Magazine per il Destination Marketing in Alto Adige In caso di mancato recapito restituire al CPO di Bolzano - Poste Italiane S.P.A. – Spedizione in A.B. – 70% NE/BZ, Tassa Pagata/Taxe Perçue aprile / maggio / giugno 2013 regionale è sexy Al diavolo la globalizzazione: è giunto il momento di rivalutare le origini, la tradizione e i pregi locali 107.060 altoatesini hanno trascorso nel 2011 un periodo di ferie in Alto Adige » originando in tutto 438.870 pernottamenti. In termini percentuali siamo appena all'1,5% del totale dei pernottamenti, ma è comunque un segnale che l'offerta locale è apprezzata. Nel vicino Tirolo i numeri sono simili: 235.400 tirolesi hanno passato le ferie nella propria regione dando vita all'1,4% dei pernottamenti. Le cose sono decisamente diverse in Trentino, dove si contano solo 65.908 turisti locali pari all'1,1% dei pernottamenti. (Fonti: ASTAT, Tirol Werbung, Trentino Statistica) L'importanza delle radici “Il futuro è glocale”, si usava dire qualche tempo fa per indicare la voglia di regionalità di tante aziende alle prese con la globalizzazione. Ed è la prova che la regionalità non è un fenomeno modaiolo, ma un megatrend che parte da lontano e lontano vuole andare. Tuttavia: a furia di invocare sempre più regionalizzazione, non è che nel lungo periodo questo provocherà dei danni alla nostra esportazione? Non c’è il rischio di diventare miopi, limitati, protezionisti? La risposta è: no. Regionalità non significa innalzare barriere. L’obiettivo della regionalizzazione è di analizzare e sviluppare quei segmenti di mercato in cui le aziende di una determinata regione possono, nell’ambito della competizione globale, competere con prospettive di successo. Già oggi l’Alto Adige è tra le eccellenze nel settore alimentare, nell’agricoltura e nelle tecnologie invernali ed esporta più prodotti di quanto ne importa, soprattutto perché in questi settori ha saputo riconoscere e vincere le sfide poste dal proprio ambiente alpino. Ecco perché i prodotti altoatesini sono pregiati e autentici. Regionalità e globalizzazione non sono per nulla in contrapposizione. Anzi. A lungo termine le nostre aziende riusciranno ad avere successo a livello internazionale solo se, pur trovandosi a competere in un mercato globale, sapranno mantenere ben salde le radici in Alto Adige. Hubert Hofer, direttore del TIS a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 3 Festival del Gusto Alto Adige La bontà dà spettacolo! festival del gusto alto adige Hier Ifeiern für Ihre Bolzano 24 – 26 maggio 2013 Sinne www.festivaldelgusto.it Sommario copertina: Regionalità MARKETING 8 La bontà? è qui, dietro l’angolo Prodotti locali alla riscossa: vicinanza e provenienza, regionalità e tradizione sono sempre più apprezzate. 26 Global Player di periferia Perché le grandi aziende decidono di mettere radici in Alto Adige? Lo abbiamo chiesto alle dirette interessate. 16 Una questione di profilo L'esperto tedesco di gastronomia Otto Geisel invita i ristoranti a crearsi un'immagine ben definita. 28 La reputazione corre sul web Troppi albergatori non commentano le recensioni negative sui loro alberghi. E sbagliano: lo dice il cliente. 18 Non chiamatelo solo vitello Il progetto LaugenRind è la prova provata che la collaborazione tra agricoltura, commercio e alta gastronomia può funzionare. 31 L’innovazione ha fatto scuola Formazione ad alto livello e Job Training in azienda: sono i punti forti del metodo elaborato da TIS ed Eurac. 20 Qualità per tutte le tasche Marchio Eataly: ecco la storia di un progetto culturale ed economico vincente interamente made in Italy. 24 Dall’Alto Adige per l’Alto Adige Panoramica sui più importanti marchi locali e nazionali. Perché le specialità devono essere tutelate. 38 Bontà altoatesina da mordere, parte II Vecchi messaggi, nuovi protagonisti: al via in Germania la nuova campagna della mela Alto Adige IGP. Rubriche 6 7 22 25 34 36 40 42 mailbox made in alto adige uno sguardo oltre i confini l'opinione mercato menti nell'occhio dei media m come marchio BLS – Business Location Alto Adige Spa, Passaggio Duomo 15, 39100 Bolzano EOS – Organizzazione Export Alto Adige, via Alto Adige 60, 39100 Bolzano SMG – Agenzia Alto Adige Marketing, piazza della Parrocchia 11, 39100 Bolzano TIS – innovation park, via Siemens 19, 39100 Bolzano Direttore responsabile: Reinhold Marsoner | Caporedattrice: Barbara Prugger | Redazione: Maria C. De Paoli, Bettina König, Hartwig Mumelter, Eva Pichler, Gabriela Zeitler Plattner, Cäcilia Seehauser | Coordinamento: Ruth Torggler | Traduzioni: Paolo Florio | Layout: succus. Comunicazione | Design Consult: Arne Kluge | Fotografie: Eataly, Alex Filz, Gerhard Loske, Shutterstock, Jan Terzariol | Illustrazioni: Eva Kaufmann; succus. Comunicazione | Infografica: succus. 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L’Alto Adige è ricchissimo di leggende che raccontano della nascita delle montagne, di eventi storici o di storie fantastiche che hanno come protagonisti gnomi, streghe e diavoli. Visto il crescente interesse dei turisti, ma anche della popolazione locale, verso storie che riguardano da vicino la cultura altoatesina, Alto Adige Marketing (SMG) ha elaborato un’offerta culturale di sicuro interesse creando una banca dati delle leggende altoatesine. Sul sito aziendale è ora possibile consultare 150 leggende, tutte disponibili in italiano, tedesco e inglese e precedute da un breve testo riassuntivo che ne illustra i contenuti e permette di individuare le tematiche di interesse personale. La banca dati creata da SMG vuole essere uno strumento di informazione e di ispirazione facilmente accessibile e pensato non solo per i turisti ma anche per studenti, insegnanti e famiglie. Tutte le leggende sono scaricabili gratuitamente in formato pdf. www.smg.bz.it/leggende ecco il fondo per l’export Più sicurezza per chi vuole esportare EXPORT. Da ora in poi un’azienda che intende stipulare un contratto in un Paese che non è compreso tra i 34 aderenti all’OCSE, può rivolgersi con fiducia 6 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 all’Organizzazione Export Alto Adige (EOS). Quest’ultima esaminerà la documentazione per poi trasmetterla alla Banca di controllo austriaca (ÖKB), la quale eseguirà un rating per poi emettere una polizza di garanzia. A questo punto l’azienda potrà andare dalla propria banca e chiedere un finanziamento fino al 70% del valore dell’appalto. Il sistema viene garantito da un fondo che, dopo la dotazione iniziale da parte della Provincia, è destinato nel tempo ad essere finanziato dalle commissioni trattenute. In Germania e Francia, dove questo sistema è già attivo, oltre la metà del PIL viene prodotto all’estero grazie anche e soprattutto all’esistenza di queste garanzie. www.eos-export.org/it/news INNOVAzIONe. A cosa deve badare uno sviluppo di prodotto che voglia essere professionale? Innanzitutto al rispetto delle norme tecniche che sono garanzia di prodotti sicuri e di qualità. Lo sportello per le norme tecniche “Punto UNI-CEI” del TIS innovation park fornisce informazioni sulle normative nazionali (UNI), europee (EN) e internazionali (ISO) alle aziende altoatesine. Prefabbricati, apparecchiature elettriche, abbigliamento da lavoro, cabine doccia: ogni prodotto ha le sue normative di riferimento e lo sportello informativo “Punto UNICEI” del TIS è in grado di dare la risposta giusta ad ogni settore grazie alla sua generosa banca dati che mette gratuitamente a disposizione delle aziende oltre 17.000 normative. Per info contattare il responsabile del Punto Stefano Prosseda, tel. 0471 (EP) 068144, [email protected] Invita un’azienda a cena BLS e il Networking Dinner fiere. Business Location Alto Adige (BLS) utilizza in maniera mirata gli eventi fieristici per mettere in rete aziende nazionali ed estere di svariati settori. In occasione delle fiere Klimahouse, Alpitec, Prowinter e Klimaenergy alcuni espositori e imprenditori altoatesini vengono selezionati per un Networking Dinner presso una delle aziende di eccellenza della nostra provincia, che durante la serata hanno quindi l’occasione di presentarsi agli Ogni prodotto ha una sua normativa MADE IN alto adige a la scheda Prodotto: pacco da 6 Batzen Bräu Produttore ����������������������������������������������������������������������� Batzen Bräu, Bolzano Particolarità ����������������������������������� birra artigianale prodotta in Alto Adige Design ������������������������������������������ Agenzia succus. Comunicazione, Bolzano Mercato ������������������������������� prevalentemente Alto Adige e regioni alpine, ������������������������������������������������������������������������������������� ma si trova anche a Roma Produzione ������������������������������������������ attualmente 3.000 bottiglie al mese La birra artigianale da portare a casa in una pratica confezione da 6 bottiglie: ecco la novità dell'antica osteria bolzanina Ca' de Bezzi, disponibile anche nelle più importanti bottiglierie. La varietà "Batzen Hell" ricorda la birra marzolina, in passato molto amata dagli altoatesini. La "Batzen Weisse" si ispira invece alla tradizione delle birre chiare bavaresi, mentre la scura "Batzen Dunkel" viene prodotta secondo lo stile delle birre Lager scure, molto apprezzate soprattutto nelle città. Con la Batzen Bräu l'antica tradizione austriaca viene ripresa e reinterpretata; gli ingredienti sono parzialmente importati in quanto le materie prime non vengono (ancora) coltivate in Alto Adige. L'osteria Batzen Häusl venne citata per la prima volta più di 600 anni fa ed è pertanto la più antica dell'Alto Adige. Dal 2002 l'oste è Robert "Bobo" Widmann che nel 2012 ha creato la sua "Batzen Bräu". www.batzen.it a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 7 COPERTIN A : r egi on a l it À | La bontà? È qui, dietro l’angolo la bontà? è qui, dietro l'angolo Intrecci poco chiari, processi complicati, scarsa trasparenza: per tanta gente la globalizzazione sta diventando insopportabile. La conseguenza? Km zero e provenienza, regionalità e tradizione sono sempre più di moda. La riscossa dei prodotti locali è partita! Testi: Maria Cristina De Paoli Illustrazioni: Eva Kaufmann 8 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 A gennaio del 2009 varcava la soglia della Casa Bianca come First Lady. Neanche un paio di mesi più tardi, Michelle Obama si mostrava sul prato della residenza presidenziale di Washington in stivaloni di gomma, guanti da giardiniere e zappa, intenta a dissodare – assieme a una classe di scolari – un orto di 100 metri quadri. Che da allora regala, soprattutto per la tavola degli Obama, cipolle e broccoli, cetrioli e insalata. “La First Lady è diventata l’icona della tendenza globale all’auto-coltivazione ed all’auto-approvvigionamento”, esordisce Matthias Horx, fondatore e titolare dell’Istituto tedesco di futurologia di Kelkheim. La visione di una popolazione autarchica dal punto di vista alimentare, anche nei centri urbani, non è certo nuo- va. Oggi però non siamo più di fronte ai tradizionali piccoli orti dietro casa. La campagna si sta spostando in città: a New York gli orti spuntano sui tetti e nelle scuole, nei cortili dei palazzi berlinesi nascono appezzamenti condominiali mentre nelle metropoli dei paesi emergenti l’agricoltura urbana fa parte ormai da tempo del paesaggio. “A Dakar – informa Horx – l’80% del fabbisogno di ortaggi viene coltivato in città. E a Shangai sono già all’85 per cento”. Ad ogni modo l’amore per i prodotti locali, in campo alimentare, non si limita a frutta e verdura. Le micro-birrerie ad esempio stanno ottenendo grandi risultati con le loro specialità artigianali che si differenziano dal gusto piatto delle multinazionali, e sono in auge anche i piccoli caseifici privati, che confezionano » a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 9 COPERTIN A : r egi on a l it À | La bontà? È qui, dietro l’angolo formaggi seguendo le ricette di una volta. Aria nuova si respira anche nell’Alta Cucina, se è vero come è vero che dal 2010 il “Noma” di Copenhagen è stato eletto per tre volte di fila miglior ristorante del mondo. Essendo strettamente regionale, la cucina dello chef René Redzepi non contempla olio d’oliva o pomodori ma utilizza muschi e licheni, cortecce e graminacee, alghe e germogli. Sono tutte piante selvatiche tipiche del Nordeuropa utilizzate da sempre, le cui qualità però tendono vieppiù ad essere dimenticate. “Per anni non abbiamo fatto altro che parlare di globalizzazione: orizzonti sempre più ampi, dimensioni sempre più imponenti, legami sempre più opprimenti”, dice Matthias Horx. Oggi il locale sta rialzando la testa, come risposta ad una internazionalizzazione percepita ormai come una minaccia. “Tenendo comunque presente che i neo-localisti non vogliono fermare il mondo, ma costruirne uno nuovo partendo dal basso. O almeno creare un contrappeso laddove è ancora possibile modificare la situazione”. La spesa intelligente “La gente vuole riprendere in mano la propria vita”, sintetizza la scrittrice e documentarista Elisa Nicoli che nell’ottobre del 2012 ha contribuito a Castel Mareccio all’organizzazione di “SkonsumOFesta”, la prima fiera mercato del tessile eco-sostenibile. Elisa Nicoli inoltre scrive manuali e tiene seminari che vanno dall’impiego di erbe e piante selvatiche ai detergenti “creativi” da produrre in casa, per arrivare al riutilizzo di oggetti destinati a finire nei cassonetti. Ma Elisa è anche membro attivo dei GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), un movimento che nel nostro paese ha raggiunto i 900 gruppi e viene coordinato da una rete nazionale di collegamento. In Alto Adige se ne contano 25 sparsi tra Merano, Bolzano, Bressanone e la Bassa Atesina, ed ognuno di essi conta 20-30 famiglie affiliate. La filosofia che fa nascere un 1 0 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 GAS è l’acquisto in comune. “Noi ci procuriamo tutto quello che serve in una casa, dalla carta igienica ai cosmetici, dalla pasta all’olio d’oliva”, spiega Nicoli. Superfluo dire che bisogna rispettare certi criteri: “Noi acquistiamo solo dai produttori, senza intermediari, dando la precedenza ai prodotti bio e regionali”. Quando tutto questo non è possibile, si continua a cercare oppure ci si fa aiutare dagli altri gruppi. “Come nel caso delle arance. Noi le prendiamo da un contadino siciliano che ci è stato consigliato da un GAS del posto”. E quando la collaborazione con un produttore diventa particolarmente intensa, ecco che l’agricoltore modifica addirittura le proprie abitudini di coltivazione in base alle esigenze del gruppo “e inizia a piantare quella varietà di riso o di verdura che i soci del GAS gli hanno richiesto”. E il ritorno economico? C’è, ma non è quello il punto. “Visto che acquistiamo per tante persone riusciamo spesso a spuntare un buon prezzo. Ma il risparmio è forse l’ultima cosa che ci interessa, per noi contano molto di più i minori viaggi dei tir, una qualità sicura, cicli ridotti e un commercio equo”. Attualmente i GAS stanno vivendo un vero e proprio boom in tutta Italia, da Bolzano a Palermo. Numeri che tuttavia impallidiscono di fronte a quelli degli USA, dove cibarsi con alimenti locali viene considerato un privilegio e l’appartenenza ad una delle cosiddette “Food Coop” è diventata ormai uno status symbol. Come la leggendaria “Park Slope Food Coop” di Brooklyn, la più antica cooperativa alimentare. E il commercio? Si adegua Insomma, i prodotti nostrani sono tornati in tavola. E non solo per gli integralisti dei gruppi d’acquisto. Secondo uno studio della Società Agricola Tedesca (DLG), nell’80% delle case germaniche si consumano prodotti regionali. Una tendenza che sembra aver fatto breccia anche nella grande distribuzione, vi- » vino & Terroir Il futuro è nel bicchiere “Se vogliamo dare a Cesare quel che è di Cesare, i primi a riconoscere una forte relazione tra il vino e la zona di coltivazione sono stati i Romani”, dice Helmuth Zanotti, responsabile del reparto “Vino” di EOS (Organizzazione Export Alto Adige). Che aggiunge: “Anche perché non erano praticamente in grado di distinguere una varietà di vite dall’altra, e allora davano il nome ai vini in base alla zona dove venivano prodotti”. Da allora i vini sono indissolubilmente legati al loro terroir*. Un legame che ben presto venne ritenuto degno di essere tutelato: “La prima normativa sulla Denominazione d’Origine Controllata – spiega Zanotti – venne introdotta già negli anni Trenta del secolo scorso con un Regio Decreto. E tra i primi vini protetti figurava anche il nostro Santa Maddalena”. Il sistema oggi in vigore risale invece ai primi anni Settanta. In Alto Adige si producono ogni anno mediamente 330.000 ettolitri di vino, e nel 90% dei casi si tratta di vini Doc. Va da sé che una cosa sono le normative, cosa ben diversa sono le tendenze dei produttori e il gusto dei consumatori. “E qui, negli ultimi due decenni, c’è stato un enorme livellamento”, fa notare Zanotti. Questo perché l’influsso dei nuovi paesi vinicoli come la California o l’Australia, abbinato al sempre più massiccio ricorso alla barrique, ha relegato il terroir ad un ruolo marginale nella storia di un vino. All’improvviso ogni bottiglia è diventata perfetta, tutte le annate uguali e si è creduto di poter piantare vigneti ovunque. “Ma alla fine la nostra cultura millenaria viticola ha avuto la meglio – commenta Zanotti – e oggi, perlomeno in Europa, si è tornati ad apprezzare la varietà ed i vini di carattere ed a far rinascere i vini autoctoni". Ecco allora che anche in campo vinicolo si assiste a quella corsa alla regionalità già scattata in altri settori, “con la differenza – precisa Zanotti – che per il vino non ci si limita ai circuiti locali: noi vogliamo esportare le nostre etichette in tutto il mondo”. Oggi la metà del vino prodotto in Alto Adige viene venduto all’interno della provincia. Attenzione però: “Venduto, non bevuto”, fa notare Zanotti. Questo perché tanti turisti, prima di ripartire, imbottiscono il bagagliaio di vino altoatesino che poi gusteranno comodamente seduti sul divano di casa. *Con il termine “terroir” i francesi indicano quella combinazione di suolo e condizioni climatiche che influisce in maniera decisiva sul risultato di una coltivazione. a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 1 1 COPERTIN A : r egi on a l it À | La bontà? È qui, dietro l’angolo in tutti gli opuscoli pubblicitari in cui de soprattutto vino e frutta dell’Alto Adisto che anche i marchi mondiali stanno sono presenti specialità altoatesine. ge, “ma noi siamo anche buoni clienti investendo nella filiera locale con tanto di marketing dedicato. La Lidl per esem- “Anche se questo marchio – tiene a preci- delle latterie, dei panifici e delle indusare l’ad Robert Hillebrand – non identi- strie alimentari locali. Senza dimenticapio ha creato il settore “Ein gutes Stück fica solo i prodotti fatti in provincia, ma re che tutti i salumi venduti con i marchi Heimat”, Rewe propone alimentari “Aus anche i marchi e le merci che sono “tipi- “Kaiserhof” e “Sapore mio” vengono prounserer Region” e Migros ha coniato lo dotti da noi a Bolzano”. Ma in futuro la slogan “Aus der Region. Für die Region”. ci” delle abitudini di consumo dell’Alto Adige”. presenza dei prodotti regionali è destiIl colosso Aspiag da parte sua segnala Con la nicchia di prodotti “100% nata ad aumentare? Non così facile, frecon la scritta “100% Typisch-Tipico” i na Hillebrand. “Ogni giorno noi serviaprodotti caratteristici per il mercato al- Typisch-Tipico”, Aspiag strizza l’occhio al consumatore maggiormente sensibi- mo, tra Alto Adige e Trentino, la bellezza toatesino. I bollini con la scritta bilingue le ai piccoli circuiti economici. Al mo- di 50.000 clienti, per cui non possiamo e lo Sciliar stilizzato fanno bella mostra mento l’assortimento “tipico” compren- permetterci degli assortimenti aleatori”. di sé in tutti i negozi a marchio Despar e S e d i c o l o c a l e , pens o : b u o n o l ' i m p o r ta n z a de l l a pr o v en i en z a Il 75% dei consumatori altoatesini pensa che i prodotti locali siano particolarmente buoni: questa la conclusione del Centro di ricerca sociale e demoscopia Apollis di Bolzano dopo uno studio sul marchio di qualità, in cui tra le altre cose è stato valutato l’atteggiamento del consumatore nei confronti della provenienza delle merci. “I controlli severi, la lavorazione accurata delle piccole aziende, il clima favorevole ma anche l’elevato livello di qualità preteso dal cliente e la natura pressoché intatta rappresentano i fattori più importanti per la fiducia verso i prodotti locali”, spiega Ulrich Becker, uno degli autori dello studio. Ma la qualità è solo uno dei motivi che spinge a preferire prodotti nostrani: “Oltre alla freschezza dovuta ai brevi spostamenti ed alla maggiore trasparenza nelle varie fasi di produzione, il cliente è spinto da valori ideali come il sostegno all’economia del posto dove vive, i benefici per l’ambiente e la salvaguardia del paesaggio culturale”. 1 2 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 Ma fino a dove funziona la parolina magica regionalità? “All’interno della regione stessa – risponde Becker – è sicuramente un punto di forza. La gente del posto conosce i prodotti e conosce anche i produttori, perché ha la possibilità di informarsi per bene”. Le cose ovviamente cambiano man mano che ci si allontana dai confini regionali. E come esempio classico Becker cita lo yogurt dell’Alto Adige: “Per noi un vasetto di yogurt altoatesino è inconfondibile”. Un inglese invece, ben che vada vedrà in quel vasetto un prodotto proveniente da una zona alpina indefinita, Svizzera, Alto Adige o Baviera che sia. “A meno che non sia stato in vacanza da noi”, dice Becker, il quale attribuisce quindi al turismo un ruolo decisivo e sollecita maggiori sinergie tra produttori e player turistici: “Bisogna assolutamente investire di più in questo binomio”. Il pericolo insomma è che i piccoli pro- all’origine, il requisito princiduttori non ce la facciano a far fronte alle pale per finire sugli scaffali di richieste, ma non solo: “Tanti prodotti “Pur Südtirol” è la qualità. “E quedell’euro non locali sono legati alle stagioni, ed è diffi- sto è solo il punto di partenza. Noi hanno mai smesso di mucile farlo capire ed accettare al cliente. infatti – aggiunge Wallnöfer – vorremmo gugnare, e ora sono pronte a tornare alla Con i crauti ancora potrebbe funzionare, che nei prodotti fatti in Alto Adige ci fos- carica sotto forma di “Chiemgauer”, ma nel caso delle marmellate e dei suc- sero, nella quantità maggiore possibile, “Roland” o “Justus” (vedi anche box a pag. chi sarebbe un bel problema, se in alcuni 23). E se le valute parallele fanno sorrideanche materie prime altoatesine. Cosa mesi dell’anno sparissero dagli scaffali”. che non è affatto semplice, basti pensare re i più, è però innegabile che facciano sempre più proseliti. Anche nel settore allo zucchero”. dell’energia si sta cominciando a pensaUn altro obiettivo dei due “puristi” è Alto Adige al 100% re in piccolo, tanto che il passaggio dalla lo sviluppo di prodotti locali e come Se fuori c’è scritto Alto Adige, allora an- esempio Wallnöfer cita lo spumante di grande distribuzione centralizzata alla che dentro ci deve essere Alto Adige: i produzione locale per molti rappresenmela “S’Pom”, prodotto dall’azienda puristi di “Pur Südtirol” non accettano ta “la” sfida economico-ambientale del Obsthof Troidner di Renon e accolto con vie di mezzo. “L’Alto Adige – spiega Ul- favore dal mercato. Mercato sul quale futuro. E persino la solidarietà inizia a rich Wallnöfer – è un territorio di monta- sta per essere lanciata una novità: il vino concentrarsi sul vicinato, come confergna dai confini ben definiti. E noi voglia- al miele. E a quanto pare gli agricoltori ma Josef Dariz, presidente del Fondo mo rispettarli. Sui nostri scaffali non altoatesino di solidarietà rurale: “Quansono ben contenti di farsi coinvolgere in troverete mai le mele di San Michele questi “esperimenti”: “Da noi la coope- do il dramma accade vicino a casa proall’Adige, l’olio d’oliva del Garda o il pro- razione e l'innovazione vanno a braccet- pria, il senso di solidarietà è più forte”. sciutto austriaco. Anche se per questa to”. Tutti questi sforzi sono stati premia- Senza contare che la gente vuole sapere coerenza ci rimettiamo in termini di che fine facciano le proprie offerte “e ti dai consumatori e Pur Südtirol viene clienti e di fatturato”. oggi citato come un modello vincente, che arrivino proprio là dove ce n’è bisoTre anni fa Wallnöfer ha aperto assie- sia dagli altoatesini che dai turisti: “La gno”. me a Günther Holzl, nel centralissimo Sulla stessa lunghezza d’onda trovianostra clientela è composta per due terzi corso Libertà di Merano, la prima botte- da altoatesini e un terzo da ospiti”. mo Monika Thaler, coordinatrice ga dei sapori “Pur Südtirol”. In seguito si dell’Associazione Volontariato in Monsono aggiunti un secondo negozio a Bru- La riscossa del locale tagna (AVM) che l’anno scorso ha mannico, un punto vendita all’ingrosso a dato 2.145 persone a lavorare gratis nei Lana e lo shop on line. Del gruppo fa par- Certo, l’identificazione con la propria masi di montagna: “Nel 27% dei casi si te anche la vinoteca Meraner Weinhaus. regione passa innanzitutto dal carrello trattava di altoatesini, un bel numero della spesa. Ma non solo. Pensiamo alle “Abbiamo un catalogo di 1.700 prodotti pensando che nel 2011 erano il 19 per valute locali. Dopo l’introduzione forniti da 250 aziende altoatesine. Oltre cento”. E se da una parte ci sono » a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 1 3 COPERTIN A : r egi on a l it À | La bontà? È qui, dietro l’angolo C o s a s i g n i f i c a re g i o n a l e ? S e m b r a fa c i l e de f i n i r l o . . . La risposta è meno semplice di quanto si pensi: cosa significa veramente “regionale”, cosa si intende con questa parola? “A differenza di “bio”, è difficile trovare una definizione che accontenti tutti”, spiega Nicole Weik del Bundesverband der Regionalbewegung, la federazione tedesca che promuove una mentalità regionale in senso lato. “Secondo noi ogni produttore o iniziativa commerciale regionale dovrebbe prima di tutto conoscere con esattezza quanto è grande la regione”. Cosa non facile, peraltro. Riferendosi alla realtà tedesca, ad esempio, Weik spiega che tra una regione e l’altra le situazioni sono alquanto differenti: “Molte strutture sono scomparse ed è quasi impossibile trovare un macello o un caseificio”. Una situazione che rende difficile stabilire dei confini regionali precisi. A questo riguardo il Bundesverband der Regionalbewegung si è dato una serie di criteri che prevedono, tra l’altro, che i prodotti regionali debbano essere al 100% di provenienza locale oppure essere prodotti sul posto con ingredienti locali. Ma anche la distribuzione deve limitarsi ai confini regionali, secondo il motto: dalla regione, per la regione. Ad ogni modo, basta un’occhiata su Internet per capire quanto le definizioni di regionale siano spesso elastiche e basate su compromessi. Su un punto però sono tutti d’accordo: il concetto di regionalità è credibile solo nel momento in cui garantisce la massima trasparenza. stranieri in cerca di natura, pace e genu- co: “In passato i tedeschi non passavano mai le ferie a casa loro. Adesso inveinità ad alta quota, gli altoatesini sono ce è quasi diventato chic starsene in invece spinti dalla voglia di rendersi utili Germania”. Anche se una grossa mano a casa propria: “Molti apprezzano il fatto a questa tendenza l’hanno sicuramente di poter fare del bene senza dover andare data le troppe situazioni di insicurezza lontano”, dice Thaler. sparse sul pianeta. A proposito di montagna: anche in Di insicurezza parla anche Franziska ambito turistico le destinazioni a portaSchwienbacher: “La gente ha paura di ta di mano stanno prendendo sempre diventare dipendente dai grandi sistepiù piede. Succede così che sempre più mi”, afferma la coordinatrice della altoatesini passino le vacanze in Alto Adige. Certo, nel 2011 la quota di turi- “Winterschule Ulten”, la scuola nata 19 anni fa per valorizzare il lavoro artigianasmo interno non ha raggiunto neanche il 2%, con 107.060 arrivi e 438.870 per- le della Val d’Ultimo. “Il primo anno – ricorda Franziska – avevamo 16 iscritti”. nottamenti. I dati storici però dicono che negli ultimi 5 anni il numero di tu- Nell’ottobre scorso, quando la scuola ha risti locali è aumentato del 27%, con po- avviato un nuovo corso, sono arrivate più di mille domande. E con il numero dei che differenze tra la stagione estiva e quella invernale. “Questo fenomeno – corsisti è cresciuta pure l’offerta. Nata come struttura formativa destinata prespiega Alexandra Mair, direttrice del valentemente alla popolazione della valreparto Destination Management di le, nel tempo la Winterschule è diventaSMG – va a vantaggio di tutte le parti in causa. Gli altoatesini conoscono e ap- ta un centro di salvaguardia e valorizzazione degli antichi mestieri e delle prezzano il livello delle nostre strutture materie prime locali. In Val d’Ultimo turistiche, ma anche queste ultime oggi si insegna a intrecciare cesti e lavosono molto contente di avere come rare al tornio, tessere la lana e lavorare il clienti dei corregionali”. Proprio in questo periodo il gruppo feltro, riconoscere e usare le erbe. C’è dei Vitalpina Hotels Südtirol sta piani- anche un corso specifico dedicato alla ficando una campagna pubblicitaria permacultura, un sistema che studia sui media locali destinata ai possibili come progettare e gestire in maniera soclienti altoatesini. Come modello posi- stenibile paesaggi antropizzati. A tanta tivo in fatto di destinazioni di vicinato, varietà d’offerta corrisponde un pubbliAlexandra Mair cita il mercato germani- co altrettanto variegato. “Qui si può tro1 4 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 vare di tutto, dalla contadina del maso sperduto all’architetto bolzanino, dal sindaco alla casalinga, dal settantenne allo studentello”. Altrettanto diverse sono le motivazioni che spingono tutta questa gente a salire fino a Santa Valburga. “C’è chi viene a scopi formativi, chi pensa di imparare un secondo lavoro e chi invece è solo interessato alle tradizioni. Quasi tutti però sono accomunati dalla volontà di cambiare qualcosa, perché sono insoddisfatti di vivere in un mondo segnato dalla globalizzazione”. Riscoprire le tradizioni A Santa Valburga gli attori principali sono gli antichi mestieri, i materiali naturali, la cucina tradizionale e il lavoro a maglia. E proprio ai ferri sono fatti anche i richiestissimi (e carissimi) Sarner che lo scorso inverno spiccavano nelle vetrine di Oberrauch Zitt. Colori eccentrici, le migliori lane: le giacche Janker di Sarentino sono veramente tornate di moda? “In effetti al momento – conferma Barbara Prieth, ad dell’azienda bolzanina – il Sarner è molto richiesto, e anche i Dirndl si vendono bene”. Fatturati confortanti pure per i capi in lana e loden, anche perché “la moda ha ormai sdoganato gli abiti tradizionali e oggi chi indossa un Sarner non deve per forza metterci sotto pantaloni di cuoio e camicia ma bastano jeans e maglietta”. Per il cliente rimane però importante l’origine dei materiali e “soprattutto dove il capo è stato confezionato”, conclude Prieth. Se per la moda la tradizione può essere un optional, in architettura è un concetto basilare. “L’architettura è sempre legata al territorio. Qui da noi – spiega l’architetta brissinese Michaela Wolf – i materiali tipici come il legno e la pietra, ma anche gli elementi legati alla tradizione vengono recepiti, sviluppati o reinterpretati”. Wolf segnala anche la crescente sensibilità dei committenti, sempre più portati a prediligere materiali e forme tradizionali. Ecco allora nuove costruzioni con piastrelle di maiolica, pavimenti in legno, stufe a legna o scandole. “E chi ha tanto spazio si permette il lusso di farsi anche una stube”, informa Wolf. A proposito di stube. L’azienda altoatesina Intercable produce, oltre a utensili professionali, anche componenti plastici per l’industria automobilistica internazionale. E quando clienti e fornitori entrano nella sede di Brunico, non vengono accolti in locali futuristici ma in un’inusuale quanto accogliente stube in cirmolo. “Questi sono i nostri valori, le nostre tradizioni. E noi vogliamo rispettarli”, spiega l’addetto stampa Gerd Staffler. focus: Megatrend Regionalità Per tanti anni la globalizzazione ha rappresentato il nostro totem: l’integrazione del nazionale con il continentale, il trionfo delle metropoli sui piccoli centri. Le singole località non contavano più. Solo che, senza più poter riconoscere origine e appartenenza, gli uomini si sono accorti di non vivere poi così bene. Ed è allora che è iniziata la riscossa del locale. L’asso nella manica si chiama regionalità. Grazie ad essa le aziende locali possono distinguersi dalla concorrenza che opera a livello internazionale, mettendo sul piatto della bilancia qualità e fiducia per convincere il consumatore all'acquisto. Non il prezzo, però: una ditta di provincia non potrà mai competere con colossi specializzati nella produzione di massa su scala mondiale. Operare su circuiti regionali crea vantaggi non solo economici ma anche ecologici. Già oggi è dimostrato che il rincaro dell’energia primaria divora una parte dei risparmi derivanti dall’operare in outsourcing e offshoring. Con il petrolio in perenne aumento, infatti, i costi di una produzione globale diventano sempre più elevati. d at e m i u n j e a ns e g i rer ò i l m o nd o Basta un semplice jeans per capire quanto sia attuale e necessario aprire una discussione su sostenibilità e provenienza, su cicli economici trasparenti e consumatori consapevoli. “Sapevate - chiede Christina Lechner dell’Organizzazione per un mondo solidale (OEW) di Bressanone – che un pantalone in denim, prima di finire sugli scaffali di una boutique altoatesina, ha viaggiato per 50.000 km? Una distanza pari a più di una volta il giro della terra”. Un viaggio peraltro decisamente tortuoso. “Dopo essere stato raccolto in Kazakistan, il cotone viene spedito in Turchia per la filatura e poi a Taiwan per la tessitura. In seguito la stoffa viene colorata in Tunisia con tinture polacche e spedita in Bulgaria per la rifinitura. Il jeans viene poi cucito nelle Filippine e quindi spedito in Francia per essere lavato con la pomice. Manca ancora l’etichetta, che viene applicata in Italia affinché il capo, malgrado abbia fatto il giro del mondo, possa essere definito Made in Italy”. La storia del jeans “errante” è uno dei punti fissi del progetto scolastico “Verwoben und verfilzt”. “Ognuno di noi ha almeno un paio di jeans, per cui il problema riguarda tutti”, dice Christina Lechner. Con questo progetto la OEW intende far confrontare gli studenti con il proprio atteggiamento nei confronti della moda, “ma anche mostrare i contesti globali e renderli consapevoli degli effetti sull’ambiente e sull’economia”. Il progetto prevede un dibattito conclusivo in cui si cercano delle alternative. Ma il lavoro di sensibilizzazione non si limita a bambini e ragazzi: “Quest’anno con l’iniziativa “be the change” ci rivolgiamo a tutta la società altoatesina". a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 1 5 COPERTIN A : r egi on a l it À | L’intervista Una questione di profilo. Il gastronomo ed esperto di vini tedesco Otto Geisel parla a ruota libera di cibi sensoriali, regionalità, responsabilità sociale e menu da sfoltire. Chi è Otto Geisel (classe 1960) proviene da una nota famiglia di gastronomi di Monaco di Baviera. Ha studiato da cuoco e albergatore ed è anche intenditore di vini spesso richiesto nelle giurie. Dal 2006 al 2009 Otto Geisel è stato presidente di Slow Food Germania, nel 2007 è stato incoronato ristoratore dell’anno da Gault&Millau e tre anni dopo si è ritirato imprenditorialmente dal settore gastronomico e alberghiero dedicandosi all’attività di consulente e autore di libri. È anche alla guida dell’istituto per la cultura alimentare che ha fondato a Monaco. Geisel ama definire l’Alto Adige la sua seconda patria. Otto Geisel, oltre 10 anni fa lei ha girato le spalle alla Nouvelle Cuisine e a tutto ciò che di esotico c’era in cucina, lasciando la porta aperta solo a prodotti e ricette locali. Per questa decisione allora lei venne schernito, oggi invece la acclamano come visionario, come antesignano di una moda che sta prendendo sempre più piede. Le sue parole d’ordine sono: gusto e responsabilità. La regionalità è l’unica risposta a questa esigenza? Io credo che oggi si faccia un uso eccessivo, oserei direi un abuso, del termine “sostenibilità”. Ecco perché preferisco parlare di responsabilità: nei confronti dell’ambiente, delle generazioni future ma anche del consumatore. Il cliente dovrebbe sempre ricevere il miglior prodotto possibile. Ma su un prodotto alimentare che è stato preparato a più di 1.000 km di distanza, chi ci metterebbe la mano sul fuoco? Non si sa nulla sul produttore, sul suo modo di lavorare e su come, per esempio allevi il bestiame. Con i prodotti che arrivano dalle nostre parti invece il discorso è totalmente diverso. 1 6 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 Cosa intende per “nostre parti”? 30, 50 oppure 100 chilometri? Come si fa a capire quando un prodotto è regionale? I prodotti primari come carne, pesce, verdura, frutta e pane dovrebbero sempre provenire da un bacino geografico limitato. Ciò non toglie che in una cucina regionale consapevole possano figurare anche alimenti come sale marino, pepe e olio d’oliva che è praticamente impossibile trovare di produzione locale. E tra l’altro non ho nulla in contrario se ogni tanto si mette un pizzico di tartufo in qualche piatto. Non esistono regole, si tratta di un processo che ognuno deve vivere e scoprire innanzitutto per sé stesso. Perché faccio questo mestiere? Come vorrei che mi vedessero i miei clienti? E come faccio a distinguermi dalla concorrenza del resto del mondo, in Canada piuttosto che a Maiorca? In fin dei conti per andare da Düsseldorf o Berlino in Alto Adige, oggi ci metto lo stesso tempo che per raggiungere le Baleari. Al “St. Hubertus” di San Cassiano in Badia, attualmente il ristorante altoatesino più apprezzato dalle guide gastronomiche, nel menu mancano i gamberoni siciliani e il foie gras francese, in compenso ci sono piatti a base di fegato di vitello e di pollo. Ma un ristorante con due stelle Michelin, può permettersi di essere così attaccato al territorio? Devo dire che già da tempo mi chiedevo quando Norbert Niederkofler avrebbe preso questa decisione. Ovvio, è stato un passo coraggioso, ma era anche logico che fosse così. Un ristorante così ambizioso deve avere un profilo ben definito, e non può certo darselo portando in tavola l’agnello della Nuova Zelanda o la carne di manzo delle Highlands scozzesi. Se vogliamo che la nostra lista delle vivande diventi il biglietto da visita del ristorante, allora dobbiamo eliminare tutte quelle cose che si trovano dappertutto. Quindi basta cappesante e avanti con il salmerino? Esattamente. In Alto Adige ad esempio avete quella carne eccezionale chiamata LaugenRind (vedere articolo a pag. 18, ndr), che però pochi conoscono malgrado i bovini di razza Grigio Alpina siano tipici per la vostra regione. Io ho provato questo prodotto a Merano e alla fine del pranzo me ne sono portato un pezzo a Monaco, per farlo assaggiare a Eckart Witzigmann: beh, era letteralmente estasiato. Lei afferma che dietro i prodotti locali c’è sempre una storia. Ma quanta opera di comunicazione bisogna fare, quante storie bisogna raccontare, affinché il cliente capisca e accetti questa nuova semplicità? Guardi, chi ci sa fare in cucina riesce a creare un piatto intrigante anche partendo da una semplice verdura invernale dal gusto amarognolo e non ha sicuramente bisogno di grandi spiegazioni. Il discorso cambia nella gastronomia bene. L’ambizione di questo corso è di divulgare il più possibile la conoscenza e la consapevolezza dei prodotti e delle pietanze locali. La gente vuole identificarsi, e i prodotti della propria terra sono un mezzo ideale. “Ognuno dovrebbe chiedersi come gli piacerebbe essere visto dai propri clienti” alberghiera classica. Per un albergatore diventa alquanto complicato spiegare all’ospite come mai d’inverno, nel buffet di verdure, all’improvviso vengono a mancare la rucola e i pomodori che però si possono tranquillamente trovare in tutti i supermercati. È qui che entra in gioco l’abilità del personale. Ed è qui che l’alta gastronomia può giocare un ruolo importante, lanciando messaggi e impulsi ben precisi. Chi dovesse seguire pedissequamente le sue idee, dovrebbe però rinunciare a quel tocco di esoticità culinaria al quale il consumatore è ormai abituato. Cos’è che rende particolare una baita alpina? Quei quattro piatti fatti bene e con ingredienti semplici. Perché non potrebbe succedere lo stesso in un ristorante? Io non credo che oggi chi si siede al tavolo di un ristorante abbia voglia di leggersi un menu chilometrico, e non penso neanche che abbia bisogno di una carta dei vini infinita. Cosa me ne faccio, io cliente, di 300 tra pietanze e bevande, che mi fanno solo perdere un quarto d’ora per scegliere mentre i miei commensali si annoiano? Chi oggi oltre a essere responsabile vuole anche guardare agli affari, non ha altra scelta. La regionalità insomma non è solo una questione di gusti e di etica? Un circuito alimentare regionale, che va dalla produzione alla vendita, è assolutamente sensato e sostenibile anche dal punto di vista economico. Lei ha avviato un corso accademico di studi denominato “Food Management e Culinaria” presso la Scuola superiore duale del Baden Württemberg. Chi sono gli studenti? Esperti di ristorazione, macellai, mastri birrai, agronomi, panificatori. Ma il corso è pensato anche per i responsabili degli acquisti di grandi catene commerciali: a queste persone farebbe solo Da anni lei si batte per una maggiore qualità nella cosiddetta ristorazione collettiva. Al momento però – perlomeno in Italia – si sta risparmiando proprio nel settore delle mense. Le sue idee sono quindi incompatibili con la crisi finanziaria? Nel settore della ristorazione collettiva è sempre possibile operare in maniera sostenibile, senza che ciò comporti un aggravio delle spese. L’importante è che si riesca a creare un circolo virtuoso tra agricoltori, professionisti della ristorazione e gestori delle strutture. Torniamo alla responsabilità. Come la mettiamo con lo speck dell’Alto Adige, che come sappiamo non è fatto con maiali altoatesini ma con suini provenienti da allevamenti olandesi? Innanzitutto bisogna dire che negli ultimi anni la produzione di speck si è sviluppata parecchio, e in senso positivo. A questo aggiungo che ci sono casi, e penso in primis al cosiddetto speck del contadino, in cui viene utilizzata esclusivamente carne locale. D’altronde siamo tutti coscienti che sarebbe impossibile allevare in Alto Adige tutti i maiali necessari per la produzione di speck. Ciò non toglie che in futuro non si possa trovare una soluzione alla questione, come è successo ad esempio in Germania con il maiale da ghianda, che viene allevato nei boschi. Anche in Giappone al momento la carne di suino locale è molto richiesta. A Tokio ci sono parecchi grandi ristoranti che ne hanno fatto una specialità, e dove viene spiegato al cliente persino a quale sorgente l’animale si è abbeverato. Ecco, sono proprio queste le storie sui prodotti che la gente ama ascoltare. a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 1 7 COPERTIN A : r egi on a l it À | Il ciclo virtuoso Non chiamatelo solo vitello Dai masi sperduti nelle pentole di un grande ristorante meranese: il progetto LaugenRind è la prova provata che la collaborazione tra agricoltura, commercio e alta gastronomia può funzionare. Eccome. C I bovini del progetto LaugenRind sono prevalentemente di razza Grigio Alpina on appena 120 capi macellati “I nostri vitellini sono nutriti solo con lat- di permanenza in malga. “Tutto questo l’anno, la carne a marchio te materno, e durante la crescita non in- – commenta Ungerer – ha ovviamente un LaugenRind (il nome deriva geriranno mai additivi chimici, foraggi costo. Solo per il latte destinato ai vitellidall’omonima montagna che sintetici, farine animali o antibiotici. ni bisogna calcolare tra i 500 e i 600 si trova tra l’Alta Val di Non e la Val d’Ul- Bandita ovviamente anche l’ingegneria euro”. Ma nonostante tutto i conti tornatimo) rappresenta una nicchia nella nic- genetica”. Il progetto obbliga poi gli alle- no: “Per la carne LaugenRind i contadini chia nella produzione di carne in Alto vatori a garantire al bestiame sufficienti ricevono in media il 20-30% in più rispetAdige. E tuttavia il progetto può essere spazi aperti e in estate almeno un mese to al prezzo della carne normale”. senz’altro considerato vincente. “Quando nel 2004 siamo partiti – spiega il project manager Hubert Ungerer – in L a u g en R i nd Alto Adige non esisteva nulla di simile”. L’idea di fondo di questo progetto comuProgetto: il progetto LaugenRind è nato nel 2004 come programma comunitario Leader. nitario Leader era di assicurare, tramite l’allevamento all’ingrasso, un’ulteriore Animali: “LaugenRind” non è una razza ma un marchio. Il nome deriva dal Monte Luco (in fonte di reddito agli agricoltori dell’Alta tedesco Laugen). I capi sono prevalentemente di razza Grigio Alpina. Val di Non, della Val d’Ultimo e della Val Venosta. E già dall’inizio gli obiettivi sono Aziende affiliate: al progetto partecipano 55 aziende agricole di montagna site in Alta Val stati ambiziosi. “Rispetto dell’ambiente di Non, Val d’Ultimo e Val Venosta. e degli animali, trasporti brevi e gusto genuino: questi erano e sono ancora oggi i Produzione: ogni anno vengono abbattuti da 120 a 150 manzi e vitelli. Il peso del bovino nostri dogmi”, sottolinea Ungerer. al momento della macellazione varia da 270 a 320 chili. Criteri che diventano molto severi quando riguardano le condizioni di vita Commercializzazione: il 70% della produzione viene venduto come carne fresca in mae l’alimentazione dell’animale, perché celleria, il rimanente 30% viene lavorato per una linea di prodotti gourmet comprendente per diventare carne LaugenRind non bagulasch, ragù e würstel. sta essere un bovino, prevalentemente di razza Grigio Alpina, allevato in uno dei 55 masi coinvolti nel progetto. 1 8 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 “Rispetto dell'ambiente e degli animali, trasporti brevi e gusto genuino: ecco i nostri dogmi” Lavorazione e vendita Per rendere il progetto più redditizio, quattro anni fa si è cominciato a pensare ad altre soluzioni di vendita oltre alla carne fresca. È così nata una linea di prodotti gourmet creata dal macellaio e gastronomo Karl Telfser. Presso la ditta Gruber & Telfser, a Prato Stelvio, gli animali macellati provenienti dalle aziende agricole LaugenRind vengono sezionati e in parte venduti come carne fresca. “Poi forniamo alcune macellerie selezionate e vari ristoranti della zona”, informa Telfser, che aggiunge: “Il pro- blema è che non tutti i cuochi sono disposti a utilizzare anche le parti meno nobili”. Problema risolto in maniera geniale da Telfser, che con queste carni ci prepara gulasch, ragù e würstel che poi vende nel suo negozio di specialità di Merano o utilizza per il suo servizio di catering. Va da sé che anche per i prodotti lavorati i criteri di produzione sono rigidi: “Usiamo solo ingredienti naturali e rinunciamo a qualsiasi additivo”. Confezionati in maniera ammiccante, i prodotti gourmet sono venduti in tutto l’Alto Adige e persino esportati in Germania. Un gusto autentico Due grandi amanti della carne LaugenRind: Luis Haller (a sin.) e Karl Telfser A proposito di cuochi che del LaugenRind non apprezzano solo il filetto e il roastbeef, ma riescono a confezionare fantastiche pietanze anche con guance e punta d’anca, eccone uno: Luis Haller, il talentuoso chef dell’Hotel Fragsburg di Merano che dal 2010 si fregia di una stella Michelin. “Essendo cresciuto in un maso di montagna, ho un grande rispet- to nei confronti degli animali”, dice Haller, che per quanto riguarda l’utilizzo di prodotti locali non si limita alla carne. Latte e formaggi infatti arrivano dalle coltivazioni biologiche di Monte Sole, i pesci d’acqua dolce dai laghi nostrani, frutta e verdura dai masi vicini e le erbe dal proprio giardino. Oltre alla ricerca di ingredienti freschi, Luis Haller cura molto anche la lavorazione dei prodotti. Ecco ad esempio che la spalla di vitello LaugenRind rimane a brasare nel suo forno per ben 48 ore a 64 gradi, “tanto che a tavola non c’è neanche bisogno del coltello, da quanto è morbida”, sorride. Lo chef meranese peraltro non è il solo a ritenere fondamentale la zona di provenienza di carne e formaggi, frutta e verdura: “Anche ai miei clienti fa piacere sapere che cosa ho messo loro nel piatto”. E per aiutare la clientela internazionale di Castel Fragsburg a capire meglio di cosa sta parlando, Haller invita i suoi commensali a fare un sopralluogo in Alta Val di Non o in Val d’Ultimo, a vedere con i propri occhi come vivono le bestie, dove pascolano e come vengono nutrite: “E poi tornano (MDP) da me entusiasti”. a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 1 9 COPERTIN A : r egi on a l it À | Concetto vincente Qualità per tutte le tasche. In meno di sei anni “Eataly” è riuscita a diventare una splendida realtà internazionale. Nei 23 punti vendita della catena è possibile acquistare (e mangiare sul posto) il meglio della cultura alimentare italiana. La qualità non deve essere privilegio di pochi, ma deve essere accessibile alla grande massa: con questo ambizioso obiettivo Oscar Farinetti inaugurava nel 2007 il suo primo negozio “Eataly” a Torino. Una struttura di 11.000 metri quadri in cui il carismatico imprenditore piemontese è riuscito a mettere insieme per la prima volta il meglio della tradizione alimentare italiana: specialità regionali e prodotti di qualità certificata ma anche frutta e verdura fresche, carne e pane, formaggi e pasta. Per ben cinque anni Farinetti, potendo contare anche sulla consulenza strategica di Slow Food, aveva lavorato alla filosofia che sta alla base di “Eataly”: distribuire solo il meglio della gastronomia italiana e per giunta a prezzi alla portata di tutte le tasche. Fin dall’inizio quindi sono stati presi contatti diretti con i produttori, alcuni dei quali sono anche entrati nell’azienda come soci. Farinetti però non voleva Nei punti vendita “Eataly” è anche possibile mangiare limitarsi alla vendita di prodotti, ed ecco allora che in un negozio “Eataly” è possibile mangiare piatti d’autore, consumare uno spuntino e bere un caffè. La formula si è rivelata subito vincente e in meno di sei anni sono spuntati altri 22 punti vendita sparsi per il mondo: sei in Piemonte, undici a Tokio e uno ciascuno a Milano, Bologna, Genova, New York e Roma. E proprio nella città eterna si trova il mercato dei sapori più grande di tutto il gruppo, aperto nel 2012 nei locali che ospitavano la vecchia stazione di Roma Ostiense: 20.000 metri quadri di superficie, 4 piani e oltre 14.000 prodotti alimentari di alta qualità, comprese parecchie specialità regionali. Nello shop capitolino anche l’Alto Adige fa la sua bella figura con un vasto assortimento di vini, speck, miele ed altri prodotti tipici. Oltre al mercato ci sono ristoranti e bar di ogni tipo, fornai, macellai e cuochi che lavorano a vista, laboratori, aule per corsi e quant’altro. Tutto questo perché Oscar Farinetti non si limita a celebrare la grande cultura italiana del cibo, ma vuole anche diffonderla organizzando regolarmente corsi di cucina, degustazioni e incontri con chef di fama internazionale. A completamento del circolo virtuoso, un programma di iniziative è dedicato ai bambini e alle scuole. Farinetti è universalmente considerato un visionario: la stampa lo esalta, la politica lo lusinga. D’altronde il figlio di un partigiano di Alba aveva già dimostrato di saperci fare nella sua precedente vita lavorativa. Fino al 2004 il 59enne ha infatti guidato la grande catena di negozi di elettrodomestici a marchio Unieuro: “Gestivo 3.000 dipendenti e un fatturato di un miliardo di euro”, snocciola Farinetti. Malgrado gli affari andassero a gonfie vele, Oscar decise di vendere tutto ed andare incontro ad una nuova avventura assieme L’idea vincente: un posto dove si può acquistare, mangiare e imparare ai suoi tre figli. Il passaggio da lavatrici e aspirapolveri agli alimentari era peraltro scritto nel suo destino: “Mio padre era un produttore di pasta, mio nonno un mugnaio, io stesso sono cresciuto in mezzo ai sacchi di grano. E come recita il detto: il primo amore non si scorda mai”. Nel 2011 il fatturato di “Eataly” si è attestato sui 220 milioni di euro, destinati – secondo le rosee previsioni del gruppo – a diventare 300 alla fine del 2013 e 500 entro il 2016. In prospettiva c’è anche l’apertura di tredici nuove filiali in Italia, Giappone, Gran Bretagna e nelle due Americhe. E la famigerata crisi? Oscar Farinetti non la teme, così come non ha paura di esprimere sempre e comunque la propria opinione, anche se può essere fonte di discussione. “Per gli alimenti di uso quotidiano come frutta e verdura, pane e latte, è giusto che i cicli siano ridotti”. Ciò non significa però sposare in pieno la causa del km zero: “Le merci devono essere libere di circolare, perché assieme alle merci girano anche le idee. E poi, se un giorno mi viene voglia di mangiare dell'ottimo prosciutto spagnolo, devo poterlo trovare vicino a casa e soprattutto gustarmelo senza sentir(MDP) mi in colpa”. l a g r a nde q u a l i t à m a de i n i ta ly Era il 2007 quando Oscar Farinetti ha aperto a Torino il primo mercato dei sapori "Eataly". La sua ambizione: mettere insieme in un unico negozio il meglio della tradizione alimentare italiana e soprattutto renderla accessibile al grande pubblico. Oggi il gruppo "Eataly" comprende 23 punti vendita, fra cui due a Torino e uno a Milano, Bologna e Roma. Eataly Torino via Nizza, 230/14 Tel. +39 011 19506801 www.eataly.it a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 2 1 COPERTIN A : r eg i on a l it À Uno sguardo oltre i confini Regione chiama mondo: ecco cosa fanno gli altri 2 1 Gusto e tradizione Prelibatezze toscane Sono originari della provincia di Prato, ma li conoscono (e li divorano) in tutto il pianeta: sono i cantuccini, che mettono d’accordo i palati di ogni latitudine. E gli intenditori sanno anche come devono essere mangiati questi deliziosi biscotti toscani fatti con mandorle, farina, zucchero e spezie varie: inzuppati nel Vin Santo. Per renderli più teneri e farli durare più a lungo, i cantuccini vengono cotti due volte, dapprima in filoncini e quindi a fette. Morale: le cose buone si fanno apprezzare in tutto il mondo. 1 2 2 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 2 Regionale al 100% Il re degli aceti è italiano È uno dei condimenti più nobili e più costosi del mondo: stiamo parlando dell’Aceto Balsamico Tradizionale, da non confondere con l’Aceto Balsamico di Modena o con il Balsamico bianco. Mentre gli ultimi due sono prodotti industriali di massa, che rispetto al vero Balsamico sono come il fast food in confronto all’alta gastronomia, il Balsamico tradizionale è un capolavoro di maestria artigianale. Questo aceto nasce dal mosto di uve bianche selezionate da vendemmie tardive, raccolte esclusivamente nelle province di Modena o Reggio Emilia e sottoposte ad un lungo e accurato processo di lavorazione e maturazione. Tutto questo è previsto dal documento comunitario che nel 2009 ha inserito l’Aceto Balsamico Tradizionale nella lista degli alimenti IGP. In origine questo particolare “elisir” veniva usato come farmaco, come peraltro indica anche l’aggettivo “balsamico”. Oggi i gourmet di tutto il mondo vanno pazzi per le pregiate gocce di Balsamico, usate per dare un particolare tocco di salato o di dolce in cucina. Morale: per fare un buon aceto ci vuole tempo ed esperienza. 4 3 L’alternativa all’euro E io pago in Regiogeld Vi trovate in vacanza in Germania, Austria, Grecia, Ungheria o Svizzera? Bene, allora in teoria potreste pagare il vostro albergo con del sonante "Regiogeld". In tutte queste nazioni infatti circolano delle valute locali alternative all’euro, che in determinate regioni possono essere utilizzate come forma di pagamento. Obiettivo della moneta parallela: ridare slancio all’economia regionale e lasciare in loco il plusvalore. Il quadro di riferimento del Regiogeld è di norma l’euro, il giro d’affari è comunque alquanto basso. In Germania esistono circa 50 valute regionali; la più importante è il "Chiemgauer" con una tiratura media annuale di oltre 550.000 CH (Chiemgauer). Questa moneta bavarese ha persino simulato una falsa inflazione, per dimostrare come questa seconda valuta sia immune dalle crisi economiche e sia effettivamente in grado di favorire l’economia locale. In Austria le monete regionali sono una mezza dozzina, tra cui quella del Waldviertel. Ovviamente in tutti questi posti si può tranquillamente pagare in euro... Morale: la voglia di regionalità non lascia in pace neanche la moneta unica. 4 5 Cultura viva La Giornata tedesca delle Regioni In Germania la “Giornata delle Regioni” è nata nel 1999 con lo scopo di rafforzare il senso di appartenenza, mantenere viva la cultura regionale, far incontrare gli attori locali e creare reti. L’iniziativa, che interessa ogni anno tutti i Länder tedeschi, è diventata nel tempo un'importante vetrina per prodotti e servizi regionali ma anche per l’impegno locale; gli eventi vanno dalla festa del ringraziamento al mercato d’autunno passando per svariate proposte ambientaliste. L’iniziativa ha già trovato degli imitatori fuori Germania, come ad esempio il Dag van de Regio in Olanda e il Day of the Region in Scozia. Morale: i momenti di festa uniscono sempre. Anche le regioni. 5 Regionalità autentica Le erbe speciali del maso Tisane e altre specialità a base di erbe di qualità bio, coltivate con amore e responsabilità e confezionate a mano: ecco i prodotti dell’azienda biologica Sonnentor, con sede nella regione austriaca del Waldviertel. "Vivi e lascia vivere, modello circolare e rispetto”: ecco i criteri che ispirano il fondatore della Sonnentor Johannes Gutmann, in passato venditore di birra e guida turistica. La sua idea di base è la salvaguardia delle piccole aziende agricole e la vendita dei loro prodotti anche fuori regione e all’estero. Oggi l’azienda con sede a Sprögnitz/Zwettl conta 250 collaboratori sparsi per il mondo e filiali in Repubblica Ceca, Albania e Romania. Morale: puntare sul regionale può rivelarsi un ottimo affare. (BK) 3 a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 2 3 COPERTIN A : r egi on a l ità | Marchi Dall'Alto Adige, per l'Alto Adige (ma non solo) Quando in Alto Adige si parla di regionalità, il pensiero corre subito alle tante specialità preparate da aziende altoatesine secondo le ricette tradizionali o avvalendosi di ingredienti locali. E capita sempre più di frequente che questi prodotti vengano identificati con un particolare marchio o sigillo. Alcuni di questi marchi fanno riferimento a normative europee, altri derivano da leggi nazionali e molti sono stati creati dagli stessi produttori, per attestare ai consumatori la bontà e soprattutto l’origine dei loro prodotti. Ecco una panoramica sui marchi locali e su quelli più diffusi. Marchio di qualità Alto Adige Margarete Il marchio di qualità Alto Adige certifica la provenienza e la qualità di svariati prodotti agroalimentari locali. Ecco gli alimenti che si possono fregiare del marchio: latte e latticini, pane, strudel di mele e Zelten, verdura, piccoli frutti e ciliegie, miele, grappa, succo di mela, fette di mela fresca e frutta secca, piante ed erbe aromatiche e carne bovina. Su 10 ettari del territorio comunale di Terlano, 15 aziende agricole producono ogni anno 60.000 chili di asparagi. Il marchio di tutela “Margarete” garantisce l’origine degli asparagi di Terlano e stabilisce le corrette modalità di coltivazione, raccolta e commercializzazione. www.terlaner-spargel.com Gallo Rosso Wipplamb In Alto Adige il sigillo “Gallo Rosso” viene attribuito non solo agli agriturismi e alle tradizionali osterie contadine, ma anche a più di 500 prodotti di qualità provenienti da 52 aziende agricole. www.gallorosso.it Wipplamb Alto Adige è un’associazione che riunisce 16 piccole aziende agricole dell’Alta Val d’Isarco specializzate nell’allevamento di ovini. Gli allevatori si sono dati dei criteri molto rigidi in materia di allevamento, alimentazione, trasporto e macellazione degli animali. La carne viene consegnata fresca alla gastronomia locale e alla clientela privata. Ogni anno vengono abbattuti 500 capi tra agnelli e pecore. www.wipplamb.com BIO*BEEF Il consorzio “BIO*BEEF dal maso sudtirolese” commercializza carne fresca di bovino giovane, già porzionata e confezionata, che viene consegnata a domicilio. Il progetto coinvolge 17 contadini tra Aldino e Dobbiaco, che lavorano e coltivano secondo il metodo dell’agricoltura biologica. Ogni anno vengono macellati un centinaio di vitelli. www.biobeef.it Sarner Fleisch Il marchio “Sarner Fleisch – La bontà dai monti” identifica la carne di manzo, bue e vitello proveniente dalla Val Sarentino. I 37 contadini di montagna aderenti al consorzio nutrono le bestie (di razza Grigio Alpina, Simmental e Highland scozzese purosangue) senza fare uso di insilati o mangimi OGM; la carne viene venduta solamente in tre macellerie dell’Alto Adige. www.sarnerfleisch.com DOC, DOCG Nell’ambito del progetto ESF “Regiograno” è stata creata una rete tra coltivatori di cereali, aziende di trasformazione e panificatori. Nel 2012 i 40 agricoltori delle valli Venosta, Isarco e Pusteria coinvolti nel progetto hanno raccolto complessivamente 268 tonnellate di segale e 40 tonnellate di farro. Il Regiograno è stato quindi lavorato dal Molino Merano per essere infine trasformato da 44 panettieri in specialità tipiche altoatesine. LaugenRind Il progetto “LaugenRind” è nato nel 2004 come programma Leader dell’Unione Europea con la partecipazione di 55 allevatori dell’Alta Val di Non, della Val d’Ultimo e della Val Venosta. Ogni anno vengono abbattuti da 120 a 150 bovini; il 70% della carne viene venduta fresca in macelleria, il rimanente 30% viene lavorato e venduto come prodotto gastronomico di alta qualità. www.laugenrind.com 2 4 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 DOC, DOCG IGP e DOP IGP e DOP Il marchio europeo IGP (Indicazione Geografica Protetta) certifica la stretta relazione tra un prodotto agricolo o alimentare e la sua zona di origine. Per ottenere l’IGP almeno una fase del processo produttivo deve avvenire in quella zona, mentre la materia prima può provenire da un’altra area. Il marchio europeo DOP (Denominazione di Origine Protetta) certifica che la produzione, la trasformazione e l’elaborazione di un prodotto avvengono in una area geografica delimitata secondo un preciso disciplinare. Fonte: ISTAT – Elaborazione IRE / Infografica: succus. Comunicazione Regiograno Il marchio DOC (Denominazione di origine controllata) è stato introdotto in Italia negli anni Settanta del secolo scorso. In Alto Adige ogni anno si producono mediamente 330.000 ettolitri di vino, il 90% dei quali si fregia dell’appellativo DOC. A questo si aggiunge anche il marchio DOCG (denominazione di origine controllata e garantita), destinato a vini meritevoli di particolare tutela. La scritta viene apposta sulla fascetta che avvolge il tappo della bottiglia. COPE RTIN A: reg iona lità | L’opinione Re | gio | na | le, relativo ad una determinata regione, alla quale appartiene e di cui rappresenta una caratteristica I gerani? Sono africani Sergio Camin si chiede meravigliato come mai un termine così diffuso come “regionalità” non sia ancora entrato nei dizionari. E fa una sensazionale scoperta, che nessuno si sarebbe mai aspettato e che mette in discussione una delle “icone” dell’Alto Adige. L a crisi in un mondo/mercato globalizzato ha indubbiamente accelerato i bisogni di differenziazione, imponendo processi di affermazione di unicità/“regionalità”, intesa come nuovo plus di prodotto. “Regionale” è ormai sinonimo di originale, conveniente, sano e di qualità. Fortunate o previdenti le realtà, come l’Alto Adige, che da tempo lavorano in questa direzione. “Regionalità” è un neologismo ormai entrato nell’uso corrente, che, nonostante lo si possa leggere ormai ovunque e venga usato un po’ per tutto, dalla ristorazione all’archi-tettura, dai polli all’agricoltura a pieno campo, non appare ancora in nessun dizionario della lingua italiana. Sul dizionario troviamo invece “provincialità”: Arretratezza associata a ingenuità e talora a piccineria e goffaggine ( G. DEVOTO- G.C. OLI). Immagino sia per questa ragione, a dimostrazione che a volte le parole contano più delle cose, che in Alto Adige, dopo aver lavorato anni faticosi per eliminare la Regione o almeno per svuotarla di significato, ci troviamo costretti a ritirarla in ballo, sia pur scrivendola con la minuscola. “Regionalità” è ormai un plus, che vale per le uova, per le verdure, per l’offerta turistica e complessivamente per l’immagine complessiva di un territorio e così scopriamo che anche la Provincia Autonoma di Bolzano è costretta ad avere la sua bella “regionalità”, fatta di un’offerta specifica, di una forte identità e di un’immagine ormai codificata nell’immaginario collettivo. Per farla reggere a volte basta poco, l’importante è ricordarsi di far lavorare gli immigrati di colore solo in cucina e ai tavoli russe e moldave con un Dirndl, che spesso sono bionde e la cosa aiuta. L’immagine “regionale” è importante ma bisogna stare attenti. Capita a volte di fare scoperte inaspettate anche sulle cose apparentemente più semplici ma solo parzialmente note. Una cosa del genere mi è capitata recentemente sfogliando un libro di giardinaggio. Ho scoperto che la regione di provenienza del geranio (Pelargonium) è quella del Capo di Buona Speranza, dove è chiamato Geranium triste e che è stato importato in Europa nel 1700. Hai capito? Questa pianta, che, in tutte le sue diverse varietà, gioca a far da chioma alla maggioranza dei lignei balconi altoatesini, viene dall’Africa! Non da qui, non da Innsbruck e nemmeno da Rovigo (giù acqua e su rovigotti) ma addirittura dall’Africa! Confesso che non l’avrei mai pensato. Per me ma immagino un po’ per tutti, il geranio è sempre stato uno dei simboli di questa terra, una delle icone altoatesine dell’immaginario collettivo. L’aver scoperto la sua origine africana, mi costringe adesso a rivedere completamente tutto su di lui: certamente è ancora un simbolo ma un simbolo fortissimo di bella contaminazione, di convivenza partecipata, di integrazione. Il rapporto dei suoi fiori a palla e delle sue foglie vellutate con le tavole di abete rosso e di larice è ormai canonico e obbligato. Non ho mai visto litigare un geranio con un tetto a due falde. Non mi risultano casi di scontro tra un Erker e un geranio. Anzi molto spesso sono proprio i gerani a nascondere almeno in parte le vaccate, che noi umani riusciamo a costruire. Guardate che non è una scoperta da poco, i simboli non sono giochetti. Sarebbe come scoprire che il Catinaccio viene dal Pakistan o che Andreas Hofer aveva origini peruviane. Comunque il nostro fiore africano non solo si è integrato ma è riuscito a diventare qui un simbolo principe. Pensiamoci su quando perdiamo tempo a litigare anche sui nomi dei vicoli. Sergio Camin, 62 anni, autore e pubblicista. Dal 1988 cura l'apprezzata rubrica satirica “Visti dal basso" sul quotidiano in lingua italiana "Alto Adige". a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 2 5 Ma rke ti n g Global Player di periferia. Portano un nome famoso, il loro raggio d’azione abbraccia il mondo intero, eppure le loro sedi si trovano ad Appiano, Brunico, Bolzano. Perché grandi aziende come Miele, GKN o Spartherm rimangono fedeli all’Alto Adige? Cerchiamo di scoprirlo. APPIANO SULLA STRADA DEL VINO è un agglomerato di frazioni che assieme non arrivano neanche a 15.000 abitanti, con tanti vigneti e un vivace movimento turistico. E sono proprio gli ospiti i primi a stupirsi di trovare qui il quartier generale di Miele Italia. La rinomata fabbrica tedesca di elettrodomestici e di macchine industriali è sbarcata in Alto Adige nel 1961, a Bolzano, per poi trasferirsi ad Appiano nel 1983. Nel paesino dell’Oltradige lavorano 144 dipendenti che assistono clienti e partner commerciali in tutto lo Stivale, con un fatturato annuo (dati 2011) di 91 milioni di euro. “La ragione principale che ha spinto Miele in Alto Adige è stata senz’altro la lingua, che permette a collaboratori e consulenti della filiale italiana di dialogare senza problemi con la casa madre tedesca. Ma anche la mentalità affine e il senso del dovere degli altoatesini hanno avuto il loro peso nella scelta”, spiega Alexander Comploj, direttore amministrativo di Miele Italia. Una serie di vantaggi che ancora oggi, nel 2013, sono preziosi, ed ai quali bisogna aggiungere una pubblica amministrazione tutto sommato funzionante, se non altro rispetto al resto d’Italia. E non finisce qui: per Comploj il fatto che l’Alto Adige sia una regione a vocazione turistica è un ulteriore punto a favore, “perché i nostri partner commerciali italiani sono contenti quando li invitiamo qui”. 2 6 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 Anche per Paul Mairl, direttore di stabilimento della GKN Driveline di Brunico, divisione automotive, le bellezze paesaggistiche e la qualità di vita dell’Alto Adige sono fattori di benessere importanti per la vita lavorativa. L’azienda pusterese fa capo al gruppo GKN Driveline, leader mondiale nella fornitura di soluzioni e sistemi di trasmissione per l’industria automobilistica con 22.000 dipendenti e 57 stabilimenti distribuiti in 23 nazioni. “Credo che esistano pochi posti dove è possibile lavorare in un ambiente simile al nostro. Spesso noi altoatesini non ci rendiamo neanche conto di quanto siamo fortunati a lavorare qui, eppure basterebbe dare un’occhiata alle altre sedi del gruppo GKN”. I dipendenti ideali Mairl e Comploj condividono anche il giudizio positivo sui lavoratori altoatesini: “Possiedono flessibilità, impegno e tenacia nell’affrontare e risolvere i problemi, tutte qualità molto richieste soprattutto nel settore dell’automotive”, dice Mairl. Qualità che risultano molto diffuse tra i lavoratori altoatesini e, assieme al bilinguismo, rappresentano i motivi principali della presenza di GKN a Brunico. Bisogna peraltro dire che quando la multinazionale britannica decise di insediarsi in Val Pusteria, nei primi anni Sessanta, la valle era carente di struttu- re e non era per nulla facile trovare manodopera qualificata. All’epoca perciò uno dei motivi del trasferimento in Alto Adige fu la necessità di essere vicini al mercato e ai clienti: “La nostra produzione era destinata alla Fiat e alle aziende agricole della pianura padana”, racconta Mairl. Ed un ulteriore punto a favore della location pusterese furono le agevolazioni fiscali: “In quegli anni il governo italiano promuoveva il trasferimento di forza lavoro dal sud al nord, incentivando la creazione di posti di lavoro al settentrione. E così fu varata una legge che garantiva 12 anni di sgravi fiscali alle industrie site sopra gli 800 metri di altitudine”. Quest’anno la sede di Brunico della GKN festeggia mezzo secolo di vita e può vantarsi di avere, assieme alla consorella Sinter Metals, oltre 1.100 dipendenti con un fatturato annuo di 250 milioni di euro. Anche i tedeschi della Spartherm apprezzano l’alto grado di professionalità dell’Alto Adige. L’azienda di Melle è tra i più grandi produttori europei di inserti per caminetti e stufe, e nel 2012 ha deciso di investire su Arcadia, ditta bolzanina che produce e vende all’ingrosso stufe in maiolica. “Per noi l’Alto Adige è una location molto interessante, poiché qui possiamo contare, come in nessun’altra parte d’Italia, su artigiani fumisti specializzati. E proprio i fumisti rappresentano per noi i partner ARCADIA FIRE COMPANY Dall'ingresso della tedesca Spartherm nell'azienda bolzanina Arcadia è nata la ditta Arcadia Fire Company. Spartherm Fondazione: 1986 Sede centrale: Melle, Germania Sede in Alto Adige: Bolzano (come Arcadia Fire Company assieme ad Arcadia Bolzano) Settore: inserti per caminetti, stufe e cassette www.spartherm.com Fondazione: 9 luglio 1900; le prime attività però risalgono al 1759. Il nome GKN è stato adottato nel 1902. Sede centrale: GKN Group headquarters: Worcestershire, Gran Bretagna Sede in Alto Adige: Brunico Settore: GKN Driveline: automotive, alberi di trasmissione con giunti omocinetici per autovetture, differenziali autobloccanti e frizioni Visco GKN Powder Metallurgy: sinterizzazione (metallurgia delle polveri) per la produzione di oggetti vari GKN Aerospace: forniture per l'industria aerospaziale, principalmente per BAE Systems, EADS e Airbus, produzione della fusoliera per l'Honda HA-420 HondaJet GKN Land Systems: fornitura di macchine agricole, produzione di soluzioni specifiche per l'agricoltura come alberi di trasmissione e sistemi di attacco per trattori www.gkn.com Fondazione: 1° luglio 1899 Sede centrale: Gütersloh, Germania Sede in Alto Adige: Appiano Settore: elettrodomestici (lavatrici e aspirapolvere, elettrodomestici da incasso per cucina), macchine per uso industriale (Miele Professional) www.miele.it più importanti per la distribuzione dei nostri prodotti”, spiega Alfred Kohlegger, direttore generale vendite di Arcadia Fire Company. Problema raggiungibilità Ogni rosa però, per quanto bella e profumata, ha le sue spine. “L’Italia, e di conseguenza anche l’Alto Adige, è martoriata dagli obblighi burocratici e dall’altissima pressione fiscale. Per qualsiasi cosa c’è una tassa o un’imposta”, denuncia Comploj. Altre questioni spinose sono la scarsa certezza del diritto e i tempi lunghissimi della giustizia. A tutto questo si aggiunge un problema specifico per l’Alto Adige, ovvero la lontananza dagli snodi strategici del traffico e dai principali mercati italiani. Una criticità ribadita anche da Mairl: “Per me il problema non è tanto la raggiungibilità dall’estero, visto e considerato che la maggior parte dei clienti può arrivare da noi in meno di cinque ore d’auto. Il punto è invece la circolazione all’interno dell’Alto Adige: a tutt’oggi manca un collegamento ferroviario come si deve tra Bressanone e Brunico, e questo ci impedisce di avere uno scambio di forza lavoro tra le due città con conseguenti ed evidenti svantaggi economici”. Inoltre, rispetto alla vicina Austria, il costo dell’energia elettrica è più alto del 30-40%, una percentuale che – per un’azienda grande come la sua – si traduce in cifre decisamente significative. Ad ogni modo, dicono tutti gli interlocutori, in Alto Adige i vantaggi sono ancora superiori alle problematiche, e di questo bisogna rendere merito soprattutto ai dipendenti, componente essenziale del successo aziendale. Paul Mairl lo dice chiaramente: “Sono i collaborato(BK) ri a fare grande un’azienda”. a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 2 7 Ma rk e ti n g La reputazione corre sul web. Ogni albergatore che si rispetti lo sa: il cliente è sovrano e come tale deve essere trattato. Ma navigando in Internet sembra proprio che tanti non condividano questa sacrosanta verità. L’appello: fatevi sentire di più. Vita complicata, quella dell’albergatore, che deve stare sempre attento a quello che dice agli ospiti, a fare loro una buona impressione, a destreggiarsi tra lamentele e richieste più o meno strane. Il padrone di casa sa che in questi casi deve mostrarsi solidale, avere comprensione, mantenere la calma e se è necessario concedere un risarcimento. Una corretta gestione dei reclami dovrebbe insomma essere qualcosa di più di un optional. E invece succede che molti non prendono in considerazione quanto si dice di loro su Internet, non rispondendo neanche alle critiche mosse. “Un comportamento simile è dannoso per l’immagine della struttura, perché un albergatore dovrebbe trattare il cliente sempre nello stesso modo, sia di persona che su Internet”, afferma Stefan Velte, Senior Manager di HolidayCheck, leader europeo nel settore delle recensioni alberghiere on line. Velte ci introduce di fatto nel cosiddetto ORM (Online Reputation Management), un acronimo a prima vista criptico ma che altro non è che il controllo e la gestione della reputazione di una persona, un’organizzazione o un prodotto sui media digitali. In altre parole una sorta di PR on line, visto e considerato che anche in Rete si incontrano persone. Persone che oltretutto non si limitano ad essere spettatori passivi, ma modificano e arricchiscono il web con diari digitali, condividono fotografie, mettono a disposizione di tutti le proprie conoscenze, consigliano i propri bookmark agli altri navigatori del cyberspazio e, tornando al nostro tema, postano recensioni sui portali di valutazioni alberghiere. Un popolo di navigatori “I numeri attuali dicono che già il 52% dei clienti usa Internet per programmare le vacanze. E durante le ricerche visita mediamente 13 siti navigando in totale per 9 ore”, informa Wolfgang Töchterle, responsabile dei media on line presso Alto Adige Marketing (SMG). Va da sé che la cerchia di conoscenze ormai non è più b u o n o a s a pers i … Sapevate che i due portali di recensioni alberghiere più importanti del mondo, Holidaycheck e Trip Advisor, danno anche agli albergatori la possibilità di fare commenti? Un’opportunità che non dovrebbe essere presa sottogamba, poiché in caso di recensione negativa il 79% dei clienti si sente rassicurato leggendo la replica dell’albergatore. E c’è addirittura un 65% di utenti che ritiene decisiva, ai fini della scelta, un commento del titolare della struttura. Gli alberghi altoatesini sono molto citati nei portali di recensione quella personale, ma la comunità virtuale: “I racconti e le fotografie che si postano sul web hanno un’enorme influenza sulle abitudini di prenotazione e hanno maggiore credibilità rispetto al sito dell’albergo”, aggiunge Töchterle. Gli ultimi dati di HolidayCheck confermano questo fenomeno: nell’87% dei casi le valutazioni sono positive e raccomandano ad altri turisti l’hotel recensito. Anche le critiche negative comunque sono molto lette: “Gli utenti del nostro portale investono molto tempo nella lettura delle recensioni e si soffermano in particolare su quelle negative, per poi farsi sempre la stessa domanda: ma per me quanto conta questa critica?”, racconta Velte. E in effetti spesso le stroncature vengono viste come poco utili dagli altri utenti. Molto più auspicabile sarebbe invece che il diretto interessato della critica si facesse vivo: “In questi casi l’albergatore dovrebbe prendere carta e penna virtuali e rispondere alla critica. In caso di recensione negativa, se c’è la replica dell’albergatore abbiamo constatato che nel 79% dei casi il cliente si sente rassicurato, e c’è addirittura un 65% di utenti che ritiene decisiva, ai fini della scelta, un commento del titolare della struttura. E invece il numero di albergatori che si mettono in gioco non va oltre il 7%, tutti gli altri sprecano una grande opportunità”, conclude il Senior Manager di HolidayCheck. L'importanza del web Monika Hellrigl, responsabile delle vendite presso lo storico albergo bolzanino Laurin, è pienamente cosciente dell’importanza di Internet: “Il nostro sito è estremamente curato, teniamo molto alla nostra reputazione sul web e prendiamo sul serio le critiche. Da noi i reclami vengono trattati direttamente dal direttore, il quale risponde nel giro di » I reclami del cliente devono sempre essere presi in seria considerazione C o m e fa rs i u n a b u o n a rep u ta z i o ne s u l w e b i n q u at t r o m o sse 1. Curate il sito: un albergatore non può permettersi di avere un sito fatto male. Se un potenziale cliente visita il vostro sito e trova foto vecchie (o addirittura nessuna), descrizioni scarne, informazioni al lumicino, state sicuri che andrà subito da un’altra parte. La prima impressione è il biglietto da visita. 2. Fatevi sentire: un albergatore deve prendere in considerazione i suoi ospiti e far sapere anche ai potenziali clienti che la loro opinione è importante. Questo atteggiamento serve a creare fiducia ed è decisivo nella scelta finale del turista. 3. Fatevi recensire: è questa la grande sfida per un albergo. Una soluzione potrebbe essere quella di mettere un cartello alla reception, la cosa migliore rimane comunque l’invio di una mail o di una newsletter all’ospite dopo la sua partenza, invitandolo ad esprimere un giudizio sul vostro albergo. 4. Analizzate le recensioni: il parere dei clienti è un fattore importante per garantire qualità e per motivare i collaboratori. Quali sono i punti di forza e quali invece quelli critici? Chi mi sta giudicando e com’è strutturata la mia clientela? a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 2 9 Ma rke ti n g 24 ore”. Un esempio da imitare. Secondo Hellrigl sarebbe anche opportuno che i portali turistici permettessero agli alberghi chiamati in causa di rispondere alle critiche: “È dimostrato che questi commenti sono molto letti e io, in qualità di potenziale cliente, riesco a conoscere meglio un albergatore dal modo in cui si rapporta con un cliente insoddisfatto”. L’aiuto arriva dal tool Per sfruttare al meglio le potenzialità della reputazione on line è tuttavia necessario un monitoraggio continuo della situazione. “Solo chi è sempre all’erta ed ha il controllo costante della propria presenza sul web, o meglio ancora è attivo in prima persona su Internet, potrà sfruttare le critiche negative come occasione per fornire un’immagine positiva”, afferma l’esperto. E per limitare al minimo il tempo da dedicare all’ORM, HolidayCheck ha elaborato il servizio Hotel Manager, che invia agli albergato- ri registrati una mail non appena un li utenti. Un altro prodotto che consente utente del portale lascia un commento di seguire le valutazioni on line si chiasulle loro strutture. A questo punto l’ho- ma Hotel Navigator ed è usato dal portatel può decidere se intervenire nella di- le di prenotazioni dell’Unione Albergascussione. Grazie a questo tool gratuito, tori e Pubblici Esercenti (HGV) per tenel’albergatore ha il controllo continuo re aggiornati gli alberghi sulle recensioni della propria presenza sui portali turisti- on line che li riguardano. ci. Secondo una recente statistica, le strutture ricettive che si avvalgono di Questione di psicologia questa funzione hanno un tasso di raccomandazione del 91 per cento. La spiega- Su una cosa gli esperti concordano all’uzione ce la fornisce ancora l’esperto: “So- nanimità: per farsi un’immagine positilitamente un elevato numero di recen- va (e curarla) sul web ci vuole psicologia: sioni produce un altrettanto alto tasso di “Quando parliamo di Online Reputation raccomandazione, che a sua volta si tra- Management dobbiamo ragionare più in termini di psicologia che di tecnoloduce in un ottimo posizionamento nella gia”. Insomma bisogna sapersi rapporclassifica di una regione come potrebbe tare con la gente. Tradotto in pratica siessere l’Alto Adige. Avere una posizione gnifica ascoltare i clienti, monitorare la migliore significa avere più visibilità, più visite sul sito e di conseguenza più chan- situazione, interagire, avviare un dialogo su canali ben definiti. Anche Andersces di avere prenotazioni. È un processo Sundt Jensen, responsabile della comutanto semplice quanto logico”. nicazione di Mercedes Benz e grande Ciononostante sono ancora molti gli esperto di marketing, si è fatto un’idea alberghi che sottovalutano l’influenza delle recensioni sulla vendita delle stan- precisa dell’ORM: “Cerca di essere aperto, non temere gli esperimenti, tieniti ze e sull’aumento dei prezzi medi: in Alto Adige ad esempio il servizio Hotel Mana- pronto alle critiche. E soprattutto: ri(GZP) ger è usato appena dal 26% dei potenzia- spondi sempre”. i nd a g i ne & a n a l i s i de l p o r ta l e t u r i s t i c o H o l i d ay C hec k 2 0 1 2 In caso di recensione negativa, mi sento rassicurato se leggo un commento dell'albergatore. Il commento dell'albergatore è stato decisivo ai fini della mia scelta. Quota di albergatori che utilizzano la funzione di commento. 7% 79% 65% La percentuale di albergatori che utilizza la funzione di commento su HolidayCheck non arriva neanche al 10% L'innovazione ha fatto scuola Formazione ad alto livello e Job Training, il tutto in meno di quattro mesi: ecco il rivoluzionario concetto formativo dell’Innovation School, il metodo sviluppato da TIS ed EURAC per portare una ventata di innovazione nel settore edilizio. C om'è possibile fare innovazione nel settore edilizio? Con questa domanda si sono confrontati i collaboratori del cluster Edilizia del TIS innovation park, costantemente alla ricerca di soluzioni da proporre alle 170 aziende edili associate al cluster. “Il settore edile è in crisi già da alcuni anni, e l’innovazione può essere un modo per uscire dalla crisi. Ecco perché noi siamo sempre in cerca di soluzioni che siano in grado di portare innovazione”, spiega Stefano Prosseda, manager del cluster Edilizia. Una delle soluzioni prevede la messa in rete di imprese, istituti di ricerca e università, e proprio dalla sinergia con l’Istituto per le energie rinnovabili dell’Eurac è nato il progetto “Innovation School”. L’unione fa la forza La Scuola di innovazione sostenibile è un programma di formazione rivolto da una parte a ricercatori, giovani architetti e ingegneri freschi di laurea che non hanno ancora trovato un impiego fisso, e dall’altra ad imprese edili che siano in grado di avanzare proposte concrete. L’idea alla base del progetto è che le aziende devono indicare quali sono le loro esigenze specifiche, mentre i giovani ricercatori hanno il compito di fornire loro il know how necessario. “In questo modo i giovani professionisti entrano in contatto diretto con le varie realtà aziendali ed è quindi possibile trattare tematiche che interessano da vicino le imprese”, spiega Maria Giulia Faiella, manager di progetto nel cluster Edilizia e responsabile del progetto. “L’obiet- » Ma rke ti n g Teoria e pratica, binomio vincente In t er v i s ta a M a r i n a F u sc o , pa r t ec i pa n t e a l l a Inn o vat i o n S ch o o l 2 0 1 2 Marina Fusco, perché ha partecipato alla Innovation School? Da sempre volevo andare in Alto Adige per acquisire esperienze nel settore dell’edilizia sostenibile, in quanto la provincia altoatesina è all’avanguardia in questo campo. Ho studiato architettura a Napoli e poi sono andata in Svezia per acquisire conoscenze nel settore del design sostenibile e dell’efficienza energetica. Quando ho deciso di rientrare in Italia per approfondire queste tematiche, la scelta è caduta subito sull’Alto Adige. Su un sito di architettura ho visto la pubblicità dell’Innovation School e ho subito presentato la domanda. Ad attirarmi sono stati soprattutto gli argomenti dei moduli formativi. La scuola ha soddisfatto in pieno le sue aspettative? Ero alla ricerca di una formazione che prevedesse una parte teorica ed una pratica, e l’ho trovata. Le tematiche sono state analizzate nei minimi dettagli, facendo sempre riferimento ad esempi di applicazione pratica. Duran- tivo dell’Innovation School è di sviluppare, al termine del programma di formazione, un vantaggio concreto per l’azienda, che può essere un’applicazione, un prototipo o un prodotto”, conclude Maria Giulia Faiella. Un approccio globale, insomma, che coinvolge fattivamente entrambe le parti in causa. 3 2 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 te il Job Training da Leitner Electro ho avuto la possibilità di partecipare concretamente allo sviluppo di una strategia riguardante la mobilità sostenibile in ambito urbano, basata su principi come il Car Sharing o lo Smart Home Management System per quartieri. Questo ci ha permesso di confrontarci concretamente con quei problemi che devono affrontare coloro che vogliono utilizzare le tecnologie verdi. In seguito abbiamo trattato in gruppo gli aspetti tecnici riguardanti la progettazione degli impianti. Per me tutto questo ha rappresentato una novità assoluta, perché di norma durante gli studi di architettura non si affrontano simili problematiche, ed è proprio questa la cosa che mi è piaciuta di più nell’Innovation School: la perfetta combinazione di studio ed esperienza in azienda. E ora? Tramite la Scuola di innovazione ho potuto conoscere l’EURAC, il quale mi ha offerto un posto con un contratto a progetto presso l’Istituto per le energie rinnovabili. Qui lavoro nei gruppi Energy Strategy & Planning e Applied Building Physic, dove ci occupiamo tra le altre cose dello sviluppo del nuovo Parco tecnologico di Bolzano, di un progetto di strategia energetica in Val di Non e del progetto ReCharge Green – balancing Alpine Energy and Nature, che persegue l’introduzione di sistemi sostenibili nelle zone alpine. Insomma, qui posso mettere in pratica tutto quello che ho imparato alla Innovation School. dotto attraverso facciate multifunzionali alle reti elettriche intelligenti, le cosiddette Smart Grids. “Per i singoli moduli di formazione scegliamo argomenti attuali legati all’efficienza energetica nell’edilizia, allo scopo di sfruttare al meglio il potenziale di innovazione delle aziende altoatesine”, dice Roberto Lollini dell’Istituto per le energie rinnovabili dell’Eurac. Attraverso questi moduli i partecipanti possono acquisire quelle conoscenze che poi metteranno in pratica nelle aziende: la seconda parte del corso di studi prevede infatti un Job Training improntato alla stretta collaborazione tra studenti e imprese. I partecipanti, con la qualifica di assistenti all’innovazione, rimangono una settimana nelle imprese aderenti alla scuola per sviluppare le loro idee di progetto al fianco degli esperti aziendali. “L’aspetto positivo di una permanenza così breve – spiega Faiella - consiste nel fatto che le aziende non avrebbero tempo per fornire assistenza per un periodo più lungo. Una settimana invece è fattibile per la gran parte delle aziende e può persino rivelarsi più intensa dei tradizionali tirocini che durano svariate settimane”. Ecco già i primi risultati “A noi preme soprattutto che le aziende continuino ad applicare le soluzioni che abbiamo sviluppato congiuntamente”, precisa Stefano Prosseda. E che la qualità delle soluzioni sia alta, lo dimostra l’edizione 2011 della Scuola di innovazione: il progetto elaborato da un pool di tre ingegneri e due architetti è riuscito ad entrare tra i cinque finalisti del concorso “Challenge CleanTech”, al quale hanno partecipato 60 progetti. L’iniziativa “Challenge CleanTech” intende premiare progetti innovativi in Teoria & pratica tema di energie rinnovabili ed è proIl metodo prevede otto moduli di forma- mosso dal Politecnico di Milano in colzione su temi legati alla sostenibilità in laborazione con la London Business edilizia. Il corpo docente è formato da School e l’University College London esperti di rango internazionale, le mate- Business. Insomma, un primo e chiaro rie spaziano dal bilancio ambientale segnale che la Scuola di innovazione è (LCA - Life Cycle Assessment) di un pro- sulla strada giusta. In t er v i s ta a P e t er A u er , Le i t ner s o l a r come canovaccio per un video presentato ai committenti e in occasione di KlimaEnergy 2012. I ricercatori hanno inoltre realizzato una presentazione ad uso interno del TIS. Facts & Figures L’Innovation School è nata nel 2011 e quest’anno quindi andrà in scena la terza edizione. Le aziende del settore edile che hanno partecipato o parteciperanno al progetto sono complessivamente 15 e tutte importanti nel loro settore, come ad esempio EnergyTech, Frener & Reifer, Leitner Electro e Leitner Solar (vedere box a destra), Progress, SEL e Syneco. All’edizione 2012 hanno partecipato 24 ricercatori, suddivisi in sei gruppi di lavoro da quattro persone. La quota di iscrizione per gli studenti è di 150 euro, le aziende versano 3.600 euro, importo finanziabile fino al 65% attraverso la legge provinciale 4/97. Nel 2013 però la Scuola di innovazione sarà gratuita, in quanto verrà finanziata dal progetto Interreg “AlpBC” (Alpine Space Building Culture) che affronta tematiche come la NZEV (Nearly Zero Energy Valley) o le reti elettriche intelligenti (Smart Grids), argomenti trattati anche dalla Innovation School. Ecco infine alcuni esempi di applicazioni scaturite dai primi due anni di scuola: NZEB (Net o Nearly Zero Energy Building), ovvero edifici ad elevata efficienza energetica che grazie alle fonti di energia rinnovabili producono più energia di quanta ne consumano, prodotti da costruzione sostenibili e tematiche legate al ciclo di vita e all’utilizzo delle risorse rinnovabili. L’Innovation School è stata concepita nell’ambito di “Enerbuild”, un pro(ep) getto Interreg Alpine Space. Peter Auer, com’è andato il Job Training in azienda? Come prima cosa i partecipanti sono stati introdotti alla tematica da affrontare, chiedendo loro di preparare una relazione ed una presentazione dettagliate che li ha obbligati, già il secondo giorno, ad organizzare un brainstorming per definire i temi da trattare. Successivamente hanno dovuto verificare la fattibilità di questi temi, calcolare i costi e quindi elaborare un concetto basandosi su dati scientifici e riempirlo di contenuti. Gli studenti hanno potuto fare tutto questo in completa autonomia, ma ogni giorno dovevano compilare un rapporto sul loro operato e sui progressi compiuti. Quali sono i risultati concreti che il Job Training ha portato alla Leitner Solar? I partecipanti hanno elaborato e condensato diversi temi del progetto pilota “Bilancio energetico” riguardante la zona abitativa Druso 2, redigendo anche una relazione che è stata poi usata Quali vantaggi ha apportato alla sua azienda il progetto Innovation School? Gli scambi intensi tra i partecipanti e i nostri collaboratori aziendali ed il brainstorming hanno contribuito parecchio al successo del nostro progetto. Io credo che sia di fondamentale importanza il fatto che i partecipanti vengano costantemente assistiti, perché così è possibile seguire passo passo lo sviluppo del lavoro e discutere rapidamente le misure da prendere. Quali sono le potenzialità di un progetto di questo tipo? Quali sono a suo parere i punti deboli o gli aspetti che si possono migliorare? Credo che una settimana sia troppo poco, soprattutto considerando che venerdì non si va in azienda perché si deve presentare il lavoro a Bolzano e mezza giornata di giovedì è dedicata alla preparazione della presentazione stessa. Di fatto non rimangono che tre giorni e mezzo effettivi, ai quali però bisogna togliere anche la prima mezza giornata in azienda, destinata alle presentazioni e all’avviamento al lavoro. Considerando l’impegno richiesto al tutore per accompagnare e assistere i partecipanti, ritengo che un Job Training dovrebbe durare almeno dieci giorni. a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 3 3 merc ato Padrone di casa e ospite. A dicembre l'Alto Adige è stato il Paese ospite della grande fiera di Monaco Heim+Handwerk. Nel padiglione altoatesino da 1.000 m2 artigiani, designer e artisti hanno presentato e creato opere, entusiasmando migliaia di visitatori. L'officina vivente Creazioni in tempo reale. Dieci artisti e artigiani non si sono limitati ad esporre i loro lavori, ma si sono portati dietro gli attrezzi per mostrare come si fa. Nella foto Armin Gasser ed il suo astuccio porta-posate tascabile. Design made in South Tyrol La sedia di Benno Simma. In occasione della conferenza "Planwerk", l'artista dagli occhiali rossi ha abilmente assemblato una sedia per poi presentarla con giustificata fierezza al folto pubblico. 3 4 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 Un giudice d'eccezione Mele, che passione. Un originale concorso ha premiato la ricetta più gustosa a base di mele. Tra i giurati anche la cuoca altoatesina Anna Matscher. Lotta all'ultimo tavolo Una pausa gustosa. Il ristorante Alto Adige è stato preso d'assalto dagli amanti del buon cibo (e non solo). Ganes da appplausi Un Golia, tanti Davide Artigianato artistico. L'enorme testa del progetto "Movemënt" di UNIKA, posta davanti all'ingresso, ha attirato l'attenzione dei visitatori, che per una volta si sono sentiti molto piccoli... Musica ladina. Gli intermezzi musicali sono stati affidati al gruppo altoatesino delle "Ganes", tre giovani artiste della Val Badia che hanno convinto il pubblico con le loro canzoni sospese tra tradizione ladina e internazionalità. Cosa: Paese ospite della fiera Heim+Handwerk Dove: Quartiere fieristico di Monaco di Baviera Quando: 28.11.-02.12.2012 Un sorriso per la stampa In breve: a dicembre 2012 l'Alto Adige ha avuto l'onore di essere nuovamente il Paese ospite della fiera Heim+Handwerk di Monaco. Una sorta di "officina vivente" ha spiegato nuovi e antichi mestieri e anche dov'è il confine tra arte e artigianato: non esiste. Voti alti ha riscosso anche la cucina made in Alto Adige: nel salone gastronomico Food & Life, svoltosi in contemporanea, gli chef Anna Matscher e Karl Baumgartner hanno deliziato i palati dei visitatori con alcune specialità della tradizione altoatesina. (CS) Politici e funzionari. Dieter Dohr, il presidente dell'EOS Federico Giudiceandrea, il direttore e il presidente della Camera dell'artigianato bavarese Lothar Semper e Heinrich Traublinger, la segretaria di Stato Katja Hessel del Ministero dell'Economia, il direttore dell'EOS Hansjörg Prast e per l'APA Gerd Lanz ed Herbert Fritz. a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 3 5 men ti L’uomo che fa vibrare i quadri. Per Jörg Hofer la pittura è una vocazione. Questo artista quasi sessantenne sui generis, già quarant’anni fa predicava la regionalità nelle arti figurative. Le sue opere nascono dagli scarti della lavorazione del marmo di Lasa e da pigmenti organici. Testo: Hartwig Mumelter Foto: Alex Filz Chi volesse capire meglio i quadri di Jörg Hofer, dovrebbe conoscerlo di persona. Ciò non significa che parlare con l’artista sia l’unica chiave di lettura delle sue opere, ci mancherebbe, diciamo piuttosto che in un intenditore di arte moderna potrebbe scattare quell’illuminazione in grado di aprirgli un mondo decisamente più complesso di quanto potesse immaginare. di studio austriaca per artisti stranieri. E così il pittore venostano può proseguire imperterrito nella sua ricerca stilistica ed emozionale. “Chi da bambino cresce camminando su marciapiedi in marmo, è difficile che si metta a lavorare il legno”. Già, perché il paese natio di Lasa, duemila anime in tutto, è famoso per il marmo ritenuto il migliore d’Europa. “Sono “I miei quadri non devono essere belli ma devono vibrare e toccare l'anima” Jörg Hofer è il più artigianale dei suoi col- sempre stato affascinato dagli operai leghi. Ancora più di un intagliatore o di delle cave. Di fatto ogni pezzo di marmo uno scultore, il pittore venostano mette tagliato è già di per sé un’opera d’arte”. in primo piano la plasticità. “Per capire i Hofer però non ha voluto diventare scalmiei quadri bisogna toccarli, sentirli, af- pellino e trarre forme dal marmo. Il suo ferrarli”. I quadri di Hofer sono opere in approccio con la roccia è totalmente rilievo che in buona sostanza rispecchia- diverso: egli mescola la polvere derivanno le forme e i colori della Val Venosta. te dalla lavorazione del marmo con i Un paesaggio arcaico, spesso caratteriz- pigmenti e la tempera all’uovo, una teczato da forme dure, scavate. L’ultimo ci- nica antichissima che Hofer riempie di clo di opere chiamato “Permafrost” af- messaggi nuovi. Ispirandosi alle pitture fronta il tema dello scioglimento dei murali dell’antica Pompei, dà vita a ghiacciai e delle conseguenze di questo quadri di grande impatto in cui trovano fenomeno, e nessuno meglio di lui ha spazio anche importanti richiami alla saputo rappresentare con metafore pit- sua terra natale. Oggi Hofer potrebbe toriche l’erosione della terra o le frane. essere definito un pittore riconducibile Ma chi c’è dietro queste opere di stra- alla tanto decantata regionalità ma doordinaria forza espressiva? Il giovane tato anche di un’ampia visione globale. Jörg Hofer è un macellaio destinato a se- “Con l’arte non si fanno discorsi, l’arte è guire le orme paterne nell’azienda di fa- qualcosa che si deve sentire”, sentenzia miglia. Ma ad un certo punto la passione Hofer nel suo melodioso e inconfondiper l’arte prende il sopravvento e così bile dialetto venostano mentre affetta arrivano gli studi all’Accademia delle uno straordinario speck affumicato con Belle Arti di Vienna, la proficua frequen- le sue stesse mani. tazione dei corsi del professor Max WeiCon poche parole, a volte sferzanti, ler, svariati riconoscimenti e una borsa Hofer commenta l’attuale panorama ar3 6 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 tistico, verso il quale ha diverse marce in più. Sarebbe interessante far toccare i suoi quadri a persone cieche, la cui sensibilità aptica aprirebbe nuove prospettive. “I miei quadri non devono essere belli ma devono vibrare”. E chi entra nell’atelier di Hofer, capisce subito a quali vibrazioni si riferisca. L’antica stalla ristrutturata, con i disadorni muri in pietra, richiama alla mente una cattedrale. Qui si potrebbero passare ore e ore, con le opere che mutano aspetto in continuazione a seconda del taglio della luce: “In ognuno di questi quadri c’è la mia anima”. Un’anima che cambia spesso umore, almeno a giudicare dalla mutevole composizione dei colori. Un ulteriore segnale di come Hofer prenda sul serio le sue creazioni. Se una volta avrete l’opportunità di salire assieme a Jörg Hofer fino alle grandi cave di marmo, negli immensi capannoni a quota 1.567 metri, scoprirete un altro segreto nascosto nelle opere del pittore venostano. “Qui la polvere di marmo viene buttata via, è un vero peccato per un materiale così nobile”, dice Hofer tuffando le mani in quella polvere bianca che rappresenta la fonte di energia delle sue opere. J ö r g H o f er Via Venosta 43 39023 Lasa Tel.: +39 0473 626343 [email protected] www.joerg-hofer.it Jörg Hofer all'opera: l'artista venostano realizza quadri straordinari utilizzando materiali di scarto Ma rke ti n g Bontà altoatesina da mordere, parte II. La nuova campagna della mela Alto Adige IGP lanciata in Germania punta sulla naturale simpatia dei frutticultori, va incontro ai consumatori nei punti vendita e strizza l’occhio anche al web. Da decenni ormai la mela è uno dei cavalli di battaglia dell’export altoatesino, e la Germania è ancora oggi il principale mercato di sbocco per le nostre mele. Nulla di nuovo? Non proprio. Negli ultimi anni infatti il consumatore tedesco si è fortemente evoluto facendo registrare chiaramente una nuova esigenza: la voglia di regionalità. E siccome la campagna della “mela col cappello” è stata molto apprezzata in Germania, ecco che viene riproposta con alcune varianti che puntano a mantenere, se non aumentare, le vendite. I nuovi testi scelti hanno un forte riferimento al carattere regionale della mela altoatesina e trasmettono al contempo il concetto di qualità, mentre l’immagine del frutto che “indossa” il tipico copricapo di feltro altoatesino sottolinea in modo evidente la provenienza e la regionalità del prodotto. Un ulteriore fattore di soddisfazione arriva dall’allargamento della “famiglia” delle mele che possono fregiarsi del marchio IGP: dall’ottobre del 2012 infatti anche le varietà Pinova e Topaz rispettano i parametri della produzione integrata e del suo severo disciplinare. Piacere, sono un frutticultore L’elemento più importante della nuova campagna rimane comunque il frutticultore. “Il modo migliore per trasmettere simpatia e affidabilità è affidarsi a comunicatori simpatici per natura. E il contadino, soprattutto nei contesti urbani, è la persona più indicata per ispirare fiducia, garantire la qualità e dare un volto al marchio Mela Alto Adige IGP”, spiega Paul Zandanel, responsabile di mercato presso l’Organizzazione Export Alto Adige (EOS). La campagna prevede quindi l’impiego di diversi frutticultori che raccontano in prima persona le peculiarità delle nostre mele. Inoltre, nei limiti del possi3 8 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 C re at i v i t à ne i p u n t i v end i ta : e t u che t i p o d i m e l a se i ? Oltre a degustarla, nei punti vendita è importante che il cliente riceva informazioni sulla mela altoatesina al fine di conoscere i contenuti che si vogliono trasmettere. A tale scopo le mele sono state suddivise in tre categorie corrispondenti ad altrettante tipologie di tu- rista: amante del gusto, attivo, rilassato. Per ogni tipo di mela è stata coniata una simpatica descrizione, valida per tutte le varietà di mela della categoria. Al termine del gioco il cliente riceve un attestato con l’esito del test e la descrizione delle mele a lui affini. Il frutticultore di Lagundo Thomas Clementi con la famosa cuoca Cornelia Poletto durante il raccolto delle mele bile, saranno gli stessi contadini i protagonisti delle iniziative previste nei punti vendita. Il carisma di Cornelia Poletto Per essere ancora più vicina e credibile per il consumatore tedesco, la campagna si avvale del volto affidabile di una madrina d’eccezione: Cornelia Poletto. “La cuoca più famosa della Germania non è solo portavoce della grande cucina, ma anche e soprattutto della ricetta facile, alla portata di tutte le casalinghe. In qualità di donna, madre e cuoca, Cornelia Poletto è diventata uno dei personaggi pubblici più simpatici, in grado di trasmettere fiducia e autenticità”, aggiunge Zandanel. Le sue ricette comunicano un’immagine positiva della Mela Alto Adige e al contempo forniscono al consumatore tedesco esempi pratici e semplici per l’utilizzo in cucina, facendo sì che il tipico prodotto altoatesino non smarrisca la propria identità regionale. Le ricette nascono con cadenza mensile e vengono poi pubblicate sul sito e diffuse tramite comunicati stampa e social media. L’immagine di Cornelia Poletto viene inoltre impiegata in un video blog, un mezzo quanto mai azzeccato per trasmettere in maniera rapida ed efficace le qualità e la provenienza della mela altoatesina. I filmati sono stati girati a Lagundo a fine settembre, il periodo migliore per immortalare il paesaggio e l’attività produttiva nei meleti. Sito web, PR & Social Media Anche il sito www.melaaltoadige.com è stato modificato e ora si presenta con una struttura più snella e una migliore accessibilità ai contenuti principali. I social network invece rappresentano un ulteriore canale di promozione e comunicazione per l’intera campagna, che si basa quindi sul già citato video blog, sulle nuove ricette, sulle affermazioni dei contadini, sulla comunicazione di iniziative e manifestazioni (attività nei punti vendita, distribuzione di mele ecc.), concorsi a premi e altri eventi di successo. Le iniziative nei punti vendita Certo, il massimo sarebbe addentare una croccante e succosa mela altoatesina direttamente dal contadino. Ma visto e considerato che non tutti hanno la fortuna di trovarsi in Alto Adige durante il raccolto, ecco che le iniziative organizzate in Germania cercano perlomeno di far conoscere meglio le mele nei posti stessi dove vengono vendute. Qui è importante che il cliente riceva informazioni, impulsi, possa assaggiare le mele e si convinca ad acquistarle (vedere box nella pagina a fianco). Per ribadire il legame con il territorio, la promozione prevede un team composto da promoter e frutticultori altoatesini, e laddove ciò non sia possibile il promoter indossa alcuni accessori tipici come (CS) il grembiule blu e il cappello. l a m e l a , Un co loss o eco n om i co In Alto Adige 8.000 aziende familiari coltivano mediamente 2,5 ettari di terreno, producendo ogni anno circa 1 milione di tonnellate di mele. Il 93% del raccolto viene commercializzato tramite 24 consorzi, il rimanente 7% prende la via del libero commercio (17 aziende) o delle aste frutta (3 aziende). Più o meno la metà della frutta finisce all’estero; il mercato principale è la Germania con una quota di oltre il 30% delle mele esportate, seguita da Scandinavia, nazioni mediterranee come Spagna e Portogallo e i Paesi di più recente adesione alla UE. Delle mele consumate in Europa, una su dieci proviene dall’Alto Adige; la nostra provincia è anche il maggior fornitore continentale di mele biologiche, grazie al 40% di produzione bio. Ecco infine le 13 varietà di mele che si fregiano dell’appellativo IGP: Braeburn, Elstar, Fuji, Gala, Golden Delicious, Granny Smith, Idared, Jonagold, Morgenduft, Red Delicious, Stayman Winesap, Topaz e Pinova. a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 3 9 ne ll'o cchi o de i m edi a Dicono di noi. Rassegna stampa di giornali, riviste, trasmissioni televisive, siti web e videoblog: stavolta si parla di sport invernali, treni e ciclabili, aziende start-up e arte culinaria. United Kingdom: Gourmet Travel Gourmet-Magazine – This article takes the reader on six pages trough a gourmet-travel across the country. With many stops at the very peaks of good taste: Niederkofler on the very top of it. In addition to that: The gourmet-chef from Alta Badia reveals some of his best recipes. Release January 2013 Deutschland: uberding Video-Blog – Unter dem Titel „Winterzauber in den Dolomiten“ ermöglicht die VideoBloggerin des bekannten deutschen Lifestyle-Blogs uberding persönliche Einblicke in ihr Tagebuch und damit in Südtirols Winterwelt. Online seit 30. Dezember 2012 Österreich: Die Presse.com Nachrichtenportal und Tageszeitung – Was Kastanienholz und der Meeresspiegel gemeinsam haben und wie detailreich ein regionales Delikatessenprojekt, nämlich jenes von „Pur Südtirol“, sein kann, wird in der Online-Ausgabe der Presse veranschaulicht. Online seit 30. August 2012 Deutschland: Madame Lifestyle-Heft für Luxus, Trends und Mode – Auf sechs Seiten huldigt das deutsche Hochglanzmagazin allen Facetten des Wintersports in den Skigebieten in Südtirol, im Trentino und in Venetien. Ausgabe Jänner 2013 4 0 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 Italia: Sole 24 ore Quotidiano – Alcune start-up nell’Incubatore d’imprese del TIS vengono osservate da vicino dal giornalista Mirco Marchiodi nel dorso “Impresa & territori” del principale giornale economico nazionale. Oltre al profilo di 5 aziende si può anche leggere un’intervista al direttore del TIS, Hubert Hofer. Edizione 5 dicembre 2012 Netherlands: Italie Travel-Magazine – On six pages the magazines presents the region around the Three Peaks and Sesto/Sexten and particularly wintersport facilities over there. The article also speaks about the famous southtyrolean speciality Speck (bacon). Release January 2013 TV: TG2 Sí viaggiare La rubrica del Tg2 su viaggi e turismo – La giornalista Silvia Vaccarezza introduce il concetto „dal treno in pista“ , e fa vedere le diversità dell’ Alto Adige. Il Plan del Corones, un’ area sciistica molto popolare. E come controparte: il rifugio Fanes situato a 2060 metri s.l.m. con la famiglia di Max Mutschlechner. Messa in onda 4.01.2013; replica 06.01.2013 Schweiz: Zürcher Unterländer Tageszeitung – In der Züricher Regionalzeitung wird die Handelsstadt Bozen Gegenstand des Reiseberichts. Von Bozen aus, das zu jeder Jahreszeit einen gewissen Charme versprühe, seien Ausflüge ins Dolomitengebiet, auf den Hausberg Ritten oder ins Sarntal problemlos möglich. Ein Besuch bei Ötzi dürfe dabei auch nicht fehlen. Ausgabe 2. November 2012 Polen: Twoi Styl Lifestyle Magazine – On seven pages the reader is confronted not only with a little glimpse of South Tyrol but with the whole range of it. Including: winter, snow, sun and last of all: joie de vivre. And that from east to west of the province. Release January 2013 a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 4 1 …come marchio L a fa m i g l i a de l M a rch i o O m b re l lo I capi d'abbigliamento in look Alto Adige sono molto gettonati Utilizzatori del Marchio Ombrello Al 28 febbraio 2013 si contavano 3.124 utilizzatori, tutti ambasciatori dell'immagine dell'Alto Adige 4 2 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 Il Marchio Ombrello Alto Adige esiste dal 2005. Oltre ad essere utilizzata in ambito turistico e alimentare, la griffe Südtirol può essere applicata su prodotti di merchandising previo rilascio di una licenza. Come funziona? Le aziende sviluppano prodotti a marchio Alto Adige con la supervisione del Brand Management del Marchio Ombrello, dopodiché la Provincia di Bolzano rilascia una licenza che impegna le aziende a riconoscere alla Provincia una determinata percentuale del fatturato. I capi che attualmente portano il marchio Alto Adige sono i berretti, i copri-orecchie ed i teli multiuso della Norton, l’abbigliamento da corsa e funzionale di Hermann Achmüller e gli occhiali da sole in legno della WoodOne. “è meglio essere un local hero piuttosto che essere un global loser”. Mathias Binswanger *1962, economista e libero docente svizzero Oltre 450 anni di storia. Una leggenda vivente. Accomodatevi e riscoprite l’eleganza senza tempo e la cura dell’ospitalità! Rimarrete affascinati dalla straordinaria simbiosi tra storia, atmosfera e gusto. Il nostro eccellente ristorante gourmet vi attende a pranzo e cena per viziarvi con un servizio di prima classe, tante prelibatezze ed una selezione di grandi vini. Fedeli alla tradizione. La vostra famiglia Heiss Falk Hotel Elephant ****S | Via Rio Bianco 4, 39042 Bressanone | T +39 0472 832750 | www.hotelelephant.com