Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Numero 73 06 Ottobre 2015 87 Pagine Porsche e-hybrid: Dalla pista alla strada Una tecnologia, l’ibrido Porsche, che declina l’eco nella sportività Periodico elettronico di informazione automobilistica Mercedes-AMG GLE 63 S Coupé L’esagerata Con la GLE Coupé marchiata AMG, Mercedes è pronta a far concorrenza a tutti i SUV Scandalo Volkswagen Il Dieselgate e i suoi sviluppi | PROVA SU STRADA | Volvo V40 Ocean Race da Pag. 2 a Pag. 17 All’Interno NEWS: BMW X4 M40i | Honda FCV | Audi A4 allroad | Fiat 124 Spider | Bentley Bentayga | M. Clarke Tecnica: la pompa dell’olio | F1: Mika Hakkinen la storia | La differenza tra Ferrari e Mercedes? Nei radiatori PROVA SU STRADA VOLVO V40 OCEAN RACE Nessuna come lei Con la Volvo V40 Ocean Race, la casa svedese dichiara guerra ad Audi A3, Mercedes Classe a e BMW Serie 1. Prezzi a partire da 23.000 di Matteo Valenti 2 3 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prova Periodico elettronico di informazione automobilistica Media I n un mondo in cui si rischia sempre di più un’omologazione di massa per fortuna esistono ancora delle sane alternative, con cui distinguersi e rinvigorire la propria personalità. Una di queste è senza dubbio la Volvo V40, un’ottima alternativa alle “solite” tedesche. Non è un caso infatti che la nuova compatta svedese sia stata pensata proprio per andare a scontrarsi a viso aperto con Audi A3, Mercedes Classe A e BMW Serie 1, senza dimenticare la Lexus CT Hybrid. Allineati alla migliore concorrenza quindi anche i prezzi. La V40 offre un listino che parte da 23.000 euro, per crescere fino a 37.000 euro. 4 Dal vivo: com’è fuori Lunga 436 cm, larga 178 ed alta 143, la V40 ha dimensioni un po’ più generose rispetto alle sue eterne rivali tedesche, mentre il passo - pari a 264 cm - è nella media. Il risultato è una compatta di segmento C che si distingue però grazie a forme piuttosto insolite, quasi da piccola shooting brake, che non la rendono la solita hatchback dalle proporzioni scontate. Molto curato il design, originale senza cadere negli accessi di alcune giapponesi. La zona senza dubbio più affascinante è la coda, dove gli stilisti svedesi sono riusciti ad esprimere tutto il family feeling Volvo, riuscendo a “chiudere” anche un’auto così compatta in maniera molto armoniosa. Dal vivo: com’è dentro Abbiamo provato la V40 nella versione speciale Ocean Race, ispirata alla regata più dura del mondo di cui Volvo è main sponsor da qualche anno. Gli interni in questo allestimento sfoggiano la massima opulenza disponibile sulla V40, con finiture degne delle migliori competitor di fascia premium. Favolosi i sedili, sagomati in maniera quasi sportiva ma al tempo stesso molto confortevoli. La pelle dei rivestimenti si presenta molto morbida al tatto ed è impreziosita con i loghi “Ocean Race”, che spiccano anche sui tappetini e sui badge all’esterno. Non mancano poi curiose finiture che riportano i nomi delle città più famose toccate dalle regata sponsorizzata da 5 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prova Periodico elettronico di informazione automobilistica alla dotazione standard (airbag frontali, laterali, a tendina e per le ginocchia, controlli di stabilità e di trazione) la piccola svedese è stata la prima auto al mondo ad essere equipaggiata di un maxi-airbag esterno che si gonfia sul cofano in caso di impatto, per proteggere pedoni o ciclisti. Una caratteristica innovativa, che ha permesso alla V40 di ottenere i punteggi più alti della categoria nei severi test Euro Ncap. Non manca poi il City Safety, in grado di effettuare frenate automatiche di emergenza. D2, una vecchia conoscenza La V40 Ocean Race protagonista della nostra prova è nella versione D2, equipaggiata con il propulsore quattro cilindri 1.6 turbo diesel montato in posizione trasversale ed abbinato alla trazione anteriore. Si tratta di un motore di origine Volvo. Bello l’effetto creato dalla console centrale “sospesa”, che lascia disponibile un vano portaoggetti - per la verità non molto pratico - così come la strumentazione completamente digitale, che sfoggia un pizzico di sportività pur rimanendo sempre pulita ed elegante, in puro stile svedese. Materiali di rivestimento eccezionali e plastiche morbide di ottima qualità abbondano quasi ovunque, peccato soltanto per la plancia, con un’impostazione che inizia a sentire un po’ il peso degli anni. Troppi i tasti che affollano la console così come un po’ troppo piccolo appare il display da 7 pollici incastonato nel cruscotto. Uno schema oggi superato, come del resto ha riconosciuto recentemente la stessa Volvo che, sulla nuovissima XC90, ha eliminato tutti i bottoni “fisici” servendosi solo ed esclusivamente di un maxi-tablet. 6 PSA/Ford super collaudato, in grado di sviluppare 115 CV a 3.600 giri/min e una coppia piuttosto abbondante, pari a 240 Nm, subito disponibile a 1.750 giri/min. Nel nostro caso questo motore è abbinato al cambio automatico (optional da circa 2.000 euro), un sei marce di origine Aisin. Le nostre impressioni di guida La V40 Ocean Race in versione D2 si è dimostrata una piccola divoratrice di chilometri. La città infatti non è il luogo dove la “Volvina” riesce a dare il massimo, complici il cambio non esattamente pronto e il motore diesel, un po’ troppo pronto a borbottare ai bassi regimi. La V40 riesce veramente a fare la differenza invece lontano dai centri abitati, sulle statali o in autostrada, dove si lascia grandemente apprezzare per i consumi super contenuti e per la eccezionale silenziosità Sicurezza: un capitolo a parte L’abitabilità davanti molto è buona, dove si viaggia immersi in abitacolo tutto sommato arioso. Dietro invece lo spazio per le gambe non è di certo infinito ma in due si viaggia comodi, anche se, purtroppo, mancano le bocchette di ventilazione posteriori. La volontà di avere una coda originale nel design è andata a penalizzare leggermente la capacità di carico rispetto alle competitor, nonostante la lunghezza complessiva più generosa. I litri in configurazione standard sono 335 (365 sulla A3 Sportback), ma comunque sufficienti per andare in vacanza tranquilli. Abbattendo i sedili poi la capacità di carico può salire fino a 1.032 litri. Come sempre quando si parla di Volvo la sicurezza merita un capitolo a parte. La V40 infatti, pur essendo il modello di accesso alla gamma, non rinuncia ad avere dotazioni eccezionali, in parte sconosciute alla concorrenza. Oltre 7 8 9 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito di marcia. Il merito è del motore che spinge con un filo di gas e all’ottima insonorizzazione. Il D2, con i suoi 115 CV, non è di certo un motore che nasce per partenze brucianti al semaforo, ma offre quanto basta per muovere in tutta scioltezza i 1.378 kg della V40. Discorso analogo per l’assetto. I cerchi da 16 pollici, uniti ad una taratura delle sospensioni piuttosto rigida, regalano grande precisione di guida - anche per merito di un ottimo sterzo - e grande sicurezza quando si viaggia spediti, ma possono diventare un po’ fastidiosi in ambito urbano, dove non gradiscono troppe buche e sconnessioni. 10 Periodico elettronico di informazione automobilistica Prova Consumi Come anticipato, il fiore all’occhiello della V40 D2 sono i bassi consumi. Nel corso della nostra prova siamo riusciti a rimanere intorno ad una media di 5,2 l/100 km, quindi prossima ai 20 km/l. Un risultato che ha dell’incredibile per un’auto con un peso di certo non trascurabile e soprattutto dotata di cambio automatico. Non abbiamo dubbi che con una versione manuale si riescano ad ottenere risultatati ancora più strabilianti. 11 12 13 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione automobilistica Prova Conclusioni La Volvo V40 entra a testa alta nel segmento delle compatte premium grazie ad un design per certi aspetti fuori dagli schemi e ad una qualità costruttiva eccezionale. Il motore D2 è un grande chilometrista, perfetto per fare grandi tragitti e consumare poco. Meno a suo agio in città, proprio come il cambio. In ogni caso la “Volvina” si lascia perdonare con un ottimo assetto e una grande precisione di guida. 14 15 16 17 PROVA SU STRADA PORSCHE E-HYBRID Dalla pista alla strada Da Padova al Nurburgring con una Cayenne S e-hybrid per veder vincere la 919 HYbrid. Una tecnologia, l’ibrido Porsche, che declina l’eco nella sportività e che accomuna sport e produzione nell’ultimo corso della Casa di Zuffenhausen di Emiliano Perucca Orfei 18 19 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prova Periodico elettronico di informazione automobilistica Media scultura recentemente inaugurata a Porsche Platz per arrivare ad ogni aspetto della comunicazione passando per, naturalmente, per le attività sportive o lo stile delle vetture. E pensare che sul finire degli anni ‘80 qualcuno in Porsche pensava che per la 911 non ci sarebbe stato un grande futuro... Tecnologia Volkswagen? Sì, ma in salsa Porsche D Un mondo 911 che non ha impedito però a Porsche di andare incontro alle voglie ed alle esigenze del mercato: vetture come la Macan o la Cayenne, del resto, ne sono la più ampia dimostrazionee la bravura dei vertici Porsche è stata quella di accettare di buon grado le piattaforme ed i motori del Gruppo Volkswagen declinandole con abili operazioni di tuning estetico, meccanico e qualitativo con un denominatore comune molto speciale: già sedendosi al volante di una qualsiasi vettura della gamma, infatti, si ritrovano tutti gli elementi chiave - guarda un po’ - della 911. Medie elevate, consumi contenuti Ultimo esempio di questa dinastia è la Cayenne S e-hybrid che manda in pensione la vecchia tecnologia ibrida utilizzata anche da Panamera per fare posto ad una più tecnologica soluzione plugin. Questo significa che la vettura fa un passo in avanti verso l’auto elettrica offrendo un boost alle prestazioni e nuove funzionalità altrimenti impossibili con il solo motore V6 sovralimentato da 333 CV: il pacco batteria agli ioni di litio da 10,8 kW/h, che alimenta il motore-generatore elettrico da 95 CV interposto tra motore e cambio, permette infatti di mantenere attivi numerosi servizi vitali della vettura (freni, servosterzo ma anche aria condizionata o riscaldamento) anche a motore spento: un plus che ci ha permesso di completare i 794 km che dividono Stoccarda a Padova in 7h28’ ore di cui 1h46’ (138,8 km) ad emissione zero con un consumo medio di 9,6 l/100 km. Un risultato che avrebbe potuto essere ancor più eccezionale se avessimo ricaricato la vettura prima di partire - ed invece abbiamo scelto di usarla nella peggiore delle condizioni - e ieci anni fa pensare ad una Sport Utility Porsche era quasi una bestemmia. Non parliamo poi dell’eventualità di una motorizzazione a gasolio o, peggio ancora, ibrida: apriti cielo. Ed invece il cielo è rimasto esattamente dov’era ed oggi Porsche compone la maggior parte del suo immenso fatturato con le vendite delle SUV Macan e Cayenne (oltre che della ammiraglia Panamera) piuttosto che con le comunque iconiche Boxster, Cayman e 911. Una svolta epocale che ha permesso a Porsche di garantire a sé stessa l’esistenza (cosa oggi non scontata per i brand di sole auto sportive) ed alla 911 di proseguire nello sviluppo rappresentando una fondamentale chiave per il futuro ed un anello di congiunzione tra il presente e passato: tutto quello che nasce a Zuffenhausen gira in qualche modo attorno alla 911, dalla nuova e futuristica 20 21 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prova Periodico elettronico di informazione automobilistica l’energia prodotta in eccesso dai turbocompressori viene stivata nelle batterie (MGU-H) con un processo del tutto simile a quello delle F1 di ultima generazione. minuti alla 24h del Nurburgring per poi ritirarsi per un problema tecnico da 12 centesimi non legato alla power unit ibrida. L’evoluzione della tecnologia ibrida ad alte prestazioni firmata Porsche non nasce però nel 2014 con quella che è l’ultima vincitrice di Le Mans. Il primo esempio di Porsche ibrida da corsa, infatti, è stato mostrato prima ancora che questa tecnologia vincesse in LMP1 a Le Mans su una 911 RSR Hybrid: la vettura, oggi esposta al Museo Porsche di Zuffenhausen, affiancava al classico sei cilindri boxer montato posteriormente a sbalzo due motori elettrici frontali pensati per assicurare trazione e migliorare la dinamica della vettura nelle fasi di ingresso e di uscita di curva. Un esperimento che sfruttava il potenziale di un volano (del tutto simile a quello della Audi R18 etron del WEC) per accumulare energia e restituirla ad un comando del pilota dal volante, dimostratosi indubbiamente interessante visto che la 911 è riuscita a rimanere in testa per 22 ore e 30 Una tecnologia sostanzialmente diversa da quella della 919 HYbrid e molto diversa anche da quella delle Cayenne S e-hybrid che invece verrà sviluppata di pari passo alle corse anche per altri modelli della gamma: con l’avvento dei motori turbo per tutta la gamma, infatti, e vista la volontà di proporre un modello ibrido in tutta la gamma è possibile che Porsche prenda dalla LMP1 di Le Mans anche la tecnologia di ricarica delle batterie legata al turbocompressore (MGU-H) oltre a quella più tradizionale “affidata” all’energia cinetica (MGU-K): il turbo ad attivazione elettrica, infatti, rappresenta la nuova frontiera nello sviluppo dei motori benzina e diesel perchè permetterà di utilizzare turbine più generose (e quindi motori più potenti) senza turbo-lag combinando questo vantaggio al recupero di energia, che di fatto non avverrà più solo nelle fasi di frenata. Un Nuove frontiere nello Tutto è nato con la 911 RSR Hybrid sviluppo ibrido se avessimo utilizzato un piede meno pesante in Germania: il richiamo della Autobahn “no limits”, del resto, è troppo forte quando si guidano auto veloci e stabili come la Cayenne. Da Le Mans alla strada Quello che stupisce di questa vettura, infatti, è da un lato la prestazione pura - fila a 250 km/h assicurando una accelerazione forte e costante - e dall’altro la gestione della performance nonostante il baricentro più alto di una normale sportiva ed il peso di 2.350 kg: grazie all’assetto elettronico ed al lavoro di bilanciamento compiuto dai tecnici di Zuffenhausen si possono percorre curvoni delle autostrade tedesche “in pieno” senza particolari timori se non quelli di un attento controllo del traffico che precede. Autostrade che ci hanno portato velocemente da 22 Padova, sede di Porsche Italia, al Nurburgring per assistere alla 6h del campionato WEC, di cui fa parte anche la mitica 24 ore di Le Mans. Un campionato eccezionale dove Audi, Porsche, Toyota e Nissan si sfidano nella classe LMP1 schierando prototipi ibridi con potenze comprese tra gli 800 ed i 1000 cv realizzati attorno a tecnologie concettualmente simili ma diverse nell’esecuzione: tra tutte Porsche è forse quella che, nell’estremizzazione tecnica consentita dalla serie, mantiene un certo contatto con la realtà: la 919 HYbrid, infatti, abbina ad un due litri V4 sovralimentato un motore elettrico alimentato da batterie agli ioni di litio che possono assicurare fino ad 8 MJ di energia ad ogni giro. Un quantitativo di energia notevole che Porsche accumula nelle fasi di frenata recuperando l’energia cinetica (MGU-K) ed anche in accelerazione visto che 23 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione automobilistica Prove uovo di colombo su cui in molti stanno lavorando e su cui Porsche, evidentemente, sembra essere molto avanti visto l’enorme potenziale dimostrato dal prototipo che ha dominato la 24 Ore di Le Mans e la 6h del Nurburgring: visto il legame morboso tra le competizioni e la strada che i vertici Porsche esigono tra i vari reparti dell’azienda è sicuro che almeno nelle vetture di Zuffenhausen, d’ora in avanti, l’ecologia della tecnologia ibrida sarà il nuovo emblema della sportività. 24 25 PROVA SU STRADA MERCEDES-AMG GLE 63 S COUPÉ L’esagerata Con la GLE Coupé marchiata AMG, Mercedes è pronta a far concorrenza a tutti i SUV ipervitaminici di ultima generazione. Il cuore è quello di un vera supercar. Prezzi a partire da 70.050 euro di Matteo Valenti 26 27 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prova Periodico elettronico di informazione automobilistica Media caratteristiche che troviamo, per esempio, anche sulla Classe S Coupé. Qui però abbiamo ancora più muscoli, soprattutto sulla versione protagonista della nostra prova, la AMG S che si colloca al vertice della gamma. Nervature corpose, gli immancabili quattro terminali di scarico cromati e prese d’aria enormi rendono la GLE Coupé superba e imponente, con proporzioni che, almeno per certi aspetti, possono ricordare il carattere delle muscle car. Senza parlare poi dei cerchi in taglia “monstre”. La AMG monta semplicemente le ruote in lega più grandi mai viste su un’auto di serie fino ad oggi: 22 pollici (!) con pneumatici 325/35. Dal vivo: com’è dentro All’interno la Coupé riprende fedelmente l’impostazione della sorella più tranquilla, la GLE. Bella la plancia, con il display in stile tablet “sospeso”, controllabile attraverso la classica manopola a cui ci ha abituato il Comand e il sofisticato touchpad posti sul tunnel centrale. Molto sportiva anche la strumentazione, aggressiva ma U n tempo c’erano i fuoristrada. Nudi e crudi. Poi arrivarono gli inglesi che si inventarono la Range Rover (1970), insegnando al mondo (insieme alla piccola Rayton Fissore nell’85) che offroad poteva far rima anche con lusso e opulenza. Soltanto più tardi Mercedes, con la Classe M (1997), faceva esplodere il fenomeno SUV, che di lì a poco avrebbe raggiunto proporzioni inimmaginabili. A tal punto che sempre un costruttore tedesco, in questo caso BMW, soltanto dieci anni dopo avrebbe inventato la X6, la prima Sport Utility Coupé al mondo. Dopo un successo del tutto inaspettato (la X6 prima serie vende qualcosa come 250.000 unità), gli eterni rivali della Casa di Stoccarda non potevano di certo rimanere a guardare in silenzio. Detto fatto. Dopo qualche tentennamento iniziale, 28 funzionale e sempre ben leggibile. Una vera goduria poi il volante della AMG: piccolo, col fondo tagliato e rivestito in Pelle Nappa Exclusive, con una corona bella spessa, proprio come sulle supercar. La cosa più sorprendente della GLE Coupé però è l’abitabilità, vero tallone d’Achille invece sulla X6. A bordo della Mercedes l’andamento del tetto particolarmente inclinato non è andato a penalizzare troppo lo spazio per chi sta dietro. Anche i passeggeri posteriori più alti infatti trovano spazio comodamente sul divanetto posteriore e lo stesso discorso vale per il bagagliaio. I litri disponibili sono ben 650 (“solo” 580 sulla nuova X6), ma abbattendo i sedili si arriva addirittura a toccare quota 1.720 (1.525 sulla X6). Guida da sola (per un attimo) Completissimo, come sulla sorella “buona” GLE, l’elenco dei dispositivi pensati per migliorare sicurezza e comfort. Oltre al segnalatore dell’angolo cieco, alla frenata automatica di emergenza, al park assist e ai fari full led con abbaglianti Mercedes quest’anno si è decisa a presentare la sua arma per sfidare ad armi pare i colleghi di Monaco. Il suo nome è Mercedes GLE Coupé - da non confondere con la più classica GLE - ed è un SUV full size super sportivo, pensato proprio per andare a mettere i bastoni tra le ruote alla BMW X6, fino ad oggi rimasta sola e incontrastata sui mercati mondiali. Dal vivo: com’è fuori È vero, siamo sempre davanti ad un SUV di quasi cinque metri (490 cm per l’esattezza), ma anche ad una sportiva che infatti non rinuncia a riprendere tutti gli stilemi tipici delle più recenti Coupé firmate Mercedes. Davanti per esempio troviamo la griglia con calandra cromata a doppia lama, mentre dietro spicaano vistosi gruppi ottici a sviluppo orizzontale e il vano portatarga integrato nel paraurti e non nel portellone. Tutte 29 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prova Periodico elettronico di informazione automobilistica motore e cambio, irrigidendo le sospensioni attive. Ma soprattutto agisce sul temperamento dell’inedito differenziale posteriore sportivo, con ripartizione della coppia fino al 60%. Prezzi: parte più in alto della GLE Trattandosi di una versione più esclusiva rispetto alla classica GLE, la Coupé si adegua anche con listini decisamente più salati. Il prezzo di ingresso, per la 350 d in versione Sport è di 70.050 euro (la GLE parte da 58.440...), ma la versione AMG S della nostra prova fa schizzare i listino a 139.370 euro. Inutile quasi dire che l’unica, vera competitor della GLE Coupé, attualmente è la BMW X6, vera apripista in questo segmento. In un certo senso però la SUV Coupé della Stella potrebbe andare a mettere i bastani tra le ruote anche a Porsche Cayenne e Range Rover Sport. adattivi, alla telecamera di parcheggio a 360°, non manca nemmeno il sistema anti-sbandamento attivo. Anche qui poi troviamo l’eccezionale cruise control attivo con sistema di assistenza allo sterzo, che oltre a frenare ed accelerare automaticamente, a seconda del traffico, aiuta anche a sterzare applicando una leggera forza sullo sterzo. Per utilizzarlo è necessario ancora mantenere almeno una mano sul volante, ma è di fatto un primo passo in direzione della guida autonoma, che rende i lunghi trasferimenti autostradali ancora meno stancanti e piacevoli. Motori: dai sei cilindri... in sù! Trattandosi della GLE in salsa sportiva, anche la gamma motori si adegua di conseguenza. Qui non c’è traccia dell’accessibile versione a quattro cilindri con trazione posteriore 2WD. Tutte le Coupé sono equipaggiate con l’integrale 4Matic 30 Le nostre impressioni di guida In occasione del nostro viaggio a Capo Nord abbiamo avuto modo di entrare molto bene in confidenza con la Mercedes-AMG GLE 63 S Coupé. Una vera e propria supercar capace di generare prestazioni con una brutalità estrema, tipica dei più autentici modelli forgiati ad Affalterbach. Non lasciatevi ingannare dalle dimensioni però e soprattutto dal peso. Nonostante una massa decisamente sopra le righe – siamo ben oltre le 2,2 tonnellate – la super SUV tedesca riesce ad essere veloce ogni oltre immaginazione. Il merito è dello straordinario motore che si nasconde nel cofano. L’otto cilindri AMG, grazie alla sovralimentazione a doppio stadio, è una vera furia incontenibile, pronta a ruggire ad ogni minimo segnale proveniente dal pedale del gas. È avvertibile un minimo di turbo lag, tipico anche e con propulsori da almeno sei cilindri, tutti con architettura a V. Si parte con la 350 d spinta dal 3.0 V6 diesel da 258 CV, per passare ai poderosi benzina. La 400 sfrutta il nuovissimo 3.0 V6 biturbo da 333 CV, portato a 367 CV sulla 450 AMG, nuova versione d’accesso al mondo di Affalterbach. Ancora più in alto troviamo le AMG vere e proprie, che nascondono l’incontenibile V8 biturbo da 5.5 litri in grado di erogare 557 CV o 585 CV sulla ancora più estrema versione AMG S. Il cambio è per tutte le motorizzazioni il nuovissimo 9G-Tronic a nove rapporti, eccezion fatta per le AMG che continuano a montare il 7GTronic Plus. Non manca ovviamente il Dynamic Select per variare il comportamento della vettura in base alla modalità di guida selezionata. Oltre alle classiche Sport, Comfort e Individual, i modelli AMG offrono persino il settaggio Sport+ che regala la massima rapidità di riposta di 31 32 33 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prove Periodico elettronico di informazione automobilistica aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb sportivo, capace di regalare, insieme alla trazione integrale 4Matic, una motricità spaventosa durante l’uscita di curva. Bello lo sterzo, diretto e sufficientemente pesante in modalità Sport, mentre sono eccezionali i freni. I dischi anteriori forati da 390 mm (!) garantiscono una potenza frenante eccezionale, anche ad un’auto così possente. Non pensate però che la GLE AMG Coupé sia un’auto pensata solo per andare forte. Del resto basta mette in Comfort per trasformare questa super SUV in una perfetta compagna di viaggio. Comoda, spaziosa, morbida nelle sospensioni e persino silenziosa, la SUV sportiva Mercedes si è rivelata una perfetta compagna di viaggio verso Capo Nord, dove ci ha portato avvolti nel massimo comfort possibile. Consumi Quando ci sono di mezzo prestazioni simili e soprattutto un peso non indifferente diventa sempre difficile (se non superfluo?) parlare di consumi. In ogni caso, nel corso del nostro test, dove dei migliori motori sovralimentati, ma dopo questo brevissimo, quasi impercettibile, istante di tempo, è bene che iniziate a tenervi forte. Il V8 inizia a spingere con una forza brutale mentre le turbine soffiano a pieni polmoni con una voracità disarmante. È un SUV, ma “tira” come una supercar Il risultato è uno scatto da 0 a 100 km/h da schiena incollata al sedile, coperto in soli 4,2 secondi. Un risultato incredibile per un’auto così pesante e imponente, che rende le accelerazioni ancora più entusiasmanti e sorprendenti. Non capita tutti i giorni del resto di veder schizzare a tutta velocità un SUV di queste proporzioni con la stessa scioltezza di una Coupé a motore centrale... Il tutto poi è reso ancora più unico dal sound che, una volta selezionata la modalità Sport+, diventa ancora più penetrante. Il suono 34 è rauco, come vuole ogni AMG che si rispetti, simile a quello di una muscle car, impreziosito da entusiasmanti scoppi e crepitii ad ogni cambio marcia. Ovviamente non è più assordante come quello del 6.3 aspirato di qualche anno fa, ma il turbo, si sa, è difficile da fare andare d’accordo con le note più melodiose. Stesso discorso per l’allungo: il nuovo V8 AMG da 5.5 litri sprigiona una valanga di coppia (760 Nm), che lo rende vorace ai medi regimi, ma ha perso qualcosa in alto rispetto al motore atmosferico precedente. Anche in curva però la GLE Coupé AMG S riesce a sorprendere più del dovuto. Il merito è di un assetto raffinatissimo, che può contare, oltre che su sospensioni attive, anche sull’Active Curve System con barre antirollio attive. Il risultato è un’auto che, soprattutto nei curvoni veloci, riesce ad apparire molto più facile e leggera di quanto non sia in realtà. Il resto del divertimento è assicurato dal differenziale posteriore 35 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito 36 Periodico elettronico di informazione automobilistica Prove 37 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione automobilistica Prove non ci siamo certo risparmiati troppo con il pedale del gas, abbiamo portato a casa una media di 13,1 l/100 km. Un risultato su cui hanno pesato di certo anche gli enormi pneumatici da 325 con cui viene equipaggiata questa supercar. Conclusioni Con la GLE Coupé Mercedes si è decisa a non lasciare più campo libero alla BMW X6. A Stoccarda però hanno imparato dagli errori degli eterni rivali e hanno fatto di tutto per ottenere una SUV Coupé che fosse anche molto spaziosa. Obiettivo raggiunto: abitacolo e bagagliaio non obbligano a grandi rinunce, tanto che la GLE Coupé, anche in versione AMG, è davvero eccezionale per i lunghi viaggi. Il design è senza dubbio molto personale e conferisce alla SUV Coupé tedesca una personalità molto demarcata. Sorprendono le prestazioni delle versioni AMG, nonostante il peso, ma non chiedetele di essere agile e facile da parcheggiare in città. 38 39 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito News Periodico elettronico di informazione automobilistica anteriore, oltre ad una verniciatura in Ferric Grey e cerchi in lega da 20”. Al retrotreno, fa bella mostra di sé un doppio scarico sportivo con sistema di regolazione delle valvole, per gestire al meglio il sound. Nell’abitacolo, troviamo altri chiari e palesi rimandi alla sportività del brand. I sedili sportivi sono avvolgenti e rivestiti in pelle, così come il volante. A livello meccanico, infine, sono state modificate le sospensioni. Il sistema xDrive è stato tarato in modo tale da prediligere la trazione sull’assale posteriore, mentre il Performance Control garantisce una «naturale e diretta risposta dello sterzo, per ridurre le tendenze di rollio e garantire il massimo piacere di guida». BMW X4 M40I IL SUV BAVARESE VIENE ESTREMIZZATO di Marco Congiu | BMW ha svelato la nuova X4 M40i. Le prestazioni sono di tutto rispetto: 360 cavalli e uno scatto da 0 a 100 km/h in meno di 5 secondi E ra solo questione di tempo prima che BMW proponesse una versione M del suo SUV sportivo di medie dimensioni, la X4. La M40i porta con orgoglio la celeberrima lettera sulle fiancate, arricchendosi sensibilmente sotto il profilo prestazionale. Dal propulsore a sei cilindri turbocompresso 40 alimentato a benzina, i tecnici bavaresi sono stati in grado di ricavare ben 360 cavalli di potenza e 465 Nm di coppia. Grazie a questi valori, la X4 M40i brucia lo 0-100 in appena 4.9 secondi, raggiungendo una velocità massima di 250 km/h. I cambiamenti estetici sono relativamente limitati, ed includono nuovi particolari sullo spoiler 41 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito News Periodico elettronico di informazione automobilistica vettura molto filante (al posteriore i passaruota si estendono sulle ruote per migliorare l’aerodinamica), per interni sofisticati ma minimali che possono accogliere cinque passeggeri, per la presenza di due motori elettrici e per l’autonomia, che il costruttore giapponese dichiara ammontare a 700 km. Un’altra caratteristica è che le celle a combustibile della Honda FCV, se questa viene collegata ad un inverter esterno, possono fungere da generatore di elettricità in caso di emergenza, una caratteristica in comune con altre vetture a idrogeno proposte anche da altri costruttori orientali. La nuova berlina a idrogeno della Casa giapponese è l’apice di una ricerca nel campo delle celle di combustibile avviata da Honda nei primi anni 2000. L’obiettivo è quello di passare dai pochi esemplari affidati in leasing ai “clienti-collaudatori” di Giappone e Stati Uniti alla creazione di un vero nuovo mercato. HONDA FCV LA HONDA A IDROGENO ADESSO È VERAMENTE DI SERIE L’auto a idrogeno per le masse di Honda è realtà. Percorre 700 km con un pieno, ma le manca ancora il nome definitivo, che verrà annunciato al Salone di Tokyo 2015 H onda FCV, ovvero “Fuel Cell Vehicle”: si chiama così, ma il nome è ancora provvisorio, la nuova berlina a idrogeno che Honda produrrà in serie dopo l’anteprima mondiale al Salone di Tokyo 2015. Arriverà sul mercato al culmine di una sperimentazione da parte del costruttore giapponese che è partita nel lontano 1999 e si è susseguita 42 attraverso più prototipi sperimentali indicati con l’acronimo “FCX”, sigla che sta per “Fuel Cell eXperimental”. La FCV di Honda arriverà sul mercato giapponese qualche mese dopo la Toyota Mirai, che è stata la prima auto a idrogeno a essere disponibile per il pubblico. Al momento sono poche le caratteristiche conosciute, fatta eccezione per il design futuristico di un corpo 43 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione automobilistica IAA 2015 AUDI A4 ALLROAD LA VEDREMO NEL 2016? Dopo il lancio della nuova Audi A4, è lecito attendersi a breve giro di vite anche la versione allroad della berlina tedesca, che ha saputo ritagliarsi un posto speciale nel cuore degli appassionati L a nuova Audi A4 è stata ufficialmente presentata poche settimane fa, in occasione del Salone di Francoforte. La berlina della casa di Ingolstadt, visibilmente rivista nel look e nello “scheletro”, viene così proiettata in una nuova generazione. È lecito, tuttavia, attendersi anche una variante allroad. La Sedan, per chi non lo sapesse, viene rialzata da terra, e viene dotata contemporaneamente di un look più fuoristradista rispetto alla sorella “da città”. In questa nostra ricostruzione grafica, abbiamo voluto esagerare: il frontale, le fiancate 44 ed il retrotreno sono stati ridisegnati, donandole un abito da fuoristrada. Sotto il cofano, troviamo l’imbarazzo della scelta. Sparisce il 1.4 TFSI, principalmente per mancanza di coppia, mentre dal 2.0 litri TFSI da 190 cavalli al 3.0 V6 TDI da 272 cavalli, non manca nulla. Essendo una vettura recante la dicitura all-terrain-vehicle, la celebre trazione integrale quattro dovrebbe essere lo standard. Dopo il lancio della Volkswagen Passat Alltrack, anche un’altro marchio del gruppo di Wolfsburg tornerà ad avere ua versione meno “cittadina” della propria berlina di riferimento. 45 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito News Periodico elettronico di informazione automobilistica FIAT 124 SPIDER LE FOTO IN ANTEPRIMA dalla forma simpatica, che ricordano in un certo senso quelli della 500X. Molto elegante poi il posteriore, di cui possiamo vedere i gruppi ottici a sviluppo orizzontale. Uno stile che agli americani ricorda quello delle ultime Maserati. La vera sorpresa però riguarda gli interni. Se si escludono infatti alcuni dettagli francamente trascurabili, come il logo Fiat al centro del volante, siamo davanti ad un abitacolo che riprende in toto lo schema della MX-5. La strumentazione, il volante, la manopola del tunnel centrale e il display in stile tablet sono perfettamente identici alla Mazda. Apparentemente soltanto la leva del cambio, che in questo caso è per di più un automatico, è stata ridisegnata. Al momento naturalmente non sappiamo nessun dato tecnico in merito alla Fiat 124 Spider, ma possiamo anticipare che sotto al cofano troveremo i quattro cilindri turbo Multiair, rivisti per l’occasione in modo da essere montati con schema longitudinale. La trazione infatti rimarrà rigorosamente al posteriore, proprio come sulla MX-5, mentre per quanto riguarda i sistemi di trasmissione, oltre all’immancabile automatico, fondamentale per il mercato Usa, dovrebbe essere anche manuale. di Matteo Valenti | Le foto spia raccolte in esclusiva dai nostri fotografi ci mostrano per la prima volta la Fiat 124 Spider, la nuova barchetta basata sulla Mazda MX-5 Q uesta volta dobbiamo davvero ringraziare i nostri fotografi, autori di uno scoop veramente goloso. I loro potenti obiettivi infatti ha beccato la nuovissima Fiat 124 Spider praticamente senza veli. La nuova “barchetta”, che dovrebbe debuttare in novembre al Salone di Los Angeles, come sappiamo è basata sul raffinato telaio Skyactiv della Mazda MX-5 di quarta generazione, che sta arrivando nelle concessionarie 46 italiane proprio in questi giorni. Le esclusive foto spia però ci mostrano per la prima volta le proporzioni del modello Fiat e anche tutta una serie di dettagli fondamentali. Il muso tagliente e minimale della Miata qui lascia il posto ad un frontale decisamente più generoso, più alto. Senza troppi giri di parole, alcune riviste americane tagliano corto dicendo che è come se una Punto si fosse fusa insieme con una MX-5 di nuova generazione. L’ampia calandra è sormontata da fari tondi, 47 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito News Periodico elettronico di informazione automobilistica orologiaia firmata Breitling, che ben si sposa ai concetti di estrema esclusività legati ad ogni prodotto a marchio Bentley. Questo orologio dei sogni funziona con un meccanismo sofisticatissimo, che ricorre ad un movimento cronografico con tourbillon a carica manuale. Questo sistema consente di compensare in maniera perfetta gli anticipi ed i ritardi causati dalla forza di gravità e quindi di mantenere in maniera perfetta l’orario impostato. Chi non volesse mettere mano al portafoglio per un optional tanto costoso in ogni caso potrà consolarsi facilmente, visto che gli uomini di Crewe hanno comunque previsto un orologio da polso Breitling compreso nel prezzo di acquisto. Ricordiamo che sotto al cofano della SUV di extra-lusso britannica pulsa l’iconico W12 da 6.0 litri biturbo a benzina in grado di sprigionare in questa variante 608 CV e 900 Nm di coppia. Valori esaltanti che si traducono in uno scatto da 0 a 100 km/h in 4,0 secondi netti e in una velocità massima di 301 km/h. BENTLEY BENTAYGA C’È UN OPTIONAL DA 200.000 EURO! Di optional bizzarri nel mondo delle supercar - chi si ricorda il set di valige da 10.000 euro della Ferrari 458? - ne abbiamo visti tanti. Ma questa volta Bentley è andata veramente oltre con un accessorio da 200.000 euro! D i optional bizzarri nel mondo delle supercar - chi si ricorda il set di valige da 10.000 euro della Ferrari 458? - ne abbiamo visti tanti. Ma questa volta Bentley è andata veramente oltre. Sulla nuova Bentayga infatti, la SUV più potente e veloce del mondo (301 km/h…) i clienti più esigenti potranno scegliere un orologio di bordo alla modica 48 cifra di 200.000 euro. Sì, avete letto bene, perché non si tratta di un semplice orologio con un quadrante, due lancette e qualche ingranaggio, ma di un vero e proprio gioiello di alta orologeria, sviluppato niente di meno che dalla Breitling, celeberrimo atelier svizzero. Battezzato Bentley Mulliner Tourbillon, questo preziosissimo orologio è la massima espressione della maestria 49 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito News Periodico elettronico di informazione automobilistica in garage, anzi, in cortile (ammesso da averne uno abbastanza grande) un appartamentino di design di circa 23 mq che ha il bel vantaggio di poter attraversare qualsiasi terreno, anche un deserto di rocce o sabbia. L’Action Mobil Global XRS 7200 è realizzato su meccanica MAN, con un motore da 720 CV, trazione integrale sui tre assi e una massa di 18 tonnellate. La livrea verde militare potrebbe far pensare ad un ambiente spartano, invece la cellula abitativa fa sfoggio di un design minimale molto ricercato che abbina linee moderne a materiali naturali. I comfort non mancano di certo: tra le dotazioni ci sono anche una TV LCD wide screen, la lavatrice con asciugatrice e, sul retro del veicolo, un piano sollevabile su cui può trovare posto una moto di grossa cilindrata. Vi sembra piccolo? Action Mobil ha in catalogo anche il Desert Challenger, un motorhome a quattro assi largo 3 metri, alto 4 metri e lungo 12 metri sempre con motore e telaio forniti da MAN e trazione 8x8 che ha una massa di ben 30 tonnellate. Originariamente questo veicolo era stato realizzato da MAN per il trasporto di missili. Grazie a due estensioni a comando idraulico, il soggiorno interamente rivestito in legni e pellami pregiati di questa stravagante “versione civile” può raggiungere una larghezza di 5 metri. Può imbarcare 2.500 litri di carburante, 2.400 litri di acqua potabile e 66 kg di gas per alimentare la cucina, che non è una solita cucina. Si tratta di una cucina professionale dotata anche di camera refrigerata. IL CAMPER DEFINITIVO? IL MASTODONTICO ACTION MOBIL GLOBAL XRS 7200 E’ una delle più recenti realizzazioni dell’allestitore austriaco che ha convertito in motorhome anche un veicolo destinato al trasporto dei missili. E l’ha chiamato “Desert Challenger” P iù che un camperista ti definiresti un esploratore? Allora il mezzo più adatto per te è il mastodontico Action Mobil Global XRS 7200. Lo realizza l’austriaca Action Mobil, un allestitore specializzato in veicoli destinati alle spedizioni più estreme. 50 Senza però rinunciare al comfort di cui si potrebbe godere in un hotel a 5 stelle o a bordo di un panfilo da sceicco. Sì, perché i camper che realizza l’azienda austriaca sono enormi e alla bella cifra di circa 800.000 euro e passa, dipende da quanto è esigente il cliente, ci si può mettere 51 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Dieselgate Periodico elettronico di informazione automobilistica le opzioni più conveniente: gomme più strette, olii più fluidi, fessure sigillate, appendici, pompe disattivate. L’ultima trovata è di andare in certi laboratori spagnoli ad alta quota, per sfruttare la rarefazione dell’aria». Le ibride, avvantaggiate dal ciclo in maniera inspiegabile VOLKSWAGEN HA SBAGLIATO MA I TEST DI OMOLOGAZIONE SONO DA CAMBIARE di Enrico De Vita | VW ha mentito sulle centraline e deve essere giudicata. Ma il problema è molto più complesso e riguarda prima di tutto i cicli di omologazione, che permettono di ottenere consumi dichiarati folli. A partire dalle ibride L o scandalo legato al “taroccamento” delle centraline utilizzate da Volkswagen sui motori diesel continua a tenere banco sulle pagine dei giornali di tutto il mondo con una campagna di stampa così intensa ma troppo spesso sommaria però il rischio è di perdere di vista i veri nodi del problema, come ricordiamo a più riprese attraverso le parole del nostro editorialista Enrico De Vita. VW ha sbagliato, ma il problema va addirittura oltre le sue gravi responsabilità Chiarito che De Vita ha dedicato la sua intera 52 carriera a battaglie fondamentali contro la presenza del benzene nella benzina verde o i consumi dichiarati dalle Case automobilistiche, oggi è uno dei pochi esperti ad allargare lo sguardo sullo scandalo VW, portando a galla un problema ancor più esteso. Secondo De Vita infatti, le responsabilità del colosso di Wolfsburg ci sono e sono gravissime, ma la questione va ancora oltre. Nell’intervista di Roberto Iasoni pubblicata venerdì 25 settembre sul Corriere della Sera il nostro editorialista spiega: «Stiamo perdendo il lume della ragione. La Volkswagen ha detto una bugia e per questo deve essere giudicata». Ma esistono altri escamotage ben noti: «Quando l’auto viene messa sui rulli, il costruttore adotta Il titolo utilizzato dal Corriere non appartiene però a De Vita e non riflette il suo pensiero sulla questione dei motori ibridi. I motori ibridi infatti – ricorda De Vita – non barano sui risultati, ma di fatto sono molto avvantaggiati nel ciclo di omologazione, un concetto molto diverso da quello espresso nel titolo del Corriere, come chiarito all’interno dell’articolo stesso: «L’auto ibrida comincia il test con le batterie belle cariche e in questo modo riesce a completare anche tre quarti del ciclo in modalità completamente elettrica. Ma il dato di consumo finale sarà quello della poca benzina utilizzata per finire il percorso di prova. Il costo dell’elettricità viene conteggiato zero. Assurdo» In pratica l’energia spesa per ricaricare le batterie, che inevitabilmente finisce per avere dei costi anche ambientali, non viene considerata, come se fosse del tutto ad impatto zero. NOx: un accanimento ingiustificato De Vita entra anche nel merito della vicenda Volkswagen, spiegando come agiva la centralina truccata: «Il software di gestione è in grado di riconoscere se l’auto è su un banco di prova o su strada. Se il volante rimane sempre fermo riconosce la fase di test e fa quello per cui è stata programmata, ovvero falsare ulteriormente i risultati.» Tutta la questione ruota poi attorno agli NOx che, secondo il nostro editorialista, non sono così dannosi come vuol far credere il governo americano: «Gli NOx non sono velenosi. Non derivano dai carburanti ma dal riscaldamento dell’aria: li produciamo quando ci mettiamo ai fornelli. Il Diesel, è vero, produce più NOx dei motori a benzina, perché aspira più aria. Ma non è un inquinante. In Europa siamo severi con il particolato, gli americani hanno la mania degli NOx.» Il motivo di una tale ossessione è presto detto: «Negli anni ‘60 – ‘70 Los Angeles era sotto una cappa rugginosa di smog causata dagli ossidi di azoto e dai vapori di benzina che uscivano dalle auto. L’iniezione elettronica, che ha eliminato i carburatori, e il catalizzatore hanno risolto il problema». Normative folli? «La paura del Nox, in particolare negli USA, è così alta che anziché combatterla i costruttori, tedeschi in testa, l’hanno assecondata». Non sono esenti da responsabilità gli stessi costruttori: «Un esempio perfetto è il catalizzatore SCR. Funziona con un additivo a base di urea. Trasforma gli Nox in azoto puro. Un procedimento costosissimo, cervellotico e contraddittorio. Per funzionare infatti richiede calore e iniezioni di gasolio. Quindi aumenta il consumo. Stiamo riempendo i diesel di orpelli molto onerosi. Il paradosso è che Volkswagen fa funzionare l’SCR soltanto nella fase di test di omologazione, abbassando i Nox ma al contempo alzando i consumi. L’esclusione del sistema nelle reali condizioni di guida assicura invece ai clienti consumi inferiori su strada. Una follia!» In attesa di un ciclo realistico Lo scandalo che ha colpito Volkswagen dovrebbe diventare dunque l’occasione per affrontare una questione di sistema: «Servirà ad avere finalmente cicli di omologazione realistici e ripetibili. E ci indurrà ad un diverso approccio al motore diesel che obiettivamente è il miglior motore che potesse essere inventato. Ha vantaggi in tutti i sensi: CO2, consumi, inquinamento. Il Diesel è molto più pulito del motore benzina». 53 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito NOX: COSA SONO E COSA FANNO ALL’AMBIENTE E SULL’UOMO di Enrico De Vita | Le responsabilità di VW ci sono e sono gravi. Cerchiamo di capire però come si è arrivati a questo scandalo senza precedenti, partendo dagli NOx. Cosa sono? E sono davvero così pericolosi per l’uomo? N on ci sono dubbi. Le responsabilità di VW ci sono e sono gravi. Per questo il colosso di Wolfsburg dovrà essere giudicato e non potrà fare altro se non accettare le conseguenze. Il nostro editorialista Enrico De Vita però torna ancora una volta sulla vicenda, cercando di capire come si è arrivati a uno scandalo, che forse non ha precedenti nella storia dell’auto. Iniziamo col chiarire cosa sono gli NOx, i gas al centro dell’indagine dell’EPA. Cosa sono gli NOx? «Gli NOx sono dei composti gassosi, che si formano con l’azoto ogni volta che l’aria viene riscaldata al di sopra dei 1.400° C. Alle alte temperature l’azoto presente nell’aria si trasforma in tre composti: protossido di azoto, ossido di azoto e biossido di azoto. Ma dopo pochi istanti rimane solo il biossido di azoto». A cosa servono? «I composti azotati non sono degli inquinanti e di per sé non sono dannosi per l’uomo. Sono addirittura degli ottimi fertilizzanti per il terreno». Sono pericolosi per l’ambiente? «Cominciamo col dire che i limiti dei diesel Euro negli Usa per quanto riguarda gli NOx parlano di 30 mg/km. L’Euro 6 in Europa invece concede oggi un limite un po’ più generoso, pari a 80 mg/km. L’Euro 5 diesel in Europa invece poteva emettere fino a 180 mg/km. Ipotizzando di 54 Dieselgate Periodico elettronico di informazione automobilistica aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb percorrere 15 km/l significa che ogni km si bruciano 50 g di combustibile ogni km. Questi 50 g di combustibile danno luogo a circa 120 – 130 grammi di CO2 e a molto meno di 1 grammo di NOx! Le quantità di NOx in gioco prodotte dai motori quindi sono irrisorie e non si può parlare di effetto tossico. Alcuni, tuttavia, paventano il contributo che gli NOx, combinati con idrocarburi volatili e sotto l’effetto dei raggi del sole, danno alla formazione dell’ozono». I principali responsabili della produzione di Nox sono i veicoli a motore? «No, tutto ciò che brucia forma NOx. Quelli prodotti dai motori delle automobili, come abbiamo visto, sono trascurabili. Emettono molto più NOx gli impianti di riscaldamento, domestici e industriali, anche perché non è previsto alcun limite o dispositivo per limitarli. Del resto qualsiasi procedimento che va a scaldare l’aria produce NOx, anche cuocere la pasta, paradossalmente, immette NOx nell’ambiente». Gli NOx causano realmente la pioggia acida? «Per fortuna, sì. Gli NOx sono necessari alla natura. Le piogge acide che tutti temono non sono quelle che contengono azoto, bensì zolfo. Questo tipo di piogge acide infatti era causato dalle vecchie centrali termiche, presenti per esempio in Polonia o Germania, che bruciavano carbone non depurato dello zolfo. Le piogge ricche di SO2 provocavano danni alle foreste e all’ambiente, perché erano per l’appunto troppo acide. L’acidità delle piogge ricche di NOx invece è benigna, perché rendono fertile il terreno con i composti azotati, gli unici in grado di combinarsi con i sali minerali presenti nel terreno.» E sono velenosi per l’uomo? «No, gli NOx non possono essere considerati un inquinante. Ecco perché non vengono presi in considerazione dalle centraline che monitorano la qualità dell’aria installate nelle nostre città». Quando gli NOx vanno temuti allora? «L’unico frangente in cui gli NOx diventano pericolosi si verifica quando si combinano con idrocarburi volatili, come i solventi delle vernici, la benzina o anche certe trementine di origine vegetale, sotto l’effetto dei raggi del sole. In questo caso, ma solo in questo caso, si produce ozono, il quale a sua volta non è un tossico ma un irritante per occhi e polmoni, ed è per questo limitato nella sua concentrazione ambientale. Gli NOx, se non vengono a contatto con idrocarburi volatili, non possono essere considerati pericolosi». E l’ozono è pericoloso? «L’ozono è un inquinante secondario. Sull’uomo può aggravare patologie respiratorie come l’asma, ma non è cancerogeno. Nelle città si rischia di superare i limiti ambientali d’estate per via delle elevate temperature. L’ozono (O3), grazie al terzo atomo di ossigeno nella sua molecola è anche un disinfettante. Alcuni ricorderanno gli ozonizzatori installati nei bagni pubblici, per esempio nelle scuole, per disinfettare l’ambiente. Tutt’oggi viene usato in alcuni reparti degli ospedali per garantire un ambiente salubre. In 55 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb ogni caso l’ozono non è prodotto necessariamente dagli NOx». Se sono così innocui perché l’America li teme molto? «Gli Americani hanno iniziato a sviluppare una fobia per gli NOx negli anni ‘60 – ‘70 quando Los Angeles finì sotto una cappa rugginosa di smog causata dagli ossidi di azoto che si mischiavano con i vapori di benzina provenienti dai carburatori dei mastodontici motori V8 dell’epoca. L’avvento dell’iniezione elettronica- che ha eliminato i carburatori, sostituiti da un circuito di iniezione sigillato - e del catalizzatore oggi hanno risolto del il problema. I catalizzatori trivalenti hanno infatti eliminato totalmente gli NOx (ma solo nel ciclo di omologazione) dallo scarico dei motori a benzina. Per i diesel c’è una notevole riduzione 56 Dieselgate Periodico elettronico di informazione automobilistica grazie all’EGR e agli altri dispositivi, ma la sparizione totale è ancora problematica. Tuttavia tutti gli altri processi industriali e domestici ove si producevano NOx continuano a farlo senza alcuna limitazione. Perché in USA allora viene mantenuto ancora oggi il limite così basso per le automobili se le condizioni del passato non si possono più replicare? «Perché gli NOx sono diventati il pretesto non dichiarato per tenere lontani dal mercato Usa, un propulsore nel quale i costruttori europei hanno sviluppato una competenza unica al mondo, mentre americani e giapponesi sono rimasti al palo». «I cicli di omologazione – sia quello europeo che quello americano – hanno una prevalenza di fasi con motore al minimo. In Europa si arriva ad una percentuale del 20%. Il problema sta nel fatto che i motori a benzina al minimo riducono da 10 a 20 volte la quantità di aria aspirata ad alti regimi, per effetto della farfalla che parzializza la portata. Il motore diesel invece aspira al minimo la stessa quantità di aria che aspira alla massima potenza. In pratica un diesel da 2.0 litri ogni due giri aspira 2 litri di aria. Un 2.0 litri benzina ogni due giri aspira si e no 70-80 cl di aria! Ne deriva che un diesel nel ciclo, a causa delle numerose fasi al minimo, emette molto più NOx rispetto ad un benzina». Questo significa che in generale un motore diesel produce più NOx nell’utilizzo reale? «No, non è del tutto vero. Il diesel, nei cicli di misura, che prevedono numerose fasi al minimo, produce più NOx. Nella realtà però, per esempio in autostrada a 130 km/h, il diesel girerà a 2.000 giri/min, il benzina a 4.000 giri/min. A parità di cilindrata il benzina aspirerà il doppio di aria rispetto ad un diesel aspirato, quindi produrrà molti più NOx. Se poi ci mettiamo un turbo il motore a gasolio andrà al massimo ad eguagliare quello a benzina, ma non a superarlo! Questo dimostra che il diesel produce molti più NOx soltanto nel ciclo di omologazione, ma difficilmente potrà scrollarsi di dosso questa penalizzazione». sono sembrati valori comunicati più per fare notizia perché i numeri in campo sembrano enormi, quando in realtà stiamo parlando di quantità infinitesimali». Perché l’EPA non è ancora intervenuta per richiamare i veicoli, fosse stato un problema grave ambientale o per l’uomo non avrebbe dovuto farlo subito? «È proprio questo il punto. Infatti il comunicato dell’Epa parla di “imbroglio” o “truffa”, ma non dei potenziali danni ai consumatori. In pratica l’ente americano lamenta di essere stato imbrogliato. A questo punto è il governo americano che deve decidere come sanzionare un comportamento di questo tipo. Noi ci limitiamo a dire che la VW aveva sottoscritto un impegno - quello di non alterare il funzionamento dei dispositivi antinquinamento -, che poi non ha mantenuto. E per questo dovrà pagare. Ma fortunatamente da un punto di vista ambientale non c’è stato un danno». L’EPA parla di limiti superati dalle 10 alle 40 volte rispetto ai test, non sembra un valore esagerato? «Giudico l’affermazione dell’EPA piuttosto sommaria. Infatti non spiegano se i valori da loro rilevati, esponenzialmente più alti di quelli omologati, sono stati rilevati alla fine del ciclo oppure su strada, ad una certa velocità, in determinate condizioni. Si sono limitati a dire che i valori di NOX da loro rilevati erano molto più alti rispetto a quelli che avrebbero raccolto senza il “taroccamento” della centralina. Del resto i valori in ballo – si parla di pochi mg/km – sono veramente irrisori e ci vuole veramente pochissimo per ottenere risultati 10, 20, 30 o 40 volte superiori. Mi 57 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Dieselgate Periodico elettronico di informazione automobilistica Ecco allora che arrivano i soliti annunci trionfalistici, che promettono di mettere sul banco degli imputati tutte le Case automobilistiche. Anche il nostro Ministro dei Trasporti, Graziano Del Rio, si è lasciato tentare dalla situazione, annunciando “controlli a campione su 1.000 auto anche in Italia”. Dal momento che un test di questo tipo, per stessa ammissione di Del Rio, avrebbe un costo di circa 8 milioni di euro per la collettività, ci siamo chiesti se siano veramente utili e necessari. De Vita ci ha risposto così. SCANDALO VW CONTROLLI A CAMPIONE UTILI O SOLDI BUTTATI? di Enrico De Vita | Anche l’Italia ha annunciato test a campione per smascherare i “trucchi” delle Case auto in fase di omologazione. Le prove peraltro avrebbero un costo di 8 milioni di euro per la collettività. Ma sono veramente utili? D opo lo scoppio dello scandalo Volkswagen, che ha ammesso di aver montato centraline “truccate” su undici milioni di veicoli, i principali Stati europei sembrano aver scoperto di punto in bianco che le Case automobilistiche utilizzano trucchi e stratagemmi vari per ottenere esiti ancora più vantaggiosi durante il ciclo di 58 omologazione. Una pratica che il nostro editorialista Enrico De Vita denuncia da anni sulle pagine di Automoto.it ma che i governi hanno continuanato ad ignorare fino all’altro ieri. Ora, solo dopo che Volkswagen è stata “colpita e affondata”, sembra che tutti vogliano salire sul carro del vincitore, politici in testa, per sfruttare l’onda dello scandalo e finire sulle prime pagine dei giornali. È vero che in Europa, a differenza degli Stati Uniti, non si possono fare controlli a campione dopo che un’auto è stata omologata? «Anche se gli Stati membri hanno la facoltà (più teorica che pratica) di condurre prove per verificare che i veicoli immessi sul loro mercato rispettino le caratteristiche del prototipo omologato, tali controlli non possono estendersi ai veicoli già immessi in strada, cioè venduti. Al massimo, un Paese – quando c’è di mezzo la sicurezza stradale - può effettuare controlli a campione sui veicoli nuovi, oppure contestare la regolarità dei test e dei risultati conseguiti in un altro Paese, ma sono entrambe eventualità remote». In pratica si prende per buono il risultato di omologazione, ottenuto sul prototipo in fase di test? «Esattamente. In Europa si omologa il prototipo, che naturalmente viene reso super efficiente grazie ad una serie di accorgimenti più o meno furbi (oli più fluidi non reperibili in commercio, alternatore e pompa dell’acqua disattivate, ecc.,). Dopo aver effettuato tutte le prove al banco i costruttori europei emettono un certificato di conformità dove si dichiara, per auto-certificazione, che tutti gli altri esemplari che verranno prodotti ed immessi sul mercato garantiscono prestazioni – consumo e inquinamento - identiche a quello del prototipo iniziale. Ma nessuno obbliga poi i costruttori ad essere sottoposti ad esami a posteriori sulla produzione, che certifichino nella realtà dei fatti i risultati ottenuti a banco. E tantomeno si possono effettuare controlli sulle auto in strada, già vendute». Com’è possibile che esista un’assurdità simile? «È stata l’influenza dell’industria automobilistica europea a consentire dai burocrati di Bruxelles un simile trattamento di favore, prima nelle direttive per l’adozione del catalizzatore, alla fine degli anni Ottanta, e nel 2007 con i regolamenti più recenti che hanno favorito – anche troppo generosamente - i combustibili alternativi, il metano e le ibride». Dunque i paventati controlli a campione che costerebbero 8 milioni alle casse dello Stato italiano potrebbero essere inutili? «Sono totalmente inutili. Come abbiamo visto infatti in Europa sono le stesse leggi dell’Unione a non prevedere test su veicoli già presenti sul mercato. Soprattutto perché è chiaro che i risultati ottenuti da un test a posteriori, su un esemplare “di serie”, saranno lontani anni luce da quelli fatti registrare dal prototipo di pre-serie, sia per quanto riguarda l’inquinamento, sia per i consumi. Cosa che, del resto, tutti gli automobilisti hanno potuto sperimentare sulla propria vettura, almeno per quanto riguarda i consumi dichiarati». In che senso? «Se si andassero a fare dei test ora sul circolante scoppierebbe la vera bomba atomica. Perché naturalmente verrebbero fuori risultati completamente distanti da quelli di omologazione, e non solo per Volkswagen, ma per tutti i costruttori! Altro che certificato di conformità! E questo perché le condizioni della vettura, quelle atmosferiche, quelle del carburante usato e per mille altri parametri sono differenti dal quelle del prototipo. Basterebbe appellarsi alla usura per dimostrare scientificamente che i risultati saranno diversi. Se ai costruttori è stata conferita la 59 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Dieselgate Periodico elettronico di informazione automobilistica E in Usa le omologazioni avvengono come in Europa? «In America non esiste il certificato di conformità. Negli Usa ogni nuovo esemplare prima di tutto deve essere approvato e non omologato. Quando riceve il semaforo verde dal punto di vista ambientale però il costruttore firma un documento dove si certifica che tutti i dispositivi montati per contenere consumi ed emissioni verranno mantenuti anche nella vita reale. Ed è proprio questa l’accusa rivolta a Volkswagen, colpevole di aver montato un dispositivo che funzionava appieno solo in fase di test». facoltà di certificare che gli esemplari in vendita sono conformi (certificato di conformità) a quello omologato in partenza ora è contraddittorio, rispetto alle stesse leggi europee, andare a fare dei test a posteriori». Quindi non ha senso nemmeno bloccare la vendita? «È un controsenso bloccare la vendita, visto che non ci sono di mezzo problemi di sicurezza (cosa che la VW ha ribadito nei comunicati). E soprattutto è un controsenso mettere al banco migliaia di esemplari e spendere un sacco di soldi per scoprire l’acqua calda». Ci sono stati in passato altri casi di furbizie adottate dai costruttori in fase di omologazione? «Sì, quasi tutti i costruttori ricorrono a trucchi, specie se non sono espressamente vietati. Un ingegnere italiano, esperto del settore, mi ha raccontato che ha impiegato mesi per scoprire lo 60 Significa che negli Usa possono verificarsi controlli anche sulle auto già messe in vendita? «Sì, certamente. Una volta che il costruttore firma il documento accetta che i suoi veicoli possano essere sottoposti a controlli a campione prima della vendita. Ma certe caratteristiche devono essere conservate su esemplari circolanti con chilometraggi fino a 160.000 km (100.000 miglia). Ovviamente si concede uno scostamento tra i dati di omologazione e quelli rilevati sui mezzi “reali”, perché un’auto a 100.000 km non avrà di certo valori di emissioni e consumi pari a quelli originali. Ma non ci si può di certo allontanare da questi valori di tolleranza». stratagemma utilizzato da uno (o più?) costruttore giapponese: uno strano interruttore che si attivava con l’apertura del cofano. In pratica l’interruttore, una volta aperto il cofano faceva scattare una particolare mappatura della centralina. Il motivo? Semplice, i test al banco si effettuano a cofano aperto». E poi? «Penso a quando nel 1993 scoprii che la sonda lambda veniva automaticamente disinnestata al di sopra ai 120 km/h. Che guarda caso è la velocità massima del ciclo di omologazione. Significava che nella realtà dei fatti le auto a benzina sopra ai 120 km/h iniziavano ad inquinare senza tenere più in nessun conto i limiti di omologazione. E ciò semplicemente perché la sonda lambda non garantiva più una carburazione stechiometrica, cioè chimicamente corretta. E c’è una spiegazione: ad alta velocità la miscela deve essere ricca per evitare di surriscaldare le valvole. Ma NOx e HC vanno per i fatti loro». 61 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Dieselgate Periodico elettronico di informazione automobilistica NEDC europeo, come del resto ha rivelato il “Dieselgate” di cui è accusata Volkswagen. Che, tutto sommato, ha avuto un risvolto positivo e cioè quello di mettere in luce la discrepanza ormai intollerabile tra quanto dichiarato dalle Case e quanti agenti inquinanti fuoriescono effettivamente dallo scarico. Arriva il RDE, finalmente il test “reale” EMISSIONI “TRUCCATE” DAL 2016 ARRIVA IL TEST RDE. SARÀ IMPOSSIBILE BARARE di Daniele Pizzo | Il caso Volkswagen ha almeno una conseguenza positiva: quella di aver fatto accelerare le istituzioni europee verso cicli di omologazione più corrispondenti alla realtà. Ecco perché dal prossimo anno arriva il test sulle emissioni reali. Vi diciamo come funziona D a anni, ormai, lo dicono un po’ tutti: inchieste, controinchieste, pure il vicino di casa: «Questa macchina consuma più di quanto dicono!». E’ naturale che sia così: un conto è il NEDC, ovvero il ciclo di omologazione europeo “New European Driving Cycle” (che poi tanto “new” non è perché ormai è in vigore dal 1997...) che viene 62 condotto in laboratorio, un conto è guidare nel mondo reale, dove ci sono condizioni e variabili che in una prova al banco semplicemente non possono essere riprodotte. Risultato: oltre a consumare di più e dunque a emettere più CO2, le auto in condizioni reali inquinano molto di più anche in termini di NOx, fino a 40 volte il valore riscontrato nei cicli di omologazione come il Sull’onda dello scandalo Volkswagen la Commissione Europea ha stabilito infatti che dal gennaio 2016 le emissioni dei motori Diesel e non solo, dovranno essere verificate attraverso il test RDE (Real Driving Emission), una misurazione che si affiancherà all’attuale NEDC. Si tratta in sostanza dell’obbligo di verificare da parte degli organismi di certificazione (come il famoso TUV tedesco) se davvero il livello di emissioni inquinanti emesse da una vettura corrisponda nella guida reale, o almeno non si discosti troppo, da quanto accertato in fase di omologazione nella prova di laboratorio e soprattutto dal limite di NOx stabilito dalle normative europee, che oggi è di 80 mg/ km. superino quelle riscontrate in laboratorio. A Bruxelles stanno comunque studiando dei limiti accettabili di superamento delle emissioni di NOx che tengano conto contemporaneamente degli obiettivi che si vogliono raggiungere in termini di qualità dell’aria, sia della fattibilità tecnica dei nuovi limiti. Dunque alle Case non verranno imposti tetti impossibili da raggiungere. Obbligatorio dal 2017 La Commissione punta però a rendere obbligatorio superare il RDE per tutte le nuove omologazioni a partire dall’autunno del 2017 e per tutte le vetture commercializzate nell’Unione dall’autunno del 2018. In ogni caso, obbligatorio o no, l’utilizzo del PEMS dovrebbe rendere da subito impossibile adottare software o altri dispositivi “truffaldini” come quello impiegato da Volkswagen su alcuni motori 2.0 TDI Euro 5. Nelle intenzioni delle istituzioni comunitarie il RDE servirà anche da stimolo per le Case verso l’adozione nel 2021 del nuovo tetto alle emissioni di CO2 che sarà di 95 g/km, per un consumo medio di 4,1 l/100 km per le vetture a benzina e 3,6 l/100 km per quelle a gasolio. Cos’è un PEMS Come? Semplicemente montando sulle vetture in esame i dispositivi PEMS, acronimo di “Portable Emission Measuring Systems”, in italiano “Sistemi Portatili di Misurazione delle Emissioni”. Si tratta dello stesso dispositivo che ha permesso di scoprire che Volkswagen barava sulle emissioni di ossidi di azoto: è un apparecchio che assomiglia ad un portabiciclette che sostiene un sensore che si inserisce nel tubo di scarico e che invia ad un computer la composizione dei gas di scarico mentre l’auto viene guidata su strada senza seguire un particolare schema, come invece è stabilito dal NEDC. Almeno nella prima fase, il test RDE che verrà adottato a partire dal prossimo anno avrà fini di monitoraggio e dunque non impedirà ad una vettura di essere omologata nel caso le sue emissioni di NOx 63 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Epoca Periodico elettronico di informazione automobilistica Media ASI AUTOSHOW 2015 UN MUSEO A CIELO APERTO e per la bella Cattedrale, e un concerto di musica leggera nel teatro del borgo. La piazza ha ospitato tutte le vetture tra la curiosità e l’ammirazione degli abitanti. Prima tappa, venerdì mattina, Capestrano. Visita al castello del paese, un caffè al volo e si riparte per Santo Stefano di Sessanio, celebre borgo medievale arroccato alle pendici del Gran Sasso. Da qui le strade iniziano a farsi tortuose e il panorama sempre più lunare, la sfilata procede lenta e il serpentone rientra alla base dopo l’immancabile pranzo tipico, percorrendo un altro centinaio di curve dalla montagna sino al mare. E proprio al mare, nella bella cornice di Francavilla, si è svolta la cena di gala riservata a tutti i partecipanti presso il Museo Marchetti. Sabato mattina alla buon’ora siamo di nuovo tutti in marcia verso Lanciano: nel centro della città, presso l’Auditorium Diocleziano, si prende parte ad un interessante Convegno sul Motorismo Storico in Abruzzo, tenuto dal Presidente Roberto Loi affiancato da Tazio Taraschi, figlio del famoso preparatore di Teramo, Bruno Patriarca, altra icona delle gare e Francesco Nuvolari, nipote del grande Nivola, Tazio Nuvolari. Pomeriggio meno intellettuale, con visita alla Cantina Citra di Ortona e rientro a Silvi per la serata. Domenica, dopo una gita a Pescara e visita alla casa di Gabriele D’Annunzio, cominciano i saluti e i conseguenti rientri, con la promessa di rivedersi il prossimo anno e le prime proposte per l’eventuale prossima location. Si pensa già al 2016. A.S.I. non si ferma mai: promuovere, conservare a valorizzare il motorismo storico in Italia è la missione dell’Associazione, capitanata dall’Avvocato Roberto Loi col quale abbiamo avuto il piacere di scambiare due parole in varie occasioni durante l’evento e del quale trovate una piccola dichiarazione. Un uomo fatto di passione e carisma, che non si stancherebbe mai di parlare delle sue auto, di A.S.I. e dei mille progetti che ha in mente. Presidente, come mai la scelta dell’Abruzzo quest’anno, come location per Autoshow 2015? «Eravamo già stati a Pescara, alcuni anni fa, ma abbiamo deciso di ritornare in questa splendida regione dopo aver visitato, anche se solo di passaggio, un po’ tutte le Regioni d’Italia. Il programma è ricco di iniziative e luoghi da visitare, ma soprattutto credo sia una buona occasione per fare turismo, cultura, offrendo ai cittadini abruzzesi la possibilità di ammirare queste splendide auto.» di Cristina Bacchetti | Siamo stati in Abruzzo, per seguire da vicino l’evento clou per gli appassionati di quattro ruote d’epoca: l’A.S.I. Autoshow. 120 vetture storiche e tanti chilometri tra cielo e mare G iovedì 17 settembre, le autostrade iniziano a colorarsi delle tenui nuance pastello tipiche degli Anni ‘60 e ‘70. Avvicinandosi alla Riviera Adriatica sono sempre più soventi le fumate bianche degli scarichi e i borbottii dei motoroni delle più belle auto che hanno fatto la storia italiana e non. A Silvi Marina, punto d’incontro e base del raduno A.S.I., sono in 120, auto più auto meno, ad accreditare gli equipaggi per il tour. È la tredicesima edizione di un evento irrinunciabile 64 per chi ama l’epoca e che ha visto il 20% di presenze in più rispetto allo scorso anno, con quasi 300 appassionati che hanno calcato le più belle strade d’Abruzzo, portando tra gli arroccati paesini di pietra i propri gioielli, perfettamente tirati a lucido per l’occasione. Alfa Romeo, Mercedes, FIAT, Triumph, qualche Cadillac e moltissimi altri modelli di pregio. A scortare il corteo una vecchia Alfa Giulia dei Carabinieri con tanto di antennona e sirena dell’epoca. La serata scorre veloce tra una visita ad Atri, paesino famoso per la liquirizia 65 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Tecnica Periodico elettronico di informazione automobilistica alloggiati. Le pompe a lobi sono note da molto tempo, ma solo negli ultimi decenni si sono diffuse in misura davvero ampia. Tipicamente una di esse è costituita da un rotore interno, dotato di un certo numero di lobi, in presa con un rotore esterno munito di un numero di vani maggiore e disposto eccentricamente rispetto ad esso. Gli assi di rotazione dei due rotori quindi non coincidono. Pure in questo caso l’azione aspirante ha luogo in quanto nella zona dove i lobi del rotore interno (che è quello conduttore) si distaccano dai vani del rotore esterno si formano degli spazi nei quali il fluido viene richiamato. Si crea cioè una depressione e la pressione esterna che agisce sul fluido presente nella coppa o nel serbatoio lo spinge a riempire i vani che via via si liberano. Dato che gira, il rotore esterno trasporta così il fluido verso la zona nella quale entra nuovamente in presa con il rotore interno: i vani vengono “richiusi” dai lobi di quest’ultimo che si inseriscono dentro di essi. È anche in questo caso chiara l’importanza di ridurre al minimo i giochi. Oggi la situazione è notevolmente più complessa: non ci sono più solo i due tipi qui descritti in sintesi, ma altri, con essi strettamente imparentati, ma comunque differenti. E le pompe dell’olio non sono più soltanto piazzate nella coppa e azionate tramite un giro di catena o un alberello ausiliario (tipicamente si trattava di un prolungamento di quello che muoveva il ruttore di accensione). Di una notevole diffusione godono le pompe collocate direttamente nel basamento, dalla parte opposta a quella ove si trova il volano. In questo caso il rotore interno è inserito sulla estremità dell’albero a gomiti, che quindi lo trascina in rotazione. La soluzione è molto interessante dal punto di vista economico in quanto non prevede alcun organo di collegamento o di rinvio. Può essere impiegata però solo utilizzando pompe di tipo adatto, che possono ruotare Le pompe a ingranaggio esterno possono lavorare a velocità elevate e sono di norma montate a una estremità dell’albero a gomiti La foto mostra una pompa a lobi nella sua esecuzione più semplice. In questo caso il rotore interno ha quattro lobi mentre quello esterno, disposto eccentricamente rispetto ad esso, ha cinque vani TECNICA LE POMPE DELL’OLIO di Massimo Clarke | Da quelle a ingranaggi e a lobi alle recenti pompe dell’olio a portata variabile A differenza di quelle dell’acqua, che sono centrifughe, le pompe dell’olio sono volumetriche: a ogni giro spostano la stessa quantità di fluido. Per lungo tempo la scena è stata dominata da quelle a ingranaggi di schema classico, il cui funzionamento è assolutamente intuitivo e quindi facile da visualizzare. Durante la rotazione l’olio riempie i vani tra i denti di ciascun ingranaggio e viene così trasportato dalla zona di ingresso (nella quale si apre il relativo condotto) a quella di uscita, ove si trova il foro di mandata. Dove avviene l’”ingranamento”, ovvero l’entrata in 66 presa, i denti di un ingranaggio penetrano negli spazi esistenti tra i denti dell’altro, e viceversa; in questo modo i vani vengono eliminati e l’olio viene espulso. Dall’altra parte, dove gli ingranaggi si separano, si formano spazi liberi tra un dente e l’altro; il fluido viene così richiamato e va a riempirli. Molto importanti sono i giochi all’interno della pompa; al loro crescere infatti aumentano le “vie di fuga” attraverso le quali può passare il fluido e quindi diminuisce l’efficienza della pompa stessa. A contare qui sono il gioco assiale dei due ingranaggi e la distanza tra le estremità dei loro denti e le pareti del vano nel quale essi sono 67 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Le pompe a ingranaggi sono semplici e hanno avuto una grandissima diffusione fino a non molti anni fa. Oggi si impiegano meno frequentemente a elevato regime senza incappare nella cavitazione. Si utilizzano in genere quelle a lobi (trocoidali, ovvero del tipo detto Trochocentric) o a ingranaggio interno con dentatura a evolvente, in entrambi i casi dotate di “lunetta”. I diametri sono considerevoli mentre lo spessore assiale è assai ridotto. Quando invece la pompa è collocata nella parte bassa del basamento, ovvero è immersa nella coppa (soluzione che può offrire un lieve vantaggio in termini di rapidità di messa in pressione dell’intero circuito dopo l’avviamento), le velocità di rotazione sono notevolmente più basse grazie alla riduzione determinata dal sistema di comando, cosa che consente una maggiore scelta in fatto di pompe da utilizzare. Molto impiegati oggi sono i tipi a lobi con profili particolari, noti 68 Tecnica Periodico elettronico di informazione automobilistica come Gerotor e Duocentric; hanno tuttora una discreta diffusione, anche se assai inferiore rispetto al passato, pure le classiche pompe a ingranaggi (di norma con denti a evolvente). In seguito alla azione della pompa, in seno al fluido hanno luogo delle fluttuazioni di pressione che si susseguono ciclicamente e che è bene ridurre al minimo. Alla entrata della pompa la velocità dell’olio, che arriva da un condotto di considerevole sezione, è in genere compresa tra 1,5 e 2,5 metri al secondo; all’uscita, sempre con il motore in funzione a regime nominale, si raggiungono valori dell’ordine di 3,0 – 4,5 m/s (alcune fonti indicano addirittura 6,0 m/s come valore massimo ammissibile). Per ogni data portata della pompa, la pressione di mandata viene determinata dalla resistenza al Le due immagini consentono di comprendere agevolmente come funziona una pompa a palette a portata variabile. La cilindrata è massima quando è massima l’eccentricità dell’alloggiamento mobile rispetto al rotore palettato flusso che l’olio incontra lungo il suo percorso. Qui entrano in gioco, oltre alla viscosità del lubrificante (che diminuisce al crescere della temperatura), le sezioni delle canalizzazioni, la geometria dei raccordi e, cosa importantissima, il gioco delle bronzine. Indicativamente la pressione di esercizio nei circuiti di lubrificazione dei motori automobilistici di serie è dell’ordine di 3,5-5,0 bar. Negli ultimi anni hanno iniziato ad affermarsi le pompe a portata variabile, il cui impiego può fornire un lieve ma non trascurabile contributo alla riduzione del consumo dei motori. La pompa infatti eroga solo la quantità di olio necessaria (più un certo margine di sicurezza) a quel determinato regime e non una notevolmente maggiore, buona parte della quale finisce sprecata in quanto “scaricata” dalla valvola limitatrice. Questo significa che non c’è energia sprecata e che l’assorbimento da parte della pompa risulta complessivamente minore, con benefici effetti sul rendimento meccanico del motore. In genere in questo caso si impiegano pompa a palette a cilindrata variabile. Come si può ben osservare nella immagine allegata, tale variazione si ottiene cambiando l’eccentricità dell’alloggiamento cilindrico (scorrevole o fulcrato) rispetto al rotore palettato che si trova al suo interno. La variazione si ottiene usualmente grazie alla stessa pressione dell’olio, che agisce contro una molla di contrasto tarata. La cilindrata diminuisce al diminuire della eccentricità. Esistono comunque anche pompe a portata variabile di altro tipo. E non mancano esempi nei quali il controllo è affidato a una centralina elettronica. 69 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito MIKA HAKKINEN, LA STORIA IL PILOTA DALLE DUE VITE CHE RIUSCÌ A BATTERE SCHUMI di Paolo Ciccarone | Mika Hakkinen, il pilota dalle due vite. Inizia come clandestino in Inghilterra, per diventare l’unico, vero, avversario di Schumacher nel Mondiale F1 O ggi lo vediamo nelle vesti del manager, occulto, di Valtteri Bottas, e prima ancora girava per conto di aziende di alcolici, faceva il testimonial di Mercedes e altro ancora. Sposato per anni con la inseparabile Erja, a un tratto Mika Hakkinen ha cambiato vita, ha cambiato moglie ma non ha cambiato la voglia di 70 Formula 1 Periodico elettronico di informazione automobilistica restare a contatto con le corse, anche se non ha nessuna voglia di rimettersi al volante. E pensare che la storia di questo due volte campione del mondo è legata al Giappone nel 89 e 99, quando prima Schumacher spense il motore al via regalandogli il primo titolo e poi nel confronto con Irvine mise la parola fine ai sogni dell’irlandese. Hakkinen, il “clandestino” La storia di Mika Hakkinen, come pilota, comincia tanti anni fa quando era un clandestino in Inghilterra. All’epoca non dava nell’occhio come adesso, anche perché un finlandese che fa il clandestino in Inghilterra è lontano anni luce dalla situazione attuale. Gli italiani lo scoprirono per caso un giorno di fine estate di 25 anni fa… Imola, settembre 1990. E’ in programma una delle ultime gare del campionato italiano di F.1 e dall’Inghilterra è arrivato anche il dominatore della serie locale, un certo Mika Hakkinen. Un finlandese slavato, tranquillo, per niente impressionante. In Italia la Ralt, la monoposto con la quale corre Hakkinen, cerca clienti e quale migliore occasione di far vedere le proprie vetture all’opera in una serie dove i telai Dallara dettano legge? E infatti, appena arrivato sul circuito del Santerno, Mika Hakkinen mette tutti in riga, in prova e in gara. Vince a mani basse, ma quando gli si chiede se è stato facile, risponde che non lo è stato. “Le Dallara sono migliori” dirà. Apriti cielo, l’ambiente tricolore la prende come una offesa e Hakkinen fa subito la figura di quello che vince con la macchina migliore e se la tira. Pochi mesi dopo, ad aprile, molti ragazzi della F.3 italiana hanno smesso di correre o stanno cercando ancora una vettura. A Imola va di scena il terzo GP della stagione e al volante di una scalcinata Lotus Judd verde ramarro, un ragazzino finlandese finisce al quinto posto, cogliendo i primi punti della carriera. Una carriera in McLaren Da quel momento in poi Mika Hakkinen diventa una presenza fissa nel mondiale di F.1, fino al punto da diventare il vero e unico rivale di Michael Schumacher nella corsa al titolo mondiale. 71 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Hakkinen è un uomo che è vissuto due volte. Prima, fino al GP d’Australia del 1995, e poi. Dopo l’uscita di pista che lo ha mandato, in coma, per diversi mesi in un ospedale di Adelaide. Dal 1993 è pilota della McLaren. Nei primi mesi fa il collaudatore, partecipa a qualche gara di Porsche Cup per tenersi in allenamento. In questo periodo Mika mostra il lato ilare della sua persona. Quando arriva in pista, va subito alla base della Porsche e armeggia coi tecnici con centraline e mappature. Non sono per la macchina con la quale corre, ma per la propria Porsche personale che ha truccato e con la quale va spesso da Montecarlo a Brescia, alla sede della Scuderia Italia, dove correva l’altro finlandese Lehto, che invece nel 93 è passato alla Sauber. L’incidente e la nuova vita Solo che in Svizzera sono più severi coi limiti di velocità, mentre da Montecarlo a Brescia, 72 Formula 1 Periodico elettronico di informazione automobilistica Hakkinen ormai ha un tracciato conosciuto con dei tempi di percorrenza noti. Naturalmente da battere con le modifiche apportate alla sua Porsche… Quando, dopo il GP di Monza, Ron Dennis decide di appiedare Michael Andretti, Hakkinen capisce che è arrivata la sua occasione. Da collaudatore a pilota ufficiale. E in prova se la gioca con Ayrton Senna, uno da chi Mika ha imparato molto stando dietro le quinte. Quando a fine 95 Hakkinen sta cercando di tirare fuori il massimo dalla McLaren, ecco l’incidente. Ron Dennis lo cura e lo segue come un figlio, Norbert Haug, boss della Mercedes, fa la spola dall’ospedale ai box e poi dalla Germania all’Australia per seguire la convalescenza di Mika. Nessuno è certo che ce la farà, il ritorno è lento, i problemi fisici enormi, ma la forza di volontà di Hakkinen, cui si è aggiunta Erja, diventata sua moglie, fanno il miracolo. Alla McLaren Hakkinen è di casa, segue lo sviluppo delle monoposto, lotta e si trova a suo agio. Quando a Jerez 97, ultima gara della stagione, Villeneuve capisce di avere il titolo in mano, lascia strada alle due McLaren di Coulthard e Hakkinen. Il finlandese vince con un ordine di scuderia. D’altronde, fino a quel momento, ha sempre ubbidito e aiutato Coulthard. Fra i due i rapporti sono ottimi, ma quando parte il mondiale 98 la sorpresa: non sarà Coulthard il rivale di Schumacher, bensì Mika Hakkinen, cresciuto al punto da diventare la vera bestia nera del ferrarista. La lotta fra i due ha momenti esaltanti, ma sempre nei limiti della correttezza. Sorpassi, vittorie, duelli a ripetizione ne fanno il rivale per eccellenza. 1998: Campione del Mondo Nel 98 Hakkinen vince 8 GP, segna 9 pole position e diventa campione del mondo per la prima volta vincendo proprio a Suzuka, ultima gara della stagione, battendo Schumacher su una delle piste più difficili del mondiale. E nel giro di ritorno ai box, si scopre un aspetto inedito del pilota finlandese: sotto al casco canta a squarciagola “O sole mio” e i meccanici lo ascoltano via radio divertiti. L’anno seguente il copione si ripete, ma dopo Silverstone il rivale non sarà più Schumacher, fermo a letto con una gamba rotta dopo l’uscita di pista al primo giro, bensì l’altro ferrarista: Eddie Irvine. Anche con Irvine la lotta è senza esclusione di colpi, ma sempre corretta. Hakkinen si dimostra uno sportivo, un pilota leale e un avversario eccellente. Nei suoi duelli non commette mai una cattiveria. Mentre Schumacher con Damon Hill è ricorso spesso alle ruotate, Hakkinen non lo fa mai con nessuno. E il tedesco lo capisce: infatti fra i due non ci sono stati quasi mai momenti poco chiari. Solo una volta, in Francia, Schumacher fece una manovra un po’ al limite e Hakkinen lo prese da parte spiegandogli il suo punto di vista, senza acrimonia 73 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb ma con la calma forza dei vincenti. Con un’altra vittoria a Suzuka, Hakkinen vince il secondo titolo mondiale nel 99. Gli sono bastate cinque vittorie, anche se ha ottenuto 11 pole position. E’ ormai un campione completo, l’uomo dalle due vite, di cui la seconda migliore della prima perché rafforzata dalla sofferenza e dalla privazione iniziale. Infatti, nei primi anni di corse in Inghilterra, Hakkinen era un clandestino. Se la polizia avesse controllato i documenti, lo avrebbe espulso dalla nazione. Lo racconterà divertito lo stesso pilota quando deciderà di ritirarsi dalla F.1. Ormai con Schumacher il bottino è alla pari: due titoli il tedesco, due per Mika. La stagione 2000 vede il duello feroce fra i due e il sorpasso più bello, entrato nella storia della F.1. Succede in Belgio, durante il GP. Schumacher è in testa ma mentre 74 Formula 1 Periodico elettronico di informazione automobilistica Schumacher, dopo il GP del Belgio, infila quattro vittorie consecutive e vince il terzo titolo mondiale, che segna anche il ritorno al vertice della Ferrari dopo 21 anni di astinenza. La lotta fra Schumacher e Hakkinen si ripresenta anche nel 2001, ma qualcosa è cambiato nella mente del pilota finlandese. Succede a Montecarlo, quando in gara la McLaren di Mika subisce un improvviso rallentamento. Hakkinen sostiene che qualcosa non funziona nella monoposto, sente che si comporta in modo strano. La fiducia che aveva fino a quel momento, pare essere smarrita. Al box il DS della McLaren, Jo Ramirez, che ha lavorato coi più grandi campioni della F.1, controlla la vettura, analizza i dati e capisce che è cambiato qualcosa nella mente di Hakkinen, che a metà stagione annuncia il ritiro dalla F.1, anche se il bottino finale lo vede ancora vincitore a Silverstone e a Indianapolis. Schumacher diventa, in Ungheria, campione del mondo per la quarta volta, Hakkinen capisce che le motivazioni non ci sono più ed è inutile rischiare. Lo deve a Ron Dennis, che ha creduto in lui fin dal principio, e lo deve alla Mercedes, che lo vorrà ancora pilota nel campionato turismo tedesco, il noto DTM, dove Hakkinen vince ancora qualche gara. In F.1 il campione finlandese lascia dopo 161 GP, 26 pole position, 20 vittorie, ma lascia soprattutto come l’unico pilota capace di battere il numero uno di sempre per successi e titoli iridati, ovvero Michael Schumacher, e la soddisfazione di aver corso insieme all’altro grande della sua generazione, Ayrton Senna. E con entrambi ha retto il confronto da vero campione, nella vita e nello sport. Un vero pilota e gentiluomo. l’asfalto si asciuga, la McLaren di Hakkinen rimonta. Dopo la salita del Raidillon Hakkinen vede davanti a sé la rossa Ferrari che sta per doppiare la BAR di Ricardo Zonta. Schumacher si butta a sinistra, tenendo la traiettoria migliore. Zonta sta per spostarsi per agevolare il sorpasso quando vede a pochi centimetri alla sua destra arrivare lanciatissimo Hakkinen. Zonta resta in linea, quando Schumacher va per frenare ed entrare in traiettoria, si ritrova Hakkinen che gli ha rubato il punto di corda e si infila per primo in curva. Il soprasso più bello, poi l’addio E’ una manovra da applausi a scena aperta, da vero campione e Schumacher renderà onore al rivale sul podio. Ma è anche la molla che spinge il ferrarista a riscattare l’onta subita. 75 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Formula 1 Periodico elettronico di informazione automobilistica all’interno delle quali vengono alloggiati i radiatori. La loro forma e la loro inclinazione, inficia drasticamente due fattori: quello aerodinamico e, più direttamente, il raffreddamento della power unit. Nei disegni di Gabriele Pirovano, ci siamo focalizzati prevalentemente sul primo punto. Mettendo a paragone quella che è la prima, indiscutibile forza all’interno del campionato, la Mercedes, e la Ferrari, si notano differenze tangibili nella parte terminale della monoposto. La F1 W06 è nettamente più rastremata - “finisce prima”, per essere più espliciti - rispetto alla Rossa, con un netto vantaggio in termini di dinamica e di canalizzazione dei flussi al retrotreno. Ciò è possibile per via di radiatori dalle dimensioni più contenute per la scuderia angloteutonica, i quali sono si un lieve fattore di rischio per quanto riguarda l’affidabilità ed il raffreddamento, ma comportano un vantaggio sostanziale in termini di resa aerodinamica. Per il 2016, la Scuderia di Maranello dovrebbe migliroarsi anche sotto questo aspetto, mettendo in campo una vettura dalle forme più estreme, figlia dello sviluppo della già valida SF15-T. FORMULA 1 LA DIFFERENZA TRA FERRARI E MERCEDES? NEI RADIATORI di Marco Congiu | Un interessante punto di analisi delle differenze tra Ferrari e Mercedes sta nelle dimensioni e nel posizionamento dei radiatori: la loro mole, infatti, influisce nelle dimensioni delle pance e, quindi, nell’aerodinamica L a Formula 1 è, forse, la disciplina agonistica dove più di ogni altro aspetto conta il dettaglio, anche quello che pare essere il più insignificante. Dai flap dell’alettone anteriore sino all’inclinazione del monkey seater posteriore, nulla è lasciato al 76 caso. La meccanica della vettura, posizionata in alloggiamenti diversi dal solito, può far guadagnare o perdere decimi di secondo, incidendo indubbiamente sul risultato. Per offrire la minor resistenza possibile all’aerodinamica, un aspetto da valutare sempre sono le pance laterali, 77 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito CITE Periodico elettronico di informazione automobilistica delle curve strette che nella prima parte di gara 2 ci è servita per dare filo da torcere alle più potenti BMW, Seat ed Honda che hanno in tutti i modi cercato di venire a prenderci, spesso senza riuscirci. Ma andiamo con ordine e partiamo dalla qualifica. Si parte quarti: bella sensazione Siamo quarti in griglia grazie ad una qualifica davvero eccezionale e sabato sera penso e ripenso al plotone di vetture che mi seguirà in partenza, ma soprattutto alla mandria di cavalli che sta sotto al loro cofano: la nostra C3 Max ne ha 260, le altre come minimo 300...per non parlare di vetture come il Cinquone di Ferraris (che mi parte a fianco) o le varie BMW M3 che vanno dai 350 ai 400. Numeri incredibili di certo lontanissimi da quelli sprigionati dal nostro quattro cilindri millesei turbo, comunque dotato di una buona erogazione e soprattutto abbinato ad un cambio racing elettroattuato che spara marce come fucilate. C3 Max: grande bilanciamento Fattori su cui devo puntare, alla stregua della qualità del bilanciamento trovato da ProCar, per dare a Max una vettura meccanicamente perfetta (gomme e freni in ordine) ma soprattutto in testa alla seconda divisione, dove ce la giochiamo per la vittoria di classe: l’obiettivo del resto è prenderci quello che in gara 1 ci è stato negato da un banale contatto con la BMW di Fumagalli. Il giro di riscaldamento della vettura, ma soprattutto quello di ricognizione, passano veloci ed ho buone sensazioni. Quello che non mi torna però è uno scivolamento del posteriore in entrata di curva, che però attribuisco alle gomme fredde ed al fatto di essere la prima corsa del mattino. La realtà, però, è diversa. Partenza...funambolica Partenza lanciata, mi incollo al retro della Seat Leon TCR di Valentina Albanese e ci lanciamo verso la prima curva. Grazie alla scia e ad uno scatto perfetto non ho problemi a girare ancora CITE MISANO GARA 2 LA FORTUNA È CIECA MA LA SFIGA CI VEDE BENE di Emiliano Perucca Orfei | Dopo una partenza “matta” la C3 Max portata in pista dal nostro Perucca e da Massimo Arduini stava riuscendo nell’incredibile intento di vincere la seconda divisione. Un sensore da 5 euro, però, ha fermato il sogno C he spettacolo la C3 Max. Dico davvero, un’auto spettacolare, costruita con grande cura e attenzione per il dettaglio dalla ProCar sulla base di una vettura da città tra le più apprezzate in Italia ed in Europa. Certo, su questa C3 Max della vettura di serie rimane poco ma la proverbiale 78 compattezza ed agilità che caratterizzano la vettura di serie si ritrovano in gran parte anche tra le curve di una gara in salita o nella prima parte di Misano adriatico dove il differenziale di potenza veniva letteralmente annullato dalla capacità di cambiare direzione in modo repentino ma soprattutto sicuro. Una velocità di percorrenza 79 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito CITE Periodico elettronico di informazione automobilistica Metà corsa: siamo avanti Restituisco la C3 Max in perfette condizioni a Max in settima posizione con alcuni secondi di vantaggio su Zanin che, comunque, deve pagare 30 secondi di gap regolamentare (è primo in campionato) ai box: Max ha dunque strada libera, può arrivare alla vittoria girando tranquillo, magari fumandosi una sigaretta (cosa che in gara in passato ha fatto davvero! ndr). Però la fortuna è cieca e la sfiga ci vede benissimo e dopo un solo giro la C3 Max viene inquadrata dalle telecamere di Sportitalia e si ammutolisce con lo scarico in fiamme. Max chiama via radio, ci parla di messaggi sul cruscottino digitale Marelli, cerchiamo di resettare l’elettronica e di ripartire, ma non c’è verso. La vettura non riparte. Per Max è ritiro e per noi è la fine di un sogno, quello di salire sul podio, che avevamo toccato con mano anche il giorno precedente. Guasto? Un banale sensore da 5 euro. in quarta posizione alla prima curva ma nell’affrontare l’inserimento qualcosa non torna...il ponte posteriore si blocca e sono costretto ad una manovra d’emergenza per non finire la corsa intraversato. Taglio la chicane, passo sulla vernice che è più scivolosa del ghiacchio (controsterzando anche qui abbonatemente) e mi ripresento in pista in prima posizione! Tra me e me, stupidamente, penso “toh, la C3 Max in prima posizione...” ma poi, passato il momento euforico, penso a come ridare le tre posizioni rubate senza farmi “fiondare” anche da Filippo Maria Zanin, di cui vedo il muso della BMW pronto a farsi spazio. Curva quattro e cinque, giro alla grande e ci portiamo alla Quercia. Sono ancora quarto e capisco che giocando sugli errori degli altri e sul fatto che la pioggia ha scombussolato le carte posso rimanere a lungo in questa posizione gestendo le varie rimonte dei piloti di prima divisione con una certa tranquillità. 80 Non finisce in pista... Peccato. Stavamo andando forte, avevamo tutto quello che serviva per puntare alla vittoria, ma evidentemente qualcosa non è andato come doveva: se poi pensiamo che il proprietario della ProCar ha bucato sulla via di casa ed io sono rimasto a piedi con la mia auto in autostrada si capisce perfettamente perché questo weekend non poteva che andare così. Ce l’abbiamo messa tutta. Non abbiamo ottenuto molto se non la consapevolezza che la C3 Max è davvero una piccola grande vettura. Me l’aveva dimostrato già a Gubbio, nella gara in salita in cui siamo arrivati secondi di classe, me l’ha dimostrato anche a Misano: speriamo ci sia modo di incontrarsi nuovamente anche nel 2016. Cambia la ripartizione dei freni! C’è però un problema. Al secondo giro sono vittima di un incredibile traverso in curva quattro, che riesco miracolosamente a riprendere senza perdere tempo ma capisco che c’è qualcosa che non torna perché ormai anche le gomme dietro dovrebbero essere calde. Gianpaolo (Procar) mi chiama alla radio e mi dice: “Senti ti abbiamo visto in TV. Hai fatto un traverso incredibile. O stai facendo lo scemo o hai la ripartizione della frenata spostata al retrotreno. Manda avanti il manettino!” Mando avanti il manettino e la guida assume in effetti un’altra dimensione. Non mi ero accorto, salendo in macchina, di averlo accidentalmente spostato al retrotreno ed ora tutto cambia. Le staccate sono molto più facili e riesco ad affondare di più arrivando a staccare più avanti. Il passo da 49/50 si abbassa di un secondo e riesco a gestire i sorpassi ma soprattutto l’affondo di Zanin senza grossi problemi. 81 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito WTCC CINA VINCONO LÓPEZ E MULLER. CITROEN CAMPIONE DEL MONDO COSTRUTTORI di Diletta Colombo | Citroen si è laureata campione del mondo costruttori a Shanghai. A vincere in gara 1 è stato José Maria López, su Citroen C-Elysée I l WTCC è sbarcato a Shanghai, in Cina, per il terzultimo appuntamento del mondiale. In Cina, Citroen si è laureata campione del mondo costruttori grazie alla vittoria di José Maria López in gara 1 e al secondo e terzo posto di altri due alfieri della casa francese, Yvan Muller e Sébastien Loeb. In gara 2, ad avere la meglio è stato di nuovo un alfiere della Citroen, 82 WTCC Periodico elettronico di informazione automobilistica Gara 1 Citroensi aggiudica il titolo Costruttori per il secondo anno consecutivo a Shanghai grazie alla presenza di tre piloti Citroen sul podio in gara 1. A vincere è stato José Maria Lopez: il campione WTCC in carica è stato autore di un’ottima partenza, è riuscito ad inanellare giri record alla fine del regime di Safety Car, riuscendo a guadagnare un buon vantaggio nei confronti di Yvan Muller, che lo seguiva. A completare il podio proprio Muller e Sébastien Loeb. La Safety Car è stata causata da una partenza a dir poco caotica: Ma Qing Hua e Valente sono rimasti fermi sullo schieramento, mentre John Filippi, incalzato da Rob Huff, è stato toccato da Tom Coronel. Le due Chevrolet Cruze dei duellanti sono finite in testacoda, e dietro è stato subito caos: Tom Chilton ha tamponato Nicolas Lapierre, e Rob Huff e Gabriele Tarquini sono entrati in contatto. L’ecatombe del primo giro ha mietuto diverse vittime: ritirati Coronel, Filippi, Huff, Chilton e Tarquini. Per Ma, invece, i problemi occorsi in partenza sono proseguiti durante la gara e lo hanno costretto a terminare la gara anzitempo. Buon quarto posto per Catsburg Nicky Catsburg ha concluso la gara al quarto posto al volante della sua LADA Vesta; l’olandese ha preceduto Mehdi Bennani, primo del trofeo Yokohama grazie al quinto posto ottenuto al volante della Citroen C-Elysée preparata dal team Sébastien Loeb Racing. Sesto posto per un altro pilota in lizza per il Trofeo Yokohama, Norbert Michelisz, sulla Honda Civic preparata dalla scuderia Zengo Motorsport. Segue il vincitore della 24 Ore di Le Mans 2015 nella classe LMP2, Nicolas Lapierre, su LADA Vesta. Chiudono la top ten la Honda Civic del pilota portoghese Tiago Monteiro; il pilota della Campos Racing, Hugo Valente, su Chevrolet Cruze; e l’alfiere della ALLINKL.COM Münnich Motorsport, Stefano D’Aste, anch’egli su Chevrolet Cruze. Gara 2 Yvan Muller ha vinto gara 2 a Shanghai, su Citroen C-Elysée: il pilota francese ha avuto la meglio su Gabriele Tarquini. Il pilota italiano è stato autore di un’ottima partenza; Tarquini ha cercato 83 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito WTCC Periodico elettronico di informazione automobilistica Loeb è matematicamente escluso dalla lotta per il mondiale piloti. Quinta posizione per l’alfiere della LADA Sport Rosneft, Rob Huff, autore di una buona gara al volante della sua LADA Vesta. Il campione del mondo WTCC 2012 ha preceduto Tiago Monteiro, sesto sulla sua Honda Civic. Segue Mehdi Bennani, primo del Trofeo Yokohama sulla Citroen C-Elysée preparata dal team Sébastien Loeb Racing. Delude l’idolo di casa Ma Chiudono la top ten Ma Qing Hua, autore di una prestazione deludente al volante della sua Citroen C-Elysée; Nicolas Lapierre, su LADA Vesta; e l’alfiere della Campos Racing, John Filippi, su Chevrolet Cruze. Undicesima posizione per Norbert Michelisz, al volante della sua Honda Civic; il pilota ungherese ha preceduto l’alfiere della Craft-Bamboo Racing, Grégoire Demoustier, su Chevrolet Cruze. Ritiro per il nostro Stefano D’Aste, sulla Cruze del team ALL-INKL.COM Münnich Motorsport , e per Nicky Catsburg, su LADA Vesta. subito di sopravanzare Valente, ma il francese non si è arreso, e i due sono giunti al contatto. Nel tentativo di resistere agli attacchi altrui, Valente è andato in testacoda, ritrovandosi in fondo allo schieramento e finendo per ritirarsi. Muller ha cominciato a guadagnare terreno su Gabriele Tarquini, ed è riuscito a sopravanzarlo, guadagnando la testa della corsa e mantenendola fino alla fine di gara 2. Questo successo farà bene al morale di Muller, ma non lo aiuta granché in ottica mondiale; il titolo piloti si avvicina sempre di più per Lopez, nonostante la quinta vittoria stagionale di Muller. Sono 75 punti di vantaggio di Lopez su Muller in classifica. Tarquini è riuscito 84 a cogliere un meritatissimo secondo posto resistendo strenuamente, nel finale di gara, agli attacchi di uno scatenato José Maria Lopez. I due sono stati protagonisti di un arrivo al fotofinish, che ha visto prevalere il nostro Tarquini. Loeb fuori dalla lotta per il titolo Piloti Ai piedi del podio troviamo un altro alfiere di casa Citroen, Sébastien Loeb. L’alsaziano ha cercato - senza successo - di approfittare della lotta tra Lopez e Tarquini per guadagnare posizioni. Questa intraprendenza non ha dato i frutti sperati, e Loeb ha tagliato il traguardo in quarta posizione. 85 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione automobilistica EDITORE: CRM S.r.l., Via Melzo 9 - 20129 Milano P. Iva 11921100159 REDAZIONE Ippolito Fassati Emiliano Perucca Orfei REDAZIONE Aimone Dal Pozzo Francesco Paolillo Andrea Perfetti Matteo Valenti Maurizio Vettor COLLABORANO Massimo Clarke (Tecnica) Enrico De Vita Claudio Pavanello (Epoca) Alfonso Rago Antonio Gola GRAFICA Thomas Bressani COPYRIGHT Tutto il materiale contenuto in Moto.it Magazine è oggetto di diritti esclusivi di CRM S.r.l. con sede in Milano, Via Melzo 9. Ne è vietata quindi ogni riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta di CRM S.r.l. AUTOMOTO.IT Via Melzo 9- 20129 Milano Reg. trib. Mi Num. 680 del 26/11/2003 Capitale Sociale Euro 10.000 i.v. Email: [email protected] 86 87