Sociologia della
Comunicazione
Non è possibile, oggi, non studiare i media. Molti definiscono l’attuale come
la società della comunicazione. Gestire l’impatto della comunicazione
mediale è l’attività fondamentale di ogni giornata e della vita di ogni attore
sociale. Dai media si ricevono tutte le informazioni necessarie, i prodotti
culturali (alti o bassi) che divertono o fanno pensare, le suggestioni che ci
inducono a cambiare poco o tanto, o più semplicemente suggeriscono come
fare acquisti, viaggiare, ecc. Eppure si studiano poco o non con l’attenzione
che meriterebbero. Basterebbe pensare, da un lato, alla cultura
dell’edonismo individualista e dello spettacolo e, dall’altro, al tragico
contesto delle guerre e del terrorismo. Tutte tematiche che affollano i
messaggi mediali ogni giorno e impongono mode, paure, atteggiamenti
collettivi aldilà delle barriere nazionali
Studiare i media è oggi fondamentale
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Malgrado tutto ciò, è ancora prevalente l’atteggiamento di coloro che ritengono
questi fenomeni di scarso significato e di nessun valore culturale. Molti tra quelli che
vi dedicano una qualche attenzione li condannano senza appello, ritenendoli
responsabili della distruzione o marginalizzazione della vera cultura: quella dei libri,
dell’arte, delle scienze. Quella dei valori veri.
Tragico errore perché la cultura veicolata dai mass-media sembra avanzare e
imporsi malgrado il disinteresse o il disprezzo degli apocalittici vecchi e nuovi.
Ma c’è, forse, un’altra ragione che rende complicato affrontare lo studio dei media,
dei loro prodotti e dei loro effetti. Chi ne ha consuetudine, sa che queste tematiche
sfuggono alle comode scorciatoie della facile generalizzazione. E’ difficile, se non
impossibile, a proposito di questi fenomeni, arrivare a leggi universali, a definire
trend stabili nel tempo, a trovare spiegazioni definitive. Bastano pochi esempi. Le
ricerche definiscono il pubblico dei media come attivo (capace di scelte consapevoli)
ma spesso appare il contrario, come nel caso dell’apparentemente inspiegabile
successo di qualche prodotto assolutamente “trash” o di alcune effimere mode.
Anche i fruitori colti sembrano abbandonarsi, in certi casi, a consumi che definire
popolari appare un soave eufemismo. Ma, all’opposto, accade che fruitori con basso
capitale socio-culturale si accostino con diletto a prodotti di grande livello e valore
con culturale: si pensi ai film di grandi registi in T.V. o ai libri distribuiti con quotidiani
e riviste.
Studiare i media è oggi fondamentale
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Malgrado tutto ciò, è ancora prevalente l’atteggiamento di coloro che ritengono
questi fenomeni di scarso significato e di nessun valore culturale. Molti tra quelli che
vi dedicano una qualche attenzione li condannano senza appello, ritenendoli
responsabili della distruzione o marginalizzazione della vera cultura: quella dei libri,
dell’arte, delle scienze. Quella dei valori veri.
Tragico errore perché la cultura veicolata dai mass-media sembra avanzare e
imporsi malgrado il disinteresse o il disprezzo degli apocalittici vecchi e nuovi.
Ma c’è, forse, un’altra ragione che rende complicato affrontare lo studio dei media,
dei loro prodotti e dei loro effetti. Chi ne ha consuetudine, sa che queste tematiche
sfuggono alle comode scorciatoie della facile generalizzazione. E’ difficile, se non
impossibile, a proposito di questi fenomeni, arrivare a leggi universali, a definire
trend stabili nel tempo, a trovare spiegazioni definitive. Bastano pochi esempi. Le
ricerche definiscono il pubblico dei media come attivo (capace di scelte consapevoli)
ma spesso appare il contrario, come nel caso dell’apparentemente inspiegabile
successo di qualche prodotto assolutamente “trash” o di alcune effimere mode.
Anche i fruitori colti sembrano abbandonarsi, in certi casi, a consumi che definire
popolari appare un soave eufemismo. Ma, all’opposto, accade che fruitori con basso
capitale socio-culturale si accostino con diletto a prodotti di grande livello e valore
con culturale: si pensi ai film di grandi registi in T.V. o ai libri distribuiti con quotidiani
e riviste.
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Gli effetti reali dei media (aldilà della facile aneddotica giornalistica)
avvengono per tortuosi processi con non poche contraddizioni o, per
comprenderli, sono necessarie “spiegazioni” complesse. E’ il caso (che
affronteremo in un prossimo capitolo) del rapporto tra consumo mediale e
partecipazione politica. Accade, così, che i risultati degli studi e delle
ricerche possano apparire incerti e poco convincenti se comunicati e
spiegati tramite brevi e inequivocabili assunti. Questo spiega anche come
siano tenuti poco in conto dai legislatori e dall’opinione pubblica che
chiedono pareri senza sfumature e facili ricette. Così spesso si finisce per
non fare nulla di decisivo anche a proposito di reali e gravi problemi. Si
pensi, ad esempio, il tema del rapporto tra infanzia e media.
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Anche nel campo dei media si deve accettare il paradigma, accettato ormai
in tutte le discipline scientifiche, per cui data la complessità dei fenomeni da
studiare è necessaria una forte cautele sui risultati conseguiti. Questi sono
suscettibili di aggiustamenti e correzioni all’inserimento di nuove variabili di
cui si deve tener conto. Così anche nello studio dei fenomeni legati ai
media, non ci si deve sempre aspettare che “dati A, B e C è molto probabile
o sicuro che avverrà D”; meglio muoversi nella logica che “dati A, B e C è
da ritenere più probabile D, ma anche E o F, o meglio, considerare che, in
contesti e situazioni diverse, si possono anche realizzare D1, D2 e D3”, cioè
variazioni attorno ad un esito atteso.
Detto diversamente non è possibile studiare i media con un modello del tipo
“aut…aut”, ma è bene ricorrere ad un del tipo “et…et”: come dire che sono
possibili esiti diversi e soluzioni differenziate (ad esempio in termini di stili di
consumo o di effetti) per individui e gruppi sociali diversi.
Malgrado questi limiti, gli studi sui media (sui loro effetti o il consumo da
parte di pubblici particolari, ecc.) restano di grande utilità ed è irrinunciabile
non promuoverli considerando la rilevanza di queste tematiche in chiave
sociale e culturale.
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Per meglio chiarire questa posizione, riprendiamo l’esempio fatto in
precedenza su minori e media. Al presente è da ritenere che non si siano
ancora definitivamente accertati gli effetti di una prolungata esposizione
mediale (soprattutto televisiva) nei più piccoli: si può, però, escludere che
questa possa portare, come non pochi sostengono, ad una certa e profonda
interiorizzazione della violenza e ad una forte predisposizione al consumo.
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E’ dunque importante studiare i media anche se difficile. I loro contenuti
suggeriscono modelli di comportamento ad una gran parte dei soggetti che
vivono, tra incertezze e paure, le complesse vicende e il futuro incerto della
società contemporanea.
In questo contesto, la rilevanza dei fenomeni sociali e culturali connessi o
attribuibili ai media può essere valutata anche da un conciso elenco delle
loro principali funzioni o disfunzioni. Queste, a nostro avviso, le principali:
Studiare i media è oggi fondamentale
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i media sono la principale fonte delle informazioni nella società
contemporanea; possono però essere anche causa di disinformazione
(possono essere “usati” o deviati da chi riesce a controllarli) o di incertezza
sui significati da ricavarne per un’offerta troppo abbondante, contraddittoria
e, il più delle volte, superficiale: si può, così, arrivare al paradosso che
troppo informazione può produrre nessuna o scarsa conoscenza;
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i media “danno voce” (e, quindi, rilevanza sociale e forte legittimazione) a chi
concedono largo spazio: possono però “cancellare” (fino a non farli più
considerare malgrado la loro oggettiva importanza) chi non viene da essi
considerato o volutamente ignorato. Lo stesso dicasi per i problemi trattati: si
concede molto (troppo) spazio a ciò che si ritiene “abbia successo” (anche
se si parla del nulla) e non se concede molto a quelli fondamentali ma
considerati “noiosi” o troppo difficili; la trivialità dei temi trattati e la
superficialità della trattazione sembrano diventare carattere precipuo della
produzione multimediale nella contemporaneità;
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i media hanno una forte capacità di influenzare opinioni e atteggiamenti
aldilà dell’importanza dei temi su cui esercitano la loro efficacia; essi non
riescono a creare dal nulla bisogni e interessi, ma dando spazio a tematiche
di moda o imposte da qualche interesse (economico, promozionale, ecc.) vi
attribuiscono un valore aggiunto che fa ritenere importanti gli oggetti trattati
e li impone all’attenzione dei più; i media organizzano, così, l’esperienza
collettiva indirizzando l’attenzione generale verso tematiche, valori e
personaggi che diventano oggetto di riferimento comune, e fondamento del
senso comune: le cose che tutti conoscono e a cui è facile riferirsi, quelle di
cui si discute più comunemente e molti vi si appassionano. In particolare i
media forniscono i contenuti fondamentali a particolari subculture (i giovani,
le classi alte metropolitane, ecc.) e gruppi sociali di cui determinano stili di
vita, mode collettive, ecc.;
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l’organizzazione dell’esperienza collettiva avviene per frammenti casuali
(colti dal singolo) nel flusso continuo e massiccio della produzione
multimediale; la combinazione dell’insieme di tali frammenti in chiave di
senso unitario è soggettiva, provvisoria e aperta: non sempre questa riesce
nel modo migliore e ciò è spesso causa di incertezza cognitiva . In sintesi si
sa poco e male di tante cose.
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i media danno suggestioni importanti per la costruzione delle identità
individuali e collettive, ma possono anche deviarle su interessi marginali (o
estranei a quel soggetto) per la sovrabbondante offerta e contraddittorietà
degli stimoli offerti; questi possono essere, così, una peculiare occasione di
crescita individuale (che si vede aperti nuovi e più vasti orizzonti, suggerire
opportunità e modelli di vita e di comportamento) oppure, al contrario,
essere un’occasione di dispersione e continua messa in dubbio degli
obiettivi su cui si è pensato, fino a quel momento, di realizzarsi;
ne viene che le suggestioni dei media sono gran parte dei contenuti su cui si
esercita l’autoriflessività individuale: quindi occasione di crescita e
responsabilizzazione morale, ma anche di evasione e disimpegno o di forte
e generalizzata deresponsabilizzazione;
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l’esperienza concreta come singolo attore sociale (quelle che hanno
costruito la sua biografia) tende a mescolarsi, fino a confondersi, con quelle
solo apparentemente reali del consumo mediale: le situazioni, i personaggi e
i luoghi che ha solo visto o di cui ha letto senza averli vissuti davvero.
Pertanto la costruzione dell’identità individuale (o, meglio, del Sé- ideale) è
il risultato del combinato casuale di tutto ciò (reale o virtuale) che si è andato
sedimentando nella memoria e nel cuore dei soggetti; per questo si può
ritenere che gran parte dell’identità del soggetto nella società post-moderna
sia legata ai suggerimenti e alle suggestioni mediali;
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i media rendono possibili o facilitano identificazioni con modelli culturali (e
personaggi o stili di vita che li rappresentano) e quanto essi suggeriscono; in
alcuni casi le “proposte” mediali sono di grande fascino e suggestione e
offrono concrete proposte di comportamento sociale: si pensi a quelle
veicolate dai divi del piccolo e grande schermo, o dai personaggi che si
impongono (anche se breve periodo e per certe loro qualità di cui non
sempre è possibile comprenderne appieno le ragioni del successo) alla
cronaca. I media sono la fucina, nella contemporaneità, di nuovi miti e riti su
cui si modellano comportamenti e si cementa la socialità (come comune
sentire) di grandi gruppi;
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i frammenti o porzioni isolate di prodotti mediali finiscono per ricomporsi (per
il loro insistere su certi personaggi, trame e modalità discorsive) in storie o
narrazioni che diventano i più accreditati e utilizzati schemi cognitivi per
interpretare ciò che accade ai singoli o quanto diventa oggetto di interesse
culturale a livello collettivo; come i bambini interpretano la realtà nello stesso
modo in cui “leggono” le fiabe, così gli adulti interpretano la vita vera come
una storia narrata dai media;
l’insieme di tutte le storie e narrazione assunte nell’esperienza (individuale e
collettiva)reale o di consumo mediale, danno la rappresentazione del mondo
e suggeriscono il ruolo che ciascuno pensa di assegnarsi in esso; a volte,
per un eccesso di “rumore”, possono anche renderla confusa e vuota e,
quindi, non dare nessuna indicazione al soggetto su quali mete perseguire e
in che ottica comportarsi;
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le storie e le narrazioni mediali contribuiscono fortemente alla costruzione di
una memoria storica che si affianca e, a volte, tende a sovrapporsi a quella
che è il prodotto delle vite e degli accadimenti privati e collettivi di un certo
gruppo sociale; nella memoria mediale la realtà si mescola alla fantasia di
autori e sceneggiatori che hanno trattato tali problemi e le spiegazioni e le
ragioni della storia vera si perdono completamente facendo prevalere fatti e
personaggi inventati, o di scarsa rilevanza anche se di grande appeal
narrativo;
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i media rendono incerte le tradizionali dimensioni di tempo e luogo; anziché
vivere in un certo tempo (il presente come costruito dal passato e in
previsione di un futuro definito dalle condizioni e possibilità del momento) e
in un certo luogo (quello dove si vive), ogni attore-spettatore vive in
continuità e naturalmente l’esperienza di vivere senza alcun problema apparentemente ma molto verosimilmente- in tempi diversi (come lo
portano a fare le narrazioni mediali ambientate in epoche diverse ma che
sembrano attuali) e di conoscere luoghi in cui non è mai stato al punto di
pensare di averci vissuto o di poterlo fare. L’attore sociale-spettatore vive in
un presente insistito e dilatato ed è naturalmente cittadino del mondo: ma
queste esperienze non reali possono produrre una forte sensazione di
spaesamento-estraniazione;
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i media hanno reso sempre più incerto il confine tra sfera privata e sfera
pubblica; la prima è invasa dalla seconda nel caso dei drammatici eventi
riportati dai media (si pensi ai drammatici casi del terrorismo) dove l’analisi
razionale del “cittadino” sulle cause e le ragioni del fenomeno sono sostituite
dal tumulto delle emozioni che lacerano nel profondo il soggetto alla vista
delle immagini che parlano di queste tragedie. La seconda è, invece, invasa
dalla prima quando, ad esempio, i consumi definiscono l’identità o
l’immagine del soggetto e ne orientano i modi della partecipazione sociale e
le sue identificazioni: ciò che si è realizzato appieno da quando le
tradizionali appartenenze (di classe, religiose, politiche, ecc.) hanno perso di
rilevanza e non hanno più trasmesso i significati e i valori di fondo da dare
alla vita;
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*la confusione di spazi privati e pubblici e la del tutto particolare
rilevanza di alcune tematiche d’attualità (sia rilevanti come, ad esempio
l’interesse per la questione ecologica o più superficiali e mediaticome la
personalizzazione e spettacolarizzazione di alcuni leader politici) danno
diversi contenuti e una diversa funzione al tradizionale concetto di “opinione
pubblica”. Questa, anziche essere lo spazio di discussione pubblica e di
confronto di opinioni dei ceti più colti e rappresentativi di una società, è
divenuta un’arena globalizzata e mediale dove sembrano possano
intervenire larghi strati di cittadini-spettatori, anche se con un limitato peso e
autorevolezza nella discussione. Si potrebbe dire che si è allargata la sfera
di partecipazione, ma è diminuita la possibilità e l’efficacia dell’intervento del
singolo e l’approfondimento delle tematiche. Prevale, così, la dimensione
“spettatori” su quella dei “cittadini”: si può, quindi, valutare con forte
scetticismo la loro limitata capacità di accesso alle informazioni e
argomentativi, oppure si può considerare positivamente il fatto che si siano
aperte nuove possibilità di intervento-partecipazione a strati di popolazione
che fin qui, per la loro appartenenza marginale di strato-ceto o per disagiata
localizzazione geografica, ne erano stati esclusi.
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alcune considerazioni di contesto ad una
possibile teoria sui media
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Tre sono le considerazioni introduttive che servono da contesto ad un
tentativo di una teoria sui media. Il primo si riferisce (come suggerisce anche
da Silverstone) al fatto che i media introducono magia e fantasia nella
dimensione della quotidianità, ad esempio suggerendo situazioni e luoghi, e
presentando personaggi che trasportano chi li vede (o legge , ascolta…) in
mondi fantastici, eppure apparentemente reali e possibili, che sembrano una
“meravigliosa” proiezione della loro esperienza concreta in genere “non
eccezionale”.
Sembra, così, possibile allo spettatore di entrare nel piccolo o grande
schermo (o al lettore nelle pagine del libro che sta leggendo) e vivere le
vicende narrate del tutto immaginate eppure cosi verosimili da sembrare
vere. E’ quanto succede alla donna che si identifica nei personaggi di una
“soap”, a chi legge un romanzo di fantascienza, a chi sogna i trionfi di uno
sportivo amato, ecc.
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La seconda è relativa (anche se spesso trascurata) ad un nuovo tipo di
stratificazione sociale che deve considerare due grandi gruppi molto distanti
tra loro. Il primo è composto da coloro che sono in grado di effettuare scelte
nella ricchissima produzione multimediale, separando i contenuti validi e
interessanti da quelli (prevalenti) di scarsa qualità e sono capaci di
interpretarli abilmente, arrivando così ad una decodifica consapevole dei
messaggi e valutarne i significati meno evidenti. Il secondo è, invece,
composto da tutti coloro che subiscono passivamente (senza scegliere e
impegnarsi in una approfondita analisi e valutazione) i prodotti mediali,
specialmente quelli di minor spessore e impegno.
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La terza si riferisce al contesto socio-culturale, entro cui agiscono i media,
che possiamo sinteticamente definire come di grande complessità e in
continua e non sempre evidente mutazione e dal senso e dai significati non
sempre evidenti e accettabili.
Ne deriva una grande insicurezza verso il futuro e la conseguente
tentazione di abbandonarsi allo svago e ai consumi (sia di beni intangibili
come tangibili) come vie per costruirsi un privato sereno se non proprio
felice. Sullo sfondo il tentativo di sfuggire alla fastidiosa sensazione di non
riuscire a dare senso e significato alla propria vita con la conseguente
penosa (e diffusa) esperienza di provare una crescente sensazione di
inautenticità nel definire e perseguire le mete personali e nei rapporti sociali.
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Sulla base di queste tre considerazioni di fondo è possibile avanzare alcuni
punti essenziali per un (approccio di) modello interpretativo.
Anche in questo caso, li esporremo sinteticamente per punti:
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*la decodifica della produzione mediale avviene come fruizione di
frammenti di un flusso ininterrotto (le singole notizie che destano interesse,
gli spot che catturano l’attenzione, le sequenze dei prodotti di fiction che
coinvolgono fortemente, ecc.) che si ricompongono, nella memoria dei
fruitori, in schemi cognitivi ad alto tasso emotivo-simbolico.
Con importanti conseguenze. Silverstone è lapidario a questo proposito: una
cultura lineare del frammento (arrivata fino al dominio della scrittura sulle
altre forme espressive) è sostituita da una cultura (globale) a mosaico del
frammento, che si è imposta da quando immagini e suoni si sono affermati
prepotentemente;
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*l’integrazione dei modelli culturali e valoriali (quanto predispone all’agire
individuale) avviene, quindi, sull’insieme soggettivo dei molti richiami della
produzione mediale (che si sono “fermati” nell’immaginario individuale e
collettivo) e non su un sistema valoriale e cognitivo omogeneo e condiviso
collettivamente e legittimato (dai valori tradizionali e condivisi, dalla storia di
quel gruppo sociale, ecc.).
Un processo che si può spiegare così: tutti attingono alla “grande fiera” di
questi prodotti e vi “comprano” (in misura più o meno elevata, di qualità o
meno) quello che piace loro, gli interessa o li fa divertire. Il coinvolgimentoacquisto è, salvo rari casi, casuale ed effimero.
Un grande narcisismo sembra, così, caratterizzare il comportamento del
pubblico mediale. E’ coinvolgente ciò che parla delle cose che interessano e
soddisfano, spesso semplicemente il loro desiderio di evasione;
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* non a caso la produzione mediale è caratterizzata, in buona parte da
“rappresentazioni e immagini, idee e valori che dissimulano le realtà
dell’esistenza sociale.” (Silverstone). Ciò avviene non solo nella “quasi
realtà” (Livolsi) della fiction scritta o per immagini, ma anche nella
superficialità dell’informazione e dei dibattiti che non permette di conoscere i
fatti (nella loro realtà e cause), ma solo di “averne notizia”: un
nascondimento ambiguo e pericoloso perché fa illudere di conoscere la
realtà così come essa è mentre, invece, se ne sfiora appena la superficie e,
comunque, la si conosce come la immaginano-descrivono degli “autori”;
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*inventare (nella fiction) e dissimulare (nella superficialità dell’infotainement)
sono le vie per cui si costruisce un’ideologia alternativa, non pianificata e
chiusa, ma di grande efficacia nel suggerire –apparentemente in modo
involontario- modelli di comportamento e, più in generale, una sensibilità
estetizzante che premia il frammento e l’orpello e, comunque, il disimpegno.
Un’ideologia che trae la sua forza non dalla sostanza dei valori su cui si
fonda, ma al contrario per non imporne realmente e deliberatamente
nessuno ed essere gradevole e illusoria.
I media non predicano e impongono i loro contenuti, ma affabulano e
seducono.
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*ciò che si impone (o, detto diversamente, i contenuti prevalenti
dell’ideologia mediale) è ciò che viene reiteratamente esposto nei media. I
temi su cui i media insistono sono quelli che diventano rilevanti e significativi
aldilà della loro effettiva rilevanza.
Morgan e Signorelli , non a caso, sostengono che la T.V. (ma potremmo
meglio dire l’intero sistema multimediale) “è diventata il comune ambiente
simbolico che interagisce con la maggior parte delle cose che pensiamo e
facciamo.” Silverstone sostiene che vi è “un sistema di valori dominanti
iscritti nelle narrazioni e rappresentazioni più o meno coerenti della
televisione.” In questa prospettiva va considerata l’accusa di omologazione
dei testi mediali. Anche se questa non è del tutto condivisibile e non
riguarda, comunque, tutti i contenuti mediali e l’universo dei consumatorifruitori..
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* anche se i media sono portatori di una loro propria ideologia, in molti
contesti nazionali, essi sostengano anche le ideologie dominanti in quei
paesi.
E’ evidente che il potere economico-politico ha un naturale interesse ad
occuparsi (con leggi “ad hoc”o forti investimenti di denaro) dell’informazione.
Malgrado questi casi, l’accusa di totale asservimento ideologico al “potere”
dei media non è corretta e va riformulata nel seguente modo: il sistema
mediale tende ad indirizzarsi naturalmente verso i valori e lo schieramento
ideologico-politico dominante anche se ne è spesso anche (almeno in parte
e salvo i casi di dittatura reale o potenziale) un forte avversario e il portavoce
di posizioni diverse e critiche. Mai o quasi mai uno schieramento acritico e
omologato agli interessi dominanti anche se questi hanno, in genere, molti
mezzi-risorse per “servirsene” o non avere posizioni antagoniste.
Studiare i media è oggi fondamentale
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*l’ideologia espressa dal sistema multimediale è caratterizzata
essenzialmente da disimpegno, spettacolo e consumi. Il rumore mediale
rende difficile l’impegno e la riflessione, almeno ad un grande numero di
persone che tendono, spontaneamente, ad interessarsi di quei frammenti
particolarmente accattivanti o che hanno toccato una particolare corda del
loro cuore.
L’effetto di fondo è quello di spostare l’attenzione verso la sfera del privato
(luogo di relazioni sociali “sicure”) rispetto a quella pubblica che sembra
invece essere quella del disincanto, degli obblighi e dell’impegno non
sempre legittimati da significati condivisi o convincenti. Per questo può
avvenire che i prodotti mediali (come certi consumi) servano come
“indennizzo privato per lesioni pubbliche” (Siverstone): è il caso dei “reality”
per un pubblico “guardone” e senza grandi interessi o delle trasmissioni
sportive per gli uomini.
Studiare i media è oggi fondamentale
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Fin qui alcune note di carattere più critico. Consideriamone adesso altre
meno ostili ai media e ai loro effetti:
Studiare i media è oggi fondamentale
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una notevole parte del pubblico mediale (in crescita perché caratterizzata da
giovane età e buon livello scolare) non può essere accusata di ricevere
passivamente –cioè senza capacità e volontà di scelte e decodificavalutazione attenta dei contenuti- i prodotti mediali.
Una gran parte di questo pubblico può essere definito attivo anche se non
critico. Non va sottovalutata una tendenza a “prendere le distanze dai
media”, anche se questa riguarda ancora una minoranza colta.
Attivi significa anche costruire insiemi informativi dotati di significato messi
alla prova di possibili alternative. E’ un’attitudine alla valutazione distaccata
dei prodotti oggetto di attenzione. In ciò gioca la parte più fredda della
sensibilità estetica che impone una valutazione distaccata anche da ciò che
attrae e piace emotivamente.
Controllare le informazioni e limitare il coinvolgimento emotivo sono i
requisiti di questa tendenza “fredda”.
Studiare i media è oggi fondamentale
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* ma “prendere le distanze dai media” può non esser sufficiente. C’è allora da
chiedersi: cosa significa essere attivi?
Probabilmente è impossibile dare una risposta precisa a questa domanda. Essere
attivi è pratica diversa per le diverse persone e/o gruppi sociali omogenei che hanno
specifici e differenziati comportamenti di consumo.
Una definizione non può che essere aperta e generale. Essere attivi è un agire
razionale sulla base di fini non sempre razionali (o tipici di una razionalità fortemente
connotata emotivamente) che porta ad utilizzare schemi cognitivi soggettivi non
sempre e del tutto coincidenti con quelli evocati dal testo. Schemi che portano ad
aggiungere un momento importante di tipo interpretativo (se non valutativo) al
semplice atto di fruizione-consumo.
Ovviamente essere attivi è una capacità diversamente distribuita a seconda delle
abilità e del capitale socioculturale di un soggetto o di un gruppo sociale specifico. I
media offrono prodotti diversi a pubblici diversi. La valutazione di “pubblico attivo”
deve essere, quindi, avanzata i relazione ad un pubblico specifico che usufruisce di
un particolare insieme di prodotti mediali, in una data situazione e con scopi specifici.
Studiare i media è oggi fondamentale
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* essere attivi significa saper trarre significati soggettivamente rilevanti da un
testo che si presenta come un’opera aperta (Eco): il fruitore attivo è
chiamato a leggervi cose per lui importanti e implicite anche se non indicate
espressamente dall’autore.
Un testo è una miniera di stimoli possibili per la creatività di un fruitore attivo.
Un testo non si esaurisce mai nei suoi significati più evidenti: succede anche
nei casi in cui lettori professionali si sono a lungo esercitati su uno specifico
testo. Un libro o un film d’autore possono essere letti all’infinito scoprendovi
nuovi significati. Un testo ha un potenziale “aggiunto” di significazione
attribuitogli da ogni specifico lettore che vi mette la sua abilità e sensibilità:
sono i lettori co-autori dell’opera, come li definisce Eco. Lettori che non si
smarriscono (o non restano confusi) nelle loro escursioni nella foresta dei
significati simbolici che un testo sa evocare.
Studiare i media è oggi fondamentale
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*un prodotto mediale aperto è, quindi, un testo capace di suggerire
esperienze semiotiche connotate emotivamente e interpretate
soggettivamente. E’ in questa prospettiva che Fiske parla di grande
“democraticità” dei prodotti mediali: essi si rivolgono potenzialmente a tutti,
senza nessuna esclusione e imposizione autoritaria nei modi di letturavalutazione, come avviene invece nel caso dei prodotti della cultura alta
(quadri, poesia musica dotta, ecc.), tanto è vero che questi testi “facili” sono
stati utilizzati anche come esperienza di controcultura. E’ stato il caso della
musica pop per le classe operaia inglese degli anni sessanta o, anche oggi,
del “rap” per i più giovani. Nella prospettiva di un uso alternativo, si possono
mettere altre parole (magari di contestazione politica) ad una musica nata
per fini commerciali; si utilizzano i fumetti o la satira televisiva per parodiare i
personaggi di potere, senza parlare del cinema e del teatro militante nella
loro pratica di presentare modi diversi di “interpretare il mondo”, ad esempio
nella satira e nello sberleffo.
Studiare i media è oggi fondamentale
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*una legge fondamentale della mass-mediologia afferma che un testo
mediale “parla” più attraverso i modi discorsivi (come vengono dette le cose)
che non per i suoi contenuti. Il suono, le immagini, il montaggio, l’eventuale
utilizzo di trucchi cinematografici, sono le tecniche alla base della magia dei
media e gli strumenti del loro potere di fascinazione.
Dice Silverstone: “dietro le forme del discorso ci sono le forme del pensiero,
dell’ordine e dell’espressione” che i media suggeriscono. E ancora: “ Le
metafore e i miti dell’esperienza e della dialettica quotidiana, dipendono in
misura cruciale dal materiale grezzo, anche se altamente raffinato, che i
media producono….”.
E’ in questo modo che si va creando una crescente sensibilità estetica
largamente diffusa. Questa si nutre di piccoli suggerimenti (offerti dai media)
o suggestioni rubate a brevi sequenze nel caso delle immagini filmate, o a
poche righe di stampa o a qualche particolare di una foto.
Studiare i media è oggi fondamentale
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nel caso dell’uso prevalente e meno impegnato dei media, si può utilmente
riprendere il concetto del gioco (come pratica transazionale, secondo le
suggestioni di Winnicott): è questo atteggiamento a guidare il consumatore
aldilà della effettiva rilevanza dei testi e degli scopi per cui sono stati creati. Il
gioco, come attività non impegnata e da cui ci si può staccare in qualsiasi
momento, passando ad altro o mettendosi a creare fantasticamente trame e
finali di storie diversi. Il confine tra realtà e fantasia diviene così sempre più
labile. Avviene così che pratiche individuali di gioco diventano, nel caso di
prodotti di successo e delle mode, pratica collettiva e a cui si attribuisce
grande sinificato.
Studiare i media è oggi fondamentale
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* Il consumo mediale è caratterizzato da una continua tensione tra ciò che
viene offerto dai media e ciò che si fruisce davvero, tra i significati proposti e
quelli interpretati e selezionati, tra ciò che è rilevante culturalmente e ciò che
non lo è.
Un teatro di conflitti che si svolge nell’ambito della vita quotidiana e su
tematiche anche effimere. Anche per questo “la vita quotidiana diviene la
sede dell’elaborazione dei significati e il prodotto di tale elaborazione”
(Silverstone).
Ma i media vengono utilizzati spesso anche in chiave di preventiva difesa da
possibili motivi di ansietà: si “deve” conoscere cosa accade nel mondo e i
prodotti mediali “di cui tutti parlano”. Bisogna essere al passi con i tempi,
sapere le cose che (così si crede) tutti sanno. Un modo di difendersi dalla
paura di essere emarginati socialmente prima che culturalmente.
Studiare i media è oggi fondamentale
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*i media contribuiscono ad un diverso tipo di partecipazione alla vita sociale
e politica. Lo spettatore comune si orienta, in modo alquanto schizzofrenico
sia verso alcune grandi tematiche (le vicende del terrorismo, le non evidenti
tendenze dell’economia globale, le tematiche ecologiche, ecc.) e, insieme,
verso alcune occasionali tematiche che riguardano prevalentemente lo
spettacolo e lo sport, le mode e i personaggi del momento. L’atteggiamento
di fondo è quello degli spettatori, schizzofreneticamente ed emotivamente,
coinvolti anche se per brevi periodi ma in modo profondo (si pensi allo shock
collettivo in occasione del crollo delle Twin Towers), per poi seguire
distrattamente il seguito di tutte queste storie. Sono i modi della loro
rappresentazione a definire la loro presa sul pubblico: le immagini e i grandi
titoli vincono su tutto, il significato e le emozioni sembrano cancellarsi con
l’usura del tempo.
Studiare i media è oggi fondamentale
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