri geografici (latitudine e
altezza) che meteorologici come la nuvolosità, l’energia solare deve
essere prima “catturata”, poi concentrata e stoccata, ed infine convertita
in forme di energia utili, come l’elettricità o l’energia termica.
L’era moderna delle celle solari fotovoltaiche nasce negli anni ’50, con lo
creazione dei primi sistemi a base di silicio come tecnologia spaziale per
lo sviluppo di alimentatori per satelliti; il Vanguard I, lanciato in orbita
dalla NASA nel 1958, fu il primo satellite alimentato ad energia solare.
Per questo tipo di applicazioni avanzate ovviamente il costo della
tecnologia non rappresenta un ostacolo, ma diventa quanto mai rilevante
quando si rimettono i piedi sulla Terra.
Il costo dell’elettricità delle celle solari di prima generazione a base di
silicio attualmente è 2-3.5 $ per watt; per essere competitive con le altre
tecnologie esistenti i costi dovrebbero essere abbattuti fino a 0.4 $ per
watt.
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Le celle solari di seconda generazione, basate su sottili pellicole di
materiale inorganico (e.g. silicio amorfo, cadmio-tellurio, rame-indioselenio, rame-indio-gallio-selenio) riducono i costi di produzione
rispetto alle celle solari di prima generazione poiché possono essere
depositate efficacemente con tecniche a basso costo su grandi
superfici come vetro, acciaio e polimeri vari; d’altro canto però
l’efficienza di conversione della luce solare è molto inferiore rispetto
a quella ottenibile da celle solari di prima generazione, 7-12% contro
25%, e soprattutto questo tipo di celle ha un declino delle
performance del 20-30% dopo 1000 ore di operatività alla luce
solare.
Ed è qui che entrano in gioco le celle di Grätzel, con un eccellente
rapporto prezzo/performance ed in grado di imporsi nel mercato
delle energie rinnovabili a larga scala e a basso costo.
Il principio di funzionamento delle DSSC è quello della fotosintesi:
immaginiamo le foglie delle piante come piccole fabbriche in cui la
luce solare, assorbita dalla clorofilla, converte l’anidride carbonica e
l’acqua, in glucosio ed ossigeno, fornendo energia alla pianta.
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Nelle DSSC è riprodotta una sorta di fotosintesi artificiale:
nanoparticelle di titanio ossido giocano il ruolo della struttura delle
foglie, mentre la clorofilla è mimata da grandi molecole organiche
colorate (i dyes) in grado di assorbire la luce. I nanocristalli di titanio
ossido sono ricoperti dalle molecole di colorante, immersi in una
soluzione elettrolita, ed infine racchiusi in una specie di sandwich di 10
micrometri di spessore tra due piastre di vetro o plastica. La luce
colpisce gli elettroni liberi del colorante e crea dei “buchi”, cioè delle
regioni di carica positiva derivanti dalla perdita degli elettroni; gli
elettroni vengono raccolti dai nanocristalli di titanio ossido e trasferiti
ad un circuito esterno producendo una corrente elettrica.
Confrontate con le celle solari di prima generazione a base di silicio, le
celle di Grätzel sono nettamente più economiche, più resistenti e hanno
una maggior versatilità:
• i materiali che le compongono sono reperibili facilmente in grandi
quantità e a basso costo, e per di più non sono tossici. Le nanoparticelle
di titanio ossido per esempio sono comunemente utilizzate come
pigmento bianco nelle vernici, nelle materie plastiche e nel cemento;
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• sebbene l’efficienza di conversione dell’energia solare sia inferiore
rispetto alle celle di prima generazione, 12% contro 25%, la loro
stabilità operativa supera le 10000 ore;
• le DSSC possono produrre elettricità anche in condizioni di luce bassa
o di nuvolosità; niente a che vedere con le condizioni di luce ottimali
richieste dalle celle a base di silicio che catturano l’energia solare solo
quando i raggi solari sono intensi e diretti;
• le DSSC sono le uniche celle solari che possono essere completamente
trasparenti; poiché il loro colore dipende dalla molecola di colorante,
selezionando coloranti che assorbono nella regione dei raggi
ultravioletti o del vicino infrarosso si possono ottenere materiali
completamente trasparenti.
I vantaggi sono tanti ed evidenti, e fanno sì che questa tecnologia possa
adattarsi ad una vasta gamma di materiali, da foglietti flessibili
facilmente tagliabili con un paio di forbici a finestre completamente
trasparenti.
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L’interesse industriale è crescente e negli ultimi anni moltissime aziende
stanno puntando su questo tipo di tecnologia. La compagnia gallese G24
Innovation ad esempio ha lanciato nel 2009 i primi moduli fotovoltaici
DSSC in una serie di prodotti innovativi, come il primo zaino ricoperto di
celle solari flessibili, per ricaricare in ogni momento cellulari e piccoli
dispositivi elettronici. Il passaggio successivo verso una
commercializzazione delle DSSC su scala ancora più ampia verrà
sicuramente dall’edilizia, dove i materiali fotovoltaici potrebbero essere
usati per sostituire materiali convenzionali nella costruzione di tetti,
grattacieli, rivestimenti ed intere facciate di edifici.
Attualmente solo lo 0.54% dell’energia globale è prodotta utilizzando il
Sole, e solo lo 0.04% utilizzando il solare elettrico. Le prospettive di
incremento e le potenzialità sono comunque innegabili, con risvolti sociali
non indifferenti; come disse l’avveniristico Giacomo Ciamician nel suo
famoso articolo su Nature del 1912 “La fotochimica del futuro”: “L’energia
solare non è distribuita equamente sulla superficie terrestre. Ci sono regioni
privilegiate, e altre meno favorite dal clima. Le prime diventerebbero le più
ricche e prospere se fossimo in grado di utilizzare l’energia dal Sole. Le
regioni tropicali verrebbero riconquistate dalla civiltà, che in questo modo
tornerebbe al suo luogo di origine.”
BIBLIOGRAFIA
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voltaici.htm
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