WJA ITALY - Italian Women´s Jewelry Association
Newsletter N.3 del 29.08.2011
La Borsa guadagna col “Verde”
volano alto i titoli della Green Economy
di Cristiana Benigni. La versione borsista di Green-Economy, quella sconosciuta al gran pubblico,
è naturalmente una lista ancora circoscritta di aziende quotate che si occupano di energia pulita
o rinnovabile, le cui azioni, a differenza di quanto i più erano disposti a credere, sono in costante
ascesa, interessando sempre più investitori internazionali alla ricerca di margini di rendimento in
crescita. L’operazione di Google in partnership con Citigroup, con 102 milioni di dollari a testa in
un round di finanziamento per la centrale eolica da 1.550 MW di Alta Wind Energy Center
sviluppata da Terra-Gen Power Llc, affiliata di ArcLight Capital Partners Llc e Global
Infrastructure Partners, ha dissipato molti dubbi del mercato considerando l’abilità della coppia
Larry Page, Sergey Brin e seguendo una precedente manovra da 55 milioni di dollari a testa
annunciato lo scorso maggio nel progetto Alta IV, un impianto eolico da 110 MV nel deserto di
Mojave sempre sviluppato da Terra-Gen Power Llc. La crisi dell’euro e del dollaro, lo stop al
nucleare, hanno fatto il resto, convincendo alla diversificazione tanti operatori e riversando un
cascata di denaro nel settore “verde”. Peraltro in due anni il fatturato del settore delle nuove
rinnovabili in Italia è cresciuto di più del doppio passando dai 5 miliardi del 2008 agli oltre 13
miliardi del 2010 (8,6 nel 2009). A livello di occupazione tra il 2009 e il 2010 ha creato oltre
20.000 posti di lavoro e attualmente il settore conta 120.000 occupati tra diretti e indotto. E
potrebbero diventare circa 250.000 se l’Italia raggiungesse l’obiettivo del 17% di energia da fonti
rinnovabili fissato dall’Ue al 2020. Un esempio d’iniziativa di grande efficacia anche quella di
Geen Comm Challenge un’organizzazione fondata e guidata da Francesco De Leo che
promuove attivamente lo sviluppo della tecnologia a risparmio energetico nel campo della
Information and Communication Technology (ICT), che alla prossima Coppa America in
rappresentanza del Real Club Nautico de Valencia, ha deciso di investire 50 milioni di dollari di
budget nella ricerca della barca ideale a consumi ed impatti zero. Volendo imitare queste
potenze economiche ed interessandosi di produttori d’energia, nel nostro paese al momento è in
pool position Enel Green Power, che dipende per poco meno del 30% da attività legate agli
incentivi governativi al settore delle rinnovabili, rispetto ad altri competitor come Falck
Renewable, Kerself, Alerion, Kr Energy, Pramac, Ergycapital o TerniEnergia. A livello europeo si
può scommettere su Iberdrola Renovables e Edf Energies Nouvelles. Prospettive interessanti
hanno poi le aziende che forniscono attrezzature necessarie alla realizzazione di impianti eolici e
solari: in questo caso i nomi da inserire in una agenda "verde" sono la danese Vestas, il
produttore tedesco di polimeri policristallini Wacker o la norvegese Renewable Energy
Corporation (Rec). Saltando poi oltre oceano interessanti i titoli delle statunitensi First Solar o
MEMC Electronic Materials. La stessa Bank of America, insieme a Prologis e NRG Energy,
partecipa al Financial Institutions Partnership Program del Dipartimento dell'Energia americano
con 2,6 miliardi di dollari di dotazione per favorire la produzione di 733 megawatt di energia
solare, necessarie al rifornimento di 100 mila case. Il verde continua ad essere il colore più
rappresentativo delle borse, ma accanto a quello dei dollari si comincia ad apprezzare una nuova
sfumatura più “naturale”.
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Newsletter N.3 del 29.08.2011
Il museo Lalique
completamente dedicato all’opera di Renè Lalique
di Sefora Sambati. Da poche settimane è stato inaugurato a Wingen-sur-Moder (nel Basso Reno)
dal Ministro francese per gli Enti Locali, Philippe Richert che ha investito più di dieci anni della
sua vita in questo progetto, un museo interamente dedicato a René Lalique (1860-1945), il
gioielliere-vetraio dell'Art Nouveau e dell'Art Déco. Il Dipartimento del Basso Reno, la Regione
Alsazia, la Comunità dei Comuni del Pays de La Petite Pierre ed il Comune di Wingen-surModer, hanno unito le loro forze per creare l'Associazione Comune del Museo Lalique e per
curarne la costruzione a partire dal 2008. Il museo è situato vicino al sito produttivo della vetreria
aperta dal 1921 dallo stesso Renè sul versante alsaziano dei Vosgi, all'indomani della prima
guerra mondiale. Ideata dall'architetto Jean-Michel Wilmotte su un'area espositiva di 900 metri
quadrati, la struttura è stata realizzata esattamente dove dal oltre 90 anni vengono realizzate le
proposte Lalique distribuite in 122 negozi del mondo . Particolarmente curata l’integrazione in un
complesso paesaggistico davvero notevole, giardini fioriti e boschivi decorano gli accessi al
museo. La scenografia e l'arredamento interni sono assolutamente moderni, con video, schermi
tattili e spiegazioni illustrate dettagliate dei processi di fabbricazione e dei temi più cari a Lalique:
la donna, la flora e la fauna. L’itinerario permette di introdursi nella vita e nell’opera dell’artista,
così come in quelle dei suoi successori. Oltre a porre l’accento sui pezzi d’eccezione, il museo
cerca di ambientare ogni creazione Lalique nel suo contesto storico, sociale o tecnico, riuscendo
a testimoniare le amicizie artistiche e letterarie e la clientela eclettica della Maison, tra cui sovrani
britannici, principi giapponesi, la commediografa Sarah Bernhardt o il magnate del petrolio
Calouste Gulbenkian. All'entrata il visitatore sarà accolto da un lampadario monumentale
realizzato da Marc Lalique nel 1951 composto da più di 337 pezzi per un' altezza di 3 metri ed un
peso di 1,7 tonnellate, recentemente restaurato da alcuni cristallieri scelti fra i migliori artigiani di
Francia, all'interno dell'attuale unità produttiva, all'altro capo del piccolo villaggio alsaziano.
Attraverso suggestioni polisensoriali sono anche ricreate le atmosfere dell' Exposition Universelle
del 1900 e delle Arts Dècoratifs et Industriels Modernes del 1925, che segnano rispettivamente
l’apogeo della carriera di gioielliere e di vetraio dell’artista. In esposizione circa 650 pezzi quasi
tutti realizzati da Renè Lalique in persona, di cui circa 200 provenienti dalla collezione parigina
dell'azienda e dalla collezione personale di boccette di profumo dell'attuale PDG della società, lo
svizzero Silvio Denz, ripartite fra disegni (quasi 2.000), gioielli, bottigliette, flaconi, posate e
oggetti da tavola, lampade, vasi, specchi, ecc… Si prevede la presenza di circa 50.000 visitatori
all’anno. Fino all’apertura del museo, le opere erano proposte in una cinquantina di musei nel
mondo, fra cui il Musée d’Orsay e quello delle Arti Decorative a Parigi, la fondazione Gulbenkian
di Lisbona, Il Metropolitan Museum of Art a New York, il Victoria and Albert Museum di Londra e
anche il museo Lalique di Hakone in Giappone. Il museo Lalique, eccezionale celebrazione del
grande gioielliere e artista del vetro, ha ottenuto l’appellativo di Museo di Francia.
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Nella fase iniziale, per tagliare approssimativamente la gemma della grandezza desiderata,
vengono impiegate le lame delle seghe circolari con il filo “incipriato” di diamante polverizzato al
posto delle dentellature, mentre il refrigerante consiste in acqua saponata, olio o paraffina. La
sagoma definitiva viene attribuita alla gemma grezza su un rullo verticale in carborundo asperso
di grani abrasivi e raffreddato con acqua. Le gemme opache vengono lavorate (cabochon) su rulli
in carborundo scanalati e quelle trasparenti vengono sfaccettate su mole orizzontali. La sostanza
di cui è composto il rullo da taglio (piombo, bronzo, rame, stagno, ecc,) e la varietà di polvere
lucidante (carborundo, diamante, carburo di titanio) mutano a seconda del tipo di gemma, così
come la velocità alla quale il rullo stesso deve essere azionato. Il processo finale consiste nel
raffinamento della pietra su di un rullo orizzontale o su un cilindro di legno o, ancora, su cinghie
di cuoio, onde asportare residui delle scalfitture e migliorarne la lucentezza. Le grandi gemme di
agata, invece, un tempo scosse con l’ausilio di martello e cesello, vengono ora tagliate
prevalentemente con seghe circolari cosparse di polvere adamantina, le cui lame vengono
refrigerate con paraffina od altre sostanze speciali. In un primo tempo l’agata viene abbozzata su
un rullo in carborundo e poi, per darle la forma definitiva, su un rullo di arenaria (le gemme
tagliate a cabochon, però, vengono operate su un rullo di arenaria scanalata). Il processo
terminale di raffinamento, volto a conferire lucentezza ed eleganza alla pietra, viene attuato
tramite un cilindro a rotazione lenta od un rullo in legno di faggio, piombo, feltro, pelle o stagno,
con il ricorso ad apposite paste o polveri lucidanti. In quest’ultima fase, poiché non viene usato
alcun refrigerante, è necessario prestare massima cura per scongiurare che la gemma possa
subire danneggiamenti dall’azione del calore. Consideriamo brevemente, infine, l’arte
dell’incisione delle gemme, detta anche glittografia, che evoca immediatamente il fascino
irresistibile di cammei ed altri piccoli oggetti artistici od ornamentali. Le più antiche incisioni su
gemma di cui ci resta documento erano rappresentate da cilindri operati con simboli e figure,
utilizzati come amuleti o sigilli (si pensi, ad esempio, ai celeberrimi scarabei egiziani). Coltivata
mirabilmente in Grecia, la glittografia raggiunse però il suo apice nella Roma imperiale.
Attualmente il centro manifatturiero più rinomato è quello di Idar-Oberstein, in Germania, dove
viene inciso oltre il 90% delle gemme mondiali adibite a questo scopo. Fra le pietre più usate in
passato si ricordano l’agata, l’ametista, il diaspro, la cornelia e l’onice, mentre ai giorni nostri
l’incisione viene praticata sulle gemme più disparate, diamanti compresi. Come concludere
degnamente questo articolo? Qualche ironico lapidario, se non altro per deformazione
professionale, potrebbe consigliare semplicemente: “Diamoci un bel taglio!”.
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Lenti a contatto in oro e diamanti
6 mm di lusso
di Imma Sordino. Nate per un utilizzo puramente medico sono poi passate anche a quello
cosmetico e da quello cosmetico naturalmente al vero e proprio lusso. Dobbiamo proprio
ammetterlo le lenti a contatto ne hanno fatta di strada. Fino a pochi anni fa erano utilizzate
esclusivamente come strumento di correzione della vista, poi sono diventate un vezzo per coloro
che per noia, moda o quant’altro volevano cambiare il colore dei propri occhi per una sola notte,
una settimana o per mesi interi come testimoniano per esempio quelle realizzate in color oro con
il logo CD di Dior Eyes, veri e propri accessori per gli occhi. Pensavamo che il loro percorso si
fermasse qui, ma non avevamo considerato evidentemente una fetta di mercato piuttosto
sostanziosa, quella preziosa del mondo dei gioielli. Ma non vi preoccupate, questa mancanza è
stata colmata dalla collaborazione tra il dottor Chandrashekhar Chawan e Sanjay Shah che, in
un laboratorio di Mumbai, sono riusciti a rendere possibile la creazione di lenti rivestite con una
superficie d’oro tempestata da diciotto diamanti, isolata in un corpo di polimero gommoso e da
poco presentate al pubblico per un prezzo al che varia tra gli 11 mila e i 15.700 dollari. Il
dott.Chawan, oculista e optometrista, ci assicura sulla loro ergonomia, precisando che pesano
soltanto 5 grammi e si trovano ad una distanza dalla cornea che varia da 6 a 9 mm, in modo da
far respirare perfettamente gli occhi e non creare fastidi alla vista, aggiungendo che saranno
anche personalizzabili per correggere eventuali deficit visivi. Naturalmente queste preziosissime
lenti a contatto per il momento sono prodotte in India in un’edizione limitate di 4.000 lenti dalla La
Ser Eye Jewelry e sono disponibili in quattro modelli: 18 diamanti su oro bianco, 18 diamanti su
oro giallo, solo oro bianco e solo oro giallo, ma si stanno organizzando piani di vendita anche per
l’estero. Parte del ricavato delle vendite di ogni coppia sarà devoluto alla cura di pazienti affetti
dalla sindrome di Stevens Jonhson, una rara malattia della pelle prodotta dalla reazione a
farmaci, per lo più a base di zolfo, che colpisce le ghiandole lacrimali negli occhi (ghiandole che
aiutano a mantenere gli occhi umidi) e porta alla perdita della vista. BM Shivrai del Rotary
Mumbay Club è stato il primo ad acquistarle per sostenere la causa benefica, chi seguirà il suo
esempio dopo Amber Rose e Lady Gaga?
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Le perle di vetro
una storia veneziana
di Sonia Sbolzani. Le perle veneziane sono elementi decorativi di particolare fascino in ogni epoca,
che studi recenti hanno giustamente valorizzato, sottolineandone gli aspetti non solo estetici, ma
anche economici e culturali tout court.Qui vorremmo appunto raccontare la storia delle perle di
vetro. Specialmente nel periodo Liberty, assecondando i trend di moda, esse furono ampiamente
uilizzate dalle Muse dello stile sia in Italia che all’estero. A Venezia, allora, le manifatture più
significative ed innovative erano quelle dei Moretti e dei Franchini, che andavano sperimentando
creazioni sempre più ardite e fantasiose, dal punto di vista sia cromatico sia artigianale.
Nascevano così le celebri perle lavorate “a lume” con intarsi straordinari, spesso di soggetto
floreale, impreziosite da “fili buttati”. Queste poi, negli anni ’30, vennero utilizzate di frequente
intercalate da elementi vitrei appiattiti (in genere monocromatici ed eseguiti con un semplice filo di
vetro fuso attorcigliato attorno ad un perno centrale), che fungevano da distanziatori e, nello stesso
tempo, facevano risaltare la bellezza delle perle stesse. La vetreria veneziana, dopo l’eclissi
produttiva provocata dalla guerra, rifiorì splendidamente negli anni ’50, quando cominciò a
produrre le perle “pezzate”, realizzate con inserti in foglia d’oro o d’argento ricoperti con una breve
colata di colore trasparente. A volte, queste perle venivano anche “schiacciate” con pinze speciali.
E fecero la loro comparsa con successo anche perle di grandi dimensioni, in vetro soffiato: tra
queste, attenzione particolare meritano i pezzi realizzati non con la tecnica del lume, bensì
direttamente in fornace con una metodologia d’esecuzione simile a quella impiegata per i “finali”
dei lampadari. Poi fu la volta delle perle ritorte (frutto di un semplice movimento compiuto con una
pinza apposita), meglio conosciute come perle “a sventola”, in tutte le varianti cromatiche e di
decoro. Intanto, il progresso scientifico e tecnico portava ad un progressivo perfezionamento dei
colori e vedevano la luce, così, mediante la fusione di canne vitree arrotolate a gomitolo su un filo
di rame, le perle “venate”, solitamente in sfumature pastello o alabastro. E nascevano le perle “a
marmorino”, secondo metodi di colorazione a caldo in fornace. Inoltre, la perla veneziana si
appropriò di una tecnica tintoria di antica tradizione egizia e fenicia: sulla base colorata venivano
“buttati” fili sottili in nuance contrastante o in avventurina, poi tirati con un piccolo uncino.
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Queste murrine, che talvolta presentavano anche piccoli inserti a forma di fiore, erano dette
“strasinàe” (cioè “trascinate”). Sul far degli anni ’60, nelle vetrerie della Serenissima trionfarono
soprattutto le perle soffiate a lume, in grado di offrire un’amplissima gamma di soluzioni, dalla
foglia d’oro o argento alla mezza filigrana, alle canne dritte, all’uso di inserti di murrine, al rigadin,
al balotòn, nomi – questi ultimi, di per sé eloquenti (rigato l’uno, a palla l’altro). Ai produttori di
bijoux italiani e stranieri le perle giungevano direttamente dalla Laguna (e da fornaci
dell’entroterra veneto) sia sfuse, quindi da montare (di consueto su collane o bracciali) sia già
infilate in matasse e mazzi di fili. In quest’ultimo caso, provenivano direttamente dalle abili mani
delle cosiddette “impiraresse”, le donne veneziane che infilavano le perle (già selezionate per
colore, dimensioni e tipologia). I loro canti a stornello sono tuttora rimasti in voga a Piazza San
Marco, dove il business delle murrine continua ad essere più che mai fiorente. Le origini della
perla come ornamento si perdono nella notte dei tempi. Sappiamo che a Venezia (specialmente
a Murano) fu attorno all’anno 1000 che iniziò questo tipo di lavorazione con il vetro (molti vetrai
veneti vi si erano rifugiati dall’interno per sfuggire alle invasioni barbariche). Da sempre esse
sono eseguite secondo due metodi di base: da canna forata e da canna massiccia. Nel primo
caso, si preleva un bolo di vetro, lo si sagoma, lo si fora longitudinalmente con pinze speciali in
modo da ottenere una sorta di tubo. Il bolo viene poi ricoperto con altro vetro ed allungato,
consentendo di ottenere sezioni circolari tanto più sottili quanto maggiore è l’allungamento. A
seconda, così, della sagomatura e degli strati di colore sovrapposti, si hanno perle a sezione
multicolore e “disegnate” come se fossero murrine forate (si veda la deliziosa “rosetta”).
Partendo, invece, da una canna vitrea massiccia, si realizza la tecnica a lume: al calore di una
lucerna, supportata da un mantice, il vetro rifonde e genera un filo che viene avvolto attorno ad
un’asta di metallo, formando un gomitolo, che viene lavorato con pinze e stampini fino ad
ottenere la sagoma desiderata. Tra le varianti di questo tipo di tecnica, ricordiamo quella a foglia
d’oro o d’argento, quella dell’applicazione di murrine sul nucleo principale per creare perle
“millefiori” o “a mosaico”. La lavorazione più caratteristica, però, è quella della perla “fiorata”, con
il bolo principale decorato dal disegno realizzato con un sottile filo di vetro colato da una cannula.
Le perle di vetro, che a Venezia erano generalmente chiamate “conterie” (dal latino “comptus”,
che significa conto, ornato) sono note con nomi diversi, a seconda del tipo: brovadini (specie di
perle non ben arrotolate, di forma cilindrica), Bulgari (dal nome della celebre dinastia orafa
romana; miscuglio di perle del medesimo colore e misura diversa), burattini (miscuglio di perle di
vari colori e stessa misura), ceraspagna (perla tratta da una canna a due strati, uno interno giallo
ed uno esterno in rubino all’oro), corniole (al contrario delle precedenti, hanno lo strato interno
bianco e quello esterno giallo o acquamarina o in rubino in selenio o in rubino all’oro), perle “con
la sottana” (lo strato interno è di qualità scadente, spesso nero, mentre quello esterno pregiato,
solitamente rosso coppo).
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Pietre e pianeti
gli amuleti astrologici
di Lara Barrea de Luna. Per bellezza, rarità e per proprietà specifiche, le pietre preziose ed i
cristalli naturali sono impiegati dalla religione, dalla magia e la cristalloterapia fin dai tempi
antichi, usate nelle cerimonie, per divinare il futuro (le rune, ad esempio), come portafortuna e
per curare le malattie, senza distinzione di religione o posizione geografica. Le 12 tribù di Israele
erano rappresentate da dodici pietre differenti, l’Antico Egitto considerava i gioielli con pietre
preziose veicolo di successo e gloria, in oriente il Ratnaparitza di Buddhasawatta scritto nel VI
secolo A.C. indica le proprietà delle pietre e la loro simbologia, gli antichi Maya portavano amuleti
di Giada per proteggersi dalle malattie e in Cina gli si attribuiva il potere di prolungare la vita. Per
assicurarsi un effettivo aiuto di una pietra, prima del suo utilizzo bisogna “purificarla” lavandola
sotto acqua corrente e successivamente va collocata in un contenitore pieno d’acqua in cui è
stato disciolto del sale marino e lasciarla riposare per ore. Una volta asciugata all’aria la pietra va
sciacquata ancora sotto acqua corrente e va “caricata” lasciandola qualche tempo all'aria aperta
e alla luce del sole, non diretta. L’operazione andrebbe eseguita dal proprietario che se vuole
trasformarla in amuleto deve “indossarla” a contatto con l’epidermide per almeno tre giorni
continuativamente. L’energia posseduta dalla materia si sintonizza con la persona e attraverso i
Chakra viene assorbita propiziando così il benessere psicofisico e aumentando le energie
dell’ospite. Tutt’oggi ad ogni segno zodiacale sono associate delle pietre, quelle più in sintonia
con i nati del periodo, le più efficaci per eliminare i punti di debolezza ed esaltare le opportunità
esistenziali di ogni singolo individuo, utilizzabili per allontanare le negatività create da situazioni
della vita comune e gli influssi dannosi. In generale, le pietre ritenute più utili sono quelle che
hanno una sintonia con il pianeta governatore del Segno: Ariete: Granato, Ematite
Toro:
Smeraldo, Tormalina verde Gemelli: Topazio, Corniola
Cancro: Perla, Pietra di luna Leone:
Rubino, Ambra
Vergine: Quarzo rutilato, Agata Bilancia: Quarzo rosa, Diamante
Scorpione: Corallo rosso, Opale Sagittario: Turchese, Peridoto
Capricorno: Onice, Giada
Acquario: Cristallo di Rocca, Zaffiro Pesci: Acquamarina, Ametista L'abbinamento delle pietre,
più o meno preziose, ai Segni zodiacali è lavoro cui molti astrologi difficilmente si sottraggono,
sia per l'argomento in sé, affascinante e nel contempo misterioso, sia per raccogliere la sfida e
cimentarsi nell'impresa, a dir poco ardua, di mettere ordine in una babele di attribuzioni. Le
informazioni apparentemente contrastanti rispondono ad analisi differenti, ma sono sempre
rivolte a definire il potere di porzioni terrestri ed il modo di veicolarle verso la nostra essenza.
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