Le ragioni di una Costituzione per l’Europa
Riccardo Scarpa
Docente di Diritto Comunitario nell’Università degli Studî Statale di Roma Tre
e di Teorie e Metodi di Pianificazione Sociale
nell’Università degli Studî Statale «La Sapienza» di Roma
L’Appello per salvare la Costituzione per L’Europa si propone di sostenere, nella società civile,
quanto espresso nelle esternazioni del Capo dello Stato italiano, Giorgio Napoletano, colle quali
Egli ha inteso rendere pubblica la sua insoddisfazione per le Conclusioni della presidenza del
Consiglio Europeo di Bruxelles dello scorso 21 e 22 Giugno, aggiungendo che, ormai, la via
dell’«Europa a due velocità» è l’unica strada praticabile. Infatti, quando la realtà internazionale
rende ormai evidente, alle Nazioni d’Europa, quanto, per la loro esistenza collettiva come entità
politiche, sarebbe necessaria la costruzione di una Sovranità condivisa tra gli Stati d’Europa, che
solo uniti possono oggi averne una, alcuni Stati membri dell’Unione Europea hanno opposto un loro
paradossale liberum veto per difendere gli emblemi di “polvere senza sostanza”, come Luigi
Einaudi chiamava gli Stati nazionali dell’Europa d’oggi, e decidere di archiviare una Costituzione
ormai ratificata da Stati stendentisi sull’intero territorio dell’Impero di Carlo V e della parte europea
dell’Impero d’Oriente Romano Greco.
Proprio come, in passato, i Magnati polacchi, per difendere un decorativo potere feudale che
richiedeva l’unanimità per ogni legge, causarono lo smembramento della loro Patria tra confinanti.
Il risultato, pronubi molti altri, sono quelle conclusioni giustamente rigettate dal Capo dello Stato.
Gli esiti del Consiglio Europeo del Giugno 2007, tuttavia, sembravano intaccare, per certi versi,
solo la forma, in quanto espungevano dal testo il termine «costituzione» ed evitavano riferimenti a
bandiera ed inno, ma dichiaravano di salvare la sostanza delle disposizioni. Che cosa è la
Costituzione per l’Europa firmata nel 2004, se non un riordino dei principî che formano la base del
sistema normativo dell’Unione Europea, rafforzando: le competenze in politica estera e di
sicurezza, coll’istituzione del Ministro degli Esteri comune; la tutela dei diritti e libertà
fondamentali, attraverso il riconoscimento del valore giuridico di norma dei trattati alla Carta dei
Diritti dell’Unione e la ratifica, da parte dell’Unione Europea, della Convenzione sui diritti e le
libertà fondamentali del Consiglio d’Europa; la bilancia di poteri tra le Istituzioni supernazionali?
Cosa cambia, allora diceva e scriveva taluno, se non il nomen juris, se tali disposizioni non sono più
inserite in un testo unico col nome di «costituzione»? Cosa muta se il Ministro degli Esteri viene
denominato Alto Rappresentante dell’Unione, conservando i nuovi poteri e competenze? Forse il
Trattato che istituisce la Comunità Europea subisce una metamorfosi pel sol fatto di chiamarsi
Trattato sul funzionamento dell’Unione? Se fosse tutto qui, si potrebbe dire che è solo atto di
acquiescenza al gusto del futile, che obbliga a raggiungere gli stessi scopi per ottenere i quali
basterebbe che gli Stati membri i quali non l’abbiano ancora fatto ratificassero la Costituzione del
2004 attraverso un nuovo negoziato ed una nuova procedura di ratifica, buttando via anni. Tanto per
cominciare, la Storia, in genere, è insofferente e non ammette ritardi. C’è però, soprattutto, da
chiedersi cosa significhi l’inciso: «Il Trattato di Unione europea ed il Trattato sul funzionamento
dell’Unione non avranno natura costituzionale», scritto di passata nelle conclusioni di quel
Consiglio Europeo. Giuseppe de Vergottini, sul Dizionario di Politica di Norberto Bobbio, Nocola
Matteucci e Gianfranco Pasquino ha, infatti, tra gli altri, chiarito: «Secondo la dottrina giuridica per
costituzione si intendono i principî che stanno alla base del sistema normativo di un ordinamento,
con riferimento al numero di svariati enti, quali gli Stati, le organizzazioni internazionali, le
comunità supernazionali». Questa è la funzione dei Trattati istitutivi delle Comunità e dell’Unione
Europea non da oggi, ma dai tempi del Trattato istitutivo della Comunità carbosiderurgica, cioè dal
sorgere del processo d’integrazione supernazionale, negli anni cinquanta del ventesimo secolo
dell’era volgare. A prima vista, questo proposto nuovo «Trattato leggero» non sembra alterare la
natura delle cose. Tale espressione detta di passata, però, può essere spiegata solo coll’idea di
negare il nomen juris «costituzione» alla cornice normativa d’un ordinamento non originario ma
derivato. Idea influenzata dalla concezione, presente anche negli Immortali Principî francesi del
1789, che il termine si applichi solo allo statuto d’un paese libero, dove cioè tutti i cittadini godono
a titolo originario di diritti politici, e non ad un ordinamento in cui solo alcuni derivino questi diritti
da particolari condizioni, i paesi semiliberi, oppure a nessuno di essi siano concessi, come nei paesi
dispotici. S’intende, così, ribadire che lo statuto della cittadinanza dell’Unione è attribuito dagli
Stati membri solo nella misura in cui essi lo concedano. Ed infatti, quegli stessi Governi che hanno
voluto quella non richiesta precisazione nel Luglio successivo, all’apertura della nuova Conferenza
intergovernativa che dovrebbe varare il testo alternativo al Trattato che istituisce una Costituzione
per l’Europa, si sono subito rimangiati la concessione fatta nel Consiglio europeo del Giugno
precedente per quanto attiene al carattere giuridicamente vincolante della Carta dei Diritti
Fondamentali dell’Unione Europea, pur non inserita nel «Trattato leggero». Cosa da Stati Generali
d’antico regime, da antica Dieta polacca. Chi si batte per i Diritti dell’Uomo non può chiaramente
accettare questa logica. Bisogna chiedersi come l’Italia di Luigi Einaudi potrebbe accettare
un’Europa simile.
E difatti il Capo dello Stato italiano, quel Giorgio Napolitano che, con Giorgio Amendola, aveva
trovato proprio nella battaglia del federalismo europeo la redenzione di una sinistra dal passato
bolscevico, intrinsecamente illiberale, ha respinto nettamente, dalle viscere più profonde, la
prospettiva di ridurre lo statuto dell’Unione Europea a quello d’una mera unione internazionale,
seppure dalla struttura complessa ed articolata, rinunziando a quella costituzionalità supernazionale
che ne ha costituito, in mezzo secolo d’integrazione, il carattere precipuo ed originale. C’è da
chiedersi come possa accettare questo un Presidente del Consiglio già Presidente della
Commissione della Comunità Europea all’epoca della redazione del Trattato che istituisce una
Costituzione per l’Europa. Ci si chiede come potrebbe accettare questa prospettiva anche il Centro
Destra, con un Silvio Berlusconi od un Gianfranco Fini, che hanno nel loro ruolo passato nel
processo costituente europeo i loro maggiori titoli di legittimazione politica. Insomma, il Capo dello
Stato, con la sua esternazione, una volta tanto ha veramente assunto, nei sentimenti, la
rappresentanza internazionale della Nazione. Spetterà ai governi, questo e futuri, prenderne atto. Ed
è questo il senso dell’Appello che si pubblica. Nel clima attuale può sembrare velleitaria la richiesta
di convocare una conferenza tra gli Stati membri che hanno ratificato la Costituzione per l’Europa
per farla entrare in vigore tra sé, regolando poi i rapporti istituzionali con gli Stati membri
dell’Unione Europea che intendano non accettarla. Qualche giurista scriverà che ciò ledrebbe i
meccanismi previsti per l’emendamento dei Trattati istitutivi della Comunità e dell’Unione europea.
A loro ribadiamo che un Trattato il quale, con la scusa d’esser leggero, revocasse in dubbio la
natura costituzionale di tutto il processo istituzionale supernazionale sarebbe una violazione non
della forma, ma dello spirito di tutto il processo d’integrazione europea che, come diceva Jean
Monnet, non è fatto solo per unire Stati, ma soprattutto per integrare uomini. Si legga il preambolo
del Trattato Istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, fatto a Parigi, il 18
Aprile 1951, che è l’atto di nascita del processo d’integrazione europea. Ci si renderà subito conto
che quell’Europa organizzata, colla quale s’intende superare le gelose rivalità fomentatrici di
guerre, intende costituire un vincolo federativo comune che obblighi costituzionalmente gli Stati
membri per costruire diritti di cittadinanza comune per i singoli uomini liberi. Rigettare questa
intrinseca natura di tutto il processo e delle Istituzioni supernazionali vuole dire violare in radice
tutti gli impegni già sottoscritti, e quindi porsi fuori dagli stessi Trattati Istitutivi. Nulla vale, in
questo caso, fare appello alle procedure previste per novellare gli stessi per pensare a stravolgerne la
sostanza, l’anima. Quindi un Governo italiano deve rifiutare qualunque emendamento rinneghi
esplicitamente la natura costituzionale del processo. Oltretutto, se la storia nazionale ha anche un
senso simbolico, l’Italia s’è costituita nel motto Foedere Et Religione Tenemur .
Riccardo Scarpa i
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