Sant’Agostino
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Che cos’è il male?
Il dialogo interiore
Dio e l’anima
Ragione e Fede
(354 – 430)
Che cos’è il Male?
Abbandonando le tesi del manicheismo, Agostino si rende conto
che la questione essenziale concernente il “Male” non è tanto
quella inerente alla sua origine, quanto quella relativa alla sua
natura.
Agostino sottolinea come il “Male” non debba (e non possa)
essere considerato una realtà positiva (ovvero, dotato di una sua
essenza indipendente e autonoma), ma piuttosto esso rappresenti
semplicemente una privazione di essere.
Se accettiamo questa conclusione non ha più senso interrogarsi
sulla sua origine e su quale sia il suo principio.
Il male di cui cercavo l’origine non è una sostanza, perché,
se fosse una sostanza, sarebbe un bene.
E invero o sarebbe una sostanza incorruttibile e perciò
senz’altro un bene grande, o una sostanza corruttibile e
perciò un bene, ché, altrimenti, non potrebbe andar
soggetto a corruzione.
Perciò vidi chiaramente come Tu facesti buone tutte le
cose.
Agostino, Confessioni
Ciò che quindi, sulla base di questa interpretazione, è possibile
ammettere è una sorta di gradualità nel contenuto di perfezione
del mondo.
Tutte le sostanze partecipano (seppure in misura diversa) della
infinita bontà di Dio; tutte le sostanze sono necessarie.
Di conseguenza, anche quegli eventi e quelle circostanze che ci
appaiono come negativi sono parte necessaria del meraviglioso
ordine del mondo.
Quanto al male morale, esso consiste nel peccato, che è una
debolezza della volontà dell’uomo che si stacca da Dio e ripone
tutto se stesso nelle cose del mondo.
Tali cose, pur non essendo in sé negative, diventano strumento di
peccato quando l’uomo le sceglie liberamente come fine della
propria esistenza, al posto di Dio.
Il dialogo interiore
Seguendo la filosofia di Platone, Agostino ritiene che la verità
non possa essere ricercata se non attraverso il dialogo.
Ma il dialogo non è inteso come una conversazione con altre
persone, bensì come discorso con sé stesso (introspezione,
soliloquio).
La riflessione deve avere un’altra impostazione e una diversa
metodologia: essa deve farsi meditazione interiore, dialogo con
la propria anima.
Solo in tal modo è possibile incontrare Dio.
Dio è nell’anima dell’uomo!
E dunque …
L’uomo ritrova in sé, seppure in diversa misura e in modo
imperfetto, ciò che Dio è (in grande e in modo perfetto).
L’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio e per
tale ragione egli esiste, conosce e ama in analogia con la struttura
trinitaria di Dio che è Essere perfetto (Padre), Intelligenza
(Figlio), e Amore (Spirito Santo).
Benché non uguali a Dio, anzi infinitamente
distanti da Lui, siccome tra le sue opere siamo
quella più vicina alla sua natura, riconosciamo in
noi l’immagine di Dio, ossia della santissima
Trinità; immagine che deve essere perfezionata per
trovarci sempre a Lui più vicini. Infatti noi
esistiamo, sappiamo e amiamo il nostro essere e la
nostra conoscenza.
Agostino, La Città di Dio
Importante!
L’accento posto sulla priorità del soliloquio
fornisce una nuova chiave di lettura al problema
gnoseologico (ovvero la questione relativa alla
conoscenza e alla verità).
Il dialogo interiore, infatti, è il nuovo strumento
di ricerca della verità, che dunque, non è più
qualcosa che deve essere cercata fuori dal
soggetto ma che, in ragione della presenza di Dio
nell’uomo, alberga nel profondo della sua anima.
Dio e l’anima
Attraverso l’analisi dell’anima Agostino intraprende un
percorso, filosofico e teologico, che va oltre l’uomo e le
sue possibilità conoscitive e che gli consente di cogliere
la sfera della rivelazione.
L’anima è immagine di Dio, ma l’uomo con le sole
forze naturali non può giungere a conoscere Dio, se non
è aiutato dalla rivelazione.
E dunque …
La mente umana, se lasciata a se stessa (ovvero,
se non illuminata dalla rivelazione), non può fare
altro che sviluppare una teologia negativa:
dire quello che Dio non è
Tuttavia …
La prova dell’esistenza di Dio più efficace,
secondo Agostino, è la prova interiore, che ci
conduce dalla profondità del nostro io al
creatore.
La verità abita nella nostra anima
Ma chi ha posto nel nostro cuore la verità?
Evidentemente Dio!
Egli è l’unico nostro maestro.
Egli conduce la nostra anima a sé e ci rende consapevoli
della propria esistenza, prima attraverso la
comprensione delle verità più facili e intuitive, poi
completando la nostra conoscenza con la rivelazione.
Egli comunica con noi sia attraverso la ragione, sia
attraverso la rivelazione.
Ed ancora …
Questa tesi si estende anche al problema della conversione.
Anche in questo caso, infatti, l’uomo con le sue sole forze non può realizzare
compiutamente il suo viaggio verso Dio.
Certamente può creare le condizioni (sincerità intellettuale, purificazione
interiore) per perseguire lo scopo ma l’intervento di Dio è necessario e
fondamentale.
Più semplicemente
La fede è un dono di Dio
Ragione e Fede
Dio e l’anima costituiscono i termini essenziali della
ricerca filosofica agostiniana. Una relazione privilegiata
nella quale un termine rimanda all’altro.
Questo rapporto implica anche una relazione di
complementarità tra la ragione e la fede.
Secondo Agostino, la fede predispone alla migliore
comprensione dei misteri divini.
Crede ut intelligas
Tuttavia …
Agostino si rende perfettamente conto che se l’uomo
non sentisse parlare di Dio e non ne avvertisse dentro di
sé il bisogno, non potrebbe neppure aver fede.
Fede e ragione sono organi di conoscenza
complementari.
E dunque è altrettanto vera l’affermazione:
Intellige ut credas
In conclusione
È importante sottolineare come la prospettiva tracciata da
Agostino produce delle conseguenze sulla nozione di libertà.
La libertà di scelta (libero arbitrio) è una possibilità messa a
disposizione dell’uomo.
Va però inteso il senso di questa libertà di scelta. Secondo
Agostino, infatti, l’uomo non può scegliere il male (dal momento
che non esiste in quanto realtà positiva), nondimeno l’uomo può
scegliere male.
Detto altrimenti, la sua scelta può rivelarsi difettosa e dunque
condurlo al peccato. Solo la Grazia ci consente di agire in piena
Libertà, cioè di muoverci nella direzione giusta (ovvero quella
che conduce a Dio).
Tra la Libertà e la Grazia intercorre la stessa relazione che
sussiste tra Fede e Ragione.
Sant’Anselmo
• L’argomento ontologico
• Le ragioni necessarie
• I cento talleri di Kant
(1033 – 1109)
L’argomento ontologico
Un’altra prospettiva filosofica incentrata sulla conciliabilità tra
Fede e Ragione è quella che caratterizza il pensiero di
Sant’Anselmo d’Aosta.
Nel Proslogion (“Colloquio”, “Dialogo con Dio”), Anselmo
propone un’argomentazione a suo avviso non confutabile, quale
prova (logica) dell’esistenza di Dio.
Argomento Ontologico
Tale dimostrazione si fonda unicamente sulla definizione di Dio
come essere supremo.
Poiché non prende in considerazione
nessun dato dell’esperienza tale
dimostrazione si definisce a priori.
Dimostrazione
In primo luogo, si definisce Dio come l’essere più
perfetto che si possa immaginare: l’essere rispetto al
quale nulla di più grande possa essere concepito.
Si suppone, quindi, che uno degli aspetti di questa
perfezione sia l’esistenza.
L’essere perfetto non sarebbe tale se non esistesse: la
perfezione sarebbe incompleta se non includesse
l’esistenza.
Detto altrimenti …
Dio è perfetto,
dunque
Esiste!
Alla radice di una simile argomentazione vi
è il passaggio (logico?) dall’idea di Dio
alla sua necessaria e, soprattutto, reale
esistenza.
Le Ragioni necessarie
Anselmo fa proprio il modo di pensare di Agostino secondo cui la
fede precede l’intelletto e fornisce i dati su cui l’intelletto lavora.
E benché crediamo per comprendere, noi saremmo negligenti se
non tentassimo di comprendere ciò in cui crediamo.
Accade infatti che noi possiamo fornire ragioni necessarie per
alcuni aspetti del nostro credere, e ciò significa che alcuni
elementi costitutivi della fede possono essere dimostrati.
Secondo Anselmo …
L’intelletto è uno stadio della coscienza umana
che si trova a metà strada tra il mero credere e la
visione beatifica di Dio che è promessa dalle
Scritture a coloro che saranno salvati.
In altre parole
Il desiderio di comprendere è una brama di
riacquistare ciò che fu perduto per la caduta di
Adamo e questo desiderio conduce l’uomo dalla
fede, attraverso l’intelletto, fino alla visione di
Dio in Paradiso.
Orbene …
A partire dai dati della fede, che è un’esperienza
iniziale, dobbiamo procedere per mezzo di ragioni
necessarie fino alla comprensione intellettuale.
Sebbene la ragione non dipenda dalla fede, essa deve
essere in primo luogo giudicata in base al suo accordo
con la fede.
Attenzione !!!
In tale relazione si cela un sottile inganno.
Anche se Anselmo parla di prove condotte per mezzo di
ragioni necessarie, egli sempre rettifica (corregge)
questo procedimento grazie alla sua disponibilità a
sottomettere i risultati del suo ragionamento
all’approvazione ecclesiastica.
Ma cosa intende esattamente Anselmo per
ragioni necessarie
?
Le ragioni necessarie sono proposizioni logicamente
vere ed inferenze logicamente valide.
Molti degli argomenti proposti da Anselmo, infatti,
hanno la forma di una riduzione all’assurdo:
vale a dire essi mostrano che la negazione di una
proposizione o il rifiuto di una conclusione porta ad
una contraddizione.
Posta in questi termini …
Sembra pertanto che la necessità di una
proposizione o di un’inferenza dipenda dal
carattere contraddittorio della sua negazione o
del suo rifiuto.
Ma…
Pur accettando che le proposizioni necessarie
sono vere, tuttavia, quando ci chiediamo quale
sia il fondamento di queste verità necessarie, le
posizioni di Anselmo diventano un po’ incoerenti
(l’inganno).
Una (im)possibile giustificazione?
Seguendo Agostino, Anselmo ritiene che la nostra
conoscenza delle verità necessarie provenga da
un’illuminazione, dalla Luce che illumina ogni uomo in
questo mondo.
E sembra credere che la necessità stessa della verità
logica dipenda dalla Volontà Divina.
Quando Dio fa una cosa, dal momento che essa è stata
fatta, questa non può essere non fatta, ma resta sempre
vero che essa è stata fatta, tuttavia non è corretto dire che
è impossibile per Dio fare che non sia passato ciò che è
passato.
Infatti in questo caso non opera alcuna necessità di non
fare né alcuna impossibilità di fare, ma vige unicamente la
volontà di Dio, che sempre vuole l’eterna immutabilità del
vero, poiché Egli è la verità.
Sulla base del testo …
Anselmo sembrerebbe rendere la verità necessaria una
conseguenza della Volontà Divina.
Ma, se così fosse, ciò indebolirebbe la forza dei suoi
argomenti per l’esistenza di Dio, perché tutti quegli
argomenti sono basati su ragioni necessarie che, in
quanto argomenti filosofici, dovrebbero essere
indipendenti da assunzioni a proposito di Dio, se
vogliamo che siano sufficienti a provare che c’è un Dio.
I cento talleri di Kant
Immanuel Kant, nella sua celebre opera Critica della Ragion
Pura, ha rivolto all’argomento ontologico di Anselmo la critica
più convincente, rivelandone l’intrinseca contraddizione e la sua
non sostenibilità logica.
Kant ha osservato che l’errore di tale argomento consiste nel
trattare l’esistenza come una proprietà di Dio.
Ma è sbagliato, dal punto di vista strettamente logico, considerare
l’esistenza come uno degli attributi dell’essere perfetto.
Viceversa, l’esistenza deve essere vista come una condizione
preliminare perché qualcosa possieda delle proprietà o qualità.
Un esempio
Kant osservò che l’idea di cento talleri e cento talleri veri
contengono la stessa quantità di denaro. I cento talleri, cioè,
hanno lo stesso valore economico, sia che abbiamo in tasca quei
soldi sia che li immaginiamo soltanto.
“Ma rispetto allo stato delle mie finanze nei cento talleri reali c’è
più che nel semplice concetto di essi (cioè nella loro
possibilità)”.
Immanuel Kant, Critica della Ragion Pura
Libro II, Cap. III, Sez. IV
Ed ancora …
“Ora, se io mi penso un essere come la Realtà suprema (senza
difetto), resta sempre la questione, se esso esista o no.
Giacché, quantunque nel mio concetto non ci manchi nulla del
possibile contenuto reale di una cosa in generale, pure ci
manca ancora qualcosa nel rapporto con lo stato intero del
mio pensiero: ossia, manca che la conoscenza di quell’oggetto
sia possibile anche a posteriori”.
Immanuel Kant, Critica della Ragion Pura
Libro III, Cap. III, Sez. IV
Per semplificare (forse…)
Né l’insistenza, né tantomeno l’intensità
con la quale io penso qualcosa sono prove
dell’esistenza reale dell’oggetto del mio
pensiero.
San Tommaso
• L’esistenza di Dio a
partire dal mondo
• Il metodo per arrivare
a Dio
• Le cinque vie
• La natura di Dio e la
felicità dell’uomo
(1225 – 1274)
L’esistenza di Dio a partire dal mondo
La tesi filosofica elaborata da San Tommaso d’Aquino si mostra
critica nei confronti dell’argomento a priori elaborato da
Sant’Anselmo.
Secondo Tommaso, infatti, l’esistenza di Dio non è né
immediatamente evidente all’intelletto, e neppure può essere
dedotta con una riflessione sul suo concetto, perché l’uomo non
può conoscere l’essenza divina, e quindi le sue qualità e
perfezioni, attraverso le sole forze della sua ragione.
Con la ragione, invece, l’uomo può giungere a dimostrare
l’esistenza di Dio, ma a condizione che muova dall’esperienza
sensibile.
L’errore dell’argomento ontologico è che
pretende di conoscere la natura di Dio,
prima di sapere se egli esiste o meno.
Al contrario, prima dobbiamo stabilire la
sua esistenza, e poi possiamo passare a
studiarne analiticamente le proprietà, la sua
essenza.
Il metodo per arrivare a Dio
Il metodo che Tommaso segue per
giungere a Dio si fonda su un
procedimento a posteriori, ovvero, su un
metodo che parte dall’esperienza e dalla
realtà (Aristotele).
Il suo metodo prevede, dunque, di partire dall’esperienza, di
analizzarne i tratti essenziali e di ricercarne la causa adeguata.
Due sono i momenti di cui si compone:
• La constatazione di un aspetto caratteristico della realtà;
• L’applicazione del principio di causalità per agganciare
quell’aspetto caratteristico della realtà a una causa superiore
che lo spieghi e lo giustifichi.
Le cinque vie
La prima via
La via motus
Tale via parte dal divenire delle cose (movimento inteso non
solo come locale e meccanico, ma esteso ad ogni forma di
divenire).
San Tommaso considera questa via come il primo argomento
razionale che ci permette di salire a Dio.
La via motus
“Ciò che si muove deve essere mosso
da una causa a lui esterna”
Tommaso muove dall’assunto logico secondo cui “ogni divenire
esige una propria causa: un principio”.
Tale principio (per essere tale) deve essere immobile (senza
divenire) per non necessitare a sua volta di un’altra causa.
Questa causa originaria del divenire del mondo è Dio, che si
configura, dunque, come motore immobile, atto senza potenza.
Le cinque vie
La seconda via
La via dell’effetto
La seconda via parte dal fatto che nell’esperienza di tutti i
giorni ci è dato constatare che ogni effetto esige una causa.
La via dell’effetto
Ora, risalendo di causa in causa dobbiamo necessariamente
concludere, questa l’argomentazione di Tommaso, che esisterà
una causa prima, fonte di ogni altro effetto.
Tale causa deve essere “incausata”, ovvero, non causata da
altro.
Per evitare quindi uno sterile regresso all’infinito, la ragione ci
dice che dobbiamo fermarci e ammettere l’esistenza di una causa
ultima: Dio.
Le cinque vie
La terza via
La via della contingenza
La terza via sostiene che nella realtà noi facciamo sempre
l’esperienza di esseri che esistono.
Tuttavia, la presenza della morte o del non venire all’esistenza
di tanti esseri ci suggerisce che tutti noi potremmo anche non
esistere.
La via della contingenza
Detto altrimenti, la nostra esistenza rappresenta un fattore
eminentemente contingente (dopo tutto, ci è capitato di esistere).
Ma il contingente esige il necessario
Orbene, se esistono esseri contingenti deve esistere Dio inteso
come ente necessario che ne giustifica l’esistenza.
Le cinque vie
La quarta via
I gradi della perfezione
La quarta via è detta da Tommaso, via graduum, la via dei gradi
di perfezione.
La via graduum
L’esperienza ci mostra tutti i giorni che esiste nel mondo una
scala gerarchica: tutti gli enti esistono, ma in modo differente.
Esiste, in sostanza un più e un meno nell’essere. Ma tale
gradualità può essere giustificata se e solo se la confrontiamo
con l’Essere massimo (infatti, dobbiamo chiederci: «più o meno
rispetto a quale parametro di riferimento?»).
Dio esiste, quindi, in quanto è tale Essere massimo: l’Essere
per sé, l’Essere a cui compete l’essere in grado massimo, mentre
gli altri esseri hanno l’essere per partecipazione (posseggono
solo una certa quantità, più o meno ampia di essere).
Le cinque vie
La quinta via
L’argomento dell’ordine del mondo
La quinta via parte dall’esistenza di un ordine del mondo
(argomento teleologico).
L’ordine del mondo
Tale argomento si fonda sulla tesi secondo la
quale il mondo e le vicende che lo animano,
riflettono un preciso piano razionale e sono
indirizzati al perseguimento di un fine ben
determinato.
Se accettiamo l’esistenza di un ordine e di un
piano, questa in sintesi la conclusione tomista,
dobbiamo ammettere l’esistenza di un artefice,
di un ideatore, un ordinatore.
Entro questa prospettiva Dio rappresenta il
supremo artefice, l’architetto del mondo. Colui
che determina l’ordine delle cose.
P.S.: almeno fino all’avvento di Darwin.
La natura di Dio e la felicità dell’uomo
Le cinque vie si propongono di dimostrare l’esistenza di Dio, attraverso il
metodo della causalità, vale a dire, in modo positivo.
Tuttavia, Tommaso introduce un’altra possibile strategia in grado di
perseguire il medesimo scopo, seppur utilizzando una procedura opposta,
ovvero, un modo negativo.
A sostegno di tale procedimento vi è la negazione dell’idea che Dio possa
possedere le imperfezioni che caratterizzano le cose (teologia negativa).
E dunque:
Dio non è finito; non è composto da più parti; non è temporale; non è
plurale.
Di conseguenza:
Dio è infinito, semplice, in-temporale, unico.
Inoltre …
Un ulteriore sviluppo della dimostrazione razionale
dell’esistenza di Dio, in un certo senso accostabile alla
via graduum, è rappresentato dal metodo di attribuire a
Dio le perfezioni che riscontriamo negli esseri
intelligenti, ma portandole al massimo grado di potenza
ed eminenza (via eminentiae).
Esempio:
Se gli uomini sono intelligenti
Allora Dio è onnisciente.
Infine
Secondo Tommaso, l’attività creatrice di Dio non deve
confondersi con quella del demiurgo platonico: che agisce su una
materia pre-esistente; né deve confondersi con l’emanazione
neoplatonico: che è derivazione necessaria del molteplice
dall’Uno (detto più semplicemente: l’Uno di Plotino crea le cose
suo malgrado).
La creazione è una libera produzione del mondo da parte di
Dio: una produzione dal nulla. Un atto libero che tuttavia non è
privo di una finalità.
Secondo Tommaso, infatti, Dio ha creato il mondo per
comunicare al creato (e all’uomo in particolare) il proprio
essere, la propria intelligenza e il proprio amore.
Ne consegue …
che, per l’uomo, il perseguimento della
felicità coincide con la comprensione del
disegno e del progetto ordinatore di Dio.
Tra tutte le creature, l’uomo occupa il
posto centrale: egli è il re dell’universo.
Soltanto l’uomo è persona, e soltanto lui
conosce e ama Dio: in ciò consiste la
perfetta felicità o, in linguaggio teologico,
la beatitudine o pienezza di vita.
P.S. : almeno fino all’avvento di
Copernico!
Duns Scoto
• La fede è più sicura
della Ragione
• La prova
dell’esistenza di Dio
• La natura di Dio
(1265 – 1308)
La fede è più sicura della Ragione
Nel prologo al suo commento
alle Sentenze Duns Scoto si
chiede se la filosofia da sola
possa stabilire quale sia lo
scopo ultimo dell’uomo e quali
siano i mezzi per conseguirlo
ed afferma con tutta chiarezza
che soltanto la teologia può
rendere l’uomo sicuro del suo
scopo e dei mezzi per ottenerlo.
Duns Scoto assume che fine
dell’uomo sia la beatitudine,
l’incontro faccia a faccia
dell’anima umana con Dio
attraverso una semplice
apprensione dell’intelletto: questo
è lo stato in cui si trovano le
anime beate del Paradiso.
Ma per mezzo della sola ragione
naturale l’uomo non potrebbe
conoscere che un tale fine è
possibile.
E dunque …
Dio non è oggetto della ragione, ma della
rivelazione.
La fede è più sicura della ragione
La teologia, intesa come scienza pratica che
si fonda sulle Sacre Scritture, può indicare
all’uomo le conoscenze utili alla propria
salvezza spirituale.
La fede permette di arrivare a cogliere non
solo le Verità di fede o i comandamenti della
morale, ma anche quelle conoscenze che
normalmente si fanno rientrare nel campo
della ragione umana.
P.S. : Come non mancherà di ricordare la
Santa Inquisizione a Giordano Bruno e a
Galileo Galilei.
L’uomo deve tendere
scientemente e deliberatamente
verso il suo fine, come esige la
sua natura. Da se stesso è
incapace di sapere esattamente
in che consista questo fine.
Duns Scoto, Opera di Oxford
Non è in noi un sol fatto di
coscienza che stabilisca la
possibilità o la convenienza della
visione diretta di Dio.
Abbandonato, quindi, alla sua
ragione l’uomo non potrebbe
concepire distintamente la
convenienza di tale visione,
come fine ultimo della natura.
[…]Ecco, dunque, la necessità di
una dottrina
soprannaturalmente manifestata.
Duns Scoto, Opera di Oxford
Ma come risolve il problema
dell’esistenza di Dio
?
La prova dell’esistenza di Dio
Per sciogliere tale dilemma è necessario,
innanzitutto, comprendere quale sia l’oggetto
primo dell’argomentazione metafisica.
Duns Scoto si schiera con Avicenna e
contro Averroè nel sostenere che l’ente è
l’oggetto primo della metafisica.
Se pensiamo che Dio è l’oggetto della
metafisica, siamo obbligati ad ammettere
che la prova fisica a partire dal moto
osservato è l’unica dimostrazione
dell’esistenza di Dio, come aveva
affermato Averroè. Ciò non solo
subordinerebbe la metafisica alla fisica,
ma esporrebbe la prova suddetta ad
alcune critiche che invece non sarebbero
efficaci nei confronti di un argomento
metafisico.
Avicenna
Averroè
Egli sceglie quindi di
provare l’esistenza di Dio
all’interno della
metafisica e, poiché una
scienza non dimostra i
suoi principi ma piuttosto
prende le mosse da
questi, l’ente (e non Dio)
è l’oggetto della
metafisica.
Ora …
Ci si deve domandare se noi
possediamo un concetto dell’ente che
sia univoco e distinto dagli altri
concetti.
Ma sappiamo che noi abbiamo un
concetto distinto dell’ente per il fatto
che sperimentiamo in noi stessi la
possibilità di concepire l’ente senza
concepirlo né come ente in se stesso
né come ente in un’altra cosa, perché
quando concepiamo l’ente possiamo
dubitare se esso sia ente in se stesso
oppure ente in un’altra cosa.
Non ci sto
capendo ..ente!
Più semplicem…ente
L’ente può essere concepito in modo distinto soltanto perché è un
concetto semplice privo di specificazioni.
Un tale concetto resta interamente sconosciuto eccetto che esso
non sia colto nella sua semplicità come un tutto ed in se stesso,
cioè indipendentemente da altri concetti.
Detto altrimenti, possiamo spiegare l’ente (ens) soltanto col dire
che esso si applica a ciò «per cui non è contraddittorio essere».
Questo significa, che il concetto di ente si riferisce a tutto ciò
che può esistere, ossia si applica a qualunque cosa l’assunzione
della cui esistenza non contiene alcuna contraddizione.
Posta così la questione …
Duns Scoto riformula l’argomento di Anselmo
ritoccando la definizione con un’aggiunta che egli
giudica essere decisiva:
Dio è ciò di cui, quando sia concepito senza
contraddizione, non può essere pensato uno più
grande senza contraddizione.
Ma qual è la natura di Dio
?
La natura di Dio
Ora, che esiste attualmente un Essere primo che è
efficiente senza ulteriori specificazioni significa che
esiste in atto un Essere assolutamente infinito.
Tale Essere infinito è assolutamente semplice: questo
significa che Dio non consiste di parti essenziali o
quantitative diverse; similmente Dio non consiste di
sostanza ed accidente.
Nessuna creatura è assolutamente semplice, poiché
ciascuna creatura contiene qualche potenzialità ed è
passibile di qualche addizione.
Ciascuna forma di complessità non sarebbe
compatibile con il fatto che Dio è primo
secondo tutti i gradi di eminenza.
In questa semplicità assoluta, Dio differisce
radicalmente dalle creature.
Guglielmo di Ockham
• Dio è inconoscibile
• Il rasoio di Ockham
(1280 circa – 1349)
Dio è inconoscibile
Guglielmo di Ockham porta alle estreme conseguenze la tesi
sostenuta da Duns Scoto, ovvero, l’impotenza della ragione di
fronte al sacro.
Dio è totalmente inconoscibile e la sua esistenza non è
dimostrabile.
Dio si beffa della superbia umana. Egli non può essere
raggiunto dalla ragione, perché è onnipotente, vale a dire
assoluta libertà e pura volontà.
Essendo libertà, Dio è imprevedibile: nessuno mai riuscirà a
rinchiuderlo entro gli schemi logici della ragione umana.
Se gli articoli di fede possono
essere dimostrati? A tale
questione rispondo che non
possono essere dimostrati
dall’uomo viatore né con
dimostrazione a posteriori (quia)
né con una dimostrazione a
priori (propter quid)
(Quodlibeta).
Guglielmo di Ockham, Summa totius logicae
Gli articoli di fede non sono
principi di dimostrazione né di
conclusioni né sono probabili,
giacché a tutti o ai più o ai
sapienti appaiono falsi; e ciò
prendendo “sapienti” per i
sapienti del mondo e per coloro
che si avvalgono principalmente
della ragione naturale, giacché in
tal modo s’intende il sapiente
nella descrizione che la scienza o
la filosofia ne danno.
Guglielmo di Ockham, Summa totius logicae
Di conseguenza …
Distrutta ogni possibilità di sapere razionale, Ockham assegna
al campo della fede ogni possibilità di conoscere Dio.
Ogni possibile verità - anche quelle che solitamente venivano
considerate dagli scolastici come preambula fidei (propedeutiche,
presupposti alla fede vera e propria): l’esistenza di Dio,
l’immortalità dell’anima, alcune regole morali -, viene attribuita
alla fede.
La Fede è tutto!
Tra fede e ragione c’è soltanto distanza e
differenza.
Tra teologia e filosofia c’è ostilità e
contrapposizione.
E ancor più incisivamente …
Quando si parla di Dio, non vi è nulla che possa essere
considerato ragionevole.
Tutti i paradossi sono possibili. Dio può fare tutto e il
suo contrario.
Dio è libertà assoluta. E per tale ragione egli non può
essere conosciuto, né le sue scelte sono oggetto di
previsione.
Il rasoio di Ockham
Nella riflessione epistemologica medievale un interessante
dibattito è quello relativo al problema degli universali intercorso
tra nominalisti e realisti.
I nominalisti asserivano la non esistenza di concetti universali; di
opposta opinione erano invece i realisti.
Guglielmo di Ockham sostenne una posizione nominalista.
Egli riteneva che in realtà esistono soltanto cose singole e
individuali e ogni altro argomento teso a moltiplicare il numero
degli enti o a complicare pretestuosamente qualsivoglia
ragionamento costituisce solo un’oziosa e sterile divagazione
priva di senso.
A tal proposito …
Egli elabora un metodo decostruttivo,
secondo il quale tutta l’architettura
filosofica deve essere abbandonata.
Tale criterio afferma:
Non sunt multiplicanda entia
praeter necessitate
(Non si moltiplichino gli enti se non
necessario)
Tale strategia prende il nome di
Rasoio di Ockham
P.S. : Qualcosa di simile sarà affermato anche da
Newton.
FINE
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