Sant’Agostino • • • • Che cos’è il male? Il dialogo interiore Dio e l’anima Ragione e Fede (354 – 430) Che cos’è il Male? Abbandonando le tesi del manicheismo, Agostino si rende conto che la questione essenziale concernente il “Male” non è tanto quella inerente alla sua origine, quanto quella relativa alla sua natura. Agostino sottolinea come il “Male” non debba (e non possa) essere considerato una realtà positiva (ovvero, dotato di una sua essenza indipendente e autonoma), ma piuttosto esso rappresenti semplicemente una privazione di essere. Se accettiamo questa conclusione non ha più senso interrogarsi sulla sua origine e su quale sia il suo principio. Il male di cui cercavo l’origine non è una sostanza, perché, se fosse una sostanza, sarebbe un bene. E invero o sarebbe una sostanza incorruttibile e perciò senz’altro un bene grande, o una sostanza corruttibile e perciò un bene, ché, altrimenti, non potrebbe andar soggetto a corruzione. Perciò vidi chiaramente come Tu facesti buone tutte le cose. Agostino, Confessioni Ciò che quindi, sulla base di questa interpretazione, è possibile ammettere è una sorta di gradualità nel contenuto di perfezione del mondo. Tutte le sostanze partecipano (seppure in misura diversa) della infinita bontà di Dio; tutte le sostanze sono necessarie. Di conseguenza, anche quegli eventi e quelle circostanze che ci appaiono come negativi sono parte necessaria del meraviglioso ordine del mondo. Quanto al male morale, esso consiste nel peccato, che è una debolezza della volontà dell’uomo che si stacca da Dio e ripone tutto se stesso nelle cose del mondo. Tali cose, pur non essendo in sé negative, diventano strumento di peccato quando l’uomo le sceglie liberamente come fine della propria esistenza, al posto di Dio. Il dialogo interiore Seguendo la filosofia di Platone, Agostino ritiene che la verità non possa essere ricercata se non attraverso il dialogo. Ma il dialogo non è inteso come una conversazione con altre persone, bensì come discorso con sé stesso (introspezione, soliloquio). La riflessione deve avere un’altra impostazione e una diversa metodologia: essa deve farsi meditazione interiore, dialogo con la propria anima. Solo in tal modo è possibile incontrare Dio. Dio è nell’anima dell’uomo! E dunque … L’uomo ritrova in sé, seppure in diversa misura e in modo imperfetto, ciò che Dio è (in grande e in modo perfetto). L’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio e per tale ragione egli esiste, conosce e ama in analogia con la struttura trinitaria di Dio che è Essere perfetto (Padre), Intelligenza (Figlio), e Amore (Spirito Santo). Benché non uguali a Dio, anzi infinitamente distanti da Lui, siccome tra le sue opere siamo quella più vicina alla sua natura, riconosciamo in noi l’immagine di Dio, ossia della santissima Trinità; immagine che deve essere perfezionata per trovarci sempre a Lui più vicini. Infatti noi esistiamo, sappiamo e amiamo il nostro essere e la nostra conoscenza. Agostino, La Città di Dio Importante! L’accento posto sulla priorità del soliloquio fornisce una nuova chiave di lettura al problema gnoseologico (ovvero la questione relativa alla conoscenza e alla verità). Il dialogo interiore, infatti, è il nuovo strumento di ricerca della verità, che dunque, non è più qualcosa che deve essere cercata fuori dal soggetto ma che, in ragione della presenza di Dio nell’uomo, alberga nel profondo della sua anima. Dio e l’anima Attraverso l’analisi dell’anima Agostino intraprende un percorso, filosofico e teologico, che va oltre l’uomo e le sue possibilità conoscitive e che gli consente di cogliere la sfera della rivelazione. L’anima è immagine di Dio, ma l’uomo con le sole forze naturali non può giungere a conoscere Dio, se non è aiutato dalla rivelazione. E dunque … La mente umana, se lasciata a se stessa (ovvero, se non illuminata dalla rivelazione), non può fare altro che sviluppare una teologia negativa: dire quello che Dio non è Tuttavia … La prova dell’esistenza di Dio più efficace, secondo Agostino, è la prova interiore, che ci conduce dalla profondità del nostro io al creatore. La verità abita nella nostra anima Ma chi ha posto nel nostro cuore la verità? Evidentemente Dio! Egli è l’unico nostro maestro. Egli conduce la nostra anima a sé e ci rende consapevoli della propria esistenza, prima attraverso la comprensione delle verità più facili e intuitive, poi completando la nostra conoscenza con la rivelazione. Egli comunica con noi sia attraverso la ragione, sia attraverso la rivelazione. Ed ancora … Questa tesi si estende anche al problema della conversione. Anche in questo caso, infatti, l’uomo con le sue sole forze non può realizzare compiutamente il suo viaggio verso Dio. Certamente può creare le condizioni (sincerità intellettuale, purificazione interiore) per perseguire lo scopo ma l’intervento di Dio è necessario e fondamentale. Più semplicemente La fede è un dono di Dio Ragione e Fede Dio e l’anima costituiscono i termini essenziali della ricerca filosofica agostiniana. Una relazione privilegiata nella quale un termine rimanda all’altro. Questo rapporto implica anche una relazione di complementarità tra la ragione e la fede. Secondo Agostino, la fede predispone alla migliore comprensione dei misteri divini. Crede ut intelligas Tuttavia … Agostino si rende perfettamente conto che se l’uomo non sentisse parlare di Dio e non ne avvertisse dentro di sé il bisogno, non potrebbe neppure aver fede. Fede e ragione sono organi di conoscenza complementari. E dunque è altrettanto vera l’affermazione: Intellige ut credas In conclusione È importante sottolineare come la prospettiva tracciata da Agostino produce delle conseguenze sulla nozione di libertà. La libertà di scelta (libero arbitrio) è una possibilità messa a disposizione dell’uomo. Va però inteso il senso di questa libertà di scelta. Secondo Agostino, infatti, l’uomo non può scegliere il male (dal momento che non esiste in quanto realtà positiva), nondimeno l’uomo può scegliere male. Detto altrimenti, la sua scelta può rivelarsi difettosa e dunque condurlo al peccato. Solo la Grazia ci consente di agire in piena Libertà, cioè di muoverci nella direzione giusta (ovvero quella che conduce a Dio). Tra la Libertà e la Grazia intercorre la stessa relazione che sussiste tra Fede e Ragione. Sant’Anselmo • L’argomento ontologico • Le ragioni necessarie • I cento talleri di Kant (1033 – 1109) L’argomento ontologico Un’altra prospettiva filosofica incentrata sulla conciliabilità tra Fede e Ragione è quella che caratterizza il pensiero di Sant’Anselmo d’Aosta. Nel Proslogion (“Colloquio”, “Dialogo con Dio”), Anselmo propone un’argomentazione a suo avviso non confutabile, quale prova (logica) dell’esistenza di Dio. Argomento Ontologico Tale dimostrazione si fonda unicamente sulla definizione di Dio come essere supremo. Poiché non prende in considerazione nessun dato dell’esperienza tale dimostrazione si definisce a priori. Dimostrazione In primo luogo, si definisce Dio come l’essere più perfetto che si possa immaginare: l’essere rispetto al quale nulla di più grande possa essere concepito. Si suppone, quindi, che uno degli aspetti di questa perfezione sia l’esistenza. L’essere perfetto non sarebbe tale se non esistesse: la perfezione sarebbe incompleta se non includesse l’esistenza. Detto altrimenti … Dio è perfetto, dunque Esiste! Alla radice di una simile argomentazione vi è il passaggio (logico?) dall’idea di Dio alla sua necessaria e, soprattutto, reale esistenza. Le Ragioni necessarie Anselmo fa proprio il modo di pensare di Agostino secondo cui la fede precede l’intelletto e fornisce i dati su cui l’intelletto lavora. E benché crediamo per comprendere, noi saremmo negligenti se non tentassimo di comprendere ciò in cui crediamo. Accade infatti che noi possiamo fornire ragioni necessarie per alcuni aspetti del nostro credere, e ciò significa che alcuni elementi costitutivi della fede possono essere dimostrati. Secondo Anselmo … L’intelletto è uno stadio della coscienza umana che si trova a metà strada tra il mero credere e la visione beatifica di Dio che è promessa dalle Scritture a coloro che saranno salvati. In altre parole Il desiderio di comprendere è una brama di riacquistare ciò che fu perduto per la caduta di Adamo e questo desiderio conduce l’uomo dalla fede, attraverso l’intelletto, fino alla visione di Dio in Paradiso. Orbene … A partire dai dati della fede, che è un’esperienza iniziale, dobbiamo procedere per mezzo di ragioni necessarie fino alla comprensione intellettuale. Sebbene la ragione non dipenda dalla fede, essa deve essere in primo luogo giudicata in base al suo accordo con la fede. Attenzione !!! In tale relazione si cela un sottile inganno. Anche se Anselmo parla di prove condotte per mezzo di ragioni necessarie, egli sempre rettifica (corregge) questo procedimento grazie alla sua disponibilità a sottomettere i risultati del suo ragionamento all’approvazione ecclesiastica. Ma cosa intende esattamente Anselmo per ragioni necessarie ? Le ragioni necessarie sono proposizioni logicamente vere ed inferenze logicamente valide. Molti degli argomenti proposti da Anselmo, infatti, hanno la forma di una riduzione all’assurdo: vale a dire essi mostrano che la negazione di una proposizione o il rifiuto di una conclusione porta ad una contraddizione. Posta in questi termini … Sembra pertanto che la necessità di una proposizione o di un’inferenza dipenda dal carattere contraddittorio della sua negazione o del suo rifiuto. Ma… Pur accettando che le proposizioni necessarie sono vere, tuttavia, quando ci chiediamo quale sia il fondamento di queste verità necessarie, le posizioni di Anselmo diventano un po’ incoerenti (l’inganno). Una (im)possibile giustificazione? Seguendo Agostino, Anselmo ritiene che la nostra conoscenza delle verità necessarie provenga da un’illuminazione, dalla Luce che illumina ogni uomo in questo mondo. E sembra credere che la necessità stessa della verità logica dipenda dalla Volontà Divina. Quando Dio fa una cosa, dal momento che essa è stata fatta, questa non può essere non fatta, ma resta sempre vero che essa è stata fatta, tuttavia non è corretto dire che è impossibile per Dio fare che non sia passato ciò che è passato. Infatti in questo caso non opera alcuna necessità di non fare né alcuna impossibilità di fare, ma vige unicamente la volontà di Dio, che sempre vuole l’eterna immutabilità del vero, poiché Egli è la verità. Sulla base del testo … Anselmo sembrerebbe rendere la verità necessaria una conseguenza della Volontà Divina. Ma, se così fosse, ciò indebolirebbe la forza dei suoi argomenti per l’esistenza di Dio, perché tutti quegli argomenti sono basati su ragioni necessarie che, in quanto argomenti filosofici, dovrebbero essere indipendenti da assunzioni a proposito di Dio, se vogliamo che siano sufficienti a provare che c’è un Dio. I cento talleri di Kant Immanuel Kant, nella sua celebre opera Critica della Ragion Pura, ha rivolto all’argomento ontologico di Anselmo la critica più convincente, rivelandone l’intrinseca contraddizione e la sua non sostenibilità logica. Kant ha osservato che l’errore di tale argomento consiste nel trattare l’esistenza come una proprietà di Dio. Ma è sbagliato, dal punto di vista strettamente logico, considerare l’esistenza come uno degli attributi dell’essere perfetto. Viceversa, l’esistenza deve essere vista come una condizione preliminare perché qualcosa possieda delle proprietà o qualità. Un esempio Kant osservò che l’idea di cento talleri e cento talleri veri contengono la stessa quantità di denaro. I cento talleri, cioè, hanno lo stesso valore economico, sia che abbiamo in tasca quei soldi sia che li immaginiamo soltanto. “Ma rispetto allo stato delle mie finanze nei cento talleri reali c’è più che nel semplice concetto di essi (cioè nella loro possibilità)”. Immanuel Kant, Critica della Ragion Pura Libro II, Cap. III, Sez. IV Ed ancora … “Ora, se io mi penso un essere come la Realtà suprema (senza difetto), resta sempre la questione, se esso esista o no. Giacché, quantunque nel mio concetto non ci manchi nulla del possibile contenuto reale di una cosa in generale, pure ci manca ancora qualcosa nel rapporto con lo stato intero del mio pensiero: ossia, manca che la conoscenza di quell’oggetto sia possibile anche a posteriori”. Immanuel Kant, Critica della Ragion Pura Libro III, Cap. III, Sez. IV Per semplificare (forse…) Né l’insistenza, né tantomeno l’intensità con la quale io penso qualcosa sono prove dell’esistenza reale dell’oggetto del mio pensiero. San Tommaso • L’esistenza di Dio a partire dal mondo • Il metodo per arrivare a Dio • Le cinque vie • La natura di Dio e la felicità dell’uomo (1225 – 1274) L’esistenza di Dio a partire dal mondo La tesi filosofica elaborata da San Tommaso d’Aquino si mostra critica nei confronti dell’argomento a priori elaborato da Sant’Anselmo. Secondo Tommaso, infatti, l’esistenza di Dio non è né immediatamente evidente all’intelletto, e neppure può essere dedotta con una riflessione sul suo concetto, perché l’uomo non può conoscere l’essenza divina, e quindi le sue qualità e perfezioni, attraverso le sole forze della sua ragione. Con la ragione, invece, l’uomo può giungere a dimostrare l’esistenza di Dio, ma a condizione che muova dall’esperienza sensibile. L’errore dell’argomento ontologico è che pretende di conoscere la natura di Dio, prima di sapere se egli esiste o meno. Al contrario, prima dobbiamo stabilire la sua esistenza, e poi possiamo passare a studiarne analiticamente le proprietà, la sua essenza. Il metodo per arrivare a Dio Il metodo che Tommaso segue per giungere a Dio si fonda su un procedimento a posteriori, ovvero, su un metodo che parte dall’esperienza e dalla realtà (Aristotele). Il suo metodo prevede, dunque, di partire dall’esperienza, di analizzarne i tratti essenziali e di ricercarne la causa adeguata. Due sono i momenti di cui si compone: • La constatazione di un aspetto caratteristico della realtà; • L’applicazione del principio di causalità per agganciare quell’aspetto caratteristico della realtà a una causa superiore che lo spieghi e lo giustifichi. Le cinque vie La prima via La via motus Tale via parte dal divenire delle cose (movimento inteso non solo come locale e meccanico, ma esteso ad ogni forma di divenire). San Tommaso considera questa via come il primo argomento razionale che ci permette di salire a Dio. La via motus “Ciò che si muove deve essere mosso da una causa a lui esterna” Tommaso muove dall’assunto logico secondo cui “ogni divenire esige una propria causa: un principio”. Tale principio (per essere tale) deve essere immobile (senza divenire) per non necessitare a sua volta di un’altra causa. Questa causa originaria del divenire del mondo è Dio, che si configura, dunque, come motore immobile, atto senza potenza. Le cinque vie La seconda via La via dell’effetto La seconda via parte dal fatto che nell’esperienza di tutti i giorni ci è dato constatare che ogni effetto esige una causa. La via dell’effetto Ora, risalendo di causa in causa dobbiamo necessariamente concludere, questa l’argomentazione di Tommaso, che esisterà una causa prima, fonte di ogni altro effetto. Tale causa deve essere “incausata”, ovvero, non causata da altro. Per evitare quindi uno sterile regresso all’infinito, la ragione ci dice che dobbiamo fermarci e ammettere l’esistenza di una causa ultima: Dio. Le cinque vie La terza via La via della contingenza La terza via sostiene che nella realtà noi facciamo sempre l’esperienza di esseri che esistono. Tuttavia, la presenza della morte o del non venire all’esistenza di tanti esseri ci suggerisce che tutti noi potremmo anche non esistere. La via della contingenza Detto altrimenti, la nostra esistenza rappresenta un fattore eminentemente contingente (dopo tutto, ci è capitato di esistere). Ma il contingente esige il necessario Orbene, se esistono esseri contingenti deve esistere Dio inteso come ente necessario che ne giustifica l’esistenza. Le cinque vie La quarta via I gradi della perfezione La quarta via è detta da Tommaso, via graduum, la via dei gradi di perfezione. La via graduum L’esperienza ci mostra tutti i giorni che esiste nel mondo una scala gerarchica: tutti gli enti esistono, ma in modo differente. Esiste, in sostanza un più e un meno nell’essere. Ma tale gradualità può essere giustificata se e solo se la confrontiamo con l’Essere massimo (infatti, dobbiamo chiederci: «più o meno rispetto a quale parametro di riferimento?»). Dio esiste, quindi, in quanto è tale Essere massimo: l’Essere per sé, l’Essere a cui compete l’essere in grado massimo, mentre gli altri esseri hanno l’essere per partecipazione (posseggono solo una certa quantità, più o meno ampia di essere). Le cinque vie La quinta via L’argomento dell’ordine del mondo La quinta via parte dall’esistenza di un ordine del mondo (argomento teleologico). L’ordine del mondo Tale argomento si fonda sulla tesi secondo la quale il mondo e le vicende che lo animano, riflettono un preciso piano razionale e sono indirizzati al perseguimento di un fine ben determinato. Se accettiamo l’esistenza di un ordine e di un piano, questa in sintesi la conclusione tomista, dobbiamo ammettere l’esistenza di un artefice, di un ideatore, un ordinatore. Entro questa prospettiva Dio rappresenta il supremo artefice, l’architetto del mondo. Colui che determina l’ordine delle cose. P.S.: almeno fino all’avvento di Darwin. La natura di Dio e la felicità dell’uomo Le cinque vie si propongono di dimostrare l’esistenza di Dio, attraverso il metodo della causalità, vale a dire, in modo positivo. Tuttavia, Tommaso introduce un’altra possibile strategia in grado di perseguire il medesimo scopo, seppur utilizzando una procedura opposta, ovvero, un modo negativo. A sostegno di tale procedimento vi è la negazione dell’idea che Dio possa possedere le imperfezioni che caratterizzano le cose (teologia negativa). E dunque: Dio non è finito; non è composto da più parti; non è temporale; non è plurale. Di conseguenza: Dio è infinito, semplice, in-temporale, unico. Inoltre … Un ulteriore sviluppo della dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio, in un certo senso accostabile alla via graduum, è rappresentato dal metodo di attribuire a Dio le perfezioni che riscontriamo negli esseri intelligenti, ma portandole al massimo grado di potenza ed eminenza (via eminentiae). Esempio: Se gli uomini sono intelligenti Allora Dio è onnisciente. Infine Secondo Tommaso, l’attività creatrice di Dio non deve confondersi con quella del demiurgo platonico: che agisce su una materia pre-esistente; né deve confondersi con l’emanazione neoplatonico: che è derivazione necessaria del molteplice dall’Uno (detto più semplicemente: l’Uno di Plotino crea le cose suo malgrado). La creazione è una libera produzione del mondo da parte di Dio: una produzione dal nulla. Un atto libero che tuttavia non è privo di una finalità. Secondo Tommaso, infatti, Dio ha creato il mondo per comunicare al creato (e all’uomo in particolare) il proprio essere, la propria intelligenza e il proprio amore. Ne consegue … che, per l’uomo, il perseguimento della felicità coincide con la comprensione del disegno e del progetto ordinatore di Dio. Tra tutte le creature, l’uomo occupa il posto centrale: egli è il re dell’universo. Soltanto l’uomo è persona, e soltanto lui conosce e ama Dio: in ciò consiste la perfetta felicità o, in linguaggio teologico, la beatitudine o pienezza di vita. P.S. : almeno fino all’avvento di Copernico! Duns Scoto • La fede è più sicura della Ragione • La prova dell’esistenza di Dio • La natura di Dio (1265 – 1308) La fede è più sicura della Ragione Nel prologo al suo commento alle Sentenze Duns Scoto si chiede se la filosofia da sola possa stabilire quale sia lo scopo ultimo dell’uomo e quali siano i mezzi per conseguirlo ed afferma con tutta chiarezza che soltanto la teologia può rendere l’uomo sicuro del suo scopo e dei mezzi per ottenerlo. Duns Scoto assume che fine dell’uomo sia la beatitudine, l’incontro faccia a faccia dell’anima umana con Dio attraverso una semplice apprensione dell’intelletto: questo è lo stato in cui si trovano le anime beate del Paradiso. Ma per mezzo della sola ragione naturale l’uomo non potrebbe conoscere che un tale fine è possibile. E dunque … Dio non è oggetto della ragione, ma della rivelazione. La fede è più sicura della ragione La teologia, intesa come scienza pratica che si fonda sulle Sacre Scritture, può indicare all’uomo le conoscenze utili alla propria salvezza spirituale. La fede permette di arrivare a cogliere non solo le Verità di fede o i comandamenti della morale, ma anche quelle conoscenze che normalmente si fanno rientrare nel campo della ragione umana. P.S. : Come non mancherà di ricordare la Santa Inquisizione a Giordano Bruno e a Galileo Galilei. L’uomo deve tendere scientemente e deliberatamente verso il suo fine, come esige la sua natura. Da se stesso è incapace di sapere esattamente in che consista questo fine. Duns Scoto, Opera di Oxford Non è in noi un sol fatto di coscienza che stabilisca la possibilità o la convenienza della visione diretta di Dio. Abbandonato, quindi, alla sua ragione l’uomo non potrebbe concepire distintamente la convenienza di tale visione, come fine ultimo della natura. […]Ecco, dunque, la necessità di una dottrina soprannaturalmente manifestata. Duns Scoto, Opera di Oxford Ma come risolve il problema dell’esistenza di Dio ? La prova dell’esistenza di Dio Per sciogliere tale dilemma è necessario, innanzitutto, comprendere quale sia l’oggetto primo dell’argomentazione metafisica. Duns Scoto si schiera con Avicenna e contro Averroè nel sostenere che l’ente è l’oggetto primo della metafisica. Se pensiamo che Dio è l’oggetto della metafisica, siamo obbligati ad ammettere che la prova fisica a partire dal moto osservato è l’unica dimostrazione dell’esistenza di Dio, come aveva affermato Averroè. Ciò non solo subordinerebbe la metafisica alla fisica, ma esporrebbe la prova suddetta ad alcune critiche che invece non sarebbero efficaci nei confronti di un argomento metafisico. Avicenna Averroè Egli sceglie quindi di provare l’esistenza di Dio all’interno della metafisica e, poiché una scienza non dimostra i suoi principi ma piuttosto prende le mosse da questi, l’ente (e non Dio) è l’oggetto della metafisica. Ora … Ci si deve domandare se noi possediamo un concetto dell’ente che sia univoco e distinto dagli altri concetti. Ma sappiamo che noi abbiamo un concetto distinto dell’ente per il fatto che sperimentiamo in noi stessi la possibilità di concepire l’ente senza concepirlo né come ente in se stesso né come ente in un’altra cosa, perché quando concepiamo l’ente possiamo dubitare se esso sia ente in se stesso oppure ente in un’altra cosa. Non ci sto capendo ..ente! Più semplicem…ente L’ente può essere concepito in modo distinto soltanto perché è un concetto semplice privo di specificazioni. Un tale concetto resta interamente sconosciuto eccetto che esso non sia colto nella sua semplicità come un tutto ed in se stesso, cioè indipendentemente da altri concetti. Detto altrimenti, possiamo spiegare l’ente (ens) soltanto col dire che esso si applica a ciò «per cui non è contraddittorio essere». Questo significa, che il concetto di ente si riferisce a tutto ciò che può esistere, ossia si applica a qualunque cosa l’assunzione della cui esistenza non contiene alcuna contraddizione. Posta così la questione … Duns Scoto riformula l’argomento di Anselmo ritoccando la definizione con un’aggiunta che egli giudica essere decisiva: Dio è ciò di cui, quando sia concepito senza contraddizione, non può essere pensato uno più grande senza contraddizione. Ma qual è la natura di Dio ? La natura di Dio Ora, che esiste attualmente un Essere primo che è efficiente senza ulteriori specificazioni significa che esiste in atto un Essere assolutamente infinito. Tale Essere infinito è assolutamente semplice: questo significa che Dio non consiste di parti essenziali o quantitative diverse; similmente Dio non consiste di sostanza ed accidente. Nessuna creatura è assolutamente semplice, poiché ciascuna creatura contiene qualche potenzialità ed è passibile di qualche addizione. Ciascuna forma di complessità non sarebbe compatibile con il fatto che Dio è primo secondo tutti i gradi di eminenza. In questa semplicità assoluta, Dio differisce radicalmente dalle creature. Guglielmo di Ockham • Dio è inconoscibile • Il rasoio di Ockham (1280 circa – 1349) Dio è inconoscibile Guglielmo di Ockham porta alle estreme conseguenze la tesi sostenuta da Duns Scoto, ovvero, l’impotenza della ragione di fronte al sacro. Dio è totalmente inconoscibile e la sua esistenza non è dimostrabile. Dio si beffa della superbia umana. Egli non può essere raggiunto dalla ragione, perché è onnipotente, vale a dire assoluta libertà e pura volontà. Essendo libertà, Dio è imprevedibile: nessuno mai riuscirà a rinchiuderlo entro gli schemi logici della ragione umana. Se gli articoli di fede possono essere dimostrati? A tale questione rispondo che non possono essere dimostrati dall’uomo viatore né con dimostrazione a posteriori (quia) né con una dimostrazione a priori (propter quid) (Quodlibeta). Guglielmo di Ockham, Summa totius logicae Gli articoli di fede non sono principi di dimostrazione né di conclusioni né sono probabili, giacché a tutti o ai più o ai sapienti appaiono falsi; e ciò prendendo “sapienti” per i sapienti del mondo e per coloro che si avvalgono principalmente della ragione naturale, giacché in tal modo s’intende il sapiente nella descrizione che la scienza o la filosofia ne danno. Guglielmo di Ockham, Summa totius logicae Di conseguenza … Distrutta ogni possibilità di sapere razionale, Ockham assegna al campo della fede ogni possibilità di conoscere Dio. Ogni possibile verità - anche quelle che solitamente venivano considerate dagli scolastici come preambula fidei (propedeutiche, presupposti alla fede vera e propria): l’esistenza di Dio, l’immortalità dell’anima, alcune regole morali -, viene attribuita alla fede. La Fede è tutto! Tra fede e ragione c’è soltanto distanza e differenza. Tra teologia e filosofia c’è ostilità e contrapposizione. E ancor più incisivamente … Quando si parla di Dio, non vi è nulla che possa essere considerato ragionevole. Tutti i paradossi sono possibili. Dio può fare tutto e il suo contrario. Dio è libertà assoluta. E per tale ragione egli non può essere conosciuto, né le sue scelte sono oggetto di previsione. Il rasoio di Ockham Nella riflessione epistemologica medievale un interessante dibattito è quello relativo al problema degli universali intercorso tra nominalisti e realisti. I nominalisti asserivano la non esistenza di concetti universali; di opposta opinione erano invece i realisti. Guglielmo di Ockham sostenne una posizione nominalista. Egli riteneva che in realtà esistono soltanto cose singole e individuali e ogni altro argomento teso a moltiplicare il numero degli enti o a complicare pretestuosamente qualsivoglia ragionamento costituisce solo un’oziosa e sterile divagazione priva di senso. A tal proposito … Egli elabora un metodo decostruttivo, secondo il quale tutta l’architettura filosofica deve essere abbandonata. Tale criterio afferma: Non sunt multiplicanda entia praeter necessitate (Non si moltiplichino gli enti se non necessario) Tale strategia prende il nome di Rasoio di Ockham P.S. : Qualcosa di simile sarà affermato anche da Newton. FINE