Data: 17 luglio 2014
Pagina: 34 (dettaglio)
2014
La scena inquieta
Memorie di guerre, incertezza del presente
«Ma ovunque brillano segnali di bellezza»
B
ach e Gubajdulina,
Faust dentro/fuori,
danza su muri e biciclette, Bollani attore: i
9 giorni di Mittelfest sono
densi di musica, di teatro in
ogni forma (con l’apporto
giovane di Conservatorio e
Accademia di Udine), di arte e
cinema come nelle manifestazioni mondiali.
Sovrano da oltre 20 anni a
Cividale, città mirabile per
memorie storiche e natura, il
Festival della Mitteleuropa
racconta dal vivo l’inquietudine nel cuore del Vecchio
Continente. L’edizione 2014
— dopo l’apertura solenne, il
6, col concerto di Riccardo
Muti al Sacrario di Redipuglia
— dispiega dal 19 al 27 il suo
atlante su Austria, Croazia,
Germania, Repubblica Ceca,
Serbia, Slovenia, Svizzera, Paesi Bassi, Kazakistan; su produzioni od ospitalità italiane,
e punte di diamante del Friuli
come la Suite «Questa libertà» del poeta Pierluigi Cappello in scena col pianista
Glauco Venier; o, il 25, la
pièce in lingua furlana dal
mondo di Novella Cantarutti.
Cercare i «Segnali» di una
bellezza fragile e inquieta è titolo e obiettivo della rassegna. «La memoria in queste
In cartellone
Gubajdulina si confronta
con Bach, Bollani nelle
insolite vesti di attore,
Chaplin al fronte
Le relazioni
Il nuovo direttore
Calibetto: «Per Vienna,
Praga, Lubiana siamo
un punto di riferimento»
terre si lega alla tragedia di
una generazione; la bellezza
può essere risposta non effimera al presente incerto, come piccole lucciole nel buio
— dice mostrando la cover
del programma il neodirettore artistico Franco Calibetto
—. Mittelfest è ritenuto a
Vienna, Praga, Lubiana motore di un tessuto connettivo
nell’area non latina, avamposto culturale oltre i 18 stati
centrali europei».
Prendiamo un giorno a caso, lunedì 21, e scorriamo gli
eventi. Alle ore 17 è già vertigine con Danza Verticale sulle
mura del Belvedere, sax e live
electronics di Marco Castelli.
Poi, un’incursione multilingue dedicata alla Grande
Guerra, presenza profonda
anche dopo un secolo e musica contemporanea del Trio gitano Balkan String, sfida di
sei mani che si esprimono su
una chitarra sola. Alle 21, Tea-
tro Ristori (alla grande Adelaide è intitolato il Premio per
nuove interpreti in scena),
l’Europa si fa carne e speranza: Ivica Buljan guida la coproduzione serbo-slovenocroata «Una tomba per Boris
Davidovi » dal romanzo del
serbo Danilo Kiš, 7 variazioni
sul tema della sopraffazione e
persecuzione nel XX secolo.
«Continuando in direzione
del produrre insieme, vorremmo esportare un modello
di festival fluido, non solo vetrina», precisa Calibetto che,
affidato il teatro alla consulenza di Rita Maffei del
Css Stabile udinese,
cura la sezione cinema all’elegante Castello Canussio, spaziando da Keaton a Monicelli,
al Chaplin di «Shoulder Arms» del 1918.
Tra raffinati concerti di
pezzi superclassici affiancati a
quelli di autori viventi —
campione assoluto la coppia
Bach-Gubajdulina, e incontro con la composi-
trice russa —, il musical cubista dal Vecchio Testamento
dell’austriaco Loose Collective o il solo di Jan Fabre per
Cèdric Charron, il teatro ha
momenti di grande interesse:
con «Sketches» il Faust di Goethe «commenta» un dramma dei nostri giorni scritto
A sei mani
Una sola chitarra
per lo swing
gitano proposto
il 21 luglio
dall’originale Trio
Balkan Strings
dal premio Nobel Elfriede
Jelinek, regia di Fabrizio Arcuri; ha segno espressionista
lo Strindberg di «Danza Macabra», diretto da Luca Ronconi, in tandem con Spoleto;
conclude il festival un inedito
Stefano Bollani che, dopo il
concerto al piano, sarà in scena poliedrico fantasma per
«La Regina Dada» di Valentina Cenni.
Pizzicando nella selva chiara delle giornate cividalesi tra
chiese e chiostri, si incontrano pure la performance sonora di Markus Stockhausen, figlio di Karlheinz; «Alma_Ata»
per danzatori kazaki e italiani,
e la coreografia itinerante
«Ruedis» di Marta Bevilacqua; il Pinocchio russo di Zaches Teatro; le autoctone marionette di Podrecca per le
quali nascerà un Centro Studi.
Claudia Provvedini
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Il regista di «La parola padre» racconta la genesi dello spettacolo
I conti in sospeso delle ragazze dell’Est: una bella macedonia
di GABRIELE VACIS
T
re anni fa il Teatro Koreja mi ha
invitato a Lecce. Avevano fatto un
laboratorio internazionale e avevano
selezionato tre attrici: una bulgara,
una polacca e una macedone. Mi
hanno chiesto di fare un saggio finale
per questo laboratorio internazionale, affiancando alle tre ragazze dell’est
tre attrici italiane. Il lavoro ha appassionato molto tutti quanti, così quello che doveva essere il saggio che
concludeva un laboratorio è diventato uno spettacolo che gira l’Europa da
tre anni. Koreja è un vero teatro. Una
vecchia fabbrica ristrutturata alla periferia di Lecce: la mattina ci sono
spettacoli per le scuole, il pomeriggio
laboratori di ogni tipo e la sera spettacoli: un teatro sempre pieno, non so
se mi spiego... Per un mese abbiamo
ascoltato le storie delle ragazze dell’est: tutte loro sono nate comuniste.
Origini «La parola padre», regia di Gabriele
Vacis per Cantieri Teatrali Koreja, in programma il 27
luglio alla chiesa
di S. Francesco
(foto di Alessandro Colazzo)
Ola è polacca, canta divinamente e
compone musiche che abbiamo messo nello spettacolo: da bambina suo
padre le prometteva di portarla a Berlino, perché a Berlino c’era il MacDonald, ma non ce l’ha mai portata. Poi,
quando hanno fatto il primo MacDonald a Varsavia lei era già vegetariana.
Irina è nata a Plovdiv, la «Firenze bulgara», dicono che il carro d’oro massiccio di Alessandro il Macedone sia
lì, solo che durante il comunismo
l’hanno perso, non si trova più. E poi
c’è Simona, che nello spettacolo racconta questa storia: sono nata a
Skopje, Macedonia, sapete, la Macedonia: Mega Alexandros, Alessandro
Magno… Nella piazza di Skopje abbiamo fatto una statua di Alessandro
in groppa a Bucefalo: venticinque
metri! È più alta dei palazzi che ha intorno, Bucefalo non è venuto tanto
bene, sembra un unicorno. Anche
Alessandro non è venuto bene: sembra Gheddafi, quando si travestiva da
Michael Jackson. Sapete perché abbiamo fatto la statua? Per far incazzare i greci. Perché i greci dicono che
Alessandro è roba loro. Allora noi gli
abbiamo fatto questa statua di 25 metri perché i discendenti di Alessandro
siamo noi! Alessandro è nostro padre! Così siamo incazzati coi greci.
Anche con i bulgari siamo incazzati:
dicono che il macedone è solo un dialetto bulgaro, e questo ci fa incazzare
come iene! E poi ci sono gli albanesi.
In Macedonia il 25 per cento della popolazione è albanese: per questo siamo incazzati con gli albanesi. E i serbi? Quand’ero piccola con i serbi eravamo una sola nazione: la Jugoslavia.
Poi ci hanno fatto la guerra!... Se ci
pensate, c’è un’altra cosa che sapete
della Macedonia: la macedonia, l’insalata di frutta! Ecco la Macedonia è
una macedonia di greci, bulgari, albanesi, rom... La mia migliore amica
❜❜
Dinamiche in scena
Dal saggio finale di un
laboratorio a Lecce è
nato uno spettacolo che
frulla di identità fluide
è serba. Sono incazzatissima anche
con lei, perché io discendo da Alessandro il Macedone e lei no! Per questo abbiamo costruito una statua di
25 metri con Alessandro che brandisce lo spadone! Perché siamo incazzati con tutti! Io sono incazzata nera
con tutti i miei amici! Sono incazzata
con Gheddafi e con Michael Jackson,
sono incazzata con tutti! Ma più di
tutti sono incazzata con Alessandro
Magno! Quand’ero piccola c’era la Jugoslavia e potevo esser amica dei
miei amici... Sulla piazza di Skopje
vorrei una statua alta il doppio di
quella di Alessandro, una statua di Tito, perché era grazie a lui che potevo
amare i miei amici... I love you, Tito!
Le ragazze vengono da paesi diversi, hanno storie diverse. Tutte hanno
conti in sospeso con la loro patria,
tutte hanno conti in sospeso con i loro padri. Anche le italiane, of course.
Così abbiamo fatto questo spettacolo
che frulla identità fluide, impossibili:
La parola padre.
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I conti in sospeso delle ragazze dell`Est: una bella