The 1 Threshold The Threshold Soggetto di Daniele Cosci e Alessio Liguori La morte ci aveva aspettato a lungo, con calma e pazienza. Aveva posato le sue mani sulle nostre spalle in attesa che la fine arrivasse, in attesa che le fiamme bruciassero i nostri corpi riducendoli in cenere. Eravamo accusati di stregoneria, colpevoli di aver curato una malattia inguaribile su un bambino di tre anni, figlio di un proprietario terriero finito in miseria e perseguitato da giorni dalle guardie del Re. Lo avevano avvelenato, fu questo il modo per fargliela pagare. Io, mia moglie Clara, mia figlia Doina, i due gemelli Loin, il giovane Red e il saggio Ronin saremmo finiti al rogo di fronte alla folla acclamante, ma riuscimmo a scappare. Fuggimmo oltre il bosco camminando giorno e notte, il più lontano possibile dalle mura della città. Solo Red non ce la fece. Si sacrificò per tutti noi depistando le tracce e prendendo un’altra strada. Disse che ci avrebbe raggiunto, invece non lo vedemmo più tornare, catturato dalle guardie o disperso in chissà quale direzione. Loira, la sua ragazza, una dei gemelli, soffrì più di tutti questa perdita, ma non si arrese mai, convinta che in un modo o nell’altro Red fosse vivo da qualche parte e che prima o poi si sarebbero ricongiunti. Nessuno si era mai allontanato così tanto nella foresta, ma era la nostra unica via di fuga se volevamo sopravvivere. Più ci allontanavamo dalla città e più la vegetazione s’infittiva rendendo l’ambiente oscuro e minaccioso. Non c’era più traccia di niente, ne’ di umano, ne’ di animale. Camminammo per sette giorni cibandoci di bacche e bevendo acqua in 2 qualche ruscello trovato lungo il percorso fino a quando la stanchezza prese il sopravvento. La prima avvisaglia avvenne quella stessa notte. Mi svegliai di colpo e vidi Nice, uno dei gemelli, in piedi, lo sguardo immobile verso l’oscurità del bosco. Era come incantato e dalla sua bocca uscì solo una frase insensata: “Un angelo! Era un angelo!”. Sua sorella Loira propose di tornare indietro e Ronin appoggiò la proposta mettendoci in guardia dalle strane storie che si narravano su quel posto. Riuscii a dissuadere entrambi da quell’idea, sicuro che prima o poi quel bosco sarebbe finito e avremmo trovato qualcosa. E così fu. Il giorno seguente riprendemmo il cammino e quando il sole fu ormai alto nel cielo, ci trovammo di fronte a una costruzione mai vista prima. All’apparenza era semplice, ma nessuno di noi riuscì a spiegarne l’utilità. Un palo solido, alto sugli otto metri e costruito con un materiale sconosciuto, era piantato a terra e sulla cima erano attaccati dei fili che continuavano lungo il bosco fino a collegarsi a un altro palo identico al precedente. Senza pensarci troppo li seguimmo, sicuri che, trattandosi di una costruzione umana, ci avrebbero portato da qualche parte. L’intuizione fu giusta, ma il luogo dove arrivammo a tarda sera era qualcosa di anomale che ci lasciò tutti sbalorditi. Si trattava di una struttura enorme, ma niente che facesse pensare a un castello o a una casa. L’edificio si ergeva al centro di una radura, era completamente di colore grigio, con alcune scale che portavano chissà dove e grandi finestre dai vetri infranti. Non c’era traccia di anima viva e tutto sembrava abbandonato ormai da tempo. Strane scritte erano sistemate ovunque, ma nessuno, nemmeno Ronin, seppe tradurre il loro significato. L’interno era pieno di strani macchinari coperti di polvere dai quali si desumeva la raffinatezza di quella tecnologia abbandonata per chissà quali motivi. 3 Perlustrammo gran parte della costruzione, camminando lungo i corridoi e le varie stanze e fu proprio in una di esse che trovammo l’unico essere umano. La stanza era chiusa a chiave ed era posizionata nella parte più alta dell’edificio. Riuscii ad aprirla con un calcio e una volta dentro trovammo quello che non avremmo mai voluto trovare: lo scheletro consumato di un uomo penzolava dal soffitto, intorno al collo aveva una corda ben stretta. La stanza era cosparsa di fogli ingialliti dal tempo riempiti dalle solite scritte incomprensibili. Ronin ne prese alcuni, curioso di decifrare quella scrittura e sapere qualcosa di più su quel luogo. Tornammo all’entrata dell’edificio, nella grande sala al piano terra e visto il diluvio che iniziò ad abbattersi, decidemmo di pernottare lì, al coperto. Dopo otto giorni di stenti e ripari provvisori, ci meritavamo un tetto sopra la testa. Il giorno dopo avremmo ripreso il cammino certi che di lì a poco avremmo trovato un villaggio. Fu l’ultimo pensiero positivo che ebbi. Mi svegliai nella notte mentre tutti stavano dormendo, compreso mio padre Ober. Fuori ancora pioveva. Alzai la testa per guardarmi attorno, dopodiché’, presa dalla necessità, mi allontanai per fare pipì. Stavo per accovacciarmi dietro uno dei grossi macchinari, ma non feci in tempo ad abbassarmi che dall’oscurità vidi arrivare un sassolino vicino alle gambe. Qualcuno me lo aveva lanciato, ma non riuscivo a vedere chi fosse. Feci alcune domande senza ricevere risposta e dopo poco, un altro sassolino arrivò tra le mie gambe seguito da una risata bambinesca. Subito dopo la mano di una bambina uscì fuori dall’oscurità protendendosi verso di me. Non so per quale motivo, ma la afferrai seguendola. Non riuscivo a vedere il suo viso, era bionda, i capelli lunghi e indossava una specie di grembiule azzurro. 4 Attraversai i lunghi corridoi dell’edificio senza sapere dove mi stesse portando, ero come ipnotizzata, incantata. Quella bambina conosceva a memoria il posto e non potevo che fidarmi. Scendemmo verso il basso, nei sotterranei, fino a entrare all’interno di una grande porta di ferro e scomparire. Il mattino seguente la tempesta era passata. Fui il primo a svegliarmi e il primo a scoprire che Doina non c’era più. Svanita nel nulla. Allarmai anche gli altri e iniziammo subito le ricerche, ma di Doina non c’era più traccia. Scoppiò il panico, tra i pianti di mia moglie e le continue lamentele dei gemelli Loin riuscii con fatica a rimanere concentrato e consapevole sul da farsi. La ragazza poteva essersi allontanata nel bosco, aver perso l’orientamento o semplicemente era ancora dentro quell’enorme edificio intrappolata lungo i suoi corridoi. Avremmo solo dovuto cercare con più attenzione. Loira continuava a ripetere di voler tornare indietro mentre Nice, ancora sotto shock dalla visione della notte precedente, rimase in silenzio. Riuscii a dissuaderli dicendogli che non potevano attraversare di nuovo tutta la foresta, si sarebbero persi e anche se fossero tornati in città, avrebbero trovato solo la morte ad aspettarli. Nel frattempo il vecchio Ronin, intento nei suoi studi, non riuscì a tradurre quella scrittura fatta di strani segni. Lo lasciammo da solo nella grande sala, se Doina fosse tornata, avrebbe trovato lui ad attenderla. Noi nel frattempo ci spostammo nel bosco e dopo precise indicazioni, ognuno prese una direzione alla ricerca della ragazza. Non sarei voluta entrare da sola nella foresta, ma per Doina avrei fatto questo e altro. Era la nostra unica figlia, aveva solo tredici anni e costi quel che costi, alla fine l’avrei trovata. 5 Mi addentrai nella foresta urlando a squarciagola il suo nome, ma non ottenni mai una risposta. Dopo poco giunsi in un piccolo spazio sgombro dalla vegetazione. Chiamai Doina ancora più forte, ma fu proprio in quell’istante che sentii un fruscio alle mie spalle. Dietro di me c’era qualcuno. Mi voltai rapidamente e con la coda dell’occhio notai un essere alto circa due metri, vestito di bianco, nascosto dietro un cespuglio. Restai immobile, chiesi chi fosse, ma non ricevendo alcuna risposta, scappai più veloce che potevo. Sentivo i suoi passi alle mie spalle, credevo di non farcela. Caddi per terra sbattendo un ginocchio, ma ripresi subito a correre fino a quando, inaspettatamente, mi scontrai contro il petto di Nice. L’essere dietro di me non c’era più. Dopo alcuni secondi arrivarono anche Ober e Loira. Non credevo a quello che aveva visto mia moglie, sicuramente la sua visione era frutto della stanchezza e della disperazione. La lasciai alle cure di Ronin e ai suoi preziosi unguenti mentre io e i gemelli discutemmo sull’accaduto. Nice continuava a ripetere che lui e Clara avevano visto la stessa cosa, mentre io rimanevo con i piedi per terra. Se c’era qualcuno, perché’ non doveva farsi vedere? Se si trattava di uno spirito dei boschi, maligno o benigno che fosse, perché’ avrebbe dovuto farci del male? Quella sera stessa, prima di coricarsi, recitammo insieme una lunga preghiera affinché’ chiunque fosse, ci lasciasse in pace e riportasse Doina indietro. Era una preghiera molto antica, che in pochi conoscevano e solo chi era fedele alla religione della natura e chi vedeva lei come unica entità superiore, poteva apprendere. Ci chiamavano stregoni, figli del demonio, ma in realtà quello in cui credevamo era la cosa più pura che esistesse. 6 Dopo aver pregato, Ronin iniziò a raccontare una storia. Disse che, secondo i racconti sentiti e ascoltati in quegli anni, solo una persona era riuscita a tornare viva dal bosco, si chiamava Eleidan. Abitava in un villaggio vicino al nostro, insieme a sua figlia e la moglie. Era un brav’uomo, un commerciante rispettato da tutti e ben voluto, caduto in miseria dopo un grosso affare finito male. Si ritrovò da un giorno all’altro senza una casa e un lavoro. Iniziò a bere, a oziare fino a quando, un giorno, in preda ai fumi dell’alcool, si allontanò nel bosco. La moglie e la figlia lo seguirono cercando di farlo ragionare, ma non fecero mai ritorno. Solo Eleidan tornò dopo qualche ora, ma non era più la persona di prima e nemmeno si poté’ dire che fosse ubriaco. Aveva lo sguardo vuoto, assente, di chi ha visto qualcosa di scioccante. Non era una leggenda come molti credevano, io ero presente in quel villaggio il giorno che tornò. Avevo cinque anni ed ero lì con mio nonno. Non ricordo bene il motivo per cui mi trovassi lì, ricordo solo il momento in cui quell’uomo arrivò nella piazza sotto lo sguardo attonito di tutti. Quell’immagine era vivida nella mia mente come non era mai successo prima. Eleidan fu torturato e infine condannato a morte, colpevole per aver ucciso la moglie e la figlia. I loro corpi però non furono mai trovati e lui non raccontò mai quello che accadde veramente. Quel ricordo mi terrorizzò a morte, pensai che ora eravamo noi le prede di quello stesso bosco e potevamo essere certi di tutto tranne di quello che ci sarebbe accaduto. Ober, al contrario, sorrise alla mia confessione. Secondo lui non c’era niente di strano in tutta quella storia, convinto come tanti altri che quell’uomo non fosse altro che un ubriacone fallito. Ne scaturì una lunga discussione che coinvolse ognuno di noi, ognuno con il proprio parere e i propri pensieri, dopodiché’ ci coricammo e decidemmo che a turno, ognuno di noi, avrebbe fatto la guardia rimanendo sveglio. Nonostante 7 l’insistenza di Ober, decisi che sarei stata io la prima. Clara aveva pianto fino a pochi attimi prima e solo lui poteva starle vicino e confortarla. Accesi un piccolo falò all’entrata dell’edificio, in modo da poter controllare sia la sala dove gli altri dormivano sia l’esterno. Per un lungo periodo non accadde nulla, rimasi a fissare il cielo stellato sopra la mia testa e pensai a Red. Chissà dove era in quel momento e cosa stava facendo. C’eravamo promessi amore eterno e l’istinto mi diceva che da qualunque parte fosse stava tornando a prendermi. Con un ramoscello scrissi il suo nome sul terreno, ma fu proprio in quel frangente che sentii il rumore di un ramo spezzarsi provenire dal bosco. Chiesi se vi fosse qualcuno, forse era Doina, magari era proprio Red, ma non ottenni risposta. Mi avvicinai alla soglia del bosco facendo luce con un ramo infuocato. Chiunque ci fosse dall’altra parte si stava spostando a destra e a sinistra rapidamente. Cercavo di muovermi con la stessa velocità sperando di illuminarlo, ma sembrava impossibile seguirlo. Riuscivo solo a vedere i cespugli che si muovevano, nient’altro. Mi spostai ancora un paio di volte. Dentro di me si fecero vivi un nervosismo e una paura crescenti. I movimenti che facevo erano ormai automatici tanto che, quando mi spostai per l’ultima volta, non avrei mai pensato di trovarmelo di fronte. A circa cinque metri di distanza c’era un uomo alto, vestito completamente di bianco, con un cappuccio in testa e il volto abbassato. Lo vidi di sfuggita. Gettai il ramo per terra e corsi verso l’edificio. Una volta entrata svegliai Ober e tutti gli altri, ma con stupore notai che mio fratello non c’era più. Il suo giaciglio era spoglio. Eppure qualche minuto prima era lì, insieme agli altri! In preda al panico non seppi più cosa fare. Iniziai a urlare, nemmeno le parole di Ober riuscirono a calmarmi. Corsi fuori alla ricerca di Nice, sicuramente era uscito sentendo che mi trovavo in pericolo, tra di noi c’era sempre stato questo particolare legame telepatico. 8 Ober e Clara mi seguirono invitandomi alla calma, ma appena oltrepassammo la grande porta d’ingresso udimmo un forte rumore alle nostre spalle, un rumore sordo, di qualcosa che si schiantò a terra. Ci voltammo e davanti a noi c’era mio fratello, si era buttato dal piano superiore o qualcuno lo aveva spinto. Aveva diverse ossa rotte e il volto sanguinante. Mi abbassai per soccorrerlo, ma ormai c’era poco da fare. Non aveva nemmeno la forza di parlare, l’ultima parola che disse fu “Doina”, poi chiuse gli occhi per sempre. Lo seppellimmo il giorno seguente, con un rito celebrato da Ronin. La situazione si stava aggravando ogni ora che passava. Loira continuava a ripetere di volersene andare, anche lei aveva visto la stessa cosa di mia moglie e secondo la sua opinione, chiunque fosse, non ci voleva in quel posto. D’altro canto ero sicuro che mia figlia fosse ancora lì e la conferma l’avevo avuta da Nice. Se l’ultima parola che aveva detto era il suo nome, significava che l’aveva vista e che era da qualche parte in quella costruzione. Arrivammo a un accordo. Visto il problema che si era presentato e la scarsità di cibo, se entro il giorno seguente non avessimo trovato la ragazza, Clara, Ronin e Loira se ne sarebbero andati. Io sarei rimasto li ancora per un po’ fino a quando non l’avrei trovata, viva o morta. Ci mettemmo subito alla ricerca, setacciando ogni stanza e ogni corridoio. Lasciammo Ronin ai suoi studi. Quella scrittura per lui era ormai diventata un’ossessione. Non si staccava mai da quei fogli e ogni volta che gli ponevamo una domanda o un’opinione, non rispondeva o lo faceva in maniera sfuggente. Rimasi da solo a contemplare per l’ennesima volta quei documenti, ma ogni tentativo che feci non portò ad alcun risultato e non trovai nemmeno un nesso tra i vari simboli che vedevo. Decisi allora di tornare 9 al piano di sopra, nella stanza dove avevo preso quei fogli. Qualcos’altro che mi aiutasse lo dovevo pur trovare. La stanza era rimasta tale e quale a come l’avevamo lasciata, il cadavere pendeva ancora dal soffitto, ma non mi lasciai impressionare. Rovistai attentamente tra tutta quella massa di fogli, ne raggruppai alcuni fino a quando ne trovai alcuni in particolare che m’incuriosirono. Era una sorta di percorso, un intricato labirinto di stanze e corridoi riferito probabilmente a quella costruzione che, messi insieme, rendevano chiara la sua vastità. Su uno di quei fogli, un grande cerchio rosso era tracciato intorno a un perimetro ben preciso. Studiai un attimo tutti quei documenti fino a quando, improvvisamente, sentii un rumore. Era come un fruscio continuo che non avevo mai sentito prima. Alzai lo sguardo e in un lato della stanza notai che uno dei macchinari si era attivato. Era una specie di scatola metallica. Uno dei lati, composto in vetro, si era illuminato e sopra di esso vidi scorrere un insieme infinito di puntini bianchi e neri che emettevano quell’odioso fruscio. Mi avvicinai fissandolo e subito dopo il rumore si interruppe. Quello che apparve in seguito non aveva senso, andava oltre la mia comprensione, ma ne ero inspiegabilmente attratto. Nello stesso istante sentii qualcuno entrare nella stanza, non so chi fosse e nemmeno mi voltai. Perlustrammo ogni angolo di quel posto senza trovare nulla. Tutti gli avvenimenti che erano accaduti mi avevano scosso così tanto che a tenermi in piedi c’era soltanto la speranza di trovare Doina e il forte desiderio di rivedere Red. Eravamo scappati a una morte certa o almeno credevamo, ma sentivo che quel posto non era sicuro. Il suo silenzio, l’abbandono, nascondevano qualcosa di più profondo e misterioso e quella figura che avevo visto la 10 sera prima aveva a che fare con tutto ciò. Dovevamo andarcene prima possibile. Tornammo nella grande sala. Ronin era ancora lì, seduto per terra, con i suoi fogli fra le gambe. Ober lo chiamò ripetutamente, ma il vecchio non rispose. Più ci avvicinavamo e più la sua postura sembrava strana. Ober gli toccò una spalla e Ronin si voltò di scatto. Era sorridente e ci disse di aver trovato qualcosa di interessante: aveva delle mappe dell’intera struttura e grazie a esse, aveva scoperto che esisteva una sezione sotterranea accessibile tramite una porta che forse non avevamo mai visto. Seguimmo la mappa e dopo aver percorso vari corridoi, entrammo in una piccola stanza, in fondo alla quale, dietro un grande scaffale, c’era una piccola porta di ferro. Ober la aprì. Oltre a essa una scala scendeva verso il basso, illuminata da quelle che sembravano piccole lampade alimentate da uno strano bagliore. Scendemmo insieme nella zona sottostante eccetto Ronin, che preferì rimanere in cima alle scale sorvegliando l’entrata. La prima cosa che sentii fu la puzza insopportabile di chiuso e di morte. Seguimmo quelle scale e una volta arrivati in fondo ci trovammo di fronte a una specie di incrocio. Tre lunghi corridoi si diramavano davanti ai nostri occhi. Stavamo decidendo il da farsi quando improvvisamente sentimmo la porta sopra di noi che si stava chiudendo. Urlammo più volte il nome di Ronin, ma non ci fu niente da fare. La porta si serrò completamente e subito dopo, come se vi fosse un meccanismo automatico, le luci si spensero lasciandoci al buio. Fortunatamente altre piccole luci, più piccole e deboli, si accesero permettendoci di avere un minimo di visibilità. 11 Corsi in cima alle scale cercando di aprire la porta, ma lo sforzo fu inutile. Non avevo idea di cosa potesse essere accaduto a Ronin, l’unica cosa certa era che eravamo intrappolati. Scesi di nuovo le scale e quello che decidemmo di fare fu perlustrare i sotterranei senza dividerci. Seguimmo la scia lasciata da quel cattivo odore fino a quando arrivammo di fronte a un grande portone di ferro. Lo aprimmo, un’enorme stanza si estendeva davanti a noi. Ai lati giacevano scheletri di persone che probabilmente vivevano o lavoravano in quel posto e chissà per quale motivo si erano rifugiate la sotto, mentre al centro c’era uno scheletro più piccolo degli altri, forse appartenuto a un bambino o una bambina, rivestito ancora dai brandelli consumati di una divisa color verde. Era un luogo macabro, inquietante e pieno di tristezza. Passammo attraverso quella distesa di cadaveri, Ober e sua moglie mi precedevano. Quando fummo al centro della stanza le luci si spensero senza motivo. Rimanemmo al buio, uno vicino all’altro e dopo alcuni attimi udimmo una voce. La riconobbi bene, era la voce di Doina che chiamava sua madre. Ober e Clara risposero e seguirono la sua voce mentre io, rimasi immobile. Li sentii allontanarsi fino a quando calò il silenzio. Li chiamai, ma non ottenni risposta. Iniziai a cercare qualcosa con le mani, avevo bisogno di un punto di riferimento e d’improvviso sentii una piccola mano che strinse la mia. Era la mano di un bambino, morbida e vellutata. Impaurita, la mollai subito e immediatamente dopo sentii una risatina scherzosa. Mi feci spazio sbattendo su tavoli e sedie cercando di scappare. Qualcuno era dietro di me, ma non riuscivo a vederlo. Dopo alcuni metri, fortunatamente, trovai una porta oltre la quale si estendeva un lungo corridoio. 12 Lo attraversai di corsa e notai che al centro c’era una scala che saliva verso una botola. La salii velocemente e una volta fuori mi ritrovai nel bel mezzo del piazzale esterno all’edificio. Corsi subito nella grande sala per controllare se ci fosse qualcuno e vidi che Ronin era seduto al suo solito posto con il viso rivolto verso il basso. Gli urlai contro chiedendo spiegazioni, ma una volta vicina notai delle gocce di sangue che cadevano sopra i suoi fogli. Gli sfiorai una spalla per scuoterlo e cadde a terra. Qualcuno gli aveva strappato le orbite degli occhi sfigurandolo. Mi alzai terrorizzata e davanti a me, in fondo alla stanza, vidi lo stesso individuo che mi era apparso la sera prima. Era alto, il volto pallido e le orbite degli occhi completamente nere. Scappai velocemente fuori dalla struttura e mi addentrai nel bosco. Per un lungo tratto il tipo m’inseguì, lo sentivo alle spalle, fino a quando mi scontrai contro qualcosa. Era un petto maschile che ricordavo bene. Era Red. Ci abbracciammo, ci baciammo, avrei voluto fargli mille domande ma chiese di seguirlo, non c’era più tempo. Percorremmo a ritroso quegli strani pali piantati per terra e dopo poco giungemmo sulla cima della montagna. Un piccolo edificio era stato costruito su di essa e sul tetto era piazzato uno strano prolungamento circolare. Red forzò l’entrata e riuscimmo a entrare. Quando la porta si richiuse alle nostre spalle, rimanemmo per un attimo al buio. Passati alcuni attimi le luci si accesero automaticamente, ma di Red non c’era più traccia. Era sparito. Provai a chiamarlo, guardai all’esterno, ma non c’era più. Ero frastornata, non capivo più cosa stesse accadendo. Rimasi da sola in quella stanza piena di luci e meccanismi sconosciuti. Provai ad attivarne qualcuno premendo quegli strani bottoni e improvvisamente uno di loro si accese. Su una lastra di vetro scorsero delle immagini, riuscivo anche a sentire una voce femminile che parlava una lingua sconosciuta. Vidi numerose persone radunate in una grande stanza, la stessa stanza del sotterraneo 13 che avevamo visitato con Ober e Clara. Al centro di essa vi era un grande macchinario sferico illuminato da varie luci e davanti a esso due bambine salutavano la folla. Una di esse, la più piccola, indossava una divisa azzurra, mentre l’altra, più grande, era vestita di verde. L’immagine si avvicinò a essa e con stupore notai che conoscevo bene quel volto: era Doina. Il video continuò ancora per un po’, fino a quando si interruppe. Dopo poco anche le luci si spensero e rimasi al buio, illuminata solo da un debole fascio di luce proveniente da un foro del soffitto. La porta iniziò a sbattere con forza, qualcuno dall’esterno stava tentando di entrare. Presa dal panico corsi verso essa e mi serrai dentro girando la chiave. Aprii lentamente la piccola feritoia dalla quale potevo vedere l’esterno, ma fuori non c’era nessuno. La chiusi e mi sedetti per terra impaurita, sconvolta, persa. Per un attimo mi sentii al sicuro, poi capii di non essere sola. Le mani di una bambina apparvero alle mie spalle e senza dare modo di reagire, mi tapparono gli occhi. Per sempre. 14 Thethreshold©2013DanieleCosci/AlessioLiguori Note The Threshold è un avvincente thriller horror in cui ogni elemento narrativo, visivo e sonoro, confluisce in uno sviluppo imprevedibile attraverso un attento dosaggio delle informazioni fornite allo spettore, quel tanto che basta a fargli assumere un ruolo completamente attivo, stimolando la curiosità e immergendolo in una atmosfera che fa perno sulla sensorialità più primordiale. The Threshold è potenzialmente un film di puro intrattenimento e al tempo stesso possiede una “solidità” e “profondità” strutturale grazie al disegno dei personaggi e allo stimolante e accurato lavoro che in tal senso si può svolgere con il cast. Gli eventi narrati nel film sconvolgeranno radicalmente le loro vite, innestate dentro un contesto storico già di per sé buio e controverso. Ruolo fondamentale è svolto dagli attori, chiamati a svolgere un lavoro attivo e partecipe. La costruzione dei personaggi è un essenziale veicolo organico e strutturale alla partecipazione emotiva dello spettatore. I personaggi sono calati in un contesto e in una ambientazione che diviene personaggio a sua volta. Il villaggio, i boschi, la struttura ed i suoi labirinti. Spazi infiniti e delimitati, dove il comune denominatore resta il non visto, l'oscuro oltre la vista o dietro l'angolo, sia di giorno che di notte. 15 La direzione della fotografia è qui chiamata a ricostruire un’atmosfera fondamentale nella narrazione di The Threshold. Le volumetrie, la solidità e lo spessore nella presentazione e illuminazione dei personaggi si combina con gli inafferrabili e angoscianti spazi da loro occupati e vissuti. La profondità di campo e l'eventuale uso della terza dimensione svolgono uno strumento essenziale nel fornire agli spazi un ruolo essenziale nella narrazione. Lo spazio diviene per i personaggi non un luogo di appoggio e rassicurante dominio, o semplice background visivo, ma un personaggio occulto a se stante. Vicino e lontano allo stesso tempo nel quale muoversi senza mai esserne padroni. Particolare attenzione in The Threshold va riservata agli elementi sonori. Il suono diviene fondamentale “corpo” del film. L'utilizzo di canali separati e multipli va usata con creatività al fine coinvolgere maggiormente lo spettatore e dare voce agli ambienti spettrali e ignoti nei quali si muovono. Il lavoro con la musica segue in The Threshold tre direzioni ben precise: - ci aiuta a comprendere e tradurre gli stati emotivi dei personaggi. - accompagna il ritmo frenetico delle scene più adrenaliniche e nelle fughe disperate. - da’ voce al non visto, scandendo con sonorità dissonanti e sfuggenti gli eventi sinistri che avverranno durante la storia. The Threshold ha inoltre due importanti punti di forza produttivi: 16 − film di genere ad alto potenziale commerciale nei mercati internazionali − budget di realizzazione contenuto grazie a: 1. integrazione di un workflow intelligente basato su tecnologia digitale al alta definizione e qualità con generazione finale diretta di DCP e sequenze TIFF per eventuale vidigrafo (copertura di gran parte del parco macchine) 2. possibile collaborazione con le Film Commission locali Note biografiche ALESSIO LIGUORI Regista Nato a Gaeta nel 1981, frequenta il liceo artistico, dove grande influenza avranno gli studi sull'educazione visiva, l'architettura, la scenografia, le arti plastiche e fumettistiche. In questo periodo iniziano i primi passi in esperienze amatoriali nell'ambito della direzione teatrale e cinematografica. Prosegue gli studi specializzandosi con la Laurea in DAMS (discipline delle arti della musica e dello spettacolo) conseguendo il titolo di Regista Programmista per il Cinema e la Tv. Durante il percorso universitario frequenta con successo il laboratorio di regia tenuto dal regista Peter Del Monte (“Giulia e Giulia”, “Controvento”, “Etoile”), il laboratorio di sceneggiatura tenuto dallo sceneggiatore Francesco Piccolo (“Habemus Papam”, “Il Caimano”, “My Name is Tanino”) ed il laboratorio di montaggio tenuto dal montatore Marco Spoletini (“Gomorra”, “Reality”, “Cosi e la Vita”, “Gorbaciof”). Inoltre frequenta e supera a pieni voti i corsi di regia del regista e docente Vito Zagarrio (“Tre Giorni di Anarchia”, “La Donna della Luna”), con particolari approfondimenti ed attenzione al cinema e alla televisione americana contemporanea. 17 Si laurea con una tesi intitolata "Red One. Nuove tecnologie ed applicazioni nell'estetica filmica", in cui a modo di esprimere ed approfondire, oltre che avvalorare scientificamente, tutte le esperienze e le conoscenze acquisite nel tempo per passione e professione nell'ambito delle tecnologie legate al cinema con le ripercussioni nell'estetica e nella produzione filmica. Tesi di Laurea che gli consente di iniziare una collaborazione con il docente Christian Uva, per il quale svolge alcune Letio Magistralis presso l'Universita degli studi di Roma 3 e fornisce un contributo alla realizzazione della riedizione del libro "Il digitale nella regia " (Dino Audino Editore), grazie al quale ha modo di intervistare il direttore della fotografia Mauro Marchetti (“Mary per Sempre”, “Nel nome del Male”). Contemporaneamente al percorso Universitario e scolastico in generale, segue un percorso di crescita professionale fatta di prodotti indipendenti, sperimentazioni e lavori in diversi comparti nell'ambito della produzione cinematografica e televisiva. Dirige diverse spot pubblicitari di rilievo nazionale e tra le cui agenzie si annovera la Roncaglia&Wijkander. Dalla campagna "Every One" di "Save the Children", il cui spot e interpretato da Flavio Insinna, Fabrizio Frizzi, Nicolas Vaporidis, Giobbe Covatta e Cristiana Filangeri, ed e stato trasmesso nelle reti Rai e nel circuito cinematografico Nazionale. Alla campagna per l'efficienza energetica commissionato dalla Regione Lazio il cui spot e intitolato "Ecommedia" , interpretato da Giobbe Covatta, distribuito nel circuito cinematografico nazionale, a spot di prodotti commerciali come quello sul "Succo D'Arancia Rosaria", in onda per tre stagioni sulle reti Rai. Dopo una breve collaborazione con l'attore e regista teatrale Lello Arena (“Ricomincio da Tre", "Morto Troisi, Viva Troisi", "Chiari di Luna" ), per il quale dirige un episodio proiettato all'interno del suo spettacolo, dirige la sit-com in dieci puntate "I Fratelli Porchetta" con Maurizio Martufello e Gigi Miseferi. Dirige 18 diverse trasmissioni infotainment tv e web , irriverenti e parodistiche, tra le quali "Le Cronache del Gallo" (presi di mira personaggi quali Carlo Verdone, Paola Cortellesi, Margherita Buy, Rocco Papaleo, Ricky Tognazzi, Alessandro Gassman) e "TgShow". Collabora alla realizzazione di diversi cortometraggi e videoclip in qualità di aiuto regista. Ma il percorso cardine e quello del cinema di finzione. Dirige così diversi cortometraggi tra cui "Deja Vu" , "La rete" (finalista al TOHorror Film Fest e al Roma Tre film Festival) e la codirezione di "Big Trouble". "La rete" rappresenta il vero passaggio al cinema di genere. Il thriller horror che vede protagoniste Michela Bruni e Marylin Gallo segna anche la consacrazione di una collaborazione e amicizia con il direttore della fotografia Giuliano Tomassacci, con il quale produce e sceneggia “Report 51”, film che segna l’esordio alla regia di Liguori nel lungometraggio. Nello stesso periodo inizia una collaborazione sempre più stretta e proficua con lo sceneggiatore Daniele Cosci con il quale vengono progettati e scritti diversi prodotti filmici, tra cui i cartoni animati “Alitalia . Coccolati tra le nuvole” e “Alitalia. Vola alto nel gusto”, non ultimi “Ombre” e “The Threshold”, film di genere destinati sopratutto al mercato estero, tutti sceneggiati dallo stesso Cosci e diretti da Liguori 19 DANIELE COSCI Sceneggiatore Nato ad Arezzo il 24 Giugno 1984, inizia a occuparsi di teatro all'eta' di quattordici anni seguendo le orme del padre e scrivendo alcuni copioni teatrali per varie compagnie amatoriali. Si laurea in comunicazione nel 2007 presso l'Universita' degli studi di Perugia, conseguendo pochi mesi dopo un diploma avanzato di sceneggiatura presso la prestigiosa UCLA (Los Angeles, CA) seguito da Richard Walter, attuale componente della Writers Guild of America e uno dei piu’ grandi “Guru” della scrittura per il cinema e la TV. Sempre nella stessa Universita’ segue il corso di Produzione per il cinema indipendente tenuto da Myrl Schreibman. Durante l’esperienza oltreoceano ha modo di fare esperienza su vari set, tra cui il cortometraggio The Travellers di Alessandro Marvelli, prodotto dalla Los Angeles Film School e il lungometraggio The Perfect Game, di William Dear prodotto dalla Highroad Entertainment. Nel 2009 ottiene un diploma in regia cinematografica e televisiva presso gli studi di Cinecitta' seguito dal regista Enzo G. Castellari (Keoma, Quel maledetto treno blindato), Tony Trupia (L’uomo giusto, Itaker) e seguendo il corso di fotografia tenuto da Giuseppe Lanci (La stanza del figlio, Nostalghia) e Alessandro Ghiara, operatore di macchina di diversi film italiani e stranieri (Quo vadis, baby?, Body of lies). Conclusi gli studi inizia a scrivere vari racconti e sceneggiature. Nel 2009 la sceneggiatura per cortometraggio KappA e’ finalista al Valpolicella Film 20 Festival e vari racconti vengono pubblicati su diversi siti web specializzati ultimo dei quali il racconto Scomode eredita’. Nel Febbraio 2010 scrive la sceneggiatura “L’auciello Grifone” nell’ambito del progetti PON 2010 “A scuola di cinema”, presso l’Istituto comprensivo Statale “P.S. Mancini”, Ariano Erpino (AV) e dopo alcuni mesi, esattamente ad Agosto, inizia la sua collaborazione con il regista Alessio Liguori (Report 51) scrivendo la sceneggiatura Ombre. Dal Dicembre 2011, fino al Luglio 2012, collabora in veste di assistente per L’Istituo Capri nel Mondo diretto Da Pascal Vicedomini, partecipando al festival Capri Hollywood 2011, Los Angeles Italia 2012 e Ischia Global Fest 2012. Nel Febbraio 2012 scrive il copione teatrale “Trimalcio Freaky Story”, tratto dal Satyricon, per l’Accademia Teatrale “Chi va in scena” diretta dall’attore e regista Vincenzo Diglio. Attualmente e’ al lavoro su vari progetti per il cinema e la TV. 21 Contatti Daniele Cosci [email protected] 3283862235 Alessio Liguori [email protected] 3273441134 - 0689021890 22