Scuola: emancipazione-lavoro Accesso a istruzione di base/ secondaria/sup: accesso a lavori terziario, qualificati, professioni (sbarramento) Maestre: Normale Lavori nuovo: levatrici, segretarie, etc. Analisi locali: istituzioni e figure di “donne nuove”: celebri e non, laiche e cattoliche Arco temporale: secolo lungo: lunga durata modelli educativi (libri di testo, devozione, letture amene, trattatistica) . Caso di VR Fine ‘800 primi ‘900 e in modo accentuato nell’età giolittiana: novità Congresso Nazionale donne italiane 1908 (donna conferenziera Lisa Noerbel madre forte di M.Montessori, l’imprenditrice agronoma di Maria Camperio): non tanto dimostrazione di capacità professionali in campi tradizionalmente maschili, bensì di sottolineare competenze e professionalità, secondo un’ottica di genere femminile. Bonghi • fare in modo che l’istruzione non sposti artificialmente dalle missioni naturali né ecceda i bisogni e i desideri del paese e delle famiglie, che se domandano qualcosa di più, non chieggono certo l’Università per le loro figliole”. • Per Bonghi, quindi favorire l’accesso agli studi secondari e superiori non significava rispondere ad una domanda d’istruzione, bensì crearla “artificialmente”, introducendo bisogni nuovi e non rispondenti alla natura. Bonghi 1875 Univ.aperta alle donne • nel 1883 le ragazze furono esplicitamente e definitivamente autorizzate a frequentare la scuole classiche. • Nel 1889-90 le giovani iscritte ai licei governativi e pareggiati in Italia erano 44, mentre 351 studiavano nei ginnasi. Dieci anni dopo le cifre erano salite rispettivamente a 287 e 1.778. • Complessivamente, le lauree rilasciate dal 1877 (1° laurea) al 1899 furono 257. Ben 169 laureate provenivano dall’ateneo di Torino, seguivano Roma con 32, Pavia con 30, Padova con 29, Bologna con 22 e Napoli con 18. Si trattava di università di primo grado, che avevano tutte le facoltà ed un numero di studenti alto, mediamente intorno ai 1500. In proporzione, erano molte le 16 laureate di Firenze, le 14 di Pisa, ma anche le 6 di Milano. • Con la parziale eccezione di Torino, il conseguimento della laurea era infatti inteso in genere come un fatto eccezionale, che non apriva la strada alle professioni. Infatti su 257 lauree conferite sino al 1899, ben 140 erano in lettere, 37 in filosofia, 30 in scienze naturali, 24 in medicina, 20 in matematica, solo 6 in giurisprudenza. • se l’accesso delle donne all’università fu un fatto minoritario, l’impossibilità giuridica o l’ostilità sociale all’ingresso nelle professioni venne a impedire lo sbocco lavorativo. Docenza universitaria • La docenza universitaria era considerata troppo impegnativa per consentire alla donna di conciliare il lavoro con la famiglia, ma, si diceva, solo pochissime donne avrebbero intrapreso una simile carriera, donne dal carattere mascolino e pertanto disposte a non sposarsi. • Erano cioè donne che rifiutavano il loro ruolo naturale, ma che per la loro eccezionalità non mettevano in crisi un sistema consolidato. Le prime 5 libere docenti • Giuseppina Cattani, patologia generale (1887) Bologna • Rina Monti, anatomia e fisiologia comparata (1899) Pavia • Teresa Labriola, filosofia del diritto (1901) Roma • Paolina Schiff, lingua e letteratura tedesca (1903) Pavia • Maria Montessori, antropologia (1904) Roma • Tra loro, solo la Monti ottenne la cattedra, entrando nei ruoli di docente ordinario, prima donna in Italia, nel 1911. Giuseppina Cattani • Nata a Imola nel 1859, ebbe sempre l’esenzione dalla tasse universitarie, per misere condizioni economiche della famiglia. La madre era una levatrice, il padre, dapprima sarto, era guardia carceraria. Forse il mestiere della madre spinse Giuseppina agli studi medici. Laureatasi a Bologna nel 1884, lavorò nel laboratorio di patologia generale del professor Guido Tizzoni. Nel 1886 prese parte al concorso per professore ordinario di patologia generale nell’Università di Parma, presentando 10 pubblicazioni. La commissione, di cui faceva parte Camillo Golgi, le accordò l’eleggibilità a pieni voti e le attribuì 38/50. Il primo classificato ebbe 43/50. Nel 1887 ella ottenne una borsa di studio per il perfezionamento all’estero, e si recò a Zurigo, presso l’Istituto di patologia di T.A.E.Klebs, ove restò un anno. Sempre nel 1887 ottenne la libera docenza in patologia generale, presso l’Ateneo di Torino. La commissione, presieduta da Giulio Bizzozero, stilò una relazione positiva, evidenziando che ella aveva iniziato a pubblicare quando era ancora studentessa. La sezione medica del Consiglio superiore approvò all’unanimità il conferimento, plaudendo alla perizia sperimentale, alla competenza metodologica, alla capacità interpretativa della Cattani, che ottenne il titolo con DM 5 maggio 1887. • Il 25 giugno 1887 la facoltà medica di Bologna approvò la sua domanda di trasferimento e la Cattani iniziò a insegnare nella città felsinea, ove tenne il corso libero di batteriologia. Pubblicò importanti studi di microbiologia, e nel 1890, con Tizzoni, scoprì il siero antitetanico. • Fu politicamente attiva, a soli 17 anni entrò nelle file internazionaliste che Andrea Costa andava organizzando e fu la dirigente di uno dei gruppi femminili. Si impegnò a favore dei più poveri e dei carcerati. • Nel 1897 tornò alla città natale di Imola, ove diresse il gabinetto di radiologia e la sezione di anatomia patologica e batteriologia dell’Ospedale, che proprio in quegli anni subì una trasformazione radicale, grazie all’impegno di politici democratici, divenendo un centro di assistenza e ricerca all’avanguardia. Come è stato osservato, si può pensare che la scelta della Cattani di lasciare il mondo accademico per un incarico direttivo ospedaliero la gratificasse maggiormente sotto il profilo professionale e, presumibilmente, soddisfacesse il suo impegno sociale. Paolina Schiff • ebrea, nata a Mannheim nel 1841, giunse bambina a Milano. Vicina a radicali e democratici, per tutta la vita manifestò un forte impegno politico. Collaborò con La donna della Beccari, con la Mozzoni, con la Kuliscioff, con Alessandrina Ravizza.. Nel 1880 con la Mozzoni fondò la Lega promotrice degli interessi femminili, nel 1883 sempre con lei fondò il primo sindacato femminile, quello delle orlatrici. • Paolina Schiff avanzò domanda di libera docenza una prima volta nel 1885, per lingua e letteratura tedesca. Il Consiglio Superiore della pubblica istruzione rifiutò la sua istanza, ritenendo che le sue competenza fossero relative solo alla lingua e non alla letteratura. A quella data, la Schiff aveva però al suo attivo, oltre a traduzioni e a un romanzo, un’opera di 260 pagine sulla letteratura e la metrica tedesca. • Nel 1886 la Schiff fece domanda presso l’ateneo pavese per tenere un corso libero di lingua e letteratura tedesca. Nel 1888 pubblicò un libro sulla letteratura medievale tedesca. Nel 1889 la Schiff, forte di questi due anni di insegnamento (sia pur limitato ad alcune conferenze), fece nuovamente domanda per la libera docenza • Il 26 gennaio 1890 il Consiglio superiore giudicò i suoi titoli «certamente di molto valore, ma non sufficienti, perché la sig.na Schiff possa ottenere la libera docenza senza esame». • La commissione (Univ.TO) presieduta da Arturo Graf, stroncò la Schiff. Ella presentava i due volumi sulla letteratura tedesca, e un terzo sulla poesia in Germania, oltre alle traduzioni e a varie • conferenze. La commissione «notava così nell’interrogatorio come nella lezione di prova un gran disordine ed una confusione di idee veramente straordinaria». Alla Schiff era stata assegnata una lezione su Herder, e le erano state poste domande sul Romanticismo, sul romanzo storico e sulla grammatica. Le si contestò di non possedere metodo didattico e di non saper esporre i concetti in modo logico. Anche le sue cognizioni grammaticali «non sembrano troppo fondate». Tuttavia a maggioranza si ammise che aveva cognizioni filosofiche e culturali abbastanza estese. La sua domanda fu rigettata, con un voto favorevole e quattro contrari, il 15 dicembre 1890. • In seguito ad una nuova richiesta, il 12 ottobre 1891 la commissione accondiscese alla domanda, purché la Schiff si attenesse «in limiti più angusti», ovvero si limitasse ad insegnare in modo pratico gli elementi della lingua tedesca, senza avventurarsi nella storia della letteratura. La docenza ottenuta a Torino fu trasferita a Pavia con RD 13 febbraio 1892. • Nel medesimo anno ella diventò assistente universitaria di Felice Cavallotti, che conosceva da tempo e di cui apprezzava la militanza politica ed entrò nell’appena fondato PSI. Collaborò con numerose riviste femministe e socialiste. • La Schiff non si rassegnò alla limitazione impostale, e avanzò nuovamente domanda di libera docenza, a Milano, presso l’Accademia scientifico-letteraria. • Stavolta la commissione, riunita a Roma, fu più benevola e pur notando qualche difetto nei suoi scritti, ne lodò lo stile sia in lingua italiana che tedesca, nonché la conoscenza di vari settori della letteratura tedesca. «Vero è che noi abbiamo saggi di più profonda critica, di ricerche nuove», osservava la commissione, ma i lavori della Schiff erano comunque pregevoli e «l’ingegno non le manca». Il 19 giugno 1893 ella fu così abilitata ad insegnare a Milano sia lingua che letteratura tedesca. • Quando il ministero approvò l’istituzione, a Pavia, della cattedra di lingua e letteratura tedesca, il 5 novembre 1895 ella chiese al rettore Golgi che le fosse conferita con incarico ufficiale. Il 14 novembre la Facoltà fu chiamata ad esprimersi. Oltre alla Schiff, aveva fatto domanda il professor Guido Rota-Rossi, la cui domanda fu però rigettata in quanto egli non vantava la libera docenza. La Schiff restava l’unica candidata, ma il preside Bellio domandò se non ci fosse qualche docente di ruolo che accettasse l’incarico. Credaro propose che l’incarico fosse dato a rotazione a docenti di ruolo della Facoltà. In tal modo, l’incarico viene affidato al prof. Pietro Rasi, che già l’anno prima aveva insegnato tedesco e che era straordinario di lingua e letteratura latina. L’escamotage tagliava fuori la legittima domanda della Schiff. • Non doma, nel 1899 la Schiff fece domanda per poter estendere il corso pavese anche alla letteratura. La Facoltà però approvò solo la parte linguistica, facendo osservare che il titolo della libera docenza per Pavia era «Insegnamento pratico degli elementi grammaticali di lingua tedesca e degli elementi della storia della letteratura tedesca», «titolo al quale non pare corrisponda il programma della parte letteraria del corso». • A quel punto, la Facoltà, evidentemente stanca delle continue pressioni della donna, pose il quesito se ella potesse insegnare sia a Pavia che a Milano. Il rettore, nell’inoltrare la domanda al ministro, rimarcò che il dubbio non nasceva per la prima volta e aveva cura di sottolineare che la Schiff «non dimora in Pavia, sebbene a Milano e che in questa Regia Università s’impartisce pure un altro insegnamento di letteratura tedesca a spese del Fondo Porta», quasi a dire che, insomma, la Schiff se ne poteva restare a Milano. La condiscendenza con la quale nel 1886 le era stato concesso di tenere alcune conferenze era un ricordo. La risposta del Consiglio superiore fu che ella poteva insegnare in entrambe le città, dato che risiedeva a Milano, città poco distante da Pavia, ma doveva attenersi ai limiti delle rispettive abilitazioni, ovvero doveva dare un insegnamento «meno esteso a Pavia e più largo a Milano». • La Schiff, pur senza contestare apertamente la palese assurdità della situazione, non si arrese …. • Si interpellò il Consiglio superiore, che nel 1900 diede parere contrario all’estensione del titolo libera docenza. • Rientrata dalle vacanze, la Schiff trovò la comunicazione, che stroncava definitivamente le sue aspirazioni. Ella rispose al rettore con un biglietto, nel quale orgogliosamente rivendicava la dignità del suo lavoro e non si peritava di usare il sarcasmo nei confronti del mondo accademico: • «Date le circostanze, era forse un’ingenuità la mia d’aver inoltrato la rispettosa domanda – pure non dispero che alla fine mi sia resa giustizia, e lo spero anche in omaggio ai chiarissimi ingegni che certamente non scarseggiano nella nostre facoltà. Proseguirò, senza perdere né costanza, né fede nell’officio affidatomi, tenendo ben presente quanta dignità riposi in un insegnamento che ha appunto per sede un’università e in specie quella di Pavia». • La Schiff continuò così ad insegnare grammatica tedesca a Pavia, sino al 1924, mentre a Milano, ove affiancava il docente di ruolo, Sigismondo Friedman, insegnava anche letteratura. • Nel 1902 entrò nell’Unione femminile. Partecipò a diversi congressi internazionali per i diritti delle donne. Pacifista ed emancipazionista, si pronunciò, come la Labriola, per la ricerca della paternità. Fondò a Pavia L’Alleanza. Giornale settimanale, politico, letterario per l'istruzione sociale e politica della donna. (1906-1911). • Nel 1908 fu una delle protagoniste del I Congresso delle donne italiane, con la Poët, la Labriola, la Montessori. Fu tra le prime a proporre l’istituzione di una Cassa nazionale d’assicurazione per la maternità. • Morì in solitudine nel 1926. Cesarina Monti • nata ad Arcisate, in provincia di Varese, nel 1871, si laureò a pieni voti a Pavia in scienze naturali nel 1892. Assistente di mineralogia nel 1894 e di anatomia comparata dal 1895, rifiutò l’insegnamento nelle scuole secondarie per non interrompere il lavoro di ricerca. Nel 1897 vinse il premio Gagnola dell’Istituto lombardo di scienze e lettere. Il 30 gennaio 1899 fece domanda per la libera docenza in anatomia e fisiologia comparata. Presentò 13 lavori attinenti la materia. La relazione della commissione fu molto positiva e approvata all’unanimità dalla Facoltà scientifica di Pavia il 30 marzo 1899. Sentito il Consiglio superiore, il ministro l’abilitò il 30 giugno 1899: tra la domanda delle Monti e il decreto ministeriale intercorsero solo cinque mesi, un iter rapidissimo. • Nello stesso anno fu nominata socia corrispondente dell’Istituto lombardo di scienze e lettere, della Anatomiche Gesellschaft e della Association française des Anantomistes. L’Unione femminile di Milano la convinse a firmare un appello per la campagna abbonamenti al bollettino dell’associazione, poi però la Monti si espresse contro il voto alle donne e ruppe i rapporti con l’Unione. • Il fratello Achille da dieci anni era libero docente di patologia nell’ateneo ticinese, nel 1898 divenne ordinario di anatomia patologica e sarebbe pois stato preside di Facoltà. Nel 1902 Rina tenne per supplenza il corso di Anatomia comparata. Nel 1905, alla morte del professor Leopoldo Maggi, suo maestro, le fu conferito l’incarico ufficiale. In quell’anno ebbe la sua prima figlia, Luigia, nata dal matrimonio, avvenuto nel 1903, con il professor Augusto Stella (1863-1944), eminente esperto di ingegneria mineraria e geologia, accademico dei Lincei. Maria Montessori • A Maria Montessori, che aveva presentato domanda nel 1902 per la libera docenza in antropologia, la commissione, faticosamente composta dopo rinunce e ritardi, affidò nel 1903 un tema che implicava una ricerca sul campo, per cui la dottoressa dovette recarsi nelle campagne romane, al fine di esaminare almeno cento giovani donne, impresa non certo semplice (ad esempio, le giovani popolane rifiutavano di farsi fotografare). Nel 1904, la Montessori ottenne il titolo con un punteggio non brillante, di 40/50. • E’ stata avanzata l’ipotesi che in sede d’esame ella abbia risposto alle domande postele in merito, confutando la tesi positivistica dell’inferiorità femminile, fondata sulla misurazione del cranio, come avrebbe fatto in Antropologia pedagogica, edita nel 1910, e secondo quanto già esponeva nelle sue lezioni all’Istituto di Magistero femminile. Le opinioni politiche e scientifiche della Montessori, come è stato notato, non la favorirono certo nella conquista della libera docenza. • Le università ove lavorarono queste donne, come libere docenti furono 3: Pavia e Roma con due casi e Bologna. Torino aveva assegnato la docenza alla Cattani, poi tornata a Bologna. Atenei del centro-nord, di primo grado, di secolare prestigio e con molti studenti, nei quali come detto la presenza femminile era tra le studentesse era ormai affermata. • Di queste 5 donne, una sola era figlia di un professore universitario, la Labriola, che peraltro non riuscì a conseguire la cattedra. Le altre 4 provenivano da famiglie di modesta condizione, di ceto medio-basso. La Schiff era di famiglia straniera ed ebrea –categoria come si è detto molto rappresentata tra le studentesse e le laureate. Con l’eccezione della Monti, le altre 4 aderirono all’emancipazionismo, si pure in modo diverso: limitato la Cattani, esplicito e veemente la Labriola, Schiff e Montessori. Tutte e 4 furono altresì almeno inizialmente vicine al socialismo, almeno negli anni tra Otto e Novecento. • L’unica che si inserì appieno nel mondo accademico, di queste 5 pioniere fu la Monti, che (e forse non è casuale), si astenne dal qualsiasi battaglia politica ed ebbe una vita privata “normale”: coniugata con un membro della famiglia Sella, ebbe due figlie, mentre le altre restarono nubili (la Montessori addirittura, come è noto, ebbe un figlio che riconobbe più tardi). • E’ altresì significativo che due di loro conseguissero la libera docenza in medicina e una in scienze, una in giurisprudenza (avvocatessa no, ma docente universitaria sì, comunque solo libera docente) ed una in tedesco (ma era madrelingua!): unica libera docenza in lettere e filosofia, benché la grande maggioranza di laureate scegliesse quella facoltà. • Forse le Facoltà scientifiche erano più aperte e le ragazze che sceglievano lettere erano meno spinte a intraprendere la carriera universitaria, estremamente selettiva. Dagli studi che possediamo relativi alle singole università, in particolare i pregevoli lavori di Cammelli sull’Ateneo di Bologna, sappiamo che la maggioranza delle studentesse universitarie proveniva da ceto mediobasso, molte chiedevano borsa di studio e necessitavano di un impiego, ciò che era in particolare garantito dalla Facoltà di lettere, con lo sbocco dell’insegnamento (sia pur limitato), o delle biblioteche. Le più povere, infatti, si iscrivevano proprio a Lettere. • Altresì significativo, dallo studio di Cammelli, che alta fosse l’età del matrimonio per le studentesse (30 anni anzichè 24, come era la media nazionale): l’ingresso negli studi superiori comportava il ritardo nello sposarsi compensato peraltro spesso da una ascesa sociale, quando il marito svolgeva una professione socialmente superiore a quella del padre. • Nel caso delle 5 libere docenti, il matrimonio fu posticipato nel caso della Monti (30 anni), ma non avvenne per le altre 4. • E’ stato osservato che «tra Ottocento e Novecento per molte maestre, impiegate, ma anche operaie, matrimonio e maternità coincidevano spesso con il licenziamento; mentre per molte pioniere delle nuove professioni femminili non sposarsi e non avere figli era una condizione imposta» • Certo non si possono compiere generalizzazioni, e non è facile dire, in presenza di caratteri forti e situazioni di vita comunque differenti, quali quelli di queste donne, quanto il nubilato fosse frutto del caso o di una scelta. Circa Maria Montessori, ignoriamo ancora troppo sulle sue vicende private per poter arrischiare giudizi affrettati, tranne il fatto che una maternità extra-coniugale avrebbe sicuramente stroncato sul nascere la possibilità di una carriera universitaria. • Teresa Labriola scrisse icasticamente a Croce: «Molte condizioni esterne premono su di me, ma la più grave limitazione mi viene dal fatto di essere nata donna». • Il matrimonio e la maternità ostacolavano le possibilità di carriera nelle professioni, però, se «i modelli delle pioniere tardo-ottocentesche non possono essere altro che maschili» l’establishment accademico, almeno nei decenni tra Otto e Novecento pareva invero tollerare più facilmente una donna sposata e madre, come la Monti (che era anche priva di interessi politici e quindi non rientrava nel clichè della studiosafemminista). • In sostanza, si confermano le forti difficoltà incontrate da queste donne in sede concorsuale (con l’eccezione iniziale della Cattani e poi della Monti). • Per la loro eccezionalità, questi 5 casi confermavano quanto sostenevano i detrattori dell’emancipazione, ovvero che in fondo solo alcune eccezionali, che sarebbero rimaste nubili, donne potessero essere docenti universitari. • Il nubilato però NON favorì queste donne, e tanto meno il loro forte impegno politico e sociale (che invece non impedì la carriera di colleghi uomini). • La stessa Monti potè proseguire la carriera accettando, benché già coniugata, una cattedra a Siena e a Sassari, quindi compiendo una scelta che poche donne avrebbero fatto, soprattutto all’epoca: l’unica che si inserì fu quella che ebbe sì eccezionale ingegno, ma che non mise in crisi il modello di donna moglie-madre, non si pose contro il sistema politico, non sostenne l’emancipazionismo, visse il lavoro in modo “monacale”. Un caso?