Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 29 (2010), pp. 31-54 di 24 Rivista scientifica del volontariato archeologico www.aut-online.it L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III. Evidenze numismatiche e questioni di metodo Turmoil in the Western Alps during the Third Century. Numismatic evidences and methodological questions Ettore Bianchi Gruppo Archeologico Ligure [email protected] Riassunto Il secolo III dell’era volgare fu un tempo d’instabilità politica ed economica. Allora numerosi gruzzoli monetali furono sotterrati, per precauzione, ma non più ricuperati. Questa tendenza riguardò, tra l’altro, le alture della catena alpina occidentale che separano il bacino del Rodano e quello del Po. Lassù la notevole perdita di «tesoretti» non fu causata da improvvisi pronunciamenti militari o da violente invasioni barbariche; neppure ci fu una straordinaria formazione di ripostigli, alcuni poi dimenticati, in una congiuntura inflattiva. Piuttosto, si deve considerare la minaccia dei briganti autoctoni e dei cosiddetti Bagaudi. Per causa loro, molti cittadini romani furono ammazzati o costretti alla fuga, lasciandosi dietro i risparmi che avevano occultato. Abstract The 3rd Century AD was characterized by political and economic turbulence. Therefore a high number of coin hoards was buried for caution, but never recovered. Such a trend concerned also the highlands close to the Western Alpine chain, dividing the Rhodanus and Po valleys. Up there, a lot of «treasures» had been lost neither due to sudden mutinies of troops or violent barbarian raids nor money was set aside and sometimes forgotten, in response to unusual inflation. Actually, the threat of local robbers and the so-called Bagaudae must be considered. Because of them, many roman citizens were killed or compelled to flee away, leaving behind previously hidden savings. Keywords: Romano, Tesoretti, Brigantaggio, Po Introduzione La presente indagine sfiora un periodo storico molto complesso, dalle movenze non ancora del tutto chiarite vale a dire gli anni eccezionalmente difficili che vanno dall’età dei Severi (193-235 d.C.) alla riorganizzazione territoriale e politica che ebbe per artefice Diocleziano (284-306 d.C.). In tale intervallo la colossale armatura di città che reggeva l’impero romano andò incontro a oscillazioni inaudite e a pericolose lacerazioni, complicate da attacchi esterni e da esplosioni d’anarchia militare. Fino a non molto tempo fa, cioè prima che confuse impostazioni «continuiste» a oltranza prevalessero su quelle «catastrofiste», mettendo la sordina al dibattito, le posizioni sulla grande crisi del secolo III erano abbastanza nette. Gli storici d’idee conservatrici, propugnatori di una società stabile e fortemente gerarchica, riportavano tutti i guasti alla debolezza e ai vizi degli ultimi imperatori della dinastia antonina, incapaci di esercitare la sovranità nelle emergenze prodotte dalle guerre esterne e dalle invasioni barbariche. Viceversa gli storici liberal-democratici, l’ideale dei quali era una società dinamica e aperta, imputavano proprio all’eccessivo centralismo statale la colpa di aver rovinato l’economia romana, scoraggiando con imposte elevate, regolamenti dirigisti e derive autoritarie la libera iniziativa privata e la mobilità sociale ascendente (Mazza 1973, pp. 17-115). Dal canto suo il materialismo storico, che raccoglieva esigue conventicole nel mondo accademico occidentale, ma costituiva un robusto filone nell’Europa dell’Est, preferiva andare oltre le apparenze ArcheologiaUomo UomoTerritorio Territorio- -29/2010 29/2010 Archeologia pag. 31 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 2 di 24 della crisi, interpretando il secolo III come il caotico avvio di una contesa economica di lungo periodo fra la villa, basata sul modo di produzione schiavistico, e il latifundium valorizzato dai coloni, precursore dei rapporti feudali del Medioevo. In altre parole, i proprietari di tenute piccole e medie, assiduamente legati ai territori delle rispettive città di appartenenza, entrarono in conflitto con i grandi proprietari fondiari, interessati a centralizzare la gestione di centinaia di appezzamenti diversi, senza troppi riguardi per le realtà economiche locali. La spaccatura in seno alla classe dominante gettò l’impero in una lunga fase d’instabilità politica e di debolezza militare. Non si poteva immaginare migliore opportunità, per tutti i nemici dell’ordine costituito, che una classe dominante divisa sulla spartizione di quote di rendita decurtate e quindi incapace di far valere con la legge e le armi la propria superiorità rispetto alle spinte eversive provenienti dal basso, dall’alto e da fuori (Bravo 1983). Per potersi orientare in un campo come questo, nel quale le opinioni sono molteplici e divergenti, una domanda giusta da porsi è se e in quale misura le turbolenze del secolo III abbiano avuto contraccolpi su un territorio determinato. Difatti, cimentandosi con eventi e processi verificatisi in ambiti circoscritti, più facili da abbracciarsi interamente, si può arrivare a una valutazione del peso relativo che ebbero nella crisi fattori generali come le guerre interne ed esterne, il fiscalismo esorbitante, lo svuotamento delle curie municipali, il declino della minore proprietà terriera e così via. La presente ricerca ha per scopo di dare un contributo originale, ancorché modesto, agli studi sul secolo III, approfondendo la situazione archeologico-topografica dell’area alpina occidentale, vale a dire della zona di giunzione fra il bacino del fiume Rodano e la pianura del Po. Il quadro geografico di riferimento La scelta delle Alpi occidentali come sfondo della presente ricerca risponde a tre motivazioni. In primo luogo, desiderando esplorare l’impatto del secolo III sulle condizioni di vita di province e regioni abbastanza ordinarie, poco o nulla militarizzate, si è preferito studiare delle terre lontane dal Reno e dal Danubio, quindi relativamente indenni dal turbine incessante d’invasioni barbariche a sorpresa e di sanguinose competizioni per il trono che flagellò le frontiere dell’impero. In secondo luogo, le Alpi occidentali, non avendo mai ospitato, se non sporadicamente, forti distaccamenti legionari, non risentirono troppo degli effetti economici trainanti ma anche distorsivi che, su ogni limes, comportava l’ingente ammontare di paghe e premi, stipendia et donativa, da corrispondere alle forze armate. L’ultima ragione è molto più arbitraria e riguarda la soggettiva familiarità che lo scrivente ha potuto acquisire, nel corso degli anni, con la documentazione relativa alla viabilità e ai siti di interesse archeologico nella zona di confine tra Italia, Francia e Svizzera. Al principio del secolo III, l’area alpina occidentale era formata da otto fra province e regioni contigue, con una superficie complessiva di poco meno di 78.000 km2. I confini reciproci di quei distretti mutarono parzialmente nel tempo; per convenzione, si sono prese per buone le articolazioni spaziali che erano in vigore all’epoca della dinastia severiana (Figura 1). Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 32 Figura 1. Città e borgate del III secolo d.C. nelle Alpi occidentali. Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 3 di 24 Partendo da occidente si osserva che la zona pre-alpina sulla riva sinistra del Rodano era compresa nella provincia della Gallia Narbonese. Questo distretto amministrativo era stato istituito nel 118 o 117 a.C. e affidato al governo di un proconsole di nomina senatoria, un civile, con poche o nulle truppe a sua diretta disposizione. Ciò premesso, vero è che entro l’antica Narbonensis si distinguevano tre differenti circoscrizioni. La Narbonese nord-orientale era estesa per circa 12.500 km2, costituiti prevalentemente da colline e terrazzi alluvionali (Rémy 2002). Tale territorio nella seconda età del ferro era stato controllato dalla grande confederazione celtica degli Allobrogi; dopo la sottomissione di costoro, i Romani avevano promosso un’intensa opera di urbanizzazione che aveva portato all’impianto di non meno di 22 fra città e borgate. In sintesi, alle soglie del secolo III, la Narbonese nord-orientale comprendeva una rete di città romane a maglie abbastanza fitte, quantificabile con 1 centro urbano di qualsiasi taglia e funzione ogni 568 km2 (12.500/22). La Narbonese centro-orientale era estesa per poco più di 12.700 km2, costituiti prevalentemente da ampie conche vallive e altipiani (Rémy 1985). Il suo territorio era stato già dominato dalla lega tribale dei Voconzi; i Romani l’avevano un po’ trascurato, dotandolo solo di 14 fra città e borgate; perciò la rete di città aveva maglie decisamente larghe, quantificabili con 1 centro urbano di qualsiasi taglia e funzione ogni 907 km2 (12.700/14). La Narbonese sud-orientale era estesa per quasi 14.700 km2, costituiti prevalentemente da colline, da terrazzi alluvionali e, scendendo a ridosso del Mediterraneo, da isolate emergenze litoranee (Février 1989, pp. 289-335). In passato il territorio era stato suddiviso tra la colonia greca di Marsiglia, le etnie celto-liguri dei Cavari e dei Salluvi, nonché i Liguri Ossibi e Deciati. I Romani avevano lanciato un grande programma di urbanizzazione, che aveva portato a 30 fra città e borgate; quindi la rete di città aveva maglie molto fitte, quantificabili con 1 centro urbano di qualsiasi taglia e funzione ogni 490 km2 (14.700/30). Altri distretti, posti a cavaliere dello spartiacque alpino, erano le Alpi propriamente dette; queste erano articolate in tre province distinte (Prieur 1975). Le Alpi Graie e Pennine, verso nord, erano estese per 9100 km2, costituiti prevalentemente da massicci montuosi e valli profonde. In età pre-romana il territorio era stato articolato in due ambiti confinanti ma distinti: da un lato le Alpes Graiae, occupate dai Ceutroni, una federazione tribale retta da un grande capo di nome Atrezzio; donde l’altro aggettivo di Atrectianae, talora attestato epigraficamente. Dall’altro lato le Alpes Penninae, formate dalle riserve dei Nantuati, dei Seduni, dei Veracri e degli Ubèri. La sottomissione degli autoctoni fu compiuta da Augusto, tra il 15 e il 9 a.C. e si concluse con l’istituzione di un’unica provincia posta agli ordini di un procuratore militare, comandante di truppe stanziali. La provincia contava 12 centri urbani maggiori, perciò la rete di città romane aveva maglie larghe, quantificabili con 1 centro urbano di qualsiasi taglia e funzione ogni 758 km2 (9100/12). Le Alpi Cozie, in posizione mediana, erano estese per poco più di 8400 km2, costituiti prevalentemente da aspri rilievi montuosi e strette vallate. In età pre-romana il territorio era stato ripartito tra una dozzina di conciliabula, quali i Medulli, gli Ucenni, i Quariati, i Brigiani, i Caturigi, etc. Nel 13 a.C. Augusto costrinse alla resa, sotto le apparenze di una dignitosa alleanza, un reuccio indigeno chiamato Cottius; costui, per ingraziarsi l’imperatore, gli dedicò un bell’arco di trionfo davanti al proprio palazzo, nel 9 a.C. I successori di Cozzio governarono il loro tratto di Alpi, per conto di Roma, col titolo di prefetti fino a che, intorno al 63 d.C., Nerone trasformò la prefettura in provincia Alpium Cottiarum, affidandola a un procuratore con competenze militari. Si contavano 13 centri urbani maggiori, che definivano una rete di città romane a maglie larghe, quantificabili con 1 centro urbano di qualsiasi taglia e funzione ogni 646 km2 (8400/13). Le Alpi Marittime, sui bordi del Mediterraneo, erano estese per oltre 8800 km2, costituiti prevalentemente da impervie alture e valli incassate (Lamboglia 1965, pp. 5-18). Nella seconda età del ferro il territorio era stato occupato da un mosaico di gruppi etnici di stirpe ligure, quali i Vesubiani, i Suetri, i Vedianzi, i Nerusi e molti altri. Nel 14 a.C. i Romani sottomisero con la forza gli abitanti della zona; la liquidazione delle ultime sacche di resistenza indigena, nel 6 a.C., fu salutata da Augusto con l’erezione di un magnifico Trophaeum Alpium [LaTurbie], lungo la strada che collegava l’Italia con la Gallia Narbonese. Inizialmente organizzata come una prefettura, sotto Nerone l’area alpina meridionale fu trasformata in provincia Alpium Maritimarum e a sua volta militarizzata. Vi si contavano 11 centri urbani importanti, Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 33 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 4 di 24 che formavano una rete di città a maglie larghe, quantificabili con 1 centro urbano di qualsiasi taglia e funzione ogni 800 km2 (8800/11). Le terre sub-alpine, giacenti sul versante padano delle Alpi occidentali, erano ripartite in due regioni, dislocate una sopra, l’altra sotto la linea del Po (Zanda 1998). La regio XI Transpadana o, meglio, la porzione occidentale di essa, compresa tra la valle d’Aosta, i fianchi delle Alpi svizzere, il corso del fiume Sesia e la riva sinistra del Po, era estesa per poco meno di 10.000 km2, costituiti prevalentemente da colline, anfiteatri morenici e terrazzi alluvionali sovrastanti la valle del Po. Un tempo abitata da popoli celto-liguri, imparentati con i Voconzi e/o i Salluvi d’oltralpe, la regione fu riorganizzata da Augusto dopo il 25 a.C. mediante un sistema di coloniae e di oppida latina. Non esisteva una capitale provinciale, bensì un’armatura di almeno 14 centri urbani piuttosto autonomi. Ovviamente, i territori dei municipi, sempre trans Padum, di Novara, Como, Milano, Pavia, Lodi e Cremona non sono considerati in questa sede, giacendo essi oltre la linea del Sesia. Alle soglie del secolo III, questa Transpadana ristretta comprendeva una rete di città romane a maglie larghe, quantificabili con 1 centro urbano di qualsiasi taglia e funzione ogni 714 km2 (10.000/14). Finalmente, la regio IX Liguria o, meglio, la parte occidentale di essa, compresa tra le ultime propaggini delle Alpi Marittime, la riva destra del Po, il fiume Orba e la Riviera di Ponente, era estesa per quasi 10.800 km2, costituiti prevalentemente dai dossi collinari delle Langhe e del Monferrato, nonché da un’aspra dorsale montuosa sulla fascia costiera. Fino al II sec. a.C. l’area era stata dominio di genti liguri, quali i Bagienni, gli Epanteri, gli Ingauni, gli Intemeli e altri. Dopo la conquista romana vi sorsero 24 fra città e borgate di vario rango. Le notevoli entità municipali di Tortona, Libarna e Genova, ancorché senza dubbio liguri e dislocate cis Padum, non sono contemplate in questo studio, perché rimanevano a est del corso dell’Orba. In altre parole, alle soglie del secolo III, questa porzione di Liguria comprendeva una rete di città romane a maglie molto fitte, quantificabili con 1 centro urbano di qualsiasi taglia e funzione ogni 450 km2 (10.800/24). I valori di scambio perduti Ogni ricerca storica deve partire da qualche genere di materiale empirico da analizzare. In questo caso si considerano le numerose somme di denaro che furono occultate e non più recuperate nell’area alpina occidentale, durante il secolo III, per cause particolari che si chiariranno in seguito. Per definizione, un «tesoretto» è un deposito archeologico costituito da due o più monete, in genere decine, centinaia o anche migliaia, che furono nascoste deliberatamente in un apposito loculus, sicuro e segreto, detto «ripostiglio monetale». Il denaro, poco o tanto che fosse, poteva conservarsi in salvadanai, sacchetti di stoffa, ceste di vimini, borse di cuoio, recipienti metallici, pentole di terracotta, anforette, insospettabili tubi di piombo; il tutto era poi calato dentro buche scavate nel terreno, tra le radici di frondosi alberi, nel mezzo di anfratti rocciosi, in fondo ai pozzi, nelle intercapedini di muri, sotto i tetti o nelle cantine di dimore private. Talora le monete erano riposte in cassette insieme con altri oggetti preziosi, quali gioielli, coppe o piatti in argento e perfino strumenti agricoli in buone condizioni. Varianti notevoli erano le monete offerte alle divinità e deposte, da sole o con altri oggetti di pregio, entro stipi votive, pozzetti sacrificali o casse templari annesse a venerabili luoghi di culto (Abdy 2002, pp. 7-11). In base alla composizione, si può risalire alla genesi dei vari depositi monetali. Se un tesoretto contiene soltanto, o in prevalenza, monete di alto valore nominale, ad es. denarii, quinarii o antoniniani d’argento, si parla di «ripostiglio per custodia». Esso riflette la consapevole e graduale selezione da parte del proprietario delle monete migliori, con il potere d’acquisto più grande, che capitavano man mano in suo possesso e che egli ritirava dagli scambi quotidiani. Il tesoretto potrebbe essere stato di un operatore economico che l’aveva accantonato per acquistare una partita di merci, per effettuare un investimento, per comprare degli schiavi, per affrontare un viaggio o, semplicemente, per fare opere di beneficenza. Un comune padre di famiglia potrebbe aver messo in disparte un gruzzolo per comprare del cibo, per fornire una dote alla figlia, per pagare le tasse, per curare un’eventuale infermità, per pagare un funerale, per onorare dei vecchi debiti, per riparare la casa. Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 34 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 5 di 24 Ancora, un servitore zelante potrebbe aver ottenuto dal padrone un bel po’ di mancia, peculium, per il bel giorno nel quale sarebbe stato liberato. La decisione di nascondere il gruzzolo rispondeva all’esigenza precipua di eludere gli occhi rapaci non solo dei ladri comuni, ma anche di pressanti agenti delle imposte, di vicini indiscreti o di congiunti odiosi. Ben altro è un tesoretto che contenga una miscela eterogenea di monete con tagli differenti, per lo più spiccioli, ad es. assi e quadranti in rame o sestertii e dupondii in oricalco, al fianco d’argenti dall’importo elevato. In tal caso si parla di «deposito d’emergenza», intendendosi un blocco di monete messe insieme tutte in una volta, senza il tempo di sceglierle con cura. Il proprietario, disturbato nelle sue transazioni correnti dall’approssimarsi di folle concitate o di strepiti guerreschi, deve aver avuto fretta di raccogliere e occultare quanti più contanti potesse, nella speranza di salvarli dal saccheggio. Il vantaggio, per i numismatici, di questo secondo tipo d’associazione è che tende a rispecchiare piuttosto fedelmente i caratteri della circolazione monetaria effettiva (Arslan 1983). Indipendentemente dalle aspettative e dai timori dei singoli cittadini romani, ciò che importa per gli scopi della presente indagine è constatare che, in molti casi, la precauzione di condere sub terra i propri denari fu inutile: una frazione apprezzabile di quelle monete, dopo qualche tempo, non tornò mai più nelle tasche di partenza, per quante attenzioni si ponessero nello scovarla. Non c’è bisogno di dimostrare quale interesse abbia l’escursione cronologica delle monete comprese in ciascun ripostiglio e, più ancora, l’individuazione dell’esemplare più recente: questo ha ottime probabilità di essere un terminus post quem per la data di chiusura del tesoretto. Se poi si rileva l’assenza completa di esemplari coniati in nome degli immediati successori di un dato imperatore, l’ultima emissione rappresentata offre una puntuale datazione ad quem per l’occultamento. Per illustrare un caso concreto, nel territorio della Savoia, in un posto che oggi è decisamente fuori mano, è venuta alla luce un’olla contenente circa 5.000 monete, per lo più argentee, di cui le ultime recavano l’effigie di Probo. Dato che il personaggio iniziò a governare nel luglio del 276 d.C. e perì, assassinato, nel luglio del 282, si trae la deduzione che il deposito fu nascosto durante o dopo gli anni 276-282. Si può restringere ancora di più la fascia temporale, grazie al metodo di datazione per assenza. Alla morte di Probo, il suo luogotenente Marco Aurelio Caro fu acclamato capo supremo dall’esercito e immediatamente confermato dal Senato di Roma. Tuttavia del vultus di questo Caro, tra le monete savoine ritrovate, non v’è traccia; perciò il ripostiglio fu chiuso prima della tarda estate del 282, prima cioè che cominciassero a circolare le emissioni del nuovo imperatore (Laffin et al. 1992). Va da sé che il punto preciso dove è stato rinvenuto un determinato tesoretto è un altro elemento utilissimo, niente affatto trascurabile dallo studioso: sempre nell’esempio, il suddetto gruzzolo, risalente al 276-282 e non più ritirato, potrebbe significare che quella specifica valle alpina, in quei sei anni, fu percorsa da fremiti e inquietudini, di natura da determinarsi, tali da impedire a qualcuno di riprendere la quota di ricchezza che in precedenza aveva occultato. Una volta compresa l’importanza cronologica e geografica dei tesoretti è venuta spontanea la tentazione di effettuarne un diligente censimento, limitatamente all’area alpina occidentale, come più sopra definita. S’è trattato di un paziente lavoro a tavolino compiuto passando al vaglio la letteratura numismatica più disparata, specialmente è stato comodo avvalersi per la parte francese dell’accurato inventario di Xavier Loriot e Bernard Rémy (TAF V-1; TAF V-2), mentre per l’Italia è risultata indispensabile la densa rassegna di Paolo Demeglio (Demeglio 2003). È ovvio che si sono dovute tralasciare moltissime segnalazioni improprie, per così dire «inquinanti»: le monete di scavo, di dubbia origine, raccolte tra i ruderi antichi; le monete che, nelle tombe, erano aggiunte ai corredi funerari a titolo di «oboli di Caronte», col fine di agevolare il viaggio del defunto nell’aldilà; le monete di cantiere, gettate nelle fondamenta di edifici particolarmente cari al committente con scopi benaugurali o commemorativi; le monete classificate come erratiche, per lo più fatte di metallo vile, cadute di tasca al proprietario, senza alcuna intenzionalità, sul ciglio di una strada o negli interstizi di un pavimento sconnesso; le monete di metallo prezioso e di bella fattura, destinate a uso personale, come parti di collane, orecchini, amuleti, etc. In definitiva, è stata messa a punto una lista di 158 tesoretti sicuri e leggibili, collocati sui due versanti, rodaniano e padano, delle Alpi occidentali e risalenti al periodo che va dall’inizio dell’età dei Severi, nel 193 d.C., alla fine della prima Tetrarchia, nel 306 d.C. (Appendice I). Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 35 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 6 di 24 Non si ha la pretesa di aver elencato tutti quanti i depositi monetali rinvenuti nel sottosuolo dell’area in esame: più di una notizia potrebbe essere sfuggita, vuoi perché non pubblicata, vuoi perché comparsa in riviste o atti di difficile reperibilità. In effetti, oltre ai 158 qui considerati, ci sarebbero ancora poco più di cinquanta possibili tesoretti, noti allo scrivente per fugaci citazioni scritte o per averne visto pezzi sparsi in diversi musei; tuttavia non è noto se sono completi né c’è certezza circa il terminus di chiusura; quindi si escludono dal censimento, pur segnalandoli a parte (Appendice II). Peraltro, sembra che sia stato raccolto un campione statistico numeroso e vario a sufficienza, per tentare di ricostruire alcune trasformazioni dell’area alpina nel III secolo. Dopotutto anche un numismatico celeberrimo, come Adrien Blanchet (1866-1957), aveva pubblicato una prima lista di circa 880 ripostigli monetali entro i confini francesi della sua epoca (Blanchet 1900, pp. 145-301); tuttavia, avendo poi continuato ad acquisire senza posa informazioni vecchie e nuove, nel 1943 lasciò al Cabinet des Médailles, presso la Bibliothèque Nationale di Parigi, un manoscritto, col titolo di Supplément aux trésors de monnaies romaines, dove si trovano segnalati oltre 1300 siti di occultamento. Soltanto un atteggiamento iper-critico, di scetticismo pregiudiziale, potrebbe reputare superfluo il risultato che il benemerito studioso aveva raggiunto agli esordi della raccolta, solo perché non esaustivo, alla luce delle integrazioni di quarant’anni dopo. Le monete fra tesaurizzazione e smarrimento Dopo aver sistemato i ripostigli noti per distretti territoriali e per ordine cronologico si può procedere sulla via dell’interpretazione storica. Si concede volentieri che la formazione precauzionale di tesoretti fosse capillare e continua in una società pre-capitalistica come quella romana, in cui le condizioni generali dello scambio, del consumo e dell’accumulazione delle ricchezze non erano compatibili con istituzioni creditizie sviluppate come quelle di oggi. A ben vedere, mentre i senatori, i cavalieri e i notabili municipali potevano permettersi, con i propri larghi mezzi, di pagare addetti alla sicurezza che vigilassero sui loro eleganti palazzi e sui relativi forzieri, le cose andavano in modo molto diverso per la miriade di bottegai, artigiani, soldati di professione, impiegati pubblici, etc., che gravitavano sui centri urbani, oltre che per i minori proprietari terrieri, gli amministratori di ville padronali e i venditori ambulanti che vivevano in campagna. Dal punto di vista di questo popolo minuto, di estrazione libera o libertina, né ricco né povero, parsimonioso fino all’estremo ma senza solide fortune alle spalle, impossibilitato ad accedere a un circuito bancario inesistente o ad alto rischio, la maniera più facile, anche se non la più sofisticata, di tutelare i propri sudati risparmi era quella, per così dire, di affidarli al terreno, augurandosi di poterli riportare in luce alla prima occasione o di lasciare il compito a parenti e amici (Foraboschi 1993). Peraltro, va ribadito con forza che il problema fondamentale, quello che si vorrebbe provare a risolvere in questa sede non è tanto quale disegno il titolare originario di un tesoretto avesse in testa all’atto di nasconderlo, quanto perché mai né lui né i suoi eredi fossero più riusciti a tornarne in possesso. Per meglio dire: essenziale è la perdita, non l’occultamento delle monete. In generale si possono immaginare diversi scenari, tutto sommato accidentali, dove collocare tale perdita: la dimora del depositante potrebbe aver preso fuoco o essere crollata improvvisamente, coprendo di macerie il denaro nascosto; il proprietario potrebbe essere deceduto nel sonno o per una disgrazia, senza essere riuscito a confidare il suo segreto; lo stesso individuo, affetto da demenza senile, potrebbe aver scordato l’esatta collocazione del nascondiglio e tutti gli sforzi per cercarlo sarebbero stati vani; oppure il titolare del deposito, magari un legionario, potrebbe essersi trasferito all’ultimo momento per ragioni di servizio ed essere morto oltremare; e così via (Okamura 1990). Tali spiacevoli eventi potevano capitare ovunque e in qualsiasi momento, a una percentuale più o meno costante della popolazione, ma questa è impossibile da quantificare oggi, poiché non è dato di sapere, in media, quanti cittadini dell’Impero ricorsero alla formazione di tesoretti e quanti di loro poi non se ne riappropriarono (Duncan-Jones 1994, pp. 67-94). Un’utile approssimazione al tasso fortuito di non-recupero potrebbe fornirlo il computo, conArcheologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 36 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 7 di 24 dotto per ambiti regionali discreti, dei ripostigli dimenticati dall’inizio del dominio augusteo alla morte di Antonino il Pio (27 a.C.-161 d.C.), poiché quelli furono tempi relativamente pacifici ed economicamente stabili. Nella zona alpina occidentale, secondo una lista che, per motivi di spazio, non si può esporre in questa sede, furono non meno di 29 i tesoretti lasciati sepolti durante i primi 188 anni dell’età imperiale, pari a 0,15 tesoretti/anno (ts./a.). Ma tale frequenza di abbandono non spiega a sufficienza i 158 ripostigli monetali rilevati nell’arco del secolo III: se la tendenza allo smarrimento, nei 113 anni fra il 193 e il 306 d.C., si fosse assestata sul medesimo ritmo dell’Alto Impero il campione alpino avrebbe dovuto limitarsi a circa 17 tesoretti (0,15 x 113), cioè a poco più di 1/10 di quanto realmente s’è trovato. Un’eventualità da non escludersi è che epidemie, terremoti, alluvioni o altre calamità naturali, nel III secolo possano aver condotto a morte simultanea più depositanti del solito. Sapendo che già i regni di Marco Aurelio e di Commodo rimasero funestati da una micidiale pestilenza e ammettendo che il morbo dell’ultima età antonina avesse infierito con eguale intensità per tutto il seguente secolo III (Whittaker 1980), si può provare a utilizzare le perdite di tesoretti degli anni 161-192 d.C., per sondare le conseguenze di una frequenza di smarrimento superiore ai livelli normali: nella zona alpina in esame si osserva un cluster di 24 tesoretti in 31 anni, pari a 0,77 ts./a.; se tale tendenza si estrapola ai 113 anni del secolo III in senso lato essa dà 87 tesoretti (0,77 x 113). Comunque la combinazione di smarrimento «fisiologico» e «patologico» lascerebbe senza movente quasi la metà dei 158 depositi dimenticati. Perciò diventa indispensabile richiamare, in qualsiasi discorso sopra i tesoretti del secolo III, dei fattori straordinari. In linea teorica, l’eccezionale balzo in avanti dei ritrovamenti monetali inquadrabili nel secolo III può essere derivato: 1) da un netto rialzo del tasso di non-recupero dei tesoretti, a parità di abitudine a nascondere riserve di denaro, rispetto ai primi due secoli dell’età imperiale; 2) da un accentuato incremento del numero di tesoretti occultati in principio, a fronte di una tendenza a perdere i ripostigli paragonabile, sostanzialmente, con quella precedente. Nel primo caso, ben sapendo quanto fosse attaccata ai quattrini, anche in età romana, la piccola e media borghesia, si deve additare qualche forzatura violenta come causa dell’inaudita volontà di lasciare sepolta sotto terra tutta quella ricchezza. Nel secondo caso il postulato fondamentale dell’analisi è che la variabile indipendente, da cui ricavare il numero dei depositi monetali giunti intatti fino ai giorni nostri, sia il numero di tesoretti occultato in origine. In breve: dato il livello di circolazione monetaria presumibile per un certo ambito geografico, quanti più tesoretti furono nascosti, tanti più ne andarono persi in modi puramente incidentali, per sfortuna o leggerezza dei proprietari, senza necessità d’invocare traumi collettivi. Rilevanza e limiti dell’invasionismo I primi tentativi sistematici per spiegare la sovrabbondanza dei tesoretti dimenticati nel secolo III furono condotti dal tedesco Theodor Mommsen (1817-1903) e dal francese Henri Cohen (1806-1880), i quali cominciarono a enfatizzare la tremenda pressione esercitata da eventi bellici sulla frazione non recuperata dei depositi monetali, contro una volontà di tesaurizzazione abbastanza costante nel tempo. Secondo quest’ipotesi, in più di un’occasione, parecchi detentori di depositi monetali, terrorizzati da genti straniere circumlatrantes o da soldataglie bramose di bottino, dovettero abbandonare le loro case precipitosamente e non ebbero più il coraggio di farvi ritorno; chi tentò di resistere al saccheggio finì ammazzato sul posto o trascinato via in catene, senza avere il tempo per recuperare la «roba» nascosta e neppure per comunicarne l’ubicazione a parenti o persone di fiducia; in entrambi i casi parecchi ripostigli del III secolo furono lasciati sotto terra, inviolati, per la gioia dei futuri archeologi e collezionisti (Blanchet 1936). L’idea che i tesoretti fossero rimasti indietro in quanto i legittimi proprietari, che di solito avrebbero detto o fatto di tutto per non perderli, furono costretti a una fuga senza ritorno o asArcheologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 37 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 8 di 24 sassinati, ha avuto per molto tempo un meritato successo perché forniva un quadro realistico dei nessi tra vicende politico-militari e tendenze psicologiche nel mondo romano. In effetti, durante la tarda età repubblicana, segnata dalle guerre civili, furono occultati e poi perduti numerosi gruzzoli, tanto in Italia, quanto negli altri teatri del gigantesco scontro armato fra populares e optimates (Crawford 1969). Nei primi due secoli dell’era volgare, relativamente pacifici, si ebbe una decisa riduzione dei ripostigli abbandonati nei vari angoli dell’Impero. L’apparente tranquillità durò fino all’età di Marco Aurelio che iniziò a essere turbata dai Marcomanni e da problemi economici e demografici di prima grandezza (Sorda 1980-81). Uno spettacolare aumento dei depositi monetali si registrò nel seguente «secolo di ferro», quando la società civile fu sconvolta da una terribile sequenza di incursioni barbariche, pronunciamenti militari, separatismi provinciali e tumulti popolari. Non si contano gli storici che hanno preteso d’identificare qui un Münzenfund-horizont, là un front d’enfouissements, lasciati dietro di sé da predoni germanici lanciati in crudeli scorribande o di soldati dediti a taglieggiamenti sulle popolazioni ospiti. Ad esempio, cartine di distribuzione alla mano, lo studioso nazista Harald Köthe (1904-1944) ha esaltato l’incontenibile energia guerriera dei Franchi e degli Alemanni, suoi antenati d’elezione, nei confronti della mollezza di costumi dei Romani e della cronica mutevolezza dei Celti, rimarcando con toni compiaciuti l’ubiquità di nascondigli monetali oltre il Reno (Köthe 1942). Usando le medesime mappe e leggendole in maniera analoga, Emilienne Demougeot (19101994), una grande storica certamente non tenera verso il Germanesimo, ha fornito articolate descrizioni di successive ondate barbariche in Gallia, maggiori o minori, comprese alcune di cui non sarebbe rimasta alcuna traccia documentaria (Demougeot 1969, pp. 493-521). Un’ulteriore spinta all’abbandono di monete fu data dalla paura di assedi e saccheggi, requisizioni e stragi, legata al transito di eserciti rivali, impegnati a disputarsi un determinato territorio (Gricourt 1954). Il fenomeno dei tesoretti perduti si sarebbe ridimensionato solo nel secolo IV, grazie alla ritrovata sicurezza sui confini e all’interno del paese. In verità, le cose non sono così semplici come sembrano a prima vista. Nessuno si stupisce che un’apprezzabile scia di tesoretti possa emergere lungo il limes renano, sottoposto a incessanti razzie germaniche o a frequenti ammutinamenti di truppe (Van Gansbeke 1955); così come sulle rive del Danubio, parimenti minacciate dalle fiere tribù sarmatiche (Mocsy 1974, pp. 102-104). Il discorso però non vale per le province lontane dai confini dell’Impero: ad esempio nella penisola iberica non è per nulla possibile ricondurre la maggioranza dei ripostigli del secolo III a un qualche incursus barbarorum o ai guasti di pronunciamenti militari (Sagredo 198185). Ancora, in Britannia si sono trovate dozzine di tesoretti nel pieno secolo III mentre, nei testi letterari o epigrafici, mancano i riferimenti puntuali a invasioni di Pitti, Scoti e Sassoni o a lotte intestine di qualche importanza (Reece 1974). Di fronte a questa situazione, che in inglese viene definita ironicamente di hoards without hordes, di «ripostigli senza orde», qualcuno è stato tentato d’introdurre nello schema le guerre mancanti, magari inventandone di completamente ignote alle fonti (Mocsy 1974, pp. 202, 205, 264). A nessuno sfugge la pretestuosità di questo genere di atteggiamento che, in alcuni casi, ha condotto a rappresentazioni ingannevoli o altamente speculative dei fatti storici (Haider 1989). Restando nelle Alpi occidentali, si osserva che 95 tesoretti su 158, pari al 60,16% del campione, furono occultati ma non recuperati tra il 193 e il 270 (Appendice I A-B); però, in zona, una sola invasione di Alemanni, nel 259-261 d.C., arrivò a seminare lutti e rovine in quantità rilevanti (Fellmann 1992, pp. 64-80). D’altra parte, l’histoire événementielle mostra che il confronto fra il legittimo imperatore Gallieno e il suo rivale gallico Postumo si manifestò più con atti diplomatici e gesti dimostrativi, finalizzati al riconoscimento delle rispettive sfere d’influenza, che non con battaglie cruente. In particolare non si videro scontri frontali fra i due nemici nell’area alpina occidentale: l’unica campagna militare vera e propria, intorno al 265, ebbe per teatro le Alpi centrali, tra il Nord Italia e la Rezia (Biffi 1989). Sarebbe irrealistico immaginare che un’unica razzia barbarica, verificatasi intorno al 260, per quanto devastante, da un lato facesse perire Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 38 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 9 di 24 a migliaia i cittadini romani, dall’altro ossessionasse col ricordo i superstiti al punto da costringerli a evacuare definitivamente la zona lasciando nel sottosuolo beni mobili nascosti addirittura molti anni prima. La congettura risulta ancora più inaccettabile se si rileva che il picco delle perdite di denaro, con 26 ripostigli scoperti, si toccò sotto Claudio il Gotico e suo fratello Quintillo (268-270), quasi un paio di lustri dopo il riflusso dell’ondata barbarica suddetta. Qualche critico potrebbe obiettare che un’invasione alemannica nel 270-271 ci fu davvero; tuttavia, l’appunto sarebbe inutile perché è certo che, quella volta, i barbari entrarono dal Norico e dalla Rezia nell’Italia nord-orientale e dilagarono verso l’Emilia e il Piceno, prima di essere sconfitti e ricacciati di nuovo su per i valichi delle Alpi centrali. In quel preciso frangente il nemico non si spinse più a ovest di Pavia e le Alpi occidentali non corsero mai alcun pericolo immediato di razzia (Huvelin 1982). Per quanto riguarda la fase successiva, dal 271 al 306 d.C., nelle Alpi occidentali continuò a ritmi sostenuti l’occultamento irreversibile di tesoretti: se ne conoscono 63 su 158, pari al restante 39,87% del campione (Appendice I C). Ciò nonostante, in quel tempo, i tentativi di sconfinamento al di qua del Reno da parte degli Alemanni furono bloccati sul nascere o comunque arginati prima che potessero giungere ai piedi delle Alpi occidentali. Inoltre, il solo conflitto notevole all’interno dei confini fu quello che vide opposto nel 280-281 d.C. l’usurpatore Proculo all’imperatore Probo; d’altronde né di Tetrico contro Aureliano (274), né di Carino contro Diocleziano (284) si tramandano, nella zona in esame, tracce indelebili di scontri per il potere (Biffi 1990). In breve, nelle Alpi occidentali, così come altrove, il numero dei ripostigli monetali abbandonati supera in modo schiacciante le occasioni certe di rumore guerresco e si rivela imbarazzante per chi voglia imputare il lascito dei tesoretti all’improvvisa scomparsa degli occultatori. La debole alternativa «economicista» Il vantaggio della spiegazione convenzionale stava nel vivido dramma di persecutori e vittime che consentiva d’evocare; il suo punto debole era rappresentato dall’eccedenza di tesoretti dimenticati rispetto alle rare e circoscritte gesta d’invasori forestieri o di generali senza scrupoli, ricordate dai documenti. Per superare questo difetto innegabile, particolarmente messo in luce dalle fatiche di Anne Strachan Robertson (1910-1997), s’è sviluppata, in seno alla comunità degli storici, un’inclinazione nettissima a sganciare le testimonianze di depositi monetali dai pericoli di ordine militare (Reece 1981). L’imponenza, per numero assoluto, dei ripostigli risalenti al secolo III significherebbe piuttosto che proprio allora, rispetto ai secoli precedenti, era cresciuta immensamente la pletora delle famiglie propense a tesaurizzare il proprio denaro, anche a rischio di smarrirlo. Schematizzando, oggi si preferisce ipotizzare un poderoso incremento del numero di tesoretti originariamente occultati, in presenza di tassi di non-recupero, dovuti a sbadataggini, disgrazie, trasferimenti d’ufficio o ad altri motivi accidentali, che restarono fissi o di poco fluttuanti intorno ai livelli consueti d’età alto-imperiale. Va da sé che lo scopo, neppure troppo velato, di tale revisione concettuale è quello di minimizzare, anche sul piano numismatico, le scosse violente e le rotture sociali nel corso della storia romana. La supposta frenesia di accantonare riserve monetali, a sua volta, non sarebbe dipesa da una spaventosa temporum perversitate, bensì da una spontanea reazione del mercato contro specifici interventi statali in campo monetario che sarebbero stati giudicati, a torto o a ragione, lesivi del risparmio privato (Casey 1986, pp. 53-57; Drinkwater 1987, pp. 154-157; Reece 2002, pp. 67-88). Facendo riferimento a misure di politica economica, è d’obbligo ricordare che l’epoca in esame, come minimo dal 253 al 301 d.C., conobbe una vertiginosa ascesa dei prezzi, associata all’emissione, da parte delle zecche ufficiali, di molte monete, ma di qualità deteriore. Quello della «grande inflazione» è un tema storiografico sul quale non si cessa di discutere (Callu 1969, pp. 111-146, 237-260, 475-483). Alcuni studiosi attribuiscono il disordine economico a un eccesso della domanda di merci, da Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 39 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag.10 di 24 parte sia di uno Stato oberato da spese militari e amministrative incomprimibili, sia di un’élite urbana avvezza al sovraconsumo; in tale chiave interpretativa, che pare condivisibile, la necessità di contenere il dissesto delle finanze, pubbliche e private, avrebbe dettato ad alcuni uomini politici, precisamente a Caracalla nel 215 e a Gallieno nel 260, la soluzione scorretta di degradare la moneta, enfatizzandone al contempo il carattere fiduciario, allo scopo d’alleggerire i pagamenti, dovuti dalla classe dominante a coloro che la rifornivano di beni e servizi (Foraboschi 1976; Corbier 1986). Altri autori puntano il dito, in ultima istanza, verso un vincolo oggettivo: la riduzione delle riserve di argento coniabile, da intendersi vuoi in senso relativo, di scarsità dovuta a una circolazione troppo vorticosa della moneta, vuoi in senso assoluto, di esaurimento dei giacimenti naturali di metallo; in tale congiuntura, dovendo continuare ad assecondare gli scambi economici, gli imperatori trovarono l’espediente di lanciare antoniniani a basso valore intrinseco, cioè a scarso contenuto di fino, a fronte di un valore facciale stabile o accresciuto. Tuttavia, temendo d’incassare un equivalente adulterato, i produttori e distributori delle merci si tutelarono, aumentando in misura più che compensativa i prezzi al pubblico; così s’innescò una spirale inflazionistica perversa, che coinvolse profitti e rendite, salari e debiti, imposte e trasferimenti di risorse statali (Depeyrot, Hollard 1987; Depeyrot 1988). Il paradigma «economicista» in materia di tesoretti pretende che, durante il secolo III, migliaia e centinaia di migliaia di cittadini, allarmati dalle malizie o dagli azzardi del governo centrale, avessero contemporaneamente deciso di sotterrare una parte della liquidità di cui disponevano, costituita dalle monete relativamente più vecchie e perciò di maggior pregio, in rapporto a quelle nuove, sempre più svalutate. Una simile teoria, è inutile negarlo, suscita enormi perplessità. La prima e principale obiezione è di ordine logico-storico: ammesso, ma non concesso, che l’inflazione galoppante fosse in cima alle preoccupazioni dei piccoli e medi risparmiatori, è sufficiente il buon senso per comprendere che, proprio nella previsione di un quotidiano aumento dei prezzi e/o di un progressivo svilimento del numerario, la pratica di mettere da parte dei contanti, correndo il rischio di ritrovarsi alla fine con pezzetti metallici d’incerto valore o addirittura fuoriusciti dal corso legale, sarebbe stata scoraggiata, non incentivata a dismisura. Viceversa, chiunque, dotato di un pizzico di accortezza, si fosse trovato con parecchi antoniniani, prossimi a perdere potere d’acquisto, non li avrebbe ammucchiati, ma se ne sarebbe disfatto quanto prima, in favore d’impieghi più sicuri, comprando case e terreni, schiavi e strumenti di lavoro, opere d’arte e gioielli, o, al limite, rifondendo le vecchie monete, con superiore quantità di fino, per farne maneggevoli lingotti o lucente suppellettile domestica. Chiaroveggenza a parte, si dovrebbe poter dimostrare che durante il secolo III ci furono legami organici tra le mutevoli scelte governative, le attività delle zecche e le impennate dei prezzi, per un verso e l’occultamento di tesoretti per l’altro. Tuttavia questo tipo di ricostruzione ha basi cronologiche assai fragili perché le date di chiusura dei singoli gruppi di ripostigli non seguono, se non in modo imperfetto e discontinuo, le tappe di svalutazione e poi di ripresa conosciute dalla moneta. In mezzo a ritardi e anticipi vari, una coincidenza specifica desta meraviglia: il nadir del tenore argenteo nell’antoniniano si toccò nel biennio 268-270, sotto Claudio II, con un titolo dell’1-2% appena, mentre, paradossalmente, proprio queste emissioni scadenti, marchiate con l’effigie del Divus Claudius, furono massicciamente inserite nei tesoretti del pieno secolo III (Bompaire, Hollard 1987). Di fronte a questa palese difficoltà, la quale s’appianerebbe già ricordando che l’età di Claudio il Gotico fu una delle più cupe dell’intera storia romana, specie in Occidente, negli ambienti «economicisti» s’ipotizzano situazioni del tutto contro-intuitive, come quella di miriadi d’irrazionali collezionisti, pateticamente affezionati ai loro cari vecchi tondelli di rame imbiancato, in dissidio con il despotico innovatore Aureliano, che avrebbe voluto ritirarli di circolazione e soppiantarli con un’altra moneta, in apparenza migliore. Ci si chiede, allora, perché non dovrebbe funzionare altrettanto bene, come spiegazione ad hoc, l’ipotesi diametralmente opposta: quella di speculatori oculatissimi che avrebbero accumulato consapevolmente monete di cattiva lega, sperando prima o poi di separarne il rame, del quale ci sarebbe stata una forte richiesta, magari quale materia prima industriale (Arslan 1990). La discussione, comunque, sarebbe di corto respiro, essendo arduo da sostenere che la Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 40 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 11 di 24 preferenza di principio per la moneta d’argento, rispetto al volgare divisionale in bronzo, sia venuta mai meno nel secolo III, pur essendosi succedute riforme monetarie di senso opposto, alcune introdotte per garantire il reddito di soldati esigenti e plebei riottosi (Lo Cascio 1993), altre favorevoli ai ceti superiori (Carrié 1993); riforme che potrebbero, occasionalmente, aver messo in oscillazione il rapporto di valore tra i metalli. La posizione «economicista», oltre che di sfasature cronologiche, soffre di un’incongrua dispersione geografica dei tesoretti. Il supposto bisogno di salvaguardare i risparmi dall’inflazione, chiudendoli in ripostigli segreti, dovrebbe essere stato avvertito in maniera omogenea ovunque o, meglio, in misura più ampia presso quelle popolazioni dell’Impero che erano più sviluppate nell’industria e nel commercio. Una necessaria conseguenza di tale argomento dovrebbe essere che, quanto più un comprensorio in antico fosse stato dotato di centri urbani, tanto più dovrebbe restituire oggi marcate concentrazioni di tesoretti (King 1981). Purtroppo ciò non è sempre vero: ad esempio nelle Alpi occidentali, scorporando per circoscrizione antica di appartenenza i 158 tesoretti conosciuti, si osserva che ben 88, cioè il 55,70% del campione, provengono dalla Narbonese nord-orientale, pur occupando tale distretto solo il 14,37% della superficie in esame. L’anomalia sta nel fatto che la Narbonese nord-orientale, con 1 centro abitato maggiore ogni 568 km2, non era la parte più urbanizzata della zona alpina interessata alla ricerca, potendosi stimare, ad esempio, 1 città ogni 490 km2 nella Narbonese sud-orientale; laddove, però, si contano solo 5 ripostigli del secolo III, cioè il 2,66% del campione, nonostante il comprensorio si estendesse sul 16,90% dell’area considerata. Si potrebbe osservare che l’impero romano certamente includeva province, come quelle egiziane e anatoliche, dove le condizioni di circolazione della moneta erano storicamente distinte dal resto del territorio statale (Harl 1996, pp. 97-124); oppure comprensori di frontiera, dov’erano di stanza legioni che drenavano enormi quantità di denaro pubblico (Stribrny 1989). Ciò nonostante, è poco credibile che, tra il Settentrione e il Meridione di un medesimo distretto, per di più in una provincia quasi smilitarizzata, la massa monetaria circolante, la sua velocità di rotazione, i criteri dell’amministrazione tributaria, etc. non fossero uniformi (Rémy 1985). D’altronde un’analoga discrepanza si riproduce, a scala più grande, nelle Gallie del secolo III: due province ricche e civili, come l’Aquitania e la Narbonese a occidente del Rodano, fanno spicco per la penuria dei ritrovamenti monetali, rispetto alla limitrofa Narbonese orientale, alla Lionese, alla Belgica e alle due Germanie (Lafaurie 1975; Genevieve 2000, pp. 45-49). Un altro eloquente contrasto, nella dislocazione dei tesoretti, si desume dalle cartine relative all’Italia Settentrionale, dove si riscontra una densità di reperti del secolo III molto maggiore andando verso il nord-ovest, specialmente nell’odierno Piemonte, relativamente arretrato, che guardando all’evoluto nord-est, in direzione dell’Adriatico, dove la circolazione monetaria doveva risultare ben più intensa (Chiaravalle 1990). Una volta di più la visione di uno straordinario boom della tesaurizzazione monetaria nel secolo III, tale da causare un indiretto aumento del numero di ripostigli monetali smarriti, risulta proiettata sopra scenari alquanto congetturali, per non dire completamente fittizi. La piaga misconosciuta del banditismo Nelle pagine precedenti si è dimostrato come la proposta «invasionista» in tema di depositi monetali del secolo III abbia un buon potere esplicativo ma risulti troppo riduttiva, strettamente vincolata com’è a pochi cozzi di spade puntualmente accertati; l’altra ipotesi, quella «economicista», è pressoché inservibile perché nasce da una versione deforme della psicologia dei risparmiatori non suffragata da alcun elemento probante, né cronologico né geografico. Un avanzamento in questo settore di studi può venire solo da un nuovo approccio che riprenda il nocciolo duro della prima impostazione, quello della violenza come causa di forza maggiore per l’abbandono dei ripostigli e lo allarghi fino a includere altri tipi di conflitto meno occasionali di quelli fra Barbari e Romani o fra eserciti romani opposti tra loro. Orbene, tutti gli storici della letteratura greca e latina e molti epigrafisti sanno che, nel mondo Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 41 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag.12 di 24 antico in generale e nelle campagne dell’impero romano in particolare, c’era una minaccia capillare e continua, sebbene poco clamorosa, che incombeva sui beni e sulle persone tanto dei piccoli e medi possidenti, quanto dei viaggiatori facoltosi, dei magnati arroganti o dei funzionari corrotti, vale a dire la pratica criminale dei furfanti autoctoni (Shaw 1984; 1989). Invero l’attività brigantesca era sordida abbastanza da essere taciuta in molte fonti scritte, vuoi per carità di patria, vuoi per disprezzo malcelato nei confronti della canaglia; ciò non di meno aveva una sua sinistra efficacia nel condizionare la vita di tutti i giorni, come attestano le non rare commemorazioni d’individui interfecti a latronibus e l’esistenza di forze di polizia impegnate nella repressione del brigantaggio. Infatti, d’accordo con i governatori provinciali, le singole amministrazioni locali, egemonizzate dai notabili cittadini, crearono talora appositi corpi armati di stationarii, «irenarchi», «lestoplasti», etc., tutti variamente dediti alla lotta contro i malfattori delle campagne (Pekàry 1987). Per citare un’area adiacente alle Alpi occidentali, la catena del Giura, essa fu sempre infestata da briganti, così che alcuni consigli municipali, come quello dell’odierna Nyon, sulle rive del Lago Lemano, furono costretti a istituire la carica straordinaria di praefectus arcendis latrociniis (Moltas 1978; Veuthey 1994). Riconoscere che il banditismo fu un male endemico nel mondo romano e che, in certe zone, raggiunse dimensioni allarmanti, è un’acquisizione intellettuale non priva d’importanza ma che, di per sé, rischia di esaurirsi in una descrizione tipologica, meramente classificatoria, incapace di arrivare alle radici sociali del fenomeno (Van Hooff 1988). Nel tentativo di superare quest’orizzonte concettuale, la visione degli storici di oggi pare un poco offuscata: c’è chi descrive i banditi come contadini poveri, arrabbiati per il disordine economico indotto o permesso dallo Stato (Gagé 1964, pp. 143-148), oppure come genti nomadi o montanare, dal carattere forte e rude, in qualche modo nostalgiche delle libertà preromane dei loro avi (Mac Mullen 1966, pp. 256-268) o, ancora, come energumeni dalla mente annebbiata, strumentalizzati da esponenti di seconda fila dei ceti dominanti locali (Hopwood 1989). Il giudizio prevalente, comunque, è che i latrones fossero dei soggetti marginali della società romana, sostanzialmente ininfluenti sul corso dei grandi eventi e dei grandi processi storici. Per trovare una concezione dinamica della presenza brigantesca bisogna rivolgersi alla scuola marxista: l’eminente storico sovietico Aleksandr D. Dmitrev (1888-1962) suggerì, a suo tempo, che il banditismo di età imperiale fosse sintomo non di un disturbo superficiale, bensì di un malessere profondo, potenzialmente distruttivo, a carico dell’intero organismo sociale. Secondo quest’autore, certamente tendenzioso ma col pregio della chiarezza, oltre che di una formidabile erudizione, la manovalanza delle bande che percorrevano le campagne del mondo romano, dalla Siria all’Egitto, dall’Italia alla Tracia, sarebbe stata reclutata tra gli schiavi rurali maltrattati, sempre e dovunque molto numerosi, ai quali, secondo le zone, si sarebbero uniti i pastori senza bestie, i braccianti disoccupati, i fittavoli sotto sfratto, i piccoli proprietari in rovina. I capi delle bande sarebbero stati, invece, degli individui esperti nell’uso delle armi e delle tattiche della guerriglia: per lo più migranti indocili di estrazione barbarica o disertori dell’esercito regolare. L’autentico brigante, non l’avversario politico diffamato come tale, avrebbe nutrito sentimenti anti-plutocratici, vagamente anarchici, contro le élite urbane, ricche e altamente civilizzate, che gli ricordavano l’oppressione subita; tale odio di classe si sarebbe espresso alla cieca, con atti di delinquenza comune, giacché un lucido programma di lotta rivoluzionaria era un miraggio per quelle epoche lontane (Dmitrev 1951). Il discorso può essere meglio circostanziato: in Occidente nella seconda metà del secolo II e nella prima metà del III, per ragioni legate alla demografia e alla fine delle grandi guerre di conquista, la riserva globale di schiavi prese a scarseggiare. I lavoratori agricoli rimasti, asserviti o liberi che fossero, essendo divenuti indispensabili alla società, presero confidenza di sé e rivelarono un’inaspettata combattività, sia nel portare avanti rivendicazioni economiche, sia nel reagire con veemenza alle offese; tra le forme di questa reazione ci fu la scelta, da parte di molti, di darsi alla macchia e cominciare a vivere di rapine e sequestri. Il brigantaggio, montante in parallelo alla complessiva ascesa sociale delle classi subalterne, con passo lento ma inesorabile, divenne un serio pericolo in tutte quelle province dove l’agitarsi di pravi homines, figli della società schiavistica in decomposizione, rischiava di saldarsi con le micidiali scorrerie barbariche o di camuffarsi tra le proteste di soldati violenti (De Ste.-Croix 1981, pp. 474-484). Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 42 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 13 di 24 Applicando ai ripostigli monetali quest’inedita prospettiva, che rimanda a un brigantaggio diffuso, si può affermare che nel III secolo, rispetto ai due secoli precedenti, aumentò drammaticamente la frazione di tesoretti perduti, non il numero assoluto di quelli nascosti in partenza; molto più di prima, infatti, i risparmiatori furono attanagliati dalla paura. Non solo da quella, occasionale, di predoni forestieri o soldatesche rapaci, ma anche e soprattutto da quella, permanente, per i grassatori autoctoni; in effetti, quei malviventi erano dappertutto e potevano sempre aggredire a mano armata i cittadini abbienti, costringerli a rifugiarsi altrove o, addirittura, ucciderli, non lasciando loro il tempo di recuperare i gruzzoli occultati. Nei limiti dell’area alpina occidentale si osserva una certa tranquillità delle campagne lungo tutta l’età dei Severi: 9 ripostigli scarsi, chiusi nei 42 anni dal 193 al 235, fanno 0,21 ts. (9/42) per anno; un valore non dissimile da quello di 0,15 ts. per anno, attestato, come s’è visto, per il periodo da Augusto ad Antonino Pio. La calma deve essere stata imposta dal pugno di ferro di Settimio Severo, noto persecutore dei ribelli di ogni risma (Alföldy 1971). Un drastico peggioramento dell’ordine pubblico si ebbe nella fase storica successiva: 86 ripostigli, chiusi nei 34 anni dal 236 al 270, fanno 2,53 ts. (86/34) per anno, totalizzando il + 1100% sulla media del quarantennio precedente. Probabilmente una parte delle classi inferiori diede libero sfogo al rancore sociale contro gli sfruttatori e gli honestiores in generale, adottando mezzi estremi, compreso il banditismo. In particolare il biennio 268-270, con i suoi 26 ripostigli, pari a 13,00 ts. (26/2) per anno, conobbe l’apogeo dell’insicurezza nelle Alpi occidentali. Quest’infittirsi dei reperti coincise nel più ampio teatro delle Gallie con un salto di qualità delle bande di fuorilegge già esistenti, le quali, rese baldanzose da un incoerente ed effimero tentativo secessionista dei maggiorenti gallo-romani, divennero agguerrite al punto di configurare, poco prima del 270, una sorta di rivolta contadina: quella dei cosiddetti Bagaudae (Lassandro 1981-82; Badot-De Decker 1992). Nel corso dell’epoca seguente, da Aureliano alla prima Tetrarchia, nella zona alpina occidentale, ci fu un ritorno molto graduale alla stabilità: 63 ripostigli chiusi nei 35 anni dal 271 al 306 fanno 1,80 ts. (63/35) per anno, che rappresentano un calo di quasi il 29% sulla media antecedente, pur restando la frequenza di abbandoni ancora otto volte e mezza superiore a quella dell’età severiana. In quel tempo i Bagaudi, dietro impulso dei loro ultimi capi, Amando ed Eliano, continuarono a imperversare un po’ dovunque, comprese le Alpi Graie e Pennine: ivi, secondo la tradizione, si verificò l’ammutinamento di un reparto di soldati egiziani, provenienti dalla remota Tebaide, che era stato mandato a liquidare i ribelli (Cracco Ruggini 1983). Il grave subbuglio rusticano fu sedato, nel 286, da Massimiano e Diocleziano; tuttavia, per evitare il ripetersi di analoghi tumulti nelle campagne, il padronato e il governo s’accordarono per accelerare la sostituzione dei servi rurali con schiere di fittavoli legati alla gleba, dando così origine ai coloni semiliberi della Gallia tardo antica (Dockés 1980; 1982, pp. 76-90 e 212-232). Conclusione Considerato che l’apporto della numismatica, in concorso con l’archeologia e la documentazione scritta, può migliorare sensibilmente la conoscenza dei fatti economici e sociali dell’antichità, un bilancio preliminare sui ripostigli del secolo III, nell’area alpina occidentale, consente di anticipare quanto segue: ogni volta che non si trovino stretti collegamenti tra più tesoretti sincroni, cioè nascosti in un medesimo frangente, e discese di barbari o guerre civili abbattutesi sopra un determinato territorio, si possono attribuire le brutalità subite dai cittadini romani alla delinquenza comune, imperversante dentro le frontiere imperiali. La dimostrazione di quest’ipotesi «banditesca» richiederebbe un’analisi ben più articolata, fase per fase e distretto per distretto, di quella che si è potuta svolgere nelle pagine precedenti; ne emergerebbero puntuali aderenze tra la curva di abbandono dei depositi monetali, con i suoi picchi e discese, e il mantenimento dell’ordine pubblico durante il secolo III, con l’acutizzarsi progressivo del brigantaggio, con la sua trasformazione in movimento insurrezionale degli schiavi e dei contadini poveri, infine con il ripristino della legalità, dovuto all’opera di Diocleziano e dei suoi collaboratori. Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 43 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag.14 di 24 BIBLIOGRAFIA Abdy 2002 R. A. Abdy, Romano-British Coin Hoards, Shire, Princes Risborough. Alföldy 1971 G. Alföldy, «Bellum desertorum», in «Bonner Jahrbuch», 171, pp. 367-376. Amandry et al. 1986 M. Amandry, M. Willoume, A. Muret, B. Zaneboni, Le trésor de Villar-Saint-Pancrace (Hautes-Alpes): antoniniens de Valérien à Aurélien, in «Bulletin de la Societé Française de Numismatique», 41, pp. 76-78. Amandry et al. 1996 M. Amandry, S. Estiot, G. Gautier, F. Planet, Le trésor d’antoniniens des « Communaux d’Arésieux » à Villetted’Anthon (Isère), in «Bulletin de la Societé Française de Numismatique», 51, pp. 117-123. Amandry, Hollard 1997 M. Amandry, D. Hollard, Le trésor de bronzes romains de Plaisians (Drôme), in Trésors Monétaires, 16, pp. 21-23. Amedeo 1958 R. Amedeo, Una moneta romana a Pievetta di Prìola, in «Alta Val Tanaro», 36, p. 8. Antico Gallina 1986 M.V. Antico Gallina, Repertorio dei ritrovamenti archeologici nella provincia di Alessandria, in «Rivista di Studi Liguri, 52, pp. 59-150. Arslan 1983 E. A. Arslan, Angera 1981: uno o due ripostigli monetali del III secolo?, in G. Sena Chiesa (a cura di), Angera e il Verbano orientale nell’Antichità, Milano, E.T., pp. 195-211. Arslan 1990 E. A. Arslan, Ripostiglio di Calcinato, in Calcinato romana. Antiche e nuove scoperte archeologiche, Comune di Calcinato - Brescia, pp. 49-89. Badot, De Decker 1992 Ph. Badot, D. De Decker, La naissance du mouvement bagaude, in «Klio», 74, pp. 324-370. Berard, Barruol 1997 G. Berard, G. Barruol, Carte Archéologique de la Gaule. Les Alpes-de-Haute-Provence (04), Paris, Maison des Sciences de l’Homme. Bertrandy et al. 1999 F. Bertrandy, M. Chevrier, J. Serralongue, Carte Archéologique de la Gaule. Haute-Savoie (74), Paris, Maison des Sciences de l’Homme. Biffi 1989 N. Biffi, Per una rilettura dei fermenti antiromani in Gallia nel terzo secolo. 1. Da Materno a Postumo, in «Invigilata Lucernis», 11, pp. 17-71. Biffi 1990 N. Biffi, Per una rilettura dei fermenti antiromani in Gallia nel terzo secolo. 2. Da Postumo ai Bagaudi, in «Invigilata Lucernis», 12, pp. 3-74. Blanchet 1900 A. Blanchet, Les trésors de monnaies romaines et les invasions germaniques en Gaule, Paris, Leroux (rist. anast., Sala Bolognese, Forni, 1978). Blanchet 1936 A. Blanchet, Les rapports entre les dépots monétaires et les évènements militaires, politiques et économiques, in «Révue Numismatique», 39, pp. 3-69; 205-270. Bompaire, Hollard 1997 M. Bompaire, D. Hollard, Le trésor de Brézins et les premières émissions de Claude II à Rome et à Milan, in Trésors Monétaires, 16, pp. 35-68. Bravo 1983 G. Bravo, La relativa importancia de los conflictos sociales tardorromanos en relaciòn con los diferentes esquemas de transiciòn, in «Klio», 65, pp. 383-398. Brunet, Estiot 1994 C. Brunet, S. Estiot, Le double trésor d’antoniniens de Sillingy, in «Etudes Savoisiennes», 3, pp. 107- 166. Buisson 1990 A. Buisson, Carte Archéologique de la Gaule. L’Ain (01), Paris, Maison des Sciences de l’Homme. Callu 1969 J.-P. Callu, La politique monétaire des empereurs romains de 238 à 311, Paris, De Boccard. Carrié 1993 J.-M. Carrié, Le riforme economiche da Aureliano a Costantino, in A. Carandini, L. Cracco Ruggini, A. Giardina (a cura di), Storia di Roma. 3.1. L’età tardoantica. Crisi e trasformazioni, Torino, Einaudi, pp. 283-322. Casey 1986 J.P. Casey, Understanding Ancient Coins. Introduction for Archaeologists and Historians, London, Batsford. Chiaravalle 1990 M. Chiaravalle, I ripostigli monetali del III secolo rinvenuti in Italia, in G. Sena Chiesa (a cura di), Milano capitale dell’Impero romano. 286-402 d. C., Cinisello B., Silvana, pp. 448-450. Corbier 1986 M. Corbier, Svalutazioni, inflazione e circolazione monetaria nel III secolo, in A. Giardina (a cura di), Società romana e Impero tardoantico. 1. Istituzioni, ceti, economie, Roma-Bari, Laterza, pp. 489-533. Cracco Ruggini 1983 L. Cracco Ruggini, Bagaudi e Santi innocenti: un’avventura fra demonizzazione e martirio, in E. Gabba (a cura di), «Tria corda». Scritti in onore di Arnaldo Momigliano, Como, Newpress, pp. 121-142. Crawford 1969 M. Crawford, Coin-hoards and the pattern of violence in the Late Republic, in «Papers of the British School at Rome», 37, pp. 76-81. Demeglio 2003 P. Demeglio, Ripostigli monetali in Piemonte tra età imperiale e altomedioevo: una schedatura, in S. Lusuardi Siena (a cura di), Fonti archeologiche e iconografiche per la storia e la cultura degli insediamenti nell’altomedioevo, Milano, Vita e Pensiero, pp. 173-195. Demougeot 1969 E. Demougeot, La formation de l’Europe et les invasions barbares. I. Des origines germaniques à l’avènement de Dioclétien, Paris, Montaigne. Depeyrot, Hollard 1987 G. Depeyrot, D. Hollard, Pénurie d’argent-métal et crise monétaire au IIIe siècle après J.-C., in «Histoire et Mesure», 2, 1987, pp-57-85. Depeyrot 1988 E. Depeyrot, Crise économique, formation des prix et politique monétaire au Troisième siècle après J.-C., in «Histoire et Mesure», 3, pp. 235-247. De Ste.-Croix 1981 G.E.M. De Sainte-Croix, The Class Struggle in the Ancient Greek World from the Archaic Age to the Arab Conquests, London, Duckworth. Dmitrev 1951 A.D. Dmitrev, Dvizhenie <latrones> kak odna iz form klassovoj bor’by v Rimskoj Imperii, in «Vestnik Drevnej Istorii», 4, pp. 61-72. Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 44 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 15 di 24 Dockés 1980 P. Dockés, Révoltes bagaudes et ensauvagement, ou la guerre sociale en Gaule, in P. Dockés, J. M. Servet, Sauvages et ensauvagés, Lyon, Presses Univ. Lyon, pp. 143-262. Dockés 1982 P. Dockés, Medieval Slavery and Liberation, London, Meuthen (ed. orig. Paris, 1979). Drinkwater 1987 J.F, Drinkwater, The Gallic Empire. Separatism and Continuity in the North-Western Provinces of the Roman Empire A.D. 260-274, «Historia. Zeitschrift fur Alte Geschichte», Stuttgart, 1987. Duncan-Jones 1994 R.P. Duncan-Jones, Money and Government in the Roman Empire, Cambridge, Cambridge Univ. Press. Estiot 1983 S. Estiot, Le trésor de Maravielle (Var), in Trésors Monétaires, 5, pp. 9-115. Estiot 1997 S. Estiot, Le trésor de Saint-Maurice-de-Gourdans-Pollet (Ain): 1272 antoniniens stratigraphés, in Trésors Monétaires, 16, pp. 69-127. Fellmann 1992 R. Fellmann, La Suisse gallo-romaine. Cinq siècles d’histoire, Payot, Lausanne (ed. orig. Stuttgart, 1988). Février 1989 P.-A. Février, Des villes et des campagnes, in P.-A. Février (a cura di), La Provence des origines à l’an Mil. Histoire et Archéologie, Rennes, Ouest-France. Foraboschi 1976 D. Foraboschi, Fattori economici nella transizione dall’antichità al feudalesimo, in «Studi Storici», 17, pp. 65-100. Foraboschi 1993 D. Foraboschi, La tesaurizzazione o la moneta nascosta, in «Rivista Italiana di Numismatica», 95, pp. 333-336 Gagé 1964 J. Gagé, Les classes sociales dans l’Empire romain, Paris, Payot. Ganet 1995 I. Ganet, Carte Archéologique de la Gaule. Les Hautes-Alpes (05), Paris, Maison des Sciences de l’Homme. Geneviève 2000 V. Geneviève, Monnaies et circulation monétaire à Toulouse sous l’Empire Romain, Musée St.-Raymond, Toulouse. Gricourt 1954 J. Gricourt, Les événements de 289-292 en Gaule et les trésors de monnaies, in «Revue des Etudes Anciennes», 56, pp. 366-376. Haider 1989 P.W. Haider, L’epoca romana nel Tirolo: alcuni problemi storici, in Die Römer in den Alpen / I Romani nelle Alpi, Bolzano, Athesia (AR.GE.ALP.), pp. 239-247. Harl 1996 K.W. Harl, Coinage in the Roman Economy, Baltimore, The Johns Hopkins Univ. Press. Hopwood 1989 K. Hopwood, Bandits, élites and rural order, in A. Wallace-Hadrill (a cura di), Patronage in Ancient Society, London, pp. 171-187. Huvelin 1982 H. Huvelin, La victoire du Lac de Garde de Claude II, in «Quaderni Ticinesi di Numismatica e Antichità classiche», 11, pp. 263-270. King 1981 C.E. King, The circulation of coins in the Western provinces A.D. 260- 295, in A. King, M. Henig (a cura di), The Roman West in the Third Century. Contributions from Archeology and History, Oxford, British Archeological Reports, pp. 89-126. Köthe 1942 H. Köthe, Zur Geschichte Galliens im dritten Viertel des 3. Jahrhunderts, in «Bericht der Römisch-Germanischen Kommission», 32, pp. 199-224. Lafaurie 1975 J. Lafaurie, L’Empire gaulois. Apport de la Numismatique, in H. Temporini (a cura di), Aufstieg und Niedergang der Römischen Welt, vol. II/2, Berlin-New York, De Gruyter Verlag, pp. 853-1012. Laffin et al. 1992 C. Laffin, B. Rémy, M. Amandry, Le trésor d’« antoniniani » d’Avressieux (Savoie), in «Etudes Savoisiennes», 1, pp. 5-49. Lamboglia 1965 N. Lamboglia, Il Trofeo di Augusto alla Turbia, Bordighera, Ist. Internaz. St. Liguri (3a ediz.). Lassandro 1981-82 D. Lassandro, Le rivolte bagaudiche nelle fonti tardo-romane e medievali: aspetti e problemi (con appendice di testi), in «Invigilata Lucernis», 3-4, pp. 57-110. Lauxerois et al. 1994 R. Lauxerois, V. Langlet, P. Pliska, F. Planet, G. Vichard, Un trésor monétaire enfoui en 294. Etudes et restauration, in «Bulletin de la Societè des Amis de Vienne», 89, pp. 75-80. Lo Cascio 1993 E. Lo Cascio, Dinamiche economiche e politiche fiscali fra i Severi e Aureliano, in A, Carandini, L. Cracco Ruggini, A. Giardina (a cura di), Storia di Roma. 3.1. L’età tardoantica. Crisi e trasformazioni, Torino, Einaudi, pp. 247-282. Loriot 1980 X. Loriot, Les trésors monétaires romains de la Suisse. 1. Canton de Genève, in «Bulletin de la Societé Française de Numismatique», 35, pp. 641-647. Mac Mullen 1966 R. Mac Mullen, Enemies of the Roman Order, Cambridge / Mass., Harvard Univ. Press. Mazza 1973 M. Mazza, Lotte sociali e restaurazione autoritaria nel III secolo d.C., Roma-Bari, Laterza. Mocsy 1974 A. Mocsy, Pannonia and Upper Moesia, Routledge, London. Moltas 1978 F. Moltas, Un nouveau notable de la « Colonia Equestre », in «Archäeologie der Schweitz», 1, pp. 134-137. Okamura 1990 L. Okamura, Coin Hoards and Frontier Forts. Problems of interpretation, in H. Vetters, M. Kandler (a cura di), Akten des 14. Internationalen Limeskongresses 1986 in Carnuntum, I, Wien, Österreichische Akademie der Wissenschaften, 1990, p. 45-54. Parisot 2004 N. Parisot, La circulation monétaire dans les sites ruraux du Sud-Isère, diss. non pubblicata, Univ. Grenoble. Pelletier et al. 1994 A. Pelletier, F. Dory, W. Meyer, J.-C. Michel, Carte Archéologique de la Gaule. L’Isère (38), Paris, Maison des Sciences de l’Homme. Pekàry 1987 T. Pekàry, « Seditio ». Unruhen und Revolten im römischen Reich von Augustus bis Commodus, in «Ancient Society», 18, pp. 133-150. Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 45 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag.16 di 24 Prieur 1975 J. Prieur, L’histoire des regions alpestres (Alpes Maritimes, Cottiennes, Grées et Pennines) sous l’Haut-Empire romain (Ier-IIIe siècle après J. C.), in H. Temporini (a cura di), Aufstieg und Niedergang der Römischen Welt, vol. II/2, Berlin-New York, De Gruyter Verlag, pp. 630-659. Reece 1974 R. Reece, Numerical aspects of Roman coin-hoards in Britain, in J. P. Casey, R. Reece (a cura di), Coins and the Archaeologist, Oxford, British Archeological Reports, pp. 78-94. Reece 1981 R. Reece, Coinage and Currency in the Third Century, in A. King, M. Henig (a cura di), The Roman West in the Third Century. Contributions from Archeology and History, Oxford, British Archeological Reports, pp. 79-88. Reece 2002 R. Reece, The coinage of Roman Britain, Brimscombe, Tempus. Rémy 1985 B. Rémy, Les dépôts monétaires antiques du Département de la Drôme, in «Revue Drômoise», 84, pp. 209-228. Rémy et al. 1996 B. Rémy, F. Ballet, E. Ferber, Carte Archéologique de la Gaule. La Savoie (73), Paris, Maison des Sciences de l’Homme. Rémy 2002 B. Rémy, Les limites de la cité de Vienne, in J.-P. Jospin (a cura di), Les Allobroges. Gaulois et Romains du Rhône aux Alpes, Gollion / Vaud, Infolio, pp. 96-99. Roda et al. 1997 S. Roda, F. Bolgiani, G. Cantino Wataghin, L’età tardoantica e il Cristianesimo, in G. Sergi (a cura di), Storia di Torino. I. Dalla preistoria al comune medievale, Torino, Einaudi, pp. 231-291. Sagredo 1981-85 L. Sagredo, Las invasiones del siglo III d.C. en Hispania a la luz de los tesorillos monetales, in «Hispania Antiqua», 11-12, pp. 80-114. Shaw 1984 B.D. Shaw, Bandits in the Roman Empire, in «Past & Present», 105, pp. 3-52. Shaw 1989 B.D. Shaw, Il bandito, in A. Giardina (a cura di), L’uomo romano, Roma-Bari, Laterza, pp. 335-384. Sorda 1980-81 S. Sorda, Due tesoretti di fine II secolo d.C. dalla «VI Regio», in «Annali dell’Istituto Italiano di Numismatica», 27-28, pp. 79-113. Stribrny 1989 K. Stribrny, Römer rechts des Rheins nach 260 n. Chr. Kartierung, Strukturanalyse und Synopse spätrömischer Münzreihen zwischen Koblenz und Regensburg, in «Bericht der Römisch-Germanischen Kommission», 70, pp. 351506. TAF V-1 X. Loriot, B. Rémy, A. Buisson, Corpus des Trésors Monétaires Antiques de la France. V. Rhône-Alpes. 1. Ain, Rhône, Loire, Ardèche, Paris, Soc. Franç. Numismatique. TAF V-2 X. Loriot, B. Rémy, Corpus des Trésors Monétaires Antiques de la France. V. Rhône-Alpes. 2. Drôme, Isère, Savoie, Haute-Savoie, Paris, Soc. Franç. Numismatique. Van Gansbeke 1955 P. Van Gansbeke, Les trésors monétaires d’epoque romaine en Belgique, in «Revue Belge de Numismatique», 101, pp. 5-44. Van Hooff 1988 A.J.L. Van Hooff, Ancient Robbers. Reflections behind the facts, in «Ancient Society», 19, pp. 105-124. Veuthey 1994 J.L. Veuthey, Le préfet à la repression du brigandage: nouvelles données, in «Etudes de Lettres par l’Université de Lausanne», 239, pp. 69-83. Vian 1966 P.C. Vian, Trouvailles de monnaies antiques dans la région de Vaucluse, in «Cahiers Numismatiques», 9, pp. 260263. Wiblè 1991 F. Wiblè, Massongex-«Tarnaia» à l’époque antique, in «Revue Historique du Mandament de Bex», 27, pp. 1-24. Whittaker 1980 C.R. Whittaker, «Agri deserti», in M. Finley (a cura di), La proprietà a Roma. Guida storica e critica, Roma-Bari, Laterza (ediz. orig. Cambridge, 1976), pp. 167-204. Zanda 1998 E. Zanda, Centuriazione e città, in L. Mercando (a cura di), Archeologia in Piemonte. 2. L’età romana, Torino, Allemandi, pp. 49-66. Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 46 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag.17 di 24 APPENDICE I Dovendo trattare uno schedario molto ricco di siti archeologici, a ogni ripostiglio è stato fatto corrispondere un numero d’identificazione. La numerazione è progressiva in ordine cronologico, procedendo per tre fasi successive, A-B-C, ampie ciascuna 35 anni circa, per nulla scandite da eventi politico-militari assunti a priori come discriminanti. Inoltre, i vari rinvenimenti sono raggruppati con un criterio geografico misto, che descrive l’odierna appartenenza amministrativa, ma fornisce contemporaneamente dei ragguagli sulla provincia o regione romana di riferimento. Così, per non perdere eventuali connessioni storicamente rilevanti, ciascuna delle tre sezioni comincia con i siti della Narbonensis nordorientale; seguono, nell’ordine, i siti della Narbonensis centro-orientale, della Narbonensis sud-orientale, delle Alpes Graie et Penninae, delle Alpes Cottianae, delle Alpes Maritimae e della Transpadana occidentale; infine compaiono i siti della Liguria occidentale. La figura 2 mostra chiaramente questa peculiare ripartizione spaziale. Per esigenze di brevità, invece, si è deciso di non riportare la composizione in specie monetali dei singoli tesoretti né le circostanze delle relative scoperte: per tutto ciò si rimanda alle opere citate in bibliografia. Figura 2. Tesoretti del III secolo d.C. nelle Alpi occidentali. Nn. 1-9: 193-235 d.C; nn. 10-95: 236-270 d.C; nn. 96-155: 271-306 d.C. Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 47 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 18 di 24 A-RIPOSTIGLI CHIUSI TRA IL 193 E IL 235 DOPO CRISTO. Il campione include 9 ripostigli di monete (nn. 1-9), di cui le più tardive recavano l’effigie di Settimio Severo (193-211), di Caracalla (211-217), di Eliogabalo (218-222) oppure di Alessandro Severo (222-235). B-RIPOSTIGLI CHIUSI DAL 236 AL 270 DOPO CRISTO. Il campione include 86 ripostigli di monete (nn. 10-95), di cui le più recenti emesse sotto Massimino il Trace (235-238), Pupieno e Balbino (238), Gordiano III (238-244), Filippo l’Arabo (244-249), Decio (249-251), Treboniano Gallo e Volusiano (251-253), Emiliano (253), Valeriano associato con suo figlio Gallieno (253-260), Gallieno regnante unico (260-268), Claudio II (268-270) oppure Quintillo suo fratello (270). Data la peculiare collocazione geografica delle Alpi occidentali, non si possono non prendere in considerazione alcuni depositi che si chiudono con pezzi dell’usurpatore gallico Postumo (260-269). C-RIPOSTIGLI CHIUSI DAL 271 AL 306 DOPO CRISTO. Il campione include 63 ripostigli di monete (nn. 96-158), terminanti con emissioni dei legittimi imperatori Aureliano (270-275), Tacito (275-276), Floriano (276), Probo (276-282), Caro (282-283), Numeriano (282-284), Carino (282-285), Diocleziano (284-305), da solo o insieme con uno dei suoi sodali nel regime della Tetrarchia, quali Massimiano l’Erculeo (286-305) oppure Costanzo I, detto il Cloro (292-306). Alcuni depositi si chiudono con pezzi degli usurpatori gallici Tetrico (271-274) e Bonoso (280). N 1 Comune Vaulx 2 Annecy 3 Menthon-St.Bernard Meyzieu 4 5 6 7 8 9 La MotteServolex Moirans Varces St.-Jean-deMaurienne Settimo Torinese Terminus Caracalla Bibliografia TAF V-2, p. 98 Caracalla? TAF V-2, p. 89 Settimio Severo TAF V-2, p. 99 Clodio Albino e Settimio Severo Settimio Severo? BLANCHET 1900, p. 155, n. 211. TAF V-2, p. 73. Distretto HauteSavoie HauteSavoie HauteSavoie Rhône Località Les Huches Les Fins A Le Bois Savoie Imprec. Isère Isère Savoie Imprec. Settimio Severo PARISOT 2004, p. 153. Imprec. Eliogabalo PARISOT 2004, p. 153 Imprec. Alessandro Severo TAF V-2, p. 79. Torino Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 Imprec. Isola Alessandro Severo DEMEGLIO 2003, n. 44 pag. 48 Tabella A Ripostigli chiusi tra il 193 e il 235 dopo Cristo. Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 19 di 24 N 10 12 13 Comune Thonon-lesBains St.-GenisPoully Bardonnex Reignier 14 Sillingy 15 Minzier 16 Seyssel 11 17 Amberieu-enBugey 18 Annecy 19 20 Veyrier-duLac Sévrier 21 Sault-Brenaz 22 Loyettes Distretto Savoie Località Tully Terminus Claudio II Bibliografia TAF V-2, p. 97. Ain Le Moulin Claudio II TAF V-1, p. 31 Genève HauteSavoie HauteSavoie HauteSavoie Ain Landecy Villy Claudio II Filippo l’Arabo Valeriano e Gallieno Valeriano e Gallieno Filippo l’Arabo Massimino il Trace Gordiano III LORIOT 1980 TAF V-2, pp. 94-95 Ain HauteSavoie HauteSavoie HauteSavoie Ain Ain Ceysollaz Ballon Sponda dx del Rodano Imprec. Les Fins B Grotte-de-laChaminée Imprec. Imprec. Imprec. 23 Faverges 24 Montcel HauteSavoie Savoie 25 26 Groslée Optevoz Ain Isère La Bathied’Albanais Imprec. A Imprec. Savoie Imprec. Savoie Portaz Isère Savoie Isère Cozance Pont-St.Charles Ruffieu Savoie Isère Imprec. Imprec. Isère Imprec. Isère Imprec. 36 St.-Etiennede-Crossey Lumbin Isère Imprec. 37 Brézins Isère Vie-de-Lariot 38 39 La Rivière Grenoble Isère Isère Imprec. La Grand Rue 27 La Motte-enBauges 28 St.-Françoisde-Sales 29 Trept 30 Cognin 31 32 33 34 35 NivolasVermelle Vimines Pontcharrasur-Breda Royas Viuz Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 Postumo Claudio II Postumo Valeriano e Gallieno Gallo e Volusiano Quintillo TAF V-2, p. 96. TAF V-2, p. 94 TAF V-2, p. 42 BUISSON 1990, p. 32 TAF V-2, p. 90 BERTRANDY et al. 1999, pp. 357-358. TAF V-2, p. 95. TAF V-1, p. 41 TAF V-1, p. 28 BERTRANDY et al. 1999, pp. 238-239. TAF V-2, p. 73. Gordiano III Filippo l’Arabo Filippo l’Arabo Quintillo TAF V-2, pp. 73-74. Claudio II Claudio II TAF V-2, p. 56 TAF V-2, p. 71. Valeriano e Gallieno Claudio II Claudio II TAF V-2, pp. 47-48. Valeriano e Gallieno Gordiano III TAF V-2, p. 50. Filippo l’Arabo Claudio II Gallieno Claudio II TAF V-1, p. 26. TAF V-2, p. 48. TAF V-2, p. 73. TAF V-2, p. 75. TAF V-2, p. 49. TAF V-2, p. 60. PELLETIER et al. 1994, p. 134. BOMPAIRE, HOLLARD 1997. TAF V-2, p. 50. TAF V-2, p. 44. pag. 49 Tabella B Ripostigli chiusi dal 236 al 270 dopo Cristo. Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 20 di 24 40 Montfalcon Isère Le Breniér 41 Vinay Isère 42 Vinay Isère 43 St.-Romans Isère Les Gallisières La Buissonnière Imprec. 44 Andancette Drôme Imprec. 45 46 La Tronche Auberivesen-Royans VeureyVoroize VeureyVoroize St.-Paul-lèsRomans St.-Just-deClaix La Mure Isère Isère Imprec. La Soyerie Isère Imprec. Isère L’Eglise Drôme Châtillon-St.Jean La Manaie 47 48 49 50 51 52 Gallo e Volusiano Filippo l’Arabo Valeriano e Gallieno Valeriano e Gallieno Valeriano e Gallieno Claudio II Valeriano e Gallieno Gallo e Volusiano Claudio II PELLETIER ET AL.1994, p. 159. TAF V-2, pp. 56-57. Decio TAF V-2, p. 32. Gordiano III TAF V-2, p. 53. Claudio II TAF V-2, p. 47 = p. 60? Drôme Croix-deFayollat Caraboni Gallieno TAF V-2, p. 27. Gordiano III Filippo l’Arabo Gordiano III Gallieno TAF V-2, p. 32. TAF V-2, p. 60. TAF V-2, p. 21. TAF V-2, pp. 17-18. Isère Isère TAF V-2, pp. 46-47. TAF V-2, pp. 57-58. TAF V-2, p. 58. TAF V-2, p. 54. TAF V-2, p. 16. TAF V-2, p. 56. TAF V-2, p. 41. Drôme Isère Rue B. Baro Graille 55 56 St.-Marcellès-Valence Valence Gresse-enVercors Montoison Montélimar Drôme Drôme 57 Eyzahut Drôme Marmousi Pont-duRoubion Ricoulet 58 La Bégudede-Mazenc La Rochesur-le-Buis Plaisians Drôme Imprec. Gallo e Volusiano Quintillo Drôme Sias Gallieno TAF V-2, p. 26. Drôme Les Esparans Decio Vaucluse Imprec. Gordiano III 62 Vaison-laRomaine Donzère AMANDRY, HOLLARD 1997. CALLU 1969, p. 121. Drôme Le Molard 63 Cadenet Vaucluse Le Castélar 64 Entrecasteaux Var Imprec. Valeriano e Gallieno Massimino il Trace Claudio II 65 Hyères Var Imprec. 66 Bex Valais Sous-Vent 67 Martigny Valais La Delèze Savoie La Madeleine 53 54 59 60 61 68 PontamafreyMontpascal Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 TAF V-2, p. 24. TAF V-2, p. 23. Valeriano e Gallieno Valeriano e Gallieno Valeriano e Gallieno Claudio II pag. 50 TAF V-2, p. 20 VIAN 1966. BLANCHET 1900, pp. 158-159, n. 230. CALLU 1969, p. 262 WIBLÉ 1991. WIBLÉ 1991. TAF V-2, p. 77. Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 21 di 24 69 Susa 70 Mompantero 71 Chorges 72 Busca 73 Digne 74 L’Escale-surla-Durance 75 L’Escale-surla-Durance 76 Castellane 77 Nice 78 Challant-St.Anselme 79 Gattinara Torino Torino HautesAlpes Cuneo Imprec. Urbiano Le Château Gallieno Gallieno Gallieno DEMEGLIO 2003 n. 46. DEMEGLIO 2003 n. 38. GANET 1995, p. 102. Imprec. DEMEGLIO 2003 n. 25. Alpes-deHauteProvence Alpes-deHauteProvence Alpes-deHauteProvence Alpes-deHauteProvence AlpesMaritimes Valle d’Aosta Vercelli Imprec. Filippo l’Arabo Gallieno Imprec. A Filippo l’Arabo CALLU 1969, p. 121. Imprec. B Quintillo CALLU 1969, p. 121. Les Aigles Quintillo BERARD, BARRUOL 1997, p. 122. Les Arènesde-Cimiez Corliod Valeriano e Gallieno Gallieno Inosa Gallieno Quintillo Gallieno Filippo l’Arabo Claudio II Valeriano e Gallieno Gallieno Gallieno Gallieno BLANCHET 1900, pp. 159-160, n. 232. CHIARAVALLE 1990, n. 7. DEMEGLIO 2003 n. 05 = n. 35. DEMEGLIO 2003 n. 48. DEMEGLIO 2003 n. 22. DEMEGLIO 2003 n. 41. DEMEGLIO 2003 n. 33. DEMEGLIO 2003 n. 47’. DEMEGLIO 2003 n. 47’’. Claudio II DEMEGLIO 2003 n. 39. Claudio II DEMEGLIO 2003 n. 37. Gordiano III ? Claudio II Gallieno ANTICO GALLINA 1986, p. 97. DEMEGLIO 2003 n. 21. DEMEGLIO 2003 n. 29. Quintillo DEMEGLIO 2003 n. 28. Filippo l’Arabo Gordiano III RIBERI 1932. 80 81 82 Vallemosso Masserano Quaregna Biella Biella Biella Campore Imprec. Cascina Pot 83 84 Caravino Vercelli Torino Vercelli Piro Imprec. Vercelli Torino Torino Ravinale Imprec. Via Santa Maria Imprec. 85 Fontanetto Po 86 Chivasso 87 Torino 88 Montiglio Asti Monferrato 89 Lu Alessandria San Bernardo Monferrato 90 Acqui Terme Alessandria Viale Savona 91 92 Alba Cherasco Cuneo Cuneo 93 Cuneo 94 Castelletto Stura Boves Sanadeiva San Bartolomeo Imprec. Cuneo Imprec. 95 Priola Cuneo Pievetta Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 BÉRARD, BARRUOL 1997, p. 170. DEMEGLIO 2003 n. 26. DEMEGLIO 2003 n. 49. pag. 51 AMEDEO 1958. Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 22 di 24 N 96 Comune Champanges 97 98 Bibliografia TAF V-2, p. 91. Imprec. Imprec. Terminus Diocleziano e Massimiano Costanzo I Aureliano Rue Traversière Champ-deTrélacin Imprec. A Tacito BRUNET, ESTIOT 1994. BRUNET, ESTIOT 1994. BRUNET, ESTIOT 1994. TAF V-2, p. 98. Località Ripaille Vesenaz St.-Genis-Poully Distretto HauteSavoie Genève Ain 99 Genève Genève 100 Cruseilles 101 Sillingy 102 Sillingy 103 Sillingy 104 Thusy 105 Seyssel 106 107 Amberieu-enBugey Annecy HauteSavoie HauteSavoie HauteSavoie HauteSavoie HauteSavoie HauteSavoie Ain 108 Annecy 109 110 Anglefort St.-Jorioz 111 Chindrieux 112 St.-Maurice-deGourdans La Boisse Marlens 113 114 115 116 Imprec. B Tacito Imprec. C Bonoso e Probo Costanzo I Le Jardin Bouchet Albigny Costanzo I La Porte Costanzo I AMANDRY et al. 1997. TAF V-1, p. 19. Les Fins C Aureliano TAF V-2, pp. 87-88. Les Fins D Probo TAF V-2, pp. 87-88. HauteSavoie HauteSavoie Ain HauteSavoie Savoie Imprec. Filly Aureliano Aureliano TAF V-1, p. 20. TAF V-2, p. 104. Chevigneux Tetrico Ain Pollet Carino REMY et al. 1996, p. 149. ESTIOT 1997 Ain HauteSavoie Savoie Isère Imprec. Le Villard Numeriano Tacito TAF V-1, p. 21. TAF V-2, p. 94 Imprec. Présieux Tacito Diocleziano Ain Isère Savoie Isère Isère Imprec. B Imprec. Imprec. Le Buclay Imprec. 117 118 119 120 121 Albens Villetted’Anthon Groslée St.-Chef Avressieux Heyrieux Vienne 122 Vienne Isère 123 124 Estrablin Nantoin Isère Isère 125 126 La Buissière St.-Vincent-deMercuze Le FontanilCornillon Isère Isère Place C. Jouffray La Coupe Les Charpennes Le Château La Bellangère Isère Beauregard 127 LORIOT 1980. BLANCHET 1900, pp. 295-296, n. 829. Diocleziano e LORIOT 1980. Massimiano Probo TAF V-2, pp. 91-92. Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 TAF V-2, p.77. PELLETIER et al. 1994, pp. 167-168. Costanzo I TAF V-1, p. 26. Costanzo I TAF V-2, pp. 51-52. Probo TAF V-2, p. 70. Probo TAF V-2, p. 45. Diocleziano e LAUXEROIS et al. Massimiano 1994. Diocleziano LAUXEROIS et al. 1994. Costanzo I TAF V-2, pp. 45-46. Probo TAF V-2, p. 47. Probo Costanzo I Tetrico pag. 52 TAF V-2, p. 43. PELLETIER et al. 1994, p. 136 TAF V-2, p. 44. Tabella C Ripostigli chiusi dal 271 al 306 dopo Cristo. Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 23 di 24 128 129 130 Vinay Beaufort St.-Martind’Uriage Isère Isère Isère 131 St.-Donat-sur l’Herbasse Gervans Drôme Le Cordière Imprec. Fort-desQuatreSeigneurs Imprec. Drôme Imprec. Drôme St.-Eusèbe Drôme Imprec. Costanzo I TAF V-2, p. 28. 135 136 137 Mours-St.Eusèbe St.-Paul-lésRomans Tain-l’Hermitage Tain-l’Hermitage Bouvante Drôme Drôme Drôme Imprec. L’Hermitage Imprec. TAF V-2, p. 32. TAF V-2, p. 29. TAF V-2, p. 18. 138 139 140 Allex Menglon St.-Genis Mandon Imprec. Imprec. 141 142 143 Bésignan La Mole Evionnaz Drôme Drôme HautesAlpes Drôme Var Valais Tetrico Diocleziano Diocleziano e Massimiano Tetrico Costanzo I Aureliano Mollans Maravielle Col-de-Coux Tetrico Diocleziano Costanzo I 144 Samoens Imprec. Aureliano 145 Rue Bonrieux Costanzo I Aureliano Imprec. Tetrico 148 Castelmagno HautesAlpes HautesAlpes Cuneo Imprec. 147 St.-Jean-deMaurienne Villar-St.Pancrace Embrun 149 Demonte Cuneo Santuario di San Magno Podio 150 Entrepierres Grotte-duTroud’Argent Le Bourguet Diocleziano e Massimiano Diocleziano e Massimiano Probo 132 133 134 146 HauteSavoie Savoie 152 Monaco 153 Gignod Alpes-deHauteProvence Alpes-deHauteProvence Principato di Monaco Aosta 154 St.-Christophe Aosta Imprec. 155 Scarnafigi Cuneo 156 Scarnafigi Cuneo Cascina Morina Imprec. 151 L’Escale-sur-laDurance Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 Floriano Tetrico Diocleziano TAF V-2, p. 58. TAF V-2, p. 42. TAF V-2, p. 54. Tacito TAF V-2, p. 26. Diocleziano e TAF V-2, p. 21. Massimiano Probo TAF V-2, pp. 24-25. TAF V-2, pp. 15-16 TAF V-2, p. 23. GANET 1995, p. 147. TAF V-2, p. 18 ESTIOT 1983. BLANCHET 1900, p. 301, n. 854. BLANCHET 1900, pp. 145-148, n. 182. TAF V-2, p. 74. AMANDRY et al. 1986. GANET et al. 1995, p. 104. RIBERI 1932. DEMEGLIO 2003 n. 32. BÉRARD, BARRUOL 1997, pp. 175-176. Costanzo I BÉRARD, BARRUOL 1997, p. 185. La Condamine Floriano BLANCHET 1900, pp. 159-160, n. 233. Mendej Diocleziano Diocleziano e Massimiano Aureliano CHIARAVALLE 1990, n. 49. RODA ET AL. 1997, p. 239 e nota 34. DEMEGLIO 2003 n. 43. DEMEGLIO 2003 n. 60. Diocleziano e Massimiano pag. 53 Bianchi - L’insicurezza delle Alpi occidentali nel secolo III - pag. 24 di 24 157 San Damiano Asti Verzeglio 158 Fossano Cuneo Levaldigi Diocleziano e Massimiano Aureliano DEMEGLIO 2003 n. 42. DEMEGLIO 2003 n. 34 APPENDICE II Per offrire indicazioni utili a chi voglia approfondire l’argomento, si fa cursoria menzione di 52 località, nelle Alpi Occidentali, da dove, un domani, potrebbe uscire conferma di ulteriori ripostigli monetali: Antrona e Monte Moro nel cantone Valais; Bellegarde-sur-Valserine, Ceyzérieu, Cormoranche-sur-Saône e Pougny nel dipartimento Ain; Annemasse, Douvain e Veigy-Foncenex nel dip. Haute-Savoie; Aix-les-Bains, Chambery, Francin, Gilly-sur-Isère, Aime, Moutiers, Verel-de-Montbel e Seez nel dip. Savoie; La Côte-St.-André, St.-Hilaire-dela-Côte, Pierre-Châtel, Chapareillan, Charvieu, St.-Alban-du-Rhône, St.-Sauveur-en-Isère e St.-Marcellin nel dip. Isère; Allan, Clérieux, Châteauneuf-de-Galaure, Grignan, St.-Avit e Col-du-Charnier nel dip. Drôme; Champ-cella e Château-Ville–Vieille nel dip. HautesAlpes; Carpentras, Cavaillon, Orange e La Bollène nel dip. Vaucluse; Tourves e Le Brusc nel dip. Var; St.-Rémy-de-Provence e St.e-Marie-de-la-Mer nel dip. Bouches-du-Rhône; Villeneuve-Loubet nel dip. Alpes-Maritimes; Armeno e Palazzo d’Ivrea nel Torinese; Sagliano Micca e Saluggia nel Vercellese; Chiusa Pesio e Manzano di Cherasco nel Cuneese; Casalborgone nell’Astigiano; Cerreto Grue e Pietramarazzi nell’Alessandrino. Ricevuto settembre 2009; accettato dicembre 2010 Archeologia Uomo Territorio - 29/2010 pag. 54