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Numero 73
06 Ottobre 2015
87 Pagine
Porsche e-hybrid:
Dalla pista
alla strada
Una tecnologia, l’ibrido Porsche,
che declina l’eco nella sportività
Periodico elettronico di informazione automobilistica
Mercedes-AMG
GLE 63 S Coupé
L’esagerata
Con la GLE Coupé marchiata AMG,
Mercedes è pronta a far
concorrenza a tutti i SUV
Scandalo
Volkswagen
Il Dieselgate e
i suoi sviluppi
| PROVA SU STRADA |
Volvo V40 Ocean Race
da Pag. 2 a Pag. 17
All’Interno
NEWS: BMW X4 M40i | Honda FCV | Audi A4 allroad | Fiat 124 Spider | Bentley Bentayga | M. Clarke Tecnica:
la pompa dell’olio | F1: Mika Hakkinen la storia | La differenza tra Ferrari e Mercedes? Nei radiatori
PROVA SU STRADA
VOLVO V40 OCEAN RACE
Nessuna
come lei
Con la Volvo V40 Ocean Race, la casa svedese
dichiara guerra ad Audi A3, Mercedes Classe a e
BMW Serie 1. Prezzi a partire da 23.000
di Matteo Valenti
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Prova
Periodico elettronico di informazione automobilistica
Media
I
n un mondo in cui si rischia sempre
di più un’omologazione di massa per
fortuna esistono ancora delle sane alternative, con cui distinguersi e rinvigorire la propria personalità.
Una di queste è senza dubbio la Volvo
V40, un’ottima alternativa alle “solite” tedesche.
Non è un caso infatti che la nuova compatta
svedese sia stata pensata proprio per andare a
scontrarsi a viso aperto con Audi A3, Mercedes
Classe A e BMW Serie 1, senza dimenticare la
Lexus CT Hybrid. Allineati alla migliore concorrenza quindi anche i prezzi. La V40 offre un listino che parte da 23.000 euro, per crescere fino a
37.000 euro.
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Dal vivo: com’è fuori
Lunga 436 cm, larga 178 ed alta 143, la V40 ha
dimensioni un po’ più generose rispetto alle sue
eterne rivali tedesche, mentre il passo - pari a 264
cm - è nella media. Il risultato è una compatta di
segmento C che si distingue però grazie a forme
piuttosto insolite, quasi da piccola shooting brake, che non la rendono la solita hatchback dalle
proporzioni scontate. Molto curato il design, originale senza cadere negli accessi di alcune giapponesi. La zona senza dubbio più affascinante è
la coda, dove gli stilisti svedesi sono riusciti ad
esprimere tutto il family feeling Volvo, riuscendo
a “chiudere” anche un’auto così compatta in maniera molto armoniosa.
Dal vivo: com’è dentro
Abbiamo provato la V40 nella versione speciale Ocean Race, ispirata alla regata più dura del
mondo di cui Volvo è main sponsor da qualche
anno. Gli interni in questo allestimento sfoggiano
la massima opulenza disponibile sulla V40, con
finiture degne delle migliori competitor di fascia
premium. Favolosi i sedili, sagomati in maniera
quasi sportiva ma al tempo stesso molto confortevoli. La pelle dei rivestimenti si presenta molto morbida al tatto ed è impreziosita con i loghi
“Ocean Race”, che spiccano anche sui tappetini
e sui badge all’esterno. Non mancano poi curiose finiture che riportano i nomi delle città più
famose toccate dalle regata sponsorizzata da
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Periodico elettronico di informazione automobilistica
alla dotazione standard (airbag frontali, laterali,
a tendina e per le ginocchia, controlli di stabilità
e di trazione) la piccola svedese è stata la prima
auto al mondo ad essere equipaggiata di un maxi-airbag esterno che si gonfia sul cofano in caso
di impatto, per proteggere pedoni o ciclisti. Una
caratteristica innovativa, che ha permesso alla
V40 di ottenere i punteggi più alti della categoria
nei severi test Euro Ncap. Non manca poi il City
Safety, in grado di effettuare frenate automatiche di emergenza.
D2, una vecchia conoscenza
La V40 Ocean Race protagonista della nostra
prova è nella versione D2, equipaggiata con il
propulsore quattro cilindri 1.6 turbo diesel montato in posizione trasversale ed abbinato alla trazione anteriore. Si tratta di un motore di origine
Volvo. Bello l’effetto creato dalla console centrale “sospesa”, che lascia disponibile un vano portaoggetti - per la verità non molto pratico - così
come la strumentazione completamente digitale, che sfoggia un pizzico di sportività pur rimanendo sempre pulita ed elegante, in puro stile
svedese. Materiali di rivestimento eccezionali e
plastiche morbide di ottima qualità abbondano
quasi ovunque, peccato soltanto per la plancia,
con un’impostazione che inizia a sentire un po’
il peso degli anni. Troppi i tasti che affollano la
console così come un po’ troppo piccolo appare
il display da 7 pollici incastonato nel cruscotto.
Uno schema oggi superato, come del resto ha
riconosciuto recentemente la stessa Volvo che,
sulla nuovissima XC90, ha eliminato tutti i bottoni “fisici” servendosi solo ed esclusivamente di
un maxi-tablet.
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PSA/Ford super collaudato, in grado di sviluppare 115 CV a 3.600 giri/min e una coppia piuttosto
abbondante, pari a 240 Nm, subito disponibile a
1.750 giri/min. Nel nostro caso questo motore è
abbinato al cambio automatico (optional da circa 2.000 euro), un sei marce di origine Aisin.
Le nostre impressioni di guida
La V40 Ocean Race in versione D2 si è dimostrata
una piccola divoratrice di chilometri. La città infatti non è il luogo dove la “Volvina” riesce a dare
il massimo, complici il cambio non esattamente
pronto e il motore diesel, un po’ troppo pronto
a borbottare ai bassi regimi. La V40 riesce veramente a fare la differenza invece lontano dai
centri abitati, sulle statali o in autostrada, dove
si lascia grandemente apprezzare per i consumi
super contenuti e per la eccezionale silenziosità
Sicurezza: un capitolo a parte
L’abitabilità davanti molto è buona, dove si viaggia immersi in abitacolo tutto sommato arioso.
Dietro invece lo spazio per le gambe non è di certo infinito ma in due si viaggia comodi, anche se,
purtroppo, mancano le bocchette di ventilazione
posteriori. La volontà di avere una coda originale
nel design è andata a penalizzare leggermente la
capacità di carico rispetto alle competitor, nonostante la lunghezza complessiva più generosa.
I litri in configurazione standard sono 335 (365
sulla A3 Sportback), ma comunque sufficienti per andare in vacanza tranquilli. Abbattendo
i sedili poi la capacità di carico può salire fino a
1.032 litri. Come sempre quando si parla di Volvo
la sicurezza merita un capitolo a parte. La V40
infatti, pur essendo il modello di accesso alla
gamma, non rinuncia ad avere dotazioni eccezionali, in parte sconosciute alla concorrenza. Oltre
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di marcia. Il merito è del motore che spinge con
un filo di gas e all’ottima insonorizzazione. Il D2,
con i suoi 115 CV, non è di certo un motore che
nasce per partenze brucianti al semaforo, ma
offre quanto basta per muovere in tutta scioltezza i 1.378 kg della V40. Discorso analogo per
l’assetto. I cerchi da 16 pollici, uniti ad una taratura delle sospensioni piuttosto rigida, regalano
grande precisione di guida - anche per merito di
un ottimo sterzo - e grande sicurezza quando si
viaggia spediti, ma possono diventare un po’ fastidiosi in ambito urbano, dove non gradiscono
troppe buche e sconnessioni.
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Prova
Consumi
Come anticipato, il fiore all’occhiello della V40
D2 sono i bassi consumi.
Nel corso della nostra prova siamo riusciti a rimanere intorno ad una media di 5,2 l/100 km,
quindi prossima ai 20 km/l. Un risultato che ha
dell’incredibile per un’auto con un peso di certo
non trascurabile e soprattutto dotata di cambio
automatico.
Non abbiamo dubbi che con una versione manuale si riescano ad ottenere risultatati ancora
più strabilianti.
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Prova
Conclusioni
La Volvo V40 entra a testa alta nel segmento
delle compatte premium grazie ad un design per
certi aspetti fuori dagli schemi e ad una qualità
costruttiva eccezionale. Il motore D2 è un grande
chilometrista, perfetto per fare grandi tragitti e
consumare poco. Meno a suo agio in città, proprio come il cambio. In ogni caso la “Volvina” si
lascia perdonare con un ottimo assetto e una
grande precisione di guida.
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PROVA SU STRADA
PORSCHE E-HYBRID
Dalla pista
alla strada
Da Padova al Nurburgring con una Cayenne S e-hybrid
per veder vincere la 919 HYbrid. Una tecnologia,
l’ibrido Porsche, che declina l’eco nella sportività e che
accomuna sport e produzione nell’ultimo corso della
Casa di Zuffenhausen
di Emiliano Perucca Orfei
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Media
scultura recentemente inaugurata a Porsche
Platz per arrivare ad ogni aspetto della comunicazione passando per, naturalmente, per le attività sportive o lo stile delle vetture. E pensare
che sul finire degli anni ‘80 qualcuno in Porsche
pensava che per la 911 non ci sarebbe stato un
grande futuro...
Tecnologia Volkswagen? Sì, ma
in salsa Porsche
D
Un mondo 911 che non ha impedito però a Porsche di andare incontro alle voglie ed alle esigenze del mercato: vetture come la Macan o la
Cayenne, del resto, ne sono la più ampia dimostrazionee la bravura dei vertici Porsche è stata
quella di accettare di buon grado le piattaforme
ed i motori del Gruppo Volkswagen declinandole
con abili operazioni di tuning estetico, meccanico e qualitativo con un denominatore comune
molto speciale: già sedendosi al volante di una
qualsiasi vettura della gamma, infatti, si ritrovano tutti gli elementi chiave - guarda un po’ - della
911.
Medie elevate, consumi contenuti
Ultimo esempio di questa dinastia è la Cayenne
S e-hybrid che manda in pensione la vecchia tecnologia ibrida utilizzata anche da Panamera per
fare posto ad una più tecnologica soluzione plugin. Questo significa che la vettura fa un passo in
avanti verso l’auto elettrica offrendo un boost
alle prestazioni e nuove funzionalità altrimenti
impossibili con il solo motore V6 sovralimentato da 333 CV: il pacco batteria agli ioni di litio da
10,8 kW/h, che alimenta il motore-generatore
elettrico da 95 CV interposto tra motore e cambio, permette infatti di mantenere attivi numerosi servizi vitali della vettura (freni, servosterzo
ma anche aria condizionata o riscaldamento) anche a motore spento: un plus che ci ha permesso
di completare i 794 km che dividono Stoccarda
a Padova in 7h28’ ore di cui 1h46’ (138,8 km) ad
emissione zero con un consumo medio di 9,6
l/100 km. Un risultato che avrebbe potuto essere ancor più eccezionale se avessimo ricaricato
la vettura prima di partire - ed invece abbiamo
scelto di usarla nella peggiore delle condizioni - e
ieci anni fa pensare ad una
Sport Utility Porsche era quasi una bestemmia. Non parliamo poi dell’eventualità di
una motorizzazione a gasolio
o, peggio ancora, ibrida: apriti cielo. Ed invece il cielo è rimasto esattamente
dov’era ed oggi Porsche compone la maggior
parte del suo immenso fatturato con le vendite
delle SUV Macan e Cayenne (oltre che della ammiraglia Panamera) piuttosto che con le comunque iconiche Boxster, Cayman e 911. Una svolta
epocale che ha permesso a Porsche di garantire
a sé stessa l’esistenza (cosa oggi non scontata
per i brand di sole auto sportive) ed alla 911 di
proseguire nello sviluppo rappresentando una
fondamentale chiave per il futuro ed un anello
di congiunzione tra il presente e passato: tutto
quello che nasce a Zuffenhausen gira in qualche
modo attorno alla 911, dalla nuova e futuristica
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Periodico elettronico di informazione automobilistica
l’energia prodotta in eccesso dai turbocompressori viene stivata nelle batterie (MGU-H) con un
processo del tutto simile a quello delle F1 di ultima generazione.
minuti alla 24h del Nurburgring per poi ritirarsi
per un problema tecnico da 12 centesimi non legato alla power unit ibrida.
L’evoluzione della tecnologia ibrida ad alte prestazioni firmata Porsche non nasce però nel 2014
con quella che è l’ultima vincitrice di Le Mans. Il
primo esempio di Porsche ibrida da corsa, infatti, è stato mostrato prima ancora che questa
tecnologia vincesse in LMP1 a Le Mans su una
911 RSR Hybrid: la vettura, oggi esposta al Museo Porsche di Zuffenhausen, affiancava al classico sei cilindri boxer montato posteriormente
a sbalzo due motori elettrici frontali pensati per
assicurare trazione e migliorare la dinamica della
vettura nelle fasi di ingresso e di uscita di curva.
Un esperimento che sfruttava il potenziale di un
volano (del tutto simile a quello della Audi R18 etron del WEC) per accumulare energia e restituirla ad un comando del pilota dal volante, dimostratosi indubbiamente interessante visto che la
911 è riuscita a rimanere in testa per 22 ore e 30
Una tecnologia sostanzialmente diversa da quella della 919 HYbrid e molto diversa anche da
quella delle Cayenne S e-hybrid che invece verrà
sviluppata di pari passo alle corse anche per altri
modelli della gamma: con l’avvento dei motori
turbo per tutta la gamma, infatti, e vista la volontà di proporre un modello ibrido in tutta la gamma è possibile che Porsche prenda dalla LMP1 di
Le Mans anche la tecnologia di ricarica delle batterie legata al turbocompressore (MGU-H) oltre
a quella più tradizionale “affidata” all’energia cinetica (MGU-K): il turbo ad attivazione elettrica,
infatti, rappresenta la nuova frontiera nello sviluppo dei motori benzina e diesel perchè permetterà di utilizzare turbine più generose (e quindi
motori più potenti) senza turbo-lag combinando
questo vantaggio al recupero di energia, che di
fatto non avverrà più solo nelle fasi di frenata. Un
Nuove frontiere nello
Tutto è nato con la 911 RSR Hybrid sviluppo ibrido
se avessimo utilizzato un piede meno pesante in
Germania: il richiamo della Autobahn “no limits”,
del resto, è troppo forte quando si guidano auto
veloci e stabili come la Cayenne.
Da Le Mans alla strada
Quello che stupisce di questa vettura, infatti, è
da un lato la prestazione pura - fila a 250 km/h
assicurando una accelerazione forte e costante - e dall’altro la gestione della performance
nonostante il baricentro più alto di una normale sportiva ed il peso di 2.350 kg: grazie all’assetto elettronico ed al lavoro di bilanciamento
compiuto dai tecnici di Zuffenhausen si possono percorre curvoni delle autostrade tedesche
“in pieno” senza particolari timori se non quelli
di un attento controllo del traffico che precede.
Autostrade che ci hanno portato velocemente da
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Padova, sede di Porsche Italia, al Nurburgring
per assistere alla 6h del campionato WEC, di cui
fa parte anche la mitica 24 ore di Le Mans. Un
campionato eccezionale dove Audi, Porsche,
Toyota e Nissan si sfidano nella classe LMP1
schierando prototipi ibridi con potenze comprese tra gli 800 ed i 1000 cv realizzati attorno
a tecnologie concettualmente simili ma diverse
nell’esecuzione: tra tutte Porsche è forse quella
che, nell’estremizzazione tecnica consentita dalla serie, mantiene un certo contatto con la realtà:
la 919 HYbrid, infatti, abbina ad un due litri V4 sovralimentato un motore elettrico alimentato da
batterie agli ioni di litio che possono assicurare
fino ad 8 MJ di energia ad ogni giro. Un quantitativo di energia notevole che Porsche accumula
nelle fasi di frenata recuperando l’energia cinetica (MGU-K) ed anche in accelerazione visto che
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Prove
uovo di colombo su cui in molti stanno lavorando
e su cui Porsche, evidentemente, sembra essere molto avanti visto l’enorme potenziale dimostrato dal prototipo che ha dominato la 24 Ore di
Le Mans e la 6h del Nurburgring: visto il legame
morboso tra le competizioni e la strada che i vertici Porsche esigono tra i vari reparti dell’azienda
è sicuro che almeno nelle vetture di Zuffenhausen, d’ora in avanti, l’ecologia della tecnologia
ibrida sarà il nuovo emblema della sportività.
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PROVA SU STRADA
MERCEDES-AMG GLE 63 S COUPÉ
L’esagerata
Con la GLE Coupé marchiata AMG, Mercedes è pronta
a far concorrenza a tutti i SUV ipervitaminici di ultima
generazione. Il cuore è quello di un vera supercar.
Prezzi a partire da 70.050 euro
di Matteo Valenti
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Media
caratteristiche che troviamo, per esempio, anche
sulla Classe S Coupé. Qui però abbiamo ancora
più muscoli, soprattutto sulla versione protagonista della nostra prova, la AMG S che si colloca
al vertice della gamma. Nervature corpose, gli
immancabili quattro terminali di scarico cromati
e prese d’aria enormi rendono la GLE Coupé superba e imponente, con proporzioni che, almeno
per certi aspetti, possono ricordare il carattere
delle muscle car. Senza parlare poi dei cerchi in
taglia “monstre”. La AMG monta semplicemente
le ruote in lega più grandi mai viste su un’auto di
serie fino ad oggi: 22 pollici (!) con pneumatici
325/35.
Dal vivo: com’è dentro
All’interno la Coupé riprende fedelmente l’impostazione della sorella più tranquilla, la GLE. Bella
la plancia, con il display in stile tablet “sospeso”,
controllabile attraverso la classica manopola a cui ci ha abituato il Comand e il sofisticato
touchpad posti sul tunnel centrale. Molto sportiva anche la strumentazione, aggressiva ma
U
n tempo c’erano i fuoristrada.
Nudi e crudi. Poi arrivarono
gli inglesi che si inventarono
la Range Rover (1970), insegnando al mondo (insieme
alla piccola Rayton Fissore
nell’85) che offroad poteva far rima anche con
lusso e opulenza. Soltanto più tardi Mercedes,
con la Classe M (1997), faceva esplodere il fenomeno SUV, che di lì a poco avrebbe raggiunto
proporzioni inimmaginabili. A tal punto che sempre un costruttore tedesco, in questo caso BMW,
soltanto dieci anni dopo avrebbe inventato la X6,
la prima Sport Utility Coupé al mondo. Dopo un
successo del tutto inaspettato (la X6 prima serie
vende qualcosa come 250.000 unità), gli eterni rivali della Casa di Stoccarda non potevano
di certo rimanere a guardare in silenzio. Detto
fatto. Dopo qualche tentennamento iniziale,
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funzionale e sempre ben leggibile. Una vera goduria poi il volante della AMG: piccolo, col fondo
tagliato e rivestito in Pelle Nappa Exclusive, con
una corona bella spessa, proprio come sulle
supercar. La cosa più sorprendente della GLE
Coupé però è l’abitabilità, vero tallone d’Achille
invece sulla X6. A bordo della Mercedes l’andamento del tetto particolarmente inclinato non è
andato a penalizzare troppo lo spazio per chi sta
dietro. Anche i passeggeri posteriori più alti infatti trovano spazio comodamente sul divanetto
posteriore e lo stesso discorso vale per il bagagliaio. I litri disponibili sono ben 650 (“solo” 580
sulla nuova X6), ma abbattendo i sedili si arriva
addirittura a toccare quota 1.720 (1.525 sulla
X6).
Guida da sola (per un attimo)
Completissimo, come sulla sorella “buona” GLE,
l’elenco dei dispositivi pensati per migliorare sicurezza e comfort. Oltre al segnalatore dell’angolo cieco, alla frenata automatica di emergenza, al park assist e ai fari full led con abbaglianti
Mercedes quest’anno si è decisa a presentare
la sua arma per sfidare ad armi pare i colleghi di
Monaco. Il suo nome è Mercedes GLE Coupé - da
non confondere con la più classica GLE - ed è un
SUV full size super sportivo, pensato proprio per
andare a mettere i bastoni tra le ruote alla BMW
X6, fino ad oggi rimasta sola e incontrastata sui
mercati mondiali.
Dal vivo: com’è fuori
È vero, siamo sempre davanti ad un SUV di quasi cinque metri (490 cm per l’esattezza), ma
anche ad una sportiva che infatti non rinuncia a
riprendere tutti gli stilemi tipici delle più recenti
Coupé firmate Mercedes. Davanti per esempio
troviamo la griglia con calandra cromata a doppia lama, mentre dietro spicaano vistosi gruppi
ottici a sviluppo orizzontale e il vano portatarga
integrato nel paraurti e non nel portellone. Tutte
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motore e cambio, irrigidendo le sospensioni attive. Ma soprattutto agisce sul temperamento
dell’inedito differenziale posteriore sportivo, con
ripartizione della coppia fino al 60%.
Prezzi: parte più in alto della GLE
Trattandosi di una versione più esclusiva rispetto alla classica GLE, la Coupé si adegua anche
con listini decisamente più salati. Il prezzo di ingresso, per la 350 d in versione Sport è di 70.050
euro (la GLE parte da 58.440...), ma la versione
AMG S della nostra prova fa schizzare i listino a
139.370 euro. Inutile quasi dire che l’unica, vera
competitor della GLE Coupé, attualmente è la
BMW X6, vera apripista in questo segmento. In
un certo senso però la SUV Coupé della Stella
potrebbe andare a mettere i bastani tra le ruote
anche a Porsche Cayenne e Range Rover Sport.
adattivi, alla telecamera di parcheggio a 360°,
non manca nemmeno il sistema anti-sbandamento attivo. Anche qui poi troviamo l’eccezionale cruise control attivo con sistema di assistenza allo sterzo, che oltre a frenare ed accelerare
automaticamente, a seconda del traffico, aiuta
anche a sterzare applicando una leggera forza
sullo sterzo. Per utilizzarlo è necessario ancora
mantenere almeno una mano sul volante, ma è
di fatto un primo passo in direzione della guida
autonoma, che rende i lunghi trasferimenti autostradali ancora meno stancanti e piacevoli.
Motori: dai sei cilindri... in sù!
Trattandosi della GLE in salsa sportiva, anche la
gamma motori si adegua di conseguenza. Qui
non c’è traccia dell’accessibile versione a quattro cilindri con trazione posteriore 2WD. Tutte le
Coupé sono equipaggiate con l’integrale 4Matic
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Le nostre impressioni di guida
In occasione del nostro viaggio a Capo Nord abbiamo avuto modo di entrare molto bene in confidenza con la Mercedes-AMG GLE 63 S Coupé.
Una vera e propria supercar capace di generare
prestazioni con una brutalità estrema, tipica dei
più autentici modelli forgiati ad Affalterbach.
Non lasciatevi ingannare dalle dimensioni però
e soprattutto dal peso. Nonostante una massa
decisamente sopra le righe – siamo ben oltre le
2,2 tonnellate – la super SUV tedesca riesce ad
essere veloce ogni oltre immaginazione. Il merito è dello straordinario motore che si nasconde nel cofano. L’otto cilindri AMG, grazie alla
sovralimentazione a doppio stadio, è una vera
furia incontenibile, pronta a ruggire ad ogni minimo segnale proveniente dal pedale del gas. È
avvertibile un minimo di turbo lag, tipico anche
e con propulsori da almeno sei cilindri, tutti con
architettura a V. Si parte con la 350 d spinta dal
3.0 V6 diesel da 258 CV, per passare ai poderosi benzina. La 400 sfrutta il nuovissimo 3.0 V6
biturbo da 333 CV, portato a 367 CV sulla 450
AMG, nuova versione d’accesso al mondo di Affalterbach. Ancora più in alto troviamo le AMG
vere e proprie, che nascondono l’incontenibile
V8 biturbo da 5.5 litri in grado di erogare 557
CV o 585 CV sulla ancora più estrema versione
AMG S. Il cambio è per tutte le motorizzazioni il
nuovissimo 9G-Tronic a nove rapporti, eccezion
fatta per le AMG che continuano a montare il 7GTronic Plus. Non manca ovviamente il Dynamic
Select per variare il comportamento della vettura in base alla modalità di guida selezionata.
Oltre alle classiche Sport, Comfort e Individual, i
modelli AMG offrono persino il settaggio Sport+
che regala la massima rapidità di riposta di
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Prove
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bbbbbbbbbbbbbbb
sportivo, capace di regalare, insieme alla trazione integrale 4Matic, una motricità spaventosa
durante l’uscita di curva. Bello lo sterzo, diretto
e sufficientemente pesante in modalità Sport,
mentre sono eccezionali i freni. I dischi anteriori
forati da 390 mm (!) garantiscono una potenza
frenante eccezionale, anche ad un’auto così possente. Non pensate però che la GLE AMG Coupé
sia un’auto pensata solo per andare forte. Del
resto basta mette in Comfort per trasformare
questa super SUV in una perfetta compagna di
viaggio. Comoda, spaziosa, morbida nelle sospensioni e persino silenziosa, la SUV sportiva
Mercedes si è rivelata una perfetta compagna di
viaggio verso Capo Nord, dove ci ha portato avvolti nel massimo comfort possibile.
Consumi
Quando ci sono di mezzo prestazioni simili e soprattutto un peso non indifferente diventa sempre difficile (se non superfluo?) parlare di consumi. In ogni caso, nel corso del nostro test, dove
dei migliori motori sovralimentati, ma dopo questo brevissimo, quasi impercettibile, istante di
tempo, è bene che iniziate a tenervi forte. Il V8
inizia a spingere con una forza brutale mentre le
turbine soffiano a pieni polmoni con una voracità
disarmante.
È un SUV, ma “tira” come
una supercar
Il risultato è uno scatto da 0 a 100 km/h da
schiena incollata al sedile, coperto in soli 4,2 secondi. Un risultato incredibile per un’auto così
pesante e imponente, che rende le accelerazioni
ancora più entusiasmanti e sorprendenti. Non
capita tutti i giorni del resto di veder schizzare
a tutta velocità un SUV di queste proporzioni
con la stessa scioltezza di una Coupé a motore
centrale... Il tutto poi è reso ancora più unico
dal sound che, una volta selezionata la modalità
Sport+, diventa ancora più penetrante. Il suono
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è rauco, come vuole ogni AMG che si rispetti, simile a quello di una muscle car, impreziosito da
entusiasmanti scoppi e crepitii ad ogni cambio
marcia. Ovviamente non è più assordante come
quello del 6.3 aspirato di qualche anno fa, ma il
turbo, si sa, è difficile da fare andare d’accordo
con le note più melodiose. Stesso discorso per
l’allungo: il nuovo V8 AMG da 5.5 litri sprigiona
una valanga di coppia (760 Nm), che lo rende
vorace ai medi regimi, ma ha perso qualcosa
in alto rispetto al motore atmosferico precedente. Anche in curva però la GLE Coupé AMG
S riesce a sorprendere più del dovuto. Il merito
è di un assetto raffinatissimo, che può contare,
oltre che su sospensioni attive, anche sull’Active Curve System con barre antirollio attive. Il
risultato è un’auto che, soprattutto nei curvoni
veloci, riesce ad apparire molto più facile e leggera di quanto non sia in realtà. Il resto del divertimento è assicurato dal differenziale posteriore
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Prove
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Prove
non ci siamo certo risparmiati troppo con il pedale del gas, abbiamo portato a casa una media di
13,1 l/100 km. Un risultato su cui hanno pesato di
certo anche gli enormi pneumatici da 325 con cui
viene equipaggiata questa supercar.
Conclusioni
Con la GLE Coupé Mercedes si è decisa a non lasciare più campo libero alla BMW X6. A Stoccarda però hanno imparato dagli errori degli eterni
rivali e hanno fatto di tutto per ottenere una SUV
Coupé che fosse anche molto spaziosa. Obiettivo raggiunto: abitacolo e bagagliaio non obbligano a grandi rinunce, tanto che la GLE Coupé,
anche in versione AMG, è davvero eccezionale
per i lunghi viaggi. Il design è senza dubbio molto
personale e conferisce alla SUV Coupé tedesca
una personalità molto demarcata. Sorprendono
le prestazioni delle versioni AMG, nonostante il
peso, ma non chiedetele di essere agile e facile
da parcheggiare in città.
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News
Periodico elettronico di informazione automobilistica
anteriore, oltre ad una verniciatura in Ferric Grey
e cerchi in lega da 20”. Al retrotreno, fa bella mostra di sé un doppio scarico sportivo con sistema
di regolazione delle valvole, per gestire al meglio
il sound. Nell’abitacolo, troviamo altri chiari e palesi rimandi alla sportività del brand. I sedili sportivi sono avvolgenti e rivestiti in pelle, così come
il volante. A livello meccanico, infine, sono state
modificate le sospensioni. Il sistema xDrive è
stato tarato in modo tale da prediligere la trazione sull’assale posteriore, mentre il Performance
Control garantisce una «naturale e diretta risposta dello sterzo, per ridurre le tendenze di rollio e
garantire il massimo piacere di guida».
BMW X4 M40I
IL SUV BAVARESE VIENE ESTREMIZZATO
di Marco Congiu | BMW ha svelato la nuova X4 M40i. Le prestazioni
sono di tutto rispetto: 360 cavalli e uno scatto da 0 a 100 km/h in
meno di 5 secondi
E
ra solo questione di tempo prima che
BMW proponesse una versione M del
suo SUV sportivo di medie dimensioni, la X4. La M40i porta con orgoglio
la celeberrima lettera sulle fiancate, arricchendosi sensibilmente sotto il profilo prestazionale. Dal propulsore a sei cilindri turbocompresso
40
alimentato a benzina, i tecnici bavaresi sono stati
in grado di ricavare ben 360 cavalli di potenza e
465 Nm di coppia. Grazie a questi valori, la X4
M40i brucia lo 0-100 in appena 4.9 secondi, raggiungendo una velocità massima di 250 km/h.
I cambiamenti estetici sono relativamente limitati, ed includono nuovi particolari sullo spoiler
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vettura molto filante (al posteriore i passaruota
si estendono sulle ruote per migliorare l’aerodinamica), per interni sofisticati ma minimali che
possono accogliere cinque passeggeri, per la
presenza di due motori elettrici e per l’autonomia, che il costruttore giapponese dichiara ammontare a 700 km. Un’altra caratteristica è che
le celle a combustibile della Honda FCV, se questa viene collegata ad un inverter esterno, possono fungere da generatore di elettricità in caso
di emergenza, una caratteristica in comune con
altre vetture a idrogeno proposte anche da altri
costruttori orientali. La nuova berlina a idrogeno della Casa giapponese è l’apice di una ricerca
nel campo delle celle di combustibile avviata da
Honda nei primi anni 2000. L’obiettivo è quello
di passare dai pochi esemplari affidati in leasing
ai “clienti-collaudatori” di Giappone e Stati Uniti
alla creazione di un vero nuovo mercato.
HONDA FCV
LA HONDA A IDROGENO ADESSO
È VERAMENTE DI SERIE
L’auto a idrogeno per le masse di Honda è realtà. Percorre 700 km con
un pieno, ma le manca ancora il nome definitivo, che verrà annunciato
al Salone di Tokyo 2015
H
onda FCV, ovvero “Fuel Cell Vehicle”:
si chiama così, ma il nome è ancora
provvisorio, la nuova berlina a idrogeno che Honda produrrà in serie
dopo l’anteprima mondiale al Salone di Tokyo
2015. Arriverà sul mercato al culmine di una sperimentazione da parte del costruttore giapponese che è partita nel lontano 1999 e si è susseguita
42
attraverso più prototipi sperimentali indicati con
l’acronimo “FCX”, sigla che sta per “Fuel Cell
eXperimental”. La FCV di Honda arriverà sul
mercato giapponese qualche mese dopo la Toyota Mirai, che è stata la prima auto a idrogeno
a essere disponibile per il pubblico. Al momento
sono poche le caratteristiche conosciute, fatta
eccezione per il design futuristico di un corpo
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IAA 2015
AUDI A4 ALLROAD
LA VEDREMO NEL 2016?
Dopo il lancio della nuova Audi A4, è lecito attendersi a breve giro di vite
anche la versione allroad della berlina tedesca, che ha saputo ritagliarsi
un posto speciale nel cuore degli appassionati
L
a nuova Audi A4 è stata ufficialmente
presentata poche settimane fa, in occasione del Salone di Francoforte. La berlina della casa di Ingolstadt, visibilmente rivista nel look e nello “scheletro”, viene così
proiettata in una nuova generazione. È lecito,
tuttavia, attendersi anche una variante allroad.
La Sedan, per chi non lo sapesse, viene rialzata
da terra, e viene dotata contemporaneamente
di un look più fuoristradista rispetto alla sorella
“da città”. In questa nostra ricostruzione grafica,
abbiamo voluto esagerare: il frontale, le fiancate
44
ed il retrotreno sono stati ridisegnati, donandole
un abito da fuoristrada. Sotto il cofano, troviamo l’imbarazzo della scelta. Sparisce il 1.4 TFSI,
principalmente per mancanza di coppia, mentre
dal 2.0 litri TFSI da 190 cavalli al 3.0 V6 TDI da
272 cavalli, non manca nulla. Essendo una vettura recante la dicitura all-terrain-vehicle, la celebre trazione integrale quattro dovrebbe essere
lo standard. Dopo il lancio della Volkswagen Passat Alltrack, anche un’altro marchio del gruppo
di Wolfsburg tornerà ad avere ua versione meno
“cittadina” della propria berlina di riferimento.
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FIAT 124 SPIDER
LE FOTO IN ANTEPRIMA
dalla forma simpatica, che ricordano in un certo
senso quelli della 500X. Molto elegante poi il posteriore, di cui possiamo vedere i gruppi ottici a
sviluppo orizzontale. Uno stile che agli americani
ricorda quello delle ultime Maserati. La vera sorpresa però riguarda gli interni. Se si escludono
infatti alcuni dettagli francamente trascurabili,
come il logo Fiat al centro del volante, siamo davanti ad un abitacolo che riprende in toto lo schema della MX-5. La strumentazione, il volante, la
manopola del tunnel centrale e il display in stile
tablet sono perfettamente identici alla Mazda.
Apparentemente soltanto la leva del cambio,
che in questo caso è per di più un automatico,
è stata ridisegnata. Al momento naturalmente
non sappiamo nessun dato tecnico in merito
alla Fiat 124 Spider, ma possiamo anticipare che
sotto al cofano troveremo i quattro cilindri turbo
Multiair, rivisti per l’occasione in modo da essere
montati con schema longitudinale. La trazione
infatti rimarrà rigorosamente al posteriore, proprio come sulla MX-5, mentre per quanto riguarda i sistemi di trasmissione, oltre all’immancabile automatico, fondamentale per il mercato Usa,
dovrebbe essere anche manuale.
di Matteo Valenti | Le foto spia raccolte in esclusiva dai nostri fotografi
ci mostrano per la prima volta la Fiat 124 Spider, la nuova barchetta
basata sulla Mazda MX-5
Q
uesta volta dobbiamo davvero ringraziare i nostri fotografi, autori di
uno scoop veramente goloso. I loro
potenti obiettivi infatti ha beccato la
nuovissima Fiat 124 Spider praticamente senza veli. La nuova “barchetta”, che dovrebbe debuttare in novembre al Salone di Los
Angeles, come sappiamo è basata sul raffinato
telaio Skyactiv della Mazda MX-5 di quarta generazione, che sta arrivando nelle concessionarie
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italiane proprio in questi giorni. Le esclusive foto
spia però ci mostrano per la prima volta le proporzioni del modello Fiat e anche tutta una serie
di dettagli fondamentali. Il muso tagliente e minimale della Miata qui lascia il posto ad un frontale
decisamente più generoso, più alto. Senza troppi
giri di parole, alcune riviste americane tagliano
corto dicendo che è come se una Punto si fosse
fusa insieme con una MX-5 di nuova generazione. L’ampia calandra è sormontata da fari tondi,
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orologiaia firmata Breitling, che ben si sposa
ai concetti di estrema esclusività legati ad ogni
prodotto a marchio Bentley. Questo orologio dei
sogni funziona con un meccanismo sofisticatissimo, che ricorre ad un movimento cronografico
con tourbillon a carica manuale. Questo sistema
consente di compensare in maniera perfetta gli
anticipi ed i ritardi causati dalla forza di gravità
e quindi di mantenere in maniera perfetta l’orario impostato. Chi non volesse mettere mano al
portafoglio per un optional tanto costoso in ogni
caso potrà consolarsi facilmente, visto che gli
uomini di Crewe hanno comunque previsto un
orologio da polso Breitling compreso nel prezzo
di acquisto. Ricordiamo che sotto al cofano della SUV di extra-lusso britannica pulsa l’iconico
W12 da 6.0 litri biturbo a benzina in grado di sprigionare in questa variante 608 CV e 900 Nm di
coppia. Valori esaltanti che si traducono in uno
scatto da 0 a 100 km/h in 4,0 secondi netti e in
una velocità massima di 301 km/h.
BENTLEY BENTAYGA
C’È UN OPTIONAL DA 200.000 EURO!
Di optional bizzarri nel mondo delle supercar - chi si ricorda il set di
valige da 10.000 euro della Ferrari 458? - ne abbiamo visti tanti. Ma
questa volta Bentley è andata veramente oltre con un accessorio da
200.000 euro!
D
i optional bizzarri nel mondo delle supercar - chi si ricorda il set di valige
da 10.000 euro della Ferrari 458? - ne
abbiamo visti tanti. Ma questa volta
Bentley è andata veramente oltre. Sulla nuova
Bentayga infatti, la SUV più potente e veloce del
mondo (301 km/h…) i clienti più esigenti potranno scegliere un orologio di bordo alla modica
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cifra di 200.000 euro. Sì, avete letto bene, perché non si tratta di un semplice orologio con un
quadrante, due lancette e qualche ingranaggio,
ma di un vero e proprio gioiello di alta orologeria, sviluppato niente di meno che dalla Breitling,
celeberrimo atelier svizzero. Battezzato Bentley
Mulliner Tourbillon, questo preziosissimo orologio è la massima espressione della maestria
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in garage, anzi, in cortile (ammesso da averne
uno abbastanza grande) un appartamentino di
design di circa 23 mq che ha il bel vantaggio di
poter attraversare qualsiasi terreno, anche un
deserto di rocce o sabbia. L’Action Mobil Global
XRS 7200 è realizzato su meccanica MAN, con
un motore da 720 CV, trazione integrale sui tre
assi e una massa di 18 tonnellate. La livrea verde militare potrebbe far pensare ad un ambiente
spartano, invece la cellula abitativa fa sfoggio di
un design minimale molto ricercato che abbina
linee moderne a materiali naturali. I comfort non
mancano di certo: tra le dotazioni ci sono anche
una TV LCD wide screen, la lavatrice con asciugatrice e, sul retro del veicolo, un piano sollevabile su cui può trovare posto una moto di grossa
cilindrata. Vi sembra piccolo? Action Mobil ha in
catalogo anche il Desert Challenger, un motorhome a quattro assi largo 3 metri, alto 4 metri e lungo 12 metri sempre con motore e telaio forniti da
MAN e trazione 8x8 che ha una massa di ben 30
tonnellate. Originariamente questo veicolo era
stato realizzato da MAN per il trasporto di missili. Grazie a due estensioni a comando idraulico, il
soggiorno interamente rivestito in legni e pellami
pregiati di questa stravagante “versione civile”
può raggiungere una larghezza di 5 metri. Può
imbarcare 2.500 litri di carburante, 2.400 litri di
acqua potabile e 66 kg di gas per alimentare la
cucina, che non è una solita cucina. Si tratta di
una cucina professionale dotata anche di camera refrigerata.
IL CAMPER DEFINITIVO?
IL MASTODONTICO ACTION
MOBIL GLOBAL XRS 7200
E’ una delle più recenti realizzazioni dell’allestitore austriaco che ha
convertito in motorhome anche un veicolo destinato al trasporto dei
missili. E l’ha chiamato “Desert Challenger”
P
iù che un camperista ti definiresti un
esploratore? Allora il mezzo più adatto per te è il mastodontico Action Mobil Global XRS 7200. Lo realizza l’austriaca Action Mobil, un allestitore specializzato
in veicoli destinati alle spedizioni più estreme.
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Senza però rinunciare al comfort di cui si potrebbe godere in un hotel a 5 stelle o a bordo di un
panfilo da sceicco. Sì, perché i camper che realizza l’azienda austriaca sono enormi e alla bella cifra di circa 800.000 euro e passa, dipende
da quanto è esigente il cliente, ci si può mettere
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Dieselgate
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le opzioni più conveniente: gomme più strette,
olii più fluidi, fessure sigillate, appendici, pompe
disattivate. L’ultima trovata è di andare in certi
laboratori spagnoli ad alta quota, per sfruttare la
rarefazione dell’aria».
Le ibride, avvantaggiate dal ciclo in
maniera inspiegabile
VOLKSWAGEN HA SBAGLIATO
MA I TEST DI OMOLOGAZIONE
SONO DA CAMBIARE
di Enrico De Vita | VW ha mentito sulle centraline e deve essere
giudicata. Ma il problema è molto più complesso e riguarda prima di
tutto i cicli di omologazione, che permettono di ottenere consumi
dichiarati folli. A partire dalle ibride
L
o scandalo legato al “taroccamento”
delle centraline utilizzate da Volkswagen sui motori diesel continua a tenere
banco sulle pagine dei giornali di tutto
il mondo con una campagna di stampa così intensa ma troppo spesso sommaria però il rischio
è di perdere di vista i veri nodi del problema,
come ricordiamo a più riprese attraverso le parole del nostro editorialista Enrico De Vita.
VW ha sbagliato, ma il problema va
addirittura oltre le sue gravi
responsabilità
Chiarito che De Vita ha dedicato la sua intera
52
carriera a battaglie fondamentali contro la presenza del benzene nella benzina verde o i consumi dichiarati dalle Case automobilistiche, oggi
è uno dei pochi esperti ad allargare lo sguardo
sullo scandalo VW, portando a galla un problema ancor più esteso. Secondo De Vita infatti, le
responsabilità del colosso di Wolfsburg ci sono
e sono gravissime, ma la questione va ancora
oltre. Nell’intervista di Roberto Iasoni pubblicata venerdì 25 settembre sul Corriere della Sera
il nostro editorialista spiega: «Stiamo perdendo
il lume della ragione. La Volkswagen ha detto
una bugia e per questo deve essere giudicata».
Ma esistono altri escamotage ben noti: «Quando
l’auto viene messa sui rulli, il costruttore adotta
Il titolo utilizzato dal Corriere non appartiene
però a De Vita e non riflette il suo pensiero sulla
questione dei motori ibridi. I motori ibridi infatti
– ricorda De Vita – non barano sui risultati, ma di
fatto sono molto avvantaggiati nel ciclo di omologazione, un concetto molto diverso da quello
espresso nel titolo del Corriere, come chiarito
all’interno dell’articolo stesso:
«L’auto ibrida comincia il test con le batterie belle cariche e in questo modo riesce a completare
anche tre quarti del ciclo in modalità completamente elettrica.
Ma il dato di consumo finale sarà quello della
poca benzina utilizzata per finire il percorso di
prova. Il costo dell’elettricità viene conteggiato
zero. Assurdo» In pratica l’energia spesa per ricaricare le batterie, che inevitabilmente finisce
per avere dei costi anche ambientali, non viene
considerata, come se fosse del tutto ad impatto
zero.
NOx: un accanimento
ingiustificato
De Vita entra anche nel merito della vicenda
Volkswagen, spiegando come agiva la centralina
truccata: «Il software di gestione è in grado di riconoscere se l’auto è su un banco di prova o su
strada.
Se il volante rimane sempre fermo riconosce la
fase di test e fa quello per cui è stata programmata, ovvero falsare ulteriormente i risultati.»
Tutta la questione ruota poi attorno agli NOx
che, secondo il nostro editorialista, non sono
così dannosi come vuol far credere il governo
americano:
«Gli NOx non sono velenosi. Non derivano dai
carburanti ma dal riscaldamento dell’aria: li produciamo quando ci mettiamo ai fornelli. Il Diesel,
è vero, produce più NOx dei motori a benzina,
perché aspira più aria. Ma non è un inquinante. In
Europa siamo severi con il particolato, gli americani hanno la mania degli NOx.» Il motivo di una
tale ossessione è presto detto: «Negli anni ‘60 –
‘70 Los Angeles era sotto una cappa rugginosa
di smog causata dagli ossidi di azoto e dai vapori
di benzina che uscivano dalle auto. L’iniezione
elettronica, che ha eliminato i carburatori, e il catalizzatore hanno risolto il problema».
Normative folli?
«La paura del Nox, in particolare negli USA, è
così alta che anziché combatterla i costruttori,
tedeschi in testa, l’hanno assecondata». Non
sono esenti da responsabilità gli stessi costruttori: «Un esempio perfetto è il catalizzatore SCR.
Funziona con un additivo a base di urea. Trasforma gli Nox in azoto puro. Un procedimento costosissimo, cervellotico e contraddittorio.
Per funzionare infatti richiede calore e iniezioni
di gasolio. Quindi aumenta il consumo. Stiamo
riempendo i diesel di orpelli molto onerosi. Il paradosso è che Volkswagen fa funzionare l’SCR
soltanto nella fase di test di omologazione, abbassando i Nox ma al contempo alzando i consumi.
L’esclusione del sistema nelle reali condizioni di
guida assicura invece ai clienti consumi inferiori
su strada. Una follia!»
In attesa di un ciclo realistico
Lo scandalo che ha colpito Volkswagen dovrebbe diventare dunque l’occasione per affrontare
una questione di sistema:
«Servirà ad avere finalmente cicli di omologazione realistici e ripetibili.
E ci indurrà ad un diverso approccio al motore
diesel che obiettivamente è il miglior motore che
potesse essere inventato. Ha vantaggi in tutti i
sensi: CO2, consumi, inquinamento. Il Diesel è
molto più pulito del motore benzina».
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NOX: COSA SONO E COSA FANNO
ALL’AMBIENTE E SULL’UOMO
di Enrico De Vita | Le responsabilità di VW ci sono e sono gravi.
Cerchiamo di capire però come si è arrivati a questo scandalo senza
precedenti, partendo dagli NOx. Cosa sono? E sono davvero così
pericolosi per l’uomo?
N
on ci sono dubbi. Le responsabilità
di VW ci sono e sono gravi. Per questo il colosso di Wolfsburg dovrà essere giudicato e non potrà fare altro
se non accettare le conseguenze. Il nostro editorialista Enrico De Vita però torna ancora una
volta sulla vicenda, cercando di capire come si è
arrivati a uno scandalo, che forse non ha precedenti nella storia dell’auto. Iniziamo col chiarire
cosa sono gli NOx, i gas al centro dell’indagine
dell’EPA.
Cosa sono gli NOx?
«Gli NOx sono dei composti gassosi, che si formano con l’azoto ogni volta che l’aria viene riscaldata al di sopra dei 1.400° C. Alle alte temperature l’azoto presente nell’aria si trasforma
in tre composti: protossido di azoto, ossido di
azoto e biossido di azoto. Ma dopo pochi istanti
rimane solo il biossido di azoto».
A cosa servono?
«I composti azotati non sono degli inquinanti e
di per sé non sono dannosi per l’uomo. Sono addirittura degli ottimi fertilizzanti per il terreno».
Sono pericolosi per l’ambiente?
«Cominciamo col dire che i limiti dei diesel Euro
negli Usa per quanto riguarda gli NOx parlano
di 30 mg/km. L’Euro 6 in Europa invece concede oggi un limite un po’ più generoso, pari a 80
mg/km. L’Euro 5 diesel in Europa invece poteva emettere fino a 180 mg/km. Ipotizzando di
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Dieselgate
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percorrere 15 km/l significa che ogni km si bruciano 50 g di combustibile ogni km. Questi 50 g
di combustibile danno luogo a circa 120 – 130
grammi di CO2 e a molto meno di 1 grammo di
NOx! Le quantità di NOx in gioco prodotte dai
motori quindi sono irrisorie e non si può parlare
di effetto tossico. Alcuni, tuttavia, paventano il
contributo che gli NOx, combinati con idrocarburi volatili e sotto l’effetto dei raggi del sole, danno
alla formazione dell’ozono».
I principali responsabili della produzione di
Nox sono i veicoli a motore?
«No, tutto ciò che brucia forma NOx. Quelli prodotti dai motori delle automobili, come abbiamo
visto, sono trascurabili. Emettono molto più NOx
gli impianti di riscaldamento, domestici e industriali, anche perché non è previsto alcun limite o dispositivo per limitarli. Del resto qualsiasi
procedimento che va a scaldare l’aria produce
NOx, anche cuocere la pasta, paradossalmente,
immette NOx nell’ambiente».
Gli NOx causano realmente la pioggia acida?
«Per fortuna, sì. Gli NOx sono necessari alla natura. Le piogge acide che tutti temono non sono
quelle che contengono azoto, bensì zolfo. Questo tipo di piogge acide infatti era causato dalle
vecchie centrali termiche, presenti per esempio
in Polonia o Germania, che bruciavano carbone non depurato dello zolfo. Le piogge ricche
di SO2 provocavano danni alle foreste e all’ambiente, perché erano per l’appunto troppo acide.
L’acidità delle piogge ricche di NOx invece è
benigna, perché rendono fertile il terreno con i
composti azotati, gli unici in grado di combinarsi
con i sali minerali presenti nel terreno.»
E sono velenosi per l’uomo?
«No, gli NOx non possono essere considerati un
inquinante. Ecco perché non vengono presi in
considerazione dalle centraline che monitorano
la qualità dell’aria installate nelle nostre città».
Quando gli NOx vanno temuti allora?
«L’unico frangente in cui gli NOx diventano pericolosi si verifica quando si combinano con idrocarburi volatili, come i solventi delle vernici, la
benzina o anche certe trementine di origine vegetale, sotto l’effetto dei raggi del sole. In questo
caso, ma solo in questo caso, si produce ozono,
il quale a sua volta non è un tossico ma un irritante per occhi e polmoni, ed è per questo limitato
nella sua concentrazione ambientale. Gli NOx, se
non vengono a contatto con idrocarburi volatili,
non possono essere considerati pericolosi».
E l’ozono è pericoloso?
«L’ozono è un inquinante secondario. Sull’uomo
può aggravare patologie respiratorie come l’asma, ma non è cancerogeno. Nelle città si rischia
di superare i limiti ambientali d’estate per via
delle elevate temperature. L’ozono (O3), grazie
al terzo atomo di ossigeno nella sua molecola
è anche un disinfettante. Alcuni ricorderanno
gli ozonizzatori installati nei bagni pubblici, per
esempio nelle scuole, per disinfettare l’ambiente. Tutt’oggi viene usato in alcuni reparti degli
ospedali per garantire un ambiente salubre. In
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ogni caso l’ozono non è prodotto necessariamente dagli NOx».
Se sono così innocui perché l’America li teme
molto?
«Gli Americani hanno iniziato a sviluppare una
fobia per gli NOx negli anni ‘60 – ‘70 quando Los
Angeles finì sotto una cappa rugginosa di smog
causata dagli ossidi di azoto che si mischiavano
con i vapori di benzina provenienti dai carburatori dei mastodontici motori V8 dell’epoca. L’avvento dell’iniezione elettronica- che ha eliminato
i carburatori, sostituiti da un circuito di iniezione
sigillato - e del catalizzatore oggi hanno risolto
del il problema. I catalizzatori trivalenti hanno
infatti eliminato totalmente gli NOx (ma solo nel
ciclo di omologazione) dallo scarico dei motori a
benzina. Per i diesel c’è una notevole riduzione
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Dieselgate
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grazie all’EGR e agli altri dispositivi, ma la sparizione totale è ancora problematica. Tuttavia
tutti gli altri processi industriali e domestici ove
si producevano NOx continuano a farlo senza alcuna limitazione.
Perché in USA allora viene mantenuto ancora
oggi il limite così basso per le automobili se le
condizioni del passato non si possono più replicare?
«Perché gli NOx sono diventati il pretesto non dichiarato per tenere lontani dal mercato Usa, un
propulsore nel quale i costruttori europei hanno sviluppato una competenza unica al mondo,
mentre americani e giapponesi sono rimasti al
palo». «I cicli di omologazione – sia quello europeo che quello americano – hanno una prevalenza di fasi con motore al minimo. In Europa si
arriva ad una percentuale del 20%. Il problema
sta nel fatto che i motori a benzina al minimo riducono da 10 a 20 volte la quantità di aria aspirata ad alti regimi, per effetto della farfalla che
parzializza la portata. Il motore diesel invece
aspira al minimo la stessa quantità di aria che
aspira alla massima potenza. In pratica un diesel
da 2.0 litri ogni due giri aspira 2 litri di aria. Un 2.0
litri benzina ogni due giri aspira si e no 70-80 cl
di aria! Ne deriva che un diesel nel ciclo, a causa
delle numerose fasi al minimo, emette molto più
NOx rispetto ad un benzina».
Questo significa che in generale un motore
diesel produce più NOx nell’utilizzo reale?
«No, non è del tutto vero. Il diesel, nei cicli di misura, che prevedono numerose fasi al minimo,
produce più NOx. Nella realtà però, per esempio
in autostrada a 130 km/h, il diesel girerà a 2.000
giri/min, il benzina a 4.000 giri/min. A parità
di cilindrata il benzina aspirerà il doppio di aria
rispetto ad un diesel aspirato, quindi produrrà molti più NOx. Se poi ci mettiamo un turbo il
motore a gasolio andrà al massimo ad eguagliare quello a benzina, ma non a superarlo! Questo
dimostra che il diesel produce molti più NOx soltanto nel ciclo di omologazione, ma difficilmente
potrà scrollarsi di dosso questa penalizzazione».
sono sembrati valori comunicati più per fare notizia perché i numeri in campo sembrano enormi, quando in realtà stiamo parlando di quantità
infinitesimali».
Perché l’EPA non è ancora intervenuta per
richiamare i veicoli, fosse stato un problema
grave ambientale o per l’uomo non avrebbe
dovuto farlo subito?
«È proprio questo il punto. Infatti il comunicato
dell’Epa parla di “imbroglio” o “truffa”, ma non
dei potenziali danni ai consumatori. In pratica
l’ente americano lamenta di essere stato imbrogliato. A questo punto è il governo americano
che deve decidere come sanzionare un comportamento di questo tipo. Noi ci limitiamo a dire
che la VW aveva sottoscritto un impegno - quello
di non alterare il funzionamento dei dispositivi
antinquinamento -, che poi non ha mantenuto.
E per questo dovrà pagare. Ma fortunatamente
da un punto di vista ambientale non c’è stato un
danno».
L’EPA parla di limiti superati dalle 10 alle 40
volte rispetto ai test, non sembra un valore
esagerato?
«Giudico l’affermazione dell’EPA piuttosto sommaria. Infatti non spiegano se i valori da loro rilevati, esponenzialmente più alti di quelli omologati, sono stati rilevati alla fine del ciclo oppure
su strada, ad una certa velocità, in determinate
condizioni. Si sono limitati a dire che i valori di
NOX da loro rilevati erano molto più alti rispetto
a quelli che avrebbero raccolto senza il “taroccamento” della centralina. Del resto i valori in ballo – si parla di pochi mg/km – sono veramente
irrisori e ci vuole veramente pochissimo per ottenere risultati 10, 20, 30 o 40 volte superiori. Mi
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Dieselgate
Periodico elettronico di informazione automobilistica
Ecco allora che arrivano i soliti annunci trionfalistici, che promettono di mettere sul banco degli
imputati tutte le Case automobilistiche. Anche il
nostro Ministro dei Trasporti, Graziano Del Rio,
si è lasciato tentare dalla situazione, annunciando “controlli a campione su 1.000 auto anche in
Italia”. Dal momento che un test di questo tipo,
per stessa ammissione di Del Rio, avrebbe un
costo di circa 8 milioni di euro per la collettività,
ci siamo chiesti se siano veramente utili e necessari. De Vita ci ha risposto così.
SCANDALO VW
CONTROLLI A CAMPIONE UTILI
O SOLDI BUTTATI?
di Enrico De Vita | Anche l’Italia ha annunciato test a campione per
smascherare i “trucchi” delle Case auto in fase di omologazione.
Le prove peraltro avrebbero un costo di 8 milioni di euro per la
collettività. Ma sono veramente utili?
D
opo lo scoppio dello scandalo
Volkswagen, che ha ammesso di
aver montato centraline “truccate”
su undici milioni di veicoli, i principali Stati europei sembrano aver scoperto di
punto in bianco che le Case automobilistiche
utilizzano trucchi e stratagemmi vari per ottenere esiti ancora più vantaggiosi durante il ciclo di
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omologazione. Una pratica che il nostro editorialista Enrico De Vita denuncia da anni sulle pagine
di Automoto.it ma che i governi hanno continuanato ad ignorare fino all’altro ieri. Ora, solo dopo
che Volkswagen è stata “colpita e affondata”,
sembra che tutti vogliano salire sul carro del vincitore, politici in testa, per sfruttare l’onda dello
scandalo e finire sulle prime pagine dei giornali.
È vero che in Europa, a differenza degli Stati
Uniti, non si possono fare controlli a campione
dopo che un’auto è stata omologata?
«Anche se gli Stati membri hanno la facoltà (più
teorica che pratica) di condurre prove per verificare che i veicoli immessi sul loro mercato rispettino le caratteristiche del prototipo omologato,
tali controlli non possono estendersi ai veicoli già
immessi in strada, cioè venduti. Al massimo, un
Paese – quando c’è di mezzo la sicurezza stradale - può effettuare controlli a campione sui veicoli
nuovi, oppure contestare la regolarità dei test e
dei risultati conseguiti in un altro Paese, ma sono
entrambe eventualità remote».
In pratica si prende per buono il risultato di
omologazione, ottenuto sul prototipo in fase
di test?
«Esattamente. In Europa si omologa il prototipo, che naturalmente viene reso super efficiente
grazie ad una serie di accorgimenti più o meno
furbi (oli più fluidi non reperibili in commercio, alternatore e pompa dell’acqua disattivate, ecc.,).
Dopo aver effettuato tutte le prove al banco i costruttori europei emettono un certificato di conformità dove si dichiara, per auto-certificazione,
che tutti gli altri esemplari che verranno prodotti
ed immessi sul mercato garantiscono prestazioni – consumo e inquinamento - identiche a
quello del prototipo iniziale. Ma nessuno obbliga
poi i costruttori ad essere sottoposti ad esami a
posteriori sulla produzione, che certifichino nella
realtà dei fatti i risultati ottenuti a banco. E tantomeno si possono effettuare controlli sulle auto in
strada, già vendute».
Com’è possibile che esista un’assurdità simile?
«È stata l’influenza dell’industria automobilistica
europea a consentire dai burocrati di Bruxelles
un simile trattamento di favore, prima nelle direttive per l’adozione del catalizzatore, alla fine
degli anni Ottanta, e nel 2007 con i regolamenti
più recenti che hanno favorito – anche troppo
generosamente - i combustibili alternativi, il metano e le ibride».
Dunque i paventati controlli a campione che
costerebbero 8 milioni alle casse dello Stato
italiano potrebbero essere inutili?
«Sono totalmente inutili. Come abbiamo visto
infatti in Europa sono le stesse leggi dell’Unione
a non prevedere test su veicoli già presenti sul
mercato. Soprattutto perché è chiaro che i risultati ottenuti da un test a posteriori, su un esemplare “di serie”, saranno lontani anni luce da
quelli fatti registrare dal prototipo di pre-serie,
sia per quanto riguarda l’inquinamento, sia per
i consumi. Cosa che, del resto, tutti gli automobilisti hanno potuto sperimentare sulla propria
vettura, almeno per quanto riguarda i consumi
dichiarati».
In che senso?
«Se si andassero a fare dei test ora sul circolante scoppierebbe la vera bomba atomica.
Perché naturalmente verrebbero fuori risultati
completamente distanti da quelli di omologazione, e non solo per Volkswagen, ma per tutti i
costruttori! Altro che certificato di conformità! E
questo perché le condizioni della vettura, quelle
atmosferiche, quelle del carburante usato e per
mille altri parametri sono differenti dal quelle del
prototipo. Basterebbe appellarsi alla usura per
dimostrare scientificamente che i risultati saranno diversi. Se ai costruttori è stata conferita la
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Dieselgate
Periodico elettronico di informazione automobilistica
E in Usa le omologazioni avvengono come in
Europa?
«In America non esiste il certificato di conformità. Negli Usa ogni nuovo esemplare prima di tutto
deve essere approvato e non omologato. Quando riceve il semaforo verde dal punto di vista ambientale però il costruttore firma un documento
dove si certifica che tutti i dispositivi montati per
contenere consumi ed emissioni verranno mantenuti anche nella vita reale. Ed è proprio questa
l’accusa rivolta a Volkswagen, colpevole di aver
montato un dispositivo che funzionava appieno
solo in fase di test».
facoltà di certificare che gli esemplari in vendita
sono conformi (certificato di conformità) a quello omologato in partenza ora è contraddittorio,
rispetto alle stesse leggi europee, andare a fare
dei test a posteriori».
Quindi non ha senso nemmeno bloccare la
vendita?
«È un controsenso bloccare la vendita, visto che
non ci sono di mezzo problemi di sicurezza (cosa
che la VW ha ribadito nei comunicati). E soprattutto è un controsenso mettere al banco migliaia di esemplari e spendere un sacco di soldi per
scoprire l’acqua calda».
Ci sono stati in passato altri casi di furbizie
adottate dai costruttori in fase di omologazione?
«Sì, quasi tutti i costruttori ricorrono a trucchi,
specie se non sono espressamente vietati. Un
ingegnere italiano, esperto del settore, mi ha
raccontato che ha impiegato mesi per scoprire lo
60
Significa che negli Usa possono verificarsi controlli anche sulle auto già messe in vendita?
«Sì, certamente. Una volta che il costruttore firma il documento accetta che i suoi veicoli possano essere sottoposti a controlli a campione
prima della vendita. Ma certe caratteristiche devono essere conservate su esemplari circolanti
con chilometraggi fino a 160.000 km (100.000
miglia). Ovviamente si concede uno scostamento tra i dati di omologazione e quelli rilevati sui
mezzi “reali”, perché un’auto a 100.000 km non
avrà di certo valori di emissioni e consumi pari a
quelli originali. Ma non ci si può di certo allontanare da questi valori di tolleranza».
stratagemma utilizzato da uno (o più?) costruttore giapponese: uno strano interruttore che si
attivava con l’apertura del cofano. In pratica l’interruttore, una volta aperto il cofano faceva scattare una particolare mappatura della centralina.
Il motivo? Semplice, i test al banco si effettuano
a cofano aperto».
E poi?
«Penso a quando nel 1993 scoprii che la sonda
lambda veniva automaticamente disinnestata al
di sopra ai 120 km/h. Che guarda caso è la velocità massima del ciclo di omologazione. Significava che nella realtà dei fatti le auto a benzina
sopra ai 120 km/h iniziavano ad inquinare senza
tenere più in nessun conto i limiti di omologazione. E ciò semplicemente perché la sonda lambda
non garantiva più una carburazione stechiometrica, cioè chimicamente corretta. E c’è una spiegazione: ad alta velocità la miscela deve essere
ricca per evitare di surriscaldare le valvole. Ma
NOx e HC vanno per i fatti loro».
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Dieselgate
Periodico elettronico di informazione automobilistica
NEDC europeo, come del resto ha rivelato il
“Dieselgate” di cui è accusata Volkswagen. Che,
tutto sommato, ha avuto un risvolto positivo e
cioè quello di mettere in luce la discrepanza ormai intollerabile tra quanto dichiarato dalle Case
e quanti agenti inquinanti fuoriescono effettivamente dallo scarico.
Arriva il RDE, finalmente il
test “reale”
EMISSIONI “TRUCCATE”
DAL 2016 ARRIVA IL TEST RDE.
SARÀ IMPOSSIBILE BARARE
di Daniele Pizzo | Il caso Volkswagen ha almeno una conseguenza
positiva: quella di aver fatto accelerare le istituzioni europee verso
cicli di omologazione più corrispondenti alla realtà. Ecco perché dal
prossimo anno arriva il test sulle emissioni reali. Vi diciamo come
funziona
D
a anni, ormai, lo dicono un po’ tutti: inchieste, controinchieste, pure
il vicino di casa: «Questa macchina
consuma più di quanto dicono!». E’
naturale che sia così: un conto è il NEDC, ovvero il ciclo di omologazione europeo “New European Driving Cycle” (che poi tanto “new” non è
perché ormai è in vigore dal 1997...) che viene
62
condotto in laboratorio, un conto è guidare nel
mondo reale, dove ci sono condizioni e variabili
che in una prova al banco semplicemente non
possono essere riprodotte. Risultato: oltre a
consumare di più e dunque a emettere più CO2,
le auto in condizioni reali inquinano molto di più
anche in termini di NOx, fino a 40 volte il valore riscontrato nei cicli di omologazione come il
Sull’onda dello scandalo Volkswagen la Commissione Europea ha stabilito infatti che dal gennaio
2016 le emissioni dei motori Diesel e non solo,
dovranno essere verificate attraverso il test RDE
(Real Driving Emission), una misurazione che si
affiancherà all’attuale NEDC. Si tratta in sostanza dell’obbligo di verificare da parte degli organismi di certificazione (come il famoso TUV tedesco) se davvero il livello di emissioni inquinanti
emesse da una vettura corrisponda nella guida
reale, o almeno non si discosti troppo, da quanto
accertato in fase di omologazione nella prova di
laboratorio e soprattutto dal limite di NOx stabilito dalle normative europee, che oggi è di 80 mg/
km.
superino quelle riscontrate in laboratorio. A Bruxelles stanno comunque studiando dei limiti accettabili di superamento delle emissioni di NOx
che tengano conto contemporaneamente degli
obiettivi che si vogliono raggiungere in termini
di qualità dell’aria, sia della fattibilità tecnica dei
nuovi limiti. Dunque alle Case non verranno imposti tetti impossibili da raggiungere.
Obbligatorio dal 2017
La Commissione punta però a rendere obbligatorio superare il RDE per tutte le nuove omologazioni a partire dall’autunno del 2017 e per tutte
le vetture commercializzate nell’Unione dall’autunno del 2018. In ogni caso, obbligatorio o no,
l’utilizzo del PEMS dovrebbe rendere da subito
impossibile adottare software o altri dispositivi
“truffaldini” come quello impiegato da Volkswagen su alcuni motori 2.0 TDI Euro 5. Nelle intenzioni delle istituzioni comunitarie il RDE servirà
anche da stimolo per le Case verso l’adozione
nel 2021 del nuovo tetto alle emissioni di CO2
che sarà di 95 g/km, per un consumo medio di
4,1 l/100 km per le vetture a benzina e 3,6 l/100
km per quelle a gasolio.
Cos’è un PEMS
Come? Semplicemente montando sulle vetture
in esame i dispositivi PEMS, acronimo di “Portable Emission Measuring Systems”, in italiano
“Sistemi Portatili di Misurazione delle Emissioni”. Si tratta dello stesso dispositivo che ha permesso di scoprire che Volkswagen barava sulle
emissioni di ossidi di azoto: è un apparecchio
che assomiglia ad un portabiciclette che sostiene un sensore che si inserisce nel tubo di scarico e che invia ad un computer la composizione
dei gas di scarico mentre l’auto viene guidata
su strada senza seguire un particolare schema,
come invece è stabilito dal NEDC. Almeno nella
prima fase, il test RDE che verrà adottato a partire dal prossimo anno avrà fini di monitoraggio
e dunque non impedirà ad una vettura di essere omologata nel caso le sue emissioni di NOx
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Epoca
Periodico elettronico di informazione automobilistica
Media
ASI AUTOSHOW 2015
UN MUSEO A CIELO APERTO
e per la bella Cattedrale, e un concerto di musica
leggera nel teatro del borgo. La piazza ha ospitato tutte le vetture tra la curiosità e l’ammirazione
degli abitanti. Prima tappa, venerdì mattina, Capestrano. Visita al castello del paese, un caffè al
volo e si riparte per Santo Stefano di Sessanio,
celebre borgo medievale arroccato alle pendici
del Gran Sasso. Da qui le strade iniziano a farsi tortuose e il panorama sempre più lunare, la
sfilata procede lenta e il serpentone rientra alla
base dopo l’immancabile pranzo tipico, percorrendo un altro centinaio di curve dalla montagna sino al mare. E proprio al mare, nella bella
cornice di Francavilla, si è svolta la cena di gala
riservata a tutti i partecipanti presso il Museo
Marchetti. Sabato mattina alla buon’ora siamo di
nuovo tutti in marcia verso Lanciano: nel centro
della città, presso l’Auditorium Diocleziano, si
prende parte ad un interessante Convegno sul
Motorismo Storico in Abruzzo, tenuto dal Presidente Roberto Loi affiancato da Tazio Taraschi,
figlio del famoso preparatore di Teramo, Bruno
Patriarca, altra icona delle gare e Francesco Nuvolari, nipote del grande Nivola, Tazio Nuvolari.
Pomeriggio meno intellettuale, con visita alla
Cantina Citra di Ortona e rientro a Silvi per la
serata. Domenica, dopo una gita a Pescara e visita alla casa di Gabriele D’Annunzio, cominciano
i saluti e i conseguenti rientri, con la promessa
di rivedersi il prossimo anno e le prime proposte
per l’eventuale prossima location.
Si pensa già al 2016. A.S.I. non si ferma mai: promuovere, conservare a valorizzare il motorismo
storico in Italia è la missione dell’Associazione,
capitanata dall’Avvocato Roberto Loi col quale
abbiamo avuto il piacere di scambiare due parole in varie occasioni durante l’evento e del quale
trovate una piccola dichiarazione. Un uomo fatto
di passione e carisma, che non si stancherebbe
mai di parlare delle sue auto, di A.S.I. e dei mille
progetti che ha in mente. Presidente, come mai
la scelta dell’Abruzzo quest’anno, come location
per Autoshow 2015?
«Eravamo già stati a Pescara, alcuni anni fa, ma
abbiamo deciso di ritornare in questa splendida
regione dopo aver visitato, anche se solo di passaggio, un po’ tutte le Regioni d’Italia.
Il programma è ricco di iniziative e luoghi da visitare, ma soprattutto credo sia una buona occasione per fare turismo, cultura, offrendo ai cittadini abruzzesi la possibilità di ammirare queste
splendide auto.»
di Cristina Bacchetti | Siamo stati in Abruzzo, per seguire da vicino
l’evento clou per gli appassionati di quattro ruote d’epoca: l’A.S.I.
Autoshow. 120 vetture storiche e tanti chilometri tra cielo e mare
G
iovedì 17 settembre, le autostrade iniziano a colorarsi delle tenui
nuance pastello tipiche degli Anni
‘60 e ‘70. Avvicinandosi alla Riviera Adriatica sono sempre più soventi le fumate
bianche degli scarichi e i borbottii dei motoroni
delle più belle auto che hanno fatto la storia italiana e non. A Silvi Marina, punto d’incontro e
base del raduno A.S.I., sono in 120, auto più auto
meno, ad accreditare gli equipaggi per il tour. È la
tredicesima edizione di un evento irrinunciabile
64
per chi ama l’epoca e che ha visto il 20% di presenze in più rispetto allo scorso anno, con quasi
300 appassionati che hanno calcato le più belle
strade d’Abruzzo, portando tra gli arroccati paesini di pietra i propri gioielli, perfettamente tirati
a lucido per l’occasione. Alfa Romeo, Mercedes,
FIAT, Triumph, qualche Cadillac e moltissimi altri
modelli di pregio. A scortare il corteo una vecchia
Alfa Giulia dei Carabinieri con tanto di antennona
e sirena dell’epoca. La serata scorre veloce tra
una visita ad Atri, paesino famoso per la liquirizia
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Tecnica
Periodico elettronico di informazione automobilistica
alloggiati. Le pompe a lobi sono note da molto
tempo, ma solo negli ultimi decenni si sono diffuse in misura davvero ampia. Tipicamente una
di esse è costituita da un rotore interno, dotato
di un certo numero di lobi, in presa con un rotore
esterno munito di un numero di vani maggiore e
disposto eccentricamente rispetto ad esso. Gli
assi di rotazione dei due rotori quindi non coincidono. Pure in questo caso l’azione aspirante ha
luogo in quanto nella zona dove i lobi del rotore
interno (che è quello conduttore) si distaccano dai vani del rotore esterno si formano degli
spazi nei quali il fluido viene richiamato. Si crea
cioè una depressione e la pressione esterna che
agisce sul fluido presente nella coppa o nel serbatoio lo spinge a riempire i vani che via via si
liberano. Dato che gira, il rotore esterno trasporta così il fluido verso la zona nella quale entra
nuovamente in presa con il rotore interno: i vani
vengono “richiusi” dai lobi di quest’ultimo che si
inseriscono dentro di essi. È anche in questo
caso chiara l’importanza di ridurre al minimo
i giochi. Oggi la situazione è notevolmente più
complessa: non ci sono più solo i due tipi qui descritti in sintesi, ma altri, con essi strettamente
imparentati, ma comunque differenti. E le pompe dell’olio non sono più soltanto piazzate nella
coppa e azionate tramite un giro di catena o un
alberello ausiliario (tipicamente si trattava di un
prolungamento di quello che muoveva il ruttore
di accensione). Di una notevole diffusione godono le pompe collocate direttamente nel basamento, dalla parte opposta a quella ove si trova il
volano. In questo caso il rotore interno è inserito
sulla estremità dell’albero a gomiti, che quindi lo
trascina in rotazione. La soluzione è molto interessante dal punto di vista economico in quanto
non prevede alcun organo di collegamento o di
rinvio. Può essere impiegata però solo utilizzando pompe di tipo adatto, che possono ruotare
Le pompe a ingranaggio esterno possono lavorare a velocità elevate e sono di norma montate a una estremità dell’albero a gomiti
La foto mostra una pompa a lobi nella sua esecuzione più semplice. In questo caso il rotore interno ha
quattro lobi mentre quello esterno, disposto eccentricamente rispetto ad esso, ha cinque vani
TECNICA
LE POMPE DELL’OLIO
di Massimo Clarke | Da quelle a ingranaggi e a lobi
alle recenti pompe dell’olio a portata variabile
A
differenza di quelle dell’acqua, che
sono centrifughe, le pompe dell’olio
sono volumetriche: a ogni giro spostano la stessa quantità di fluido. Per
lungo tempo la scena è stata dominata da quelle
a ingranaggi di schema classico, il cui funzionamento è assolutamente intuitivo e quindi facile da visualizzare. Durante la rotazione l’olio
riempie i vani tra i denti di ciascun ingranaggio
e viene così trasportato dalla zona di ingresso
(nella quale si apre il relativo condotto) a quella di uscita, ove si trova il foro di mandata. Dove
avviene l’”ingranamento”, ovvero l’entrata in
66
presa, i denti di un ingranaggio penetrano negli
spazi esistenti tra i denti dell’altro, e viceversa; in
questo modo i vani vengono eliminati e l’olio viene espulso. Dall’altra parte, dove gli ingranaggi
si separano, si formano spazi liberi tra un dente
e l’altro; il fluido viene così richiamato e va a riempirli. Molto importanti sono i giochi all’interno
della pompa; al loro crescere infatti aumentano
le “vie di fuga” attraverso le quali può passare il
fluido e quindi diminuisce l’efficienza della pompa stessa. A contare qui sono il gioco assiale dei
due ingranaggi e la distanza tra le estremità dei
loro denti e le pareti del vano nel quale essi sono
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Le pompe a ingranaggi sono semplici e hanno avuto una grandissima diffusione fino a non molti anni fa. Oggi si impiegano meno frequentemente
a elevato regime senza incappare nella cavitazione. Si utilizzano in genere quelle a lobi (trocoidali, ovvero del tipo detto Trochocentric) o a
ingranaggio interno con dentatura a evolvente,
in entrambi i casi dotate di “lunetta”. I diametri
sono considerevoli mentre lo spessore assiale è
assai ridotto.
Quando invece la pompa è collocata nella parte
bassa del basamento, ovvero è immersa nella
coppa (soluzione che può offrire un lieve vantaggio in termini di rapidità di messa in pressione
dell’intero circuito dopo l’avviamento), le velocità di rotazione sono notevolmente più basse
grazie alla riduzione determinata dal sistema di
comando, cosa che consente una maggiore scelta in fatto di pompe da utilizzare. Molto impiegati
oggi sono i tipi a lobi con profili particolari, noti
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Tecnica
Periodico elettronico di informazione automobilistica
come Gerotor e Duocentric; hanno tuttora una
discreta diffusione, anche se assai inferiore rispetto al passato, pure le classiche pompe a
ingranaggi (di norma con denti a evolvente). In
seguito alla azione della pompa, in seno al fluido
hanno luogo delle fluttuazioni di pressione che si
susseguono ciclicamente e che è bene ridurre al
minimo.
Alla entrata della pompa la velocità dell’olio, che
arriva da un condotto di considerevole sezione, è
in genere compresa tra 1,5 e 2,5 metri al secondo;
all’uscita, sempre con il motore in funzione a regime nominale, si raggiungono valori dell’ordine
di 3,0 – 4,5 m/s (alcune fonti indicano addirittura 6,0 m/s come valore massimo ammissibile).
Per ogni data portata della pompa, la pressione
di mandata viene determinata dalla resistenza al
Le due immagini consentono di comprendere agevolmente come funziona una pompa a palette a portata variabile.
La cilindrata è massima quando è massima l’eccentricità dell’alloggiamento mobile rispetto al rotore palettato
flusso che l’olio incontra lungo il suo percorso.
Qui entrano in gioco, oltre alla viscosità del lubrificante (che diminuisce al crescere della temperatura), le sezioni delle canalizzazioni, la geometria dei raccordi e, cosa importantissima, il gioco
delle bronzine. Indicativamente la pressione di
esercizio nei circuiti di lubrificazione dei motori
automobilistici di serie è dell’ordine di 3,5-5,0
bar. Negli ultimi anni hanno iniziato ad affermarsi le pompe a portata variabile, il cui impiego può
fornire un lieve ma non trascurabile contributo
alla riduzione del consumo dei motori. La pompa infatti eroga solo la quantità di olio necessaria
(più un certo margine di sicurezza) a quel determinato regime e non una notevolmente maggiore, buona parte della quale finisce sprecata
in quanto “scaricata” dalla valvola limitatrice.
Questo significa che non c’è energia sprecata e
che l’assorbimento da parte della pompa risulta
complessivamente minore, con benefici effetti
sul rendimento meccanico del motore. In genere
in questo caso si impiegano pompa a palette a
cilindrata variabile. Come si può ben osservare
nella immagine allegata, tale variazione si ottiene cambiando l’eccentricità dell’alloggiamento
cilindrico (scorrevole o fulcrato) rispetto al rotore palettato che si trova al suo interno. La variazione si ottiene usualmente grazie alla stessa
pressione dell’olio, che agisce contro una molla
di contrasto tarata. La cilindrata diminuisce al
diminuire della eccentricità. Esistono comunque
anche pompe a portata variabile di altro tipo. E
non mancano esempi nei quali il controllo è affidato a una centralina elettronica.
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MIKA HAKKINEN, LA STORIA
IL PILOTA DALLE DUE VITE CHE
RIUSCÌ A BATTERE SCHUMI
di Paolo Ciccarone | Mika Hakkinen, il pilota dalle due vite. Inizia come
clandestino in Inghilterra, per diventare l’unico, vero, avversario di
Schumacher nel Mondiale F1
O
ggi lo vediamo nelle vesti del manager, occulto, di Valtteri Bottas,
e prima ancora girava per conto di
aziende di alcolici, faceva il testimonial di Mercedes e altro ancora.
Sposato per anni con la inseparabile Erja, a un
tratto Mika Hakkinen ha cambiato vita, ha cambiato moglie ma non ha cambiato la voglia di
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Formula 1
Periodico elettronico di informazione automobilistica
restare a contatto con le corse, anche se non ha
nessuna voglia di rimettersi al volante.
E pensare che la storia di questo due volte campione del mondo è legata al Giappone nel 89 e
99, quando prima Schumacher spense il motore al via regalandogli il primo titolo e poi nel
confronto con Irvine mise la parola fine ai sogni
dell’irlandese.
Hakkinen, il “clandestino”
La storia di Mika Hakkinen, come pilota, comincia tanti anni fa quando era un clandestino
in Inghilterra. All’epoca non dava nell’occhio
come adesso, anche perché un finlandese che
fa il clandestino in Inghilterra è lontano anni luce
dalla situazione attuale. Gli italiani lo scoprirono
per caso un giorno di fine estate di 25 anni fa…
Imola, settembre 1990. E’ in programma una
delle ultime gare del campionato italiano di F.1
e dall’Inghilterra è arrivato anche il dominatore
della serie locale, un certo Mika Hakkinen. Un
finlandese slavato, tranquillo, per niente impressionante. In Italia la Ralt, la monoposto con la
quale corre Hakkinen, cerca clienti e quale migliore occasione di far vedere le proprie vetture
all’opera in una serie dove i telai Dallara dettano
legge? E infatti, appena arrivato sul circuito del
Santerno, Mika Hakkinen mette tutti in riga, in
prova e in gara. Vince a mani basse, ma quando
gli si chiede se è stato facile, risponde che non
lo è stato. “Le Dallara sono migliori” dirà. Apriti
cielo, l’ambiente tricolore la prende come una
offesa e Hakkinen fa subito la figura di quello che
vince con la macchina migliore e se la tira. Pochi
mesi dopo, ad aprile, molti ragazzi della F.3 italiana hanno smesso di correre o stanno cercando
ancora una vettura. A Imola va di scena il terzo
GP della stagione e al volante di una scalcinata
Lotus Judd verde ramarro, un ragazzino finlandese finisce al quinto posto, cogliendo i primi
punti della carriera.
Una carriera in McLaren
Da quel momento in poi Mika Hakkinen diventa
una presenza fissa nel mondiale di F.1, fino al
punto da diventare il vero e unico rivale di Michael Schumacher nella corsa al titolo mondiale.
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Hakkinen è un uomo che è vissuto due volte. Prima, fino al GP d’Australia del 1995, e poi. Dopo
l’uscita di pista che lo ha mandato, in coma, per
diversi mesi in un ospedale di Adelaide. Dal 1993
è pilota della McLaren. Nei primi mesi fa il collaudatore, partecipa a qualche gara di Porsche
Cup per tenersi in allenamento. In questo periodo Mika mostra il lato ilare della sua persona.
Quando arriva in pista, va subito alla base della
Porsche e armeggia coi tecnici con centraline
e mappature. Non sono per la macchina con la
quale corre, ma per la propria Porsche personale
che ha truccato e con la quale va spesso da Montecarlo a Brescia, alla sede della Scuderia Italia,
dove correva l’altro finlandese Lehto, che invece
nel 93 è passato alla Sauber.
L’incidente e la nuova vita
Solo che in Svizzera sono più severi coi limiti di velocità, mentre da Montecarlo a Brescia,
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Formula 1
Periodico elettronico di informazione automobilistica
Hakkinen ormai ha un tracciato conosciuto con
dei tempi di percorrenza noti. Naturalmente da
battere con le modifiche apportate alla sua Porsche… Quando, dopo il GP di Monza, Ron Dennis
decide di appiedare Michael Andretti, Hakkinen
capisce che è arrivata la sua occasione. Da collaudatore a pilota ufficiale. E in prova se la gioca
con Ayrton Senna, uno da chi Mika ha imparato
molto stando dietro le quinte. Quando a fine 95
Hakkinen sta cercando di tirare fuori il massimo dalla McLaren, ecco l’incidente. Ron Dennis
lo cura e lo segue come un figlio, Norbert Haug,
boss della Mercedes, fa la spola dall’ospedale
ai box e poi dalla Germania all’Australia per seguire la convalescenza di Mika. Nessuno è certo
che ce la farà, il ritorno è lento, i problemi fisici
enormi, ma la forza di volontà di Hakkinen, cui si
è aggiunta Erja, diventata sua moglie, fanno il miracolo. Alla McLaren Hakkinen è di casa, segue lo
sviluppo delle monoposto, lotta e si trova a suo
agio. Quando a Jerez 97, ultima gara della stagione, Villeneuve capisce di avere il titolo in mano,
lascia strada alle due McLaren di Coulthard e
Hakkinen. Il finlandese vince con un ordine di
scuderia. D’altronde, fino a quel momento, ha
sempre ubbidito e aiutato Coulthard. Fra i due
i rapporti sono ottimi, ma quando parte il mondiale 98 la sorpresa: non sarà Coulthard il rivale
di Schumacher, bensì Mika Hakkinen, cresciuto
al punto da diventare la vera bestia nera del ferrarista. La lotta fra i due ha momenti esaltanti,
ma sempre nei limiti della correttezza. Sorpassi,
vittorie, duelli a ripetizione ne fanno il rivale per
eccellenza.
1998: Campione del Mondo
Nel 98 Hakkinen vince 8 GP, segna 9 pole position e diventa campione del mondo per la prima
volta vincendo proprio a Suzuka, ultima gara
della stagione, battendo Schumacher su una
delle piste più difficili del mondiale. E nel giro di
ritorno ai box, si scopre un aspetto inedito del
pilota finlandese: sotto al casco canta a squarciagola “O sole mio” e i meccanici lo ascoltano
via radio divertiti. L’anno seguente il copione
si ripete, ma dopo Silverstone il rivale non sarà
più Schumacher, fermo a letto con una gamba
rotta dopo l’uscita di pista al primo giro, bensì
l’altro ferrarista: Eddie Irvine. Anche con Irvine
la lotta è senza esclusione di colpi, ma sempre
corretta. Hakkinen si dimostra uno sportivo, un
pilota leale e un avversario eccellente. Nei suoi
duelli non commette mai una cattiveria. Mentre
Schumacher con Damon Hill è ricorso spesso
alle ruotate, Hakkinen non lo fa mai con nessuno.
E il tedesco lo capisce: infatti fra i due non ci sono
stati quasi mai momenti poco chiari. Solo una
volta, in Francia, Schumacher fece una manovra
un po’ al limite e Hakkinen lo prese da parte spiegandogli il suo punto di vista, senza acrimonia
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ma con la calma forza dei vincenti. Con un’altra
vittoria a Suzuka, Hakkinen vince il secondo titolo mondiale nel 99. Gli sono bastate cinque
vittorie, anche se ha ottenuto 11 pole position. E’
ormai un campione completo, l’uomo dalle due
vite, di cui la seconda migliore della prima perché
rafforzata dalla sofferenza e dalla privazione iniziale. Infatti, nei primi anni di corse in Inghilterra,
Hakkinen era un clandestino. Se la polizia avesse
controllato i documenti, lo avrebbe espulso dalla nazione. Lo racconterà divertito lo stesso pilota quando deciderà di ritirarsi dalla F.1. Ormai
con Schumacher il bottino è alla pari: due titoli
il tedesco, due per Mika. La stagione 2000 vede
il duello feroce fra i due e il sorpasso più bello,
entrato nella storia della F.1. Succede in Belgio,
durante il GP. Schumacher è in testa ma mentre
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Formula 1
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Schumacher, dopo il GP del Belgio, infila quattro
vittorie consecutive e vince il terzo titolo mondiale, che segna anche il ritorno al vertice della
Ferrari dopo 21 anni di astinenza. La lotta fra
Schumacher e Hakkinen si ripresenta anche nel
2001, ma qualcosa è cambiato nella mente del
pilota finlandese. Succede a Montecarlo, quando
in gara la McLaren di Mika subisce un improvviso
rallentamento. Hakkinen sostiene che qualcosa
non funziona nella monoposto, sente che si comporta in modo strano. La fiducia che aveva fino a
quel momento, pare essere smarrita. Al box il DS
della McLaren, Jo Ramirez, che ha lavorato coi
più grandi campioni della F.1, controlla la vettura,
analizza i dati e capisce che è cambiato qualcosa nella mente di Hakkinen, che a metà stagione annuncia il ritiro dalla F.1, anche se il bottino
finale lo vede ancora vincitore a Silverstone e a
Indianapolis. Schumacher diventa, in Ungheria,
campione del mondo per la quarta volta, Hakkinen capisce che le motivazioni non ci sono più ed
è inutile rischiare.
Lo deve a Ron Dennis, che ha creduto in lui fin dal
principio, e lo deve alla Mercedes, che lo vorrà
ancora pilota nel campionato turismo tedesco, il
noto DTM, dove Hakkinen vince ancora qualche
gara. In F.1 il campione finlandese lascia dopo
161 GP, 26 pole position, 20 vittorie, ma lascia
soprattutto come l’unico pilota capace di battere
il numero uno di sempre per successi e titoli iridati, ovvero Michael Schumacher, e la soddisfazione di aver corso insieme all’altro grande della
sua generazione, Ayrton Senna.
E con entrambi ha retto il confronto da vero
campione, nella vita e nello sport. Un vero pilota
e gentiluomo.
l’asfalto si asciuga, la McLaren di Hakkinen rimonta. Dopo la salita del Raidillon Hakkinen vede
davanti a sé la rossa Ferrari che sta per doppiare
la BAR di Ricardo Zonta. Schumacher si butta a
sinistra, tenendo la traiettoria migliore. Zonta sta
per spostarsi per agevolare il sorpasso quando
vede a pochi centimetri alla sua destra arrivare lanciatissimo Hakkinen. Zonta resta in linea,
quando Schumacher va per frenare ed entrare in
traiettoria, si ritrova Hakkinen che gli ha rubato il
punto di corda e si infila per primo in curva.
Il soprasso più bello, poi l’addio
E’ una manovra da applausi a scena aperta, da
vero campione e Schumacher renderà onore al rivale sul podio. Ma è anche la molla che
spinge il ferrarista a riscattare l’onta subita.
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Formula 1
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all’interno delle quali vengono alloggiati i radiatori. La loro forma e la loro inclinazione, inficia
drasticamente due fattori: quello aerodinamico
e, più direttamente, il raffreddamento della power unit. Nei disegni di Gabriele Pirovano, ci siamo focalizzati prevalentemente sul primo punto. Mettendo a paragone quella che è la prima,
indiscutibile forza all’interno del campionato, la
Mercedes, e la Ferrari, si notano differenze tangibili nella parte terminale della monoposto. La F1
W06 è nettamente più rastremata - “finisce prima”, per essere più espliciti - rispetto alla Rossa,
con un netto vantaggio in termini di dinamica e
di canalizzazione dei flussi al retrotreno. Ciò è
possibile per via di radiatori dalle dimensioni più
contenute per la scuderia angloteutonica, i quali
sono si un lieve fattore di rischio per quanto riguarda l’affidabilità ed il raffreddamento, ma
comportano un vantaggio sostanziale in termini
di resa aerodinamica. Per il 2016, la Scuderia di
Maranello dovrebbe migliroarsi anche sotto questo aspetto, mettendo in campo una vettura dalle forme più estreme, figlia dello sviluppo della
già valida SF15-T.
FORMULA 1
LA DIFFERENZA TRA FERRARI
E MERCEDES? NEI RADIATORI
di Marco Congiu | Un interessante punto di analisi delle differenze
tra Ferrari e Mercedes sta nelle dimensioni e nel posizionamento dei
radiatori: la loro mole, infatti, influisce nelle dimensioni delle pance e,
quindi, nell’aerodinamica
L
a Formula 1 è, forse, la disciplina agonistica dove più di ogni altro aspetto
conta il dettaglio, anche quello che
pare essere il più insignificante. Dai
flap dell’alettone anteriore sino all’inclinazione
del monkey seater posteriore, nulla è lasciato al
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caso. La meccanica della vettura, posizionata in
alloggiamenti diversi dal solito, può far guadagnare o perdere decimi di secondo, incidendo
indubbiamente sul risultato. Per offrire la minor
resistenza possibile all’aerodinamica, un aspetto da valutare sempre sono le pance laterali,
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CITE
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delle curve strette che nella prima parte di gara 2
ci è servita per dare filo da torcere alle più potenti
BMW, Seat ed Honda che hanno in tutti i modi
cercato di venire a prenderci, spesso senza riuscirci. Ma andiamo con ordine e partiamo dalla
qualifica.
Si parte quarti: bella sensazione
Siamo quarti in griglia grazie ad una qualifica
davvero eccezionale e sabato sera penso e ripenso al plotone di vetture che mi seguirà in partenza, ma soprattutto alla mandria di cavalli che
sta sotto al loro cofano: la nostra C3 Max ne ha
260, le altre come minimo 300...per non parlare
di vetture come il Cinquone di Ferraris (che mi
parte a fianco) o le varie BMW M3 che vanno dai
350 ai 400. Numeri incredibili di certo lontanissimi da quelli sprigionati dal nostro quattro cilindri
millesei turbo, comunque dotato di una buona
erogazione e soprattutto abbinato ad un cambio
racing elettroattuato che spara marce come fucilate.
C3 Max: grande bilanciamento
Fattori su cui devo puntare, alla stregua della
qualità del bilanciamento trovato da ProCar, per
dare a Max una vettura meccanicamente perfetta (gomme e freni in ordine) ma soprattutto in
testa alla seconda divisione, dove ce la giochiamo per la vittoria di classe: l’obiettivo del resto
è prenderci quello che in gara 1 ci è stato negato
da un banale contatto con la BMW di Fumagalli.
Il giro di riscaldamento della vettura, ma soprattutto quello di ricognizione, passano veloci ed ho
buone sensazioni. Quello che non mi torna però
è uno scivolamento del posteriore in entrata di
curva, che però attribuisco alle gomme fredde ed
al fatto di essere la prima corsa del mattino. La
realtà, però, è diversa.
Partenza...funambolica
Partenza lanciata, mi incollo al retro della Seat
Leon TCR di Valentina Albanese e ci lanciamo
verso la prima curva. Grazie alla scia e ad uno
scatto perfetto non ho problemi a girare ancora
CITE MISANO GARA 2
LA FORTUNA È CIECA MA LA
SFIGA CI VEDE BENE
di Emiliano Perucca Orfei | Dopo una partenza “matta” la C3 Max
portata in pista dal nostro Perucca e da Massimo Arduini stava
riuscendo nell’incredibile intento di vincere la seconda divisione.
Un sensore da 5 euro, però, ha fermato il sogno
C
he spettacolo la C3 Max. Dico davvero, un’auto spettacolare, costruita con grande cura e attenzione per
il dettaglio dalla ProCar sulla base di
una vettura da città tra le più apprezzate in Italia ed in Europa. Certo, su questa C3 Max della
vettura di serie rimane poco ma la proverbiale
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compattezza ed agilità che caratterizzano la vettura di serie si ritrovano in gran parte anche tra
le curve di una gara in salita o nella prima parte
di Misano adriatico dove il differenziale di potenza veniva letteralmente annullato dalla capacità di cambiare direzione in modo repentino ma
soprattutto sicuro. Una velocità di percorrenza
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CITE
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Metà corsa: siamo avanti
Restituisco la C3 Max in perfette condizioni a
Max in settima posizione con alcuni secondi di
vantaggio su Zanin che, comunque, deve pagare 30 secondi di gap regolamentare (è primo in
campionato) ai box: Max ha dunque strada libera, può arrivare alla vittoria girando tranquillo, magari fumandosi una sigaretta (cosa che
in gara in passato ha fatto davvero! ndr). Però
la fortuna è cieca e la sfiga ci vede benissimo e
dopo un solo giro la C3 Max viene inquadrata
dalle telecamere di Sportitalia e si ammutolisce
con lo scarico in fiamme. Max chiama via radio, ci
parla di messaggi sul cruscottino digitale Marelli,
cerchiamo di resettare l’elettronica e di ripartire,
ma non c’è verso. La vettura non riparte. Per Max
è ritiro e per noi è la fine di un sogno, quello di
salire sul podio, che avevamo toccato con mano
anche il giorno precedente. Guasto? Un banale
sensore da 5 euro.
in quarta posizione alla prima curva ma nell’affrontare l’inserimento qualcosa non torna...il
ponte posteriore si blocca e sono costretto ad
una manovra d’emergenza per non finire la corsa intraversato. Taglio la chicane, passo sulla
vernice che è più scivolosa del ghiacchio (controsterzando anche qui abbonatemente) e mi
ripresento in pista in prima posizione! Tra me
e me, stupidamente, penso “toh, la C3 Max in
prima posizione...” ma poi, passato il momento
euforico, penso a come ridare le tre posizioni rubate senza farmi “fiondare” anche da Filippo Maria Zanin, di cui vedo il muso della BMW pronto
a farsi spazio. Curva quattro e cinque, giro alla
grande e ci portiamo alla Quercia. Sono ancora
quarto e capisco che giocando sugli errori degli
altri e sul fatto che la pioggia ha scombussolato
le carte posso rimanere a lungo in questa posizione gestendo le varie rimonte dei piloti di prima
divisione con una certa tranquillità.
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Non finisce in pista...
Peccato. Stavamo andando forte, avevamo tutto quello che serviva per puntare alla vittoria,
ma evidentemente qualcosa non è andato come
doveva: se poi pensiamo che il proprietario della ProCar ha bucato sulla via di casa ed io sono
rimasto a piedi con la mia auto in autostrada si
capisce perfettamente perché questo weekend
non poteva che andare così. Ce l’abbiamo messa tutta. Non abbiamo ottenuto molto se non la
consapevolezza che la C3 Max è davvero una
piccola grande vettura. Me l’aveva dimostrato
già a Gubbio, nella gara in salita in cui siamo arrivati secondi di classe, me l’ha dimostrato anche
a Misano: speriamo ci sia modo di incontrarsi
nuovamente anche nel 2016.
Cambia la ripartizione dei freni!
C’è però un problema. Al secondo giro sono vittima di un incredibile traverso in curva quattro,
che riesco miracolosamente a riprendere senza
perdere tempo ma capisco che c’è qualcosa che
non torna perché ormai anche le gomme dietro
dovrebbero essere calde.
Gianpaolo (Procar) mi chiama alla radio e mi
dice: “Senti ti abbiamo visto in TV. Hai fatto un
traverso incredibile. O stai facendo lo scemo o
hai la ripartizione della frenata spostata al retrotreno. Manda avanti il manettino!” Mando avanti
il manettino e la guida assume in effetti un’altra
dimensione. Non mi ero accorto, salendo in macchina, di averlo accidentalmente spostato al retrotreno ed ora tutto cambia. Le staccate sono
molto più facili e riesco ad affondare di più arrivando a staccare più avanti. Il passo da 49/50
si abbassa di un secondo e riesco a gestire i sorpassi ma soprattutto l’affondo di Zanin senza
grossi problemi.
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WTCC CINA
VINCONO LÓPEZ E MULLER. CITROEN
CAMPIONE DEL MONDO COSTRUTTORI
di Diletta Colombo | Citroen si è laureata campione del mondo
costruttori a Shanghai. A vincere in gara 1 è stato José Maria López,
su Citroen C-Elysée
I
l WTCC è sbarcato a Shanghai, in Cina, per
il terzultimo appuntamento del mondiale.
In Cina, Citroen si è laureata campione del
mondo costruttori grazie alla vittoria di
José Maria López in gara 1 e al secondo e terzo
posto di altri due alfieri della casa francese, Yvan
Muller e Sébastien Loeb. In gara 2, ad avere la
meglio è stato di nuovo un alfiere della Citroen,
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WTCC
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Gara 1
Citroensi aggiudica il titolo Costruttori per il secondo anno consecutivo a Shanghai grazie alla
presenza di tre piloti Citroen sul podio in gara
1. A vincere è stato José Maria Lopez: il campione WTCC in carica è stato autore di un’ottima partenza, è riuscito ad inanellare giri record
alla fine del regime di Safety Car, riuscendo a
guadagnare un buon vantaggio nei confronti di
Yvan Muller, che lo seguiva. A completare il podio proprio Muller e Sébastien Loeb. La Safety
Car è stata causata da una partenza a dir poco
caotica: Ma Qing Hua e Valente sono rimasti
fermi sullo schieramento, mentre John Filippi,
incalzato da Rob Huff, è stato toccato da Tom
Coronel. Le due Chevrolet Cruze dei duellanti
sono finite in testacoda, e dietro è stato subito
caos: Tom Chilton ha tamponato Nicolas Lapierre, e Rob Huff e Gabriele Tarquini sono entrati in
contatto. L’ecatombe del primo giro ha mietuto
diverse vittime: ritirati Coronel, Filippi, Huff, Chilton e Tarquini. Per Ma, invece, i problemi occorsi
in partenza sono proseguiti durante la gara e lo
hanno costretto a terminare la gara anzitempo.
Buon quarto posto per Catsburg
Nicky Catsburg ha concluso la gara al quarto posto al volante della sua LADA Vesta; l’olandese
ha preceduto Mehdi Bennani, primo del trofeo
Yokohama grazie al quinto posto ottenuto al volante della Citroen C-Elysée preparata dal team
Sébastien Loeb Racing. Sesto posto per un altro
pilota in lizza per il Trofeo Yokohama, Norbert
Michelisz, sulla Honda Civic preparata dalla scuderia Zengo Motorsport. Segue il vincitore della
24 Ore di Le Mans 2015 nella classe LMP2, Nicolas Lapierre, su LADA Vesta. Chiudono la top
ten la Honda Civic del pilota portoghese Tiago
Monteiro; il pilota della Campos Racing, Hugo
Valente, su Chevrolet Cruze; e l’alfiere della ALLINKL.COM Münnich Motorsport, Stefano D’Aste,
anch’egli su Chevrolet Cruze.
Gara 2
Yvan Muller ha vinto gara 2 a Shanghai, su Citroen C-Elysée: il pilota francese ha avuto la meglio
su Gabriele Tarquini. Il pilota italiano è stato autore di un’ottima partenza; Tarquini ha cercato
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WTCC
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Loeb è matematicamente escluso dalla lotta per
il mondiale piloti. Quinta posizione per l’alfiere
della LADA Sport Rosneft, Rob Huff, autore di
una buona gara al volante della sua LADA Vesta.
Il campione del mondo WTCC 2012 ha preceduto
Tiago Monteiro, sesto sulla sua Honda Civic. Segue Mehdi Bennani, primo del Trofeo Yokohama
sulla Citroen C-Elysée preparata dal team Sébastien Loeb Racing.
Delude l’idolo di casa Ma
Chiudono la top ten Ma Qing Hua, autore di una
prestazione deludente al volante della sua Citroen C-Elysée; Nicolas Lapierre, su LADA Vesta;
e l’alfiere della Campos Racing, John Filippi, su
Chevrolet Cruze. Undicesima posizione per Norbert Michelisz, al volante della sua Honda Civic;
il pilota ungherese ha preceduto l’alfiere della
Craft-Bamboo Racing, Grégoire Demoustier, su
Chevrolet Cruze. Ritiro per il nostro Stefano D’Aste, sulla Cruze del team ALL-INKL.COM Münnich Motorsport , e per Nicky Catsburg, su LADA
Vesta.
subito di sopravanzare Valente, ma il francese
non si è arreso, e i due sono giunti al contatto.
Nel tentativo di resistere agli attacchi altrui, Valente è andato in testacoda, ritrovandosi in fondo
allo schieramento e finendo per ritirarsi. Muller
ha cominciato a guadagnare terreno su Gabriele
Tarquini, ed è riuscito a sopravanzarlo, guadagnando la testa della corsa e mantenendola fino
alla fine di gara 2. Questo successo farà bene al
morale di Muller, ma non lo aiuta granché in ottica mondiale; il titolo piloti si avvicina sempre di
più per Lopez, nonostante la quinta vittoria stagionale di Muller. Sono 75 punti di vantaggio di
Lopez su Muller in classifica. Tarquini è riuscito
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a cogliere un meritatissimo secondo posto resistendo strenuamente, nel finale di gara, agli attacchi di uno scatenato José Maria Lopez. I due
sono stati protagonisti di un arrivo al fotofinish,
che ha visto prevalere il nostro Tarquini.
Loeb fuori dalla lotta
per il titolo Piloti
Ai piedi del podio troviamo un altro alfiere di casa
Citroen, Sébastien Loeb. L’alsaziano ha cercato
- senza successo - di approfittare della lotta tra
Lopez e Tarquini per guadagnare posizioni. Questa intraprendenza non ha dato i frutti sperati, e
Loeb ha tagliato il traguardo in quarta posizione.
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Reg. trib. Mi Num. 680 del 26/11/2003
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