Parrocchia Santa Maria della Consolazione Il Cantico dei Cantici don Alfonso Capuano Il poema dell’amore Quale testo biblico può raffigurare in modo alto ed esemplare l’evento che ripropone la consacrazione dell’amore umano? La risposta è facile: il Cantico dei Cantici! Il titolo di questo poemetto “ispirato” ricalca l’originale ebraico che è un superlativo semitico destinato a indicare “il canto per eccellenza”, “il canto sublime”, l’Hohelied, come traducono i tedeschi, cioè il canto più alto. Il poema dell’amore Come arginare, anche solo in un catalogo, le libere riprese del poema biblico negli scritti cristiani dei Padri della Chiesa, della liturgia, della tradizione medievale e dell’esegesi moderna? Come raccogliere la produzione giudaica che dalla Sinagoga alla poesia ebraica dei secoli recenti ha attinto al Cantico? Il poema dell’amore E l’influsso sulla letteratura italiana e straniera da Dante a Turoldo (che al poemetto biblico ha riservato uno spazio rilevante nei suoi ultimi scritti)? E le traduzioni letterali, poetiche e persino dialettali (ce ne sono anche in dialetto sardo e napoletano)? Il poema dell’amore E il Cantico dipinto? Caravaggio nel Riposo nella fuga in Egitto ritrae Giuseppe mentre regge, di fronte all’angelo che suona il violino, lo spartito di un mottetto del musicista francofiammingo Noel Bauldewijn che riprende alcuni versetti del Cantico dei Cantici (7,7-8; 7,6a.5a; 7,12a.13). Il poema dell’amore Chagall ci ha lasciato almeno cinque oli su tela conservati al museo “Il Messaggio biblico” di Nizza e dedicati alla moglie Vava. Marc Chagall Le cinque tele che illustrano il Cantico dei Cantici offrono cinque variazioni sull'unico tema dell'amore. Il Messaggio biblico si articola in cinque grandi dipinti ispirati a uno dei testi più singolari dell'Antico Testamento, il Cantico dei Cantici, che esprime l’amore di uno sposo per una sposa. Le cinque versioni sono altrettante variazioni su questo tema: corpi femminili cullati da un felice ricordo, spose abbandonate tra cielo e terra, amanti che si richiamano, si separano ed infine si ricongiungono. Marc Chagall "Dormo, ma il mio cuore veglia"(Ct, V,2) Il Cantico dei Cantici II ha un unico motivo ingrandito: l'albero inclinato appare come una palma sulla quale riposa l’amata (che per la posa ricorda la Venere di Giorgione). Sulla città di Gerusalemme uno spicchio di luna suggerisce la notte. Vicino al re David, alato come un angelo, sopra al trono di Salomone, un albero rovesciato sottolinea il carattere onirico del quadro. La sfumatura di colore scelta è il rosa sensuale della carne, che tende al bianco per illuminare il corpo dell’amata. Le linee sinuose del quadro evocano il letto di foglie sul quale essa riposa, leggera e vaporosa per suggerire l’aria nella quale l’albero sembra ondeggiare. Marc Chagall Il Cantico dei Cantici III ha una trama di cerchi che si intersecano e sono attraversati da linee oblique ed orizzontali, il tutto a raccontare una coppia di sposi. Nel cielo in cui sono celebrate le nozze due personaggi sorreggono un baldacchino, secondo la tradizione ebraica, mentre un angelo reca un candeliere acceso. Nel quadro è possibile trovare anche l’itinerario personale di Chagall nel momento in cui dipinge il Messaggio Biblico: sono infatti presenti sia Vence, dentro alle mura di cinta raccolta attorno alla cattedrale, che Vitebsk con la chiesa ortodossa e le sue casette. L'acrobata che cammina sulle mani, in alto a destra, evoca il circo, tema ricorrente nella pittura di Chagall. Marc Chagall La quarta composizione è dominata dalla diagonale formata dal cavallo alato che trasporta il re David e Bethsabea. L’effetto di movimento è dato dalle ali spiegate e dalla presenza della città sulla quale le figure paiono proiettate in pieno cielo. I rosa delicati delle tele precedenti lasciano posto a rossi-arancio scuriti da tocchi di nero. In questa atmosfera riappare la folla dei quadri di Chagall: maternità, rabbini, arabi erranti, innamorati. La folla che celebra l’amore tra l’uomo e la donna celebra così il loro Creatore. Il cavallo alato è un tema dell’immaginario russo: legato al fuoco, simboleggia l’impeto del desiderio, la giovinezza dell’uomo e la sua fecondità; ma il cavallo bianco nel cielo rappresenta Marc Chagall Il quadro conclusivo riassume un po’ i precedenti. Un sole multicolore illumina la coppia, il re David, il corpo femminile, le città e la musica. La composizione è organizzata attorno ai due paesaggi interiori dell’artista: Vitebsk a destra e Gerusalemme a sinistra. Sopra la città il salmista reale cammina nel cielo ad incontrare la sposa. Il tema musicale domina questa tela; sotto la figura di David che suona l’arpa, dei musicanti suonano e cantano. Il poema dell’amore Per non parlare dell’immenso “pentagramma” del Cantico che pervade la musica liturgica, soprattutto mariana, a partire dalla polifonia rinascimentale, che trionfa con Palestrina (ventinove mottetti sul Cantico); passando poi al Seicento con Monteverdi, Charpentier, Buxtehude, al Settecento con Handel, all’Ottocento con il Cantico Canticorum op. 120 di Bossi, al Novecento con Honegger, Bloch, Pizzetti, Stravinskij, Berio, Penderecki e persino con la canzone The man I love di Gershwin... Il poema dell’amore Sono solo alcuni cenni per ricordare un vero e proprio pianeta d’amore che nel Cantico ha trovato la sua stella. Un commentatore, André Robert, affermava che «non c’è libro biblico che non abbia esercitato sull’anima cristiana un effetto di seduzione comparabile a quello del Cantico. Non c’è altro che questo breve poema ad aver sfidato gli sforzi degli interpreti». L’autore del testo Poiché, per tradizione, Salomone aveva composto dei cantici (1Re 5,12), è stato attribuito a lui questo che è il cantico per eccellenza, da cui il titolo del libro (1,1). A causa del titolo, il Cantico fu messo tra i libri sapienziali, nella Bibbia greca dopo l’Ecclesiaste, nella Volgata tra l’Ecclesiaste e la Sapienza, appunto due libri “salomonici”. Nella Bibbia ebraica il Cantico è posto tra gli “scritti”, che formano la terza parte, la più recente, del canone ebraico. Dopo l’VIII secolo d.C., quando il Cantico fu usato nella liturgia pasquale ebraica, divenne uno dei cinque megillot o rotoli, che venivano letti nelle grandi feste. Linguaggio ed interpretazione Questo libro, che non parla di Dio e che usa il linguaggio di un amore passionale, ha sempre meravigliato gli esegeti. Nel I secolo d.C., in ambienti ebraici, sorsero dubbi sulla sua canonicità e furono risolti ricorrendo alla tradizione. "Il mondo intero non vale il giorno in cui Israele ricevette il Cantico dei Cantici: tutte le Scritture sono sacre, ma il Cantico dei Cantici è la più sacra di tutte." Rabbi Aqiba Linguaggio ed interpretazione Al Concilio di Jamnia, del I secolo, i dotti ebrei si riunirono per decidere quali testi dovessero essere considerati Sacre Scritture. Rabbi Aqiba, apprezzato studioso ebreo del tempo, dimostrò in modo persuasivo che il Cantico dei Cantici era scrittura divina e che, anzi, questo capolavoro rappresentava il punto più alto delle scritture ebree. Per gli ebrei di quel periodo il Cantico era una raccolta di poemi sulla santità dell'amore e sull'amore di Dio verso Israele. Linguaggio ed interpretazione Non esiste libro dell’Antico Testamento di cui siano state proposte interpretazioni più divergenti: inno all’amore umano, celebrazione dell’amore nuziale tra Dio e Israele, canto dell’eros e dell’innamoramento, sciarada spirituale densa di crittogrammi da decifrare, spartito di un rituale liturgico, copione di dramma pastorale o sacro e altro ancora. Linguaggio ed interpretazione Forse aveva ragione un antico commentatore rabbinico, Saadia ben Josef, il quale comparava il Cantico a una serratura di cui si è persa la chiave. Agli estremi ci sono due interpretazioni antitetiche. La prima è quella di chi legge il poema biblico come una variante della poesia erotica orientale. Linguaggio ed interpretazione Lo studioso francese Renan, ad esempio, associava il Cantico a Qohelet per affermare che essi sono rispettivamente «un libretto erotico e un opuscolo di Voltaire nascosti tra le grandi pagine di una biblioteca di teologia». Linguaggio ed interpretazione A tale concezione “letterale” nel senso più rigido del termine, si era opposta l’interpretazione allegorico-spirituale, trionfante nel giudaismo e nell’esegesi cristiana antica, che con passione intravedeva nel Cantico la celebrazione della relazione tra Dio e Israele, tra Dio e la Chiesa, tra Cristo e l’anima, tra lo Spirito Santo e Maria. Il testo, apparentemente erotico, diveniva un cifrario segreto che conteneva ben altri amori e ben altri personaggi, non più carnali ma spirituali. Linguaggio ed interpretazione Così il bellissimo detto della donna in Cantico 1,13 - «il mio amato è per me un sacchetto di mirra che pernotta tra i miei seni» - con l’immagine orientale della teca di mirra che “pernotta” e quindi dimora tra le braccia della donna, rappresentazione dell’abbandono tenero e profumato dei due innamorati nell’abbraccio d’amore, evocazione di un rifugio sereno simile a un giardino di delizie, diventa nell’interpretazione allegorica, cioè libera spirituale, una descrizione dello studio notturno del fedele che legge i “due seni” dell’Antico e del Nuovo Testamento. Linguaggio ed interpretazione In realtà noi dobbiamo cercare di tenere uniti entrambi i significati, quello dell’amore umano e quello simbolico dell’amore trascendente. Il Cantico parte, dunque, dall’eros, dall’amore di coppia nella sua pienezza anche carnale, ma coinvolge molteplici iridescenze e va oltre. Linguaggio ed interpretazione L’amore umano pieno, dove corporeità ed eros sono in comunione, senza svaporare in sigla spirituale, giunge di sua natura a dire il mistero dell’amore che tende all’infinito e può raggiungere il mistero divino. Persino Guido Ceronetti, nella sua discutibile e un po’ affannata interpretazione erotica del Cantico (ed. Adelphi), deve riconoscere che «la lettura erotica non ha senso se il letto degli amori non è rischiarato da una piccola lampada che rischiari, attraverso quei trasparenti amori, il Nascosto». Linguaggio ed interpretazione Inno molteplice e variegato dell’amore, il Cantico celebra umanità, passione ed eros, ma anche la capacità dell’amore umano di essere segno di infinito, di pienezza, di totalità. Piantato nella terra, l’amore umano autentico fiorisce e si ramifica nei cieli. Linguaggio ed interpretazione Dove uomo e donna si amano in modo vero e completo, là appare il mistero dell’Amore supremo divino. Guai, però, a spezzare il simbolo: avremmo solo corpi avvinghiati o angeli danzanti e non l’armonia tra corpo e spinto nell’agape, l’Amore pieno e perfetto. Contenuto CANTICO DEI CANTICI Un dialogo tra “eros” e “agape” Mostra di arte contemporanea sul “Cantico dei Cantici” organizzata dalla Diocesi di Terni-Narni-Amelia Contenuto Lei: “Mi baci con i baci della sua bocca! Il tuo amore è davvero più dolce del vino, migliore del profumo dei tuoi unguenti. Il tuo nome è “olio di Turaq”…conducimi dietro a te, corriamo!… gustiamo il tuo amore più del vino!” (1,2-4) Marco Lodola non stupisce per il materiale che usa (perspex e luci al neon) perché è il materiale che sempre ha usato ed usa nelle sue opere, ma per l’assimilazione del bacio appassionato al cuore carnale (non sdolcinato), che pulsa amore, ancor più perché deve distribuire linfa vitale a due corpi in uno. L’abbraccio sottolineato indica che c’è stato un inizio, un approccio, uno sguardo, un incontro che si è concluso nel bacio d’amore, e che sarà più denso e concreto dopo. Quel bacio così desiderato è presente nel Cantico ad indicare che l’oggetto amato va riempito di affetto e di baci perché questo è il linguaggio silenzioso degli amanti. Contenuto Lei: "conducimi dietro a te, corriamo! Il re mi ha fatto entrare nelle sue stanze. Rallegriamoci, siamo felici grazie a te! Gustiamo il tuo amore più del vino! Hanno ragione ad amarti!” (1,4) Bruno Chersicla più anziano d’età e di esperienza del gruppo scelto, propone una coppia profondamente inserita nella civiltà contemporanea. Intende dire la possibilità di isolamento rispetto al resto del mondo che si ha quando due amanti si incontrano; vengono esclusi tutti dalla loro intimità: si trovano in un giardino dove scorre il vino e dove l’offerta dell’uno all’altro è esplicita e senza pudore alcuno. Celebra la passione d’amore l’artista e in essa, collocandola al primo piano rispetto alla città che vive, vede il fondamento di una realizzazione possibile verso quella unità che solo l’amore riesce a far realizzare a due esseri umani. Lo stare insieme è altra cosa che lo stare soli (l’uomo alla finestra) elimina l’esaltazione dell’ego ponendosi allo stesso piano degli altri. Contenuto Lei: “Dimmi mio amato, dove pascolerai il gregge, dove lo farai riposare a mezzogiorno, perché io non sembri una donna velata presso le greggi dei tuoi compagni”(1,7) Lui: “Come sei bella, amica mia, come sei bella! I tuoi occhi sono come colombe!” (1,15) Stefano Di Stasio colloca immediatamente il rapporto d’amore all’inizio di una ascesa verso una dimensione spirituale sì elevata, perché posta nel cielo, ma anche faticosa nel mantenerla costante in quanto ascesa, scalata da fare per arrivare alla meta futura. Una vita da vivere insieme dunque, un’esistenza condivisa che darà luce e fondamento alla città/istituzione sociale. Dall’eros all’agape. Contenuto Lui: “Mi ha condotto in una ‘casa del vino’; la sua insegna sopra di me era amore! Ristoratemi con dolci d’uva, sostenetemi con mele, perché sono malata d’amore! La sua mano sinistra è sotto il mio capo, la sua destra mi abbraccia” (2,4-6) Carlo Bertocci fa della vigna il luogo da cui scaturisce la sorgente della vita. Il succo dell’uva, il vino inizia a scorrere nella mano di un lui, che si sacrificherà per amore dell’altra, diventerà lo sposo non di una singola persona ma di una intera, eterna, comunità di fedeli, la stessa Chiesa. L’immagine che evoca l’artista è quella dell’eucaristia, immagine già interpretata dai padri che nel Cantico vedevano l’amore di Cristo per la sua Chiesa, la sua sposa. Anche qui il cammino dall’eros all’agape è evidente. Contenuto Lei: “Il mio amore assomiglia ad una gazzella o ad un cerbiatto… parla e mi dice: Lui: “Alzati, amica mia, mia bella, vieni! Guarda: l’inverno è passato, le piogge se ne sono andate, sono sparite. Appaiono i fiori nella campagna, è tornato il tempo della potatura” (2,10-12) Sergio Fermariello napoletano, nello stile che gli è proprio propone un giardino edenico (l’albero che domina) con la coppia originaria che quasi timida inizia il suo approccio amoroso. Lo stile a linee e tratti discontinui fissano l’immagine quasi disegno rupestre; sembra voler dire una sua storicità data ormai persa nella sua purezza e nel suo candore, una vita rurale, un amore rurale che nella sua eleganza ripropone una forma d’amore legata fortemente alla terra, che si ciba della terra che feconda nella terra. E’ un invito al ritorno all’origine dell’amore quando veniva fatto al solo cospetto di Dio. Contenuto Lui: “Mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, fammi vedere il tuo viso, fammi udire la tua voce! Perché la tua voce è dolce, bello è il tuo viso!…Prima che soffi la brezza del giorno e le ombre diventino sfuggenti, voltati, amore mio, e sii come una gazzella o un cerbiatto sulle montagne separate” (2,14-17) Ubaldo Bartolini non smentisce il suo inconfondibile stile. La grandezza, l’immensità la mistica dei suoi paesaggi metafisici collocano la ricerca dell’amore nel cuore stesso della contemplazione. Lui è lì quasi invisibile, di fronte alle rocce, alle sue fenditure, dove spera veder uscire l’amata, ma è in una preghiera che fonda la speranza di trovarla; è nella contemplazione solitaria che lo sposo percepisce il bisogno di un amore tanto più grande quanto più lo è la sete di Dio. Qui la visione del Cantico come amore senza condizioni di Dio per il suo popolo acquista forma ascetica, quasi monastica nella sua purezza. Contenuto Lui: “Uscite a vedere, ragazze di Sion, il re Salomone e la corona che sua madre gli ha messo il giorno delle sue nozze, il giorno della gioia del suo cuore!…Sei un giardino chiuso a chiave, sorella mia, fidanzata, una sorgente chiusa a chiave, una fontana sigillata! I tuoi canali sono un giardino di melograni con frutti prelibati; hènna con nardo, nardo con zafferano, cannella e cinnamomo, con ogni pianta d’incenso, mirra e aloe, con tutti gli aromi di prima qualità” (3,11.4,12-15) Dino Cunsolo siciliano, è depositario dell’immaginario mediterraneo comprensivo della cultura greca ma anche di quella islamica del nord africa e di quella barocca di origine spagnola. Descrive, con l’artifizio di una carrozza trainata da cavalli, una delle immagini del Cantico il cui protagonista è lo stesso Salomone; sembra rapire la sposa che accompagnata dalle amiche, si separa dal resto del mondo per trovare con lo sposo una totale intimità nel giardino ritrovato, nell’“ortus conclusus”, della santità dell’amore di coppia. Sembra che un’intero harem accompagna il sultano nel suo convolare a nozze, Urì danzanti che faranno da sottofondo all’amplesso imminente. Contenuto Lui: “Come sei bella, amica mia, come sei bella! I tuoi occhi sono come colombe, dietro al tuo velo. I tuoi capelli sono come un gregge di capre che scende dal monte Galaad”. (4,1) Riccardo Cinalli colloca gli amanti dietro o sopra dei tulipani, fiore con bulbo, così come fiori con bulbo sono quelli citati dal cantico, come per esempio il narciso. Questi fiori sono i primi a sbocciare a primavera espandendo il loro penetrante profumo che quasi stordisce. Qui i due sono gia nella loro estasi, sono già beati nel loro amore fino a diventare icona fissa nel tempo. Non può che essere immagine d’amore quella che l’artista ci propone e di un amore che quasi non esiste più nella sua purezza, nel suo sapore di eterna primavera. Contenuto Lei: “Dormivo, ma il mio cuore vegliava. Un rumore! Il mio amore bussa”. Lui: ”Aprimi sorella mia, amica mia, mia colomba, mia perfetta! Il mio capo è coperto di rugiada, i miei riccioli di gocce di notte!”. Lei: Mi sono tolta la tunica; come posso rimetterla? Mi son lavata i piedi; come potrei sporcarli?… Mi sono alzata per aprire al mio amore” (5,2-5) Bruno Ceccobelli come è nel suo stile, completa l’immagine di elementi naturali, qui con tessuto, per dare consistenza “carnale” alla forma comunicativa. C’è una donna una amante che gioca nascondendosi dietro foglie di piante da giardino; lascia intuire che sta giocando con chi osserva l’opera diventando l’arte essa stessa una possibile amante; ma dice anche che bisogna mettersi in discussione, uscire da se stessi per incontrare l’amore, per andare al di là delle foglie per congiungersi all’amata. Il suo è un invito a mettersi nel panni di uno dei due personaggi del Cantico per assumersi la propria responsabilità di fronte all’amore che liberamente si dona. Contenuto Lei: “Il mio amore è sceso nel suo giardino, nelle sue aiuole di spezie, per pascersi nei giardini, per raccogliere gigli. Io sono del mio amore e il mio amore è mio, egli che si pasce fra i gigli!” Lui:” Sei bella, amica mia, come Tirza, bella come Gerusalemme, terribile come cose strabilianti!” (6,2-4) Paolo Borghi modella due forme, maschile e femminile che diventano una sola cosa, una sola carne, a sostegno di una roccia sulla quale è collocata una città. Sulla sommità del dorso maschile monti e colline, su quello femminile un giardino. La roccia, in realtà ha due significati perché può essere vista come una grande fiamma. Cosa significa ciò se non la realizzazione visiva della trasformazione dell’eros in agape? Infatti che l’artista voglia dire questo lo si può dimostrare dicendo che dalla forza dell’eros (la compenetrazione di corpi carnali) e dall’unione sponsale nasce la base, la roccia su cui si fonda la società (la città alla sommità della scultura); ma anche spiritualmente si arriva alla stessa conclusione, infatti è dall’unione di due corpi attratti dall’amore che scaturisce quella fiamma di passione e d’amore che con la sua energia sostiene la comunità umana in vista della riunificazione nella Gerusalemme celeste passando dalla contemplazione (il giardino sul dorso femminile) alla unione con Dio sulla sacra montagna (i monti sul dorso maschile). Contenuto Lui: “…il tuo collo è come una torre d’avorio. I tuoi occhi sono vasche di Heshbon, presso la porta di Bat-Rabbim. Il tuo naso è come la “Torre del Libano” che guarda verso Damasco. Il tuo capo si erge sopra di te come il Carmelo; i capelli sul tuo capo sono come porpora; un re è prigioniero delle sue trecce!” (7,5) Alberto Abate nella sua capacità lirica e poetica descrive l’amata seguendo il percorso dei versetti del Cantico e dandole forma la rende presente non nella sua nudità ma nel suo ruolo sociale e culturale. La femminilità per lui non è mai volgare, il nudo è da scoprire l’intimità va conquistata per far sì che il fiore sbocci e rallegri l’anima con la sua bellezza. Contenuto Lei: “Ponimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio. Perché Amore è forte come la morte, inesorabile come l’Inferno è passione. Le sue fiamme sono fiamme ardenti, un fuoco inarrestabile. Grandi acque non potranno spegnere l’amore, i fiumi non riusciranno a sommergerlo” (8,6-7) Oliviero Rainaldi descrive la donna nel suo aspetto materno, inserita già nella contemplazione delle cose della vita ivi compreso l’amore. Si guarda nelle acque dell’esistenza che, nella solitudine dovrà trovare la linfa vitale e spirituale per sorreggere l’amato sconosciuto, assente, ma che trova se vuole terra feconda, già pronta perché già carica di speranza senza fine. Contenuto Lui: “Tu, abitatrice di giardini! Alcuni amici ascoltano la tua voce: fammi sentire!” Lei: “Fuggi amore mio, simile ad una gazzella o ad un cerbiatto, sui monti degli aromi!” (8,13-14) Antonio Violetta nel suo minimalismo, ha quasi una sorta di pudore nel togliere il velo della sposa; il suo sguardo è sufficiente per lui ad incoraggiare l’altro, oltre cortina, ad avvicinarsi, a non aver paura. E’ forse il giovane che spia la ragazza che si sta preparando con unguenti profumati all’incontro con lui? E’ un amore che già c’è ma che va scoperto? E’ il momento dell’assenza quando lei disperata chiede aiuto, nel Cantico, per ritrovare il suo amato? In ogni caso anche Violetta vede nella sposa l’oggetto a cui dare la vita e per sempre, aiutandola nel cammino di trasfigurazione frutto di una perenne giovinezza che solo l’amore può dare. Fonti bibliografiche principali G. Ravasi, Il poema dell’amore, www.novena.it/ravasi/ravasi2000/412000.htm G. Ravasi, Un inno all’amore, www.novena.it/ravasi/ravasi2000/422000.htm Enciclopedia cattolica, www.qumran2.net/enciclopedia Paola Bellini, I cantici, http://xoomer.alice.it/pabelli/cote_d'azur/cantici.htm