FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Corso di Laurea in Tecniche della Prevenzione
nell’ambiente e nei luoghi di lavoro
Percorso Straordinario
Medicina del Lavoro
Prof. Giovanni Battista Bartolucci
Il principio informativo della sua
opera è “prevenire è meglio che
curare”.
Il suo metodo operativo è tuttora
valido: descrive dettagliatamente le
diverse fasi dei cicli lavorativi,
individuando le situazioni a rischio e
le misure preventive da adottare.
I principi dell’insegnamento di
Ramazzini sono stati recuperati
prima con la Legge 833/1978, tutta
improntata sui principi della
prevenzione, e poi con i D.Lgs
277/1991 e 626/1994,
che
prevedono
il
metodo
della
valutazione del rischio.
Il cambiamento sostanziale avvenuto
con il D.Lgs 626/94 è rappresentato
dal passaggio dalla prevenzione
passiva (imposta dagli organi di
vigilanza) alla prevenzione attiva
(programmata dallo stesso datore di
lavoro).
Fondamentale passaggio per la tutela
della salute dei lavoratori
dalla presunzione del rischio
(D.P.R. 303/56)
alla valutazione del rischio
(D.Lgs 277/91, 626/94, 25/02)
LEGISLAZIONE NEL CAMPO DELLA
IGIENE AMBIENTALE E DEL LAVORO
E’ una sequenza di leggi che in realtà
rispecchia l’evoluzione nel tempo della
disciplina, l’affermarsi di un modello
sempre più preventivo, partecipativo e
polidisciplinare affinato nel tempo e poi
recepito in norme di legge, l’attenzione
crescente di istituzioni statali e organismi
sovranazionali alla tutela della salute dei
lavoratori.
NORME GENERALI
• Art. 32 Costituzione “La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
comunità”
• Art. 2087 c.c. “L’imprenditore è tenuto ad adottare
nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la
particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono
necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità
morale dei prestatori di lavoro”
• Art. 437 c.p. “Chiunque omette di collocare impianti,
apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o
infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia…”
• Art. 590 c.p. “Chiunque cagiona ad altri per colpa una
lesione personale…”
NORME SPECIFICHE
• DPR 547/1955 “Norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro”
• DPR 164/1956 “Norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni”
• DPR 320/1956 “Norme per la prevenzione
degli infortuni e l’igiene del lavoro in
sotterraneo”
• DPR 303/1956 “Norme generali per l’igiene
del lavoro”
CONTROLLO DEL RISPETTO DELLE
NORME IN AMBIENTE DI LAVORO
• Dagli anni ’50 delegata ad organismi
statali,con strutture a livello provinciale,
come ENPI e Ispettorato del Lavoro
• Dopo la Legge di Riforma Sanitaria
(833/78) delegata ai Servizi di
Prevenzione, Igiene e Sicurezza
nell’Ambiente di Lavoro
NOVITA’ INTRODOTTE
• Principi introdotti con la Riforma Sanitaria:
- educazione sanitaria
- prevenzione delle malattie e infortuni in
ambito di vita e di lavoro (concetti di
prevenzione primaria, secondaria e terziaria)
• Innovazioni nei Servizi di Vigilanza:
- competenze e interventi pluridisciplinari
- controllo nuovi insediamenti produttivi
- attività di vigilanza programmata (poteri di
accesso, diffida e disposizione)
REFERENDUM 18/4/1992
• Separazione delle competenze
Sanitarie da quelle Ambientali, con
creazione di:
- Dipartimenti di Prevenzione a livello
di Unità Sanitarie Locali
- Agenzie Regionali per la Prevenzione
e la Protezione Ambientale
NORMATIVE COMUNITARIE
• D.Lgs 277/91: recepimento Direttive CEE 80/1107
(“quadro”), 82/605 (piombo), 83/477 (amianto), 86/188
(rumore)
• D.Lgs 626/94: recepimento Direttive CEE 89/391
(“quadro”), 89/654 (luoghi di lavoro), 89/655
(attrezzature di lavoro), 89/656 (dispositivi di protezione
individuale), 90/269 (movimentazione manuale dei
carichi), 90/270 (videoterminali), 90/394 (agenti
cancerogeni), 90/697 (agenti biologici)
• D.Lgs 25/02: recepimento Direttiva CEE 98/24 sul
“rischio chimico”
• D.Lgs 187/05: recepimento Direttiva CEE 02/44 sulle
”vibrazioni”
• D.Lgs 195/06: recepimento Direttiva CEE 03/10 sul
”rumore”
NOVITA’ INTRODOTTE CON LE NORMATIVE
• D.Lgs 277/91: definizione figura medico competente,
informazione ai lavoratori, criteri di misura, valori
limite;
• D.Lgs 626/94: istituzione in azienda di un sistema
organico di gestione delle attività di prevenzione e loro
programmazione (servizio di prevenzione e protezione,
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza,
valutazione del rischio, gerarchia delle misure di
prevenzione)
• D.Lgs 25/02: rischio chimico moderato
• D.Lgs 187/05: banche dati per valutazione esposizione
a vibrazioni
• D.Lgs 195/06: valore limite a dispositivi indossati
“TESTO UNICO”
D. Lgs 81/08
NORME PER L’ABOLIZIONE
DI SOSTANZE PERICOLOSE
• Legge 245/1963: limitazione
dell’uso di benzene e omologhi
(benzene < 2% in collanti e
solventi)
• Legge 257/1992: norme relative
alla cessazione dell’impiego
dell’amianto
NORME AMBIENTALI
• Decreto Ministeriale 25/11/1994:
“Aggiornamento delle norme tecniche in
materia di limiti di concentrazione e di
livelli di attenzione e di allarme per gli
inquinanti atmosferici nelle aree urbane e
disposizioni per la misura di alcuni
inquinanti di cui al decreto ministeriale 15
aprile 1994”
• DPCM 14/11/1997: “rumore ambientale”
VALUTAZIONE DEI RISCHI
• Uno degli elementi di più grande
rilevanza del D.Lgs 626/94 in quanto
rappresenta “l’asse portante della
nuova filosofia in materia di tutela
della salute dei lavoratori” e “perno
intorno al quale deve ruotare
l’organizzazione aziendale della
prevenzione”
DOCUMENTO DEL COORDINAMENTO DI REGIONI
E PROVINCE AUTONOME 1996
Percentuale di lavoratori esposti a vari agenti di rischio
nell’Unione Europea. Studio pilota su “Lo stato della sicurezza e
della salute sul lavoro” (Bilbao, 2001)
AGENTE DI RISCHIO
Movimenti ripetitivi
Posture incongrue
Lavoro monotono
Movimentazione manuale di carichi
Rumore
Vibrazioni
Temperature
Ritmi imposti
Agenti chimici
Soprusi
Violenza fisica
Molestie sessuali
% lavoratori
esposti
57%
45%
45%
34%
28%
24%
20-23%
22%
14%
8%
4%
2%
MODELLO GENERALE
(National Academy of Science, USA, 1983)
VALUTAZIONE DEL RISCHIO
Identificazione dei
fattori di rischio
Valutazione delle
conseguenze economiche,
sociali, politiche e sulla
salute pubblica
(L’agente causa un danno
alla salute?)
Definizione della dose –
risposta
(Qual è la relazione tra
quantità dell’agente e
risposta biologica?)
Valutazione della
esposizione
(Quali esposizioni sono
dimostrate o prevedibili?)
GESTIONE DEL RISCHIO
Caratterizzazione
del rischio
(Qual è la probabilità
e la gravità del
danno
per la
salute?)
Sviluppo di opzioni
Norme-Limiti
FATTORE DI RISCHIO
(pericolo=hazard)
Capacità di un agente chimico,
fisico, biologico, organizzativo di
produrre effetti sulla salute o per
la sicurezza dei lavoratori esposti.
Relazioni dose – risposta:
il problema della soglia
Risposta, %
100
80
Prevalenza
spontanea
60
Effetto 1
(Cancro)
40
Effetto 2
20
0
Effetto 3
Dose, U.A.
ESPOSIZIONE
Condizione legata all’ambiente ed al
tipo di lavoro nella quale si realizza
un’interazione tra fattore di rischio e
lavoratore; è caratterizzata da durata
ed entità (loro prodotto = dose) e
può essere valutata in modo
qualitativo o quantitativo.
CARATTERIZZAZIONE DEL RISCHIO
- Integra le informazioni derivanti da
identificazione dei fattori di rischio,
relazione dose-risposta e misura
dell’esposizione
- Fornisce un giudizio complessivo sulla
qualità della valutazione del rischio
- Descrive il rischio in termini di severità
e probabilità del danno
DEFINIZIONE DI RISCHIO
• Probabilità che si produca una alterazione
dello stato di salute in seguito
all’esposizione ad una determinata sostanza
chimica (o ad una determinata entità fisica)
• Non dipende solo dalla natura e dall’entità
della sostanza, ma anche da:
-Modalità di esposizione
-Possibilità di assorbimento – azione
-Condizioni di reattività degli esposti
Determinanti del rischio
Tossicità
della sostanza
Rischio come
 Probabilità
 Possibilità
(IUPAC, WHO)
Rischio
Livelli di
esposizione
N. esposti,
suscettibilità,
fattori
concomitanti
Da: IUPAC, International Union of Pure
& Applied Chemistry: Glossary for
Chemists of Terms used in Toxicology,
Pure & Applied Chemistry 1993,
65: 2003-2122)
MODELLO GENERALE
(National Academy of Science, USA, 1983)
VALUTAZIONE DEL RISCHIO
Identificazione dei
fattori di rischio
Valutazione delle
conseguenze economiche,
sociali, politiche e sulla
salute pubblica
(L’agente causa un danno
alla salute?)
Definizione della dose –
risposta
(Qual è la relazione tra
quantità dell’agente e
risposta biologica?)
Valutazione della
esposizione
(Quali esposizioni sono
dimostrate o prevedibili?)
GESTIONE DEL RISCHIO
Caratterizzazione
del rischio
(Qual è la probabilità
e la gravità del
danno
per la
salute?)
Sviluppo di opzioni
Norme-Limiti
STIMA DELL’ECCESSO DI RISCHIO DI
PERDITA UDITIVA PER ESPOSIZIONE A
RUMORE PER 40 ANNI DI VITA LAVORATIVA
Ente
ISO
EPA
NIOSH
Esposizione a rumore in dB(A)
90
85
80
90
85
80
90
85
80
Eccesso di rischio (%)
21
10
0
22
12
5
29
15
3
ESPOSTI (IN MILIONI) A RUMORE
INDUSTRIALE NELLA CEE E IN ITALIA
dB(A)
CEE (1982)
ITALIA (1984)
> 80
20-30
5.4
> 85
10-15
3.2
> 90
6-8
1.2
COSTI (IN MILIARDI DI LIRE) PER RIDURRE
LA RUMOROSITA’ NELL’INDUSTRIA
dB(A)
CEE (1982)
ITALIA (1984)
90
40.000
17.000
85
72.000
26.000
VALUTAZIONE DEL RISCHIO
• Necessario momento conoscitivo per orientare e graduare
gli interventi preventivi(eliminazione/riduzione e/o
controllo dei rischi), per la programmazione della attività
di informazione e formazione sui rischi, per la corretta
effettuazione della sorveglianza sanitaria dei lavoratori;
• attività multistadio-polidisciplinare svolta in stretta
collaborazione tra Responsabile del Servizio di
Prevenzione e Protezione e medico competente, con il
coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori per la
sicurezza, con la responsabilizzazione dei dirigenti delle
strutture.
VALUTAZIONE
DEL
RISCHIO
L’obiettivo è quello di quantificare la
probabilità che si realizzino effetti
(danni)
sulla
salute;
tuttavia
il
maggior
valore
dell’effettuazione della valutazione del
rischio sta nel procedimento in sé, che
permette di analizzare tutti gli aspetti
della situazione e di definire le priorità
di attuazione delle misure di
prevenzione.
Algoritmi e Misure di
Prevenzione
• R = PxD
• 4 = 4x1
• 4 = 1x4
VALUTAZIONE DEL RISCHIO
Il prodotto dei tre contatori derivanti dalla valutazione dei
rispettivi fattori di rischio porta un sintetico “INDICATORE
DI RISCHIO”:
Classi di rischio
Azioni correttive
1-10
TRASCURABILE Non necessarie
11-25
BASSO
Opportune a medio termine
26-50
MEDIO
51-75
ALTO
Opportune a breve termine/necessarie a
medio termine
Necessarie a medio termine
76-100 MOLTO ALTO
Urgenti
ALGORITMI
Il loro uso è proposto per ovviare alle difficoltà connesse con
l’effettuazione di costose e complesse indagini di igiene
industriale (secondo quanto previsto dalla UNI EN 689/97),
ritenute troppo gravose per le piccole e medie imprese. Sono
intesi come percorso di “facilitazione” atto a consentire la
classificazione del rischio ad di sotto o al di sopra di quello
moderato.
Possono essere utili nelle fasi preliminari di valutazione, ma deve
essere sottolineata la scarsa scientificità del loro uso in assenza di
qualsiasi verifica con dati di monitoraggio ambientale e/o
biologico. Estrema pericolosità del loro uso da parte di soggetti
non sufficientemente esperti.
VALUTAZIONE DEL RISCHIO
RISCHIO
RISCHO PER LA
SICUREZZA:
di natura
prevalentemente
infortunistica e
correlati a strutture,
macchinari, impianti,
sostanze pericolose;
RISCHI PER LA
SALUTE:
RISCHI DI TIPO
TRASVERSALE:
di natura
prevalentemente
igienico – ambientale da
ricondurre
all’esposizione ad agenti
chimici, fisici e
biologici;
connessi a fattori
ergonomici e
all’organizzazion
e del lavoro.
VALUTAZIONE DEL RISCHIO
FASE PRELIMINARE
Le informazioni da reperire e le fonti da consultare
 dati
del registro degli infortuni e risultati della sorveglianza sanitaria e del
monitoraggio biologico;
 risultati di pregresse indagini di igiene industriale;
 verbali delle ispezioni degli organi di vigilanza;
 descrizione del ciclo tecnologico e schema dei reparti;
 schede di sicurezza delle materie prime utilizzate;
 informazioni sui prodotti intermedi e sui prodotti finiti;
 schede tecniche
funzionamento;
e manuali operativi di macchine e impianti e tempi di
 procedure di lavoro e programmi di manutenzione;
 individuazione degli esposti per gruppi omogenei;
 disponibilità di sistemi di prevenzione ambientale e dei DPI.
VALUTAZIONE DEL RISCHIO
Alla fase preliminare deve seguire un
SOPRALLUOGO nei reparti produttivi per un
riscontro diretto ed una verifica delle
informazioni acquisite.
La verifica può riguardare sia l’effettiva presenza di
un agente di rischio, sia l’evidenziazione di agenti di
rischio non immediatamente ipotizzabili, sia le ipotesi
di generazione, emissione, propagazione e contatto.
IDENTIFICAZIONE DEI
FATTORI DI RISCHIO
-Etichettatura
-Contenuti scheda di sicurezza
Simboli associati ai rischi per
la sicurezza (chimico-fisici)
Esplosivi
Sostanze e preparati solidi,
liquidi pastosi o gelatinosi che,
anche
senza
l’azione
dell’ossigeno
atmosferico,
possono provocare una reazione
esotermica
con
rapida
formazione di gas e che, in
determinate condizioni di prova
deflagrano
rapidamente
o
esplodono
in
seguito
a
riscaldamento in condizioni di
particolare contenimento.
Comburenti
Sostanze e preparati
che, a contatto con altre
sostanze,
soprattutto
infiammabili, provocano
una
forte
reazione
esotermica.
Facilmente Infiammabili (F)
Sostanze o preparati che, a contatto con
l’aria, a temperatura ambiente e senza
apporto di energia, possono riscaldarsi e
infiammarsi;
Sostanze solide che possono facilmente
infiammarsi a causa di un breve contatto
con una sorgente di accensione;
Sostanze o preparati liquidi il cui punto di
infiammabilità e’ molto basso;
Sostanze che a contatto con l’acqua o l’aria
umida, sprigionano gas estremamente
infiammabili in quantità pericolose.
Estremamente Infiammabili (F+)
Sostanze e preparati liquidi con
un punto di infiammabilità
estremamente basso ed un punto
di ebollizione basso
Sostanze e preparati gassosi che
a temperatura e a pressione
ambiente
si
infiammano
a
contatto con l’aria.
Simboli associati ai rischi
per la salute
Tossici ( T )
Sostanze e preparati che
in caso di inalazione,
ingestione, o penetrazione
cutanea, in piccole quantità
possono essere mortali
oppure produrre lesioni
acute o croniche.
Molto Tossici (T+)
Sostanze e preparati che in
caso
di
inalazione,
ingestione, o penetrazione
cutanea, in piccolissima
quantità possono essere
mortali oppure produrre
lesioni acute o croniche.
Corrosivi (C)
Sostanze
o
preparati
che
a
contatto con tessuti
vivi
possono
esercitare su di essi
una
azione
distruttiva.
Irritanti (Xi)
Sostanze o preparati
non corrosivi il cui
contatto
diretto,
prolungato e ripetuto
con la pelle o con le
mucose,
può
provocare
una
reazione
infiammatoria.
Nocivi (Xn)
Sostanze o preparati che
in caso di inalazione,
ingestione, o penetrazione
cutanea possono essere
letali oppure provocare
lesioni acute o croniche.
Simbolo associato ai rischi
per l’ambiente
Pericolosi per l’ambiente (N)
Sostanze e preparati che,
qualora
si
diffondano
nell’ambiente, presentano o
possono presentare rischi
immediati o differiti per
una o più delle componenti
ambientali.
FRASI DI RISCHIO
R40 Possibilità di effetti irreversibili
R41 Rischi di gravi lesioni oculari (gravi lesioni entro 72h - persistenza
24h)
R42 Può provocare sensibilizzazione per inalazione
R43 Può provocare sensibilizzazione per contatto con la pelle
R44 Rischio di esplosione per riscaldamento in ambiente confinato
R45 Può provocare il cancro
R46 Può provocare alterazioni genetiche ereditarie
R48 Pericolo di gravi danni per la salute in caso di esposizione
prolungata. Nocivo per ingestione, inalazione o per contatto con la
pelle.
R49 Può provocare il cancro per inalazione
R50 Altamente tossico per gli organismi acquatici
R51 Tossico per gli organismi acquatici
R52 Nocivo per gli organismi acquatici
CONSIGLI DI PRUDENZA
S40 Per pulire il pavimento e gli oggetti contaminati da questo
prodotto usare ... (da precisare da parte del produttore)
S41 In caso di incendio e/o esplosione non respirare i fumi
S42 Durante le fumigazioni/polimerizzazioni usare un
apparecchio respiratorio adatto (termine/i appropriato/i da
precisare da parte del produttore)
S43 In caso di incendio usare ... (mezzi estinguenti idonei da
indicarsi da parte del fabbricante. Se l’acqua aumenta il rischio
precisare "Non usare acqua")
S45 In caso di incidente o di malessere consultare
immediatamente il medico (se possibile, mostrargli l’etichetta)
S46 In caso d’ingestione consultare immediatamente il medico e
mostragli il contenitore o l’etichetta
S47 Conservare a temperatura non superiore a ...ºC (da
precisare da parte del fabbricante)
S48 Mantenere umido con ... (mezzo appropriato da precisare
da parte del fabbricante)
S49 Conservare soltanto nel recipiente originale
SCHEDE DI SICUREZZA
Le confezioni dei prodotti industriali devono essere
accompagnate da una Scheda di Sicurezza nella quale
sono contenute informazioni più approfondite rispetto
all’etichetta.
Le Schede di Sicurezza sono composte da 16 voci
standardizzate, redatte nella lingua del paese d’impiego.
SCHEDA DI SICUREZZA
• Identificazione preparato/produttore
• Composizione/informazioni sui componenti
• Identificazione dei pericoli
• Misure primo soccorso
• Misure antincendio
• Misure per fuoriuscita accidentale
• Manipolazione e stoccaggio
• Controllo esposizione/protezione individuale
• Proprietà fisiche/chimiche
• Stabilità e reattività
• Informazioni tossicologiche
• Informazioni ecologiche
• Considerazioni sullo smaltimento
• Informazioni sul trasporto
• Informazioni sulla regolamentazione
• Altre informazioni
L’etichetta e la scheda di sicurezza sono uno strumento
di informazione di grande importanza in quanto:
• identificano il prodotto e ne definiscono la classe di rischio e le
misure di sicurezza
• indicano gli idonei sistemi di impiego, di stoccaggio e di
intervento in caso di emergenza
• aiutano nella scelta di impiego tra sostanze
• evitano errori di manipolazione e/o miscelazione per
“incompatibilità” tra sostanze
VALUTAZIONE DEL RISCHIO
MISURE DI MONITORAGGIO AMBIENTALE E
BIOLOGICO per la quantificazione dell’esposizione
Prevede il ricorso a
misure di igiene
industriale per la
valutazione
dell’esposizione. Un
approccio di tale
tipo:
è necessario nei casi
esplicitamente previsti
dalle norme (D.Lgs.
277/91; D.Lgs 626/94;
D.Lgs. 25/02)
è opportuno nei casi dubbi o
controversi o per esposizione a
sostanze di elevata tossicità
intrinseca o in grado di
provocare danni alla salute
anche se presenti a basse dosi
VALUTAZIONE DELL’ESPOSIZIONE
- individuazione di idonei sistemi o strumenti di rilevazione
dei fattori di rischio;
- uso di metodiche analitiche o di misura affidabili e
specifiche;
- identificazione di valori guida (valori limite, di azione,
di riferimento) per la valutazione critica dei dati;
- definizione di idonee strategie di misura in relazione agli
obiettivi (valutazione dell’inquinamento ambientale o
dell’esposizione individuale, mappatura spaziale o
evoluzione temporale dell’inquinamento, programmazione
di misure di prevenzione collettive o individuali).
COME CONTROLLARE PARTI DI VALUTAZIONE
DEL RISCHIO FATTA DA ALTRI
• Contenuti del documento di valutazione dei
rischi per la sicurezza e la salute;
• Criteri adottati per la valutazione;
• Individuazione delle misure di prevenzione
e protezione attuate e delle attrezzature di
protezione utilizzate;
• Programma di attuazione di dette misure.
COME VALUTARE I CONTENUTI DEL
DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO
• Completezza: tutti gli agenti di rischio sono stati
analizzati, tutti i posti di lavoro e tutti i
lavoratori sono stati considerati;
• Disponibilità di informazioni: su ambienti, cicli
lavorativi, materiali utilizzati;
• Dati documentali: di tipo tecnologico (materiali,
macchinari), sul personale (numero, età, sesso,
turni), di tipo igienistico (precedenti indagini),
di tipo sanitario (malattie professionali e
infortuni, risultati del monitoraggio biologico).
COME VALUTARE I CRITERI
• Numero e qualificazione dei soggetti coinvolti;
• parte svolta e tempo dedicato da ogni valutatore;
• metodi di raccolta e di elaborazione delle informazioni;
• integrazione delle figure e delle varie fasi del processo
di valutazione del rischio;
• affidabilità tecnica dei dati sperimentali raccolti
(strategie d’indagine, metodi certificati, riferimento a
valori guida, procedure di “quality assurance”);
• coinvolgimento dei lavoratori ed in particolare dei
rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza
COME VALUTARE LE MISURE DI
PREVENZIONE E PROTEZIONE
• Completezza delle misure adottate e/o da adottare;
• loro organizzazione secondo una gerarchia
preventiva (eliminare, ridurre, controllare; priorità
delle misure preventive tecniche rispetto a quelle
di protezione collettiva ed a quelle individuali);
• indicazione delle procedure di lavoro in sicurezza;
• informazione e formazione sui rischi;
• sorveglianza sanitaria e monitoraggio biologico
COME VALUTARE IL PROGRAMMA DI
ATTUAZIONE DELLE MISURE PREVENTIVE
• Rispetto dei principi gerarchici della prevenzione e
delle priorità di intervento in relazione alla gravità e
diffusione dei rischi ed alla loro prevenibilità;
• fattibilità tecnica e/o organizzativa;
• organizzazione e risorse dell’azienda (costi/benefici);
• definizione dei tempi di attuazione degli interventi di
prevenzione e protezione;
• partecipazione al processo dei lavoratori e dei
rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
Il medico del lavoro ha un ruolo di grande
rilievo nella identificazione degli agenti di
rischio:
- in passato attraverso l’osservazione di
patologie su singoli e su gruppi di lavoratori;
- in futuro attraverso l’osservazione degli
“eventi sentinella” e/o la “sorveglianza
epidemiologica”.
IDENTIFICAZIONE STORICA DEI
FATTORI DI RISCHIO
Tumore scroto
pulizia camini
IPA
Tumore vescica
produzione coloranti
AA
Leucemia
uso colle, solventi
benzene
Tumore polmone
uso di fibre
asbesti
e pleura
Angiosarcoma
produzione plastica
CVM
UTILIZZO DELLA SORVEGLIANZA SANITARIA
PER LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO
- registrazione delle valutazioni soggettive dei lavoratori;
- elaborazione epidemiologica dei dati della sorveglianza
sanitaria (e di quelli del monitoraggio biologico);
- integrazione/confronto tra le misure ambientali e
biologiche di esposizione, e gli indicatori di effetto/danno
derivanti dalla sorveglianza sanitaria.
Rapporto biunivoco tra valutazione del rischio e
sorveglianza sanitaria: quest’ultima trae la sua esatta
definizione dalla valutazione del rischio, ma l’elaborazione
dei dati da essa derivanti può indurre a rivedere la stessa
valutazione del rischio.
VALUTAZIONE DEL RISCHIO
IDENTIFICAZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO
RELAZIONE DOSE-RISPOSTA
MISURA DELL’ESPOSIZIONE
CARATTERIZZAZIONE DEL RISCHIO
SORVEGLIANZA SANITARIA
Visite mediche e
accertamenti strumentali
Monitoraggio
Biologico
W.F. Tordoir et al., Toxicology 1994; 91:5-14
I principi su cui dovrebbe basarsi la sorveglianza
sanitaria sono finalizzati al raggiungimento degli scopi
principali di tale attività di prevenzione, ovvero alla
identificazione dei più precoci effetti sulla salute dei
lavoratori che potrebbero comparire nonostante gli
adeguati controlli ambientali. Inoltre, grazie ad
adeguati programmi di sorveglianza sanitaria sarà
anche possibile valutare l’efficacia delle misure
preventive precedentemente attuate.
(ILO, 1997)
Obiettivi della sorveglianza sanitaria
Raccolta sistematica, analisi, interpretazione e divulgazione dei dati
riguardanti lo stato di salute dei lavoratori con lo scopo di proporre interventi
di prevenzione. La sorveglianza è essenziale per la progettazione, l’attuazione
e la valutazione dei programmi finalizzati alla tutela della salute
occupazionale, alla prevenzione delle malattie professionali, delle malattie
correlate al lavoro e degli infortuni e alla promozione della salute dei
lavoratori. La sorveglianza della salute occupazionale comprende la
sorveglianza della salute dei lavoratori e la sorveglianza dell’ambiente di
lavoro (ILO, 1997).
E’ obiettivo della sorveglianza sanitaria la protezione della salute e
prevenzione della malattia lavorativa in una accezione ampia che comprenda
la prevenzione del danno, ma anche la prevenzione del malessere e, ove
attuata con strumenti adeguati, possa fornire una previsione del benessere
(Franco G., Alessio L., Saia B., 1999)
Evoluzione del ruolo del medico competente
- R.D. 24/4/1927: visita di un medico competente prima
dell’ammissione al lavoro per constatare se abbiano i requisiti
speciali di resistenza all’azione degli agenti nocivi;
- DPR 303/1956-art.33: visita di un medico competente prima
dell’ammissione al lavoro per constatare se abbiano i requisiti
di idoneità al lavoro al quale sono destinati;
- D.Lgs 626/94-art. 16: visita di un medico competente per
eseguire accertamenti preventivi intesi a constatare l’assenza
di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai
fini della valutazione della loro idoneità alla mansione
specifica.
Qualifica professionale del medico competente
- DPR 303/56: qualsiasi laureato in medicina e chirurgia;
- D.Lgs 277/91: specialista o libero docente in Medicina del
Lavoro o discipline equipollenti + autorizzati ex art. 55;
- D.Lgs 626/94 come modificato da art.1-bis Legge 8/1/02:
oltre agli specialisti o libero docenti in Medicina del Lavoro o
discipline equipollenti anche gli specialisti in Igiene e Medicina
Preventiva e quelli in Medicina Legale e delle Assicurazioni
- D.Lgs 81/08: gli specialisti in Igiene e Medicina Preventiva e
in Medicina Legale e delle Assicurazioni
devono fare dei percorsi suppletivi universitari di formazione
da definire
ANAMNESI LAVORATIVA
• Elenco in ordine cronologico di tutte le
attività lavorative svolte
• Descrizione del posto di lavoro e della
mansione svolta
• Elencazione delle sostanze e delle misure
protettive impiegate
• Descrizione delle condizioni dell’ambiente
di lavoro
ANAMNESI AMBIENTALE
• Presenza di fabbriche in vicinanza
dell’abitazione o condizioni di
inquinamento ambientale
• Lavoro del coniuge
• Sostanze impiegate per le pulizie negli
ambienti dove il soggetto vive
• Eventuale uso di stoviglie particolari
• Hobbies praticati
• Abitudini voluttuarie (fumo, alcool)
Compiti del medico competente
(art. 17 626/94, ribaditi dal D.Lgs 81/08)
a) collabora alla predisposizione dell’attuazione delle misure di tutela…
b) effettua gli accertamenti sanitari...
c) esprime i giudizi di idoneità...
d) istituisce e aggiorna una cartella sanitaria e di rischio...
e) fornisce informazioni ai lavoratori e a R.L.S.
f) informa ogni lavoratore sui risultati e rilascia copia…
g) comunica in occasione della riunione periodica…
h) visita gli ambienti di lavoro…
i) effettua visite mediche a richiesta…
l) collabora alla predisposizione del servizio di pronto soccorso…
m) collabora all’attività di formazione e informazione
La Sorveglianza Sanitaria secondo il D.Lgs 25/02, ribadita
dal D.Lgs 81/08 (“valutazione dello stato di salute del
singolo lavoratore in funzione dell'esposizione ad agenti
chimici sul luogo di lavoro”) viene effettuata:
a) prima di adibire il lavoratore alla mansione che comporta
esposizione;
b) periodicamente, di norma una volta l'anno o con periodicità
diversa decisa dal medico competente con adeguata
motivazione riportata nel documento di valutazione dei rischi
e resa nota ai rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori, in
funzione della valutazione del rischio e dei risultati della
sorveglianza
sanitaria;
c) all'atto della cessazione del rapporto di lavoro. In tale
occasione il medico competente deve fornire al lavoratore le
eventuali indicazioni relative alle prescrizioni mediche da
osservare.
Accertamenti mirati
- dosaggio di indicatori biologici di esposizione e di
effetti precoci;
- esami per la valutazione funzionale degli organi ed
apparati bersaglio degli agenti di rischio in causa;
- esami per la definizione diagnostica di eventuali
tecnopatie riscontrate o sospettate.
LA SORVEGLIANZA EPIDEMIOLOGICA
E’ indispensabile che il medico competente elabori
a livello di gruppo i risultati della sorveglianza e li
confronti a livello individuale con quelli effettuati
in precedenza, allo scopo di realizzare una
“sorveglianza epidemiologica”
OBBLIGHI PER IL MEDICO COMPETENTE
 Denuncia di malattia professionale
competente per territorio;
all'UPG
della
ASL
 Primo certificato medico di malattia professionale per l'INAIL;
 Referto all'Autorità giudiziaria.
Tali segnalazioni devono essere fatte anche nei casi di
sospetto di malattia professionale, non solo in quelli in
cui vi sia una certezza diagnostica.
(è opportuno tuttavia eseguire le appropriate procedure
diagnostiche allo scopo di rendere quanto meno fondato il
sospetto dell’esistenza della patologia professionale)
Lo scopo di tale denuncia è quello di segnalare
all'autorità competente i casi di patologie da
lavoro al fine di innescare un meccanismo di
controlli ambientali e quindi di prevenzione.
In base a quanto previsto dall’art. 10 punto 4
del D. Lgs n. 38 del 23 febbraio 2000, una
copia di tale denuncia andrà inviata anche alla
sede INAIL competente per territorio.
ELENCO DELLE MALATTIE PER LE QUALI E’ OBBLIGATORIA LA DENUNCIA
D.M. 27/04/2004
STRUTTURA DELL’ELENCO
1) Gruppo 1 Malattie da agenti chimici
2) Gruppo 2 Malattie da agenti fisici
3) Gruppo 3 Malattie da agenti biologici
4) Gruppo 4 Malattie dell’apparato
respiratorio
5) Gruppo 5 Malattie della pelle
6) Gruppo 6 Tumori professionali
7) Gruppo 7 Malattie psichiche e
psicosomatiche da disfunzioni
dell’organizzazione del lavoro incluse solo
nella lista II
ELENCO DELLE MALATTIE PER LE QUALI E’ OBBLIGATORIA LA DENUNCIA
-Lista I
Malattie la cui origine lavorativa è di elevata
probabilità che costituiranno la base per la revisione
delle tabelle ex artt. 3 e 211 del T.U.
- Lista II
Malattie la cui origine lavorativa è di limitata
probabilità per le quali non sussistono ancora
conoscenze sufficientemente approfondite perché
siano incluse nel primo gruppo
-Lista III
Malattie la cui origine lavorativa si può ritenere
possibile e per le quali non è definibile il grado di
probabilità per le sporadiche ed ancora non precisabili
evidenze scientifiche.
Il medico competente dovrà compilare il primo
certificato medico di malattia professionale che il
lavoratore dovrà consegnare entro 15 giorni al datore
di lavoro (art. 52 D.P.R. 1124/65), il quale entro 5
giorni dovrà trasmettere all’INAIL la denuncia di
malattia professionale (art. 53 D.P.R. 1124/65),
corredata
dal
relativo
certificato
medico.
Il primo certificato medico, che può essere redatto su
ricettario personale o preferibilmente sull'apposito
modulo fornito dallo INAIL [Mod. 1 - SS a)], deve
essere consegnato al lavoratore stesso che così potrà
avviare la pratica di denuncia di malattia
professionale.
Il D.P.R. 13 aprile 1994 n. 336 contiene la “Nuova Tabella
delle Malattie Professionali” nell'industria e nell'agricoltura
che modifica e integra gli allegati n. 4 e 5 del D.P.R. n.
1124/1965.
Se la patologia diagnosticata al lavoratore rientra nella
suddetta tabella sussiste la presunzione legale di origine
professionale della malattia, senza che peraltro ciò esima
dalla
ponderazione
del
rischio
espositivo.
TABELLA DELLE MALATTIE PROFESSIONALI
EX DPR 13/04/1994 N. 336
LISTA ORGANIZZATA IN TRE COLONNE
CHE PREVEDE LA INDICAZIONE PER
OGNI VOCE DI:
- MALATTIA
- LAVORAZIONE
- PERIODO MASSIMO DI INDENNIZZABILITÀ
DALLA CESSAZIONE DEL LAVORO
INDUSTRIA n. 58 voci
AGRICOLTURA n. 27 voci
Le sentenze 179 e 206/1988 della Corte
Costituzionale hanno introdotto il cosiddetto
“sistema misto”, che prevede la possibilità per il
lavoratore di dimostrare, con onere della prova a suo
carico, l’origine professionale di malattie non
tabellate oppure provocate da lavorazioni non
previste nelle tabelle o manifestatisi oltre il periodo
massimo di indennizzabilità dalla cessazione del
lavoro.
Rendite dirette nell’industria 1995-1999
(tot 25.795)
ASMA-ALVEOLITI
9%
2%
2% 4%
TUMORI DA ASBESTOSI
3%
DA VIBRAZIONI
14%
NON TABELLATE
SILICOSI
5%
ASBESTOSI
5%
4%
CUTENEE
IPOACUSIE
52%
BRONCOPATIE
ALTRE
Obbligo di referto
Sussiste per il medico che abbia prestato la propria
assistenza od opera in casi che possono presentare
i caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio: per
le malattie professionali cagionate per colpa
(dovuta a inosservanza di norme o a negligenza,
imperizia, imprudenza) sussiste la perseguibilità
d’ufficio nel caso determinino una malattia o una
incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni
per più di 40 giorni oppure causino un
indebolimento permanente d’organo.
Sentenza Corte di Cassazione del 22 maggio 1981:
“L’indebolimento permanente di un organo sussiste tutte
le volte che, in conseguenza di un fatto lesivo, l’organo
rimanga menomato nella sua potenzialità funzionale,
sicché questa venga ridotta nel suo esercizio rispetto allo
stato anteriore. Non è necessario che si tratti di un
indebolimento notevole, essendo sufficiente anche
quello di entità minima, purché apprezzabile”.
La denuncia di malattia professionale inoltrata
all'UPG della ASL può essere considerata
liberatoria dell’invio del referto all’Autorità
Giudiziaria, in quanto questi è a sua volta
obbligato ad inviarla all'Autorità Giudiziaria
stessa.
Tale prassi è stata in alcuni casi sancita, come
ad esempio in Veneto, con una specifica
Circolare.
Il monitoraggio biologico
Definizione di Monitoraggio Biologico al
Convegno
WHO
del
1984:
“la misurazione e quantificazione di sostanze
chimiche o di loro metaboliti in tessuti, fluidi,
secreti, escreti, aria espirata o in qualsiasi loro
combinazione, condotte per valutare esposizioni e
rischi per la salute, comparate con un appropriato
riferimento”.
“Appropriato riferimento” con cui si debbono
comparare i risultati delle misurazioni
Due tipi di informazioni:
• come il risultato del monitoraggio biologico si colloca rispetto ai valori
determinati in popolazioni per le quali è stata esclusa una specifica
esposizione lavorativa allo xenobiotico in esame (Valori di
riferimento): dovrebbe quindi “orientare” rispetto all’esistenza di
una esposizione maggiore di quella della popolazione generale;
• come il risultato del monitoraggio biologico si colloca rispetto a valori
ai quali è stato attribuito (su base scientifica o amministrativa) un
determinato significato rispetto alla possibile modificazione dello stato
di salute degli esposti (Valori limite): dovrebbe quindi “orientare”
rispetto alla probabilità della comparsa di effetti sulla salute e
quindi
alla
necessità
di
determinati
interventi.
Obiettivi del monitoraggio biologico
Integrare i dati forniti dal monitoraggio ambientale
al fine di ottenere una valutazione più completa
dello stato di salute del lavoratore e della sua
“interazione” con l’ambiente di lavoro.
Il monitoraggio biologico mira ad ottenere
indicazioni precoci e preferibilmente reversibili
sull’esposizione, la suscettibilità e gli effetti
biologici secondari a quel fattore di rischio.
Cenni di tossicocinetica
XENOBIOTICO:
• Assorbimento
• Distribuzione
• Metabolismo
• Eliminazione
Assorbimento
Le sostanze xenobiotiche possono essere assorbite per vie
differenti:
 polmonare
 cutanea
 gastrointestinale
l’assorbimento dipende da alcune regole fondamentali quali:
1) proprietà chimico-fisiche delle sostanze tossiche (solubilità nei
lipidi, grado di ionizzazione, dimensioni molecolari)
2) forze che determinano il movimento delle sostanze attraverso
membrane (filtrazione, pinocitosi, diffusione passiva, trasporto attivo)
Distribuzione
Attraverso la fase di assorbimento la sostanza raggiunge il
sangue e per mezzo di proteine plasmatiche e di altri
componenti quali eritrociti, leucociti, ecc. si distribuisce
nei diversi distretti dell’organismo. Il legame con le
proteine plasmatiche deve essere reversibile per permettere
il rilascio della sostanza. Se le sostanze non vengono
rilasciate vuol dire che non si distribuiscono.
La distribuzione è un equilibrio costantemente mutevole
per
l’interferenza
della
biotrasformazione
e
dell’eliminazione delle sostanze, e diverso per ogni
sostanza.
Metabolismo
Il metabolismo tende a trasformare la sostanza chimica da liposolubile a
idrosolubile per essere meglio eliminata dai due principali sistemi escretori:
l’urinario e il biliare. I processi di biotrasformazione possono condurre ad una
disattivazione della sostanza o talvolta ad una attivazione della stessa con
formazione di un metabolita più tossico (es. il 2,5-esanedione, prodotto della
biotrasformazione dell’n-esano, è il responsabile della neurotossicità che
deriva dall’esposizione al solvente).
•
Il metabolismo si svolge nelle cellule di tutto l’organismo, ma in particolare
nella cellula epatica. I distretti cellulari interessati sono il reticolo
endoplasmico liscio, il citoplasma, i mitocondri, i lisosomi e il nucleo.
•
Alcune sostanze non vengono metabolizzate, in quanto particolarmente stabili.
Tale stabilità è dovuta a:
alta polarità (molto idrosolubili per cui vengono escrete)
alta volatilità (rapidamente eliminate)
epossidi (alta reattività)
Metabolismo
Durante il metabolismo le sostanze xenobiotiche vanno in gran parte
incontro ad una biotrasformazione (I fase) e ad una coniugazione (II
fase):
• Reazioni di I fase o metabolica propiamente detta: trasformano la
sostanza in un’altra molecola, di natura diversa, che può assumere
caratteristiche tossicologiche non presenti nella sostanza di origine.
Tali reazione avvengono sia a livello microsomiale (citocromo P-450)
che extramicrosomiale, e comprendono reazioni di ossidazione,
riduzione ed idrolisi.
• Reazioni di II fase o di coniugazione: avvengono tra il metabolita
(prodotto di biotrasformazione) della sostanza ed un coniugante
endogeno. Il risultato è un metabolita più idrosolubile che viene
rapidamente escreto con le urine. Le principali reazioni di coniugazioni
sono: glucurono-coniugazione, coniugazione con solfato, sintesi di
amidi, sintesi di acidi mercapturici, metilazione, coniugazione di
substrati anloghi, formazione di tiocianati.
Eliminazione
L’entità e la rapidità di tale processo dipendono dalla
concentrazione ematica e dalla distribuzione della sostanza
xenobiotica. Se la sostanza è presente solo nel plasma verrà
eliminata più rapidamente di un’altra che è invece distribuita
anche nei liquidi extra ed intracellulari.
Il legame con le proteine plasmatiche non rallenta
l’eliminazione della sostanza legata poiché è reversibile: la
quota legata si trova in costante equilibrio con quella libera.
Maggiore influenza viene esercitata dai legami che si
stabiliscono tra la sostanza ed i componenti cellulari che
possono costituire un ostacolo all’escrezione, determinando
accumulo nell’organismo.
Eliminazione
Principali vie di escrezione:
 renale
 biliare
 polmonare
 gastroenterica
 saliva
 latte
 liquor
 unghie e capelli
Cenni di tossicodinamica
La sostanza tal quale o un metabolita può legarsi
in modo reversibile o irreversibile con diverse
strutture biologiche e dar luogo a una serie di
trasformazioni che si possono concludere con la
comparsa di alterazioni, le quali preludono allo
sviluppo, in una fase precoce, di lesioni
precliniche e, in una fase più avanzata, a lesioni
cliniche.
Organo critico
Si intende quell’organo o quel processo biologico nel quale
si manifesta l’effetto definito “critico”, ossia la prima
modificazione dell’organismo rilevabile in seguito
all’esposizione alla “concentrazione critica” della sostanza,
e quindi in seguito all’esposizione alla più bassa
concentrazione capace di causare un effetto.
Organo bersaglio
Si intende più genericamente quell’organo, apparato o
funzione che in caso di intossicazione, preclinica o clinica,
viene specificatamente danneggiato dal tossico.
Indicatori biologici
• Indicatori di esposizione
• Indicatori di dose biologicamente efficace
• Indicatori di effetto
• Indicatori di suscettibilità
• Indicatori precoci di malattia
Indicatori di esposizione
Indica la dose di tossico
effettivamente assorbita dal soggetto
esposto, mediante la misura della
concentrazione della sostanza stessa
o di un suo metabolita nei fluidi
biologici.
Indicatori di dose biologicamente
efficace
Indicano la piccola o minima frazione di
xenobiotico che, generalmente dopo attivazione
metabolica, si è legata ad un bersaglio critico (es.
addotti al DNA nell’organo bersaglio per i
cancerogeni genotossici) o non critico (es. addotti
all’emoglobina per composti epato o nefrotossici)
per la tossicità.
A seconda dei casi, può considerarsi un indicatore
di esposizione o di suscettibilità o di effetto o,
anche di tutti e tre assieme.
Indicatori di effetto
Permette di identificare una
alterazione precoce e reversibile a
livello dell’organo bersaglio (effetto
critico, es. protoporfirine eritrocitarie)
o che precedono la comparsa del
danno clinicamente rilevabile (effetto
preclinico, es. microproteinuria)
EFFETTI DEL PIOMBO SULLA SINTESI DELL’EME
Succinil coenzima A
glicina
Acido  aminolevulinico
Escreto con le urine
ALA DEIDRATASI
porfobilinogeno
uroporfobilinogeno
coproporfobilinogeno
CPG - DECARBOSSILASI
Protoporfirina IX + ferro
EME - SINTETASI
EME + globina
emoglobina
Accumulo negli eritrociti
Indicatori biologici di suscettibilità
Esprime una condizione individuale, genetica (sesso,
razza, modificazione in geni che controllano la attivazione
metabolica o la detossificazione di una sostanza, in geni
che controllano la riparazione del DNA o dei danni
cellulari, in geni coinvolti nella predisposizione ad una
specifica malattia) o acquisita (dieta, stato di salute, stato
socio-economico, età) consistente in una limitata capacità
dell’organismo di rispondere ai possibili effetti conseguenti
l’esposizione ad un determinato xenobiotico.
Indicatori precoci di malattia
Permettono di identificare quelle alterazioni
a carico dell’organo bersaglio che
generalmente sono ancora reversibili e
precedono la comparsa del quadro clinico.
Criteri di ammissibilità all’impiego di
un indicatore biologico
• Possibilità di un dosaggio su campioni biologici facilmente
ottenibili, trasportabili, conservabili
• esistenza di metodi analitici sufficientemente sensibili,
precisi, accurati
• sufficiente grado di conoscenze tossicocinetiche
• conoscenza del comportamento degli indicatori
relazione ad intensità e durata dell’esposizione
• conoscenza dei fattori fisiologici e patologici interferenti
• conoscenza delle relazioni dose-effetto e dose-risposta
in
Al momento attuale sono soprattutto gli indicatori di
esposizione (IBE) quelli che maggiormente si prestano ad
un uso pratico e routinario, e sono anche quelli che
fornendo indicazioni, spesso più precise dello stesso
monitoraggio ambientale, sul livello di esposizione
individuale agli xenobiotici (per tutte le vie di
assorbimento, compresa quella cutanea) contribuiscono
alla valutazione del rischio ed al suo controllo nel tempo.
Strategia del monitoraggio
Necessità di avere precise conoscenze sul metabolismo dei singoli
composti, in quanto differenze nella cinetica di metabolizzazione
hanno notevoli riflessi su significato e strategia del monitoraggio:
• Sostanze a lunga emivita biologica (metalli): tendono a persistere nei
compartimenti organici ed il loro dosaggio può fornire indicazioni
anche retrospettive dei livelli di esposizione;
• Sostanze a breve emivita biologica (solventi): hanno rapido turnover,
ed il loro dosaggio è in genere rappresentativo dell’esposizione attuale.
La velocità di metabolizzazione del composto in questo caso
condiziona il momento di raccolta del campione biologico (inizio
turno, fine turno o fine settimana lavorativa).
I VALORI LIMITE
L'introduzione ed il rispetto, negli ambienti
di vita e di lavoro, di norme che stabiliscono
limiti di concentrazione per l'esposizione
umana ad inquinanti ambientali
costituiscono oggi il principale strumento di
prevenzione dei possibili effetti degli
inquinanti stessi sulla salute, in particolare
dei lavoratori.
CENNI STORICI
• Lehmann 1886: primi limiti per l’esposizione acuta a
solventi organici e gas irritanti
• anni ‘40: Stati Uniti  MAC (Maximum Allowable
Concentrations) = TLV (Threshold Limit Values)
• 1968 Germania  lista MAK (Maximale Arbeitsplatz
Conzentrationen)
• CEE (Comunità Economica Europea)  introduzione di
propri limiti professionali basati su valutazioni medicosanitarie e tossicologiche (Health-based occupational
exposure limits)
diagramma di flusso per la definizione dei limiti di esposizione ad agenti chimici
DATI SPERIMENTALI
DATI CLINICI
DATI EPIDEMIOLOGICI
LIVELLO DI NON EFFETTO
fattore di sicurezza
LIMITE TOSSICOLOGICO
fattori extrascientifici
LIMITE ADOTTATO
ACGIH: American Conference of
Governmental Industrial Hygienists
Ente americano i cui limiti vengono spesso
utilizzati per la valutazione del rischio.
Vengono definiti da loro stessi valori limite
health based.
Valori limite TLV
• VALORE LIMITE DI SOGLIA:
– concentrazione delle sostanze aerodisperse alla
quale la maggior parte dei lavoratori può essere
esposta ripetutamente, giorno dopo giorno,
senza l’insorgenza di effetti nocivi sulla salute
TLV-TWA
• MEDIA
PONDERATA
NEL
TEMPO:
concentrazione media ponderata nel tempo, su una
giornata lavorativa di otto ore e su 40 ore
lavorative settimanali, alla quale quasi tutti i
lavoratori possono essere ripetutamente esposti,
giorno dopo giorno senza effetti negativi
TLV-STEL
• LIMITE PER BREVE PERIODO DI
ESPOSIZIONE: concentrazione alla quale i
lavoratori possono essere ripetutamente
esposti continuamente per breve periodo di
tempo, purchè il TLV-TWA giornaliero non
venga superato senza che insorgano:
irritazione, danno cronico o irreversibile,
riduzione dello stato di vigilanza.
TLV-STEL
• esposizione media ponderata su un periodo
di 15 minuti che non deve mai essere
superata nella giornata lavorativa, anche se
la media ponderata su otto ore è < TLV
• esposizione a valori compresi tra TWA e
STEL: massimo di 4 episodi/giorno e
almeno 60 minuti tra 1 episodio ed il
successivo
TLV-C
• TLV- CEILING = livello di concentrazione
da non superare mai nell’esposizione
lavorativa nemmeno per un brevissimo
periodo di tempo (importante per gas
irritanti)
• IL TLV non è lo spartiacque tra situazioni
accettabili e/o di rischio e si deve tendere
comunque al raggiungimento delle più
basse concentrazioni possibili
TLV - MISCELE
• Quando due o più sostanze nocive sono
presenti contemporaneamente, bisogna
prendere in considerazione gli effetti
combinati piuttosto che quelli di singoli
componenti. In mancanza di una
dimostrazione contraria, gli effetti delle
diverse sostanze nocive dovrebbero essere
considerati additivi.
TLV - MISCELE
• C1/T1 + C2/T2……+ Cn/Tn = 1
• C= concentrazione delle sostanze in esame
in atmosfera di ambiente di lavoro
• T = corrispondente valore limite TLV
Quando la somma delle frazioni supera
l’unità, allora il valore limite è superato.
Notazione CUTE
• La notazione S (skin) che segue il nome di
una sostanza sta ad indicare il potenziale
contributo
all’esposizione
globale
determinata dall’assorbimento per via
cutanea, ivi comprese le mucose e gli occhi,
sia per contatto con i vapori, che ancor di
più, per contatto diretto della pelle con la
sostanza.
• La notazione cute non fornisce indicazioni
sull’entità del rischio cutaneo; è quindi solo
un indicatore qualitativo della presenza di
tale rischio e mette in guardia sulla
impossibilità di far riferimento al TLV
ambientale se non vengono utilizzati sistemi
di protezione atti ad evitare l’assorbimento
cutaneo.
BEI - ACGIH
• INDICE BIOLOGICO DI ESPOSIZIONE: sono
basati sulla relazione esistente con intensità
dell’esposizione e sulla relazione tra effetti
biologici ed effetti sulla salute
• è un indice integrato corrispondente al relativo
TLV-TWA ovvero rappresentano i livelli degli
indicatori che, con elevata probabilità, possono
ritrovarsi in campioni prelevati da lavoratori sani
esposti a livelli di concentrazione prossimi a TLVTWA.
Valori di riferimento
• VR di un indicatore biologico: valore che
caratterizza la popolazione normale non
professionalmente esposta
• I VR sono di estrema utilità nel campo della
medicina ambientale e del lavoro, in quanto
non
sono
solo
degli
indicatori
dell’inquinamento
complessivo
dell’ecosistema ma costituiscono un
fondamentale termine di confronto per
valutare l’esposizione professionale
Valori Limite nella Legislazione
Italiana
• D.Lgs 277/91: primi valori limite per amianto,
piombo, rumore. (importante passo avanti ma
rigidità normativa)
• D.Lgs 66/00: polveri di legno duro, cloruro di
vinile monomero e benzene
• D.Lgs 25/02 : piombo
• Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali del 26/02/04: ampia lista di valori limite
professionali per agenti chimici
MISURE DI PREVENZIONE
Il controllo degli agenti di rischio in ambiente di lavoro si realizza dopo aver
eseguito la valutazione dei rischi e si attua con misure sull’ambiente e sui lavoratori:
- Sull’ambiente di lavoro (prevenzione primaria)
- sostituzione di materie prime
- progettazione impianti (ciclo chiuso, automazione-robot)
- miglioramento impianti e processi produttivi
(ventilazione/aspirazionie generale e/o localizzata)
- sistemi di allarme, segnaletica di sicurezza, servizi di
sicurezza (lavaocchi, docce, primo soccorso)
- Sui lavoratori (prevenzione secondaria)
- informazione e formazione (anche su misure igieniche e
comportamenti)
- organizzazione del lavoro (rotazioni, tempi di
esposizione, evitare operazioni pericolose)
- dispositivi di protezione individuale
- sorveglianza sanitaria
- riabilitazione (prevenzione terziaria)
INFORMAZIONE E
COMPORTAMENTI
INTERVETI SULL’AMBIENTE
(questi hanno la precedenza e
devono essere eseguiti in via
prioritaria rispetto alle altre
misure di prevenzione)
INTERVENTI SUI
MACCHINARI
ESEMPIO DI CAPTAZIONE DI
GAS E VAPORI
I DISPOSITIVI DI PROTEZIONE
INDIVIDUALE (D.P.I.)
Si intende per D.P.I. qualsiasi attrezzatura
destinata ad essere indossata e tenuta dal
lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o
più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza
o la salute durante il lavoro, nonché ogni
complemento o accessorio necessario a tale
scopo.
REQUISITI GENERALI
I D.P.I. devono
• possedere requisiti essenziali per il tipo di rischio
•essere dimensionati e strutturati per l’uso
•essere adeguati alle condizioni esistenti
•tenere conto dell’ergonomia del lavoratore
•in caso di rischi multipli, i vari D.P.I., (devono)
essere compatibili e funzionanti insieme
QUANDO SI USANO
Quando esistono sul luogo di lavoro dei rischi
che non possono essere evitati o
sufficientemente ridotti con misure
organizzative, tecniche e procedurali (rischi
residui).
Concettualmente non devono essere sostitutivi
di protezioni collettive quando queste ultime
siano tecnicamente realizzabili.
OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO
Responsabilità della scelta dei D.P.I. in funzione dei rischi
attraverso la valutazione di:
- caratteristiche adeguate;
- condizioni di utilizzo.
Obbligo di metterli a disposizione dei lavoratori e della
formazione, informazione e addestramento all’uso sia ai
lavoratori che ai loro rappresentanti.
OBBLIGHI DEL LAVORATORE
• Partecipare al programma di formazione/informazione
• avere cura dei D.P.I.
• non manomettere i D.P.I.
• segnalare eventuali inconvenienti
• procedure per riconsegna dei D.P.I.
TIPOLOGIA DEI GUANTI IN
FUNZIONE DEI RISCHI
•Guanti di gomma vinilica o neoprenica contro
elementi chimici corrosivi come acidi e/o alcali o
derivati del petrolio.
•Guanti semplici in plastica o lattice per protezione
dall’assorbimento di sostanze chimiche o biologiche.
ALTRI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE
•Indumenti di protezione, che devono impedire
o ritardare il passaggio del prodotto
contaminante per il tempo necessario affinché
l’operatore possa togliersi l’indumento stesso;
• Scarpe anti-infortunistiche;
•Dispositivi di sicurezza anti-caduta
PROTEZIONE DELLE VIE
RESPIRATORIE
•Ci sono due categorie:
• Respiratori dipendenti
dall’atmosfera ambiente
(respiratori a filtro)
• Respiratori indipendenti
dall’atmosfera ambiente
(respiratori isolanti)
RESPIRATORI ISOLANTI (INDIPENDENTI
DAL’ATMOSFERA AMBIENTE)
• da impiegare quando la percentuale di ossigeno è
inferiore al 17%;
• quando non si conosce la natura e/o la
concentrazione del contaminante;
• quando la concentrazione supera i limiti di
esposizione consentiti dai respiratori a filtro.
SOSTITUZIONE DEL D.P.I.
•Ogni D.P.I. avrà dei limiti di capacità
filtrante e di durata.
•Dal punto di vista pratico un D.P.I. per
le vie respiratorie dovrà essere
sostituito quando, a causa
dell’intasamento del filtro, si avverte
l’odore dell’inquinante ovvero aumenta
la resistenza del filtro alla respirazione.
AEROSOL - PARTICELLE
AERODISPERSE
• FUMI: PARTICELLE SOLIDE DISPERSE IN UNA
MISCELA GASSOSA CHE PUO’ AVERE UNA
COMPOSIZIONE COMPLESSA (FUMI DI
SALDATURA)
• NEBBIE: PARTICELLE LIQUIDE DISPERSE
NELL’ARIA (NEBBIE ACIDE)
• POLVERI: PARTICELLE SOLIDE DISPERSE IN
ARIA, IN PARTICOLARE QUELLE CHE POSSONO
ENTRARE NEL TRATTO RESPIRATORIO
(FRAZIONE INALABILE)
IMPORTANZA DELLE DIMENSIONI
DELLE PARTICELLE
• LE PARTICELLE POSSONO ENTRARE NEL
TRATTO RESPIRATORIO SE HANNO UN
DIAMETRO AERODINAMICO MEDIO () < 100 M
(FRAZIONE INALABILE)
• LE PARTICELLE INALATE A LORO VOLTA SI
POSSONO DEPOSITARE NEI VARI TRATTI
DELL’ALBERO RESPIRATORIO
• DEPOSIZIONE EXTRATORACICA: () < 100M
• DEPOSIZIONE TORACICA: () < 11,64  1,5 M
• DEPOSIZIONE ALVEOLARE: () < 4,25  1,5 M
• (FRAZIONE RESPIRABILE)
EFFETTI DELLE POLVERI
• INERTI: NON ALTERANO LA STRUTTURA
DELL’APPARATO RESPIRATORIO E NON DANNO
LUOGO A PATOLOGIE
• IRRITANTI:
DANNO
LUOGO
AD
UNA
ALTERAZIONE CON MECCANISMO DI TIPO FISICO
O CHIMICO
• FIBROGENE:
POSSONO
ALTERARE
PERMANENTEMENTE LA STRUTTURA DEGLI
ALVEOLI POLMONARI DETERMINANDO DANNI
IRREVERSIBILI
• ALLERGIZZANTI: DANNO LUOGO AD UNA
ALTERAZIONE
CON
MECCANISMO
DI
SENSIBILIZZAZIONE
LE FIBRE
• Le Fibre sono delle particelle presenti in
aria nelle quali il rapporto fra lunghezza
e diametro medio (larghezza) è superiore
a 3:1. Sono in pratica delle particelle
allungate, tipo filamenti o aghi sottili.
• Le fibre possono essere naturali o
artificiali
• Inoltre si possono suddividere in
organiche ed inorganiche.
FIBRE INORGANICHE NATURALI
• Amianti
• Talchi
• silicati vari
FIBRE ORGANICHE NATURALI
• Cotone
• Lana
• Seta
FIBRE INORGANICHE ARTIFICIALI
• Fibre di vetro
• lana minerale
• fibre di carbonio
FIBRE ORGANICHE ARTIFICIALI
• Acriliche
• poliviniliche
• poliesteri
PERICOLOSITA’ DELLE FIBRE
• Alcune forme
di amianto
sono
cancerogene riconosciute per l’uomo
(mesotelioma pleurico)
• le fibre di vetro e ceramiche sono
sospettate di possibile azione cancerogena
ma senza evidenze certe
• Le fibre tessili (es. cotone) possono dare
bissinosi o altre patologie respiratorie.
Asma professionale
Broncostruzione variabile delle vie aeree correlata in
maniera causale all’esposizione in ambiente di lavoro a
polveri, gas, vapori, fumi
ASMA DA
IPERSENSIBILITA’
da sensibilizzazione ad un
agente specifico. L’asma
si sviluppa dopo un
periodo di latenza
(settimane, mesi, anni).
Durata variabile.
RADS (Reactive
Airway Disfunction
Syndrome)
da esposizione acuta a
irritanti. L’asma si
manifesta dopo poche
ore dalla esposizione e
persiste almeno 3 mesi.
Asma da ipersensibilità: Agenti
Più di 250 agenti asmogeni sono di origine professionale
AGENTI AD ALTO
PESO
MOLECOLARE
(HMW)
AGENTI A BASSO
PESO
MOLECOLARE
(LMW)
•
•
•
•
•
•
•
•
agenti vegetali
agenti animali
insetti
enzimi
diisocianati
anidridi
metalli
amine
Asma professionale: sintomi
Asma con episodi accessionali
• Dispnea e costrizione toracica
• Sibili prevalentemente espiratori
• Test arresto-ripresa positivo
• Oculo-rinite se l’agente è HMW
Asma senza accessi dispnoici (raro)
• Tosse stizzosa o costrizione toracica
Sintomi: modalità temporali
REAZIONE
Immediata
Ritardata
Bifasica
COMPARSA
RISOLUZIONE
10-20 minuti
3-12 ore
Sia immediata
Poche ore
12-24 ore
Sia ritardata
Asma professionale: diagnosi
Conferma della diagnosi di asma
• Ostruzione bronchiale reversibile
• Iperresponsività bronchiale aspecifica o
specifica
• Misure seriate del picco di flusso
Test di provocazione bronchiale
aspecifica
Monitoraggio del picco di flusso
Neoplasie tipicamente professionali
(in quanto rare nella popolazione generale)
- mesotelioma pleurico o peritoneale da
amianto
- angiosarcoma epatico da cloruro di
vinile monomero
- adenocarcinoma dei seni paranasali da
polveri di legno e di cuoio
La maggior parte della patologia
neoplastica che colpisce i lavoratori è
costituita da tumori diffusi anche
nella popolazione generale (ad
esempio tumori polmonari). In questi
casi il giudizio sulla eziologia della
singola manifestazione è quanto mai
difficile.
ALTRI CANCEROGENI PROFESSIONALI
- benzene
- idrocarburi policiclici aromatici
- ammine aromatiche
- radiazioni ionizzanti
- ossido di etilene
- cromo
- nichel
- cadmio
- berillio
- arsenico
Campi di studio e di intervento
innovativi per la Medicina del Lavoro:
- patologie osteo-articolari e muscolo-tendinee
da movimentazione manuale di carichi e da
movimenti ripetitivi;
- stress e lavoro a turni;
- mobbing;
- lavori atipici.
Disturbi muscoloscheletrici in
Europa (Fondazione Europea Dublino, 2000)
•
•
•
•
Terza inchiesta sulla salute dei lavoratori:
33 % riferisce mal di schiena
23 % riferisce dolori a spalla e collo
13 % riferisce dolori all’arto superiore
ERGONOMIA
• Deriva dalle parole greche έςγοσ (lavoro) e
νόμοσ (legge naturale), e pertanto deve essere
interpretato come “legge naturale del lavoro”;
coniato in Gran Bretagna nel 1949 per designare
un campo di studio interdisciplinare avente ad
oggetto il rapporto tra l’uomo e la prestazione
lavorativa.
• ILO “Applicazione congiunta di scienze
biologiche e tecniche per assicurare tra l’uomo e
il lavoro il massimo adattamento reciproco al
fine di accrescere il rendimento del lavoratore e
di contribuire al suo benessere”.
Il lavoro a turni, in particolare il lavoro
notturno, costituisce un fattore di rischio
aggiuntivo per i lavoratori
I problemi posti da tale forma
dell’organizzazione dell’orario di lavoro
riguardano schematicamente quattro aspetti
strettamente
interconnessi:
biologico,
lavorativo, medico, sociale.
• Biologico: caratterizzato dalla perturbazione della normale
ritmicità circadiana della maggior parte delle funzioni
biologiche, a partire dal ciclo sonno/veglia;
• Lavorativo: risultante in alterazioni dell’efficienza
lavorativa con conseguenti errori e incidenti/infortuni;
• Medico: costituito dalle modificazioni dello stato di salute,
sia dal punto di vista soggettivo (disagi, disturbi) che
oggettivo (stati di malattia)
• Sociale: conseguente al conflitto tra il tempo disponibile
del turnista per le attività familiari e sociali e i tempi
spesso limitati nei quali tali attività possono essere svolte
Problemi di carattere biologico
Problema: temporaneo (o persistente) sfasamento tra la
strutturazione temporale biologica dell’organismo e i tempi
di lavoro, di sonno e di tempo libero
UOMO  ANIMALE DIURNO
avendo associato il proprio stato di veglia-attività al
periodo di luce e lo stato di sonno-riposo al periodo
buio, con una regolare ritmicità nell’arco delle 24 ore. In
relazione a tale periodica alternanza tutte le funzioni
dell’organismo (cardiocircolatoria, respiratoria, digestiva,
metabolica, endocrina, renale) assumono un andamento
ritmico circadiano.
Ritmo circadiano: periodo compreso tra le 20 e le 28
ore (“circa diem”)
• I livelli più alti della funzione sono presentati nel
corso della fase ergotropica (luce-veglia-attività)
• i livelli più bassi della funzione sono presentati nel
corso della fase trofotropica (buio-sonno-riposo)
Tale strutturazione ritmica complessa è una
caratteristica fondamentale della materia vivente, e
dell’organismo umano in particolare, la cui
perturbazione o perdita costituisce un segno
precoce di alterazione dello stato di salute.
Problemi di carattere lavorativo
La strutturazione ritmica delle funzioni biologiche assume
una notevole importanza nel condizionare anche
l’efficienza lavorativa
In letteratura:
CALO DELLA PERFORMANCE
NELLE ORE NOTTURNE
PSICOFISICA
AUMENTO DELLA SENSAZIONE DI FATICA
RIDUZIONE DEL RENDIMENTO
INCREMENTO DELL’INCIDENZA DI ERRORI
Problemi di carattere medico
L’abbassamento del benessere appare legato, oltre
che alla perturbazione dei ritmi biologici,
soprattutto all’interferenza con
SONNO
ABITUDINI ALIMENTARI
Sonno
• Decurtazione quantitativa
riduzione delle ore di sonno sia nel corso del turno del
mattino, in relazione all’alzata precoce, sia nel turno di
notte, in relazione alle difficoltà di dormire di giorno in
condizioni ambientali sfavorevoli e in ambienti domestici
volti allo stato di veglia
• Modificazione qualitativa
netta interferenza nella distribuzione delle varie fasi del
sonno, con riduzione dei periodi di sonno profondo e di
sonno REM. Ciò determina un minor effetto ristoratore del
sonno consumato di giorno sia dal punto di vista fisico,
legato al sonno profondo, sia dal punto di vista psichico,
legato al sonno REM
Sindrome da fatica cronica
2 forme:
• spossatezza generale generata dalla perdita di
sonno e/o dalla sua cattiva distribuzione temporale
• sensazione di minore efficienza fisica e
squilibrio dell’umore maggiormente legata alla
desincronizzazione dei ritmi biologici
Disturbi alimentari
Legati a
• strutturazione temporale del lavoro
• sequenza anomala dei pasti
• interruzione del sonno
Anche se l’introito calorico permane sostanzialmente
invariato, i turnisti spostano gli orari dei pasti e durante il
turno di notte modificano solitamente la qualità dei cibi,
consumando prevalentemente cibi freddi e preconfezionati
e incrementando il consumo di bevande stimolanti, nonché
il consumo di tabacco da parte dei fumatori
Tali situazioni a lungo andare determinano una
prevalenza nei turnisti di disturbi e malattie a carico
dell’apparato digerente
DISPEPSIA
GASTRODUODENITE
ULCERA PEPTICA
COLONPATIA FUNZIONALE
Problemi di carattere sociale
Nel determinismo dei disturbi concorrono
anche fattori psicologici e sociologici in
relazione alle difficoltà che insorgono
• nella vita familiare
• nella vita sociale
Donne
Risentono in modo particolare dell’influenza di tali fattori.
Denunciano in genere un maggior stato di affaticamento ed
appaiono assai più vulnerabili dal punto di vista
familiare e sociale rispetto agli uomini.
Il lavoro a turni per le donne può essere particolarmente
gravoso in quanto ai disagi e ai carichi lavorativi si
sommano quelli connessi con l’attività domestica.
Tuttavia molte donne scelgono il lavoro a turni proprio
perché permette loro di attendere meglio alle faccende
domestiche e di passare più tempo con i figli
Criteri orientativi per una migliore
organizzazione del lavoro
E’ indispensabile adottare dei correttivi che consentano il miglior compromesso
possibile volto a ridurre e limitare al massimo i disagi e gli effetti negativi connessi con
il tipo di orario:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
ridurre l’orario annuale di lavoro per chi fa i turni di notte
regolare la lunghezza del turno notturno in base alla gravosità fisica e mentale del
compito
adottare cicli di turnazione non troppo lunghi e rotazioni il più possibili regolari
ricorrere a rotazioni a breve termine in modo da limitare al massimo il numero di notti
consecutive
evitare intervalli troppo brevi nel passaggio da un turno all’altro e consentire almeno 24
ore di riposo dopo il turno di notte
Non iniziare troppo presto il turno del mattino
permettere una certa flessibilità negli orari di cambio turno
predisporre schemi di rotazione tali da consentire il maggior numero possibile di fine
settimana liberi
preferire la rotazione in ritardo di fase (M-P-N) nei sistemi a ciclo continuo
consentire pasti il più possibile regolari, predisponendo servizi di mensa e pause
adeguate.
Sorveglianza sanitaria
• Visita preventiva
• visita medica dopo 12 mesi dall’inizio del lavoro a
turni
Successivamente
• visita medica ogni 2 anni per chi ha meno di 25
anni
• visita medica ogni 5 anni per chi ha età compresa
fra i 25 e i 50 anni
• visita medica ogni 2-3 anni per chi ha età
compresa tra i 50 e i 60 anni
Low Back Pain
Il LBP è la terza causa di ricorso al medico negli USA dopo
1.
Malattie cardiache
2.
Artriti
3.
LBP
La prevalenza di LBP nel corso
della vita è circa dell’80%
Sono pochissimi i casi di LBP che
hanno come origine
gravi patologie
Il rachide
Struttura elastica in grado di garantire in
opposizione alla gravità:
• la stazione eretta
• l’equilibrio di forze e di resistenze
necessarie per ogni attività cinetica
Il rachide
Nell’unità funzionale si distinguono due sezioni:
• ANTERIORE: costituita dai corpi vertebrali
separati dal disco; ha funzione di sostegno ed
assorbimento meccanico
• POSTERIORE: costituita dalla coppia di
articolazioni
che pongono
in reciproca
connessione due vertebre; ha funzione di
locomozione ed esecuzione di movimenti.
Il disco intervertebrale è
costituito da:
• NUCLEO POLPOSO: è la parte interna,
semifluida contenente l’88% di acqua. La
funzione è di resistere e ridistribuire le forze
compressive
• ANELLO FIBROSO: è la parte periferica,
costituita da una serie concentrica di lamelle di
tessuto fibroso che circondano il nucleo formando
un alloggiamento inestensibile sotto pressione.
Il disco intervertebrale
E’ privo di vasi sanguigni e fibre nervose; gli scambi
nutritivi avvengono per diffusione attraverso la cartilagine
limitante dei corpi vertebrali e, in minor misura, attraverso
l’anello fibroso.
Il regolare alternarsi di condizioni di CARICO e
SCARICO sul disco determina il RICAMBIO DEI
FLUIDI e quindi dei metaboliti e dei cataboliti: è questo il
meccanismo con cui il disco è nutrito. La postura fissa
determina quindi già dopo poche ore un arresto del
ricambio per diffusione e quindi si determina una
SOFFERENZA DISCALE.
Un’alterata possibilità di nutrizione del
disco può essere la conseguenza anche di
una fissurazione della cartilagine limitante
dovuta a insulti acuti sul disco:
• sollevamento brusco di carichi eccessivi
• traumi diretti
I carichi discali
Posizioni del rachide
Seduto eretto
Valori di carico su
vertebra lombare in
Kg
65-108
Seduto flesso
189
In piedi
115
In piedi tronco flesso a 40°
172
In piedi tronco flesso a 90°
+ peso da 10 kg
+ peso da 20 kg
220
350
600-650
Valori limite accettabili di carico
lombare (NIOSH)
• 350 Kg  soggetti maschi di età < 40 anni
• 250 Kg  soggetti maschi di età > 40 anni
soggetti femmine
• 650 Kg  limite massimo invalicabile
Meccanismi patogenetici
• Carico eccessivo su colonna integra
• Carico fisiologico su rachide “debole”
costituzionale (anomalie di sviluppo)
congenito (dorso curvo giovanile)
post-traumatico (spondilolistesi-lisi)
Principali patologie della colonna
• SPONDILOARTROSI: processo
degenerativo della cartilagine articolare con
reazione del sottostante tessuto osseo e
articolare e formazione reattiva di osteofiti.
Sistema disco-somatico degenerato.
 artrosi primaria (motivi metabolici)
 artrosi secondaria (invecchiamento)
Principali patologie della colonna
• DISCOPATIA:
degenerazione
del
disco
intervertebrale con disidratazione del materiale del
nucleo polposo, fissurazione dell’anello fibroso
con possibilità di erniazione del materiale nucleare
attraverso l’anello fibroso;
• ERNIA DEL DISCO: protrusione della parte
centrale del disco (nucleo polposo) attraverso
l’anello
fibroso
fissurato
con
possibile
compressione delle radici nervose.
Dolore lombare
Il “mal di schiena”, soprattutto a livello lombare, è
un disturbo particolarmente diffuso: colpisce il 7080% della popolazione almeno una volta nella
vita; insorge soprattutto nell’età produttiva,
costituendo così un rilevante costo sociale e
sanitario. Può avere origine dal complesso delle
strutture osteo-articolari, legamentose e muscolari
che compongono il rachide. Nella maggioranza dei
casi tuttavia, soprattutto nei più giovani, si
configura come un disturbo funzionale non
attribuibile a lesioni o malattie obiettivabili delle
diverse strutture anatomiche.
Fattori di rischio
Lavorativi
• posture incongrue
• posture fisse
prolungate
• movimentazione di
carichi
• vibrazioni
trasmesse a tutto il
corpo
Individuali
• età
• sesso
• fattori strutturali e
congeniti (es.
scoliosi)
• fattori metabolici
• fattori
immunologici
• fattori psico-sociali
e comportamentali
Valutazione del rischio
• L’esistenza di un sovraccarico per il rachide dorsolombare va valutata tenendo conto del complesso
dei diversi elementi di rischio lavorativo riportati
nell’allegato
• Sono utili modelli di valutazione del rischio che,
parametrando i principali elementi, portino a
definire, per ogni scenario lavorativo dato, qual è
il massimo peso del carico movimentabile in
quella determinata condizione.
Valutazione delle azioni di
sollevamento
• Modello proposto dal NIOSH (National Institute
for Occupational Safety and Health) nel 1993: è in
grado di determinare, per ogni azione di
sollevamento, il cosiddetto LIMITE DI PESO
RACCOMANDATO attraverso un’equazione
che, a partire da un massimo peso ideale
sollevabile in condizioni ideali, considera
l’esistenza di eventuali elementi sfavorevoli e
tratta questi ultimi con appositi fattori di
demoltiplicazione.
Altezza delle mani da terra
inizio
Altezza delle mani da
terra all’inizio del
sollevamento.
75 cm = fat. Cor. 1
Altezza
(cm)
Fattore di
correzione
0
25
50
75
100
125
170
>170
0,78
0,85
0,93
1
0,93
0,85
0,78
0,00
Distanza verticale
di spostamento del peso
Distanza verticale di
spostamento del peso
tra inizio e fine del
sollevamento
inizio
25 cm = fat. cor. 1
fine
Dislocazione
cm
25
30
40
50
70
100
170
>175
Fattore di
correzione
1
0,97
0,93
0,91
0,88
0,87
0,85
0,00
Distanza del peso dal corpo
Distanza del peso dal
corpo (distanza massima
raggiunta durante il
sollevamento)
25 cm = fat. cor. 1
Distanza in
cm
25
30
40
50
55
60
>63
Fattore di
correzione
1
0,83
0,63
0,50
0,45
0,42
0,00
Dislocazione angolare
Dislocazione angolare
del peso (in gradi)
rispetto al piano sagittale
= torsione del tronco
0° = fat. cor. 1
Dislocazio
ne
angolare
0°
30°
60°
90°
120°
135°
>135°
Fattore di
correzione
1
0,90
0,81
0,71
0,62
0,57
0,00
Giudizio sulla presa del carico
Giudizio
Fattore di correzione
MANIGLIA
Buono
Scarso
1
0,90
• Applicando la procedura a tutti gli elementi considerati si
può pervenire a determinare il limite di peso raccomandato
nel contesto esaminato
• Il passo successivo consiste nel calcolare il rapporto tra
peso effettivamente sollevato (numeratore) e peso limite
raccomandato (denominatore) per ottenere un indicatore
sintetico di rischio.
Rischio minimo: per valori tendenziali < 1
Rischio presente: per valori tendenziali > 1
tanto è più alto il valore dell’indice tanto
maggiore è il rischio.
Misure di prevenzione
• Organizzazione del lavoro
• Idonei percorsi
• Idonei ausilii
• Robotizzazione
Il 33% dei lavoratori dichiara di essere adibito in
modo usuale a compiti che che comportano
movimenti ripetitivi degli arti superiori.
Per il 49% dei casi il lavoro ripetitivo è associato
a ritmi di lavoro definiti intensi.
Già nel 1700 Bernardino Ramazzini descrisse le affezioni causate
da movimenti violenti, irregolari e da posture incongrue e indicò lo
sforzo compiuto dalle mani e dagli arti superiori degli SCRIBI come
causa di deficit funzionali della mano destra
Alla fine del 1900 le stesse manifestazioni vennero rilevate in:
— calzolai
— sarti
— mungitori
Attualmente
La patologia professionale dovuta a movimenti ripetitivi rappresenta
la MAGGIOR CAUSA di lesioni muscolo-scheletriche e nervose
periferiche nella popolazione lavorativa, superando la patologia
traumatica da infortunio.
PRINCIPALI CARATTERISTICHE DELLE
PATOLOGIE
• Eziologia multifattoriale
• Sviluppo generalmente lungo
• Guarigione lunga e talvolta incompleta
• Le patologie più frequenti coinvolgono le unità
muscolo-scheletriche
• Le sdr da intrappolamento dei nervi periferici
sono meno frequenti, ma ricevono attenzione per
gravità e costi
Principali fattori di rischio
•
•
•
•
Forza richiesta eccessiva
Elevata ripetitività
Postura incongrua
Periodi di recupero insufficienti
Fattori complementari
(non necessariamente sempre presenti, ma che a seconda
di tipologia, intensità e durata determinano un incremento
del livello di esposizione complessiva)
•
•
•
•
•
•
•
Uso di strumenti vibranti
Compressione localizzata su strutture anatomiche
Esposizione a perfrigerazione
Uso di guanti
Esecuzione di movimenti bruschi (“a strappo”) o veloci
Esecuzione di gesti con contraccolpi
Scivolosità della superficie di oggetti manipolati
PATOLOGIE DELL’ARTO SUPERI0RE PIU’
FREQUENTEMENTE CORRELATE CON IL LAVORO
• Periartrite scapolo-omerale
• Tendiniti di inserzione
• Tenosinoviti
• Sindromi canalicolari
• Sindrome dello stretto toracico
• Borsiti
• Cisti tendinee
• Artrosi delle articolazioni metacarpo-falangee
le malattie professionali da WMSDs
denunciate alle unità periferiche dell’INAIL
dal 1996 al 2000
sono passate da 136 a 1500 con un numero
di casi accolti da 10 a 990
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Elementi di valutazione nella definizione dei limiti per l`esposizione