Magazine per il Destination Marketing in Alto Adige
In caso di mancato recapito restituire al CPO di Bolzano - Poste Italiane S.P.A. – Spedizione in A.B. – 70% NE/BZ, Tassa Pagata/Taxe Perçue
aprile / maggio / giugno 2013
regionale è sexy
Al diavolo la globalizzazione: è giunto il momento
di rivalutare le origini, la tradizione e i pregi locali
107.060
altoatesini hanno trascorso nel 2011 un periodo di ferie in Alto Adige
» originando in tutto 438.870 pernottamenti. In termini percentuali siamo appena all'1,5%
del totale dei pernottamenti, ma è comunque un segnale che l'offerta locale è apprezzata.
Nel vicino Tirolo i numeri sono simili: 235.400 tirolesi hanno passato le ferie nella propria
regione dando vita all'1,4% dei pernottamenti. Le cose sono decisamente diverse in Trentino,
dove si contano solo 65.908 turisti locali pari all'1,1% dei pernottamenti.
(Fonti: ASTAT, Tirol Werbung, Trentino Statistica)
L'importanza delle radici
“Il futuro è glocale”, si usava dire qualche tempo fa per indicare la voglia di regionalità di tante aziende alle prese con la globalizzazione. Ed è la prova che la regionalità non è un fenomeno modaiolo, ma un megatrend che parte da lontano e lontano vuole andare.
Tuttavia: a furia di invocare sempre più regionalizzazione, non è che nel lungo periodo questo provocherà dei danni alla nostra esportazione? Non c’è il rischio di
diventare miopi, limitati, protezionisti?
La risposta è: no. Regionalità non significa innalzare barriere. L’obiettivo della
regionalizzazione è di analizzare e sviluppare quei segmenti di mercato in cui le
aziende di una determinata regione possono, nell’ambito della competizione globale, competere con prospettive di successo. Già oggi l’Alto Adige è tra le eccellenze
nel settore alimentare, nell’agricoltura e nelle tecnologie invernali ed esporta più
prodotti di quanto ne importa, soprattutto perché in questi settori ha saputo riconoscere e vincere le sfide poste dal proprio ambiente alpino. Ecco perché i prodotti
altoatesini sono pregiati e autentici.
Regionalità e globalizzazione non sono per nulla in contrapposizione. Anzi. A lungo termine le nostre aziende riusciranno ad avere successo a livello internazionale
solo se, pur trovandosi a competere in un mercato globale, sapranno mantenere
ben salde le radici in Alto Adige.
Hubert Hofer, direttore del TIS
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Festival del Gusto Alto Adige
La bontà dà spettacolo!
festival
del gusto
alto adige
Hier Ifeiern
für Ihre
Bolzano
24 – 26 maggio
2013 Sinne
www.festivaldelgusto.it
Sommario
copertina: Regionalità
MARKETING
8 La bontà? è qui, dietro l’angolo
Prodotti locali alla riscossa: vicinanza e provenienza,
regionalità e tradizione sono sempre più apprezzate.
26 Global Player di periferia
Perché le grandi aziende decidono di mettere radici in
Alto Adige? Lo abbiamo chiesto alle dirette interessate.
16 Una questione di profilo
L'esperto tedesco di gastronomia Otto Geisel invita
i ristoranti a crearsi un'immagine ben definita.
28 La reputazione corre sul web
Troppi albergatori non commentano le recensioni
negative sui loro alberghi. E sbagliano: lo dice il cliente.
18 Non chiamatelo solo vitello
Il progetto LaugenRind è la prova provata che la
collaborazione tra agricoltura, commercio e alta
gastronomia può funzionare.
31 L’innovazione ha fatto scuola
Formazione ad alto livello e Job Training in azienda: sono
i punti forti del metodo elaborato da TIS ed Eurac.
20 Qualità per tutte le tasche
Marchio Eataly: ecco la storia di un progetto culturale
ed economico vincente interamente made in Italy.
24 Dall’Alto Adige per l’Alto Adige
Panoramica sui più importanti marchi locali e nazionali.
Perché le specialità devono essere tutelate.
38 Bontà altoatesina da mordere, parte II
Vecchi messaggi, nuovi protagonisti: al via in Germania
la nuova campagna della mela Alto Adige IGP.
Rubriche
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mailbox
made in alto adige
uno sguardo oltre i confini
l'opinione
mercato
menti
nell'occhio dei media
m come marchio
BLS –
Business Location Alto Adige Spa, Passaggio Duomo 15, 39100 Bolzano
EOS – Organizzazione Export Alto Adige, via Alto Adige 60, 39100 Bolzano
SMG –
Agenzia Alto Adige Marketing, piazza della Parrocchia 11, 39100 Bolzano
TIS – innovation park, via Siemens 19, 39100 Bolzano
Direttore responsabile: Reinhold Marsoner | Caporedattrice: Barbara Prugger | Redazione: Maria C. De Paoli, Bettina König, Hartwig Mumelter, Eva Pichler,
Gabriela Zeitler Plattner, Cäcilia Seehauser | Coordinamento: Ruth Torggler | Traduzioni: Paolo Florio | Layout: succus. Comunicazione | Design Consult: Arne
Kluge | Fotografie: Eataly, Alex Filz, Gerhard Loske, Shutterstock, Jan Terzariol | Illustrazioni: Eva Kaufmann; succus. Comunicazione | Infografica: succus. Comunicazione | Prestampa: typoplus, via Bolzano 57, 39057 Frangarto | Stampa: Karo Druck, Pillhof 25, 39057 Frangarto | Per non ricevere più questa rivista è sufficiente
inviare una mail specificando il proprio indirizzo a [email protected] | Registrazione presso il Tribunale di Bolzano n. 7/2005 del 9 maggio 2005
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ma ilbox
ospiti. Questi eventi, organizzati con cadenza regolare, intendono essere un’opportunità per allacciare contatti in un
contesto informale. Il prossimo Networking Dinner è in programma il 18 aprile
in occasione della fiera Prowinter. Per
info inviare una e-mail a
[email protected].
Norme tecniche per tutti
Punto UNI-CEI al TIS
La banca dati SMG permette di scaricare gratis 150 leggende in italiano, tedesco e inglese
Un Alto Adige da favola
On line la banca dati delle leggende
Marketing. L’Alto Adige è ricchissimo
di leggende che raccontano della nascita delle montagne, di eventi storici o di
storie fantastiche che hanno come protagonisti gnomi, streghe e diavoli. Visto
il crescente interesse dei turisti, ma anche della popolazione locale, verso storie che riguardano da vicino la cultura
altoatesina, Alto Adige Marketing (SMG)
ha elaborato un’offerta culturale di sicuro interesse creando una banca dati delle leggende altoatesine.
Sul sito aziendale è ora possibile consultare 150 leggende, tutte disponibili in
italiano, tedesco e inglese e precedute
da un breve testo riassuntivo che ne illustra i contenuti e permette di individuare le tematiche di interesse personale.
La banca dati creata da SMG vuole essere uno strumento di informazione e di
ispirazione facilmente accessibile e
pensato non solo per i turisti ma anche
per studenti, insegnanti e famiglie. Tutte le leggende sono scaricabili gratuitamente in formato pdf.
www.smg.bz.it/leggende
ecco il fondo per l’export
Più sicurezza per chi vuole esportare
EXPORT. Da ora in poi un’azienda che
intende stipulare un contratto in un Paese che non è compreso tra i 34 aderenti
all’OCSE, può rivolgersi con fiducia
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all’Organizzazione Export Alto Adige
(EOS). Quest’ultima esaminerà la documentazione per poi trasmetterla alla
Banca di controllo austriaca (ÖKB), la
quale eseguirà un rating per poi emettere una polizza di garanzia.
A questo punto l’azienda potrà andare dalla
propria banca e chiedere un finanziamento fino
al 70% del valore dell’appalto. Il sistema viene garantito da un
fondo che, dopo la dotazione iniziale da
parte della Provincia, è destinato nel
tempo ad essere finanziato dalle commissioni trattenute. In Germania e
Francia, dove questo sistema è già attivo,
oltre la metà del PIL viene prodotto all’estero grazie anche e soprattutto all’esistenza di queste garanzie.
www.eos-export.org/it/news
INNOVAzIONe. A cosa deve badare uno
sviluppo di prodotto che voglia essere
professionale? Innanzitutto al rispetto
delle norme tecniche che sono garanzia
di prodotti sicuri e di qualità.
Lo sportello per le norme tecniche “Punto UNI-CEI” del TIS innovation park fornisce informazioni sulle normative nazionali (UNI), europee (EN) e internazionali (ISO) alle aziende altoatesine.
Prefabbricati, apparecchiature elettriche, abbigliamento da lavoro, cabine
doccia: ogni prodotto ha
le sue normative di riferimento e lo sportello informativo “Punto UNICEI” del TIS è in grado
di dare la risposta giusta
ad ogni settore grazie alla sua generosa
banca dati che mette gratuitamente a
disposizione delle aziende oltre 17.000
normative.
Per info contattare il responsabile del
Punto Stefano Prosseda, tel. 0471
(EP)
068144, [email protected]
Invita un’azienda a cena
BLS e il Networking Dinner
fiere. Business Location Alto Adige
(BLS) utilizza in maniera mirata gli
eventi fieristici per mettere in rete
aziende nazionali ed estere di svariati
settori. In occasione delle fiere Klimahouse, Alpitec, Prowinter e Klimaenergy alcuni espositori e imprenditori altoatesini vengono selezionati per un Networking Dinner presso una delle
aziende di eccellenza della nostra provincia, che durante la serata hanno
quindi l’occasione di presentarsi agli
Ogni prodotto
ha una sua
normativa
MADE IN alto adige
a
la scheda
Prodotto: pacco da 6 Batzen Bräu
Produttore ����������������������������������������������������������������������� Batzen Bräu, Bolzano
Particolarità ����������������������������������� birra artigianale prodotta in Alto Adige
Design ������������������������������������������ Agenzia succus. Comunicazione, Bolzano
Mercato ������������������������������� prevalentemente Alto Adige e regioni alpine,
������������������������������������������������������������������������������������� ma si trova anche a Roma
Produzione ������������������������������������������ attualmente 3.000 bottiglie al mese
La birra artigianale da portare a casa in una pratica confezione da 6
bottiglie: ecco la novità dell'antica osteria bolzanina Ca' de Bezzi, disponibile anche nelle più importanti bottiglierie. La varietà "Batzen Hell"
ricorda la birra marzolina, in passato molto amata dagli altoatesini. La
"Batzen Weisse" si ispira invece alla tradizione delle birre chiare bavaresi, mentre la scura "Batzen Dunkel" viene prodotta secondo lo stile delle birre Lager scure, molto apprezzate soprattutto nelle città.
Con la Batzen Bräu l'antica tradizione austriaca viene ripresa e reinterpretata; gli ingredienti sono parzialmente importati in quanto le materie
prime non vengono (ancora) coltivate in Alto Adige. L'osteria Batzen
Häusl venne citata per la prima volta più di 600 anni fa ed è pertanto la
più antica dell'Alto Adige. Dal 2002 l'oste è Robert "Bobo" Widmann
che nel 2012 ha creato la sua "Batzen Bräu". www.batzen.it
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COPERTIN A : r egi on a l it À | La bontà? È qui, dietro l’angolo
la bontà? è qui,
dietro l'angolo
Intrecci poco chiari, processi complicati, scarsa trasparenza: per
tanta gente la globalizzazione sta diventando insopportabile.
La conseguenza? Km zero e provenienza, regionalità e tradizione
sono sempre più di moda. La riscossa dei prodotti locali è partita!
Testi: Maria Cristina De Paoli
Illustrazioni: Eva Kaufmann
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A
gennaio del 2009 varcava la soglia della Casa Bianca come
First Lady. Neanche un paio di
mesi più tardi, Michelle Obama si mostrava sul prato della residenza
presidenziale di Washington in stivaloni
di gomma, guanti da giardiniere e zappa,
intenta a dissodare – assieme a una classe di scolari – un orto di 100 metri quadri.
Che da allora regala, soprattutto per la
tavola degli Obama, cipolle e broccoli,
cetrioli e insalata.
“La First Lady è diventata l’icona della
tendenza globale all’auto-coltivazione
ed all’auto-approvvigionamento”, esordisce Matthias Horx, fondatore e titolare
dell’Istituto tedesco di futurologia di
Kelkheim. La visione di una popolazione
autarchica dal punto di vista alimentare,
anche nei centri urbani, non è certo nuo-
va. Oggi però non siamo più di fronte ai
tradizionali piccoli orti dietro casa. La
campagna si sta spostando in città: a
New York gli orti spuntano sui tetti e nelle scuole, nei cortili dei palazzi berlinesi
nascono appezzamenti condominiali
mentre nelle metropoli dei paesi emergenti l’agricoltura urbana fa parte ormai
da tempo del paesaggio. “A Dakar – informa Horx – l’80% del fabbisogno di ortaggi viene coltivato in città. E a Shangai
sono già all’85 per cento”.
Ad ogni modo l’amore per i prodotti
locali, in campo alimentare, non si limita
a frutta e verdura. Le micro-birrerie ad
esempio stanno ottenendo grandi risultati con le loro specialità artigianali che si
differenziano dal gusto piatto delle multinazionali, e sono in auge anche i piccoli
caseifici privati, che confezionano »
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COPERTIN A : r egi on a l it À | La bontà? È qui, dietro l’angolo
formaggi seguendo le ricette di una volta.
Aria nuova si respira anche nell’Alta Cucina, se è vero come è vero che dal 2010 il
“Noma” di Copenhagen è stato eletto per
tre volte di fila miglior ristorante del mondo. Essendo strettamente regionale, la
cucina dello chef René Redzepi non contempla olio d’oliva o pomodori ma utilizza muschi e licheni, cortecce e graminacee, alghe e germogli. Sono tutte piante
selvatiche tipiche del Nordeuropa utilizzate da sempre, le cui qualità però tendono vieppiù ad essere dimenticate.
“Per anni non abbiamo fatto altro che
parlare di globalizzazione: orizzonti
sempre più ampi, dimensioni sempre
più imponenti, legami sempre più opprimenti”, dice Matthias Horx. Oggi il
locale sta rialzando la testa, come risposta ad una internazionalizzazione percepita ormai come una minaccia. “Tenendo comunque presente che i neo-localisti non vogliono fermare il mondo, ma
costruirne uno nuovo partendo dal basso. O almeno creare un contrappeso laddove è ancora possibile modificare la
situazione”.
La spesa intelligente
“La gente vuole riprendere in mano la
propria vita”, sintetizza la scrittrice e documentarista Elisa Nicoli che nell’ottobre del 2012 ha contribuito a Castel Mareccio all’organizzazione di “SkonsumOFesta”, la prima fiera mercato del
tessile eco-sostenibile. Elisa Nicoli inoltre scrive manuali e tiene seminari che
vanno dall’impiego di erbe e piante selvatiche ai detergenti “creativi” da produrre in casa, per arrivare al riutilizzo di
oggetti destinati a finire nei cassonetti.
Ma Elisa è anche membro attivo dei GAS
(Gruppi di Acquisto Solidale), un movimento che nel nostro paese ha raggiunto
i 900 gruppi e viene coordinato da una
rete nazionale di collegamento. In Alto
Adige se ne contano 25 sparsi tra Merano,
Bolzano, Bressanone e la Bassa Atesina,
ed ognuno di essi conta 20-30 famiglie
affiliate. La filosofia che fa nascere un
1 0 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3
GAS è l’acquisto in comune. “Noi ci procuriamo tutto quello che serve in una
casa, dalla carta igienica ai cosmetici,
dalla pasta all’olio d’oliva”, spiega Nicoli.
Superfluo dire che bisogna rispettare
certi criteri: “Noi acquistiamo solo dai
produttori, senza intermediari, dando la
precedenza ai prodotti bio e regionali”.
Quando tutto questo non è possibile, si
continua a cercare oppure ci si fa aiutare
dagli altri gruppi. “Come nel caso delle
arance. Noi le prendiamo da un contadino siciliano che ci è stato consigliato da
un GAS del posto”. E quando la collaborazione con un produttore diventa particolarmente intensa, ecco che l’agricoltore modifica addirittura le proprie abitudini di coltivazione in base alle esigenze
del gruppo “e inizia a piantare quella
varietà di riso o di verdura che i soci del
GAS gli hanno richiesto”.
E il ritorno economico? C’è, ma non
è quello il punto. “Visto che acquistiamo
per tante persone riusciamo spesso a
spuntare un buon prezzo. Ma il risparmio è forse l’ultima cosa che ci interessa,
per noi contano molto di più i minori
viaggi dei tir, una qualità sicura, cicli ridotti e un commercio equo”.
Attualmente i GAS stanno vivendo un
vero e proprio boom in tutta Italia, da
Bolzano a Palermo. Numeri che tuttavia
impallidiscono di fronte a quelli degli
USA, dove cibarsi con alimenti locali viene considerato un privilegio e l’appartenenza ad una delle cosiddette “Food
Coop” è diventata ormai uno status
symbol. Come la leggendaria “Park Slope Food Coop” di Brooklyn, la più antica
cooperativa alimentare.
E il commercio? Si adegua
Insomma, i prodotti nostrani sono tornati in tavola. E non solo per gli integralisti dei gruppi d’acquisto. Secondo uno
studio della Società Agricola Tedesca
(DLG), nell’80% delle case germaniche si
consumano prodotti regionali. Una tendenza che sembra aver fatto breccia anche nella grande distribuzione, vi- »
vino & Terroir
Il futuro è nel bicchiere
“Se vogliamo dare a Cesare quel che è di Cesare, i primi a riconoscere una forte relazione tra il vino e la zona di coltivazione sono
stati i Romani”, dice Helmuth Zanotti, responsabile del reparto
“Vino” di EOS (Organizzazione Export Alto Adige). Che aggiunge: “Anche perché non erano praticamente in grado di
distinguere una varietà di vite dall’altra, e allora davano
il nome ai vini in base alla zona dove venivano prodotti”. Da allora i vini sono indissolubilmente legati al loro terroir*. Un legame che ben presto
venne ritenuto degno di essere tutelato: “La prima normativa sulla Denominazione d’Origine
Controllata – spiega Zanotti – venne introdotta
già negli anni Trenta del secolo scorso con un Regio Decreto. E tra i primi vini protetti figurava anche il nostro Santa
Maddalena”. Il sistema oggi in vigore risale invece ai primi anni
Settanta. In Alto Adige si producono ogni anno mediamente
330.000 ettolitri di vino, e nel 90% dei casi si tratta di vini Doc.
Va da sé che una cosa sono le normative, cosa ben diversa
sono le tendenze dei produttori e il gusto dei consumatori. “E
qui, negli ultimi due decenni, c’è stato un enorme livellamento”,
fa notare Zanotti. Questo perché l’influsso dei nuovi paesi vinicoli come la California o l’Australia, abbinato al sempre più massiccio ricorso alla barrique, ha relegato il terroir ad un ruolo marginale nella storia di un vino. All’improvviso ogni bottiglia è diventata perfetta, tutte le annate uguali e si è creduto di poter
piantare vigneti ovunque.
“Ma alla fine la nostra cultura millenaria viticola ha avuto la meglio – commenta Zanotti – e oggi, perlomeno
in Europa, si è tornati ad apprezzare la varietà ed i
vini di carattere ed a far rinascere i vini autoctoni".
Ecco allora che anche in campo vinicolo si assiste a
quella corsa alla regionalità già scattata in altri
settori, “con la differenza – precisa Zanotti – che per
il vino non ci si limita ai circuiti locali: noi vogliamo
esportare le nostre etichette in tutto il mondo”. Oggi la
metà del vino prodotto in Alto Adige viene venduto all’interno
della provincia. Attenzione però: “Venduto, non bevuto”, fa notare Zanotti. Questo perché tanti turisti, prima di ripartire, imbottiscono il bagagliaio di vino altoatesino che poi gusteranno
comodamente seduti sul divano di casa.
*Con il termine “terroir” i francesi indicano quella combinazione di suolo e
condizioni climatiche che influisce in maniera decisiva sul risultato di una
coltivazione.
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COPERTIN A : r egi on a l it À | La bontà? È qui, dietro l’angolo
in tutti gli opuscoli pubblicitari in cui
de soprattutto vino e frutta dell’Alto Adisto che anche i marchi mondiali stanno
sono presenti specialità altoatesine. ge, “ma noi siamo anche buoni clienti
investendo nella filiera locale con tanto
di marketing dedicato. La Lidl per esem- “Anche se questo marchio – tiene a preci- delle latterie, dei panifici e delle indusare l’ad Robert Hillebrand – non identi- strie alimentari locali. Senza dimenticapio ha creato il settore “Ein gutes Stück
fica solo i prodotti fatti in provincia, ma
re che tutti i salumi venduti con i marchi
Heimat”, Rewe propone alimentari “Aus
anche i marchi e le merci che sono “tipi- “Kaiserhof” e “Sapore mio” vengono prounserer Region” e Migros ha coniato lo
dotti da noi a Bolzano”. Ma in futuro la
slogan “Aus der Region. Für die Region”. ci” delle abitudini di consumo dell’Alto
Adige”.
presenza dei prodotti regionali è destiIl colosso Aspiag da parte sua segnala
Con la nicchia di prodotti “100%
nata ad aumentare? Non così facile, frecon la scritta “100% Typisch-Tipico” i
na Hillebrand. “Ogni giorno noi serviaprodotti caratteristici per il mercato al- Typisch-Tipico”, Aspiag strizza l’occhio
al consumatore maggiormente sensibi- mo, tra Alto Adige e Trentino, la bellezza
toatesino. I bollini con la scritta bilingue
le ai piccoli circuiti economici. Al mo- di 50.000 clienti, per cui non possiamo
e lo Sciliar stilizzato fanno bella mostra
mento l’assortimento “tipico” compren- permetterci degli assortimenti aleatori”.
di sé in tutti i negozi a marchio Despar e
S e d i c o l o c a l e , pens o : b u o n o
l ' i m p o r ta n z a de l l a pr o v en i en z a
Il 75% dei consumatori altoatesini pensa che i prodotti locali siano
particolarmente buoni: questa la conclusione del Centro di ricerca
sociale e demoscopia Apollis di Bolzano dopo uno studio sul marchio di qualità, in cui tra le altre cose è stato valutato l’atteggiamento del consumatore nei confronti della provenienza delle merci. “I controlli severi, la lavorazione accurata delle piccole aziende, il clima favorevole ma anche l’elevato livello di qualità
preteso dal cliente e la natura pressoché intatta rappresentano i
fattori più importanti per la fiducia verso i prodotti locali”, spiega
Ulrich Becker, uno degli autori dello studio. Ma la qualità è solo
uno dei motivi che spinge a preferire prodotti nostrani: “Oltre alla
freschezza dovuta ai brevi spostamenti ed alla maggiore trasparenza nelle varie fasi di produzione, il cliente è spinto da valori
ideali come il sostegno all’economia del posto dove vive, i benefici
per l’ambiente e la salvaguardia del paesaggio culturale”.
1 2 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3
Ma fino a dove funziona la parolina magica regionalità? “All’interno della regione stessa – risponde Becker – è sicuramente un
punto di forza. La gente del posto conosce i prodotti e conosce
anche i produttori, perché ha la possibilità di informarsi per
bene”. Le cose ovviamente cambiano man mano che ci si allontana dai confini regionali. E come esempio classico Becker cita lo yogurt dell’Alto Adige: “Per noi un vasetto di yogurt altoatesino è inconfondibile”. Un inglese invece, ben che
vada vedrà in quel vasetto un prodotto
proveniente da una zona alpina indefinita,
Svizzera, Alto Adige o Baviera che sia.
“A meno che non sia stato in vacanza da
noi”, dice Becker, il quale attribuisce
quindi al turismo un ruolo decisivo e
sollecita maggiori sinergie tra produttori e player turistici: “Bisogna
assolutamente investire di più in
questo binomio”.
Il pericolo insomma è che i piccoli pro- all’origine, il requisito princiduttori non ce la facciano a far fronte alle
pale per finire sugli scaffali di
richieste, ma non solo: “Tanti prodotti “Pur Südtirol” è la qualità. “E quedell’euro non
locali sono legati alle stagioni, ed è diffi- sto è solo il punto di partenza. Noi
hanno mai smesso di mucile farlo capire ed accettare al cliente. infatti – aggiunge Wallnöfer – vorremmo
gugnare, e ora sono pronte a tornare alla
Con i crauti ancora potrebbe funzionare, che nei prodotti fatti in Alto Adige ci fos- carica sotto forma di “Chiemgauer”,
ma nel caso delle marmellate e dei suc- sero, nella quantità maggiore possibile, “Roland” o “Justus” (vedi anche box a pag.
chi sarebbe un bel problema, se in alcuni
23). E se le valute parallele fanno sorrideanche materie prime altoatesine. Cosa
mesi dell’anno sparissero dagli scaffali”. che non è affatto semplice, basti pensare
re i più, è però innegabile che facciano
sempre più proseliti. Anche nel settore
allo zucchero”.
dell’energia si sta cominciando a pensaUn altro obiettivo dei due “puristi” è
Alto Adige al 100%
re in piccolo, tanto che il passaggio dalla
lo sviluppo di prodotti locali e come
Se fuori c’è scritto Alto Adige, allora an- esempio Wallnöfer cita lo spumante di
grande distribuzione centralizzata alla
che dentro ci deve essere Alto Adige: i
produzione locale per molti rappresenmela “S’Pom”, prodotto dall’azienda
puristi di “Pur Südtirol” non accettano
ta “la” sfida economico-ambientale del
Obsthof Troidner di Renon e accolto con
vie di mezzo. “L’Alto Adige – spiega Ul- favore dal mercato. Mercato sul quale
futuro. E persino la solidarietà inizia a
rich Wallnöfer – è un territorio di monta- sta per essere lanciata una novità: il vino
concentrarsi sul vicinato, come confergna dai confini ben definiti. E noi voglia- al miele. E a quanto pare gli agricoltori
ma Josef Dariz, presidente del Fondo
mo rispettarli. Sui nostri scaffali non
altoatesino di solidarietà rurale: “Quansono ben contenti di farsi coinvolgere in
troverete mai le mele di San Michele
questi “esperimenti”: “Da noi la coope- do il dramma accade vicino a casa proall’Adige, l’olio d’oliva del Garda o il pro- razione e l'innovazione vanno a braccet- pria, il senso di solidarietà è più forte”.
sciutto austriaco. Anche se per questa
to”. Tutti questi sforzi sono stati premia- Senza contare che la gente vuole sapere
coerenza ci rimettiamo in termini di
che fine facciano le proprie offerte “e
ti dai consumatori e Pur Südtirol viene
clienti e di fatturato”.
oggi citato come un modello vincente, che arrivino proprio là dove ce n’è bisoTre anni fa Wallnöfer ha aperto assie- sia dagli altoatesini che dai turisti: “La
gno”.
me a Günther Holzl, nel centralissimo
Sulla stessa lunghezza d’onda trovianostra clientela è composta per due terzi
corso Libertà di Merano, la prima botte- da altoatesini e un terzo da ospiti”.
mo Monika Thaler, coordinatrice
ga dei sapori “Pur Südtirol”. In seguito si
dell’Associazione Volontariato in Monsono aggiunti un secondo negozio a Bru- La riscossa del locale
tagna (AVM) che l’anno scorso ha mannico, un punto vendita all’ingrosso a
dato 2.145 persone a lavorare gratis nei
Lana e lo shop on line. Del gruppo fa par- Certo, l’identificazione con la propria
masi di montagna: “Nel 27% dei casi si
te anche la vinoteca Meraner Weinhaus. regione passa innanzitutto dal carrello
trattava di altoatesini, un bel numero
della spesa. Ma non solo. Pensiamo alle
“Abbiamo un catalogo di 1.700 prodotti
pensando che nel 2011 erano il 19 per
valute locali. Dopo l’introduzione
forniti da 250 aziende altoatesine. Oltre
cento”. E se da una parte ci sono »
a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 1 3
COPERTIN A : r egi on a l it À | La bontà? È qui, dietro l’angolo
C o s a s i g n i f i c a re g i o n a l e ?
S e m b r a fa c i l e de f i n i r l o . . .
La risposta è meno semplice di quanto si pensi: cosa significa veramente “regionale”, cosa si intende con questa parola?
“A differenza di “bio”, è difficile trovare una definizione
che accontenti tutti”, spiega Nicole Weik del Bundesverband der Regionalbewegung, la federazione
tedesca che promuove una mentalità regionale in
senso lato. “Secondo noi ogni produttore o iniziativa commerciale regionale dovrebbe prima di tutto
conoscere con esattezza quanto è grande la regione”.
Cosa non facile, peraltro. Riferendosi alla realtà tedesca, ad
esempio, Weik spiega che tra una regione e l’altra le situazioni
sono alquanto differenti: “Molte strutture sono scomparse ed è
quasi impossibile trovare un macello o un caseificio”. Una situazione che rende difficile stabilire dei confini regionali precisi.
A questo riguardo il Bundesverband der Regionalbewegung si è
dato una serie di criteri che prevedono, tra l’altro, che i prodotti regionali debbano essere al 100% di provenienza locale oppure essere prodotti sul posto con ingredienti locali. Ma anche la distribuzione deve limitarsi ai confini
regionali, secondo il motto: dalla regione, per la regione. Ad ogni modo, basta un’occhiata su Internet per capire quanto le definizioni di regionale siano spesso elastiche e basate su compromessi. Su un punto però sono tutti
d’accordo: il concetto di regionalità è credibile solo nel momento
in cui garantisce la massima trasparenza.
stranieri in cerca di natura, pace e genu- co: “In passato i tedeschi non passavano mai le ferie a casa loro. Adesso inveinità ad alta quota, gli altoatesini sono
ce è quasi diventato chic starsene in
invece spinti dalla voglia di rendersi utili
Germania”. Anche se una grossa mano
a casa propria: “Molti apprezzano il fatto
a questa tendenza l’hanno sicuramente
di poter fare del bene senza dover andare
data le troppe situazioni di insicurezza
lontano”, dice Thaler.
sparse sul pianeta.
A proposito di montagna: anche in
Di insicurezza parla anche Franziska
ambito turistico le destinazioni a portaSchwienbacher: “La gente ha paura di
ta di mano stanno prendendo sempre
diventare dipendente dai grandi sistepiù piede. Succede così che sempre più
mi”, afferma la coordinatrice della
altoatesini passino le vacanze in Alto
Adige. Certo, nel 2011 la quota di turi- “Winterschule Ulten”, la scuola nata 19
anni fa per valorizzare il lavoro artigianasmo interno non ha raggiunto neanche
il 2%, con 107.060 arrivi e 438.870 per- le della Val d’Ultimo. “Il primo anno – ricorda Franziska – avevamo 16 iscritti”.
nottamenti. I dati storici però dicono
che negli ultimi 5 anni il numero di tu- Nell’ottobre scorso, quando la scuola ha
risti locali è aumentato del 27%, con po- avviato un nuovo corso, sono arrivate più
di mille domande. E con il numero dei
che differenze tra la stagione estiva e
quella invernale. “Questo fenomeno – corsisti è cresciuta pure l’offerta. Nata
come struttura formativa destinata prespiega Alexandra Mair, direttrice del
valentemente alla popolazione della valreparto Destination Management di
le, nel tempo la Winterschule è diventaSMG – va a vantaggio di tutte le parti in
causa. Gli altoatesini conoscono e ap- ta un centro di salvaguardia e valorizzazione degli antichi mestieri e delle
prezzano il livello delle nostre strutture
materie prime locali. In Val d’Ultimo
turistiche, ma anche queste ultime
oggi si insegna a intrecciare cesti e lavosono molto contente di avere come
rare al tornio, tessere la lana e lavorare il
clienti dei corregionali”.
Proprio in questo periodo il gruppo
feltro, riconoscere e usare le erbe. C’è
dei Vitalpina Hotels Südtirol sta piani- anche un corso specifico dedicato alla
ficando una campagna pubblicitaria
permacultura, un sistema che studia
sui media locali destinata ai possibili
come progettare e gestire in maniera soclienti altoatesini. Come modello posi- stenibile paesaggi antropizzati. A tanta
tivo in fatto di destinazioni di vicinato, varietà d’offerta corrisponde un pubbliAlexandra Mair cita il mercato germani- co altrettanto variegato. “Qui si può tro1 4 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3
vare di tutto, dalla contadina del maso
sperduto all’architetto bolzanino, dal
sindaco alla casalinga, dal settantenne
allo studentello”. Altrettanto diverse
sono le motivazioni che spingono tutta
questa gente a salire fino a Santa Valburga. “C’è chi viene a scopi formativi, chi
pensa di imparare un secondo lavoro e
chi invece è solo interessato alle tradizioni. Quasi tutti però sono accomunati
dalla volontà di cambiare qualcosa, perché sono insoddisfatti di vivere in un
mondo segnato dalla globalizzazione”.
Riscoprire le tradizioni
A Santa Valburga gli attori principali
sono gli antichi mestieri, i materiali naturali, la cucina tradizionale e il lavoro
a maglia. E proprio ai ferri sono fatti anche i richiestissimi (e carissimi) Sarner
che lo scorso inverno spiccavano nelle
vetrine di Oberrauch Zitt. Colori eccentrici, le migliori lane: le giacche Janker
di Sarentino sono veramente tornate di
moda? “In effetti al momento – conferma Barbara Prieth, ad dell’azienda bolzanina – il Sarner è molto richiesto, e
anche i Dirndl si vendono bene”. Fatturati confortanti pure per i capi in lana e
loden, anche perché “la moda ha ormai
sdoganato gli abiti tradizionali e oggi
chi indossa un Sarner non deve per forza metterci sotto pantaloni di cuoio e
camicia ma bastano jeans e maglietta”.
Per il cliente rimane però importante
l’origine dei materiali e “soprattutto
dove il capo è stato confezionato”, conclude Prieth.
Se per la moda la tradizione può essere un optional, in architettura è un concetto basilare. “L’architettura è sempre
legata al territorio. Qui da noi – spiega
l’architetta brissinese Michaela Wolf – i
materiali tipici come il legno e la pietra,
ma anche gli elementi legati alla tradizione vengono recepiti, sviluppati o reinterpretati”. Wolf segnala anche la crescente
sensibilità dei committenti, sempre più
portati a prediligere materiali e forme
tradizionali. Ecco allora nuove costruzioni con piastrelle di maiolica, pavimenti
in legno, stufe a legna o scandole. “E chi
ha tanto spazio si permette il lusso di farsi anche una stube”, informa Wolf.
A proposito di stube. L’azienda altoatesina Intercable produce, oltre a utensili professionali, anche componenti
plastici per l’industria automobilistica
internazionale. E quando clienti e fornitori entrano nella sede di Brunico, non
vengono accolti in locali futuristici ma
in un’inusuale quanto accogliente stube in cirmolo. “Questi sono i nostri valori, le nostre tradizioni. E noi vogliamo
rispettarli”, spiega l’addetto stampa
Gerd Staffler.
focus: Megatrend Regionalità
Per tanti anni la globalizzazione ha rappresentato il nostro totem: l’integrazione
del nazionale con il continentale, il trionfo
delle metropoli sui piccoli centri. Le singole località non contavano più. Solo che,
senza più poter riconoscere origine e appartenenza, gli uomini si sono accorti di
non vivere poi così bene. Ed è allora che è
iniziata la riscossa del locale.
L’asso nella manica si chiama regionalità.
Grazie ad essa le aziende locali possono
distinguersi dalla concorrenza che opera
a livello internazionale, mettendo sul
piatto della bilancia qualità e fiducia per
convincere il consumatore all'acquisto.
Non il prezzo, però: una ditta di provincia
non potrà mai competere con colossi specializzati nella produzione di massa su
scala mondiale.
Operare su circuiti regionali crea vantaggi non solo economici ma anche ecologici. Già oggi è dimostrato che il rincaro
dell’energia primaria divora una parte dei
risparmi derivanti dall’operare in
outsourcing e offshoring. Con il petrolio
in perenne aumento, infatti, i costi di
una produzione globale diventano sempre più elevati.
d at e m i u n j e a ns
e g i rer ò i l m o nd o
Basta un semplice jeans per capire quanto sia attuale e necessario
aprire una discussione su sostenibilità e provenienza, su cicli economici trasparenti e consumatori consapevoli. “Sapevate - chiede
Christina Lechner dell’Organizzazione per un mondo solidale
(OEW) di Bressanone – che un pantalone in denim, prima di finire
sugli scaffali di una boutique altoatesina, ha viaggiato per 50.000
km? Una distanza pari a più di una volta il giro della terra”.
Un viaggio peraltro decisamente tortuoso. “Dopo essere stato
raccolto in Kazakistan, il cotone viene spedito in Turchia per la filatura e poi a Taiwan per la tessitura. In seguito la stoffa viene colorata in Tunisia con tinture polacche e spedita in Bulgaria per la rifinitura. Il jeans viene poi cucito nelle Filippine e quindi spedito in Francia
per essere lavato con la pomice. Manca ancora
l’etichetta, che viene applicata in Italia affinché
il capo, malgrado abbia fatto il giro del mondo,
possa essere definito Made in Italy”.
La storia del jeans “errante” è uno dei
punti fissi del progetto scolastico “Verwoben und verfilzt”. “Ognuno di noi ha almeno un paio
di jeans, per cui il problema riguarda tutti”, dice Christina Lechner.
Con questo progetto la OEW intende far confrontare gli studenti
con il proprio atteggiamento nei confronti della moda, “ma anche
mostrare i contesti globali e renderli consapevoli degli effetti
sull’ambiente e sull’economia”. Il progetto prevede un dibattito
conclusivo in cui si cercano delle alternative. Ma il lavoro di sensibilizzazione non si limita a bambini e ragazzi: “Quest’anno con l’iniziativa “be the change” ci rivolgiamo a tutta la società altoatesina".
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COPERTIN A : r egi on a l it À | L’intervista
Una questione di profilo. Il gastronomo
ed esperto di vini tedesco Otto Geisel parla a ruota libera di cibi sensoriali, regionalità, responsabilità sociale e menu da sfoltire.
Chi è
Otto Geisel (classe 1960) proviene da una
nota famiglia di gastronomi di Monaco
di Baviera. Ha studiato da cuoco e albergatore ed è anche intenditore di vini spesso richiesto nelle giurie. Dal 2006 al 2009
Otto Geisel è stato presidente di Slow
Food Germania, nel 2007 è stato incoronato ristoratore dell’anno da Gault&Millau e
tre anni dopo si è ritirato imprenditorialmente dal settore gastronomico e alberghiero dedicandosi all’attività di
consulente e autore di libri. È anche alla
guida dell’istituto per la cultura alimentare che ha fondato a Monaco. Geisel
ama definire l’Alto Adige la sua seconda
patria.
Otto Geisel, oltre 10 anni fa lei ha girato
le spalle alla Nouvelle Cuisine e a tutto
ciò che di esotico c’era in cucina, lasciando la porta aperta solo a prodotti e ricette locali. Per questa decisione allora lei
venne schernito, oggi invece la acclamano come visionario, come antesignano di
una moda che sta prendendo sempre più
piede. Le sue parole d’ordine sono: gusto
e responsabilità. La regionalità è l’unica
risposta a questa esigenza?
Io credo che oggi si faccia un uso eccessivo, oserei direi un abuso, del termine “sostenibilità”. Ecco perché preferisco parlare di responsabilità: nei
confronti dell’ambiente, delle generazioni future ma anche del consumatore. Il cliente dovrebbe sempre ricevere
il miglior prodotto possibile. Ma su un
prodotto alimentare che è stato preparato a più di 1.000 km di distanza, chi
ci metterebbe la mano sul fuoco? Non
si sa nulla sul produttore, sul suo
modo di lavorare e su come, per esempio allevi il bestiame. Con i prodotti
che arrivano dalle nostre parti invece il
discorso è totalmente diverso.
1 6 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3
Cosa intende per “nostre parti”? 30, 50 oppure 100 chilometri? Come si fa a capire
quando un prodotto è regionale?
I prodotti primari come carne, pesce,
verdura, frutta e pane dovrebbero sempre provenire da un bacino geografico
limitato. Ciò non toglie che in una cucina regionale consapevole possano figurare anche alimenti come sale marino,
pepe e olio d’oliva che è praticamente
impossibile trovare di produzione locale. E tra l’altro non ho nulla in contrario se ogni tanto si mette un pizzico di
tartufo in qualche piatto. Non esistono
regole, si tratta di un processo che
ognuno deve vivere e scoprire innanzitutto per sé stesso. Perché faccio questo mestiere? Come vorrei che mi vedessero i miei clienti? E come faccio a
distinguermi dalla concorrenza del resto del mondo, in Canada piuttosto
che a Maiorca? In fin dei conti per andare da Düsseldorf o Berlino in Alto
Adige, oggi ci metto lo stesso tempo
che per raggiungere le Baleari.
Al “St. Hubertus” di San Cassiano in Badia,
attualmente il ristorante altoatesino più
apprezzato dalle guide gastronomiche,
nel menu mancano i gamberoni siciliani e
il foie gras francese, in compenso ci sono
piatti a base di fegato di vitello e di pollo.
Ma un ristorante con due stelle Michelin,
può permettersi di essere così attaccato
al territorio?
Devo dire che già da tempo mi chiedevo quando Norbert Niederkofler avrebbe preso questa decisione. Ovvio, è stato un passo coraggioso, ma era anche
logico che fosse così. Un ristorante
così ambizioso deve avere un profilo
ben definito, e non può certo darselo
portando in tavola l’agnello della Nuova Zelanda o la carne di manzo delle
Highlands scozzesi. Se vogliamo che la
nostra lista delle vivande diventi il biglietto da visita del ristorante, allora
dobbiamo eliminare tutte quelle cose
che si trovano dappertutto.
Quindi basta cappesante e avanti con il
salmerino?
Esattamente. In Alto Adige ad esempio
avete quella carne eccezionale chiamata LaugenRind (vedere articolo a pag. 18,
ndr), che però pochi conoscono malgrado i bovini di razza Grigio Alpina siano
tipici per la vostra regione. Io ho provato questo prodotto a Merano e alla fine
del pranzo me ne sono portato un pezzo
a Monaco, per farlo assaggiare a Eckart
Witzigmann: beh, era letteralmente
estasiato.
Lei afferma che dietro i prodotti locali c’è
sempre una storia. Ma quanta opera di comunicazione bisogna fare, quante storie
bisogna raccontare, affinché il cliente capisca e accetti questa nuova semplicità?
Guardi, chi ci sa fare in cucina riesce a
creare un piatto intrigante anche partendo da una semplice verdura invernale dal gusto amarognolo e non ha sicuramente bisogno di grandi spiegazioni.
Il discorso cambia nella gastronomia
bene. L’ambizione di questo corso è di
divulgare il più possibile la conoscenza
e la consapevolezza dei prodotti e delle
pietanze locali. La gente vuole identificarsi, e i prodotti della propria terra
sono un mezzo ideale.
“Ognuno dovrebbe chiedersi
come gli piacerebbe essere
visto dai propri clienti”
alberghiera classica. Per un albergatore
diventa alquanto complicato spiegare
all’ospite come mai d’inverno, nel buffet di verdure, all’improvviso vengono a
mancare la rucola e i pomodori che
però si possono tranquillamente trovare in tutti i supermercati. È qui che entra in gioco l’abilità del personale. Ed è
qui che l’alta gastronomia può giocare
un ruolo importante, lanciando messaggi e impulsi ben precisi.
Chi dovesse seguire pedissequamente
le sue idee, dovrebbe però rinunciare a
quel tocco di esoticità culinaria al quale
il consumatore è ormai abituato.
Cos’è che rende particolare una baita
alpina? Quei quattro piatti fatti bene e
con ingredienti semplici. Perché non
potrebbe succedere lo stesso in un ristorante? Io non credo che oggi chi si
siede al tavolo di un ristorante abbia
voglia di leggersi un menu chilometrico, e non penso neanche che abbia bisogno di una carta dei vini infinita.
Cosa me ne faccio, io cliente, di 300 tra
pietanze e bevande, che mi fanno solo
perdere un quarto d’ora per scegliere
mentre i miei commensali si annoiano?
Chi oggi oltre a essere responsabile
vuole anche guardare agli affari, non
ha altra scelta.
La regionalità insomma non è solo una
questione di gusti e di etica?
Un circuito alimentare regionale, che
va dalla produzione alla vendita, è assolutamente sensato e sostenibile anche dal punto di vista economico.
Lei ha avviato un corso accademico di
studi denominato “Food Management e
Culinaria” presso la Scuola superiore
duale del Baden Württemberg. Chi sono
gli studenti?
Esperti di ristorazione, macellai, mastri
birrai, agronomi, panificatori. Ma il corso è pensato anche per i responsabili
degli acquisti di grandi catene commerciali: a queste persone farebbe solo
Da anni lei si batte per una maggiore qualità nella cosiddetta ristorazione collettiva. Al momento però – perlomeno in Italia – si sta risparmiando proprio nel settore delle mense. Le sue idee sono quindi
incompatibili con la crisi finanziaria?
Nel settore della ristorazione collettiva è
sempre possibile operare in maniera sostenibile, senza che ciò comporti un aggravio delle spese. L’importante è che si
riesca a creare un circolo virtuoso tra
agricoltori, professionisti della ristorazione e gestori delle strutture.
Torniamo alla responsabilità. Come la mettiamo con lo speck dell’Alto Adige, che
come sappiamo non è fatto con maiali altoatesini ma con suini provenienti da allevamenti olandesi?
Innanzitutto bisogna dire che negli ultimi anni la produzione di speck si è sviluppata parecchio, e in senso positivo.
A questo aggiungo che ci sono casi, e
penso in primis al cosiddetto speck del
contadino, in cui viene utilizzata esclusivamente carne locale.
D’altronde siamo tutti coscienti che
sarebbe impossibile allevare in Alto
Adige tutti i maiali necessari per la
produzione di speck. Ciò non toglie
che in futuro non si possa trovare una
soluzione alla questione, come è successo ad esempio in Germania con il
maiale da ghianda, che viene allevato
nei boschi. Anche in Giappone al momento la carne di suino locale è molto
richiesta. A Tokio ci sono parecchi
grandi ristoranti che ne hanno fatto
una specialità, e dove viene spiegato al
cliente persino a quale sorgente l’animale si è abbeverato. Ecco, sono proprio queste le storie sui prodotti che la
gente ama ascoltare.
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COPERTIN A : r egi on a l it À | Il ciclo virtuoso
Non chiamatelo
solo vitello
Dai masi sperduti nelle pentole di un grande ristorante
meranese: il progetto LaugenRind è la prova provata
che la collaborazione tra agricoltura, commercio e alta
gastronomia può funzionare. Eccome.
C
I bovini del progetto LaugenRind sono prevalentemente di razza Grigio Alpina
on appena 120 capi macellati “I nostri vitellini sono nutriti solo con lat- di permanenza in malga. “Tutto questo
l’anno, la carne a marchio
te materno, e durante la crescita non in- – commenta Ungerer – ha ovviamente un
LaugenRind (il nome deriva
geriranno mai additivi chimici, foraggi
costo. Solo per il latte destinato ai vitellidall’omonima montagna che
sintetici, farine animali o antibiotici. ni bisogna calcolare tra i 500 e i 600
si trova tra l’Alta Val di Non e la Val d’Ul- Bandita ovviamente anche l’ingegneria
euro”. Ma nonostante tutto i conti tornatimo) rappresenta una nicchia nella nic- genetica”. Il progetto obbliga poi gli alle- no: “Per la carne LaugenRind i contadini
chia nella produzione di carne in Alto
vatori a garantire al bestiame sufficienti
ricevono in media il 20-30% in più rispetAdige. E tuttavia il progetto può essere
spazi aperti e in estate almeno un mese
to al prezzo della carne normale”.
senz’altro considerato vincente.
“Quando nel 2004 siamo partiti – spiega il project manager Hubert Ungerer – in
L a u g en R i nd
Alto Adige non esisteva nulla di simile”.
L’idea di fondo di questo progetto comuProgetto: il progetto LaugenRind è nato nel 2004 come programma comunitario Leader.
nitario Leader era di assicurare, tramite
l’allevamento all’ingrasso, un’ulteriore
Animali: “LaugenRind” non è una razza ma un marchio. Il nome deriva dal Monte Luco (in
fonte di reddito agli agricoltori dell’Alta
tedesco Laugen). I capi sono prevalentemente di razza Grigio Alpina.
Val di Non, della Val d’Ultimo e della Val
Venosta. E già dall’inizio gli obiettivi sono
Aziende affiliate: al progetto partecipano 55 aziende agricole di montagna site in Alta Val
stati ambiziosi. “Rispetto dell’ambiente
di Non, Val d’Ultimo e Val Venosta.
e degli animali, trasporti brevi e gusto genuino: questi erano e sono ancora oggi i
Produzione: ogni anno vengono abbattuti da 120 a 150 manzi e vitelli. Il peso del bovino
nostri dogmi”, sottolinea Ungerer.
al momento della macellazione varia da 270 a 320 chili.
Criteri che diventano molto severi
quando riguardano le condizioni di vita
Commercializzazione: il 70% della produzione viene venduto come carne fresca in mae l’alimentazione dell’animale, perché
celleria, il rimanente 30% viene lavorato per una linea di prodotti gourmet comprendente
per diventare carne LaugenRind non bagulasch, ragù e würstel.
sta essere un bovino, prevalentemente
di razza Grigio Alpina, allevato in uno dei
55 masi coinvolti nel progetto.
1 8 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3
“Rispetto dell'ambiente e degli
animali, trasporti brevi e gusto
genuino: ecco i nostri dogmi”
Lavorazione e vendita
Per rendere il progetto più redditizio,
quattro anni fa si è cominciato a pensare ad altre soluzioni di vendita oltre alla
carne fresca. È così nata una linea di
prodotti gourmet creata dal macellaio e
gastronomo Karl Telfser. Presso la ditta
Gruber & Telfser, a Prato Stelvio, gli animali macellati provenienti dalle aziende agricole LaugenRind vengono sezionati e in parte venduti come carne fresca. “Poi forniamo alcune macellerie
selezionate e vari ristoranti della zona”,
informa Telfser, che aggiunge: “Il pro-
blema è che non tutti i cuochi sono disposti a utilizzare anche le parti meno
nobili”. Problema risolto in maniera
geniale da Telfser, che con queste carni
ci prepara gulasch, ragù e würstel che
poi vende nel suo negozio di specialità
di Merano o utilizza per il suo servizio
di catering. Va da sé che anche per i prodotti lavorati i criteri di produzione
sono rigidi: “Usiamo solo ingredienti
naturali e rinunciamo a qualsiasi additivo”. Confezionati in maniera ammiccante, i prodotti gourmet sono venduti
in tutto l’Alto Adige e persino esportati
in Germania.
Un gusto autentico
Due grandi amanti della carne LaugenRind:
Luis Haller (a sin.) e Karl Telfser
A proposito di cuochi che del LaugenRind non apprezzano solo il filetto e il
roastbeef, ma riescono a confezionare
fantastiche pietanze anche con guance e
punta d’anca, eccone uno: Luis Haller, il
talentuoso chef dell’Hotel Fragsburg di
Merano che dal 2010 si fregia di una stella Michelin. “Essendo cresciuto in un
maso di montagna, ho un grande rispet-
to nei confronti degli
animali”, dice Haller, che
per quanto riguarda l’utilizzo di prodotti locali non si limita alla carne. Latte
e formaggi infatti arrivano dalle coltivazioni biologiche di Monte Sole, i pesci
d’acqua dolce dai laghi nostrani, frutta e
verdura dai masi vicini e le erbe dal proprio giardino. Oltre alla ricerca di ingredienti freschi, Luis Haller cura molto
anche la lavorazione dei prodotti. Ecco
ad esempio che la spalla di vitello LaugenRind rimane a brasare nel suo forno
per ben 48 ore a 64 gradi, “tanto che a
tavola non c’è neanche bisogno del coltello, da quanto è morbida”, sorride.
Lo chef meranese peraltro non è il
solo a ritenere fondamentale la zona di
provenienza di carne e formaggi, frutta
e verdura: “Anche ai miei clienti fa piacere sapere che cosa ho messo loro nel
piatto”. E per aiutare la clientela internazionale di Castel Fragsburg a capire
meglio di cosa sta parlando, Haller invita i suoi commensali a fare un sopralluogo in Alta Val di Non o in Val d’Ultimo, a vedere con i propri occhi come
vivono le bestie, dove pascolano e
come vengono nutrite: “E poi tornano
(MDP)
da me entusiasti”.
a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 1 9
COPERTIN A : r egi on a l it À | Concetto vincente
Qualità per tutte le tasche. In meno di sei anni “Eataly” è riuscita a
diventare una splendida realtà internazionale. Nei 23 punti vendita della catena è possibile acquistare
(e mangiare sul posto) il meglio della cultura alimentare italiana.
La qualità non deve essere privilegio di pochi, ma deve essere accessibile
alla grande massa: con questo ambizioso obiettivo Oscar Farinetti inaugurava
nel 2007 il suo primo negozio “Eataly” a
Torino. Una struttura di 11.000 metri
quadri in cui il carismatico imprenditore piemontese è riuscito a mettere insieme per la prima volta il meglio della
tradizione alimentare italiana: specialità regionali e prodotti di qualità certificata ma anche frutta e verdura fresche,
carne e pane, formaggi e pasta. Per ben
cinque anni Farinetti, potendo contare
anche sulla consulenza strategica di
Slow Food, aveva lavorato alla filosofia
che sta alla base di “Eataly”: distribuire
solo il meglio della gastronomia italiana e per giunta a prezzi alla portata di
tutte le tasche.
Fin dall’inizio quindi sono stati presi
contatti diretti con i produttori, alcuni
dei quali sono anche entrati nell’azienda come soci. Farinetti però non voleva
Nei punti vendita “Eataly” è anche possibile mangiare
limitarsi alla vendita di prodotti, ed ecco
allora che in un negozio “Eataly” è possibile mangiare piatti d’autore, consumare uno spuntino e bere un caffè. La
formula si è rivelata subito vincente e in
meno di sei anni sono spuntati altri 22
punti vendita sparsi per il mondo: sei in
Piemonte, undici a Tokio e uno ciascuno a Milano, Bologna, Genova, New York
e Roma.
E proprio nella città eterna si trova
il mercato dei sapori più grande di tutto
il gruppo, aperto nel 2012 nei locali che
ospitavano la vecchia stazione di Roma
Ostiense: 20.000 metri quadri di superficie, 4 piani e oltre 14.000 prodotti alimentari di alta qualità, comprese parecchie specialità regionali. Nello shop
capitolino anche l’Alto Adige fa la sua
bella figura con un vasto assortimento
di vini, speck, miele ed altri prodotti
tipici. Oltre al mercato ci sono ristoranti e bar di ogni tipo, fornai, macellai e
cuochi che lavorano a vista, laboratori,
aule per corsi e quant’altro. Tutto questo perché Oscar Farinetti non si limita
a celebrare la grande cultura italiana
del cibo, ma vuole anche diffonderla
organizzando regolarmente corsi di cucina, degustazioni e incontri con chef
di fama internazionale. A completamento del circolo virtuoso, un programma di iniziative è dedicato ai bambini e alle scuole.
Farinetti è universalmente considerato un visionario: la stampa lo esalta,
la politica lo lusinga. D’altronde il figlio
di un partigiano di Alba aveva già dimostrato di saperci fare nella sua precedente vita lavorativa. Fino al 2004 il
59enne ha infatti guidato la grande catena di negozi di elettrodomestici a
marchio Unieuro: “Gestivo 3.000 dipendenti e un fatturato di un miliardo
di euro”, snocciola Farinetti. Malgrado
gli affari andassero a gonfie vele, Oscar
decise di vendere tutto ed andare incontro ad una nuova avventura assieme
L’idea vincente: un posto dove si può acquistare, mangiare e imparare
ai suoi tre figli. Il passaggio da lavatrici
e aspirapolveri agli alimentari era peraltro scritto nel suo destino: “Mio padre era un produttore di pasta, mio
nonno un mugnaio, io stesso sono cresciuto in mezzo ai sacchi di grano. E
come recita il detto: il primo amore non
si scorda mai”.
Nel 2011 il fatturato di “Eataly” si è
attestato sui 220 milioni di euro, destinati – secondo le rosee previsioni del
gruppo – a diventare 300 alla fine del
2013 e 500 entro il 2016. In prospettiva
c’è anche l’apertura di tredici nuove filiali in Italia, Giappone, Gran Bretagna
e nelle due Americhe.
E la famigerata crisi? Oscar Farinetti
non la teme, così come non ha paura di
esprimere sempre e comunque la propria opinione, anche se può essere fonte
di discussione. “Per gli alimenti di uso
quotidiano come frutta e verdura, pane
e latte, è giusto che i cicli siano ridotti”.
Ciò non significa però sposare in pieno
la causa del km zero: “Le merci devono
essere libere di circolare, perché assieme alle merci girano anche le idee. E
poi, se un giorno mi viene voglia di
mangiare dell'ottimo prosciutto spagnolo, devo poterlo trovare vicino a casa
e soprattutto gustarmelo senza sentir(MDP)
mi in colpa”.
l a g r a nde q u a l i t à
m a de i n i ta ly
Era il 2007 quando Oscar Farinetti
ha aperto a Torino il primo mercato
dei sapori "Eataly". La sua ambizione:
mettere insieme in un unico negozio
il meglio della tradizione alimentare
italiana e soprattutto renderla accessibile al grande pubblico. Oggi il gruppo "Eataly" comprende 23 punti vendita, fra cui due a Torino e uno a Milano, Bologna e Roma.
Eataly Torino
via Nizza, 230/14
Tel. +39 011 19506801
www.eataly.it
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COPERTIN A : r eg i on a l it À
Uno sguardo oltre i confini
Regione chiama
mondo: ecco cosa
fanno gli altri
2
1 Gusto e tradizione
Prelibatezze toscane
Sono originari della provincia di Prato, ma li
conoscono (e li divorano) in tutto il pianeta:
sono i cantuccini, che mettono d’accordo i
palati di ogni latitudine. E gli intenditori
sanno anche come devono essere mangiati
questi deliziosi biscotti toscani fatti con
mandorle, farina, zucchero e spezie varie:
inzuppati nel Vin Santo. Per renderli più teneri e farli durare più a lungo, i cantuccini
vengono cotti due volte, dapprima in filoncini e quindi a fette.
Morale: le cose buone si fanno apprezzare in
tutto il mondo.
1
2 2 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3
2 Regionale al 100%
Il re degli aceti è italiano
È uno dei condimenti più nobili e più costosi
del mondo: stiamo parlando dell’Aceto
Balsamico Tradizionale, da non confondere
con l’Aceto Balsamico di Modena o con il
Balsamico bianco. Mentre gli ultimi due
sono prodotti industriali di massa, che rispetto al vero Balsamico sono come il fast
food in confronto all’alta gastronomia, il
Balsamico tradizionale è un capolavoro di
maestria artigianale. Questo aceto nasce
dal mosto di uve bianche selezionate da
vendemmie tardive, raccolte esclusivamente nelle province di Modena o Reggio Emilia
e sottoposte ad un lungo e accurato processo di lavorazione e maturazione.
Tutto questo è previsto dal documento comunitario che nel 2009 ha inserito l’Aceto
Balsamico Tradizionale nella lista degli alimenti IGP. In origine questo particolare “elisir” veniva usato come farmaco, come peraltro indica anche l’aggettivo “balsamico”.
Oggi i gourmet di tutto il mondo vanno pazzi per le pregiate gocce di Balsamico, usate
per dare un particolare tocco di salato o di
dolce in cucina.
Morale: per fare un buon aceto ci vuole tempo
ed esperienza.
4
3 L’alternativa all’euro
E io pago in Regiogeld
Vi trovate in vacanza in Germania, Austria,
Grecia, Ungheria o Svizzera? Bene, allora in
teoria potreste pagare il vostro albergo con
del sonante "Regiogeld". In tutte queste nazioni infatti circolano delle valute locali alternative all’euro, che in determinate regioni possono essere utilizzate come forma di
pagamento.
Obiettivo della moneta parallela: ridare slancio all’economia regionale e lasciare in loco
il plusvalore. Il quadro di riferimento del Regiogeld è di norma l’euro, il giro d’affari è comunque alquanto basso. In Germania esistono circa 50 valute regionali; la più importante è il "Chiemgauer" con una tiratura media
annuale di oltre 550.000 CH (Chiemgauer).
Questa moneta bavarese ha persino simulato una falsa inflazione, per dimostrare come
questa seconda valuta sia immune dalle crisi
economiche e sia effettivamente in grado di
favorire l’economia locale.
In Austria le monete regionali sono una
mezza dozzina, tra cui quella del Waldviertel. Ovviamente in tutti questi posti si può
tranquillamente pagare in euro...
Morale: la voglia di regionalità non lascia in
pace neanche la moneta unica.
4 5
Cultura viva
La Giornata tedesca delle Regioni
In Germania la “Giornata delle Regioni” è
nata nel 1999 con lo scopo di rafforzare il
senso di appartenenza, mantenere viva la
cultura regionale, far incontrare gli attori
locali e creare reti. L’iniziativa, che interessa ogni anno tutti i Länder tedeschi, è diventata nel tempo un'importante vetrina
per prodotti e servizi regionali ma anche
per l’impegno locale; gli eventi vanno dalla
festa del ringraziamento al mercato d’autunno passando per svariate proposte ambientaliste. L’iniziativa ha già trovato degli
imitatori fuori Germania, come ad esempio
il Dag van de Regio in Olanda e il Day of the
Region in Scozia.
Morale: i momenti di festa uniscono sempre.
Anche le regioni.
5 Regionalità autentica
Le erbe speciali del maso
Tisane e altre specialità a base di erbe di
qualità bio, coltivate con amore e responsabilità e confezionate a mano: ecco i prodotti
dell’azienda biologica Sonnentor, con sede
nella regione austriaca del Waldviertel.
"Vivi e lascia vivere, modello circolare e rispetto”: ecco i criteri che ispirano il fondatore
della Sonnentor Johannes Gutmann, in passato venditore di birra e guida turistica. La sua
idea di base è la salvaguardia delle piccole
aziende agricole e la vendita dei loro prodotti
anche fuori regione e all’estero. Oggi l’azienda con sede a Sprögnitz/Zwettl conta 250
collaboratori sparsi per il mondo e filiali in
Repubblica Ceca, Albania e Romania.
Morale: puntare sul regionale può rivelarsi un
ottimo affare.
(BK)
3
a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 2 3
COPERTIN A : r egi on a l ità | Marchi
Dall'Alto Adige, per l'Alto Adige (ma non solo)
Quando in Alto Adige si parla di regionalità, il pensiero corre
subito alle tante specialità preparate da aziende altoatesine
secondo le ricette tradizionali o avvalendosi di ingredienti locali. E capita sempre più di frequente che questi prodotti vengano identificati con un particolare marchio o sigillo. Alcuni
di questi marchi fanno riferimento a normative europee, altri
derivano da leggi nazionali e molti sono stati creati dagli stessi produttori, per attestare ai consumatori la bontà e soprattutto l’origine dei loro prodotti. Ecco una panoramica sui marchi
locali e su quelli più diffusi.
Marchio di qualità Alto Adige
Margarete
Il marchio di qualità Alto Adige certifica la provenienza e la qualità di svariati prodotti agroalimentari locali. Ecco gli alimenti che si possono fregiare
del marchio: latte e latticini, pane, strudel di mele
e Zelten, verdura, piccoli frutti e ciliegie, miele,
grappa, succo di mela, fette di mela fresca e frutta
secca, piante ed erbe aromatiche e carne bovina.
Su 10 ettari del territorio comunale di Terlano, 15
aziende agricole producono ogni anno 60.000 chili di asparagi. Il marchio di tutela “Margarete” garantisce l’origine degli asparagi di Terlano e stabilisce le corrette modalità di coltivazione, raccolta e
commercializzazione. www.terlaner-spargel.com
Gallo Rosso
Wipplamb
In Alto Adige il sigillo “Gallo Rosso” viene attribuito non solo agli agriturismi e alle tradizionali
osterie contadine, ma anche a più di 500 prodotti
di qualità provenienti da 52 aziende agricole.
www.gallorosso.it
Wipplamb Alto Adige è un’associazione che riunisce 16 piccole aziende agricole dell’Alta Val d’Isarco specializzate nell’allevamento di ovini. Gli allevatori si sono dati dei criteri molto rigidi in materia di allevamento, alimentazione, trasporto e
macellazione degli animali. La carne viene consegnata fresca alla gastronomia locale e alla clientela privata. Ogni anno vengono abbattuti 500 capi
tra agnelli e pecore. www.wipplamb.com
BIO*BEEF
Il consorzio “BIO*BEEF dal maso sudtirolese” commercializza carne fresca di bovino giovane, già porzionata e confezionata, che viene consegnata a domicilio. Il progetto coinvolge 17 contadini tra Aldino
e Dobbiaco, che lavorano e coltivano secondo il metodo dell’agricoltura biologica. Ogni anno vengono
macellati un centinaio di vitelli. www.biobeef.it
Sarner Fleisch
Il marchio “Sarner Fleisch – La bontà dai monti”
identifica la carne di manzo, bue e vitello proveniente dalla Val Sarentino. I 37 contadini di montagna aderenti al consorzio nutrono le bestie (di razza Grigio Alpina, Simmental e Highland scozzese
purosangue) senza fare uso di insilati o mangimi
OGM; la carne viene venduta solamente in tre macellerie dell’Alto Adige. www.sarnerfleisch.com
DOC, DOCG
Nell’ambito del progetto ESF “Regiograno” è stata
creata una rete tra coltivatori di cereali, aziende di
trasformazione e panificatori. Nel 2012 i 40 agricoltori delle valli Venosta, Isarco e Pusteria coinvolti
nel progetto hanno raccolto complessivamente
268 tonnellate di segale e 40 tonnellate di farro. Il
Regiograno è stato quindi lavorato dal Molino Merano per essere infine trasformato da 44 panettieri
in specialità tipiche altoatesine.
LaugenRind
Il progetto “LaugenRind” è nato nel 2004 come
programma Leader dell’Unione Europea con la
partecipazione di 55 allevatori dell’Alta Val di Non,
della Val d’Ultimo e della Val Venosta. Ogni anno
vengono abbattuti da 120 a 150 bovini; il 70% della
carne viene venduta fresca in macelleria, il rimanente 30% viene lavorato e venduto come prodotto
gastronomico di alta qualità. www.laugenrind.com
2 4 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3
DOC, DOCG
IGP e DOP
IGP e DOP
Il marchio europeo IGP (Indicazione Geografica
Protetta) certifica la stretta relazione tra un prodotto agricolo o alimentare e la sua zona di origine. Per ottenere l’IGP almeno una fase del processo produttivo deve avvenire in quella zona,
mentre la materia prima può provenire da un’altra area.
Il marchio europeo DOP (Denominazione di
Origine Protetta) certifica che la produzione, la
trasformazione e l’elaborazione di un prodotto
avvengono in una area geografica delimitata secondo un preciso disciplinare.
Fonte: ISTAT – Elaborazione IRE / Infografica: succus. Comunicazione
Regiograno
Il marchio DOC (Denominazione di origine controllata) è stato introdotto in Italia negli anni Settanta del secolo scorso. In Alto Adige ogni anno si
producono mediamente 330.000 ettolitri di vino,
il 90% dei quali si fregia dell’appellativo DOC. A
questo si aggiunge anche il marchio DOCG (denominazione di origine controllata e garantita),
destinato a vini meritevoli di particolare tutela.
La scritta viene apposta sulla fascetta che avvolge il tappo della bottiglia.
COPE RTIN A: reg iona lità | L’opinione
Re | gio | na | le, relativo ad una determinata regione, alla quale appartiene e di cui rappresenta una caratteristica
I gerani? Sono africani
Sergio Camin si chiede meravigliato come mai un termine così diffuso come “regionalità”
non sia ancora entrato nei dizionari. E fa una sensazionale scoperta, che nessuno si sarebbe
mai aspettato e che mette in discussione una delle “icone” dell’Alto Adige.
L
a crisi in un mondo/mercato globalizzato ha indubbiamente accelerato i bisogni di differenziazione, imponendo processi di affermazione di
unicità/“regionalità”, intesa come nuovo plus di
prodotto. “Regionale” è ormai sinonimo di originale, conveniente, sano e di qualità. Fortunate o previdenti le
realtà, come l’Alto Adige, che da tempo lavorano in questa direzione. “Regionalità” è un neologismo ormai
entrato nell’uso corrente, che, nonostante
lo si possa leggere ormai ovunque e venga
usato un po’ per tutto, dalla ristorazione
all’archi-tettura, dai polli all’agricoltura
a pieno campo, non appare ancora in
nessun dizionario della lingua italiana.
Sul dizionario troviamo invece “provincialità”: Arretratezza associata a ingenuità e
talora a piccineria e goffaggine ( G. DEVOTO- G.C. OLI). Immagino sia per questa
ragione, a dimostrazione che a volte le
parole contano più delle cose, che in
Alto Adige, dopo aver lavorato anni faticosi per eliminare la Regione o almeno
per svuotarla di significato, ci troviamo
costretti a ritirarla in ballo, sia pur scrivendola con la minuscola. “Regionalità”
è ormai un plus, che vale per le uova, per
le verdure, per l’offerta turistica e complessivamente per l’immagine complessiva di un territorio e così scopriamo che
anche la Provincia Autonoma di Bolzano è
costretta ad avere la sua bella “regionalità”,
fatta di un’offerta specifica, di una forte identità e di un’immagine ormai codificata nell’immaginario collettivo. Per farla reggere a volte basta poco, l’importante è ricordarsi di far
lavorare gli immigrati di colore solo in cucina e ai tavoli russe
e moldave con un Dirndl, che spesso sono bionde e la cosa aiuta. L’immagine “regionale” è importante ma bisogna stare
attenti.
Capita a volte di fare scoperte inaspettate anche sulle
cose apparentemente più semplici ma solo parzialmente
note. Una cosa del genere mi è capitata recentemente sfogliando un libro di giardinaggio. Ho scoperto che la regione di
provenienza del geranio (Pelargonium) è quella del Capo di
Buona Speranza, dove è chiamato Geranium triste e che è
stato importato in Europa nel 1700. Hai capito? Questa pianta, che, in tutte le sue diverse varietà, gioca a far da chioma
alla maggioranza dei lignei balconi altoatesini, viene
dall’Africa! Non da qui, non da Innsbruck e
nemmeno da Rovigo (giù acqua e su rovigotti) ma addirittura dall’Africa!
Confesso che non l’avrei mai pensato.
Per me ma immagino un po’ per tutti, il
geranio è sempre stato uno dei simboli di
questa terra, una delle icone altoatesine
dell’immaginario collettivo. L’aver scoperto la sua origine africana, mi costringe
adesso a rivedere completamente tutto su
di lui: certamente è ancora un simbolo ma
un simbolo fortissimo di bella contaminazione, di convivenza partecipata, di integrazione. Il rapporto dei suoi fiori a palla e delle sue foglie vellutate con le tavole
di abete rosso e di larice è ormai canonico
e obbligato. Non ho mai visto litigare un
geranio con un tetto a due falde. Non mi
risultano casi di scontro tra un Erker e un
geranio. Anzi molto spesso sono proprio i
gerani a nascondere almeno in parte le
vaccate, che noi umani riusciamo a costruire. Guardate che non è una scoperta da
poco, i simboli non sono giochetti. Sarebbe
come scoprire che il Catinaccio viene dal Pakistan o che Andreas Hofer aveva origini peruviane. Comunque il nostro fiore
africano non solo si è integrato ma è riuscito a diventare qui un
simbolo principe. Pensiamoci su quando perdiamo tempo a
litigare anche sui nomi dei vicoli.
Sergio Camin, 62 anni, autore e pubblicista.
Dal 1988 cura l'apprezzata rubrica satirica “Visti dal basso" sul quotidiano in lingua italiana "Alto Adige".
a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 2 5
Ma rke ti n g
Global Player di periferia. Portano un nome famoso, il loro raggio
d’azione abbraccia il mondo intero, eppure le loro sedi si trovano ad Appiano, Brunico, Bolzano. Perché
grandi aziende come Miele, GKN o Spartherm rimangono fedeli all’Alto Adige? Cerchiamo di scoprirlo.
APPIANO SULLA STRADA DEL VINO è un
agglomerato di frazioni che assieme
non arrivano neanche a 15.000 abitanti,
con tanti vigneti e un vivace movimento
turistico. E sono proprio gli ospiti i primi a stupirsi di trovare qui il quartier
generale di Miele Italia. La rinomata
fabbrica tedesca di elettrodomestici e
di macchine industriali è sbarcata in
Alto Adige nel 1961, a Bolzano, per poi
trasferirsi ad Appiano nel 1983. Nel paesino dell’Oltradige lavorano 144 dipendenti che assistono clienti e partner
commerciali in tutto lo Stivale, con un
fatturato annuo (dati 2011) di 91 milioni di euro.
“La ragione principale che ha spinto
Miele in Alto Adige è stata senz’altro la
lingua, che permette a collaboratori e
consulenti della filiale italiana di dialogare senza problemi con la casa madre
tedesca. Ma anche la mentalità affine e il
senso del dovere degli altoatesini hanno
avuto il loro peso nella scelta”, spiega
Alexander Comploj, direttore amministrativo di Miele Italia. Una serie di vantaggi che ancora oggi, nel 2013, sono
preziosi, ed ai quali bisogna aggiungere
una pubblica amministrazione tutto
sommato funzionante, se non altro rispetto al resto d’Italia. E non finisce qui:
per Comploj il fatto che l’Alto Adige sia
una regione a vocazione turistica è un
ulteriore punto a favore, “perché i nostri
partner commerciali italiani sono contenti quando li invitiamo qui”.
2 6 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3
Anche per Paul Mairl, direttore di stabilimento della GKN Driveline di Brunico,
divisione automotive, le bellezze paesaggistiche e la qualità di vita dell’Alto
Adige sono fattori di benessere importanti per la vita lavorativa. L’azienda pusterese fa capo al gruppo GKN Driveline,
leader mondiale nella fornitura di soluzioni e sistemi di trasmissione per l’industria automobilistica con 22.000 dipendenti e 57 stabilimenti distribuiti in
23 nazioni. “Credo che esistano pochi
posti dove è possibile lavorare in un ambiente simile al nostro. Spesso noi altoatesini non ci rendiamo neanche conto
di quanto siamo fortunati a lavorare qui,
eppure basterebbe dare un’occhiata
alle altre sedi del gruppo GKN”.
I dipendenti ideali
Mairl e Comploj condividono anche il
giudizio positivo sui lavoratori altoatesini: “Possiedono flessibilità, impegno
e tenacia nell’affrontare e risolvere i
problemi, tutte qualità molto richieste
soprattutto nel settore dell’automotive”, dice Mairl. Qualità che risultano
molto diffuse tra i lavoratori altoatesini
e, assieme al bilinguismo, rappresentano i motivi principali della presenza di
GKN a Brunico.
Bisogna peraltro dire che quando la
multinazionale britannica decise di insediarsi in Val Pusteria, nei primi anni
Sessanta, la valle era carente di struttu-
re e non era per nulla facile trovare manodopera qualificata. All’epoca perciò
uno dei motivi del trasferimento in Alto
Adige fu la necessità di essere vicini al
mercato e ai clienti: “La nostra produzione era destinata alla Fiat e alle aziende agricole della pianura padana”, racconta Mairl. Ed un ulteriore punto a favore della location pusterese furono le
agevolazioni fiscali: “In quegli anni il
governo italiano promuoveva il trasferimento di forza lavoro dal sud al nord,
incentivando la creazione di posti di lavoro al settentrione. E così fu varata una
legge che garantiva 12 anni di sgravi fiscali alle industrie site sopra gli 800 metri di altitudine”.
Quest’anno la sede di Brunico della
GKN festeggia mezzo secolo di vita e
può vantarsi di avere, assieme alla consorella Sinter Metals, oltre 1.100 dipendenti con un fatturato annuo di 250 milioni di euro.
Anche i tedeschi della Spartherm
apprezzano l’alto grado di professionalità dell’Alto Adige. L’azienda di Melle è
tra i più grandi produttori europei di
inserti per caminetti e stufe, e nel 2012
ha deciso di investire su Arcadia, ditta
bolzanina che produce e vende all’ingrosso stufe in maiolica. “Per noi l’Alto
Adige è una location molto interessante, poiché qui possiamo contare, come
in nessun’altra parte d’Italia, su artigiani fumisti specializzati. E proprio i fumisti rappresentano per noi i partner
ARCADIA FIRE COMPANY
Dall'ingresso della tedesca Spartherm nell'azienda bolzanina
Arcadia è nata la ditta Arcadia Fire Company.
Spartherm
Fondazione: 1986
Sede centrale: Melle, Germania
Sede in Alto Adige: Bolzano (come Arcadia Fire Company assieme ad Arcadia Bolzano)
Settore: inserti per caminetti, stufe e cassette
www.spartherm.com
Fondazione: 9 luglio 1900; le prime attività però risalgono al 1759.
Il nome GKN è stato adottato nel 1902.
Sede centrale: GKN Group headquarters: Worcestershire,
Gran Bretagna
Sede in Alto Adige: Brunico
Settore:
GKN Driveline: automotive, alberi di trasmissione con giunti
omocinetici per autovetture, differenziali autobloccanti e frizioni Visco
GKN Powder Metallurgy: sinterizzazione (metallurgia delle
polveri) per la produzione di oggetti vari
GKN Aerospace: forniture per l'industria aerospaziale, principalmente per BAE Systems, EADS e Airbus, produzione della fusoliera per l'Honda HA-420 HondaJet
GKN Land Systems: fornitura di macchine agricole, produzione
di soluzioni specifiche per l'agricoltura come alberi di trasmissione e sistemi di attacco per trattori
www.gkn.com
Fondazione: 1° luglio 1899
Sede centrale: Gütersloh, Germania
Sede in Alto Adige: Appiano
Settore: elettrodomestici (lavatrici e aspirapolvere, elettrodomestici da incasso per cucina), macchine per uso industriale (Miele Professional)
www.miele.it
più importanti per la distribuzione dei
nostri prodotti”, spiega Alfred Kohlegger, direttore generale vendite di Arcadia Fire Company.
Problema raggiungibilità
Ogni rosa però, per quanto bella e profumata, ha le sue spine. “L’Italia, e di
conseguenza anche l’Alto Adige, è martoriata dagli obblighi burocratici e
dall’altissima pressione fiscale. Per
qualsiasi cosa c’è una tassa o un’imposta”, denuncia Comploj. Altre questioni spinose sono la scarsa certezza del
diritto e i tempi lunghissimi della giustizia. A tutto questo si aggiunge un
problema specifico per l’Alto Adige, ovvero la lontananza dagli snodi strategici del traffico e dai principali mercati
italiani. Una criticità ribadita anche da
Mairl: “Per me il problema non è tanto
la raggiungibilità dall’estero, visto e
considerato che la maggior parte dei
clienti può arrivare da noi in meno di
cinque ore d’auto. Il punto è invece la
circolazione all’interno dell’Alto Adige:
a tutt’oggi manca un collegamento ferroviario come si deve tra Bressanone e
Brunico, e questo ci impedisce di avere
uno scambio di forza lavoro tra le due
città con conseguenti ed evidenti svantaggi economici”. Inoltre, rispetto alla
vicina Austria, il costo dell’energia elettrica è più alto del 30-40%, una percentuale che – per un’azienda grande come
la sua – si traduce in cifre decisamente
significative.
Ad ogni modo, dicono tutti gli interlocutori, in Alto Adige i vantaggi sono
ancora superiori alle problematiche, e di
questo bisogna rendere merito soprattutto ai dipendenti, componente essenziale del successo aziendale. Paul Mairl
lo dice chiaramente: “Sono i collaborato(BK)
ri a fare grande un’azienda”.
a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 2 7
Ma rk e ti n g
La reputazione corre sul web. Ogni albergatore che si rispetti lo sa:
il cliente è sovrano e come tale deve essere trattato. Ma navigando in Internet sembra proprio che tanti
non condividano questa sacrosanta verità. L’appello: fatevi sentire di più.
Vita complicata, quella dell’albergatore, che deve stare sempre attento a quello
che dice agli ospiti, a fare loro una buona
impressione, a destreggiarsi tra lamentele e richieste più o meno strane. Il padrone di casa sa che in questi casi deve mostrarsi solidale, avere comprensione,
mantenere la calma e se è necessario
concedere un risarcimento. Una corretta
gestione dei reclami dovrebbe insomma
essere qualcosa di più di un optional. E
invece succede che molti non prendono
in considerazione quanto si dice di loro
su Internet, non rispondendo neanche
alle critiche mosse. “Un comportamento
simile è dannoso per l’immagine della
struttura, perché un albergatore dovrebbe trattare il cliente sempre nello stesso
modo, sia di persona che su Internet”,
afferma Stefan Velte, Senior Manager di
HolidayCheck, leader europeo nel settore delle recensioni alberghiere on line.
Velte ci introduce di fatto nel cosiddetto
ORM (Online Reputation Management),
un acronimo a prima vista criptico ma
che altro non è che il controllo e la gestione della reputazione di una persona,
un’organizzazione o un prodotto sui media digitali. In altre parole una sorta di
PR on line, visto e considerato che anche
in Rete si incontrano persone. Persone
che oltretutto non si limitano ad essere
spettatori passivi, ma modificano e arricchiscono il web con diari digitali, condividono fotografie, mettono a disposizione di tutti le proprie conoscenze, consigliano i propri bookmark agli altri
navigatori del cyberspazio e, tornando al
nostro tema, postano recensioni sui portali di valutazioni alberghiere.
Un popolo di navigatori
“I numeri attuali dicono che già il 52% dei
clienti usa Internet per programmare le
vacanze. E durante le ricerche visita mediamente 13 siti navigando in totale per
9 ore”, informa Wolfgang Töchterle, responsabile dei media on line presso Alto
Adige Marketing (SMG). Va da sé che la
cerchia di conoscenze ormai non è più
b u o n o a s a pers i …
Sapevate che i due portali di recensioni
alberghiere più importanti del mondo,
Holidaycheck e Trip Advisor, danno anche agli albergatori la possibilità di fare
commenti? Un’opportunità che non dovrebbe essere presa sottogamba, poiché in caso di recensione negativa il 79%
dei clienti si sente rassicurato leggendo
la replica dell’albergatore. E c’è addirittura un 65% di utenti che ritiene decisiva, ai fini della scelta, un commento del
titolare della struttura.
Gli alberghi altoatesini sono molto citati nei portali di recensione
quella personale, ma la comunità virtuale: “I racconti e le fotografie che si postano sul web hanno un’enorme influenza
sulle abitudini di prenotazione e hanno
maggiore credibilità rispetto al sito
dell’albergo”, aggiunge Töchterle.
Gli ultimi dati di HolidayCheck confermano questo fenomeno: nell’87% dei
casi le valutazioni sono positive e raccomandano ad altri turisti l’hotel recensito. Anche le critiche negative comunque
sono molto lette: “Gli utenti del nostro
portale investono molto tempo nella lettura delle recensioni e si soffermano in
particolare su quelle negative, per poi
farsi sempre la stessa domanda: ma per
me quanto conta questa critica?”, racconta Velte. E in effetti spesso le stroncature vengono viste come poco utili dagli
altri utenti. Molto più auspicabile sarebbe invece che il diretto interessato della
critica si facesse vivo: “In questi casi l’albergatore dovrebbe prendere carta e
penna virtuali e rispondere alla critica.
In caso di recensione negativa, se c’è la
replica dell’albergatore abbiamo constatato che nel 79% dei casi il cliente si
sente rassicurato, e c’è addirittura un
65% di utenti che ritiene decisiva, ai fini
della scelta, un commento del titolare
della struttura. E invece il numero di albergatori che si mettono in gioco non va
oltre il 7%, tutti gli altri sprecano una
grande opportunità”, conclude il Senior
Manager di HolidayCheck.
L'importanza del web
Monika Hellrigl, responsabile delle vendite presso lo storico albergo bolzanino
Laurin, è pienamente cosciente dell’importanza di Internet: “Il nostro sito è
estremamente curato, teniamo molto
alla nostra reputazione sul web e prendiamo sul serio le critiche. Da noi i reclami vengono trattati direttamente dal direttore, il quale risponde nel giro di »
I reclami del cliente devono sempre essere presi in seria considerazione
C o m e fa rs i u n a b u o n a rep u ta z i o ne
s u l w e b i n q u at t r o m o sse
1. Curate il sito: un albergatore non può permettersi di avere un sito fatto male. Se un potenziale cliente visita il vostro sito e trova foto vecchie (o addirittura nessuna), descrizioni
scarne, informazioni al lumicino, state sicuri che andrà subito da un’altra parte. La prima
impressione è il biglietto da visita.
2. Fatevi sentire: un albergatore deve prendere in considerazione i suoi ospiti e far sapere
anche ai potenziali clienti che la loro opinione è importante. Questo atteggiamento serve
a creare fiducia ed è decisivo nella scelta finale del turista.
3. Fatevi recensire: è questa la grande sfida per un albergo. Una soluzione potrebbe essere
quella di mettere un cartello alla reception, la cosa migliore rimane comunque l’invio di
una mail o di una newsletter all’ospite dopo la sua partenza, invitandolo ad esprimere un
giudizio sul vostro albergo.
4. Analizzate le recensioni: il parere dei clienti è un fattore importante per garantire qualità
e per motivare i collaboratori. Quali sono i punti di forza e quali invece quelli critici? Chi
mi sta giudicando e com’è strutturata la mia clientela?
a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 2 9
Ma rke ti n g
24 ore”. Un esempio da imitare. Secondo
Hellrigl sarebbe anche opportuno che i
portali turistici permettessero agli alberghi chiamati in causa di rispondere alle
critiche: “È dimostrato che questi commenti sono molto letti e io, in qualità di
potenziale cliente, riesco a conoscere
meglio un albergatore dal modo in cui si
rapporta con un cliente insoddisfatto”.
L’aiuto arriva dal tool
Per sfruttare al meglio le potenzialità
della reputazione on line è tuttavia necessario un monitoraggio continuo della situazione. “Solo chi è sempre all’erta
ed ha il controllo costante della propria
presenza sul web, o meglio ancora è attivo in prima persona su Internet, potrà
sfruttare le critiche negative come occasione per fornire un’immagine positiva”,
afferma l’esperto. E per limitare al minimo il tempo da dedicare
all’ORM, HolidayCheck ha elaborato il servizio Hotel
Manager, che invia agli albergato-
ri registrati una mail non appena un
li utenti. Un altro prodotto che consente
utente del portale lascia un commento
di seguire le valutazioni on line si chiasulle loro strutture. A questo punto l’ho- ma Hotel Navigator ed è usato dal portatel può decidere se intervenire nella di- le di prenotazioni dell’Unione Albergascussione. Grazie a questo tool gratuito, tori e Pubblici Esercenti (HGV) per tenel’albergatore ha il controllo continuo
re aggiornati gli alberghi sulle recensioni
della propria presenza sui portali turisti- on line che li riguardano.
ci. Secondo una recente statistica, le
strutture ricettive che si avvalgono di
Questione di psicologia
questa funzione hanno un tasso di raccomandazione del 91 per cento. La spiega- Su una cosa gli esperti concordano all’uzione ce la fornisce ancora l’esperto: “So- nanimità: per farsi un’immagine positilitamente un elevato numero di recen- va (e curarla) sul web ci vuole psicologia:
sioni produce un altrettanto alto tasso di “Quando parliamo di Online Reputation
raccomandazione, che a sua volta si tra- Management dobbiamo ragionare più
in termini di psicologia che di tecnoloduce in un ottimo posizionamento nella
gia”. Insomma bisogna sapersi rapporclassifica di una regione come potrebbe
tare con la gente. Tradotto in pratica siessere l’Alto Adige. Avere una posizione
gnifica ascoltare i clienti, monitorare la
migliore significa avere più visibilità, più
visite sul sito e di conseguenza più chan- situazione, interagire, avviare un dialogo su canali ben definiti. Anche Andersces di avere prenotazioni. È un processo
Sundt Jensen, responsabile della comutanto semplice quanto logico”.
nicazione di Mercedes Benz e grande
Ciononostante sono ancora molti gli
esperto di marketing, si è fatto un’idea
alberghi che sottovalutano l’influenza
delle recensioni sulla vendita delle stan- precisa dell’ORM: “Cerca di essere aperto, non temere gli esperimenti, tieniti
ze e sull’aumento dei prezzi medi: in Alto
Adige ad esempio il servizio Hotel Mana- pronto alle critiche. E soprattutto: ri(GZP)
ger è usato appena dal 26% dei potenzia- spondi sempre”.
i nd a g i ne & a n a l i s i
de l p o r ta l e t u r i s t i c o
H o l i d ay C hec k 2 0 1 2
In caso di recensione negativa, mi sento
rassicurato se leggo un commento
dell'albergatore.
Il commento dell'albergatore è stato
decisivo ai fini della mia scelta.
Quota di albergatori che utilizzano la
funzione di commento.
7%
79%
65%
La percentuale di albergatori che utilizza la funzione di
commento su HolidayCheck non arriva neanche al 10%
L'innovazione
ha fatto scuola
Formazione ad alto livello e Job Training, il tutto in meno di
quattro mesi: ecco il rivoluzionario concetto formativo
dell’Innovation School, il metodo sviluppato da TIS ed EURAC
per portare una ventata di innovazione nel settore edilizio.
C
om'è possibile fare innovazione nel settore edilizio?
Con questa domanda si sono
confrontati i collaboratori
del cluster Edilizia del TIS innovation
park, costantemente alla ricerca di soluzioni da proporre alle 170 aziende edili
associate al cluster.
“Il settore edile è in crisi già da alcuni
anni, e l’innovazione può essere un
modo per uscire dalla crisi. Ecco perché
noi siamo sempre in cerca di soluzioni
che siano in grado di portare innovazione”, spiega Stefano Prosseda, manager
del cluster Edilizia. Una delle soluzioni
prevede la messa in rete di imprese, istituti di ricerca e università, e proprio dalla sinergia con l’Istituto per le energie
rinnovabili dell’Eurac è nato il progetto
“Innovation School”.
L’unione fa la forza
La Scuola di innovazione sostenibile è
un programma di formazione rivolto
da una parte a ricercatori, giovani architetti e ingegneri freschi di laurea
che non hanno ancora trovato un impiego fisso, e dall’altra ad imprese edili
che siano in grado di avanzare proposte concrete.
L’idea alla base del progetto è che le
aziende devono indicare quali sono le
loro esigenze specifiche, mentre i giovani ricercatori hanno il compito di
fornire loro il know how necessario. “In questo modo i giovani
professionisti entrano in contatto diretto con le varie realtà aziendali ed è quindi possibile trattare tematiche
che interessano da vicino le imprese”, spiega
Maria Giulia Faiella,
manager di progetto nel cluster Edilizia e responsabile del progetto.
“L’obiet- »
Ma rke ti n g
Teoria e pratica, binomio vincente
In t er v i s ta a M a r i n a F u sc o ,
pa r t ec i pa n t e a l l a Inn o vat i o n S ch o o l 2 0 1 2
Marina Fusco, perché ha partecipato
alla Innovation School?
Da sempre volevo andare in Alto Adige
per acquisire esperienze nel settore
dell’edilizia sostenibile, in quanto la
provincia altoatesina è all’avanguardia
in questo campo. Ho studiato architettura a Napoli e poi sono andata in Svezia per acquisire conoscenze nel settore del design sostenibile e dell’efficienza energetica. Quando ho deciso di
rientrare in Italia per approfondire
queste tematiche, la scelta è caduta subito sull’Alto Adige. Su un sito di architettura ho visto la pubblicità dell’Innovation School e ho subito presentato la
domanda. Ad attirarmi sono stati soprattutto gli argomenti dei moduli formativi.
La scuola ha soddisfatto in pieno le
sue aspettative?
Ero alla ricerca di una formazione che
prevedesse una parte teorica ed una
pratica, e l’ho trovata. Le tematiche
sono state analizzate nei minimi dettagli, facendo sempre riferimento ad
esempi di applicazione pratica. Duran-
tivo dell’Innovation School è di sviluppare, al termine del programma di formazione, un vantaggio concreto per
l’azienda, che può essere un’applicazione, un prototipo o un prodotto”, conclude Maria Giulia Faiella. Un approccio
globale, insomma, che coinvolge fattivamente entrambe le parti in causa.
3 2 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3
te il Job Training da Leitner Electro ho
avuto la possibilità di partecipare concretamente allo sviluppo di una strategia riguardante la mobilità sostenibile
in ambito urbano, basata su principi
come il Car Sharing o lo Smart Home
Management System per quartieri.
Questo ci ha permesso di confrontarci
concretamente con quei problemi che
devono affrontare coloro che vogliono
utilizzare le tecnologie verdi. In seguito
abbiamo trattato in gruppo gli aspetti
tecnici riguardanti la progettazione degli impianti. Per me tutto questo ha
rappresentato una novità assoluta, perché di norma durante gli studi di architettura non si affrontano simili problematiche, ed è proprio questa la cosa
che mi è piaciuta di più nell’Innovation
School: la perfetta combinazione di
studio ed esperienza in azienda.
E ora?
Tramite la Scuola di innovazione ho potuto conoscere l’EURAC, il quale mi ha
offerto un posto con un contratto a
progetto presso l’Istituto per le energie rinnovabili. Qui lavoro nei gruppi
Energy Strategy & Planning e Applied
Building Physic, dove ci occupiamo tra
le altre cose dello sviluppo del nuovo
Parco tecnologico di Bolzano, di un
progetto di strategia energetica in Val
di Non e del progetto ReCharge Green
– balancing Alpine Energy and Nature,
che persegue l’introduzione di sistemi
sostenibili nelle zone alpine. Insomma,
qui posso mettere in pratica tutto
quello che ho imparato alla Innovation
School.
dotto attraverso facciate multifunzionali alle reti elettriche intelligenti, le cosiddette Smart Grids. “Per i singoli moduli
di formazione scegliamo argomenti attuali legati all’efficienza energetica
nell’edilizia, allo scopo di sfruttare al
meglio il potenziale di innovazione delle
aziende altoatesine”, dice Roberto Lollini dell’Istituto per le energie rinnovabili
dell’Eurac.
Attraverso questi moduli i partecipanti possono acquisire quelle conoscenze che poi metteranno in pratica
nelle aziende: la seconda parte del corso
di studi prevede infatti un Job Training
improntato alla stretta collaborazione
tra studenti e imprese. I partecipanti,
con la qualifica di assistenti all’innovazione, rimangono una settimana nelle
imprese aderenti alla scuola per sviluppare le loro idee di progetto al fianco
degli esperti aziendali.
“L’aspetto positivo di una permanenza così breve – spiega Faiella - consiste
nel fatto che le aziende non avrebbero
tempo per fornire assistenza per un periodo più lungo. Una settimana invece è
fattibile per la gran parte delle aziende
e può persino rivelarsi più intensa dei
tradizionali tirocini che durano svariate settimane”.
Ecco già i primi risultati
“A noi preme soprattutto che le aziende
continuino ad applicare le soluzioni
che abbiamo sviluppato congiuntamente”, precisa Stefano Prosseda. E
che la qualità delle soluzioni sia alta, lo
dimostra l’edizione 2011 della Scuola di
innovazione: il progetto elaborato da
un pool di tre ingegneri e due architetti
è riuscito ad entrare tra i cinque finalisti
del concorso “Challenge CleanTech”, al
quale hanno partecipato 60 progetti.
L’iniziativa “Challenge CleanTech” intende premiare progetti innovativi in
Teoria & pratica
tema di energie rinnovabili ed è proIl metodo prevede otto moduli di forma- mosso dal Politecnico di Milano in colzione su temi legati alla sostenibilità in
laborazione con la London Business
edilizia. Il corpo docente è formato da
School e l’University College London
esperti di rango internazionale, le mate- Business. Insomma, un primo e chiaro
rie spaziano dal bilancio ambientale
segnale che la Scuola di innovazione è
(LCA - Life Cycle Assessment) di un pro- sulla strada giusta.
In t er v i s ta a P e t er A u er ,
Le i t ner s o l a r
come canovaccio per un video presentato ai committenti e in occasione di
KlimaEnergy 2012. I ricercatori hanno
inoltre realizzato una presentazione ad
uso interno del TIS.
Facts & Figures
L’Innovation School è nata nel 2011 e
quest’anno quindi andrà in scena la terza edizione. Le aziende del settore edile
che hanno partecipato o parteciperanno
al progetto sono complessivamente 15 e
tutte importanti nel loro settore, come
ad esempio EnergyTech, Frener & Reifer,
Leitner Electro e Leitner Solar (vedere
box a destra), Progress, SEL e Syneco.
All’edizione 2012 hanno partecipato 24
ricercatori, suddivisi in sei gruppi di lavoro da quattro persone. La quota di
iscrizione per gli studenti è di 150 euro,
le aziende versano 3.600 euro, importo
finanziabile fino al 65% attraverso la legge provinciale 4/97.
Nel 2013 però la Scuola di innovazione sarà gratuita, in quanto verrà finanziata dal progetto Interreg “AlpBC” (Alpine Space Building Culture) che affronta
tematiche come la NZEV (Nearly Zero
Energy Valley) o le reti elettriche intelligenti (Smart Grids), argomenti trattati
anche dalla Innovation School.
Ecco infine alcuni esempi di applicazioni scaturite dai primi due anni di
scuola: NZEB (Net o Nearly Zero Energy
Building), ovvero edifici ad elevata efficienza energetica che grazie alle fonti di
energia rinnovabili producono più energia di quanta ne consumano, prodotti
da costruzione sostenibili e tematiche
legate al ciclo di vita e all’utilizzo delle
risorse rinnovabili.
L’Innovation School è stata concepita nell’ambito di “Enerbuild”, un pro(ep)
getto Interreg Alpine Space.
Peter Auer, com’è andato il Job Training in azienda?
Come prima cosa i partecipanti sono
stati introdotti alla tematica da affrontare, chiedendo loro di preparare una
relazione ed una presentazione dettagliate che li ha obbligati, già il secondo
giorno, ad organizzare un brainstorming per definire i temi da trattare.
Successivamente hanno dovuto verificare la fattibilità di questi temi, calcolare i costi e quindi elaborare un concetto basandosi su dati scientifici e riempirlo di contenuti. Gli studenti hanno
potuto fare tutto questo in completa
autonomia, ma ogni giorno dovevano
compilare un rapporto sul loro operato
e sui progressi compiuti.
Quali sono i risultati concreti che il
Job Training ha portato alla Leitner
Solar?
I partecipanti hanno elaborato e condensato diversi temi del progetto pilota “Bilancio energetico” riguardante la
zona abitativa Druso 2, redigendo anche una relazione che è stata poi usata
Quali vantaggi ha apportato alla sua
azienda il progetto Innovation School?
Gli scambi intensi tra i partecipanti e i
nostri collaboratori aziendali ed il brainstorming hanno contribuito parecchio al
successo del nostro progetto. Io credo
che sia di fondamentale importanza il
fatto che i partecipanti vengano costantemente assistiti, perché così è possibile seguire passo passo lo sviluppo del
lavoro e discutere rapidamente le misure da prendere.
Quali sono le potenzialità di un progetto di questo tipo? Quali sono a suo
parere i punti deboli o gli aspetti che
si possono migliorare?
Credo che una settimana sia troppo
poco, soprattutto considerando che venerdì non si va in azienda perché si
deve presentare il lavoro a Bolzano e
mezza giornata di giovedì è dedicata
alla preparazione della presentazione
stessa. Di fatto non rimangono che tre
giorni e mezzo effettivi, ai quali però
bisogna togliere anche la prima mezza
giornata in azienda, destinata alle presentazioni e all’avviamento al lavoro.
Considerando l’impegno richiesto al
tutore per accompagnare e assistere i
partecipanti, ritengo che un Job Training dovrebbe durare almeno dieci
giorni.
a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 3 3
merc ato
Padrone di casa e ospite. A dicembre l'Alto Adige è stato il Paese ospite
della grande fiera di Monaco Heim+Handwerk. Nel padiglione altoatesino da 1.000 m2 artigiani, designer
e artisti hanno presentato e creato opere, entusiasmando migliaia di visitatori.
L'officina vivente
Creazioni in tempo reale. Dieci artisti e
artigiani non si sono limitati ad esporre
i loro lavori, ma si sono portati dietro gli
attrezzi per mostrare come si fa. Nella
foto Armin Gasser ed il suo astuccio
porta-posate tascabile.
Design made in South Tyrol
La sedia di Benno Simma. In occasione
della conferenza "Planwerk", l'artista
dagli occhiali rossi ha abilmente assemblato una sedia per poi presentarla con
giustificata fierezza al folto pubblico.
3 4 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3
Un giudice d'eccezione
Mele, che passione. Un originale concorso ha premiato la ricetta più gustosa a base di mele. Tra i giurati anche la
cuoca altoatesina Anna Matscher.
Lotta all'ultimo tavolo
Una pausa gustosa. Il ristorante Alto
Adige è stato preso d'assalto dagli
amanti del buon cibo (e non solo).
Ganes da appplausi
Un Golia, tanti Davide
Artigianato artistico. L'enorme testa
del progetto "Movemënt" di UNIKA,
posta davanti all'ingresso, ha attirato
l'attenzione dei visitatori, che per una
volta si sono sentiti molto piccoli...
Musica ladina. Gli intermezzi musicali
sono stati affidati al gruppo altoatesino
delle "Ganes", tre giovani artiste della
Val Badia che hanno convinto il pubblico con le loro canzoni sospese tra tradizione ladina e internazionalità.
Cosa: Paese ospite della fiera Heim+Handwerk
Dove: Quartiere fieristico di Monaco di Baviera
Quando: 28.11.-02.12.2012
Un sorriso per la stampa
In breve: a dicembre 2012 l'Alto
Adige ha avuto l'onore di essere
nuovamente il Paese ospite della
fiera Heim+Handwerk di Monaco.
Una sorta di "officina vivente" ha
spiegato nuovi e antichi mestieri
e anche dov'è il confine tra arte e
artigianato: non esiste.
Voti alti ha riscosso anche la cucina made in Alto Adige: nel salone
gastronomico Food & Life, svoltosi in contemporanea, gli chef Anna
Matscher e Karl Baumgartner hanno deliziato i palati dei visitatori
con alcune specialità della tradizione altoatesina.
(CS)
Politici e funzionari. Dieter Dohr, il
presidente dell'EOS Federico Giudiceandrea, il direttore e il presidente della
Camera dell'artigianato bavarese Lothar
Semper e Heinrich Traublinger, la segretaria di Stato Katja Hessel del Ministero
dell'Economia, il direttore dell'EOS
Hansjörg Prast e per l'APA Gerd Lanz
ed Herbert Fritz.
a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 3 5
men ti
L’uomo che fa vibrare i quadri. Per Jörg Hofer la pittura è una
vocazione. Questo artista quasi sessantenne sui generis, già quarant’anni fa predicava la regionalità nelle arti
figurative. Le sue opere nascono dagli scarti della lavorazione del marmo di Lasa e da pigmenti organici.
Testo: Hartwig Mumelter
Foto: Alex Filz
Chi volesse capire meglio i quadri di
Jörg Hofer, dovrebbe conoscerlo di persona. Ciò non significa che parlare con
l’artista sia l’unica chiave di lettura delle
sue opere, ci mancherebbe, diciamo
piuttosto che in un intenditore di arte
moderna potrebbe scattare quell’illuminazione in grado di aprirgli un mondo
decisamente più complesso di quanto
potesse immaginare.
di studio austriaca per artisti stranieri. E
così il pittore venostano può proseguire
imperterrito nella sua ricerca stilistica
ed emozionale.
“Chi da bambino cresce camminando su marciapiedi in marmo, è difficile
che si metta a lavorare il legno”. Già,
perché il paese natio di Lasa, duemila
anime in tutto, è famoso per il marmo
ritenuto il migliore d’Europa. “Sono
“I miei quadri non devono essere belli
ma devono vibrare e toccare l'anima”
Jörg Hofer è il più artigianale dei suoi col- sempre stato affascinato dagli operai
leghi. Ancora più di un intagliatore o di
delle cave. Di fatto ogni pezzo di marmo
uno scultore, il pittore venostano mette
tagliato è già di per sé un’opera d’arte”.
in primo piano la plasticità. “Per capire i
Hofer però non ha voluto diventare scalmiei quadri bisogna toccarli, sentirli, af- pellino e trarre forme dal marmo. Il suo
ferrarli”. I quadri di Hofer sono opere in
approccio con la roccia è totalmente
rilievo che in buona sostanza rispecchia- diverso: egli mescola la polvere derivanno le forme e i colori della Val Venosta. te dalla lavorazione del marmo con i
Un paesaggio arcaico, spesso caratteriz- pigmenti e la tempera all’uovo, una teczato da forme dure, scavate. L’ultimo ci- nica antichissima che Hofer riempie di
clo di opere chiamato “Permafrost” af- messaggi nuovi. Ispirandosi alle pitture
fronta il tema dello scioglimento dei
murali dell’antica Pompei, dà vita a
ghiacciai e delle conseguenze di questo
quadri di grande impatto in cui trovano
fenomeno, e nessuno meglio di lui ha
spazio anche importanti richiami alla
saputo rappresentare con metafore pit- sua terra natale. Oggi Hofer potrebbe
toriche l’erosione della terra o le frane.
essere definito un pittore riconducibile
Ma chi c’è dietro queste opere di stra- alla tanto decantata regionalità ma doordinaria forza espressiva? Il giovane
tato anche di un’ampia visione globale.
Jörg Hofer è un macellaio destinato a se- “Con l’arte non si fanno discorsi, l’arte è
guire le orme paterne nell’azienda di fa- qualcosa che si deve sentire”, sentenzia
miglia. Ma ad un certo punto la passione
Hofer nel suo melodioso e inconfondiper l’arte prende il sopravvento e così
bile dialetto venostano mentre affetta
arrivano gli studi all’Accademia delle
uno straordinario speck affumicato con
Belle Arti di Vienna, la proficua frequen- le sue stesse mani.
tazione dei corsi del professor Max WeiCon poche parole, a volte sferzanti,
ler, svariati riconoscimenti e una borsa
Hofer commenta l’attuale panorama ar3 6 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3
tistico, verso il quale ha diverse marce in
più. Sarebbe interessante far toccare i
suoi quadri a persone cieche, la cui sensibilità aptica aprirebbe nuove prospettive. “I miei quadri non devono essere
belli ma devono vibrare”. E chi entra
nell’atelier di Hofer, capisce subito a
quali vibrazioni si riferisca. L’antica stalla ristrutturata, con i disadorni muri in
pietra, richiama alla mente una cattedrale. Qui si potrebbero passare ore e ore,
con le opere che mutano aspetto in continuazione a seconda del taglio della
luce: “In ognuno di questi quadri c’è la
mia anima”. Un’anima che cambia spesso umore, almeno a giudicare dalla mutevole composizione dei colori. Un ulteriore segnale di come Hofer prenda sul
serio le sue creazioni.
Se una volta avrete l’opportunità di
salire assieme a Jörg Hofer fino alle grandi cave di marmo, negli immensi capannoni a quota 1.567 metri, scoprirete un
altro segreto nascosto nelle opere del
pittore venostano. “Qui la polvere di
marmo viene buttata via, è un vero peccato per un materiale così nobile”, dice
Hofer tuffando le mani in quella polvere
bianca che rappresenta la fonte di energia delle sue opere.
J ö r g H o f er
Via Venosta 43
39023 Lasa
Tel.: +39 0473 626343
[email protected]
www.joerg-hofer.it
Jörg Hofer all'opera: l'artista venostano realizza
quadri straordinari utilizzando materiali di scarto
Ma rke ti n g
Bontà altoatesina da mordere, parte II. La nuova
campagna della mela Alto Adige IGP lanciata in Germania punta sulla naturale simpatia dei frutticultori,
va incontro ai consumatori nei punti vendita e strizza l’occhio anche al web.
Da decenni ormai la mela è uno dei
cavalli di battaglia dell’export altoatesino, e la Germania è ancora oggi il principale mercato di sbocco per le nostre
mele. Nulla di nuovo? Non proprio. Negli ultimi anni infatti il consumatore
tedesco si è fortemente evoluto facendo
registrare chiaramente una nuova esigenza: la voglia di regionalità. E siccome la campagna della “mela col cappello” è stata molto apprezzata in Germania, ecco che viene riproposta con
alcune varianti che puntano a mantenere, se non aumentare, le vendite. I nuovi
testi scelti hanno un forte riferimento al
carattere regionale della mela altoatesina e trasmettono al contempo il concetto di qualità, mentre l’immagine del
frutto che “indossa” il tipico copricapo
di feltro altoatesino sottolinea in modo
evidente la provenienza e la regionalità
del prodotto.
Un ulteriore fattore di soddisfazione arriva dall’allargamento della “famiglia” delle mele che possono fregiarsi del marchio IGP: dall’ottobre del
2012 infatti anche le varietà Pinova e
Topaz rispettano i parametri della produzione integrata e del suo severo disciplinare.
Piacere, sono un frutticultore
L’elemento più importante della nuova campagna rimane comunque il frutticultore. “Il modo migliore per trasmettere simpatia e affidabilità è affidarsi a comunicatori simpatici per
natura. E il contadino, soprattutto nei
contesti urbani, è la persona più indicata per ispirare fiducia, garantire la
qualità e dare un volto al marchio Mela
Alto Adige IGP”, spiega Paul Zandanel,
responsabile di mercato presso l’Organizzazione Export Alto Adige (EOS). La
campagna prevede quindi l’impiego di
diversi frutticultori che raccontano in
prima persona le peculiarità delle nostre mele. Inoltre, nei limiti del possi3 8 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3
C re at i v i t à ne i p u n t i v end i ta :
e t u che t i p o d i m e l a se i ?
Oltre a degustarla, nei punti vendita è
importante che il cliente riceva informazioni sulla mela altoatesina al fine di
conoscere i contenuti che si vogliono
trasmettere. A tale scopo le mele sono
state suddivise in tre categorie corrispondenti ad altrettante tipologie di tu-
rista: amante del gusto, attivo, rilassato.
Per ogni tipo di mela è stata coniata una
simpatica descrizione, valida per tutte
le varietà di mela della categoria. Al termine del gioco il cliente riceve un attestato con l’esito del test e la descrizione
delle mele a lui affini.
Il frutticultore di Lagundo Thomas Clementi con la famosa cuoca Cornelia Poletto durante il raccolto delle mele
bile, saranno gli stessi contadini i protagonisti delle iniziative previste nei
punti vendita.
Il carisma di Cornelia Poletto
Per essere ancora più vicina e credibile
per il consumatore tedesco, la campagna
si avvale del volto affidabile di una madrina d’eccezione: Cornelia Poletto. “La
cuoca più famosa della Germania non è
solo portavoce della grande cucina, ma
anche e soprattutto della ricetta facile,
alla portata di tutte le casalinghe. In qualità di donna, madre e cuoca, Cornelia
Poletto è diventata uno dei personaggi
pubblici più simpatici, in grado di trasmettere fiducia e autenticità”, aggiunge
Zandanel. Le sue ricette comunicano
un’immagine positiva della Mela Alto
Adige e al contempo forniscono al consumatore tedesco esempi pratici e semplici
per l’utilizzo in cucina, facendo sì che il
tipico prodotto altoatesino non smarrisca la propria identità regionale. Le ricette nascono con cadenza mensile e vengono poi pubblicate sul sito e diffuse tramite comunicati stampa e social media.
L’immagine di Cornelia Poletto viene
inoltre impiegata in un video blog, un
mezzo quanto mai azzeccato per trasmettere in maniera rapida ed efficace le
qualità e la provenienza della mela altoatesina. I filmati sono stati girati a Lagundo a fine settembre, il periodo migliore per immortalare il paesaggio e
l’attività produttiva nei meleti.
Sito web, PR & Social Media
Anche il sito www.melaaltoadige.com è
stato modificato e ora si presenta con
una struttura più snella e una migliore
accessibilità ai contenuti principali. I social network invece rappresentano un
ulteriore canale di promozione e comunicazione per l’intera campagna, che si
basa quindi sul già citato video blog, sulle nuove ricette, sulle affermazioni dei
contadini, sulla comunicazione di iniziative e manifestazioni (attività nei punti
vendita, distribuzione di mele ecc.), concorsi a premi e altri eventi di successo.
Le iniziative nei punti vendita
Certo, il massimo sarebbe addentare
una croccante e succosa mela altoatesina direttamente dal contadino. Ma visto e considerato che non tutti hanno la
fortuna di trovarsi in Alto Adige durante
il raccolto, ecco che le iniziative organizzate in Germania cercano perlomeno di far conoscere meglio le mele nei
posti stessi dove vengono vendute. Qui
è importante che il cliente riceva informazioni, impulsi, possa assaggiare le
mele e si convinca ad acquistarle (vedere box nella pagina a fianco). Per ribadire il legame con il territorio, la promozione prevede un team composto da
promoter e frutticultori altoatesini, e
laddove ciò non sia possibile il promoter indossa alcuni accessori tipici come
(CS)
il grembiule blu e il cappello.
l a m e l a , Un co loss o
eco n om i co
In Alto Adige 8.000 aziende familiari
coltivano mediamente 2,5 ettari di terreno, producendo ogni anno circa 1 milione di tonnellate di mele. Il 93% del
raccolto viene commercializzato tramite 24 consorzi, il rimanente 7% prende
la via del libero commercio (17 aziende)
o delle aste frutta (3 aziende). Più o
meno la metà della frutta finisce all’estero; il mercato principale è la Germania con una quota di oltre il 30% delle
mele esportate, seguita da Scandinavia, nazioni mediterranee come Spagna e Portogallo e i Paesi di più recente adesione alla UE. Delle mele consumate in Europa, una su dieci proviene
dall’Alto Adige; la nostra provincia è
anche il maggior fornitore continentale di mele biologiche, grazie al 40% di
produzione bio. Ecco infine le 13 varietà
di mele che si fregiano dell’appellativo
IGP: Braeburn, Elstar, Fuji, Gala, Golden Delicious, Granny Smith, Idared,
Jonagold, Morgenduft, Red Delicious,
Stayman Winesap, Topaz
e Pinova.
a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 3 9
ne ll'o cchi o de i m edi a
Dicono di noi. Rassegna stampa di giornali, riviste, trasmissioni televisive, siti web
e videoblog: stavolta si parla di sport invernali, treni e ciclabili, aziende start-up e arte culinaria.
United Kingdom: Gourmet Travel
Gourmet-Magazine – This article takes the reader on
six pages trough a gourmet-travel across the country.
With many stops at the very peaks of good taste:
Niederkofler on the very top of it. In addition to that:
The gourmet-chef from Alta Badia reveals some of his
best recipes. Release January 2013
Deutschland: uberding
Video-Blog – Unter dem Titel „Winterzauber
in den Dolomiten“ ermöglicht die VideoBloggerin des bekannten
deutschen Lifestyle-Blogs
uberding persönliche Einblicke in ihr Tagebuch und damit in Südtirols Winterwelt.
Online seit 30. Dezember 2012
Österreich: Die Presse.com
Nachrichtenportal und Tageszeitung – Was Kastanienholz und der
Meeresspiegel gemeinsam haben
und wie detailreich ein regionales
Delikatessenprojekt, nämlich jenes von „Pur Südtirol“, sein kann,
wird in der Online-Ausgabe der
Presse veranschaulicht.
Online seit 30. August 2012
Deutschland: Madame
Lifestyle-Heft für Luxus, Trends und
Mode – Auf sechs Seiten huldigt
das deutsche Hochglanzmagazin
allen Facetten des Wintersports
in den Skigebieten in Südtirol, im
Trentino und in Venetien.
Ausgabe Jänner 2013
4 0 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3
Italia: Sole 24 ore
Quotidiano – Alcune start-up
nell’Incubatore d’imprese del
TIS vengono osservate da vicino dal giornalista Mirco Marchiodi nel dorso “Impresa &
territori” del principale giornale economico nazionale. Oltre
al profilo di 5 aziende si può
anche leggere un’intervista al
direttore del TIS, Hubert Hofer.
Edizione 5 dicembre 2012
Netherlands: Italie
Travel-Magazine – On six pages
the magazines presents the region around the Three Peaks
and Sesto/Sexten and particularly wintersport facilities over
there. The article also speaks
about the famous southtyrolean speciality Speck (bacon).
Release January 2013
TV: TG2 Sí viaggiare
La rubrica del Tg2 su viaggi e turismo – La giornalista Silvia Vaccarezza introduce il concetto „dal treno in pista“ , e fa vedere le diversità dell’ Alto Adige. Il Plan del Corones, un’
area sciistica molto popolare. E come controparte: il rifugio Fanes situato
a 2060 metri s.l.m. con la famiglia di Max Mutschlechner.
Messa in onda 4.01.2013; replica 06.01.2013
Schweiz: Zürcher Unterländer
Tageszeitung – In der Züricher Regionalzeitung wird die Handelsstadt Bozen Gegenstand
des Reiseberichts. Von Bozen aus, das zu jeder Jahreszeit einen gewissen Charme versprühe, seien Ausflüge ins Dolomitengebiet, auf den Hausberg Ritten oder ins Sarntal problemlos möglich. Ein Besuch bei Ötzi dürfe dabei auch nicht fehlen. Ausgabe 2. November 2012
Polen: Twoi Styl
Lifestyle Magazine – On seven pages the reader is
confronted not only with a little glimpse of South Tyrol but with the whole range of it. Including: winter,
snow, sun and last of all: joie de vivre. And that from
east to west of the province. Release January 2013
a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3 | M 4 1
…come marchio
L a fa m i g l i a de l
M a rch i o O m b re l lo
I capi d'abbigliamento in look Alto Adige sono molto gettonati
Utilizzatori del Marchio Ombrello
Al 28 febbraio 2013 si contavano 3.124 utilizzatori, tutti ambasciatori dell'immagine dell'Alto Adige
4 2 m | a p r i l E , m a G G I O, G I U G N O 2 0 1 3
Il Marchio Ombrello Alto Adige esiste
dal 2005. Oltre ad essere utilizzata in
ambito turistico e alimentare, la griffe
Südtirol può essere applicata su prodotti di merchandising previo rilascio
di una licenza. Come funziona? Le
aziende sviluppano prodotti a marchio
Alto Adige con la supervisione del
Brand Management del Marchio Ombrello, dopodiché la Provincia di Bolzano rilascia una licenza che impegna le
aziende a riconoscere alla Provincia
una determinata percentuale del fatturato. I capi che attualmente portano il
marchio Alto Adige sono i berretti, i
copri-orecchie ed i teli multiuso della
Norton, l’abbigliamento da corsa e funzionale di Hermann Achmüller e gli occhiali da sole in legno della WoodOne.
“è meglio essere
un local hero
piuttosto che essere
un global loser”.
Mathias Binswanger
*1962, economista e libero docente svizzero
Oltre 450 anni di storia. Una leggenda vivente.
Accomodatevi e riscoprite
l’eleganza senza tempo e la
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Rimarrete affascinati dalla straordinaria simbiosi tra storia, atmosfera
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2013 M02