in collaborazione con L'Area Vasta Emilia (position paper) Ottobre 2015 Sommario 1. Abstract ....................................................................................................... 3 2. La riorganizzazione delle Province .................................................................. 3 3. L'Area Vasta Emilia (PC-PR-RE-MO) ............................................................... 7 4. Sintesi e conclusioni .................................................................................... 12 L'Area Vasta Emilia 1. Abstract Con l’approvazione della Legge sul nuovo modello di governance della Regione Emilia-Romagna si creano le condizioni per l’introduzione di importanti innovazioni nelle modalità di interazione istituzionale fra le comunità locali ed i policy maker. Per l’importanza cruciale che questi nuovi assetti assumono anche per la capacità competitiva – attuale e prospettica – delle imprese italiane, Unindustria Reggio-Emilia ritiene utile intervenire nel dibattito promosso dalla Regione, offrendo con il presente position paper un proprio contributo di riflessione1 incentrato in particolare sull’opportunità di costituzione di un’Area Vasta Emiliana (da Modena a Piacenza) che eserciti in forma associata alcune delle funzioni (esecutive e di indirizzo) che la legge regionale assegna alle nuove Province nei settori della pianificazione territoriale, infrastrutturale ed ambientale. Come evidenziato da numerose analisi internazionali2, infatti, affinché la costituzione di nuovi organismi di governance porti vantaggi effettivi per la comunità locale è necessario partire da una ridefinizione dei confini del territorio in base alla forza delle relazioni socioeconomiche e alle analogie e complementarietà che lo caratterizzano. 2. La riorganizzazione delle Province La riorganizzazione delle Province – promossa dal nuovo modello di governance delineato dalla Regione Emilia-Romagna nell’ambito (L. no. 13 del 28 luglio 2015) del dispositivo quadro della Legge Delrio (L. no.56 del 7 aprile 2014)- può rappresentare un'importante occasione di riforma delle istituzioni locali e di rilancio delle politiche pubbliche a supporto dello sviluppo economico e sociale del territorio. L'intervento sulle Province non è un'iniziativa isolata, ma è un tassello di un complesso e ambizioso processo di innovazione istituzionale che ha tra i principali obiettivi quello di controllare e riqualificare l’intervento pubblico, sia dal lato della spesa, sia da quello dell’organizzazione istituzionale, sia in 1 Questo contributo rappresenta infatti un naturale follow-up rispetto alle riflessioni sul tema proposte da Confindustria Nazionale. Cfr. in proposito, Confindustria, Position Paper, l’attuazione della Legge Delrio: prime indicazioni di policy sul riordino delle funzioni, maggio 2015 2 Per un approfondimento sulle analisi sviluppate in sede OECD si rimanda all’Appendice C. termini di potenziamento dei servizi offerti alle comunità locali. I primi passaggi realizzati negli ultimi mesi sono quelli relativi alla nuova legge elettorale, alla riforma del Senato e delle Province, alla riduzione delle risorse per le Camere di Commercio, al nuovo protocollo di intesa con le Fondazioni Bancarie, alla riforma delle Banche Popolari, agli interventi sulla scuola e sul mercato del lavoro, alla riorganizzazione delle sedi periferiche delle amministrazioni centrali e della Banca d'Italia. Una sorta di informale fonte e road map del processo di riforma del settore pubblico, iniziato con il Governo Monti, è costituita dalle “Proposte per una revisione della spesa pubblica 2014-16” (rilasciate il 27 marzo 2014, ma diffuse solo ad inizio 2015). Il documento traccia il programma del processo di revisione della spesa pubblica (spending review), fornisce non solo indicazioni quali-quantitative in termini di finanza pubblica, ma anche su altre “aree calde” di intervento. Tra queste assume una particolare rilevanza la riforma delle partecipazioni del settore pubblico, in particolare di quelle degli Enti Locali, che per la loro ampiezza e per il peso che hanno in alcuni settori (es. energia, public utility, trasporto locale) possono esercitare un notevole impatto sul territorio. In questo contesto istituzionale in rapido e profondo mutamento si evidenziano due “attitudini” divergenti da parte delle istituzioni e degli operatori economici coinvolti: da un lato emerge in maniera più o meno esplicita la tendenza ad attribuire un carattere congiunturale e reversibile alla spending review, dall'altro prevale invece la consapevolezza del carattere strutturale dei mutamenti in atto. Nel primo caso le strategie di risposta degli attori coinvolti evidenziano tratti “difensivi”, spesso “gattopardeschi”, e propongono modifiche solo “marginali” agli attuali assetti; nel secondo caso, viceversa, i cambiamenti in atto sono interpretati come un'occasione storica per ridefinire la mission del settore pubblico, tornando a legittimare il ruolo delle politiche pubbliche. Il primo atteggiamento sembra alimentato dall'idea che le riforme in atto abbiano carattere emergenziale e pertanto temporaneo; ovvero che, una volta messa sotto controllo la finanza pubblica, si possa ripristinare in parte il vecchio sistema. Nel caso della riorganizzazione delle province, ad esempio, questo approccio suggerisce di adottare solo gli interventi strettamente necessari per raggiungere le soglie dimensionali minime sufficienti per ottemperare al dispositivo legislativo della Legge Delrio. In base a questo approccio, in Emilia si potrebbero ad esempio proporre aggregazioni “a due a due” tra Piacenza e Parma ad ovest e fra Reggio Emilia e Modena ad est, con obiettivi più o meno ambiziosi, raggiungibili e futuribili di controllo e riduzione dei costi. Un approccio difensivo di questo tipo, che mira ad un limitato efficientamento al margine dell’attuale sistema, e che non si pone obiettivi ambiziosi in termini di rilancio delle istituzioni locali, può paradossalmente determinare maggiori difficoltà di governo delle nuove Province. Queste ultime, infatti, rimarrebbero prigioniere di vecchie logiche e di storiche contrapposizioni (si tratterebbe in definitiva di una sorta di riedizione dei ducati pre-unitari). Il secondo atteggiamento è caratterizzato da una prospettiva di medio-lungo periodo e da un approccio pro-attivo e propositivo: si considera da un lato inevitabile e (semi)permanente la riorganizzazione in corso, e d'altro lato la si interpreta come un'occasione (storica, anche in questo caso) di riprogettazione e rilancio per il territorio. La valutazione del carattere necessario della riforma delle istituzioni locali ha forse poco spazio nel dibattito attuale, soprattutto se paragonato al dibattito innescato sulle proposte di riforma della Fondazione Agnelli che ha caratterizzato una stagione politica ormai lontana. Rimane nondimeno il fatto che la presenza sul territorio delle amministrazioni centrali e la struttura geografica delle istituzioni locali è ancora quella tracciata all'Unità d'Italia, quando, ad esempio, i trasporti si basavano sulla trazione animale. Nell'epoca delle diligenze era necessario che i capoluoghi emiliani avessero una propria sede della Ragioneria dello Stato, della Banca d'Italia, ecc. e che le istituzioni territoriali presidiassero da vicino territori di difficile accessibilità (si pensi ai comuni montani). Da tempo però (le proposte di riforma della Fondazione Agnelli risalgono alla prima metà degli anni novanta) la rete istituzionale ereditata dalla storia non è più coerente con le attuali tecnologie di trasporto e di comunicazione e, più in generale, con gli attuali spazi economici territoriali emiliani: le dimensioni minime efficienti delle province, dei comuni e delle altre istituzioni locali si sono drasticamente ampliate, non solo per la necessità di ripartire su territori più vasti i costi fissi legati all’esercizio delle loro funzioni, ma anche perché gli orizzonti di riferimento degli operatori economici del territorio sono ormai incommensurabilmente più ampi rispetto ad un passato, anche recente (si pensi ,ad esempio, al caso delle imprese “costrette” ormai a muoversi in ambienti competitivi almeno in scala europea). In quest'ottica, la riorganizzazione delle province, pur rispondendo senza dubbio anche ad esigenze contingenti di controllo della spesa pubblica, risponde anche, con un notevole (e colpevole) ritardo, a mutamenti strutturali della tecnologia, dell'economia e della società. La riprogettazione della presenza sul territorio delle istituzioni locali e nazionali è quindi letta non tanto come la minaccia alle identità locali ed agli equilibri consolidati dalla storia, ma come l'opportunità di rispondere meglio ed in maniera innovativa ai bisogni (vecchi e nuovi) del territorio. Famiglie ed imprese esprimono non solo una maggior domanda di servizi (evidente ad esempio nel settore sanitario ed in quello della mobilità), ma rivolgono alle istituzioni domande diverse da quelle del passato, che riflettono i mutamenti demografici, economici e sociali che si sono ulteriormente accelerati a partire dalla crisi innescata dal fallimento di Lehman Brothers. Secondo questa visione proattiva, il ridisegno della rete territoriale può produrre innovazioni tali da consentire alle nuove istituzioni, pur in un periodo di stringenti vincoli sulle risorse, di andare incontro ad esigenze da tempo insoddisfatte e di rispondere a domande nuove. Si tratta quindi di ottimizzare le risorse pubbliche disponibili, di allocarle sulle funzioni più richieste e di ottenere dai propri interventi il massimo impatto in termini di sviluppo civile ed economico della comunità locale. Nel dibattito sul futuro delle istituzioni locali si inserisce l'impegno di Unindustria Reggio-Emilia che – nell’ambito del processo di definizione delle Aree Vaste innescato dall’approvazione della Legge di riforma del governo regionale - vuole offrire un contributo alla riflessione sul complesso ma essenziale nesso esistente tra le esigenze della comunità locale e la riforma delle istituzioni. Tale contributo origina infatti dalla consapevolezza che le sfide a cui sono chiamate le imprese emiliane non possono essere affrontate con successo facendo leva unicamente sui vantaggi competitivi endogeni delle aziende. La sinergia tra imprese, società locale e sistema politico-istituzionale che – pur con valutazioni differenti sulla magnitudo effettiva degli effetti moltiplicativi generati - è stata storicamente alla base dei successi del modello emiliano presenta ora crescenti elementi di debolezza e richiede una fase di manutenzione straordinaria, difficile e complessa da realizzare, anche perché troppo a lungo procrastinata. Nei nuovi scenari globali in cui operano le imprese è infatti necessario che tutti i pilastri del sistema locale (famiglie, imprese, istituzioni) contribuiscano a creare valore: mentre negli scenari pre-2009 la forza di alcuni fattori competitivi poteva compensare la debolezza degli altri, ora la criticità anche di un solo pilastro (si tratti ad esempio del deficit di innovazione di un’impresa, di un sistema formativo sub-ottimale, o di criticità logistiche) mette a rischio la capacità di generazione di benessere e di coesione sociale di tutto un territorio. La connotazione sistemica che sempre più caratterizza la competitività del territorio richiede di conseguenza che i singoli “portatori di interessi”, pur non rinunciando a rappresentare – nel dialogo con le istituzioni – i propri desiderata “sindacali”, si facciano anche promotori di una visione più generale di sviluppo del sistema territoriale in cui operano, (ri)entrando appieno nel perimetro della responsabilità sociale d’impresa, ed assumendosi convintamente come corpo intermedio un ruolo di proposta ed indirizzo, contrastando le logiche di disintermediazione e muovendosi anzi proprio in risposta alle difficoltà della rappresentanza politica (più o meno) tradizionale. Da questa visione di risposta pro-attiva al cambiamento istituzionale e di creazione di una nuova istituzione locale che risponda in maniera nuova alle domande del territorio origina la soluzione – proposta da Unindustria ReggioEmilia - di costituzione di un'Area Vasta Emilia che comprenda le quattro province da Piacenza a Modena. Tale proposta – offerta al dibattito nella comunità locale – fa leva sia su evidenze ed esperienze di competizione sistemica con le quali le aziende reggiane si sono misurate all’estero, sia su alcune case histories di successo di collaborazioni di rete nella business community. 3. L'Area Vasta Emilia (PC-PR-RE-MO) Dalle considerazioni sulle strategie di sviluppo territoriale discendono quindi conseguenze importanti anche sulla questione concreta della riorganizzazione delle Province, che mette in gioco poste importanti per la comunità locale. Una prima questione è rappresentata dalle competenze e dalle funzioni delle nuove Province che –nel modello di governance regionale delineato dalla Regione Emilia-Romagna - avranno comunque un ruolo rilevante (anche se di norma meno ampio rispetto al passato) in tutti i principali settori organici di intervento delle istituzioni emiliano-romagnole: dal trasporto pubblico/viabilità alle attività agricole, produttive, commercio e turismo, dall’istruzione/formazione professionale (inclusa l’edilizia scolastica), alla sanità pubblica ed alle politiche sociali, alle attività di concertazione con le altre istituzioni regionali. Per un esercizio ottimale di molte di queste funzioni da parte delle nuove Province è tuttavia essenziale che le nascenti istituzioni operino su aree (sufficientemente) vaste da consentire economie di scala e di specializzazione. E’ la stessa legge regionale – sempre in coerenza con il dispositivo Delrio – a prevedere all’ articolo 6 (comma 4) l’adozione (entro ottobre 2015) di “indirizzi comuni per la realizzazione di progetti di sperimentazione istituzionale di Area Vasta”, con funzioni e competenze in materia di “tutela ed uso del territorio, sportello unico per le attività produttive e semplificazione amministrativa”. La seconda questione è relativa al dialogo delle nascenti aree vaste – negli ambiti loro assegnati – con i livelli istituzionali paritetici (es. Città metropolitane di Bologna e Milano) e superiori (regionali, nazionali ed europei). Le aree vaste in formazione devono infatti raggiungere una dimensione tale da potere avere un ruolo attivo a livello istituzionale e nelle relazioni con le altre aree. Un esempio per tutti – quello dell’Expo di Milano – mostra infatti l'assoluta necessità di gestire relazioni con altri territori per promuovere la propria comunità. Ed il tema potrebbe riproporsi in un futuro non molto lontano e su scala ancora maggiore (es. eventuale assegnazione dei Giochi Olimpici del 2024 a Roma). In questo contesto, Unindustria Reggio-Emilia ritiene che l'Area Vasta dell'Emilia – costituita dalle Province di Modena, Reggio-Emilia, Parma e Piacenza - possa rispondere ad entrambe queste richieste, offrendo uno spazio istituzionale adeguato per mantenere e migliorare l'offerta di alcuni servizi alla comunità locale di riferimento. Il concetto chiave che fornisce la base per la proposta dell'AV Emilia è proprio la richiesta esplicitata nella legge regionale di definire aree vaste “adeguate” alle funzioni delle Province, per scongiurare il rischio di rinchiudersi in logiche che privilegino soluzioni conservative della situazione esistente, ovvero di favorire gli atteggiamenti difensivi sopra evidenziati. Questi rischi sono ad esempio evidenti nel caso della processo di riforma del sistema camerale che, iniziato nel 2014 (L. no. 114 dell’11 agosto 2014) con una drastica riduzione delle entrate da diritti annuali a carico delle imprese (che nel 2017, a regime, sarà del 50%) è proseguita quest’anno con l’approvazione della legge delega per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle CCIAA (L. no. 124 del 28 agosto 2015). Su questo fronte, infatti, anche la reazione dei sistemi camerali più “avanzati”, come quello emiliano-romagnolo, sembrano evidenziare un certo disallineamento fra “diagnosi” e “prognosi”3. Se, da un lato, si riconosce l’opportunità di adottare una strategia di risposta pro-attiva (in termini di efficientamento delle strutture, dismissione di partecipazioni, gestione associata dei servizi alle imprese, ecc.) rispetto alla sfida imposta dal Governo centrale con il radicale taglio delle risorse, dall’altro si istituiscono “unità di crisi” e, in sede di 3 Cfr. Unioncamere Emilia-Romagna, Iniziative di autoriforma correlate al riordino del sistema camerale da parte del Governo, Bologna, 2 luglio 2014 proposta, nel caso dell’Emilia, si prospettano le sopra menzionate aggregazioni “a due a due” fra le CCIAA (Parma e Piacenza, Reggio-Emilia e Modena). Tali proposte, anche se consentirebbero alle due nuove Camere di superare le soglie dimensionali minime indicate dalla Legge Delrio, non sembrano originare da quella profonda riflessione strategica sulla propria mission (e sul piano industriale che ne dovrebbe promuovere il raggiungimento) che scatterebbe in qualsiasi azienda a fronte di una riduzione del 50% del fatturato. Nei tre grandi capitoli – pianificazione territoriale, infrastrutturale ed ambientale – che, nel nuovo modello di governance regionale, delimitano lo spazio di potenziale operatività delle Aree Vaste, l’AV Emilia, nell’opinione di Unindustria Reggio-Emilia, potrebbe giocare un duplice ruolo; da un lato come terminale esecutivo delle politiche regionali ed europee, dall’altro come promotrice di iniziative di policy in linea con le esigenze del territorio, in collaborazione con gli altri stakeholder locali. La definizione di questo nuovo perimetro istituzionale si caratterizzerebbe infatti anche come naturale focal point per gli altri protagonisti dello sviluppo territoriale (cfr. più avanti i cenni relativi al tema dell’ education e dell’innovazione), rappresentando un formidabile incentivo (ed in alcuni casi, come nel sopramenzionato esempio del sistema camerale, una condicio sine qua non) alla collaborazione durevole e strutturata. L’AV Emilia avrebbe con ogni probabilità le risorse e la “massa critica” istituzionale per affrontare i grandi temi della competitività locale, dalla dotazione infrastrutturale al marketing territoriale. Tra i diversi fattori di competitività che richiedono un intervento di revisione e di parziale riorganizzazione si possono indicare il settore dell’istruzione e quello dell’innovazione. Si tratta di due sotto-sistemi territoriali che sono alla base della sostenibilità di lungo periodo della società locale, in quanto sono funzionali al mantenimento ed allo sviluppo della capacità competitiva delle imprese localizzate sul territorio. Su questi fronti, L’AV Emilia potrebbe porsi due obiettivi: in primo luogo potrebbe senza dubbio candidarsi come partner naturale per la definizione e la gestione delle politiche regionali, nazionali ed europee che afferiscono a questi due ambiti. In particolare è importante l’interfaccia con la Regione Emilia-Romagna, che è il terminale delle politiche europee ed ha anche avviato di propria iniziativa una propria politica di interventi su ricerca ed innovazione (cfr. ad esempio i poli tecnologici); in secondo luogo l’AV Emilia potrebbe farsi promotrice e focal point di un più ambizioso processo di revisione dell’attuale organizzazione dei settori relativi all’istruzione ed all’innovazione. Il naturale obiettivo di un intervento di questo tipo è ovviamente il controllo e la razionalizzazione della spesa pubblica, che attualmente può essere monitorata solo con difficoltà, in quanto è dispersa nei bilanci di decine di enti e istituzioni. Si pone però anche il problema di rivedere l’organizzazione dei due settori, che ha una notevole complessità perchè le competenze sono ripartire tra diverse organizzazioni e diversi livelli territoriali. L’approccio dell’AV Emilia ai temi dell’istruzione e dell’innovazione dovrebbe comunque basarsi sullo sviluppo di una rete di relazioni con soggetti localizzati sul territorio o operanti all’esterno. L’area vasta, per quanto più ampia delle vecchie province che sostituisce, non avrebbe comunque dimensioni tali da sviluppare una qualche forma di autarchia sia nel campo dell’educazione (soprattutto di quella superiore) che in quello dell’innovazione. Anche qui la logica è quella della rete: individuare, sviluppare ed “esportare” le specializzazioni del territorio (che non sono poche), “importare” quello che non è logico sviluppare localmente, instaurando rapporti istituzionali di collaborazione e di partenariato. Con questa logica l’AV Emilia potrebbe fornire il quadro istituzionale, diventando un volano importante per lo sviluppo di attività ad alto valore aggiunto, funzionali allo sviluppo di nuove specializzazioni ed al consolidamento dei pilastri della competitività locale. In termini di adeguatezza, l'AV Emilia avrebbe un solido fondamento in termini demografici, sociali ed economici (cfr. Appendice A), ovvero: una dimensione demografica ed economica rilevante sia a livello nazionale (l’AV Emilia genera il 4% del valore aggiunto nazionale) che nel confronto con le città metropolitane limitrofe (Milano e Bologna) e con un teorico benchmarking per l'area veneta (rappresentato dalle Province di PD, VI e TV); una demografia favorevole sotto diversi aspetti ed in particolare una forte capacità di attrazione di persone in età di lavoro; una base economica comune (specializzazioni settoriali e livello di sviluppo) e resiliente (con la rilevante eccezione dei servizi, gli altri macro-comparti dell’area hanno infatti mostrato un’elevata capacità di tenuta rispetto a vari benchmark nazionali), che unisce complementarietà a specificità locali. La struttura economica relativamente omogenea è una base importante anche per la costruzione di un modello di governance condiviso e non conflittuale, come quello che dovrebbe caratterizzare le nascenti AV; una marcata specializzazione agro-industriale, un’elevata propensione all’export (l’area genera il 7,6% dell’export nazionale) ed una specializzazione geografica dei mercati di sbocco sufficientemente omogenea da rappresentare uno spazio economico comune per iniziative di supporto congiunte (es. “one stop shop” per l’internazionalizzazione); una significativa presenza di campioni nazionali (338 imprese di mediograndi dimensioni, 6,3% del totale nazionale), che operano di norma in filiera con un tessuto di PMI localizzato di norma nel medesimo perimetro territoriale e sempre più organizzato in “rete”: nell’AV Emilia operavano, a fine 2014, 123 reti di impresa (7% del totale), di cui oltre i ¾ coinvolgevano imprese di Province limitrofe. In questo caso, l’AV Emilia potrebbe incentivare ulteriormente le iniziative di rete (fortemente caldeggiate anche in sede UE), interfacciandosi con un terreno imprenditoriale molto più ricettivo rispetto ad altri territori; un peso relativamente modesto dei servizi, che evidenziano, inoltre, una scarsa dinamicità. L'AV Emilia potrebbe qui avere un ruolo interessante per creare occasioni di maggiore crescita sia per i servizi più orientati ai cittadini (es. sanità) che per attività rivolte alle imprese (es. logistica). un sistema fieristico di dimensioni significative, ma relativamente frammentato e poco internazionalizzato che, verosimilmente, interfacciandosi in modo coordinato con Fiera Bologna, potrebbe far emergere nuove economie e sinergie. Un breve approfondimento sul caso della logistica può essere utile per evidenziare il potenziale ruolo dell'AV Emilia. Questo settore, pur con alcune rilevanti eccezioni (es. polo logistico di Piacenza), è sottodimensionato rispetto al livello dei flussi di merci generato dal motore produttivo dell'area e garantisce livelli di servizio disomogenei ai vari settori clienti. Tale disomogeneità si è tradotta in alcuni casi (si pensi ai ritardi nella realizzazione della bretella autostradale Sassuolo-Campogalliano), in rilevanti svantaggi competitivi. In questo contesto, l’AV Emilia avrebbe gli strumenti per intervenire sul settore della logistica, sia programmando l'uso e lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto sia promuovendo politiche mirate, diventando l'interlocutore naturale degli operatori locali e di quelli esterni (che, essendo di norma di dimensioni molto elevate, possono contare su un rilevante potere di mercato). In questo ed in altri analoghi casi l'AV potrebbe fare emergere opportunità che ora non si vedono (o che si stenta addirittura ad immaginare), creando uno spazio di opportunità per gli operatori, anche solo procedendo alla razionalizzazione dell'esistente. Oltre ai fattori quantitativi che supportano la proposta di creare l'AV Emilia, è importante anche tenere conto del know how che le istituzioni locali pubbliche e private possono mettere a disposizione della nuova istituzione. Per gestire problemi di una complessità crescente occorre una capacità istituzionale maggiore di quella, peraltro non trascurabile, ereditata dal passato. Gli esempi di buone pratiche di “lavoro in rete” esistenti sul territorio sono infatti numerosi sia nella PA, che nel mondo dei corpi intermedi, che in quello delle imprese. 4. Sintesi e conclusioni Nel perimetro di riforma istituzionale degli enti locali definito dalla Legge Delrio, il nuovo modello di governance delineato dalla Regione EmiliaRomagna crea importanti spazi di innovazione nel rapporto fra comunità locali ed istituzioni. Pur prendendo le mosse da un’ineludibile necessità di riduzione e razionalizzazione della spesa pubblica, infatti, entrambi i dispositivi legislativi possono essere declinati in modo pro-attivo sia dai policy maker che dagli operatori economici locali, costituendo un’occasione storica di riprogettazione e rilancio della competitività dei territori. A differenza del passato (anche recente), infatti, negli scenari economici postcrisi la capacità di creare sviluppo, benessere e coesione sociale è legata a doppio filo alla capacità di tutti gli attori di un territorio (famiglie, imprese, istituzioni) di creare valore, mentre deficit competitivi (distruzione di valore) anche di un solo attore mettono a rischio la tenuta di un intero sistema locale. In questo contesto, anche il “modello emiliano” - storicamente caratterizzato da rilevanti sinergie fra sistema delle imprese, società locale e sistema politico-istituzionale di riferimento – presenta crescenti debolezze e criticità e richiede interventi di manutenzione straordinaria, difficili e complessi da realizzare, anche perché troppo a lungo rimandati. Muovendo dalla presa d’atto della connotazione sistemica che caratterizza la competitività, Unidustria Reggio-Emilia si fa promotrice di una proposta generale di ridisegno del sistema istituzionale territoriale in cui operano le imprese associate, basata sulla costituzione di un’Area Vasta Emilia che associ – nell’esercizio delle funzioni previste nel nuovo modello regionale di govenance – le Province di Modena, Reggio-Emilia, Parma e Piacenza. Nei tre grandi capitoli che costituiscono lo spazio di potenziale operatività delle Aree Vaste – pianificazione territoriale, infrastrutturale ed ambientale – l’AV Emilia, nell’opinione di Unindustria Reggio-Emilia, potrebbe giocare il duplice ruolo di terminale esecutivo delle politiche regionali ed europee da un lato, e di soggetto promotore e facilitatore di iniziative di policy in linea con le esigenze di un territorio; un territorio che ormai da tempo non rappresenta più un semplice spazio geografico “a sud del nord ed a nord del sud”, ma che ha invece assunto tutti quei requisiti omogeneità ed adeguatezza (in termini demografici, sociali ed economici) che lo rendono “eleggibile” per la realizzazione di un ambizioso progetto di area vasta. Oltre a minimizzare i rischi di riprodurre le inerzie e le logiche conservative del vecchio sistema delle Province, l’AV Emilia - facendo leva anche sul know-how già sviluppato dalle istituzioni locali (pubbliche e private) e dalle imprese – potrebbe garantire non solo rilevanti economie di scala e di specializzazione nella fornitura di servizi pubblici, ma anche un’importante ed autonoma capacità di interlocuzione con i livelli istituzionali paritetici (es. Città metropolitane di Bologna e Milano) e sovra-ordinati (Regione, Governo, Unione Europea). Lungi dal riprodurre su scala maggiore le rigidità e le inefficienze delle vecchie Province, l’AV Emilia affronterebbe queste sfide dotandosi di un modello di rete, basato cioè sulla collaborazione durevole fra centri decisionali autonomi che scelgono – per raggiungere specifici obiettivi funzionali – di utilizzare congiuntamente le proprie risorse, conoscenze e competenze. Tale modello – che sta evidenziando crescenti successi nel mondo delle imprese (anche per il convinto sostegno ricevuto dei policy maker) - fa leva su specializzazione reciproca, condivisione, co-innovazione ed espansione dei bacini d’uso e sembra il più adeguato per la gestione della complessità cui sono chiamati tutti gli attori dello sviluppo locale.