PARETI VENTILATE E NORMATIVA TECNICA M. Ciampi, F. Leccese, G. Tuoni Dipartimento di Energetica “Lorenzo Poggi” Facoltà di Ingegneria / Università degli Studi di Pisa SOMMARIO Nella realizzazione dell’involucro edilizio le pareti ventilate possono rappresentare una soluzione costruttiva ad elevato risparmio energetico ed ecosostenibile. La normativa nazionale non tratta in modo dettagliato ed organico questo sistema costruttivo innovativo, sebbene vi siano varie norme tecniche di carattere prestazionale sulla classificazione e le caratteristiche dei materiali costruttivi e delle tecniche di assemblaggio e sulla qualità del processo edilizio. Nella presente memoria si descrivono le pareti ventilate, fornendo alcune indicazioni sui materiali più comunemente utilizzati per realizzare i vari strati funzionali. Sono anche riportate e discusse le norme attualmente in vigore relative alla realizzazione pratica di tali pareti nelle loro applicazioni in facciata e copertura. 1. INTRODUZIONE Le pareti ventilate rappresentano oggi un sistema costruttivo innovativo “intelligente” e ad elevato risparmio energetico, largamente utilizzato sia nelle nuove costruzioni (in particolar modo nell’edilizia per il terziario) sia nei casi di recupero edilizio (p.e. in assenza di vincoli di tutela storicoarchitettonica). La presenza di intercapedini d’aria nell’involucro edilizio può, tuttavia, ritrovarsi in tipiche costruzioni del passato per proteggere le murature da avverse condizioni climatiche, separandole dall’ambiente esterno mediante strati di rivestimento opportunamente distanziati e realizzati, ad esempio, con scandole di legno o lastre di ardesia [Torricelli et al., 2001]. Peraltro la successione di strati di materiali diversi per realizzare costruzioni murarie “composite”, con un rivestimento che avesse funzionalità decorative dell’ossatura muraria (p.e. placche marmoree o laterizi in vista), era una pratica comune già nell’architettura romana in fase tardo repubblicana (II-I Sec. a.C.) [Acocella, 2000]. Riferendosi ancora all’architettura romana (primi secoli d.C.), si deve ricordare l’ “heliocaminus” di origine vitruviana, un ipocausto delle aule termali per lo sfruttamento diretto dei raggi solari. Più in generale, la ventilazione di particolari intercapedini d’aria permetteva il raffrescamento passivo degli ambienti ed aveva anche funzione di drenaggio dell’umidità accumulatasi negli strati di muratura che le delimitavano. Si possono citare vari esempi di architettura “regionale” nell’area mediterranea che sfruttano questo tipo di approccio bioclimatico [Gallo, 2001; Nicoletti, 1998]: il “malqaf” egiziano, una sorta di 96 56° Congresso Nazionale ATI presa d’aria in direzione del vento dominante; le “baud geers” iraniane, tradizionali torri acchiappavento risalenti al X sec. e diffuse anche nell’edilizia minore pakistana; il “chebeq” algerino, un pozzo di luce per la climatizzazione e l’illuminazione naturale delle abitazioni della città di Ghandaia; i “covoli” vicentini, un sistema di condotti collegati a cavità sotterranee in alcune ville di Costozza (Longare) costruite nel ‘500 e citate dal Palladio. Negli ultimi decenni facciate e coperture ventilate sono divenuti elementi essenziali di sistemi solari passivi quali il Muro di Trombe-Mitchell o il Sistema Barra-Costantini [Givoni, 1991]. In ogni caso, le pareti ventilate, inserite in particolari sistemi di ventilazione del complesso edificiointercapedine, possono trovare utile impiego: nella stagione invernale, per lo sfruttamento dell’energia solare per il riscaldamento degli edifici [Ciampi e Tuoni, 1995 e 1998]; nella stagione estiva, per ridurre il carico termico dovuto all’insolazione [Bartoli et al., 1997a e 1997b]. In generale, inoltre, mantenere un limitato flusso d’aria nell’intercapedine di ventilazione può migliorare le prestazioni igrometriche della struttura, in particolar modo nella stagione invernale drenando l’eventuale umidità di condensa interstiziale [Gennai et al., 1996]. Il rinnovato interesse verso questo sistema costruttivo è mostrato dalla particolare attenzione che recentemente si va ponendo ai temi della progettazione bioclimatica e dell’architettura sostenibile sulla base delle conclusioni che furono del “Rapporto Brundtland” (1987) poi riprese nella Conferenza mondiale di Rio de Janeiro (1992) e nel Protocollo di Kyoto (1997). In Italia la Conferenza nazionale sull’energia e l’ambiente ha rappresentato una importante occasione di coordinamento e coinvolgimento dei soggetti interessati ed è stata la premessa alla redazione di un “Codice concordato per la qualità energetico-ambientale di edifici e spazi aperti” [ENEA, 1998; Gallo, 2001]. Attualmente le pareti ventilate sono componenti importanti di una progettazione sostenibile tesa ad elevare il livello di comfort termoigrometrico, a ridurre i consumi energetici, a contenere l’impatto ambientale e in grado di esprimere contenuti estetico-formali propri dell’architettura moderna [Gallo, 2001; Grosso, 1997]. Si vedano a questo proposito, a titolo di esempio: il Museo Ebraico di D. Libeskind (Berlino, 1988), il Museo Guggenheim di F.O. Ghery (Bilbao, 1997), la Palazzina Uffici e Direzione per iGuzzini Illuminazione di M. Cucinella (Recanati, 1996). Negli ultimi anni, accanto a numerosi lavori teorici [Agnoletto et al., 1995; Brunello e Peron, 1996; Ciampi e Tuoni, 1998; Ciampi et al., in corso di pubblicazione; Fracastoro et al., 1999; Mootz e Bezian, 1996] sono state anche pubblicate ricerche di carattere sperimentale, in particolare sul monitoraggio di coperture ventilate con il tradizionale manto in tegole di laterizio [Simionato et al., 1999; Stazi et al., 1999; Zannoni, 1996]. Sono stati inoltre studiati gli aspetti fluodinamici delle strutture ventilate e sono stati proposti sofisticati metodi di calcolo che permettono una rappresentazione assai accurata della struttura in esame (p.e. i metodi della Computational Fluid Dynamics [Anderson, 1995]). Tuttavia, l’affidabilità di questi metodi e la sofisticazione dei software applicativi sono spesso vanificate dalle semplificazioni che si rendono necessarie per la costruzione dei modelli di calcolo e dalle imprecisioni con le quali possono stimarsi i parametri di ingresso (p.e. i coefficienti di scambio termico convettivo, i fattori di attrito per l’efflusso dell’aria nell’intercapedine, forma e dimensioni delle aperture di ingresso e uscita dell’aria dall’intercapedine e dei “canali” di ventilazione). Gli stessi autori hanno proposto in un recente lavoro [Ciampi et al., in corso di pubblicazione] un metodo assai semplice, valido per applicazioni progettuali, per valutare il risparmio energetico conseguibile con l’impiego di facciate e coperture ventilate. Nel presente lavoro, dopo aver descritto, nei paragrafi 2 e 3, le pareti ventilate, come soluzione costruttiva conforme nella realizzazione dell’involucro edilizio, fornendo alcune indicazioni sui materiali più comunemente utilizzati per realizzare i vari strati funzionali che le compongono, nel paragrafo 4, sono riportate e discusse le norme attualmente in vigore, con alcuni cenni a quelle estere, relative alla realizzazione pratica di strutture ventilate nelle applicazioni in facciata e copertura. 2. L’INVOLUCRO EDILIZIO In una progettazione energeticamente consapevole dell’edificio occorre attribuire la giusta rilevanza non solo al sistema edificio-impianto ma anche al sistema edificio-ambiente, quindi all’involucro edilizio che da semplice frontiera del sistema diviene una vera e propria “pelle tecnologica”. 97 M. Ciampi, F. Leccese, G. Tuoni Gli elementi costituenti l’involucro, pareti perimetrali verticali e coperture piane o inclinate, dovranno essere realizzati con opportuni materiali da costruzione disposti in una successione di strati atta a mantenere il più possibile costanti le condizioni di comfort termoigrometrico interno a fronte di elevate perturbazioni esterne [Ciampi et al., 1999b], minimizzando l’intervento dell’impianto di climatizzazione [Ciampi et al., 1999a]. Nella progettazione edilizia, in particolare dopo l’entrata in vigore della normativa sul risparmio energetico (Legge 373/76, successivamente Legge 10/91 e norme tecniche collegate), ha assunto notevole rilevanza il dimensionamento dello strato isolante, sia esso costituito da materiali di sintesi o naturali o aria, ed il suo posizionamento in relazione agli strati di muratura [Bartoli et al., 1998; Ciampi et al., 2001; ENEA, 1992]. In una recente analisi statistica l’Ass. Europea dei Produttori di Materiali Isolanti [EURIMA, 1999] ha indicato un notevole incremento degli spessori medi di isolante nelle facciate e nelle coperture degli edifici avvenuto dal 1982 ad oggi (dal 10% in Italia fino al 84% in Svezia), questo in gran parte determinato dall’emanazione di normative nazionali sul risparmio energetico. E’, quindi, facilmente prevedibile che, in futuro, assumeranno sempre maggiore importanza i problemi relativi alla distribuzione di strati di isolamento termico all’interno della parete. In Italia, per esempio, recenti provvedimenti legislativi regionali fissano nuove modalità di calcolo dei parametri urbanistici favorendo l’incremento delle volumetrie edilizie quando siano finalizzate al conseguimento di maggiori livelli di coibentazione termoacustica o di inerzia termica (v. paragrafo 4). Le principali configurazioni di parete usualmente impiegate per realizzare l’involucro edilizio possono ricondursi ai seguenti casi [Leccese, 2000]: isolante disposto sulla faccia esterna della parete, isolamento a cappotto (v. Figura 1a); isolante disposto sulla faccia interna della parete, isolamento a cappotto interno o con controparete (v. Figura 1b); isolante all’interno di un’intercapedine compresa fra due strati di muratura, muro a cassetta o sandwich (v. Figura 1c) o con intercapedine d’aria (v. Figura 2a). Fig. 1a Fig. 1b Fig. 1c Fig. 1 – Più comuni tipi di isolamento termico: “a cappotto” (a), con controparete (b), muro a cassetta (c). 98 56° Congresso Nazionale ATI L’isolamento a cappotto garantisce un corretto comportamento termoigrometrico della parete sia nelle condizioni invernali che estive, ne riduce la fatica termica essendo minore il salto termico medio che essa subisce nell’alternarsi delle stagioni, favorisce l’effetto di volano termico della struttura e consente l’eliminazione dei ponti termici. Tuttavia, tale tipo di isolamento è inapplicabile nei casi, numerosi nel nostro paese, di edifici storici o architettonicamente rilevanti. Una esecuzione a regola d’arte può, inoltre, presentare difficoltà tecniche di realizzazione e costi elevati per la necessità di intervenire con impalcature in facciata, di collocare strati di protezione dagli agenti atmosferici dei pannelli isolanti e di isolare elementi in aggetto (p.e. balconi e grondaie) che sono fra i principali ponti termici dell’edificio. L’isolamento con controparete presenta, rispetto al caso precedente, i vantaggi di mantenere inalterato l’aspetto esteriore delle facciate e ridurre alcuni dei costi di posa in opera. Questo tipo di isolamento è usualmente utilizzato nelle ristrutturazioni di singole unità abitative. Tuttavia, adottando tale isolamento non si eliminano alcuni ponti termici (p.e. pareti verticali/solai) e si riduce l’effetto di volano termico della parete. Inoltre, per evitare la formazione di condensa interstiziale, può essere richiesto l’uso di una barriera al vapore sulla faccia interna della parete. Fig. 2a Fig. 2b Fig. 2 – Schemi di facciata (a) e copertura (b) ventilate. Legenda: A) strato esterno di rivestimento; B) strato di ventilazione; C) sistema di ancoraggio; D) isolante termico; E) strato di regolarizzazione; F) muratura; G) intonaco. L’isolamento in intercapedine viene generalmente impiegato negli edifici nuovi anche se tale disposizione dello strato isolante può realizzarsi, talvolta, nella ristrutturazione di vecchi edifici riempiendo, con opportune schiume isolanti, preesistenti intercapedini d’aria. Nel caso in cui l’intercapedine non sia completamente riempita da materiale isolante e nello spazio resosi così disponibile viene fatta fluire dell’aria, si realizza, di fatto una parete ventilata (v. Figura 2). In questa particolare soluzione costruttiva l’intercapedine separa lo strato di rivestimento (posto verso l’esterno) dalla retrostante struttura muraria (eventualmente con funzione portante). Lo strato di isolamento termico è usualmente posizionato sulla faccia esterna della struttura muraria realizzando così una soluzione “a cappotto”. In questo caso, quindi, sono eliminati gli eventuali ponti termici; inoltre, l’intercapedine d’aria può servire a migliorare le prestazioni energetiche e a correggere errati comportamenti igrometrici dell’involucro edilizio. Le pareti ventilate possono essere utilizzate oltre che nelle nuove costruzioni anche negli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente quando non vi siano vincoli di tutela storicoarchitettonica; interventi, questi ultimi, che rappresentano, nel nostro paese, una parte notevole dell’attività edilizia nel settore delle costruzioni. In questi casi è significativo l’intervento di provvedimenti legislativi atti a favorire aumenti di volume, per esempio con l’applicazione di strati di M. Ciampi, F. Leccese, G. Tuoni 99 rivestimento esterni per realizzare una intercapedine ventilata, quando questi producano un miglioramento del comportamento termoenergetico dell’edificio (v. paragrafo 4). 3. FACCIATE E COPERTURE VENTILATE Le pareti ventilate (facciate e coperture) rappresentano un particolare tipo di struttura multistrato in cui lo strato di rivestimento esterno è fissato alla struttura portante mediante ancoranti metallici e distanziato dalla muratura per realizzare una intercapedine, aperta sull’ambiente esterno con forature opportunamente dimensionate, in cui è fatta fluire dell’aria. La realizzazione in opera mediante le tecniche di installazione caratteristiche delle costruzioni stratificate “a secco”, cosiddette Struttura/Rivestimento [Zambelli, 1998], consente di aggregare i materiali costituenti gli strati funzionali di rivestimento mediante vari tipi di fissaggi meccanici, senza ricorrere alle tradizionali malte cementizie (installazione “a umido”), ottenendo così strutture “a schermo avanzato”. Rilevante interesse nella stratigrafia della parete ventilata (v. Figura 2) assumono lo strato di rivestimento esterno ed il sistema di ancoraggio. Le facciate ventilate possono essere classificate in base alla tipologia (natura, tipo e dimensioni) dei materiali edili utilizzati per il rivestimento esterno ed ai sistemi di fissaggio del rivestimento alla retrostante struttura muraria [Bondielli, 2000]. La stratigrafia delle coperture ventilate è analoga a quella delle facciate, salvo l’inserimento di un manto impermeabilizzante per realizzare uno strato di tenuta all’acqua con funzione di protezione dagli agenti atmosferici. Lo strato di rivestimento, sia nel caso delle facciate ventilate che delle coperture, ha la funzione di delimitare verso l’esterno l’intercapedine e di proteggere la struttura dell’edificio dagli agenti atmosferici oltre, ovviamente, a rappresentare la più adeguata scelta estetico-formale. Fra i sistemi di rivestimento possono distinguersi quelli realizzati con materiali “tradizionali”, fra i quali il legno e la pietra, e quelli realizzati con l’impiego di materiali “innovativi”: alcune leghe metalliche (p.e. l’alluminio, l’acciaio inossidabile, il rame, il titanio), materie plastiche (p.e. laminati ad alta pressione, resine sintetiche termoindurenti) e calcestruzzi (p.e. Portland additivato con tensostabilizzanti, impastati con fibre di vetro, fibrocementi) [Ferrario e Gragato, 2001; Lucchini, 2000a]. Di recente sono stati anche utilizzati materiali tradizionali, ma prodotti e messi in opera in modo del tutto innovativo come la ceramica e il laterizio. Spesso questi materiali sono preassemblati in pannelli di varie dimensioni che vengono fissati meccanicamente alle sottostrutture di ancoraggio e distanziati opportunamente per creare giunti continui di dilatazione. I giunti, funzionalmente necessari per permettere la dilatazione libera delle lastre di rivestimento, causata da escursioni termiche o eventuali assestamenti strutturali, possono essere di tipo chiuso (2÷3 mm) o aperto (6÷7 mm, fino a 1.5 cm). L’adozione di giunti aperti è largamente utilizzata nel caso di facciate di notevole estensione e di lastre di grandi dimensioni, in quanto non richiede una particolare precisione nella posa in opera del sistema. L’utilizzo di un particolare sistema di rivestimento può dipendere, in generale, dalle scelte architettoniche del progettista ma anche dalle caratteristiche geometriche (p.e. dimensioni delle lastre) e fisiche (p.e. peso delle lastre, impermeabilità, durabilità) del materiale impiegato. I rivestimenti lapidei sono utilizzati in soluzioni di facciata anche molto particolari come, ad esempio, nella Dominus Vinery di Herzog & de Meuron (Napa Valley, California, 1998). I requisiti di durabilità ed elevata resistenza meccanica e la possibilità di realizzare elementi piani di spessore ridotto, fino a circa 2 cm, hanno favorito una larga diffusione di questo materiale nei rivestimenti di facciata (si veda, p.e., la documentazione tecnica delle aziende: Bi Marmi di Bisceglie e Stone Italiana di Verona) anche se il suo impiego richiede una accurata disposizione dei sistemi di fissaggio per evitare improvvise rotture delle lastre. Il laterizio è utilizzato in facciata, anche preassemblato in pannelli modulari costituiti da elementi in cotto come negli edifici della Banca Popolare di Lodi di Piano (Lodi, 1999), oppure in copertura, con elementi in tegole di varie forme e dimensioni. L’uso del cotto in facciata peraltro conserva quegli aspetti di tradizione propri del mattone a facciavista così ricorrente in alcune aree geografiche del nostro paese. Anche in questo caso la possibilità di produrre elementi leggeri (p.e. 100 56° Congresso Nazionale ATI miscelati ad argille espanse o fibre di vetro) e di spessore ridotto, fino a circa 1.5 cm, ne ha favorito il diffuso impiego per realizzare lo strato esterno di rivestimento di pareti a schermo avanzato (si veda, p.e., la documentazione tecnica delle aziende: ilPalagio di Firenze, RDB di Piacenza, Sannini di Impruneta). Nell’esempio citato (v. Figura 3) l’architetto Renzo Piano prosegue e perfeziona una sperimentazione dell’uso del cotto in facciata, già impiegato negli edifici per le Colombiadi (Genova, 1992), nella sede dell’IRCAM (Parigi, 1990) e negli edifici della Postdammer Platz (Berlino, 1999). Nel caso della Banca Popolare di Lodi [Morganti , 2000] il rivestimento esterno è realizzato in pannelli composti, ciascuno, da quattro mattonelle in cotto scanalate sulla faccia esterna e con uno spessore di circa 4.0 cm (v. Fig. 3a). I pannelli, preassemblati in officina fissando le mattonelle ad un opportuno controtelaio, sono ancorati alla struttura dell’edificio mediante un complesso sistema di sospensione, costituito da componenti metallici in acciaio inossidabile. In Figura 3b è riportato un dettaglio della facciata in prossimità dell’apertura di uscita dell’aria dall’intercapedine, si noti l’originale elemento di gronda realizzato in vetro stratificato e temprato. Fig. 3a Fig. 3b Fig. 3 – Facciata ventilata della Banca Popolare di Lodi di R. Piano (Lodi, 1999): particolare di una mattonella e della relativa sottostruttura di aggancio (a); particolare in prossimità dell’apertura di uscita dell’aria dall’intercapedine e soluzione di copertura (b). Rivestimenti parietali con piastrelle ceramiche possono essere realizzati con grès porcellanato monocottura, usualmente designato “per le pavimentazioni esterne” considerati gli elevati valori di resistenza meccanica di questo materiale (si veda, p.e., la documentazione tecnica delle aziende: Floor Gres Ceramiche di Modena, Graniti Fiandre di Reggio Emilia e Marazzi Ceramiche di Sassuolo). L’impiego di piastrelle modulari in ceramica smaltata di colore bianco è ricorrente, ad esempio, nelle architetture di Meier, si veda fra tutte la Sede Centrale di Canal+ (Parigi, 1992). Nel caso di rivestimenti in calcestruzzo o fibrocemento esso può essere impiegato sia nelle soluzioni di facciata in pannelli modulari che nelle soluzioni di copertura in lastre piane o nervate (si veda, p.e., la documentazione tecnica delle aziende: Valdata di Milano e Knauf di Treviso). Moderne tecniche di produzione di questo materiale (p.e. l’autoclavatura) ha reso possibile realizzare lastre e pannelli di spessore anche di pochi millimetri (comunque non superiore ai 6 cm) e peso ridotto per l’alleggerimento in pasta con materiali di sintesi (p.e. polistirene) o fibre di vetro. L’impiego di rivestimenti metallici, in lastre di particolari forme e dimensioni, è una tendenza sempre più diffusa, si pensi agli esempi già citati del Museo Ebraico di Libeskind (Berlino, 1988) e del Museo Guggenheim di Ghery (Bilbao, 1997). Ovviamente l’uso di questi materiali è stato preso in prestito da altri settori industriali, primo fra tutti quello aeronautico. I materiali più utilizzati sono M. Ciampi, F. Leccese, G. Tuoni 101 l’alluminio, l’acciaio galvanizzato e laccato, l’acciaio inossidabile, alcune leghe di bronzo, lo zinco, il rame, il titanio, per applicazioni sia in facciata che in copertura (si veda, p.e., la documentazione tecnica delle aziende: Europa Metalli Tecu di Milano e Rheinzink Italia di Verona). In generale il materiale preferito, soprattutto per l’elevata resistenza alla corrosione che garantisce una maggiore durabilità, è l’acciaio zincato a caldo o inossidabile, nella designazione AISI 316L; materiale, quest’ultimo, suggerito anche dai codici di pratica per realizzare le orditure metalliche che compongono la sottostruttura di ancoraggio del rivestimento alla struttura portante (si veda, p.e., la documentazione tecnica delle aziende: Aliva di Forlì e Halfen Orobia di Bergamo). Nel caso delle coperture, il manto, sia esso di carattere discontinuo (elementi posti in opera singolarmente, p.e. tegole in laterizio) o continuo (lamiere in rotoli o fogli di materiale sintetico, p.e. manti bituminosi), è realizzato con gli stessi materiali costituenti il rivestimento delle facciate in elementi opportunamente conformati, tegole o lastre di varie dimensioni (p.e. tegole in laterizio, calcestruzzo o fibrocemento, lastre metalliche in alluminio, acciaio o zinco) [Lucchini, 2000b]. I sistemi di ancoraggio dello strato più esterno di rivestimento alla struttura muraria dell’edificio si distinguono fra quelli di tipo puntuale (sistema isostatico) e quelli di tipo diffuso (sistema iperstatico); in entrambi i casi i sistemi di aggancio possono essere a vista o a scomparsa. Nel caso puntuale (o local fixing) le lastre di rivestimento sono ancorate alla sottostruttura con un numero minimo di fissaggi sufficiente a garantire la loro stabilità statica. Generalmente si dispongono quattro perni metallici (p.e. tasselli ad espansione o chimici) ai vertici delle lastre. Questo sistema è largamente diffuso essendo economicamente vantaggioso in particolare per lastre di rivestimento di medio e grande formato e per spessori dell’intercapedine d’aria non superiori a 10 cm, sebbene i tasselli di fissaggio possano costituire eventuali ponti termici dell’involucro edilizio. Nel caso diffuso (o spead fixing) il sistema di fissaggio è continuo e costituito da profilati che realizzano una vera e propria orditura metallica retrostante lo strato di rivestimento. In questo caso ad una orditura primaria verticale, fissata alla struttura muraria, si collega una orditura secondaria orizzontale alla quale sono ancorate le lastre di rivestimento con opportune staffe (elementi puntuali) o profili (elementi continui) ancorati al lato interno delle lastre con vari sistemi (p.e. fori, slot, perni, inserti metallici). La scelta di un particolare sistema di fissaggio potrà dipendere da aspetti economico-progettuali connessi con la manutenibilità dell’edificio (p.e. sostituzione delle lastre) e da aspetti tecnico-costruttivi (p.e. caratteristiche dei materiali di rivestimento, entità dei carichi applicati). Il sistema di fissaggio può influenzare in maniera non trascurabile, ma di difficile e incerta valutazione, le perdite di carico per attrito fluidodinamico nell’intercapedine. Nel caso delle coperture lo strato di rivestimento esterno è fissato allo strato portante (generalmente un solaio in calcestruzzo o in laterocemento, piano o variamente inclinato a seconda delle zone climatiche del paese) mediante ancoranti metallici (p.e. chiodi o viti), orditure in profilati metallici o travetti in legno oppure con particolari sistemi costituiti da elementi plastici opportunamente conformati [Lucchini, 2000b; Zannoni, 1996]. Lo strato di ventilazione contribuisce al controllo delle caratteristiche igrotermiche della parete. La ventilazione dell’intercapedine può essere forzata, mediante l’impiego di uno o più elettroventilatori di piccola potenza, o naturale, provocata da differenze di densità dovute a differenze di temperatura (effetto camino), quest’ultima essendo di gran lunga la più diffusa. La successione degli strati funzionali, prevede che lo strato di ventilazione sia localizzato esternamente allo strato termoisolante ed all’interno dello strato di tenuta all’acqua, realizzando, come si è detto, un isolamento di tipo “a cappotto” (v. paragrafo 2). Lo spessore dell’intercapedine d’aria può essere determinato da considerazioni fisico-tecniche di carattere energetico e da considerazioni architettonico-costruttive in base alla scelta dei materiali impiegati per realizzare lo strato di rivestimento esterno ed i sistemi di ancoraggio, nonché da condizioni ambientali e di esercizio. Esso è generalmente compreso tra 5 e 15 cm, anche se in letteratura per gli spessori ottimali possono trovarsi dati discordanti [Bondielli, 2000; Lucchini, 2000a e 2000b]. Lo spessore dello strato di isolamento termico dipenderà invece dalla trasmittanza termica dell’involucro e sarà condizionato dall’applicazione dei provvedimenti legislativi vigenti in tema di risparmio energetico. Facendo riferimento al già citato studio dell’EURIMA (v. paragrafo 2) nella situazione italiana si possono considerare spessori medi di isolante di circa 5 cm. Pertanto, in condizioni medie, considerando per l’intercapedine uno spessore di 10 cm, per lo strato isolante uno 102 56° Congresso Nazionale ATI spessore di 5 cm e per lo strato di rivestimento uno spessore variabile da pochi millimetri (rivestimento metallico) a circa 6 cm (rivestimento in laterizio), si può ritenere che l’impiego di pareti ventilate comporti maggiori spessori murari di circa 15÷20 cm (v. paragrafo 4). Nel caso di piccoli spessori l’intercapedine d’aria è detta strato di microventilazione; lo strato di microventilazione è spesso presente nelle coperture ed è generalmente realizzato mediate particolari elementi sagomati in materiale termoisolante che svolgono anche il compito di strato di supporto e di isolante termico. Studi recenti sull’argomento [Brunello e Peron, 1996; Ciampi et al., in corso di pubblicazione; Fracastoro et al., 1997; Torricelli, 2000; Zannoni, 1996] hanno evidenziato come l’utilizzo di pareti ventilate, opportunamente progettate, possa consentire un risparmio energetico, nella stagione estiva, anche superiore al 40%. Peraltro, nella stagione invernale, le condizioni climatiche esterne (basse temperature e ridotto irraggiamento solare) riducono il flusso d’aria fluente nell’intercapedine per effetto camino così da non rendere necessaria la chiusura delle serrande delle aperture di ingresso ed uscita dell’aria. Il risparmio energetico conseguibile con l’impiego di pareti ventilate dipenderà in generale da fattori ambientali (sito e condizioni climatiche), geometrici e dalle caratteristiche costruttive della parete. Negli studi citati si evidenzia come, nel caso di ventilazione naturale, le velocità (generalmente comprese fra 0.4 m/s e 1.2 m/s) e quindi le portate d’aria di ventilazione dipendano notevolmente dallo spessore dell’intercapedine e dallo sviluppo in altezza. Nel caso di coperture, dall’inclinazione e dalla lunghezza delle falde. L’efflusso d’aria nell’intercapedine dipenderà anche dalle perdite di carico, dovute ai sistemi di ancoraggio e alla presenza di aperture in facciata (finestre) e in copertura (lucernari), e dalla velocità del vento in prossimità delle aperture di presa e di scarico dell’aria [Brinkworth et al., 2000]. 4. NORMATIVA TECNICA La normativa nazionale non tratta dettagliatamente ed in modo organico il sistema costruttivo rappresentato dalle pareti ventilate; esistono tuttavia numerose norme tecniche sulla classificazione e le caratteristiche dei materiali utilizzati per realizzare lo strato di rivestimento esterno e sui sistemi di fissaggio meccanico utilizzati per ancorare lo strato esterno alla struttura portante [Lucchini, 2000a e 2000b; Piazza, 2000]. A queste si aggiungono norme “complementari” in tema di progettazione (legge Merloni), sicurezza delle costruzioni (progettazione strutturale e antisismica), risparmio energetico (legge 10/91), requisiti fisico-tecnici ambientali (acustici ed illuminotecnici) e qualità del processo edilizio. Per i materiali da costruzione costituenti i vari strati della parete si può fare riferimento alle norme tecniche di prodotto che ne descrivono le caratteristiche geometriche e fisiche, i metodi di prova e i criteri di accettazione. Per brevità si rimanda alle pubblicazioni dei vari enti normatori (p.e. ASTM, BS, CSTB, DIN, UNI) ed alla manualistica della letteratura specializzata. Trattandosi anche di materiali innovativi o tradizionali ma posti in opera in modo innovativo, in certi casi le norme tecniche sono in fase di studio o inchiesta pubblica (p.e. per la determinazione di certe caratteristiche fisicomeccaniche di prodotti lapidei, lastre in fibrocemento e lastre metalliche). Fra le principali norme sulla classificazione e i criteri di accettazione del prodotto possono citarsi, a titolo di esempio, per i materiali lapidei le norme [UNI 8458, 1983; UNI 9725, 1990] e per i rivestimenti ceramici le norme [UNI EN 87, 1992; UNI EN 163, 1992]. Si ricordi poi la norma [UNI 9811, 1991] sugli ancoranti metallici ad espansione e la direttiva [ICITE, 1992] sui tasselli di fissaggio. Attualmente è in fase di pubblicazione un progetto di norma italiana sulla progettazione, l’esecuzione e la manutenzione dei sistemi di ancoraggio dei rivestimenti di facciata a montaggio meccanico [UNI U32.04.15.30, 2000] che si affianca, nel panorama europeo, ad analoghe guide progettuali dei principali enti normatori nazionali e di enti internazionali. Nell’ambito della normativa internazionale sembra opportuno ricordare le norme [ASTM C1242 e C1354, 1996; BS 8298, 1994; CSTB, 1999; DIN 18516/3, 1990] contenenti linee guida per la progettazione e l’installazione di pareti ventilate, corredate di esempi e dettagli tecnici. Occorre precisare tuttavia che, fatta eccezione per la norma francese [CSTB, 1999] sulle regole generali per i M. Ciampi, F. Leccese, G. Tuoni 103 sistemi di facciata leggeri, tutte le altre trattano soltanto il caso dei rivestimenti lapidei e dei relativi sistemi di ancoraggio. Le pareti ventilate, in genere le pareti a schermo avanzato, possono essere definite leggere per i pesi ridotti dei materiali che costituiscono lo strato esterno di rivestimento: piastrelle ceramiche 30÷35 kg/m2, lastre in calcestruzzo o fibrocemento 20÷90 kg/m2 (compreso il peso della sottostruttura di ancoraggio), rivestimenti metallici da 2÷3 kg/m2 fino a circa 30 kg/m2. Le abitazioni leggere e le facciate leggere, anche ventilate, furono definite dall’Unione Europea per l’Agrément tecnico delle costruzioni (UEAtc) alla fine degli anni sessanta [ICITE-CNR, 1965 e 1968]. Nelle Direttive citate si definiscono leggere quelle facciate realizzate con materiali che abbiano peso inferiore a 100 kg/m2 quali, p.e.: metalli, materie vetrose, fibrose, plastiche, completamente diversi dai tradizionali materiali edili impiegati per realizzare murature (laterizio e calcestruzzo). Le abitazioni sono allora definite leggere quando le parti costituenti, in particolare facciate e coperture, sono prevalentemente realizzate con materiali leggeri. La parete ventilata è indicata nella normativa tecnica nazionale come una possibile soluzione costruttiva conforme per la realizzazione delle pareti perimetrali verticali degli edifici caratterizzate dalla presenza di uno strato di ventilazione [UNI 7959, 1988; UNI 8979, 1987]. Nel caso delle coperture fra le soluzioni conformi sono previste, nella normativa tecnica e nei codici di pratica per la progettazione, opportuni strati di ventilazione o microventilazione sottotegola [UNI 8178, 1980; UNI 8627, 1984]. In questo caso occorre fare riferimento ai codici di pratica per la progettazione e l’esecuzione di coperture discontinue realizzati dall’Ente normatore nazionale [UNI 9460, 1989; UNI 10372, 1994] con valore di normativa tecnica prestazionale. In una recente revisione della UNI 9460/89 [UNI U32.03.51.10, 1999] è puntualmente descritta la realizzazione dello strato di ventilazione e dello strato di isolamento termico. In particolare per pendenze di 30-35% e lunghezze di falda di circa 7 m, usuali nella situazione italiana, lo spessore minimo da adottare per intercapedini “efficaci nella riduzione del flusso termico in clima estivo” sono dell’ordine di 6 cm netti al di sotto della listellatura di fissaggio (nel caso in cui l’intercapedine sia in comunicazione con la listellatura). In generale, lo spessore dell’intercapedine non deve essere inferiore a 4 cm, altrimenti si passa al caso della microventilazione. Il progetto di norma stabilisce che l’intercapedine deve essere priva di listellature o altri ostacoli trasversali al flusso d’aria ed essere provvista di adeguate sezioni di ingresso e uscita per garantire un continuo ricambio d’aria, la norma suggerisce aperture maggiori o uguali a 400 cm2 per ogni metro lineare della copertura. In particolare, per quanto riguarda la resistenza termica di pareti e coperture ventilate, una recente norma internazionale [UNI EN ISO 6946, 1999] fornisce utili indicazioni di carattere progettuale nei vari casi in cui l’intercapedine risulti non ventilata (chiusa), debolmente ventilata e fortemente ventilata. L’intercapedine si considera non ventilata quando le aperture verso l’ambiente esterno non sono disposte in modo tale da permettere l’instaurarsi di un flusso d’aria attraverso l’intercapedine stessa e la loro superficie non sia superiore a 500 mm2 per metro di lunghezza (intercapedine verticale) o 500 mm2 per metro quadrato di superficie (intercapedine orizzontale). Per debolmente ventilata si intende una intercapedine con aperture comprese tra 500 mm2 e 1500 mm2 per metro di lunghezza (intercapedine verticale) o per metro quadrato di superficie (intercapedine orizzontale). Infine sono fortemente ventilate quelle intercapedini che presentano aperture con superfici superiori a 1500 mm2. Recenti provvedimenti legislativi regionali [Regione Lombardia, 1995; Regione Veneto, 1996; Regione Puglia, 1998; Regione Basilicata, 2000; Regione Umbria, 2000] favoriscono incrementi volumetrici, nei casi di nuove costruzioni o di recupero edilizio (esclusa la manutenzione ordinaria), se questi contribuiscono “al miglioramento dei livelli di coibentazione termica, acustica o di inerzia termica”, si pensi ad un eventuale isolamento “a cappotto” dell’edificio o all’applicazione di strati di rivestimento esterni per realizzare una intercapedine ventilata. Per esempio nella recentissima legge regionale [Regione Umbria, 2000], sono ammessi extra spessori murari fino a 30 cm eccedenti i 30 cm di spessore “al finito” delle pareti esterne non computabili ai fini del calcolo della volumetria urbanistica e della superficie coperta, qualora le soluzioni adottate contribuiscano “al miglioramento del comfort ambientale degli edifici, al risparmio energetico ed alla riduzione delle emissioni inquinanti nell’ambiente”. La sezione muraria, nel caso di pareti ventilate, può includere intercapedini d’aria con uno spessore massimo ammissibile di 20 cm, purché vengano dimostrate, con una specifica 104 56° Congresso Nazionale ATI relazione redatta da un tecnico competente, le finalità e le funzionalità di questa soluzione. Si osservi che, rispetto agli altri, quello della Regione Umbria è l’unico provvedimento legislativo a citare espressamente le pareti ventilate e ad ammettere extra spessori murari di 30 cm, tutti gli altri ammettono extra spessori massimi di 25 cm (v. paragrafo 3). Un prossimo decreto (attualmente in fase di pubblicazione), attuativo dell’art.4, comma 1, della Legge 10/91, dovrebbe prevedere un’analoga agevolazione limitatamente alle pareti esterne ed ai casi di nuova edificazione o ristrutturazione (sono escluse la manutenzione ordinaria e straordinaria e gli interventi di restauro e risanamento conservativo). In tale decreto, tra l’altro, per tenere conto degli effetti di inerzia termica, viene introdotta la massa per unità di area frontale, Mfr, definita come la massa della porzione di parete interna allo strato isolante; nel caso di strutture omogenee la Mfr viene assunta pari alla metà della massa totale. Pertanto, in fase di ristrutturazione, l’applicazione ad una parete preesistente di tipo tradizionale, non isolata termicamente, di uno strato di ventilazione con relativo isolante in aderenza alla parete, comporta un notevole incremento del valore di Mfr. 5. CONCLUSIONI In una progettazione energeticamente consapevole ed ecosostenibile assume particolare rilevanza l’involucro edilizio concepito non più come elemento separatore ma come una “pelle” tecnologicamente avanzata dell’edificio. Nella realizzazione dell’involucro le pareti ventilate possono rappresentare una soluzione “intelligente” e ad elevato risparmio energetico sia nei casi di nuova costruzione che in quei casi, sempre più numerosi nel nostro paese, di recupero edilizio o di restauro architettonico in assenza di vincoli di tutela storico-architettonica. Sono state descritte in dettaglio le pareti ventilate, sia nella applicazione in facciata sia in copertura, fornendo indicazioni sui materiali, sui sistemi di fissaggio e sulle tecniche costruttive per realizzare i vari strati funzionali che le compongono. Sebbene la normativa nazionale non tratti dettagliatamente ed in modo organico le pareti ventilate, sono state esaminate le norme tecniche prestazionali ed i provvedimenti legislativi in vigore sull’argomento, tra i quali alcune norme regionali di recentissima approvazione. Questo lavoro è stato sviluppato nell'ambito del Programma di Ricerca Scientifica di Interesse Nazionale: "Sviluppo di algoritmi di base per modelli dinamici di sistemi edificio-impianto per tipologie edilizie mediterranee", cofinanziato dal MURST nell'anno 2000. Riferimenti bibliografici A. Acocella. Stratigrafia parietale. Materia. 31, 10-21. Milano: Ed. Motta, 2000. L. Agnoletto, G. Cortella, M. Manzan. 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