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Numero 71
08 Settembre 2015
93 Pagine
Nuova Volvo XC90
Obiettivo: sicurezza
assoluta
Crescono sempre di più gli aiuti
alla guida, i sensori che vedono
meglio dell’automobilista
Periodico elettronico di informazione automobilistica
Honda HR-V
Il ritorno
Torna la sigla della crossover
di successo di fine anni ‘90. La
seconda generazione è bella, di
qualità e piacevole da guidare
F1 Monza
Maroni: «Il GP è
salvo al 99,9%»
Ecclestone lo gela:
«Rinnovo improbabile»
| PROVA SU STRADA |
Nuova Audi R8
da Pag. 2 a Pag. 19
All’Interno
IAA 2015: Peugeot 308 Racing Cup | Nuova BMW Serie 7 | Bugatti Vision Gran Turismo | Nuova Kia Sportage
Mercedes Classe S Cabrio | M. Clarke i condotti di aspirazione downdraft | F1: GP Italia 2015 le pagelle di Monza
PROVA SU STRADA
NUOVA AUDI R8
L’auto totale
La seconda generazione della supercar dei
Quattro Anelli stupisce per le prestazioni, ma
anche per la semplicità con cui si riesce ad
andare forte. L’abbiamo provata a Portimao.
Prezzi a partire da 169.500 euro
di Emiliano Perucca Orfei
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Prova
Periodico elettronico di informazione automobilistica
Media
E’
s tata la prima vera supersportiva firmata dalla
Casa dei quattro Anelli
ed oggi, a distanza di otto
anni dal suo lancio, Audi
R8 si ripresenta evoluta
sotto ogni punto di vista pur nel pieno rispetto
di una tradizione (seppur breve) che le ha permesso di essere molto popolare ed apprezzata
in tutto il mondo: i 27.000 esemplari venduti dal
lancio ad oggi, del resto, ne sono la migliore testimonianza. Più corta di 14 mm rispetto al modello
precedente (4.426) la nuova R8 è sviluppa forme
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e contenuti tecnici attorno ad un passo di 2.650
mm, una larghezza di 1.940 (+11) ed una altezza
inferiore di 12 mm (1.240): numeri che sostanzialmente confermano le proporzioni della R8 di
prima generazione ma che non hanno limitato i
progettisti nella ricerca di un maggior volume del
bagagliaio (da 100 a 112 litri) a cui si aggiungono
i 226 disponibili appena dietro ai sedili posteriori.
Com’è cambiata
Maggior spazio a bordo per le cose significa anche una miglior accoglienza per i passeggeri (2):
a bordo c’è più spazio per le gambe, la testa, ma
soprattutto si gode di una migliore visibilità, elemento indispensabile per una vettura che tra i
vari obiettivi progettuali ha quello di essere fruibile quasi quotidianamente. Lo stile della vettura
rimane fortemente influenzato dal progetto originale ma a differenza del passato l’insieme appare più snello, fluido, slanciato: una differenza che
trova spiegazione soprattutto nella diversa conformazione dei sideblades (come al solito personalizzabili nel colore) che rispetto al passato ora
sono interrotti da una linea di spalla continua:
una soluzione che conferisce slancio e tensione
a tutta la fiancata. Undici i colori di carrozzeria,
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Periodico elettronico di informazione automobilistica
l’abitacolo della nuova R8 dalla precedente è
però l’introduzione dell’Audi Virtual Cockpit che,
come già visto sulla terza generazione della TT,
manda in pensione la precedente configurazione con display MMI centrale e strumentazione
“tradizionale” per fare posto ad un sofisticato
LCD da 12,3” in grado di cambiare velocemente
il suo aspetto grafico in base alle necessità del
guidatore: si va dalla mappa del navigatore ad
una strumentazione “racing” in pochi click. Click
che vengono generati direttamente dal nuovo
volante multifunzione, che oltre ad avere una
linea asimmetrica vanta quattro gruppi di comandi tra cui - nella versione Plus - un selettore
per la modalità Performance (a sua volta declinabile in wet, snow e dry) ed un’altro specifico
per la sonorità dell’impianto di scarico. Il sistema
MMI Touch vanta anche la possibilità di essere
alcuni dei quali molto sgargianti (come il rosso),
sei quelli riservati ai sideblades: per la versione
V10 Plus viene proposto di serie l’abbinamento
con l’elemento laterale in fibra di carbonio lucidato, ovvero la stessa finitura riservata all’ala posteriore fissa della versione più potente. A variare in modo marcato è anche la zona frontale, che
introduce la nuova calandra single frame Audi
oltre che gruppi ottici full-led ai quali è possibile
abbinare lo spot laser LMX sino ad oggi riservata
alla speciale edizione “final edition” della prima
generazione commercializzata a fine 2014: grazie a questa singolare tecnologia di illuminazione
la R8 è in grado di assicurare fino a 600 metri di
visibilità. Piccole novità di stile riguardano anche
il posteriore, dove i gruppi ottici sono più allungati ed abbinati sfoghi dell’aria calda decisamente
più importanti che in passato. Notevole lo studio
aerodinamico che ha contraddistinto numerosi
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gestito dal passeggero (o dal pilota) direttamente dal tunnel centrale ma soprattutto si presenta
in una configurazione molto evoluta in termini di
connettività: attraverso una scheda dati è infatti
in grado di connettersi alla rete in standard LTE.
Meccanica di razza
Costruita a Heilbronn nello stabilimento Audi
Bollinger Hofe da 500 operai che lavorano su
15 fasi da 30 minuti ciascuna, la nuova R8 vanta
una costruzione leggera (Audi Space Frame) di
nuova generazione che permesso di dare vita ad
una scocca che pesa solamente 200 kg (1.555
la massa complessiva in ordine di marcia) grazie all’uso del 79% di alluminio misto ad un 13%
di fibra di carbonio ed il restante 8% di magnesio ed altri materiali leggeri. Una combinazione
che non ha portato solo maggior leggerezza ma
elementi della vettura: alla massima velocità la
R8 fa registrare un incremento della deportanza
di ben 140 kg, di cui 40 davanti e ben 100 dietro.
Largo alla tecnologia
Dove la R8 è cambiata in modo deciso è all’interno: come dicevamo il cockpit è più spazioso
del precedente: la plancia è ora molto leggera,
caratterizzata da una linea ad arco che mira
ad esaltare il rapporto tra la vettura ed il pilota
oltre che da elementi di stile che lasciano il segno come nel caso dei comandi del climatizzatore o le bocchette dell’aria di forma circolare.
Completamente ridisegnati anche i sedili, che
integrano i poggiatesta, così come sono stati ripensati anche i rivestimenti che in base alle
scelte del cliente possono essere personalizzati
con diverse soluzioni che integrano pelle Nappa
ed Alcantara. Ciò che distingue più di ogni altro
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anche una migliore rigidità torsionale visto che
Audi promette un miglioramento del 40% che
si accompagna anche ad un migliore isolamento
acustico oltre che una maggiore resistenza agli
impatti. Le sospensioni a doppi bracci trasversali
in alluminio, possono essere impreziosite dal sistema Audi Magnetic Ride oltre che da un sterzo
dinamico che, in via opzionale, può aggiungersi
alla nuova servoassistenza elettromeccanica. Di
serie ruote da 19” mentre a richiesta sono disponibili i 20” gommati 245/30 davanti e 305/30
dietro. Alla voce freni spiccano i dischi carboceramici, proposti di serie solo sulla versione Plus.
Addio V8, si impone il V10
Per quanto concerne il motore sparisce definitivamente l’unità V8 per fare posto ad una doppia
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declinazione del già conosciuto V10 utilizzato anche da Lamborghini: 5.2 litri, 40 valvole, l’unità
aspirata firmata dalla Casa tedesca è in grado di
girare fino a 8.700 giri assicurando 540 CV di potenza massima alla versione standard e 610 CV a
quella più potente ed esclusiva Plus. 540 o 560
Nm di coppia massima a 6.500 giri, il V10 evolve
i concetti legati alla doppia iniezione diretta stratificata già introdotti in passato e migliora nei
materiali utilizzati innalzando allo stesso tempo
il livello di efficienza: i consumi sono diminuiti del
13% rispetto al passato mentre le emissioni di
CO2 sono calate del 33%. I meriti di questi risultati sono da ricercare anche nella tecnologia che
permette di disattivare alcuni cilindri durante
l’uso a basso carico (COD) ma anche nell’accoppiamento motore trasmissione che si possono
separare oltre i 55 km/h quando il pilota rilascia
il gas, lasciando quindi la vettura procedere in
“folle”. Una trasmissione sofisticata, insomma,
che mantiene la classica architettura “quattro”
oggi in grado di spostare fino al 100% della coppia sull’asse anteriore attraverso il lavoro di una
frizione a lamelle controllata elettronicamente.
L’impostazione del lavoro della trazione avviene,
come di molti altri parametri legati alla dinamica
del veicolo, avviene attraverso In termini di cambio R8 utilizza la tecnologia a doppia frizione S
tronic proponendo sette rapporti a gestione automatica o manuale con palette al volante. Le
prestazioni parlano da sole: nella versione Plus
la R8 è in grado di toccare 330 km/h di velocità
massima ed accelerare da 0 a 200 km/h in 9,9
secondi (3,2 lo 0-100) mentre nella declinazione
standard la velocità massima sfiora i 320 km/h
mentre l’accelerazione 0-100 km/h avviene
in 3,5 secondi. Per quanto riguarda i consumi
medi dichiarati la V10 Plus si ferma a 12,3 l/100
km, mentre la versione da 540 CV scende a 11,4
l/100 km. I prezzi, chiaramente, sono in linea
con le prestazioni e lòe emozioni che una vettura
simile è in grado di offrire. Si parte dai 169.500
per la versione da 540 cavalli, sino a toccare i
195.800 della Plus.
Dal vivo: com’è fuori
Come tutte le Audi di ultimissima generazione la
nuova R8 stupisce per una qualità costruttiva sublime. Gli accoppiamenti di carrozzeria sono degni del mondo dell’alta orologeria, mentre la verniciatura è impeccabile, anche in zone lontane
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dagli sguardi. È innegabile che la nuova supercar
dei Quattro Anelli ricordi, soprattutto nei volumi
e nella disposizione delle proporzioni, il modello
precedente. In ogni caso, osservandola nel dettaglio, la nuova R8 è completamente diversa dalla
vecchia, con cui non condivide più nemmeno un
singolo bullone. Qualcuno avrà già storto il naso,
ma del resto quella dell’evoluzione nella continuità è un vero e proprio mantra in casa Audi,
che regna dalla A1 alla A8. Ogni nuovo modello si
stravolge completamente a livello tecnico e meccanico, pur continuando ad assumere un design
assimilabile al solco tracciato dal suo antenato.
L’unica cosa che non ci ha convinto fino in fondo
a livello estetico è l’alettone fisso della versione
Plus. E’ vero che siamo davanti alla versione più
potente ed estrema, ma forse una soluzione con
12
spoiler attivo a scomparsa (come quello della
versione da 540 CV) sarebbe stata più in linea
con l’estrema eleganza che comunque esprime
in ogni frangente questo modello.
Dal vivo: com’è dentro
La prima cosa che si nota calandosi nell’abitacolo della nuova R8 è la maggiore abitabilità rispetto al modello precedente. Dentro “si vive” molto
meglio, c’è più ariosità e soprattutto si ha una
visibilità decisamente migliore. Per il resto gli interni ci sono sembrati veramente spaziali. Materiali e assemblaggi sono sublimi e il livello tecnologico è da pelle d’oca. Peccato solo per i paddles
al volante, realizzati in plastica. Su un’auto di
questo livello avremmo preferito trovare qualcosa di più raffinato, come alluminio o carbonio.
La scelta di aver concentrato tutto all’interno
del maxi display dell’Audi Virtual Cockpit (come
abbiamo già visto su TT e Q7) ha permesso di
avere un abitacolo estremamente pulito e sportivo. Inoltre tutte le funzionalità sono a portata
di mano – o di sguardo – e si riesce davvero a
sentirsi un tutt’uno con la vettura. Il display è
talmente grande che il passeggero non ha troppi problemi a vederlo. Il problema semmai sta
nell’interazione visto che chi sta seduto di fianco
al guidatore non ha praticamente la possibilità di
interagire in maniera diretta con il display principale. E siccome ci piace fantasticare ci sarebbe
davvero piaciuto tantissimo trovare un secondo
schermo davanti al passeggero, che replicasse le
informazioni principali.
Una soluzione abbastanza futuristica (qualcosa
di simile lo troviamo sulla Ferrari F12 berlinetta)
ma che potrebbe arrivare sulle future Audi, come
ha sembrato suggerire la fascinosa Audi prologue concept.
Sulla versione Plus sono disponibili in via opzionale persino i bellissimi sedili alleggeriti, che fanno risparmiare complessivamente 14 kg di peso.
Una vera chicca per i più sfegatati, ma è bene
sapere che con questi sedili non si ha la possibilità di avere lo schienale regolabile. Un aspetto
che può creare più di qualche fastidio per la vita
di tutti i giorni.
Sulla R8 stupisce anche la capacità di carico. Il
vano anteriore, oltre a quello posteriore, permettono di sistemare comodamente due trolley da
cabina e due borse morbide, niente male per una
supercar a motore centrale!
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Le nostre impressioni di guida
una valanga di motricità sulle ruote posteriori. In
pratica bisogna veramente tirarle il collo per sentire un po’ di coppia all’avantreno e questo si traduce in grande divertimento di guida ma anche
sicurezza garantita in condizioni limite. Eccezionale lo sterzo, soprattutto quello dinamico (optional), in grado cioè di cambiare la rapportatura
in funzione della velocità. Precisissimo, diretto e
coinvolgente in pista, sa essere docile, addirittura pratico e comodo in città. Stratosferici, come
ci aspettavamo, i freni carboceramici, capaci di
arrestare completamente l’auto da velocità supersoniche in un fazzoletto. A livello di dinamica
la nuova R8 è diventata ancora più veloce ed efficace, ma in un certo senso anche più docile. Il
modello precedente quando ci si avvicinava al limite poteva diventare scorbutico da gestire e ad
un certo livello bisognava saperci fare davvero.
Abbiamo provato la nuova Audi R8 nel suo habitat naturale: la pista. Tra i cordoli di Portimao la
supercar tedesca in versione Plus ha rivelato un
carattere per certi aspetti molto diverso rispetto
al passato. Il motore, per esempio, esprime una
sua precisa identità grazie ad un sound finalmente spettacolare e coinvolgente, con una timbrica
molto particolare, che lo rende subito riconoscibile. Il rinnovato V10 Audi ora ha maggiore potenza – fino a 610 CV sulla Plus - però mantiene il
carattere tipico dei dieci cilindri. Non aspettativi
quindi i picchi di rabbia e le esplosioni di potenza
che troviamo su molti V8 o V12 (magari italiani...)
perché il V10 di Ingosltadt ha un’erogazione piena e vigorosa, ma anche molto costante e lineare nella sua brutalità, soprattutto dai 4.000 agli
8.500 giri/min. Da dieci e lode poi l’accoppiata
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con il cambio a doppia frizione (l’unico disponibile), che sulla nuova R8 ha raggiunto livelli di perfezione ancora più strabilianti rispetto al passato.
Questo automatico con paddles al volante non
è soltanto velocissimo, ma in Dynamic permette al pilota di fare qualsiasi cosa, senza mai far
prevalere logiche di gestione o di protezione. In
pratica lo si può trattare – o maltrattare in pista
– esattamente come un classico manuale, ma al
tempo stesso si ha tutto il comfort e la praticità
di un ottimo automatico, capace di trasmettere grande coinvolgimento e sportività allo stato
puro. La nuova R8 – non ci sarebbe nemmeno
bisogno di dirlo – sfrutta l’immancabile trazione
quattro. Non pensate però alla solita integrale
con aderenza esplosiva ma poco divertimento. Il
quattro messo a punto per la R8 lavora praticamente come una trazione posteriore, mandando
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In conclusione
Con la nuova R8 invece l’impressione è di andare ancora più forte, ma tutto è diventato più
semplice, naturale e divertente. Ma soprattutto
è diventato davvero difficile, se non impossibile,
metterla in crisi. Per questo parliamo di “auto totale”, capace di garantire prestazioni sensazionali con una immediatezza sconosciuta a quasi
tutte le supercar. Tutto questo vale per la Plus,
il top di gamma da 610 CV. Ma in un certo senso
le stesse impressioni valgono per la versione da
540 CV. La R8 “base” è comunque velocissima e
le differenze con la Plus si sentono davvero poco,
se si esclude il cambio che ha una rapportatura
più lunga (una scelta che ha permesso di avere
livelli di emissioni molto bassi). Difficile quindi scegliere tra le due. La versione da 540 CV è
già una R8 a pieno titolo, che ha tutto quello che
serve per esprimere al meglio le doti dinamiche
di questa supercar. La Plus invece resta per chi
non cerca compromessi e vuole il massimo, anche nei dettagli.
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NUOVA VOLVO XC90
Obiettivo:
sicurezza assoluta
Crescono sempre di più gli aiuti alla guida, i sensori
che vedono meglio dell’automobilista e i cervelli
elettronici che decidono più rapidamente del miglior
pilota. Il massimo nel Suv svedese
di Enrico De Vita
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Media
N
velocità esattamente compresa fra 48 e 50
km/h. Tale velocità era garantita dalle leggi della fisica perché dipendeva (quasi) unicamente
dall’altezza della rupe. Oggi le cose sono cambiate: il centro sicurezza di Goteborg è uno dei più
attrezzati al mondo, ma l’ossessione per la sicurezza è ancora un pallino degli ingegneri svedesi.
C’è però un approccio che è mutato sostanzialmente: quarant’anni fa si ricercava la maggior
robustezza possibile (a parità di peso o quasi)
nelle scocche, per resistere ai vari impatti; oggi
sappiamo che non conviene più investire in carrozzerie a prova di bomba. La Formula 1 dimostra che si possono costruire abitacoli leggeri,
capaci di proteggere il pilota a velocità superiori
a 100 km/h, purché si tratti di un impatto a veicolo isolato o contro veicoli simili. Quindi, molto
meglio ricercare sistemi per evitare gli incidenti,
piuttosto che esasperare le misure di protezione
passiva. E in questo l’elettronica fornisce aiuti
impensabili qualche anno fa, al punto che la sicurezza attiva costa meno e rende di più.
Inesorabile prepotenza
Al volante della nuova XC 90 avverti subito l’inesorabile prepotenza del microchip: l’elettronica
si è impossessata di quasi tutte le funzioni una
volta gestite dal pilota. E all’inizio del rapporto ci
si sente spodestati. Poi, si scopre che affidarsi a
un cervello elettronico è comodo e rilassante, e
anche più semplice di quanto ti aspetti. I sensori, le telecamere, i radar e gli infrarossi sono più
veloci di te nel vedere, e le centraline, nel decidere. Soprattutto sono più sicuri nel parare gli
errori degli altri e nel compiere manovre giuste
di fronte all’imprevisto. Già perché XC 90 ha un
sistema che vede anche a 90°, cioè lateralmente:
e così evita incidenti laterali agli incroci oppure
si accorge immediatamente se un bimbo sguscia fra due macchine davanti a te. Nessun pilota, per quanto bravo, saprebbe fare altrettanto.
La plancia della XC 90 non ha pulsanti o tasti. E
all’inizio questo crea qualche turbamento, il disagio di non sapere come-azionare-cosa. Ci si
sente nudi come nelle Cinquecento, quella del
egli anni Settanta, quando
solo le Case più ricche si
erano dotate di un centro
sicurezza, gli ingegneri della
Volvo escogitarono un ingegnoso sistema, originale e
poco costoso, per eseguire le prove di crash a
velocità costante. Invece di ricorrere a complicate funicolari annegate nel terreno, con sistemi di
sgancio finale e sistemi elettronici di controllo e
regolazione della velocità di traino, scelsero una
rupe di granito, alta 12 metri, nelle vicinanze di
Goteborg, in Svezia. Poi costruirono sulla rupe
uno scivolo, con un tratto finale orizzontale: la
pista per le prove di crash era pronta. Le vetture erano lasciate in folle sullo scivolo, si muovevano a bassa velocità, raggiungevano l’assetto
perfettamente orizzontale e poi cadevano dalla
rupe con una traiettoria a parabola. Toccavano
terra in posizione perfettamente verticale e con
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riserve che le normative e le compagnie di assicurazione ponevano in relazione alle responsabilità. Volvo ha introdotto il City Safety nel 2008.
Allora la frenata automatica, cioè all’insaputa del
pilota, poteva entrare in funzione solo a velocità
inferiori ai 30 km/h. Nel 2013 la velocità è salita
a 50 all’ora. Oggi si va molto oltre: sulla XC 90 la
frenata interviene a qualsiasi velocità, conferendo quindi la dote, mai sottolineata abbastanza,
di evitare l’incidente più comune, cioè il tamponamento.
Stagli alle calcagna
Si può anche inserire la funzione “segui chi ti precede” assieme al lane departure warning e viaggiare a 50 all’ora, a distanza prefissata, al centro
della corsia, senza più toccare volante, freno e
acceleratore: un vero e proprio anticipo di guida
automatica: la vettura infatti non solo accelera e
frena da sola ma comanda anche lo sterzo. Inutile aggiungere che se mancano o sono invisibili le strisce di corsia – evenienza non rara sulle
nostre strade - il sistema va inesorabilmente in
crisi. Ma nel sistema di sicurezza c’è ancora una
1957, che non aveva comandi, non c’era il ventilatore per l’abitacolo, né le bocchette per far
entrare aria, né un pomolo per regolare la temperatura. Nella XC 90, c’è tutto e di più, ma per
alzare la temperatura dell’abitacolo anche di un
solo grado non si può ricorrere a un pomello, una
levetta, bisogna “entrare nel sistema”. I comandi
vanno impartiti attraverso una doppia interfaccia uomo-macchina. La prima opzione è quella di
parlare – dopo aver premuto un tasto sul volante
- e di farsi capire dal sistema utilizzando la sua
lingua (per interrompere una sauna involontaria
bisogna pronunciare forte la parola “clima”; dire
“temperatura” o “uffa che caldo” non serve). La
seconda opzione è costituita dal touch screen, il
grande display a metà della plancia (che funziona anche d’inverno, quando si indossano i guanti, grazie a un reticolo di raggi infrarossi).
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Non si vede niente ma c’è tutto
Nel display c’è tutto, basta saperlo cercare. Perfino per modificare le posizione dei sedili occorre far scorrere (in orizzontale e in verticale) le
icone e toccare ripetutamente lo schermo. Così
come per disinserire il “pedante” lane departure
warning, la vibrazione al volante che segnala l’attraversamento involontario della linea di confine
della corsia, bisogna fermarsi e scoprire qual è
l’icona giusta. Noi italiani abbiamo la cattiva abitudine di non usare sempre l’indicatore di direzione quando usciamo dalla corsia: se lo usassimo, il dispositivo rimarrebbe silente e sarebbe
davvero utile in caso di colpo di sonno. Ma è nella
guida automatica che la XC 90 mostra i traguardi
raggiunti nel sostituirsi all’uomo. Sono trascorsi
10 anni da quando le prime Honda montavano in
serie la frenata automatica, con tutti i dubbi e le
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novità: la capacità di evitare impatti con veicoli
che viaggiano in senso opposto. Quindi, impatti
laterali, impatti frontali e tamponamenti provocati sono sotto controllo. Rimangono i pericoli
costituiti dai tamponamenti passivi, quelli subiti, e quelli imponderabili dovuti agli errori degli
altri. I tecnici del centro sicurezza Volvo stanno
lavorando al programma “vision 2020”: una serie di interventi che hanno lo scopo di azzerare
entro il 2020 il numero delle vittime di incidenti
nei quali sono coinvolti i veicoli Volvo e di limitare
ogni lesione grave per gli occupanti. Il futuro dirà
se il microchip sostituirà il pilota o se soltanto lo
proteggerà dagli errori suoi e degli altri, magari
senza togliergli il piacere della guida.
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HONDA HR-V
Il ritorno
Torna la sigla della crossover di successo di fine anni
‘90. La seconda generazione della HR-V è bella, di
qualità e piacevole da guidare. Due le motorizzazioni,
un benzina e un turbodiesel. Arriverà in ottobre con un
prezzo intorno ai 20.000 euro
di Maurizio Gissi
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Media
I
l nuovo Suv compatto di casa Honda
arriva in un periodo molto vivace per
la categoria. In Italia il segmento delle
crossover è infatti cresciuto del 40%
nell’ultimo anno e la seconda generazione della Honda HR-V colma quindi
un vuoto nell’offerta Honda. Peraltro dopo che
la prima versione aveva ottenuto un importante
successo fino alla sua uscita di scena nel 2006.
Presentata nel 1998, la HR-V è stata di fatto
un’apripista nel mondo crossover e, come ha
ricordato Alessandro Skerl - direttore generale
Honda Italia per il settore auto – nel corso della
presentazione alla stampa organizzata a Lisbona, proprio nel nostro Paese e in Giappone ha
ottenuto i suoi migliori risultati di vendita. Per
questi due motivi la nuova HR-V era un’auto molto attesa dalla filiale italiana. La HR-V sarà nelle concessionarie dal prossimo ottobre. Due le
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Prova
Periodico elettronico di informazione automobilistica
lunghezza e interasse di 2.610 mm) ma diversa
anche nella filosofia di progetto. Supera il concetto Suv, così sottolinea Honda, aggiungendo
caratteristiche stilistiche da coupé e praticità da
multispazio MPV. Non si tratta di uno slogan,
perché è semplice notare come il design giochi
con elementi che mixano principi Suv e coupé,
tanto all’esterno come all’interno della vettura
per offrire un nuovo concetto sportivo, mentre
lo spazio interno e le possibilità di carico sono
effettivamente pratici e molto versatili. Il tutto rispettando la regola della guida rialzata così tanto
apprezzata in questa categoria. Esteticamente
colpisce il contrasto fra il frontale importante e
l’abitacolo filante, con due slanciate nervature
che dai passaruota anteriori imprimono dinamismo alle fiancate per terminare nelle maniglie
a scomparsa delle portiere posteriori. La cura
aerodinamica è estesa fino al sottoscocca dove
speciali pannelli migliorano l’andamento dei flussi e la silenziosità. Un aspetto importante ai fini
dei consumi e delle prestazioni, considerato che
la HR-V raggiunge velocità di tutto rispetto: 195
orari per la versione a benzina e 192 km/h per
quella a gasolio. Le opzioni cromatiche vertono
su tre colorazioni perlate (Morpho Blue, Crystal
Black e White Orchid), sulla brillante tinta “Milano Red” e su quattro varianti metallizzate che
sono: Brilliant Sporty Blue, Alabaster Silver, Modern Steel e Ruse Black.
Dal vivo: com’è dentro
Come dicevamo, spazio interno e versatilità sono
due punti forti della nuova Honda. La posizione di
guida è rialzata di 100 mm rispetto a una classica berlina e questo migliora visibilità e accessibilità nell’abitacolo. La soluzione del serbatoio
carburante alloggiato sotto i sedili di guida rende
possibile lo sfruttamento del sistema “sedili magici” posteriori, che non solo li divide nel classico rapporto 60-40, ma permette di averli in tre
differenti configurazioni. Ripiegandoli in avanti
si ottiene un vano di carico perfettamente piatto
lungo ben 1.845 mm; sollevandone la seduta in
posizione verticale si può avere un’altezza utile
di 1.240 mm; abbattendo all’indietro il sedile lato
motorizzazioni previste: il diesel 1.6 i-DTEC da
120 cv, già apprezzato sulla CR-V, e un inedito
benzina 1.5 i-VTEC da 130 cv costruito per il mercato europeo. La HR-V sarà disponibile solo con
la trazione anteriore e non anche nella variante
4x4, un modello già in vendita negli USA e con
motore benzina 1.8 da 138 cv. Prezzi base, orientativi, di 20mila euro per il modello a benzina e
di 22mila per la motorizzazione diesel. La HR-V
a benzina sarà disponibile anche con il variatore
continuo CVT. Tre gli allestimenti: Comfort e poi
Elegance e infine Executive, con sovrapprezzi di
circa duemila euro. La HR-V viene costruita in
Messico e adotta la stessa piattaforma B della
Jazz.
Dal vivo: com’è fuori
Rispetto alla nota CR-V, la HR-V non è soltanto più piccola (meno di 4 metri e trenta di
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Prova
Periodico elettronico di informazione automobilistica
con limiti velocità e divieto di accesso) indicandoli nel cruscotto e lavorando di concerto con il
sistema Isl (Limitatore intelligente di velocità). Ci
sono inoltre il sistema di controllo dei cambi involontari di corsia e la gestione automatica degli
abbaglianti.
I motori
Il motore turbo diesel 1.6 iDTEC, un sedici valvole
common rail, è il 1.597 cc realizzato per l’Europa e già montato ad esempio sulla CR-V. Eroga
120 cv a 4.000 giri e la coppia massima di 300
Nm a 2.000 giri. Inedito è invece il nuovo quattro
cilindri benzina di 1.498 cc, a iniezione diretta e
16 valvole, a fasatura e altezza variabile. La potenza massima del motore 1.5 i-VTEC è di 130 cv
a 6.600 giri, con il picco di coppia pari a 155 Nm
a 4.600 giri. Entrambe le motorizzazioni hanno cambio manuale a sei rapporti, la versione a
passeggero si può avere infine una lunghezza
di carico fino a 2.445 mm. Il portellone ampio
(1.180 mm) favorisce il carico del vano posteriore da 453 litri, che diventano oltre mille con i
sedili posteriori abbattuti. Il disegno della plancia
ha la tipica configurazione Suv. La strumentazione verte su tre quadranti rotondi: tachimetro
al centro, contagiri a sinistra e display multifunzione a destra; la cornice del contagiri cambia
colore, da bianco a verde, in abbinamento alla
funzione Eco Assist. Il sistema di climatizzazione
sfrutta uno schermo con comandi touch, mentre un interruttore aziona il freno di stazionamento, elettrico e a disinserimento automatico.
L’avviamento è keyless. Offerto come optional
nell’allestimento base, e di serie per gli altri due,
è il sistema di infotainment Honda Connect (è lo
stesso introdotto sull’ultima CR-V) che permette
un accesso rapido ai tradizionali servizi internet,
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benzina si può avere anche con il cambio CVT:
la trasmissione con variatore continuo di velocità Honda ha un software di gestione specifico
per il mercato europeo e sono state ricavate
sette marce fittizie (gestibili dal paddle al volante, stiamo appunto parlando di un variatore)
per offrire la sensazione della cambiata automatica tradizionale. Interessanti i dispositivi di
frenata EDDB (Early Downshift During Braking)
e Fast Off. Il primo interviene scalando le marce
quando si frena in prossimità di una curva o si è
in discesa assicurando un utile freno motore. Il
secondo riconosce la velocità con la quale si rilascia l’acceleratore, accorciando di conseguenza
il rapporto.
Come si guida
Lo spazio promesso da Honda lo si apprezza non
appena ci si accomoda al posto guida, il tunnel
dalla ricerca ai social media, dal meteo alla musica. Il tutto si comanda tramite uno schermo lcd
touch da 7 pollici, che serve anche al sistema di
navigazione Garmin e fa da schermo alla videocamere posteriore nelle manovre. Nell’ambito
dei tre allestimenti disponibili è possibile scegliere tessuti e finiture in pelle, mentre la versione
Executive dispone del tetto panoramico, apribile,
lungo 846 mm e munito di parasole scorrevole.
Per quanto riguarda i dispositivi di sicurezza, la
HR-V si avvale di una tecnologia avanzata. La
frenata attiva City Brake Active System aziona
autonomamente i freni, al di sotto dei 32 km/h,
in caso di pericolo di collisione grazie a un sistema di monitoraggio radar. Gli allestimenti medio
e top adottano il pacchetto di sicurezza Adas gestito da videocamere e sensori radar. “Adas” che
comprende l’allarme di collisione, il riconoscimento della segnaletica stradale (cartelli rotondi
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alto non impaccia e sul volante, regolabile in altezza e profondità, ci sono tutti i comandi a distanza di pollice. Visuale alta e ampia, comodo
portaoggetti centrale con scomparti modulari,
climatizzatore e impianto audio adeguati. Chi
siede dietro, specie se ci limita a due passeggeri,
trova un’abitabilità elevata per la categoria, una
bella distanza dai sedili anteriori e il pavimento
perfettamente piatto. Il servosterzo elettrico
adattativo è leggero in manovra e a bassa velocità enfatizzando l’impressione di agilità. Nonostante sia un po’ rialzata e in un primo momento
dia l’impressione di avere un assetto morbido,
la HR-V sfoggia invece una bella tenuta in inserimento di curva e un comportamento decisamente neutro lasciando ottimi margini di sicurezza.
Il comfort di marcia è molto buono, con pochi
fruscii aerodinamici e sospensioni che assorbono bene i tratti sconnessi. A essere un poco più
rigide sono invece le sospensioni posteriori – se
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Prove
Periodico elettronico di informazione automobilistica
tirare i rapporti cambiando oltre quota 4-5.000,
perché i cavalli ci sono sì ma sono in alto, e la
coppia ai medi non è il punto migliore di questo
motore. Motore per il quale Honda dichiara una
percorrenza media di 17,5 km/litro (che sale a
ben 19,2 km/litro con il cambio CVT e le ruote
da 16”). Nel ciclo extraurbano sono invece dichiarate percorrenze di oltre 20 km/l. Noi non
siamo però andati oltre i 14 km/litro, arrivando
a 16 ma con molta delicatezza sull’acceleratore.
L’accelerazione da 0 a 100 orari vede la HR-V
con motore diesel prevalere di soli due decimi
di secondo nei confronti dell’allestimento con
motore a benzina: 10” contro 10,2”. Tuttavia,
nell’uso normale, la differenza di accelerazione
ai bassi e di ripresa a tutti i regimi è nettamente a
favore del motore 1.6 a gasolio. Avere a disposizione una coppia pressoché doppia a un regime
di soli 2.000 giri, invece che a 4.600, fa com’è
prevedibile una grande differenza in salita e nei
percorsi molto guidati. Fra l’altro il consumo è
ne accorgono soltanto i passeggeri – almeno
con la versioni con ruote da 17 pollici che abbiamo provato (quella base e l’intermedia adottano
i 16 pollici). E’ davvero efficace l’impianto frenate
che conta su dischi forati anteriori ed è dotato di
Abs, ripartitore elettronico di frenata, controllo
di stabilità e assistenza nelle partenza in salita.
L’isolamento acustico è buono ma non eccellente, tanto che il rumore del motore a benzina si fa
sentire oltre i 4.000 giri, mentre quello del diesel
fa sentire la sua ruvidità agli alti regimi. Parlando
di motori vi diciamo che il primo contatto è stato
con il benzina da 1,5 litri con cambio manuale. Un
cambio a sei marce ben spaziato e con comando
molto fluido e veloce. Il motore 1.5 è caratterizzato da una bella estensione di utilizzo, tanto che
si può riprendere da meno di duemila giri in sesta
marcia e allungare fino quasi a settemila giri con
una bella spinta crescente. Se si vuole andare via
spediti, o si è in salita, diventa però inevitabile
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Periodico elettronico di informazione automobilistica
Prove
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Prova
mediamente inferiore di 1 o 2 litri ogni 100 km.
Dove il 1.600 convince meno è nel brio agli
alti, allungando con un po’ di lentezza fin quasi
i 5.000 giri. A favore del motore 1.5 c’è la possibilità di avere la grande comodità del cambio
automatico CVT, e questa può essere la variabile
a suo favore. Fra l’altro con consumi più bassi
rispetto al trasmissione con cambio manuale,
ma – va detto - anche con doti di accelerazione
inferiori.
In conclusione
La seconda generazione della HR-V si mostra
con una linea non più spigolosa, con tanta praticità, versatilità e cura costruttiva. Due motorizzazioni, benzina e turbodiesel e un bel comportamento dinamico che ne fanno una crossover
estremamente interessante.
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SALONE DI
FRANCOFORTE
2015: TUTTE LE
NOVITÀ
Tutte le novità presentate in anteprima assoluta al
Salone di Francoforte 2015 in una gallery aggiornata
giorno per giorno. Il modo migliore per fasi un’idea di
cosa sta per arrivare in concessionaria!
IAA 2015, tutti gli articoli
Media
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IAA 2015
Periodico elettronico di informazione automobilistica
sviluppata da Peugeot Sport comprende anche
un vistoso spoiler posteriore “appeso” al lunotto ispirato dal regolamento tecnico del WTCC,
serie nella quale Peugeot potrebbe scegliere di
cimentarsi in futuro. La 308 Racing Cup è dotata inoltre di roll bar saldato al telaio, pinze freno
racing e cambio sequenziale a 6 rapporti. Il propulsore è il 1.6 turbo THP che in questa versione
raggiunge 308 CV grazie all’adozione del turbo
prelevato dalla 208 T16 da rally, anche se la potenza massima, sostiene Peugeot Sport, potrà
essere ulteriormente accresciuta dal momento
nelle successive fasi di sviluppo.
PEUGEOT 308 RACING CUP
IL LEONE CHE VA DI CORSA
Ecco la versione da competizione della Peugeot 308 GTi che dal
prossimo anno sostituirà la RCZ Racing Cup e debutterà nelle serie
turismo ed endurance, CITE compreso
P
unta a sostituire la Peugeot RCZ Racing Cup la nuova Peugeot 308 Racing
Cup che sarà destinata a partire dal
2016 all’omonimo monomarca, ma
anche alle serie turismo e di durata come il VLN
tedesco, il CITE italiano, il CER spagnolo, il BGDC
belga e competizioni aperte come la 24h del
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Nurburgring. Sviluppata a partire dalla 308 GTi,
dalla quale derivano alcuni componenti come
parte delle sospensioni, la 308 Racing Cup è più
larga di 10,6 cm rispetto alla 308 GTi stradale,
con una larghezza che raggiunge il metro e 91
per via dei passaruota allargati per fare spazio
alle nuove ruote racing da 18”. L’aerodinamica
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IAA 2015
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Adaptive, dove sarà il software della nuova Serie
7 ad ottimizzare le risposte degli ammortizzatori
in base al fondo stradale.
Le motorizzazioni
Altro importante passo in avanti è stato compiuto dai propulsori, tutti disponibili con il famoso
cambio Steptronic, automatico, ad otto rapporti.
Due le motorizzazioni a benzina: si parte da un
sei cilindri da 3.0 litri turbo capace di erogare
326 cavalli e 450 Nm di coppia, fino ad arrivare
ad un V8 da 4.4 litri, anch’esso turbo, capace di
raggiungere i 450 cavalli e i 650 Nm. Monotematica la scelta per quanto riguarda il diesel: è
disponibile, al momento, un solo sei cilindri turbo
da 3.0 litri, con potenza di 265 cavalli e 620 Nm.
Plug-in: la svolta
Arriva anche la versione plug-in della nuova
BMW Serie 7, già utilizzata su i8 e X5. Il tradizionale motore termico – un 2.0 litri turbo da 258
cavalli – sarà assistito da un propulsore elettrico agli ioni di litio da 95 cavalli, per una potenza
complessiva di 326 cavalli. Interessanti le prestazioni ed i consumi: si parla di uno 0-100 km/h
in 5,6 secondi, per una velocità massima di 240
km/h; ridottissimi i consumo, con appena 2,1 litri
per 100 km. L’autonomia dichiarata dalla casa,
utilizzando solamente la componente elettrica,
è di 40 km. Ridotte quasi all’osso le emissioni
di CO2, con appena 49 g/km. Buona la scelta di
equipaggiare il modello sia con la trazione posteriore che, a scelta, integrale.
L’iDrive si userà “senza mani”
Passando sotto il profilo dell’infotainment, numerose sono state le migliorie per incrementare i
già elevatissimi standard della BMW Serie 7. Uno
schermo di dimensioni generose, posizionato al
centro della plancia, sarà touch-screen, permettendoci di controllare direttamente le funzionalità dell’iDrive senza necessariamente ricorrere
NUOVA BMW SERIE 7
ECCO L’AMMIRAGLIA DI MONACO
di Marco Congiu | BMW Serie 7 si scopre agli occhi del mondo,
rivelandosi sempre auto elegante e raffinata come il suo buon nome
richiede, nonostante sia stata rinnovata drasticamente
S
i rinnova in maniera consistente la
nuova BMW Serie 7 migliorando ulteriormente, se possibile, l’elevato
comfort dell’ammiraglia della casa
bavarese. Tante, tantissime le novità, a cominciare da quella meno visibile: il corpo della vettura, infatti, è composto da una scocca denominata Carbon Core, adottata sulla nuova Serie 7
dopo un felice e proficuo debutto su i3 e i8. Dalla
BMW ci fanno sapere di aver risparmiato 130kg
50
di peso rispetto al passato, aumentando perà
sensibilmente i vantaggi sotto il profilo della rigidità torsionale e della stabilità. Nuovo anche
il sistema sospensivo, denominato Integral Active Steering. Il rollio della vettura non sarà più
un problema, grazie alle sospensioni governate
elettromeccanicamente, in grado di ridurre lo
scivolamento laterale percepito all’interno dell’abitacolo. Oltre alle già note Comfort, Sport ed
Eco Pro, ora troviamo anche la modalità di guida
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all’utilizzo del celeberrimo controller. Ricercata
la tecnologia di un innovativo sensore 3D, il quale
capterà i movimenti della mano ancor prima che
essa sfiori lo schermo. Presente nel pacchetto
Executive Lounge, troviamo un climatizzatore
automatico quadri-zona, sedili posteriori singoli con funzionalità. Per chi volesse un comfort
ancora più spiccato, esiste l’Executive Lounge
Seating – un sedile dotato di poggiapiedi posto
dietro al passeggero anteriore – una consolle
centrale ed un tablet da ben 7” in grado di comandare l’infotainment.
Si parcheggia con il telecomando
La raffinatezza delle nuove soluzioni adottate
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dalla casa bavarese si percepisce anche nelle
piccole cose, come ad esempio la chiave, divenuta ora più che mai parte attiva nella guida della
nuova Serie 7. Sarà possibile, infatti, parcheggiare in maniera telecomandata, sfruttando il
display presente sulla chiave. I fari, disponibili a
LED di serie, saranno sostituiti da proiettori laser
su richiesta, dotati di Selective Beam. Rimanendo sul comparto illuminazioni, fa bella mostra di
sé il Welcome Light Carpet, un sistema luminoso
che garantisce alla vettura un aspetto decisamente più elegante al proprio interno. Gradevole
anche l’idea di ricreare, sfruttando il tetto panoramico Sky Lounge, un suggestivo cielo stellato,
sfruttando dei piccoli LED.
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IAA 2015
Periodico elettronico di informazione automobilistica
essere subito identificabile come una Bugatti ma
al tempo stesso ogni elemento estetico avrebbe
dovuto avere anche un ruolo funzionale. Sviluppata in collaborazione con Polyphony Digital
Inc., il creatore di Gran Turismo, questa particolare Bugatti nasconde uno studio aerodinamico
raffinatissimo e tecnologie al di là delle migliori
avanguardie. La Bugatti Vision Gran Turismo ha
tutte le caratteristiche che la rendono subito riconoscibile come un’auto pensata nell’atelier
di Molsheim. La particolare griglia frontale a
ferro di cavallo affiancata da gruppi ottici a led,
la pinna centrale e il grande alettone posteriore
sono tutti elementi tipici di una Bugatti. «Volevamo sviluppare una supercar virtuale per tutti
i nostri fan che sapesse incarnare il vero spirito
Bugatti. Ci auguriamo davvero che tutti i gamers
sappiano divertirsi con quest’auto, così come noi
ci siamo appassionati nel disegnarla». In questo
modo ha commentato il team di designer.
BUGATTI VISION GRAN TURISMO
DAI VIDEOGAME ALLA “REALTÀ”
Al Salone di Francoforte la Casa di Molsheim si presenta con
l’eccezionale Bugatti Vision Gran Turismo, una show car pensata
per far sognare ad occhi aperti gli appassionati di tutto il mondo
A
l Salone di Francoforte la Casa di
Molsheim si presenta con l’eccezionale Bugatti Vision Gran Turismo,
una show car pensata per far sognare ad occhi aperti gli appassionati di tutto il
mondo.
Un’auto virtuale trasformata
in show car
Con questo concept l’atelier alsaziano ha voluto
trasforamre un’auto virtuale, nata per apparire
all’inteno del videogame Gran Turismo, in una
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show car reale, da toccare con mano al prossimo
Salone di Francoforte. Il design di quest’auto virtuale-reale vuole celebrare la storia vincente di
Bugatti nel motorposrt. In particolare il concept
è da interpretare come un vero e proprio tributo
alle vittorie della Casa alsaziana a Le Mans e alla
gloria eterna che Bugatti ha saputo guadagnarsi
nelle corse a cavallo tra gli anni ‘20 e ‘30.
Un design inconfondibile
Due erano gli obiettivi principali del team di designer. La supercar virtuale avrebbe dovutto
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IAA 2015
Periodico elettronico di informazione automobilistica
assolutamente vitale nel Vecchio Continente. Nonostante la Sportage sia ancora oggi un modello
chiave per Kia i designer non hanno però deciso
di mantenere un design conservativo, nel segno
della continuità. Anzi, hanno intrapreso la strada
più difficile, ripensando da zero ogni singolo dettagli stilistico della crossover. Secondo la Casa la
nuova Sportage mette in mostra uno “stile progressivo”, che si ispira alle forme lisce e taglienti
tipico dei più moderni jet da combattimento.
Alza il tiro
La zona più innovativa è senza dubbio il frontale, dove i gruppi ottici non si fondono più con la
griglia ma brillano di luce propria, alle estremità
della zona anteriore. Al centro poi campeggia
l’immancabile griglia “a naso di tigre”, vero e
proprio marchio di fabbrica di tutti i più recenti
modelli firmati Kia. Al posteriore invece troviamo
gruppi ottici ispirati direttamente alla concept
Provo del 2013 e tenuti insieme da un’elegante finitura cromata. Gli indicatori di direzione e la luce
di retromarcia sono integrati invece nella zona inferiore, all’interno del paraurti. Al momento non
si conoscono ancora i dettagli tecnici della nuova
Sportage, che saranno diffusi senza dubbio in occasione del debutto ufficiale al prossimo Salone
di Francoforte. Stay tuned!
NUOVA KIA SPORTAGE
È UNA RIVOLUZIONE!
PRIME IMMAGINI E DETTAGLI
Le prime immagini della nuova Kia Sportage mostrano una crossover
completamente diversa da quella che conosciamo oggi. Ecco come e
quanto è cambiata
D
opo aver diffuso i primi teaser Kia si
è decisa finalmente a mostrare le
prime immagini ufficiali della nuova
Sportage, che giunge alla quarta generazione stravolgendosi ancora una volta sia in
termini di stile che di tecnologia.
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Altro che design conservativo!
La Sportage è un crossover compatto che ha
sempre rappresentato uno dei modelli più venduti dal marchio coreano, soprattutto in Italia.
Per questo i coreani non si possono permettere nessun passo falso in questo segmento,
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sofisticatissimo sistema di climatizzazione Thermotronic, pensato per garantire ai passeggeri
il massimo comfort termico indipendentemente dal fatto che il tetto sia chiuso o aperto. Non
manca poi un vasto assortimento di materiali
pregiati per i rivestimenti, che vanno dalla classica pelle fino alla pregiata pelle Nappa e alla ancor
più esclusiva pelle Nappa Exclusive “designo”. In
via opzionale i clienti più esigenti possono scegliere anche il Warmth Comfort package che
include sedili, braccioli e volante riscaldati. Non
manca il pacchetto Air-Balance che permette di
diffondere nell’abitacolo una lunga serie di diverse fragranze.
Per il massimo il comfort durante la guida en
plein air sono disponibili inoltre i sistemi Aircap,
che protegge dalle turbolenze del vento, e la tecnologia Airscarf in grado di produrre un flusso
di aria calda intorno ai passeggeri, così da poter
viaggiare a cielo aperto anche in inverno.
Motorizzazioni: solo il meglio
La gamma motorizzazioni prevede solo il meglio
della famiglia Classe S. Si parte con la S 500 Cabrio spinta da un V8 biturbo da 4.7 litri in grado
di erogare 455 CV e 700 Nm di coppia. Per chi
non dovesse essere ancora abbastanza ci sono
poi le S 63 AMG o S 63 AMG 4Matic Cabrio spinte dall’esuberante V8 biturbo da 5.5 litri capace
di erogare 585 CV e 900 Nm. Questa motorizzazione permette alla variante a trazione integrale 4Matic di accelerare da 0 a 100 km/h in
3,9 secondi prima di raggiungere una velocità
massima autolimitata elettronicamente a 250
km/h. La nuova Mercedes Classe S Cabrio sarà
orindabile in Germania a partire da dicembre,
mentre le prime consegne sono previste nel corso della primavera 2016. Al momento però non
si conoscono ancora i prezzi di listino, anche se
non saranno di certo inferiori a quelli della sorella
Coupé, che in Italia parte da 129.909 euro...
MERCEDES CLASSE S CABRIO
ECCO LA NUOVA FRONTIERA DEL LUSSO
La Casa di Stoccarda ha diffuso tutti i dettagli in merito alla
nuovissima Mercedes Classe S Cabriolet, che dopo 44 anni riporta
la Stella nel mondo delle ammiraglie en plein air
L
a Casa di Stoccarda ha diffuso tutti i
dettagli in merito alla nuovissima Mercedes Classe S Cabriolet, che dopo 44
anni riporta la Stella nel mondo delle
ammiraglie en plein air. Il modello, che debutterà
al prossimo Salone di Francoforte, è sostanzialmente simile alla variante Coupé, eccezion fatta
naturalmente per il soft top in tela, disponibile in
nero, blu scuro, beige o rosso scuro. La capote è
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realizzata attraverso tre strati di materiali diversi per garantire la massima insonorizzazione e
nonostante le dimensioni è in grado di ripiegarsi
o aprirsi in 20 secondi fino ad una velocità di 60
km/h.
Massimo comfort... en plein air!
Anche gli interni ricalcano fedelmente l’impostazione della Coupé ma guadagnano il
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News
Periodico elettronico di informazione automobilistica
trasformato in una pedina da muovere per fare
un dispetto all’avversario. Giugiaro, legato fedelmente allo “sconfintto” Piech, ne ha pagato le
conseguenze con un prezzo altissimo, che ha rischiesto un suo passo indietro di fatto forzato. È
così che il 2 luglio Giugiaro cedeva l’ultima quota
pari al 9,9% delle azioni che aveva mantenuto al
momento dell’ingresso nel gruppo di Wolfsburg
nel 2010, abbandonando tutte le cariche, compresa la presidenza onoraria. L’azienda passava
così totalmente a Volkswagen tramite l’Audi diventando quindi tedesca a tutti gli effetti.
Inizia l’era De Silva
Oggi, a due mesi di distanza, inizia il “dopo Giugiaro” all’Italdesign. E inizia con una notizia bomba visto che il nuovo Presidente non sarà niente
di meno che Walter De Silva, con Jorg Astalosch
nel ruolo di Amministratore Delegato. Le nomine verranno ufficializzate l’11 settembre in occasione di una tavola rotonda presso la sede di
Moncalieri. De Silva, che ritorna a Torino dove
aveva cominciato al Centro Stile Fiat nel 1972 e
poi dal 1986 all’Alfa Romeo, ha disegnato celebri
vetture firmando per 5 volte - record assoluto il successo nel titolo di Auto dell’Anno: nel 1998
con l’Alfa Romeo 156, nel 2001 con l’Alfa 147, nel
2010 con la Volkswagen Polo, nel 2013 con la
Golf e lo scorso anno con la Passat. Il designer,
64 anni, ha ricevuto nel 2011 il premio Compasso
d’Oro alla Carriera. Astalosch è invece un uomo
Volkswagen: è stato direttore finanziario della
Man, società tedesca di autocarri e autobus, e
assistente di Piech.
VW, SVOLTA EPOCALE
ALL’ITALDESIGN ARRIVA DE SILVA
DOPO L’ADDIO DI GIUGIARO
A due mesi di distanza, inizia il “dopo Giugiaro” all’Italdesign. Il nuovo
Presidente non sarà niente di meno che Walter De Silva, con Jorg
Astalosch nel ruolo di Amministratore Delegato
A
luglio, come un fulmine a ciel sereno,
arrivava la notizia dell’addio di Giugiaro alla sua Italdesign. Una notizia non
da poco visto che Giorgetto era stato
il fondatore di quell’azienda che ora si trova al
100% nella mani di Volkswagen. Per spiegare l’accaduto occorre inserire l’abbandono di
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Giugiaro nello lotte intestine e nei giochi di potere interni al colosso di Wolfsburg.
Giugiaro sacrificato
In pratica Giugiaro, totalmente incolpevole, si è
ritrovato immerso nella battaglia feroce tra Piech, Winterkorn e il Consiglio di Amministrazione,
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Sicurezza
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Cinture posteriori: se non le
indossi rischi la vita e la fai
rischiare a chi ti siede davanti!
In questa puntata parliamo delle cinture di sicurezza. Il loro utilizzo riduce dell’80% il rischio di
lesioni gravi o mortali. Mentre davanti le cinture
vengono allacciate dalla maggioranza degli utenti, sui sedili posteriori si vedono ancora troppi
passeggeri che non le indossano. Ricordiamo che
il loro utilizzo è obbligatorio.
Soprattutto sottolineiamo che non indossarle
dietro espone se stessi, ma anche i passeggeri
anteriori, a rischi di lesioni gravissime in caso di
incidente (il video lo spiega molto bene).
In autostrada oltre il 20% degli incidenti mortali
coinvolgono passeggeri che non indossavano le
cinture e che sono stati sbalzati fuori dall’abitacolo.
Tutto quello che c’è da
sapere sulle cinture
POLIZIA STRADALE IN AZIONE
IL CORRETTO USO DELLE CINTURE
DI SICUREZZA, ANCHE POSTERIORI
di Andrea Perfetti | Gli agenti della Polizia Stradale ci spiegano
l’importanza dell’uso delle cinture delle sicurezza. Sono obbligatorie
anche sui posti posteriori e il loro mancato uso ha conseguenze
pesantissime, come mostra il video
G
razie al fondamentale aiuto della
Polizia di Stato e della Sezione della
Polizia Stradale di Cremona, diretta
dal Vice Questore Aggiunto Federica Deledda, cerchiamo di fare chiarezza su diversi comportamenti che hanno un risvolto diretto
e immediato sulla sicurezza dei nostri viaggi in
62
auto e in moto. Siamo infatti saliti a bordo delle
auto della Polizia per rispondere in modo semplice e immediato a tanti dubbi e per chiarire diversi
aspetti legati alla circolazione stradale. A questo
indirizzo trovate gli argomenti trattati dalle redazioni di Moto.it e Automoto.it con la Polizia Stradale.
L’obbligo dell’installazione delle cinture di sicurezza ricorre, sia per i posti anteriori che per
quelli posteriori, per tutti i veicoli della categoria
M1 che, immatricolati dal 15 giugno 1976, siano
predisposti sin dall’origine con specifici punti di
attacco. L’obbligo di utilizzo delle cinture di sicurezza riguarda il conducente e i passeggeri
(anteriori e posteriori) delle seguenti categorie
di veicoli: autovetture, autoveicoli destinati al
trasporto di cose, autobus. Dal 30 luglio 2010
tale obbligo ricorre anche per il conducente ed
il passeggero di quadricicli leggeri dotati di carrozzeria chiusa dotati sin dall’ origine di cinture
di sicurezza. Ne deriva che devono usarle anche
il conducente e i passeggeri delle diffuse minicar.
Le cinture vanno indossate anche a bordo di taxi
e di vetture adibite a noleggio con conducente.
cente risponde anche del mancato utilizzo della
cintura o del sistema di ritenuta da parte del passeggero minore di età, se a bordo non è presente
chi è tenuto alla sorveglianza del minore stesso.
Dall’illecito discende la decurtazione di 5 punti dalla patente o dal certificato di idoneità alla
guida (il cosiddetto patentino per ciclomotori).
Se l’infrazione è ripetuta per almeno 2 volte in 2
anni, alla seconda infrazione consegue anche la
sospensione della patente da 15 giorni a 2 mesi.
Il comma 11 dell’art.172 punisce chi altera oppure
ostacola il normale funzionamento della cintura
di sicurezza (da euro 40 a euro 163 e la decurtazione di 5 punti).
Attenzione:
Il conducente che permette ai passeggeri di
viaggiare senza cintura di sicurezza o sistemi di
ritenuta, può essere considerato responsabile di
parte dei danni fisici subiti dagli stessi. In caso di
incidente mortale, il conducente che non ha imposto l’uso delle cinture risponderà dell’accusa
di omicidio colposo.
Donne in gravidanza
Le donne incinte devono usare le cinture di sicurezza, perché non solo non danneggiano il bambino ma riducono i rischi in caso di incidente. Cinture di sicurezza e airbag devono agire insieme
per far scendere del 70% la soglia di pericolo per
la futura mamma e il bambino. La cintura non va
mai lasciata troppo lenta, perché in caso di incidente la cintura potrebbe consentire alla donna
di scivolare bruscamente verso il basso, provocando ferite alla mamma e al bambino.
Sanzioni
Il conducente che non fa uso della cintura di sicurezza incorre nella sanzione pecuniaria da euro
81 a euro 326 (art.172 comma 10 cds). Il condu63
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Attualità
Periodico elettronico di informazione automobilistica
Concessioni Autostradali Lombarde (la società
costituita da Regione Lombardia, attraverso
Infrastrutture Lombarde, e dal Ministero delle
Infrastrutture con ANAS) che avrebbe dovuto
risarcire BreBeMi con 2,44 miliardi di euro.
Il flop della A35
BREBEMI
L’AUTOSTRADA DESERTA
CHE DIVORA SOLDI PUBBLICI
I gestori avevano previsto di recuperare l’investimento con i pedaggi, ma finora la BreBeMi è
stato un flop enorme: per stare nei conti la A35BreBemi doveva totalizzare 40.000 transiti nei
primi sei mesi dall’apertura e 60.000 da gennaio
di quest’anno, invece la società lo scorso luglio in
una nota piuttosto ottimistica informava che «i
volumi di traffico sono aumentati di circa il 107%,
passando dagli iniziali 13.000 transiti giornalieri
alle attuali punte di 38.000». Da qui l’esigenza di
ripianare i conti con l’iniezione di soldi pubblici
da 320 milioni varata dal Cipe, che ha peraltro
deciso che la durata della concessione passerà
dai 19,5 previsti inizialmente a 25,5 anni. Alla
scadenza della concessione, poi, la BreBeMI
passerà allo Stato in cambio di 1 miliardo e 205
milioni di euro.
Non proprio privata
Costruita attraverso il project financing con soci
pubblici diretti e indiretti come Regione, Province e Comuni interessati insieme a privati come
banche e imprese costruttrici, la A35 quando
partì il progetto, più di diciotto anni fa, doveva
costare 920 milioni di euro, ma il conto finale si
è triplicato fino a raggiungere 2,439 miliardi di
euro, compresi gli interessi. Che per 62 chilometri di lunghezza fanno un totale di 38 milioni di
euro a chilometro. Ma cosa tiene lontani gli automobilisti dalla BreBemi? Innanzitutto il pedaggio
salato: i 56 km a pagamento da Brescia a Milano
costano ben 10,70 euro, ovvero 19 centesimi a
km.
Per fare lo stesso tratto sulla A4 se ne spendono 6,80. Per questo motivo BreBeMi S.p.A. ha
lanciato in estate una campagna di sconti fino
al 45%, che però non hanno migliorato molto la
situazione. Basta percorrerla per accorgersi che
la A35 è una autostrada deserta. E poi mancano
le aree di servizio. Negli spazi in cui dovrebbero sorgere per il momento la concessionaria ha
tamponato la situazione installando bagni chimici e distributori automatici di merendine, bevande e caffé.
Quest’ultimo, però, da qualche mese è gratis.
Basterà a convincere gli automobilisti a scegliere
l’”autostrada dei privati”?
La A35 che collega Brescia a Milano è l’autostrada più giovane,
ma anche la più costosa e meno frequentata d’Italia. E per tamponare
il flop lo Stato accorda un finanziamento da 320 milioni di euro
D
oveva essere l’autostrada più moderna, veloce e sicura d’Italia e oltretutto a costo zero per le casse
pubbliche. Invece la BreBeMi, l’autostrada “dei privati”, continua a costare un bel po’
al contribuente. Quanto? Gli ultimi soldi pubblici
ricevuti dalla A35 e accordati dal Cipe lo scorso
6 agosto sono un finanziamento da 260 milioni
di euro erogati dallo Stato in rate da 20 milioni
64
all’anno dal 2017 al 2031 e 60 milioni in tre rate
annuali, dal 2015 al 2017, erogati invece dalla Regione Lombardia. In totale fanno 320 milioni di
euro per riequilibrare i conti, una evenienza peraltro prevista dalla convenzione in caso le cose
non fossero andate come previsto come in effetti è successo. E se lo Stato non avesse pagato?
Gli accordi stabiliscono che la società autostradale avrebbe potuto restituire la concessione a
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Attualità
Periodico elettronico di informazione automobilistica
N
ella giornata di sabato c’è stato l’ennesimo incontro di rito tra il Presidente della Regione Lombardia Maroni e Bernie Ecclestone, numero
uno della F1. Subito dopo l’Autodromo ha diffuso un comunicato per cercare di rassicurare gli
animi dei tifosi: “La trattativa va avanti, incontro
significativo”. Maroni andava addirittura oltre dicendo: «Al 99,9 % Monza è salva!»
Ecclestone: parole durissime
F1 MONZA
MARONI: «IL GP È SALVO AL 99,9%».
ECCLESTONE LO GELA: «RINNOVO
IMPROBABILE»
di Matteo Valenti | Nuovo incontro a Monza ieri tra Bernie Ecclestone
e il Presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni. Maroni si è
mostrato molto fiducioso, ma la trattativa sembra destinata a durare a
lungo. Può la Formula 1 privarsi davvero di Monza?
Le dichiarazioni rilasciate da Ecclestone soltanto
poche ore dopo ai microfoni di Rai Sport F1 però
tracciano uno scenario molto meno scintillante.
Bernie infatti ha sentenziato:«Noi siamo stati
ottimisti, abbiamo cercato di trovare una soluzione. Però non possiamo trovare un accordo
diverso rispetto a quello degli altri Paesi. Anche
in Germania sono andati in scena Gran Premi
per diversi anni eppure oggi non siamo riusciti
a trovare un accordo» E a chi gli chiedeva quale potrebbe essere la soluzione, lui risponde:
«Lo soluzione credo che debba essere la stessa
di quando io voglio comprare qualcosa. Se non
posso permettermela non la posso avere». Mister E. non ha risparmiato poi la consueta frecciata a Maroni. Il Presidente della Regione è da
giorni che ripete “Monza non si tocca” ed Ecclestone risponde cristallino come sempre: «Nessuno vuole toccare Monza, io credo di venire
su questo tracciato da molto tempo prima di lui
[Maroni, ndr]». Il rinnovo quindi è improbabile?
«Al momento direi di sì - ha spiegato Bernie ad
Autosport - sulla base del fatto che non vogliono
pagare. Il prezzo che chiediamo è lo stesso che
pagano gli altri organizzatori europei, non dovrebbe essere un dramma ma non sono in grado
di chiudere, probabilmente per molte ragioni».
Può esistere una F1 senza Monza?
Insomma il cammino per il rinnovo del contratto
è sempre più in salita, sopratutto perché Ecclestone sembra davvero irremovibile. Ha una cifra
in testa - si parla di circa 25 milioni di euro - e non
66
è disposto a fare sconti in nessuna maniera (Gli
organizzatori vorrebbero chiudere a 10 milioni in
meno circa).
E’ anche vero però che risulta difficile immaginare, soprattutto per noi Italiani, un futuro in
F1 senza la classica monzese. Oltre ad evidenti
ragioni affettive però c’è un aspetto da considerare che può essere una leva più forte di tutte,
soprattutto per una Formula 1 sempre più in crisi
di identità come quella attuale. Per dirla con le
parole del Team Principal Ferrari Maurizio Arrivabene: «Monza insieme a Spa, Silverstone e
Monaco rappresenta l’essenza della Formula1.
Se perdi le radici perdi te stesso».
Monza, atmosfera magica
Ed è questo il vero tema che ruota attorno alla
vicenda dell’Autodromo Nazionale. Ecclestone
ha uno spettacolo da mandare avanti, divenuto
molto costoso. I contratti con gli autodromi - oltre ai diritti TV - garantiscono la sopravvivenza
del Circus stesso e delle squadre, quindi Bernie
fa un semplice discorso di mercato, tra domanda e offerta. Per questo dice che non ammette
sconti.
Ma se Francia e Germania hanno già perso il GP
di casa, viene da chiedersi quale sia il senso di
una F1 senza nemmeno più Monza, con il suo bagaglio ineguagliabile di storia e passione. Con un
calendario organizzato soltanto sui nuovi circuiti
disegnati dalla discutibile mano di Tilke, in Paesi
ai confini del mondo e privi di un reale patrimonio
culturale legato al motorsport il Circus rischierebbe di perdere un’altra fetta importante del
suo fascino già in parte compromesso dalle rivoluzioni tecniche degli ultimi anni. In questi giorni a Monza noi, insieme a tutti i tifosi, abbiamo
respirato un’atmosfera veramente unica, resa
ancora più magica dalle qualifiche brillanti delle
Ferrari che hanno mandato in delirio le tribune
tinte di Rosso.
E ci auguriamo, con tutte le nostre forze, di continuare a respirarla a pieni polmoni per molto,
molto tempo.
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Tecnica
Periodico elettronico di informazione automobilistica
che passano nella zona centrale, tra i due alberi
a camme, con andamento più o meno parallelo
all’asse dei cilindri. In altre parole, se la bancata
di questi ultimi è verticale, sono verticali anche
i condotti di aspirazione, mentre quelli di scarico mantengono la disposizione usuale e quindi
fuoriescono dalla testa lateralmente. In questi
casi fino a pochi anni fa si parlava di “downdraft”
ports, ma oggi questa definizione inizia ad essere impiegata per indicare semplicemente i condotti con forte inclinazione verso l’alto, anche
se disposti in maniera convenzionale. In campo
automobilistico i condotti di aspirazione di questo tipo pare che abbiano fatto la loro comparsa
negli USA, su alcuni motori da competizione costruiti dal mitico Miller negli anni Venti e su una
Sampson che ha gareggiato a Indianapolis nel
1930 e nel 1933. Poco tempo dopo la soluzione
è stata impiegata dalla BMW per la sua ottima
328 a sei cilindri. In questo caso la distribuzione
era ad aste e bilancieri e i condotti di aspirazione, verticali, passavano nella zona centrale della
testa, tra le due file di valvole (debitamente inclinate tra loro). Nel dopoguerra questo motore è
stato a lungo costruito in Inghilterra dalla Bristol.
In Germania vanno segnalati i sei cilindri delle
vetture Sport Veritas, “imparentati” in larga misura con il 328 ma dotati di una nuova testa, in
alcuni casi con distribuzione monoalbero.
Le applicazioni in Formula 1
A portare decisamente alla attenzione di tecnici e appassionati i condotti downdraft è stata la
Mercedes-Benz con i suoi straordinari motori da
competizione desmodromici a iniezione diretta
che hanno spopolato nei campionati di Formula
Uno del 1954 e 1955. La soluzione è stata impiegata anche sul motore di tre litri delle vetture
Sport della casa di Stoccarda che hanno vinto
il mondiale nel 1955 (trionfando tra l’altro nella
TECNICA
I CONDOTTI DI ASPIRAZIONE
DOWNDRAFT
di Massimo Clarke | I condotti di aspirazione downdraft sono una
soluzione inconsueta che ha avuto poche ma interessanti applicazioni.
Scopriamole insieme
L
o schema classico per i motori di alte
prestazioni prevede che la testa abbia
un lato di aspirazione e uno di scarico.
I gas combusti escono da una parte
e l’aria entra dall’altra dall’altra. Semplice e razionale, no? Questa è la soluzione che domina
la scena, abbinata a una distribuzione mono o
bialbero. Fino ad alcuni anni fa avevano ancora
una discreta diffusione le teste “uniflow”, con i
condotti di aspirazione e di scarico dallo stesso
lato, ma non erano certo destinate a motori di
alta potenza specifica.
68
Condotti di aspirazione...
in verticale!
C’è però un’ulteriore possibilità di disporre i
condotti; è stata sfruttata piuttosto di rado ma
in motori che in genere hanno lasciato il segno.
Uno di loro ha vinto due mondiali di Formula Uno
consecutivi negli anni Cinquanta mentre un altro
ha trionfato più volte a Indianapolis nel decennio
successivo. E con l’entrata in scena della iniezione diretta questa soluzione è stata ripresa anche da qualche recente motore di serie. Stiamo
parlando delle teste con condotti di aspirazione
69
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Mille Miglia). Si trattava di un otto cilindri in linea
strettamente imparentato con quello dei motori
di F1, ma dotato di blocchi testa/cilindri in lega di
alluminio (con canne cromate) e di un angolo tra
le valvole leggermente diverso. Nel 1957 ha fatto la sua comparsa il V12 Maserati di 2500 cm3
destinato alle monoposto da Gran Premio, per il
quale si parlava di una potenza superiore ai 300
cavalli a un regime dell’ordine di 10.000 giri/min.
Da questo motore in seguito è derivato quello di
tre litri che è stato impiegato dalla Cooper nelle
sue vetture di Formula Uno nel 1966 e (con nuove teste a tre valvole per cilindro) nel 1967. Tra
le soluzioni impiegate spiccavano le canne dei
cilindri umide nella parte superiore e secche in
quella inferiore e i robusti cappelli da banco, fissati con quattro grosse viti ciascuno. Le punterie
erano del tipo a piattello e le molle delle valvole
(inclinate tra loro di 78°) erano a spillo.
70
Tecnica
Periodico elettronico di informazione automobilistica
Il V12 Lamborghini
Tra il 1961 e il 1965 il regolamento limitava a
1500 cm3 la cilindrata dei motori di Formula
Uno. L’ing. Giulio Alfieri, direttore tecnico della
Maserati, ha pensato di spingere al massimo il
frazionamento, al fine di ottenere la più elevata potenza possibile. È così nato uno splendido
V12, disposto trasversalmente rispetto al telaio, dotato di condotti di aspirazione downdraft.
Purtroppo questa straordinaria realizzazione è
rimasta allo stadio di prototipo. Nel 1963 la Lamborghini ha fatto il suo ingresso nel settore automobilistico con la 350 GT, azionata da un V12
di 3500 cm3 collocato anteriormente e dotato
di condotti downdraft. La vettura non ha avuto
un particolare successo, ma ha aperto la strada
che ha portato alla realizzazione della fantastica
Miura (apparsa tre anni dopo) azionata da una
versione sviluppata e con cilindrata portata a 4,2
litri dello stesso motore, che è stato disposto trasversalmente subito dietro l’abitacolo. Nel 1964
la Ford ha schierato a Indianapolis il suo nuovo
V8 con distribuzione bialbero e quattro valvole
per cilindro per il quale dopo una serie di test al
flussometro e al banco prova è stata scelta la
soluzione downdraft. La cilindrata di questo motore, che ha vinto la 500 miglia per tre anni consecutivi (dal 1965) era di 4,2 litri e l’angolo tra le
valvole di 70°. Il 1966 ha visto l’adozione della soluzione downdraft da parte di svariati costruttori
impegnati in campo agonistico. In quello stesso
anno è entrato in vigore il nuovo regolamento di
Formula Uno che prevedeva per gli aspirati una
cilindrata massima di 3000 cm3 e ciò ha reso
necessaria la realizzazione di nuovi motori. La
Ferrari ha schierato il suo 312 con teste bialbero, anche nella versione a tre valvole per cilindro,
che impiegava condotti di questo tipo. La BRM
ha fatto ricorso alla soluzione downdraft, già utilizzata l’anno precedente sull’ultima versione del
V8 di 1500 cm3, nel suo famoso 16 cilindri ad H e
poco tempo dopo anche nel V12 tipo 101. Pure la
Honda ha utilizzato questo schema nel suo motore RA 273 E. Contemporaneamente la Jaguar
ha sviluppato un motore bialbero con condotti
downdraft di 5.0 litri, con l’intenzione di schierarlo alla 24 ore di Le Mans. Purtroppo il progetto
è stato cancellato e questo V12, provato a lungo con risultati molto interessanti, non è uscito
dallo stadio di prototipo. Un caso a sé stante è
quello della BMW, che ha realizzato un motore
di 2 litri, con il basamento della vettura di serie,
con l’intenzione di utilizzarlo sulle monoposto
di Formula Due. La testa, progettata dal famoso
tecnico austriaco Ludwig Apfelbeck, aveva quattro valvole per cilindro disposte diametralmente.
Vi erano otto condotti di aspirazione, verticali, e
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Tecnica
Periodico elettronico di informazione automobilistica
testa devono passare i condotti di aspirazione.
Ciò impedisce la realizzazione di camere di combustione molto compatte. In genere quando si è
fatto ricorso a questo schema è stato o per poter
collocare gli scarichi al centro della V formata
dalle due bancate di cilindri oppure perché non
si poteva fare altrimenti. Quest’ultimo è stato ad
esempio il caso del motore Mercedes, nel quale
per portare il baricentro quanto più possibile vicino al suolo era stata adottata una architettura
con cilindri orizzontali e gli scarichi uscivano dalla parte superiore delle teste. Non era possibile
piazzare inferiormente i condotti di aspirazione,
che perciò sono stati disposti orizzontalmente,
facendoli passare in ogni testa tra i due alberi a
camme. Dopo l’uscita di scena del C 291 sembrava che dei condotti downdraft non si sarebbe
più parlato; e invece, grazie all’affermazione della iniezione diretta di benzina sui motori di serie,
dal 1997 in poi se ne sono visti almeno un paio.
otto di scarico, orizzontali e disposti quattro da
un lato della testa e quattro dall’altro. Le camere
di combustione erano emisferiche; in ciascuna di
esse le due valvole di aspirazione non erano adiacenti ma disposte una di fronte all’altra, e lo stesso avveniva per quelle di scarico. Il 1968 ha visto
la comparsa del V12 di Formula Uno Matra. Denominato MS9, questo motore aveva teste con
condotti di aspirazione downdraft. L’angolo tra
le valvole era di 56° e la potenza era dell’ordine di
400 cavalli a un regime di circa 10500 giri/min.
In seguito però la casa francese è passata a teste
di tipo convenzionale, con camere più compatte
e angolo tra le valvole molto ridotto.
Lancia e lo schema Triflux
Per diversi anni è sembrato che la soluzione
downdraft avesse completamente perso l’interesse dei progettisti. Arrivati alla metà degli anni
Ottanta però la Lancia per sostituire la sua Delta
S4 con doppia sovralimentazione ha realizzato
un motore con doppio turbocompressore, testa
con condotti di aspirazione verticali e scarichi
laterali, secondo uno schema detto Triflux. Le
72
quattro valvole di ogni cilindro, collocate come di
consueto su due piani inclinati tra loro (la camera di combustione aveva quindi l’usuale forma a
tetto), si alternavano: da ciascun lato ce ne erano
una di aspirazione e una di scarico, con disposizione “diametrale”. “Il Mercedes C 291 a 12 cilindri aveva una cilindrata di 3,5 litri e al termine
dalla stagione è arrivato ad erogare una potenza
non lontana da 700 cavalli a un regime superiore
a 13000 giri/min”
Il disegno consente di osservare la disposizione e la conformazione degli organi meccanici
del Matra V12 di Formula Uno MS9, apparso nel 1968. I condotti di aspirazione sono downdraft
Media
La Mercedes C 291
Condotti downdraft sono stati impiegati nel 1991
anche dalla Mercedes-Benz per il suo C 291 a dodici cilindri contrapposti, destinato al mondiale
di endurance. Questo interessantissimo motore,
dotato di gruppi teste/cilindri realizzati di fusione in blocco unico, aveva una cilindrata di 3,5 litri
e al termine dalla stagione è arrivato ad erogare
una potenza non lontana da 700 cavalli a un regime superiore a 13000 giri/min. L’angolo tra le
valvole era di 40°. Quando si adotta la soluzione
downdraft l’angolo tra le valvole non può essere molto ridotto perché nella zona centrale della
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Formula 1
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F1, GP ITALIA 2015
LE PAGELLE DI MONZA
di Giovanni Bregant | Diamo i voti al Gran Premio d’Italia, dominato da
Lewis Hamilton con pole, vittoria e giro veloce, e con Vettel e Massa sul
podio
C
on Rosberg di fatto fuori causa fin
dal sabato, azzoppato da un motore
vecchio e oltre il limite di installato
all’ultimo momento, quella di Hamilton al Gran Premio d’Italia doveva essere una
passerella trionfale e così è stato. Pole, vittoria,
giro più veloce, probabilmente senza mai guardare gli specchietti fatta eccezione per la prima
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frenata dopo il via. Ci tocca ripeterci, ricordando
che non è colpa dell’inglese se nessuno riesce
ad avvicinarsi, e così di nuovo voto 10, ma senza lode perché quella capigliatura bionda proprio non si può vedere... Ma il colore dei capelli
è l’unica cosa che l’inglese ha sbagliato in tutto il
fine settimana, e questo la dice lunga. Rullo compressore. Voto 8 a Vettel, veloce in qualifica (ma
stavolta Raikkonen fa meglio di lui al sabato) ed
efficace come sempre in gara, anche se il distacco ridotto delle qualifiche aveva fatto pensare ad
una gara d’attacco, mentre alla fine il distacco
al traguardo è pesante. E allora niente da fare:
la Mercedes è ancora imprendibile, e forse Rosberg avrebbe conquistato anche il 2° posto se
il suo motore non fosse esploso in una nuvola
di fumo. Vettel comunque, ancora una volta, ha
tratto il massimo dalla macchina a disposizione:
una certezza. Chi invece continua ad alternare
cose grandiose a errori inspiegabili è Raikkonen:
splendido in qualifica e nella rimonta in gara, orrendo al via dove fa stallare l’auto partendo di
fatto in fondo al gruppo, e meno male che nessuno l’ha tamponato. Spettacolare e feroce il
suo recupero, ma il week end perfetto per il finlandese è ancora un miraggio. Voto 6,5, genio e
sregolatezza. Voto 6 - sulla fiducia - a Rosberg,
penalizzato come già detto dalla sostituzione
del motore e poi dalla rottura di quest’ultimo.
Eppure quanti credono davvero che senza questi problemi tecnici avrebbe potuto impensierire
Hamilton? Il suo mondiale di fatto è già finito, ma
forse quest’anno non è nemmeno iniziato. Delusione. Sorprendere ancora invece in positivo
Massa, a podio grazie anche ai problemi altrui
ma comunque meritatamente: il brasiliano sta
ancora una volta davanti all’(ex) astro nascente
Bottas e si toglie non poche soddisfazioni. Voto
9, complimenti veri. A proposito, voto 7,5 a Bottas, veloce ed efficace, ma non quanto Massa,
e non c’è altro da aggiungere. Arriva dietro, ma
in proporzione fa meglio, Perez, che conquista un gran bel 6° posto stando pure davanti a
Hulkenberg: il messicano è sempre più una certezza, e lo sarebbe anche senza i soldi dei suoi
munifici sponsor. Voto 8, maturato. Bravo, ma
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stavolta non bravissimo il già citato Hulkenberg,
meno efficace del compagno di squadra anche al
sabato, ma in grado comunque di portare a casa
dei punti preziosi. Voto 7, una garanzia. Un altro
bravo a cogliere sempre e comunque il massimo è Ricciardo, partito dal fondo e autore di una
pregevole rimonta anche se poco appariscente:
con il motore Renault risalire tre quarti di griglia
di schieramento a Monza non è roba proprio da
tutti, e infatti l’australiano ha chiarito da tempo
di non essere uno qualsiasi. Voto 9, impresa! Un
bel voto però stavolta lo merita anche Ericsson,
che in queste pagelline abbiamo un po’ bistrattato - ce ne rendiamo conto - ma di nuovo lo svedese va a punti e sta ben davanti al compagno
Nars, e allora per una volta voto 8 e complimenti
anche a lui. Voto 7,5 a Kvyat, che chiude la zona
punti con una bella rimonta, ma non così incisiva
come quella del compagno di squadra Ricciardo:
il russo comunque continua a cogliere ogni occasione per fare bene, anche quando la sfortuna fa
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Formula 1
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di tutto per metterlo in difficoltà. Fuori dalla zona
punti, ma in bella e meritata evidenza Verstappen, autore di due bellissimi sorpassi con frenata
all’esterno alla prima chicane, il primo su Button
(e vederli duellare ruota a ruota faceva impressione vista la differenza di età) e il secondo su
Nasr. Avrebbe meritato ben altro piazzamento
e sicuramente l’avrebbe ottenuto, se non fosse
stato per il solito protagonismo dei commissari
(e un regolamento assurdo) che fa finire la sua
gara prima ancora che abbia inizio, a causa di
un drive-through per un errore commesso.. dai
meccanici... al sabato. Perché penalizzare il pilota, uccidendone la gara e togliendo interesse al
pubblico, per un cofano fissato male nelle qualifiche? Non era il caso di penalizzare - con una
multa salata o punti di campionato - solo il team?
Stavolta il baby olandese torna a casa a mani
vuote, ma ha dato comunque l’ennesima dimostrazione del suo immenso talento. Voto 8, e un
grazie da parte di tutti i tifosi. Voto 5 invece alla
Ferrari vista a Monza: Arrivabene a fine gara ha
dichiarato di vedere il bicchiere mezzo pieno, ma
c’è poco da festeggiare quando si conclude a 25
secondi dall’avversario diretto. Il nuovo motore
sarà sicuramente migliore del precedente, ma le
Mercedes restano sempre imprendibili. E voto
5 anche a certi tifosi di rosso vestiti che hanno
esultato in tribuna mentre il motore e il mondiale
di Rosberg andavano in fumo sotto i loro occhi.
Certe manifestazioni poco sportive sono sempre
esistite in F1 (per conferma chiedere a Patrese
di una vittoria andata in fumo ad Imola tanti anni
fa), però non era proprio il caso di infierire così,
suvvia.
Voto 0 invece a quegli altri tifosi - anche se per
fortuna erano molti di meno - che hanno rovinato la festa del podio con gesti e cori razzisti.
Hamilton li perdoni e stia tranquillo, perché se un
giorno andrà in Ferrari saranno i primi ad esaltarlo. Non è che non amano il nero, è che vedono
rosso, rosso e basta. Limitati. Molto limitati. Voto
0 infine alla Fia che dopo quanto avvenuto con le
gomme a Spa prima del via becca le Mercedes
al di sotto della pressione minima consigliata,
ma anziché imporre semplicemente di alzarla
questa benedetta pressione, lascia Hamilton e
Rosberg correre tranquillamente - si fa per dire mentre i commissari deliberavano di... non dover
decidere niente in proposito.
In effetti la pressione è solo consigliata dalla Pirelli, non è imposta. E allora però un consiglio lo
vogliamo dare noi alla Pirelli: che fugga da questa
F1 isterica, pronta ad addebitarle la colpa di qualsiasi cosa senza mai ascoltare le indicazioni dei
suoi tecnici.
Pirelli è in F1 per ragioni di immagine - anche perché finché c’è questo regolamento le ricadute
sul prodotto di serie sarebbero maggiori correndo con delle gomme da masticare - ma il rischio
di immagine c’è, grosso, ad ogni gara, per colpa
dell’ipocrisia di squadre e piloti e della totale
mancanza di buon senso della Federazione.
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La F1 vittima di un regolamento
incomprensibile
F1, GP ITALIA 2015
MERCEDES E RAIKKONEN,
QUESTIONE DI PRESSIONE
Nell’era della tecnologia ci voleva molto col commissario in fianco a dire alla Mercedes o alla Pirelli “guarda che è sgonfia rimettila a posto?”.
No, tutto codificato e via di questo passo. E il grave è che per una baggianata di questo tipo (non
erano 5 bar di differenza, per intenderci) si è fatto passare la Mercedes per furba e per chi voleva
tentare il colpo gobbo come se ne avessero bisogno. E che dire dei motori? Rosberg ha dovuto
usare un propulsore con 7 gare alle spalle, che
sia esploso così era logico e scontato, anche se è
il segnale di addio al mondiale visto che Hamilton
ormai ha 53 punti di vantaggio sul tedesco. Che
senso ha penalizzare il pilota mentre potevano
inventare una norma che toglie punti al costruttore? Il pilota se la gioca alla pari, chi rompe perde punti in percentuale. No, tutto complicato e
incomprensibile, vedi penalizzazioni a raffica.
La distrazione costa cara
a Raikkonen
Chiuso il capitolo gomme si apre quello
Raikkonen:”Ha pasticciato al via” hanno detto
alla Ferrari. Lo hanno visto tutti, se non entra la
marcia chiaro che non parti. E’ andata bene, anzi
benissimo, che non lo abbia investito nessuno e
si deve ringraziare la pista di Monza che ha un
rettilineo molto largo. Da altre parti sarebbe stata una strage. E poi che Kimi fosse distratto lo si
è capito dal pit stop. E’ entrato molto lento nella
corsia di decelerazione al punto che Merhi, con la
Manor, ha bloccato le gomme per non tamponarlo. E la Manor è l’ultima monoposto del gruppo,
quella che va più piano, ma Raikkonen andava
più piano ancora. “Ha guidato da Dio” ha detto
Marchionne. Chiaro, dopo averlo confermato col
rinnovo del contratto mica possono dire chi ce lo
ha fatto fare. Ce l’hanno in casa e ora se lo tengono e se lo pagano. Di sicuro quando Kimi deve
fare la differenza la fa. In negativo.
di Paolo Ciccarone | La Mercedes per la pressione delle gomme ha
rischiato grosso, mentre la pressione - o forse la distrazione - hanno
giocato un brutto tiro a Raikkonen, autore di un grossolano errore in
partenza
A
lla fine qualcuno alla Ferrari non
ha perso il gusto per la battuta e a
proposito della gomma sgonfia di
Hamilton (di appena 0,02 bar) ha ricordato che “In fondo dovevamo metterli sotto…
pressione e ci siam riusciti”. Il caso della gomma
sgonfia si è gonfiato nel corso delle ore in attesa della decisione dei commissari e qualcuno ha
ironizzato con un tweet di Renzi a Lewis Hamilton “stai sereno”. Meglio metterla in ridere visto
che questa F.1 sta diventato ridicola sotto vari
78
aspetti. Hanno talmente codificato tutto, dai motori, alle gomme, alla pressione e angoli di camber, gli orari in cui parlare, provare, mangiare e
fare pipì che alla fine, quando ci si trova di fronte
a un caso nuovo, si resta bloccati perché non si
sa più che fare.
Le indicazioni della Pirelli ci sono, ma manca una
norma che preveda quali sanzioni applicare. Il
problema è stato riscontrato 5 minuti prima del
via, ma lo hanno comunicato dopo le 15, ovvero
oltre un’ora dopo la partenza.
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Formula 1
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fratello di Giovannino, il pilota scomparso in Brasile al volante di una F.2 nel 1971, Michele sognava le gare, sognava di fare il pilota e sognava di
approdare alla Ferrari. Il martedì mattina, molto
spesso il mercoledì, in ufficio, era tutto un inseguire l’unica copia del settimanale specializzato
che riportava le cronache delle gare di F.1, ma
anche le cronache di gare notturne in quel di
Monza, vissute con lo stesso agonismo di un GP
e con gli stessi clan anche se poi le monoposto
erano tenute insieme dal fil di ferro e il motore
era il classico Fiat sogliola di 500 cc. Ma bastava
per sognare e vedere il proprio nome in classifica, sullo stesso giornale in cui si parlava della
Ferrari, era uno stimolo eccezionale per chi aveva le corse nel sangue. Michele prese carta e
penna e con l’entusiasmo della passione, indirizzò a Enzo Ferrari una lettera in cui il Drake riuscì
a leggere nelle pieghe dell’anima di Michele.
All’interno della Scuderia Salvati qualcuno
cominciò a cercare dei soldi per aiutare il ragazzo, qualcun altro mise a disposizione la propria
F.Italia per un test. Con gomme vecchie, motore
spompato e assetti aleatori, Alboreto era stato
più veloce del titolare (Mario Simone Vullo, attualmente avvocato di grido) che decise di aiutare il giovane in qualche modo. Il giovanotto fu tenuto d’occhio e passo dopo passo, gara dopo
gara, il nome di Michele Alboreto cominciò a circolare nell’ambiente delle corse, fino a quando
con la F.3, il ragazzino dimostrò di avere i numeri
per fare il professionista. Un aiuto qua, uno là,
fino a quando il destino mise sulla strada il Conte
Zanon. L’appassionato patrocinatore di giovani
talenti fu conquistato dalla bravura e dalla passione di Michele e così, un giorno di aprile del
1981, saltò fuori un posto sulla Tyrrell per il GP di
San Marino a Imola. Fu un giorno di festa, non
solo per il pilota milanese, ma anche per tutti i
ragazzi della Scuderia Salvati che rividero in F.1
ALBORETO
I SOGNI DI UN APPASSIONATO
TRA MONZA E FERRARI
di Paolo Ciccarone | Michele Alboreto è stato lì’ultimo italiano capace di
lottare per il titolo in Formula 1. Lo ricordiamo così, nella settimana del
GP d’Italia nella sua Monza
È
la settimana del GP di Monza e come
primo omaggio non può mancare
quello al pilota che proprio su questa
pista cominciò a calcare le scene fino
a salire sul podio. Un autodromo che non ha dedicato nulla a Michele Alboreto, una curva, una
sala, una targa ricordo, niente. Eppure la storia di
Michele e quella dell’autodromo sono andate di
pari passo per moltissimi anni. Vale la pena,
quindi, ricordare come iniziò la storia. Cominciò
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tutto con una lettera. Michele Alboreto era uno
dei tanti ragazzi che a Milano frequentava la Scuderia Salvati e il giovedì sera si divertiva a guardare i suoi coetanei che si sfidavano nelle corse
di F.Monza sul tracciato junior dell’autodromo
lombardo. A quell’epoca la Scuderia Salvati era
una vera e propria fucina di campioncini, di aspiranti piloti ed ex frequentatori degli autodromi
nazionali. Nella sede di Viale Umbria, dove c’era
la rivendita di pneumatici di Adriano Salvati,
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un casco giallo e blu, i colori dedicati allo scomparso Ronnie Peterson, il pilota preferito da Michele. Ma soprattutto perché quel giorno di aprile il sogno di uno di loro era diventato realtà e
questo bastava per tutti quanti, dando un senso
a quella combriccola di appassionati che alla
Scuderia Salvati cercavano una occasione. Dal
quel GP di San Marino alla Ferrari, passarono tre
stagioni. Enzo Ferrari, col quale Alboreto era rimasto in contatto, decise di ingaggiarlo, ma a
volte intoppi con gli sponsor, situazioni contrattuali con altri piloti, le vicende tragiche di Villeneuve prima e Pironi dopo, impedirono ad Alboreto l’accesso a Maranello fino alla stagione
1984. Nel frattempo, con la Tyrrell, Michele aveva vinto nel 1982 il GP di Las Vegas e nell’83 quello di Detroit. Insomma, alla Ferrari non arrivava
un signor nessuno, ma un campione affermato
già vincente in F.1. Quando Michele salì per la prima volta sulla Ferrari, fu il compimento di un
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sogno. Mai, nella storia della rossa, un pilota si è
sentito così legato alla sua squadra. Una volta
realizzato un sogno, bisogna poi viverlo davvero.
E Michele si rese conto che le cose non erano
proprio come aveva sperato. Un conto era sognare una monoposto rossa, l’altro era confrontarsi con i rivali, con macchine più veloci, con gli
ingegneri e le situazioni quotidiane che ti fanno
diventare amico di qualcuno, nemico di altri.
Giorno dopo giorno Michele cercava di adattarsi
alla nuova situazione e viceversa, la Ferrari scopriva la personalità del suo pilota. Sopra tutti,
però, c’era Enzo Ferrari, col quale Michele aveva
sempre un filo diretto. La prima corsa della stagione ‘84, in Brasile, comincia con una partenza
in prima fila, ma anche con un ritiro. In Sudafrica
peggio ancora: dodicesimo all’arrivo. Si arriva a
Zolder, la pista dove due anni prima Gilles Villeneuve si è ucciso decollando sulla March di Jochen Mass. È un appuntamento speciale che
nella mente di Michele viene rivissuto in modo
particolare. Due anni prima, quasi esordiente in
F.1, appena vista la tragica fine di Gilles, Michele
prese il telefono e chiamò l’autodromo di Monza.
Quel sabato c’era in programma una gara di F.
Monza alla quale partecipava il fratello Ermanno
al volante di una monoposto della Scuderia Salvati. L’altoparlante dell’autodromo chiama in direzione corsa Ermanno Alboreto. Piove a dirotto
e tutti, sentendo l’altoparlante, pensano a qualcosa di grave a Michele. Ermanno corre e dal box
opposto attraversa tutto il paddock prima di entrare nella direzione corsa dove Romolo Tavoni,
ex DS della Ferrari negli anni 60, gli passa la cornetta. È Michele che comunica al fratello della
tragica fine di Gilles Villeneuve e di quanto sia
stato colpito dall’avvenimento. Perché Michele
Alboreto è un pilota di F.1 per tutti, invece lui si
sente ancora un appassionato in mezzo ai grandi
della categoria. Ermanno avvisa gli amici della
Scuderia Salvati, qualcuno cerca una TV per seguire le prove del GP del Belgio o avere informazioni. L’ambiente è scosso, ma è la telefonata di
Michele che entra nell’animo dei tanti ragazzi
che vedono in lui il testimone privilegiato di un
evento storico. In quella Zolder del 1984 a Michele in testa circolano le immagine e i ricordi di due
anni prima. Stavolta al volante della Ferrari numero 27 c’è lui e non Gilles. Qualcosa si accende
nella mente di Alboreto, fatto sta che in prova
segna la pole position, la prima della carriera e
proprio con la Ferrari. Domenica, in gara, vince il
primo GP con la rossa, il terzo della carriera. Michele capisce di poter essere un pilota della Ferrari, che ha le qualità per farcela e raggiungere
quel sogno chiamato titolo mondiale. Dopo 18
anni dall’ultima vittoria di Ludovico Scarfiotti a
Monza, torna a vincere un pilota italiano su una
Ferrari. La gioia è tanta, ma Enzo Ferrari è esigente e a Zolder arriva una telefonata: «Allora,
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Commendatore, che mi dice?» chiede Michele
contento. «Dico che hai commesso un errore e
che potevi buttare la gara e inoltre hai calato il
ritmo di corsa senza motivo». Alboreto resta interdetto ma capisce la lezione di Enzo Ferrari:
mai distrarsi, mai dare nulla per scontato. La vittoria è frutto del duro lavoro. Il prosieguo di stagione va fra alti e bassi, fino a quando si arriva a
Monza. Siamo nella tana del lupo, qui Michele
conosce ogni curva, ogni commissario di pista,
compreso quell’Adriano Salvati che dalla prima
chicane sventola con solerzia la bandiera blu ai
doppiati quando arriva Michele lanciatissimo.
Ma contro Alain Prost non c’è molto da fare, il
francese vince la corsa davanti ad Alboreto, ma
sul podio la festa è tutta per Michele che nella
sua Monza è salito sul podio. Ci sono gli amici di
sempre, chi gli ha prestato la prima macchina,
chi gli diede le gomme in F.Monza. Non ha vinto,
ma è come se lo fosse. La stagione ‘84 si chiude
con una grande promessa, quella di un italiano,
su Ferrari, in lotta per il titolo mondiale. E
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puntualmente il 1985 comincia nel modo migliore: pole position nella gara di apertura in Brasile,
anche se un problema ai freni impedisce a Michele di concretizzare la pole. La riunione a Maranello, con un rappresentante della ditta fornitrice, sarà di quelle da ricordare. Enzo Ferrari è
furibondo: perdere una gara così per un guasto
banale, lo manda fuori dai gangheri. Il fornitore è
alto oltre due metri e 4 centimetri, biondo, massiccio, ma nel confronto con Enzo Ferrari ne esce
annichilito, specialmente quando il Drake si toglie gli occhiali scuri e guarda dritto negli occhi
l’interlocutore chiedendo che il problema non si
ripresenti mai più. «Quando si è tolto gli occhiali,
mi ha guardato dritto in faccia e con la voce sottile mi ha detto che non avrebbe più accettato un
problema del genere mi son sentito morire, mai
provato una cosa simile in vita mia» dirà il tecnico bergamasco dopo quell’esperienza. Verrà accontentato. Eppure Michele ha finito al secondo
posto, mica si è ritirato, ma ha perso la vittoria a
scapito di Alain Prost. In Portogallo, seconda
gara della stagione, Michele finisce ancora secondo, Prost si ritira e Senna vince la prima gara
della carriera. Alboreto è in testa alla classifica
del mondiale piloti. A Imola ci sarà il ritiro, a Montecarlo ancora un secondo posto ma in Canada,
sulla pista dedicata a Gilles Villeneuve, arriva la
prima vittoria dell’anno. E pensare che la vigilia
era stata segnata da uno scontro con un giornalista italiano, finito a spintoni e sberle sul muretto
dei box. Tutto per un articolo, “gli evasori del rischio” relativo alla corsa monegasca. La vecchia
abitudine di leggere sempre i settimanali specializzati, presa da ragazzino, non aveva abbandonato Alboreto che se aveva qualcosa da dire, non
delegava ad altri l’incombenza. E per questo una
parte della stampa italiana cominciò a guardarlo
con occhio diverso e a mettergli i bastoni fra le
ruote. E Alboreto, per tutta risposta, insieme ad
Enzo Ferrari, cominciò a fare la cernita di tutti,
chi lavora per chi e per come e quanto prende:
«Meglio essere informati – diceva – a volte certi
articoli sono il frutto di una reazione secondaria,
per cui prevenire meglio che curare…». Ma Michele in pista è scatenato: altro podio in USA Est,
un ritiro in Francia, ma al Nurburgring c’è la corsa capolavoro dell’anno: pole position, vittoria
con infilata a Keke Rosberg da manuale alla curva che immette sul traguardo. È l’ultima vittoria
di Alboreto in F.1, la quinta della carriera, ma
all’epoca la corsa verso il mondiale sembra inarrestabile. Invece arriva il tracollo. Una serie di
turbine difettose e quello che sembrava un titolo
a portata di mano svanisce coi piazzamenti di
Prost mentre per Alboreto ci sarà una serie di ritiri consecutivi. Gli ultimi due mesi della stagione
85 hanno stravolto le aspettative. Michele finisce
al secondo posto, ma non si perde d’animo. Invece l’anno seguente sarà peggio. «Dobbiamo ad
Alboreto un mondiale – dice ancora oggi l’ingegner Forghieri – glielo dovevamo perché la colpa
era nostra». La macchina nell’86 non è competitiva contro le Williams e le McLaren, Johansson
non dà quell’aiuto che serve al team e la stagione
finisce senza grossi spunti. Anzi, a Monza si
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rischia la polemica quando Michele si presenta
con una spalla malandata. Ufficialmente per una
caduta sotto la doccia, secondo altri per una caduta col motocross. Michele sfugge alla polemica, ma tanto ormai non cambia molto. Nell’87
arriva Berger e il rapporto fra i due è molto buono. L’austriaco ha in Michele il maestro, gli copia
gli assetti, il modo di lavorare, cerca di batterlo in
pista e ci riesce. Ma la Ferrari sta cambiando volto, il Drake comincia ad accusare il peso degli
anni, la gestione della squadra passa di mano, la
stella di Michele comincia ad offuscarsi all’interno del team. Quando poi Berger vince le ultime
due corse della stagione ‘87 Alboreto ha capito
che il 1988 sarà il suo ultimo anno al volante della
Ferrari. Nel 1988 la Formula 1 assiste al trittico
McLaren Honda – Ayrton Senna – Alain Prost,
capace di vincere a mani basse 15 delle 16 corse
in programma. Solo una nota dolente, a Monza: lì
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delusioni, specialmente con la Footwork Porsche
dopo l’avventura con la Lola Larrousse nell’89.
Anche qui podio, rimonta, poi contrasti con
sponsor del tabacco e ancora a piedi… Nel 1993
ci fu ancora l’incontro con la Ferrari, ma stavolta
con la Lola della Scuderia Italia che usava i motori della squadra italiana. Un anno difficile, un vero
disastro, per concludere l’avventura in F.1 al volante della Minardi, la squadra che lo aveva lanciato in F.2 e con la quale aveva vinto una gara a
Misano. In F.1 la squadra faentina non è il massimo, ma Alboreto mostra ancora la sua classe
arrivando sesto nel GP di Montecarlo del 1994,
ultimo punto conquistato nel mondiale ma che
nell’ottica dei mezzi a disposizione e della pista,
per Michele Alboreto e i ragazzi della Scuderia
Salvati era l’equivalente di una vittoria. A fine
anno Michele passa ai prototipi, vince anche a Le
Mans, partecipa alle gare Indy, trova una nuova
giovinezza al volante della Audi nella ALMS, la serie americana per i prototipi. Il 23 aprile del 2001
è a Monza a disputare una gara con le Lamborghini, due giorni dopo deve andare al Lausitzring,
in Germania, per una sessione di test privati con
la Audi R8. Saluta gli amici, prende appuntamenti: ha idee meravigliose per riportare un italiano
su una Ferrari di F.1. «Ciao, ragazzi, ci vediamo
venerdì». Sale in macchina, parte e saluta tutti.
Due giorni dopo morirà in un incidente assurdo. Il
suo progetto per un italiano in F.1 sulla Ferrari
non lo vedrà mai realizzato. Così come tutti gli
altri, a partire dalla CSAI al pool di sponsor. Michele Alboreto, un pilota troppo intelligente per
definirlo soltanto pilota da corsa. Michele era Michele. E Monza casa sua. Che qualcuno lo ricordi
ai signori dell’autodromo.
ci sarebbe la grande occasione, ma davanti c’è
Berger, che vince la corsa di casa di Michele, il
quale sale ancora sul podio e conclude così davanti al suo pubblico la carriera da pilota della
Ferrari. Il Commendatore non c’è più dal 15 agosto. Fosse stato per lui avrebbe dato un ordine di
scuderia: lasciar passare Michele per farlo vincere davanti al suo pubblico. Se lo sarebbe meritato per tutti gli anni trascorsi al volante del mito,
rifiutando offerte allettanti che lo avrebbero reso
campione del mondo. Invece no: dai box arriva
l’ordine perentorio di rallentare per problemi di
consumi, Michele ubbidisce poi a fine gara si scopre che Berger aveva sì e no un litro di benzina,
Alboreto ne aveva 11 e poteva vincere a mani
basse. Qualcuno non volle. Michele capisce, rifiuta offerte di team stranieri che lo avrebbero fatto
diventare campione del mondo. Ma non con una
Ferrari. Dopo la rossa per Alboreto ci furono solo
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CIR 2015:
ANDREUCCI-ANDREUSSI-PEUGEOT,
FRIULI E IL 9° CIELO!
di Piero Batini | Una valanga inarrestabile, una sequenza micidiale.
La Peugeot 208 T16 di Andreucci e Andreussi ha mandato al tappeto
avversari inesistenti, il Rally del Friuli Venezia Giulia vale il 9° titolo
italiano
D
iscorso chiuso, con due prove di
anticipo sulla fine del Campionato,
sull’Italiano Rally. Paolo Andreucci
e Anna Andreucci ne sono i Campioni anche per il 2015. E con l’equipaggio, o al
di sopra, insomma tutti insieme, l’intelligenza
d’acciaio nella sua forma 208 T16 che coglie, per
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Cir 2015
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la Peugeot e per la squadra che ne ha affilato le
lame, anche il secondo Titolo stagionale. Dopo lo
Junior di Michele Tassone e Daniele Michi, ecco,
è la volta di Andreucci, che in compagnia di Anna
Andreussi aggiunge il 9° Titolo al libro d’oro della
sua leggenda. Non so se è più travolgente il crescendo del KO friulano, quello del Campionato
o della serie da fantascienza del Pilota. In ogni
caso i numeri sono impressionanti, e rappresentano oggi una forma di dominio d’altri tempi e
d’altri… pianeti. Se è del 51° Rally Friuli Venezia
Giulia, quarto successo personale, che parliamo,
allora… parlano le cinque speciali vinte fino al
momento in cui è apparso chiaro che non valeva
più la pena di insistere e di infierire, esattamente
alla fine del primo giro della giornata conclusiva
del Rally, il fatto di essere stati in testa dalla prima all’ultima prova, di essersi fermato il pilota a
raccogliere un fiore per Anna durante l’invasione
di campo della decima annullata, e di aver vinto
con un margine da calendario. Se è del campionato “in corso”, invece, allora stiamo parlando
di una vittoria ogni Rally e mezzo, incrementale
travolgente scandito dai successi di Sanremo,
Targa Florio, San Marino e, oggi, Friuli. Se è della serie, infine, diremo che dal 1961, cinquantacinque stagioni, Paolo Andreucci ha vinto un
Campionato ogni sei virgola 1 periodico, per un
totale di 9 Titoli, che è lo stesso numero, ma rovesciato, raggiunto dal suo inseguitore meno lontano, Dario Cerrato, che ne ha vinti 6. La squadra
ha un grande merito in tutto questo carosello di
dominio assoluto. Lo dice il pilota, lo ribadisce la
navigatrice neo-Campionessa Italiana, e devono
“ammetterlo” Peugeot Sport Italia, nelle eminenze di Eugenio Franzetti e Carlo Leoni, e i Racing
Lions di padre Fabrizio e figlio Michele Fabbri. I
“Cosmos” dei Lions hanno imbambolato avversari e campionato, avvilendo i primi ed esaltando
il secondo, gratis. Se andiamo indietro nel tempo
della stagione, l’irraggiungibilità del Team è stata
ottenuta anche con alcuni rush dell’intero organico, e non parliamo ancora delle scelte di base,
vincenti e felici in un dato statistico ancora più
conturbante. Poi qualcuno parlerà di ciambella
che è venuta con il buco, dimostrando di dimenticare che non è riuscito a digerire neanche il…
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vuoto che Andreucci/Andreussi/Peugeot hanno
fatto alle loro spalle, per concludere e chiudere
il Campionato quando nessuno voleva pensarci
ancora, tanto sembrava improbabile che gli astri
si allineassero secondo una logica difficile, appunto, da digerire. Per stare con i piedi per terra e
non svolazzare troppo trasportati dalle bollicine,
allora potremmo aggiungere che la festa poteva
essere ancora più “completa” se solo Tassone e
Michi non avessero rovinato il quarto posto del
venerdì con l’uscita di strada del sabato mattina
presto e l’anteriore della 208 T16 ricevuta in premio per questa occasione rovinato. Ma dovremmo riconoscere anche che alla Squadra questa
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Cir 2015
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volta hanno dato una mano tutti. Dal tifo dei friulani innamorati della loro navigatrice e, di conseguenza, del toscano adottato, alla sfortunata debolezza di chi, invece, si era proposto di rovinare,
o almeno rimandare, questa festa. A cominciare
da Umberto Scandola, uscito di scena durante la
seconda PS del Rally per una sfortunata digressione oltre asfalto, e per finire con Giandomenico
Basso, che in due riprese, un piccolo problema
venerdì e una foratura sabato, ha perso il contatto pur riuscendo a chiudere al terzo posto. Sono
loro, gli avversari, che hanno consentito all’equipaggio Peugeot Sport Italia di… accelerare la matematica. Si salvano, direi con grande dignità e
insieme a Koessler, vincitore della Mitropa Cup,
Alessandro Perico e Luca Rossetti, secondo assoluto e ancora una volta mago dell’asfalto il primo, e quinto e solitario vincitore di Produzione e
Trofeo Clio R3T il secondo. Beh, a questo punto
non resta che “andare dal Papa”. A Roma il terzo
week end di settembre. Metafora che ci sta, per
celebrare anche il Titolo costruttori, e per correre il Rally di Roma Capitale di “Papa” Max Rendina, il pilota Campione in carica, e leader anche
quest’anno, del Mondiale WRC che è riuscito a
portare in Caput Mundi la sua bellissima corsa,
ora penultimo appuntamento del CIR fatto grande dai Grandi.
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REDAZIONE
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