OCSE:
“I PROBLEMI DELL’IMPOSIZIONE TRANSFRONTALIERA
SUL REDDITO DERIVANTI DAI PIANI DI STOCK OPTION
A FAVORE DEI DIPENDENTI”
Studio n. 11
Documento n. 27 del 28 novembre 2002
Via G. Paisiello, 24 – 00198 Roma
tel.: 06/85236387 (fax 06/85236390) - c.f.: 80459660587
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INDICE
1. Introduzione
2. Problematiche fiscali per il dipendente
2.1 Differenze temporali nell’imposizione dei benefici economici
dei piani di stock-option
2.1.1 Analisi del problema
2.1.2 Le possibili soluzioni proposte dall’OCSE
2.2 La distinzione tra reddito di lavoro dipendente e plusvalenze
2.2.1 Analisi del problema
2.2.2 Le possibili soluzioni proposte dall’OCSE
2.3 Le difficoltà nell’individuazione dell’attività in relazione alla quale sono
state attribuite le stock-option
2.3.1 Analisi del problema
2.3.2 Possibili criteri per determinare a quali servizi sono correlate le stock-option:
a) l’attribuzione delle opzioni al periodo di lavoro dipendente
2.3.3 b) lavoro dipendente prestato in più Stati
2.4 I casi di multipla residenza del dipendente
2.4.1 Analisi del problema
2.4.2 Le possibili soluzioni proposte dall’OCSE
2.5 Problematiche afferenti gli adempimenti fiscali
2.5.1 Analisi del problema
2.5.2 Le possibili soluzioni proposte dall’OCSE
2.6 L’alienazione delle stock option a seguito di fusioni o acquisizioni
2.6.1 Analisi del problema
2.6.2 Le possibili soluzioni proposte dall’OCSE
2.7 Le differenze nella valutazione dei redditi da stock-option nei casi in cui
le azioni siano quotate in diverse borse
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3. Problematiche fiscali per il datore di lavoro
3.1 La deducibilità del costo del piano di opzione
3.2 Il concetto di “onere della remunerazione sostenuto da una stabile
organizzazione”
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4. Osservazioni e commenti
4.1 La caratterizzazione del reddito
4.2 Le difficoltà nell’applicazione del credito per le imposte assolte all’estero
4.2.1 Le differenze di qualificazione del reddito
4.2.2 Le asimmetrie temporali nella tassazione del reddito
4.2.3 La qualificazione “di fonte estera” del reddito tassato nello Stato della fonte
4.3 L’attribuzione del reddito da stock-option allo Stato della fonte
4.4 Il problema delle plurime imposizioni dovute al trasferimento di residenza
4.5 Profili di diritto tributario comunitario
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OCSE:
“I PROBLEMI DELL’IMPOSIZIONE TRANSFRONTALIERA SUL REDDITO
DERIVANTI DAI PIANI DI STOCK OPTION
A FAVORE DEI DIPENDENTI”
1.
Introduzione
Il Gruppo di Lavoro n. 1 dell’OCSE, sulle convenzioni fiscali e problemi connessi,
è un sottogruppo del Comitato OCSE sugli Affari Fiscali, che si occupa delle problematiche dei trattati.
Alcuni mesi fa, l’OCSE ha pubblicato una bozza di documento (public discussion draft)
in tema di problemi fiscali riguardanti i piani di stock-option a favore dei dipendenti1,
invitando il pubblico a fornire commenti alla stessa entro il 31 ottobre 20022.
Lo studio prende in esame i riflessi di tale problematica, in rapporto al suo trattamento fiscale in ambito domestico e alle convenzioni contro le doppie imposizioni,
quando l’operazione assuma carattere di transnazionalità3.
Il documento esamina i problemi afferenti l’imposizione dei redditi di lavoro
dipendente, mettendo tuttavia in evidenza che i piani di stock-option a favore dei
dipendenti (ESOPs)4 sono suscettibili di generare anche problematiche di transfer
price - che formano oggetto degli studi del Gruppo di lavoro n. 6 dell’OCSE,
deputato appunto allo studio del transfer price – che tuttavia non sono trattati
nello studio5.
Inoltre, il documento dell’OCSE non tratta altre forme di remunerazione dei
dipendenti di tipo azionario, come i piani di azionariato a favore dei dipendenti
non basati sull’attribuzione di opzioni6, le partecipazioni agli utili o le retribuzioni
commisurate alle performance aziendali, o quando le opzioni non riguardino azio-
1 Cfr. OECD, A public discussion draft. A Cross-Border Income Tax Issue Arising from Employee Stock-Option Plans,
Parigi, 2002, infra citato come lo “Studio”.
2 Il termine originario, fissato al 31 luglio 2002, è stato infatti prorogato al 31 ottobre 2002.
3 Si deve ricordare, a tale riguardo, come il tema abbia formato oggetto, in precedenza, del Congresso mondiale IFA tenutosi a Monaco di Baviera nel 2000, su cui si veda AA. VV., International tax aspects of deferred
remunerations, vol. LXXXVb, Rotterdam, 2000, in particolare il General Report di H. J. MOSSNER (21 e ss.) e il
rapporto per l’Italia di C. PAOLELLA (517 e ss.)
4 Employee Stock Options Plans, infra nel testo ESOPs.
5 Cfr. infra la nota 44. In questa sede si può soltanto accennare che le problematiche di transfer price attengono alla qualificazione delle stock-option come remunerazioni piuttosto che come strumenti di acquisizione
di capitale di rischio; se si opta per la qualificazione come remunerazioni, ci si può chiedere se l’emittente
debba addebitarne il costo al datore di lavoro, ove si tratti di una diversa società del gruppo, e se questa sia
tenuta, e in quale misura, ad accettare tale addebito; ulteriormente, occorre individuare le metodologie più
appropriate per determinare il valore normale ai fini dell’applicazione delle regole sul transfer price, anche
nel quadro degli accordi di ripartizione di costi infragruppo (Cost Sharing Agreements).
6 Si tratta di piani che prevedono l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni direttamente da parte dei dipendenti, spesso a condizioni di favore.
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ni ma forme di partecipazione ai risultati, come le opzioni su interessi beneficiari
negli unit trust7. Ancora, sono escluse dalla trattazione le opzioni attribuite agli
amministratori, i profili contributivi dell’operazione e l’analisi delle possibili scelte
di politica fiscale in punto di tassazione delle opzioni8.
Ai fini dell’analisi, non appare importante distinguere tra opzioni “in the money” o
“out of the money”, ossia tra opzioni nelle quali il prezzo di esercizio sia inferiore,
uguale o superiore al valore di mercato delle azioni cui sono correlate, al momento
in cui l’opzione è attribuita9.
Al fine di una compiuta comprensione delle problematiche trattate, appare opportuno soffermarsi su alcune precisazioni terminologiche10, come segue:
(i) stock-option: si tratta di una opzione di acquisto (“opzione call”) ad acquistare
un’azione da un dato venditore in un certo momento (così detta “opzione di
tipo europeo”) o durante un certo periodo (così detta “opzioni di tipo americano”), ad un prezzo predeterminato (detto “prezzo di esercizio” o “strike-price”);
(ii) piano di stock-option a favore dei dipendenti (ESOP): sulla base del piano di
opzione, le stock-option sono attribuite subordinatamente a certe limitazioni
(ad esempio, vi è un differimento tra il momento di attribuzione dell’opzione
e quello in cui essa può venire esercitata, detto “vesting period”, ossia periodo
nel quale il diritto incorporato nell’opzione è in attesa di diventare attuale11).
Il “venditore” delle azioni è di solito il datore di lavoro, ma non necessariamente, nel senso che può essere anche un’impresa collegata. Le azioni che
sono acquistate a seguito del piano di opzione solitamente sono di nuova
emissione, avvenendo la relativa deliberazione nel momento in cui le opzioni
sono attribuite, ma ciò non esclude che oggetto dell’opzione siano azioni già
emesse in precedenza ed acquistate dalla società emittente sul mercato12.
7 Sebbene molte problematiche proprie dei piani di stock-option siano comuni anche alle altre forme di remunerazione dei dipendenti in qualche modo di tipo “azionario”, è tuttavia necessario esaminare dette operazioni caso per caso, in relazione alle loro specifiche caratteristiche, prima di ritenere applicabili a queste ultime i principi formulati per i primi.
8 Si tratta cioè di esaminare il diverso trattamento delle stock-option nei paesi membri dell’OCSE, di analizzare quali moduli impositivi sono idonei a rispettare il principio di neutralità rispetto agli stipendi, di soppesare gli argomenti a favore e contro la neutralità fiscale, e così via. L’OCSE ha annunciato la pubblicazione di
un lavoro sull’argomento, con il taglio tipico di uno studio di tax policy, nei prossimi mesi.
9 Come è noto, sono “in the money” le opzioni il cui prezzo di esercizio sia inferiore al valore di mercato delle
azioni; quelle nelle quali il prezzo di esercizio sia invece uguale o superiore si qualificano “out of the money”.
Su questi concetti e, in generale, sulla tecnica delle opzioni, cfr. ad esempio nella letteratura italiana C.
DEMATTÉ, P. DE SURY, I mercati finanziari internazionali, Milano, 1992, 674 e ss. e spec. 677, e nella letteratura
americana D. E. FISCHER, R. J. JORDAN, Security Analysis & Portfolio Management, sesta ed., New Jersey, 1995,
404 e ss., ove ulteriori riferimenti.
10 Sulle quali si rinvia ancora per approfondimenti ai lavori citati alla nota 9.
11 Il concetto, proprio del common law, di “vesting”, è assai ampio e difficilmente traducibile nelle nostre categorie di civil law. In generale, un diritto è “vested” nel senso che si radica in capo ad un soggetto che ne diviene
titolare. Il fatto che il diritto sia vested non significa necessariamente, tuttavia, che il suo titolare abbia un
diritto immediato al suo godimento o esercizio, distinguendosi a tal fine tra “vested in interest”, in cui il diritto è incondizionato, ma esercitabile solo in futuro, e “vested in possession”, nel senso di diritto incondizionato
che comporta anche quello attuale di godimento ed esercizio. Cfr. F. DE FRANCHIS, Dizionario giuridico, vol. 1,
inglese - italiano, Milano, 1984, 1514 e ss.
12 Su queste problematiche cfr. ad esempio Fondazione Luca Pacioli, Laboratorio di fiscalità internazionale,
L’acquisto di azioni proprie, profili di fiscalità internazionale e comparata, studio n. 9 del 30 settembre, Roma, 2002.
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Tipicamente, il momento dell’attribuzione corrisponde a quello in cui è data
l’opzione al dipendente, di solito soggetta a termine iniziale per il suo esercizio, che conferisce il diritto di acquistare le azioni nel corso di un determinato
arco di tempo. Allorché le condizioni cui è subordinato l’esercizio dell’opzione si sono tutte verificate, si dice che il diritto di opzione diventa irrevocabilmente efficace (irrevocably vested)13;
(iii) benefici economici per i dipendenti:
(a) benefici economici derivanti dall’attribuzione dell’opzione: l’opzione è di
solito attribuita a titolo gratuito o ad un prezzo inferiore a quello di mercato
nel momento dell’attribuzione; allorché il diritto incorporato nell’opzione
diventi attuale, il dipendente ha un diritto incondizionato all’acquisto o sottoscrizione delle azioni (cui corrisponde un obbligo irrevocabile da parte della
società), diritto questo che può essere esercitato o può essere ceduto a terzi
verso corrispettivo;
(b) benefici economici derivanti dall’esercizio dell’opzione: il dipendente acquista azioni ad un prezzo inferiore al loro valore di mercato, e il beneficio è pari
alla differenza tra il prezzo di acquisto e quest’ultimo valore14;
(c) benefici economici derivanti dalla vendita delle azioni: allorché il prezzo di
mercato delle azioni acquistate per effetto dell’esercizio dell’opzione sia
aumentato rispetto al loro costo di acquisto, il dipendente può realizzare un
reddito semplicemente vendendo le azioni sul mercato;
(iv) valore di una stock-option: da un punto di vista finanziario, una opzione può
essere valutata in qualsiasi momento, sin dal momento in cui essa è attribuita15; gli economisti hanno elaborato formule (come quella di Black e Schöles)
per determinare il valore dell’opzione16.
13 In alcune legislazioni fiscali tale condizione non si considera avvenuta quando la società emittente mantenga il diritto di riacquistare l’azione comprata dal dipendente in virtù dell’opzione.
14 Un ulteriore beneficio è costituito dai dividendi che il dipendente riceverà in qualità di azionista.
15 Quando il periodo di esercizio dell’opzione sia particolarmente esteso o le condizioni cui il suo esercizio è
subordinata siano particolarmente complesse, la valutazione può incorporare tali assunzioni ed elementi di
incertezza che ne possono mettere in discussione l’attendibilità.
16 Così, la formula di Black e Schöles è basata sui seguenti fattori, i quali talora necessitano di autonoma stima:
prezzo di mercato dell’azione, prezzo di esercizio dell’opzione, durata, volatilità, tasso di interesse e
ammontare dei pagamenti di dividendi. Il valore, tuttavia, può dipendere anche da ulteriori fattori, come le
condizioni cui è sottoposto il suo esercizio, di natura temporale (termine iniziale), o meno (altre condizioni,
compreso il diritto della società emittente di revocare l’opzione).
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2.
Problematiche fiscali per il dipendente
2.1
Differenze temporali nell’imposizione dei benefici economici
dei piani di stock-option
2.1.1 Analisi del problema
Una prima difficoltà sorge dal fatto che i benefici economici derivanti da un piano
di stock-option sono tassati in momenti diversi nei vari paesi.
Tipicamente, un paese può tassare il reddito derivante dall’opzione nel momento
in cui si realizzano uno o più di questi eventi:
(i) nel momento di attribuzione dell’opzione (granting);
(ii) nel momento in cui il diritto incorporato nell’opzione diventa efficace, ossia
può, in concreto, essere esercitato (vesting)17;
(iii) nel momento in cui l’opzione è esercitata (exercise) o alienata;
(iv) nel momento in cui non vi sono più restrizioni alla vendita delle azioni acquistate in seguito all’esercizio dell’opzione;
(v) nel momento in cui le azioni acquistate in seguito all’esercizio dell’opzione
vengono vendute.
Ulteriormente, il beneficio economico complessivo può essere tassato, nel medesimo paese, in tempi diversi, frazionandosi a seconda degli eventi assunti dalla legislazione fiscale come rilevanti. Ad esempio, una parte del reddito può essere tassata quando l’opzione è attribuita ed un’altra quando le azioni vengono vendute;
oppure, il reddito pari alla differenza tra valore di mercato delle azioni e prezzo di
esercizio è tassato in prima battuta, e in un momento successivo viene tassato l’ulteriore incremento di valore delle azioni rispetto al valore di mercato al momento
dell’esercizio.
Chiaramente, allorché paesi differenti sottopongano ad imposizione i redditi derivanti da piani di stock-option in tempi diversi, sorge il problema di evitare che si
verifichino fenomeni di doppia tassazione, dato che la tassazione nello Stato della
fonte e in quello della residenza non avvengono nel medesimo periodo d’imposta
(la soluzione, in tal caso, può essere parzialmente trovata – rileva l’OCSE18 – nel
riporto in avanti o indietro del credito per imposte estere19).
17 Tra le tipiche condizioni che devono verificarsi affinché il dipendente possa esercitare l’opzione attribuitagli,
di solito è richiesto che questo continui a lavorare presso il datore di lavoro durante un certo periodo di
tempo. Il diritto incorporato nell’opzione, quindi, non si considera “attuale e irrevocabile” fino a che questa
condizione non si sia verificata. In alcuni paesi, tuttavia, una condizione successiva o risolutiva non impedisce al diritto di diventare attuale (ad esempio una condizione secondo cui, anche quando l’opzione possa
essere esercitata, il suo mancato esercizio anteriore alla cessazione del rapporto di lavoro dipendente ne fa
venir meno l’efficacia). In altri paesi, il suddetto diritto non viene mai qualificato come attuale fino a che
l’opzione non sia in concreto esercitata (come appunto dovrebbe qualificarsi l’opzione indicata nell’esempio
precedente, dato che il diritto può andare “perso” in caso di cessazione del rapporto di lavoro).
18 Cfr. lo Studio, § 8, pag. 8. Su questo tema si veda infra, nel testo, il paragrafo 4.2.
19 Sul punto cfr. infra il paragrafo 4.2.2 Le asimmetrie temporali nella tassazione del reddito.
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Ma può sorgere altresì il problema di vedere se debba essere accordato un qualche
meccanismo per evitare la doppia tassazione e, in caso affermativo, entro quale
limite. Ad esempio, se lo Stato di residenza non tassa le stock-option ma sottopone
ad imposizione l’intera plusvalenza realizzata al momento della vendita delle
azioni, questo può negare la spettanza di un credito d’imposta estera (o di una
esenzione) su un diverso presupposto impositivo, previsto dalla legislazione di un
altro Stato ma non nel primo, quale l’esercizio dell’opzione. Anche quando il
primo Stato conceda il credito d’imposta, esso di solito limita la sua spettanza
all’ammontare dell’imposta nazionale gravante sul reddito di fonte estera per cui
esso è applicato, il che significa identificare la quota di plusvalenza che corrisponde a ciò che è già stato tassato nello Stato della fonte20.
A norma dell’art. 15 del Modello OCSE di convenzione contro la doppia imposizione21, lo Stato della fonte ha il diritto di sottoporre ad imposizione non soltanto il
reddito di lavoro dipendente che venga pagato, accreditato o comunque definitivamente acquisito quanto il lavoratore è presente nel suo territorio, ma anche
quello ottenuto o realizzato prima o dopo tale presenza, il quale derivi da attività
svolte nello Stato della fonte. La condizione posta dall’art. 15 per la tassazione
nello Stato della fonte è che il reddito in questione derivi dall’attività di lavoro
subordinato svolta in questo Stato, indipendentemente dal luogo in cui il reddito
viene pagato, accreditato, ecc.22. Secondo lo studio dell’OCSE, lo Stato della fonte
20 Ad esempio, il dipendente E, che è normalmente residente nello Stato A, ha lavorato per sette mesi nello
Stato B. Parte della retribuzione di E derivante dalla sua attività di lavoro nello Stato B era costituita da
stock-option della società Y, residente nello Stato B. Secondo le norme fiscali di B, il reddito derivante da
stock-option è tassabile quando le azioni vengono vendute, ed è quantificato nella differenza tra il prezzo di
vendita delle azioni (150) e il loro prezzo di acquisto (ossia il prezzo di esercizio dell’opzione, ad esempio
100). Nello Stato A, invece, il reddito tassabile è pari alla differenza tra il valore delle azioni alla data di esercizio dell’opzione (ad esempio 120) e il prezzo pagato dal dipendente (100), e tale reddito è assoggettato ad
imposta quando l’opzione è esercitata. Il lavoratore E esercita l’opzione nell’anno 1, ed è tassato su 20 nello
Stato A, mentre nell’anno 3 vende le azioni ed è tassato su 50 nello Stato B.
Si verifica quindi una doppia tassazione su 20, prima tassate nello Stato A, poi incluse nella definizione di
plusvalenza nello Stato B.
21 Nostra traduzione, non ufficiale, dall’originale inglese, che si discosta da quelle comunemente pubblicate:
“Articolo 15 – Redditi di lavoro subordinato
1. Salve le disposizioni degli articoli 16, 18 e 19, i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un
residente di uno Stato contraente ritrae in relazione ad un’attività di lavoro dipendente sono imponibili
soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività di
lavoro dipendente è così svolta, le remunerazioni da essa derivanti sono imponibili in questo altro Stato.
2. Nonostante le disposizioni del paragrafo 1, le remunerazioni che un residente di uno Stato contraente
ritrae da un’attività di lavoro dipendente esercitata nell’altro Stato contraente sono tassabili soltanto nel
primo Stato se:
a) il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo o per periodi che non eccedono in totale 183 giorni nel corso di un periodo di dodici mesi che inizia o termina nel periodo d’imposta considerato, e
b) la remunerazione è pagata da, o per conto di, un datore di lavoro che non è residente nell’altro Stato, e
c) l’onere della remunerazione non è sostenuto da una stabile organizzazione che il datore di lavoro ha nell’altro Stato.
3. Nonostante le precedenti disposizioni di questo articolo, le remunerazioni derivanti da un’attività di lavoro dipendente esercitata a bordo di navi o aeromobili operanti nel traffico internazionale, o a bordo di
imbarcazioni operanti in trasporti in acque interne possono essere tassate nello Stato contraente in cui è
situata la sede di direzione effettiva dell’impresa”.
22 Riprendendo l’esempio sopra svolto alla nota 20, quindi, lo Stato B può tassare la plusvalenza derivante
dalla vendita delle azioni in base all’articolo 15. Tuttavia, lo Stato B applica l’imposta al momento di alienazione delle azioni.
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avrebbe quindi il diritto di tassare, almeno per la parte riconducibile all’attività di
lavoro dipendente, la plusvalenza in base all’art. 15 23, 24.
Un ulteriore problema si pone allorché lo Stato di residenza qualifichi, in base alla
propria legislazione domestica, come di “fonte interna” e non “di fonte estera” il
reddito derivante dall’esercizio dell’opzione. In tal caso, ricordando che il credito
d’imposta per imposte estere si applica a condizione che il reddito relativo sia qualificato “di fonte estera”, il credito d’imposta verrebbe negato al contribuente.
L’applicazione della convenzione contro la doppia imposizione tra i due Stati, tuttavia, potrebbe risolvere il problema, nel senso che il relativo testo potrebbe prevedere il diritto dello Stato della fonte di tassare il reddito (magari nei limiti del reddito derivante dall’esercizio dell’opzione), con il conseguente obbligo, da parte
dello Stato di residenza, di accordare il credito d’imposta25.
Conclusivamente, su questo punto, il rischio di doppia tassazione deriva dal differente momento in cui diversi Stati possono tassare le stock-option. Se è vero che
anche con riguardo agli stipendi possono presentarsi casi di doppia tassazione, è
altrettanto vero che le stock-option si caratterizzano per una serie di eventi (attribuzione dell’opzione, esercizio della stessa, vendita delle azioni) che possono collocarsi temporalmente anche a distanza notevole dal momento in cui l’attività di
lavoro subordinato è stata prestata.
2.1.2 Le possibili soluzioni proposte dall’OCSE
Lo sfasamento temporale nella tassazione delle stock-option può dare luogo a problemi nell’applicazione degli ordinari meccanismi di eliminazione della doppia
imposizione, quando lo Stato di residenza e quello della fonte non tassano il reddito nello stesso periodo d’imposta.
Questo problema – suggerisce l’OCSE26 – può essere parzialmente risolto specificando nel Commentario che l’applicazione dei metodi per evitare la doppia imposizione (esenzione o credito d’imposta) non soffrono restrizioni temporali, ossia
che lo Stato di residenza è obbligato ad evitare la doppia imposizione anche quando tassi il reddito in epoca diversa da quella dello Stato della fonte. Tale modifica
23 Cfr. lo Studio, § 10, pag. 8. L’affermazione è qui contenuta in termini categorici, ossia che lo Stato della fonte
avrebbe diritto di tassare la plusvalenza, e in tale sua formulazione così tranchant non appare condivisibile.
Difatti, essa è poi successivamente smentita nel prosieguo dello Studio, in particolare i §§ 17 e ss., a pag. 9 e
ss.. Si veda al riguardo quanto esposto infra nel testo al paragrafo 4.1 La caratterizzazione del reddito.
24 Ancora riprendendo l’esempio di cui alla nota 20, lo Stato A ha già sottoposto ad imposizione 20, pari alla
differenza tra il prezzo di esercizio dell’opzione e il valore dell’azione alla data dell’esercizio. Dato che due
anni dopo lo Stato B pretende di tassare la plusvalenza di 50, appare difficile per lo Stato A accordare un
sistema di eliminazione della doppia imposizione, per effetto dello sfasamento temporale. Ulteriormente, lo
Stato A potrebbe sostenere che lo Stato B ha tassato un evento diverso rispetto a quello sottoposto ad imposizione nel primo Stato (la plusvalenza rispetto al reddito di lavoro dipendente), e quindi potrebbe limitare il
credito d’imposta alla quota di imposta estera afferente l’evento qualificato reddito di lavoro dipendente,
disconoscendo in base all’art. 13, §4, il diritto di B di tassare la plusvalenza, almeno per la parte di essa eccedente il reddito di lavoro dipendente (30 = 50 – 20).
25 Cfr. infra il paragrafo 4.2.3 La qualificazione “di fonte estera” del reddito tassato nello Stato della fonte.
26 Cfr. lo Studio, pag. 9, § 13.
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del Commentario, tuttavia, non risolve il problema in quei paesi che non seguono
gli art. 23A o 23B del Modello OCSE, ad esempio perché collegano il meccanismo
per evitare la doppia imposizione alle disposizioni del proprio diritto interno.
Alla luce di tale conclusione, l’OCSE suggerisce di integrare il Commentario all’art
15, precisando che lo Stato della fonte ha il diritto di tassare non solo i redditi corrisposti al dipendente quando questo è presente nello Stato della fonte, ma anche
quelli che abbiano la loro fonte nell’attività di lavoro dipendente esercitata in detto
Stato, anche se questo li sottopone ad imposizione in un momento successivo,
ossia quando il contribuente non presta più la sua attività nel predetto Stato. Lo
Stato di residenza, anche in tali ipotesi, sarà tenuto ad accordare i meccanismi per
l’eliminazione della doppia tassazione.
Relativamente alla cennato problema della qualificazione della fonte, interna o
estera, del reddito tassato nello Stato di esercizio dell’attività, nella prospettiva del
diritto interno dello Stato di residenza, è di tutta evidenza che, nel momento in cui
il trattato consente allo Stato della fonte di esercitare la sua potestà impositiva, la
fonte dei suddetto reddito deve qualificarsi estera per la prevalenza della norma
convenzionale, e quindi il credito d’imposta (o l’esenzione) sarà spettante, anche
in caso di difformi disposizioni interne.
2.2
La distinzione tra reddito di lavoro dipendente e plusvalenze
2.2.1 Analisi del problema
Secondo l’OCSE non vi è alcun dubbio che le stock-option assegnate come parte
del trattamento economico del dipendente rientrino nella nozione di “salari, stipendi ed altre remunerazioni” di cui all’art. 15 del Modello, ancorché queste siano
attribuite da un soggetto diverso dal datore di lavoro, come quando la controllante
preveda piani di stock-option per i dipendenti di tutte le società del gruppo, e
quindi anche per quelli delle controllate.
Se dunque l’assegnazione delle stock-option è parte della remunerazione del
dipendente, si potrebbe argomentare che la detenzione e il successivo esercizio
delle stesse è piuttosto il risultato di una decisione finanziaria autonoma del contribuente. Sotto questa prospettiva, secondo l’OCSE27 la differenza tra il reddito
realizzato al momento dell’esercizio dell’opzione e il valore dell’opzione al
momento in cui essa è stata attribuita potrebbe essere qualificata come plusvalenza rientrante nel disposto dell’art. 13, anziché 15, del Modello, con la conseguenza
che non sarebbe tassabile nello Stato della fonte ma soltanto in quello di residenza
del contribuente28, trovando applicazione l’art. 15 soltanto per il reddito pari al
27 Cfr. lo Studio, pag. 9, § 17.
28 Ad esempio, il dipendente E, residente dello Stato A, ha lavorato per due anni nello Stato B. Parte della
remunerazione che E ha ricevuto da questa sua attività nello Stato B è costituita da stock-option sulle azioni
della società Y, residente nello Stato B. Le opzioni di acquisto sulle azioni Y, attribuite ad E, hanno le stesse
caratteristiche di quelle negoziate in borsa nello Stato B sulle azioni delle medesima società.
(segue nota 28 a pag. 8)
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valore dell’opzione al momento in cui essa è stata assegnata.
Tale prospettazione, tuttavia, secondo l’OCSE darebbe luogo a diffusi conflitti di
interpretazione, stante l’elevato numero di paesi che tassano come reddito di lavoro dipendente l’intera plusvalenza realizzata al momento di esercizio dell’opzione,
ossia il reddito costituito dalla differenza tra il valore di mercato delle azioni al
momento dell’esercizio dell’opzione e il prezzo pagato dal dipendente per acquisirle. Tali conflitti di qualificazione potrebbero dare luogo a rischi di doppia imposizione o di non imposizione.
A prescindere da tale conflitto interpretativo, si potrebbe porre un conflitto di qualificazione allorché un paese tassi le stock-option al momento della loro attribuzione e un altro al momento del loro esercizio. Il primo paese potrebbe argomentare
che, sulla base del proprio diritto interno, l’ammontare della plusvalenza realizzata a seguito della vendita delle azioni rientri nel disposto dell’art. 13 (e quindi non
sia tassabile nello Stato della fonte), determinandosi tale plusvalenza quale differenza tra il prezzo di vendita dell’azione, da una parte, e la somma del prezzo di
esercizio e del valore dell’opzione già sottoposto ad imposizione, dall’altra parte.
Il secondo paese, a sua volta, potrebbe qualificare come “plusvalenza” soltanto la
parte del reddito che eccede il valore delle azioni al momento in cui l’opzione è
stata esercitata. Nei limiti in cui il primo Stato concordi sul fatto che l’interpretazione del secondo Stato non costituisce una violazione del trattato, ciò dà luogo ad
un conflitto di qualificazione, che deve essere trattato e risolto in base alle disposizioni del Commentario sub art. 23A e 23B29.
Così, dato che il primo Stato concorda sul fatto che la differenza di qualificazione
non costituisce violazione del trattato, l’imposizione effettuata dal secondo Stato si
considera fatta “in conformità alle disposizioni della presente Convenzione”, con
il risultato che lo Stato di residenza è tenuto ad evitare la doppia imposizione.
Il problema sulla qualificazione del reddito come plusvalenza o reddito da lavoro
dipendente sorge anche nel caso in cui il dipendente ceda l’opzione, avvenga ciò
volontariamente o a causa di specifiche disposizioni del piano di stock-option, ad
esempio nel caso in cui il dipendente cessi il suo rapporto di lavoro.
Le asimmetrie nella qualificazione convenzionale che si risolvono in doppie tassazioni o doppie non imposizioni sono frequenti in quei casi in cui un paese tratti
l’intero vantaggio economico derivante al dipendente a seguito del piano di
stock-option come “plusvalenza”, dato che la maggioranza dei paesi considera la
totalità o almeno parte di detto vantaggio economico come “reddito di lavoro
dipendente”.
(segue nota 28 da pag. 7)
... Il valore delle opzioni assegnate ad E può essere quindi facilmente determinato al momento dell’assegnazione, in relazione alla loro quotazione di borsa in quel giorno. Ipotizzando che l’opzione assegnata ad E
non sia sottoposta ad alcuna restrizione quanto al suo esercizio, ne consegue che E si trova nella stessa situazione di un qualsiasi investitore che avesse acquistato le opzioni in borsa: entrambi seguiranno l’andamento
dei corsi di borsa dell’opzione e dell’azione sottostante, per valutare se e quando vendere l’opzione o esercitarla ed acquistare l’azione. Per tale ragione, si potrebbe sostenere che la plusvalenza realizzata da E, come
da qualsiasi altro investitore, debba essere trattata fiscalmente alla stessa maniera.
29 In particolare avendo riguardo ai paragrafi da 32.1 a 32.7 del Commentario all’art. 23.
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8
“studi”
2.2.2 Le possibili soluzioni proposte dall’OCSE
Il problema può essere risolto – ad avviso dell’OCSE 30 – chiarendo nel
Commentario da quale momento in poi i vantaggi economici dell’opzione si considerano plusvalenze, e sono conseguentemente disciplinate dall’art. 13 e non più
dall’art. 15. Allo stesso tempo, tale chiarimento dovrebbe estendersi nel senso di
specificare che i redditi derivanti dal piano di stock-option non devono ritenersi
compresi nel disposto dell’art. 18 o dell’art. 21.
Assumendo che si possa considerare di comune accettazione che l’art. 15 non si
applica alla totalità del reddito derivante dal momento di assegnazione dell’opzione fino alla vendita dell’azione, ad avviso dell’OCSE la linea di confine più logica
tra reddito di lavoro dipendente e plusvalenza è individuabile nella data in cui
l’opzione è esercitata. Infatti, è questo il momento in cui l’opzione, ottenuta dal
dipendente nel quadro del suo rapporto di lavoro dipendente, cessa di esistere, e il
titolare ottiene lo status di azionista.
Su questa base, il Commentario dovrebbe chiarire, ad avviso dell’OCSE, che il
disposto di cui all’art. 15 si applica ai redditi derivanti direttamente dall’opzione e
che, in definitiva, sono pari alla differenza tra il valore delle azioni al momento
dell’esercizio dell’opzione e il prezzo al quale queste possono essere acquisite,
eventualmente maggiorato del prezzo pagato dal dipendente per l’acquisto dell’opzione.
Il Commentario dovrebbe quindi indicare che ogni successivo incremento di valore delle azioni dovrà essere trattato come plusvalenza. Una eccezione può essere
costituita da quei casi in cui l’opzione sia stata esercitata, allorché tuttavia essa non
attribuisse un diritto attuale ed irrevocabile al suo esercizio sino al momento in cui
un certo periodo di lavoro dipendente non fosse maturato. In tal caso appare più
appropriato applicare l’art. 15 a qualsiasi incremento di valore fino alla fine del
periodo minimo di lavoro richiesto, successivo all’esercizio dell’opzione, necessario per ottenere le azioni.
Il Commentario, ovviamente, chiarirà che tale interpretazione si applica soltanto ai
fini delle norme convenzionali e non implica, pertanto, che la tassazione, per
norma interna, del reddito in questione avvenga necessariamente al momento dell’esercizio dell’opzione. Così, lo Stato della fonte potrà tassare il reddito al
momento dell’attribuzione dell’opzione, al momento del suo esercizio e financo al
momento della vendita delle azioni. Tuttavia questo Stato può sottoporre ad imposizione soltanto quella parte di reddito che può qualificarsi, convenzionalmente,
“reddito di lavoro dipendente” derivante dall’opzione stessa, e non ciò che deve
essere qualificato come “plusvalenza” attribuibile al successivo possesso delle
azioni acquistate in seguito all’opzione.
Tale interpretazione non ha peraltro effetto sulla qualificazione del reddito ai fini
della legislazione interna dello Stato della fonte. Pertanto, mentre l’art. 15 deve
essere interpretato nel senso di consentire allo Stato della fonte di tassare il reddito
30 Cfr. lo Studio, pag. 10, § 22.
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9
“studi”
derivante dall’opzione fino al momento del suo esercizio, sarà in facoltà del medesimo Stato decidere come tassare in concreto tale reddito, ossia se come reddito di
lavoro dipendente o come plusvalenza.
Lo stesso principio si applica nello Stato di residenza, nel senso che, mentre questo
ha il diritto esclusivo di tassare il reddito derivante dall’incremento di valore delle
azioni verificatosi successivamente al momento di esercizio dell’opzione, qualificandosi convenzionalmente detto reddito come “plusvalenza” regolata dall’art.
13, ciò non impedisce che la legislazione interna di detto Stato tassi questa ricchezza come “reddito di lavoro dipendente”, piuttosto che come plusvalenza.
2.3
Le difficoltà nell’individuazione dell’attività in relazione
alla quale sono state attribuite le stock-option
2.3.1 Analisi del problema
Fatte salve le eccezioni contenute nel paragrafo 2, l’art. 15 consente allo Stato della
fonte di tassare le remunerazioni derivanti da attività esercitate nel suo territorio.
In molti casi, può essere difficile determinare a quali attività siano riferite le stockoption. Alcuni, difatti, possono inquadrare le stock-option come compenso per i
risultati del passato, mentre altri le possono vedere come incentivi per i risultati
futuri.
Certamente, le previsioni contrattuali assumono rilievo centrale ai fini della soluzione del problema. Ad esempio, la clausola secondo cui l’opzione non potrà essere esercitata a meno che il dipendente non rimanga tale per un certo periodo di
tempo futuro rispetto alla data di attribuzione dell’opzione, suggerisce che l’opzione è un corrispettivo per l’attività futura. All’opposto, il fatto che siano attribuite opzioni a tutti i dipendenti che siano stati tali durante un certo periodo di
tempo, oppure che esse siano un premio per certe performance aziendali conseguite, o che il dipendente non perda il beneficio delle opzioni attribuite anche se
cessi di essere tale, o che il numero di opzioni concesse dipende dal risultato
aziendale dell’ultimo esercizio, induce a ritenere che le opzioni siano corrispettivo
di attività svolte, e di risultati conseguiti, nel passato31.
31 Ad esempio il dipendente E, che è attualmente residente nello Stato A, è assunto presso la società Y, residente nello Stato A con stabile organizzazione nello Stato B. Dal 1990 e fino al 31 dicembre 1997 E ha lavorato
nello Stato A. Nel 1998 E ha lavorato nello Stato B nella stabile organizzazione ivi situata, senza diventare
residente in detto Stato ai fini della convenzione tra A e B. Il 1° gennaio 1999 E torna nello Stato A, e il 31
marzo successivo riceve una stock-option sulla base di un piano di stock-option deciso dalla società Y. In
base al piano, le opzioni sono attribuite al 31 marzo di ogni anno, ai dipendenti che sono stati in servizio nell’anno precedente. Le opzioni hanno durata di 5 anni, ma non possono essere esercitate prima che siano trascorsi 24 mesi dalla loro attribuzione e sono acquisite irrevocabilmente da E allorché egli rimanga dipendente per questo periodo minimo. Il 20 giugno 2001 E esercita le opzioni in suo possesso. A quel punto B decide
di sottoporre ad imposizione, quale reddito di lavoro dipendente relativo al 1998, la differenza tra l’ammontare pagato da E per acquisire le azioni (prezzo di esercizio) e il loro valore di mercato a tale data. Lo Stato A,
tuttavia, ritiene che le stock-option non siano relative al periodo di lavoro di E nello Stato B.
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Tuttavia, l’individuazione del periodo di lavoro a cui si riferisce l’opzione può dar
luogo a visioni differenti da parte di più Stati coinvolti, segnatamente tra lo Stato
della residenza e lo Stato della fonte. Ci si può chiedere se tali differenti assunzioni
siano inquadrabili come “conflitti su visioni di fatto” (lo Stato di residenza contesta, ad esempio, che l’opzione si riferisca alla remunerazione di attività prestata
nello Stato della fonte) o come “conflitti di interpretazione” dell’art. 15 (gli Stati
non concordano sull’interpretazione dell’espressione “remunerazioni derivanti da
attività di lavoro dipendente svolte in uno Stato”, contenuta nell’art. 15). In
entrambi i casi, i principi sviluppati dall’OCSE sui c.d. “conflitti di qualificazione”32 non appaiono idonei a risolvere il problema, dato che non vi è accordo, in entrambi i casi, sul fatto che lo Stato della fonte abbia esercitato il suo potere impositivo “a norma delle disposizioni della Convenzione”.
2.3.2 Possibili criteri per determinare a quali servizi sono correlate le stock-option:
a) l’attribuzione delle opzioni al periodo di lavoro dipendente
Una possibile soluzione per risolvere il problema di individuare la “correlazione”
tra l’opzione e l’attività prestata potrebbe essere quella – suggerisce l’OCSE33 - di
aggiungere al Commentario all’art. 15 una serie di criteri che possono essere applicati caso per caso, avuto riguardo a tutte le circostanze della fattispecie, incluse le
clausole contrattuali in base alle quali le opzioni sono attribuite. Il Gruppo di
Lavoro dell’OCSE ha stilato la seguente bozza di criteri:
1. La determinazione del periodo di lavoro da cui deriva un particolare piano di
stock-option deve essere effettuata tenuto conto di tutti i fatti e le circostanze
rilevanti, incluse le condizioni contrattuali associate con dette opzioni (ad
esempio le condizioni in base alle quali l’opzione attribuita può essere esercitata o venduta). I seguenti principi generali possono essere di ausilio per
effettuare tale determinazione.
2. In primo luogo, come regola generale, un piano di stock-option non dovrebbe
essere considerato come correlato ad alcun servizio reso dopo il periodo di
lavoro richiesto quale condizione affinché il dipendente acquisti un diritto
irrevocabile su quest’opzione. Così, allorché una stock-option sia attribuita ad
un dipendente a condizione che egli continui a prestare la sua attività presso
il medesimo datore di lavoro (o un’altra società del gruppo) per un periodo
di tre anni, il reddito derivante da tale opzione non dovrebbe essere generalmente attribuito alle attività svolte successivamente a questo periodo triennale. Applicando questo principio, tuttavia, occorre tener conto delle seguenti
considerazioni:
32 Cfr. OCSE, Application of the OECD Model Tax Convention to Partnerships, in OECD, Model Tax Convention on
Income and Capital, a fogli mobili, vol. II, R(15)1 e ss., spec. la sez. III, in R (15) 38 e ss.
33 Cfr. lo Studio, pag. 11, § 29.
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“studi”
a) E’ importante distinguere tra periodo di lavoro dipendente richiesto per
ottenere il diritto ad una stock-option per il dipendente e il periodo di
tempo che soltanto consiste in un differimento entro il quale l’opzione non
può essere esercitata (periodo di blocco). Così, ad esempio, un’opzione
concessa ad un dipendente a condizione che rimanga alle dipendenze
dello stesso datore di lavoro (o società del gruppo) durante un periodo di
tre anni può essere considerata come correlata all’attività svolta in questi
tre anni, mentre un’opzione che sia attribuita incondizionatamente ad un
dipendente ad una certa data ma che, sulla base della clausole cui essa è
sottoposta, possa essere esercitata solo dopo un periodo di tre anni, indipendentemente dalla permanenza o meno del rapporto di lavoro, non
dovrebbe essere considerata come afferente all’attività svolta in questo
triennio, dato che il reddito di tale opzione matura a favore del suo possessore anche se egli cessi il suo rapporto di lavoro dipendente immediatamente dopo aver ricevuto l’opzione e debba attendere lo spirare dei tre
anni prima che possa esercitarla.
b) E’ altresì importante distinguere tra una situazione nella quale un certo
periodo di lavoro dipendente sia richiesto come condizione affinché il
diritto incorporato nell’opzione sia incondizionato e una situazione nella
quale il diritto dell’opzione, che sia già perfetto ed efficace, possa tuttavia
venir meno ove l’opzione non sia esercitata prima che il lavoro dipendente
sia cessato (o entro un breve periodo successivo). In quest’ultima situazione, il beneficio afferente l’opzione non dovrebbe essere considerato come
afferente l’attività prestata dopo che il diritto è diventato perfetto ed efficace, dato che il beneficio è già stato ottenuto dal dipendente e il dipendente
può realizzarlo in ogni tempo. Una condizione in base alla quale un’opzione perde di efficacia allorché cessi il rapporto di lavoro non può essere considerata una condizione per l’acquisizione di un beneficio ma, piuttosto,
una condizione in base alla quale un beneficio già acquisito può successivamente andar perso.
c) Ci sono casi eccezionali nei quali il principio sopra indicato non si applica.
Un caso di tal genere può verificarsi quando il diritto ad una remunerazione basata sulle performance aziendali sia attribuito in modo irrevocabile ad
un dipendente nel momento in cui o egli è assunto, o è trasferito in un altro
paese, o gli vengono attribuiti nuovi incarichi e, in ogni caso, il diritto è
correlato alle nuove funzioni che il dipendente dovrà svolgere durante uno
specifico periodo futuro. In tal caso, appare appropriato considerare che il
diritto è correlato a queste nuove funzioni anche se è irrevocabilmente
acquisito prima che queste siano effettuate.
d) Vi sono altresì casi in cui un’opzione il cui diritto sia irrevocabilmente efficace ma che non possa essere esercitato fino a che non sia decorso un certo
periodo di attività di lavoro dipendente: in tali ipotesi appare appropriato
considerare che i benefici dell’opzione siano relativi alle prestazioni rese
nell’intero periodo compreso tra l’attribuzione dell’opzione e il momento
in cui essa può essere in concreto esercitata.
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“studi”
3.
4.
5.
e) Allorché sia richiesto un periodo minimo di lavoro per ottenere il diritto
afferente le stock-option, ma tale requisito non sia applicato in alcune circostanze, come nel caso in cui il datore di lavoro rinunci al periodo minimo o
il dipendente raggiunga, prima del termine dello stesso, l’età pensionabile,
è evidente che il beneficio dell’opzione potrà essere attribuito soltanto ai
servizi svolti in tale più ristretto periodo.
In secondo luogo, i benefici di un piano di stock-option possono essere attribuiti a prestazioni rese anteriormente al momento di attribuzione delle opzioni soltanto allorché detta attribuzione sia stata subordinata al fatto che il
dipendente avesse svolto la sua attività per un certo periodo di tempo.
Questo è il caso, ad esempio, quando la remunerazione si basi sui risultati
conseguiti da parte del dipendente in un certo periodo passato, o su determinati risultati conseguiti dal datore di lavoro sempre nel passato, e tali performance positive siano state poste quale condizione per l’attribuzione delle
opzioni. In altri casi, vi può essere evidenza probatoria del fatto che durante
un periodo passato di impiego, i dipendenti avessero una diffusa aspettativa
che parte della loro remunerazione sarebbe stata costituita da un piano di
stock-option in cui le concrete attribuzioni sarebbero avvenute successivamente. La prova di una simile situazione può derivare, ad esempio, dalla
costante prassi di un datore di lavoro, verificata per un certo numero di anni,
in tal senso, a meno che non emergano fatti idonei a far ritenere che vi sia
stato un mutamento di strategie nella remunerazione del personale.
In terzo luogo, vi possono essere situazioni in cui alcuni elementi suggeriscono che il piano di stock-option abbia caratteristiche di remunerazione di attività passate, mentre altri che questo si riferisca ad attività future. In un simile
caso di dubbio, deve essere ricordata la regola generale di esperienza secondo la quale le stock-option sono attribuite come incentivo per i risultati futuri
o come strumento per non perdere collaboratori di valore. Così, le stockoption dovranno essere considerate in generale come remunerazione di attività future34.
Al fine di evitare una doppia imposizione, quando diversi Stati raggiungano
conclusioni differenti nell’applicazione dei suddetti principi, questi sono
incoraggiati ad utilizzare la procedura amichevole prevista dalle convenzioni
contro le doppie imposizioni al fine di concordare una comune qualificazione
in ordine al periodo cui i benefici delle opzioni possono essere attribuiti o criteri generali da applicarsi nelle situazioni più diffuse.
34 Prima di assumere, tuttavia, una simile decisione, occorre valutare congiuntamente tutti i fattori rilevanti
alla fattispecie, di modo tale che non si possono escludere a priori casi in cui le stock-option abbiano natura
retributiva di attività sia passate sia future, come quando le opzioni siano attribuite perché il dipendente ha
raggiunto specifici target nel passato ma possono essere esercitate soltanto allorché questo rimanga tale per
alcuni anni successivi.
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2.3.3 b) lavoro dipendente prestato in più Stati
Quando l’attività di lavoro dipendente a cui le opzioni possono essere attribuite si
sia svolta in più di uno Stato, occorre prevedere una regola di allocazione ai fini
dell’applicazione degli articoli 15 e 23 (A o B) del Modello OCSE.
Un metodo logico di allocazione – che l’OCSE suggerisce anche come integrazione
al Commentario sull’art. 15 – potrebbe essere quello di ripartire il beneficio complessivo derivante dalle stock-option in proporzione al periodo di attività svolta in
ciascuno Stato, in rapporto al periodo totale di attività per il quale l’opzione è
attribuita35.
Tale formula di ripartizione consente quindi di determinare su quale parte del reddito lo Stato di residenza ha l’obbligo di riconoscere il credito d’imposta estero, ma
non limita evidentemente in alcun modo il suo diritto all’imposizione su base mondiale, a meno che il meccanismo per evitare la doppia imposizione da questo prescelto consista nel metodo dell’esenzione. In casi di multipla residenza, tuttavia,
come si vedrà nel paragrafo successivo, tale allocazione non sarà sufficiente ad evitare una doppia tassazione che può risultare in differenze temporali nell’imputazione a periodo dei redditi da stock-option da parte di differenti Stati di residenza.
2.4
I casi di multipla residenza del dipendente
2.4.1 Analisi del problema
Le osservazioni precedenti si sono focalizzate primariamente sui problemi di conflitto tra tassazione nello Stato di residenza e nello Stato della fonte. Tuttavia, i
rischi di doppia o plurima imposizione non si verificano solo o, meglio, principalmente, a causa dei criteri di tassazione nel paese della fonte e in quello di residenza del medesimo reddito. Difatti, allorché il dipendente sia residente in un paese e
eserciti la sua attività in un secondo paese di cui non sia residente, il Modello
OCSE offre nell’art. 23 il meccanismo per evitare una doppia imposizione.
Tuttavia, il dipendente può risiedere in differenti paesi al momento in cui l’opzione è
attribuita, in quello in cui il diritto in essa incorporato diviene irrevocabile, in quello
in cui l’opzione è esercitata e in quello in cui le azioni acquistate vengono vendute.
35 Ad esempio, un piano di stock-option è relativo ad un periodo di lavoro di tre anni (36 mesi). Nell’anno 1 il
dipendente è stato residente nello Stato A (il paese in cui il contribuente è residente), ma ha svolto la sua attività per 6 mesi nello Stato B (con una presenza eccedente i 183 giorni, il che attribuisce allo Stato B il diritto
di tassare il reddito) e per un mese nello Stato C (poiché la permanenza è inferiore ai 183 giorni e le altre condizioni di cui all’art. 15, § 2 sono verificate, lo Stato C non ha diritto di imposizione secondo il disposto dell’art. 15 della convenzione tra A e C). Negli anni 2 e 3, egli è residente nello Stato D, in cui ha svolto la sua
attività.
In questo caso, 5/36 del beneficio devono essere attribuiti allo Stato A, 6/36 allo Stato B, 1/36 allo Stato C e
24/36 allo Stato C. Tale allocazione ha per scopo quello di ripartire il reddito derivante dall’attività svolta nei
diversi Stati. Tuttavia, occorre verificare le conseguenze di tale ripartizione in base al disposto dell’art. 15 –
in punto di diritto d’imposizione dello Stato della fonte - e dell’art. 23 – in punto di obbligo dello Stato di
residenza di concedere meccanismi volti ad evitare la doppia imposizione.
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“studi”
Tutti questi paesi possono avanzare il diritto di tassare il reddito in quanto Stati di
residenza, e se il sistema tributario interno di ciascuno di essi prevede l’imposizione
del reddito derivante dalle stock-option nel momento in cui il contribuente è residente, si potrà verificare un caso di plurima imposizione dovuta alla residenza. In
una siffatta ipotesi l’art. 23 del Modello OCSE – che risolve il problema della doppia
imposizione tra Stato di residenza e Stato della fonte – non è di alcun ausilio nel
comporre il conflitto tra pretese impositive di più Stati, tutte basate sulla residenza.
Questo rischio di plurima imposizione aumenta ulteriormente allorché uno degli
Stati interessati preveda nel suo ordinamento una “exit tax” sulle plusvalenze, in
base alla quale si considerano realizzate, ai fini fiscali, e sono quindi tassate, le plusvalenze latenti sulle attività di proprietà del contribuente, nel momento in cui
questo cessa di essere residente nel paese; ovvero in quei casi in cui lo Stato di exresidenza mantenga, per norma interna e convenzionale, il diritto di sottoporre ad
imposizione le plusvalenze realizzate, da coloro che furono suoi residenti, successivamente all’emigrazione36.
36 Possiamo riprendere l’esempio indicato alla nota 35, in cui l’opzione sia remunerativa di un periodo di
lavoro triennale. Nell’anno 1, il contribuente è residente nello Stato A, ma ha svolto la sua attività per 6
mesi nello Stato B, con permanenza oltre i 183 giorni, e per 1 mese nello Stato C. Negli anni 2 e 3 ha lavorato nello Stato D, del quale è diventato residente.
Come si è già evidenziato, il reddito potrà essere allocato per 5/36 all’attività svolta nello Stato A, per 6/36
a quella svolta nello Stato B, per 1/36 a quella svolta nello Stato C e per 24/36 a quella svolta nello Stato D.
Tuttavia, lo Stato A potrà avere il diritto – in base alle convenzioni tra A e B, tra A e C e tra A e D – di tassare
l’intero reddito derivante dalle stock-option a condizione che eserciti il suo potere d’imposizione nel
momento in cui il contribuente è suo residente, e in conformità alla sua normativa interna. Egli, tuttavia,
sarà tenuto a riconoscere un credito d’imposta in relazione ai 6/36 del reddito che si assumo prodotti nello
Stato B e ai 24/36 che si considerano prodotti nello Stato D.
Quale Stato della fonte, B avrà il diritto di tassare soltanto i 6/36 del reddito, sulla base delle convezioni tra
B ed A e tra B e D.
Lo Stato C non avrà alcun diritto di tassazione, a norma delle convenzioni tra C ed A e tra C e D.
Lo Stato D ha il diritto di tassare l’intero reddito, in quanto Stato di residenza, purché eserciti il suo diritto
d’imposizione nel periodo in cui il contribuente è suo residente, e in conformità alla sua normativa interna.
Egli sarà tenuto a riconoscere il credito d’imposta per 5/36 del reddito, prodotti nello Stato A (che dalla
prospettiva di D diventa Stato della fonte), e per 6/36 del reddito, prodotti nello Stato B.
Se lo Stato A tassa il reddito derivante dall’opzione nel momento in cui essa è attribuita, e D tassa il medesimo reddito al momento in cui essa è esercitata, lo Stato A sottoporrà ad imposizione l’intero reddito nell’anno 1, e lo Stato D farà lo stesso nell’anno 3. L’art. 15 della convenzione tra A e D non impedisce il diritto
di questi paesi di tassare qualsiasi parte del reddito, dato che il contribuente è residente in entrambi gli
Stati, sia pure in momenti diversi, ma proprio in quei momenti in cui ciascuno Stato considera il reddito
come realizzato e quindi sottoponibile ad imposizione.
Naturalmente, l’art. 23 della convenzione tra A e D richiederà a ciascuno Stato di accordare il credito d’imposta o l’esenzione, ma limitatamente alla parte di reddito di fonte estera, ossia alla parte di reddito afferente l’attività svolta nell’altro Stato, che sotto questo profilo assume rilievo come Stato della fonte.
Così, lo Stato A sarà tenuto ad evitare la doppia imposizione per i 24/36 del reddito, prodotti negli anni 2 e
3 nello Stato D, mentre D dovrà fare lo stesso relativamente ai 5/36 del reddito prodotti nell’anno 1 nello
Stato A.
Il risultato sarà che né lo Stato A, né lo Stato D eviteranno la doppia imposizione per le imposte applicate
nell’altro Stato contraente sulla parte del reddito prodotto nello Stato B (6/36) e nello Stato C (1/36).
Entrambi eviteranno la doppia imposizione per le imposte applicate in B, ma la doppia imposizione si verifica per la parte d’imposta applicata nello Stato di residenza eccedente l’imposta applicata in B, che risulterà dovuta sia in A, sia in D.
(segue nota 36 a pag. 16)
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“studi”
Quando due Stati di residenza sottopongano a tassazione, in momenti diversi, l’intero reddito, essi accorderanno soltanto il credito d’imposta per il reddito prodotto
in altri Stati della fonte, ma non sono tenuti a scomputare anche le imposte pagate
nell’altro Stato di residenza per i redditi che non siano stati ivi prodotti. La doppia
tassazione è quindi riconducibile al prelievo effettuato dai due Stati di residenza
sui redditi di fonte estera, per il differenziale d’aliquota tra quella vigente in ciascun Stato di residenza e quella vigente nei paesi della fonte.
Si potrebbe argomentare che il “secondo” Stato di residenza37 dovrebbe accordare
il credito d’imposta non soltanto per i tributi assolti negli Stati della fonte, ma
anche per quelli pagati nel “primo” Stato di residenza38, dato che detto prelievo è
avvenuto in conformità alla convenzione tra i due Stati di residenza, e nessuna
disposizione convenzionale impedisce allo Stato di “prima” residenza di tassare il
dipendente nel momento in cui l’opzione è attribuita. Una simile interpretazione,
tuttavia, produrrebbe un risultato assurdo, dato che imporrebbe simmetricamente
allo Stato di “prima” residenza di accordare un credito d’imposta per i tributi
pagati nello Stato di “seconda” residenza. Ovviamente, una interpretazione che
(segue nota 36 da pag. 15)
... La doppia imposizione poi è più grave per quanto concerne lo Stato C. In tal caso, sia lo Stato A, sia lo
Stato D, come Stati di residenza, hanno pieno diritto a tassare il reddito prodotto in C, mentre questo, pur
essendo Stato della fonte, non ha alcun diritto d’imposizione per le norme convenzionali. Di conseguenza,
per il reddito prodotto in C, né A né D accorderanno il credito d’imposta, il che si risolve in una doppia
imposizione per la quota di reddito prodotta in C.
Tale situazione risulta più chiara con un esempio numerico (ci discostiamo da quello dell’OCSE, in cui vengono usati valori assoluti anziché aliquote, il che può confondere il Lettore).
Ipotizziamo dunque che il reddito prodotto nel triennio sia di 100 e che l’aliquota vigente in tutti gli Stati
sia del 36%. In assenza di fenomeni di doppia imposizione, quindi, il contribuente dovrebbe sostenere un
onere fiscale complessivo di 36.
Lo Stato A tasserà, in quanto Stato di residenza, l’intero reddito (36% di 100), accordando un credito d’imposta per i redditi prodotti in B (36% di 6/36 di 100), pari a 6, e in D (36% di 24/36 di 100), pari a 24, applicando una tassazione netta di 6.
Lo Stato B applicherà una tassazione di 6 (36% su 6/36 di 100).
Lo Stato C non applicherà alcuna tassazione.
Lo Stato D tasserà, in quanto Stato di residenza, l’intero reddito (36% di 100), accordando un credito d’imposta per i redditi prodotti in B (36% di 6/36 di 100), pari a 6, e in A (36% di 5/36 di 100), pari a 5, applicando una tassazione netta di 25.
L’imposizione complessiva a carico del contribuente è di 37 (6 in A, 6 in B e 25 in D), pari al 37% del reddito,
contro il 36%, con un maggior onere d’imposta del 1% dovuto a fenomeni di doppia tassazione. Come si può
agevolmente notare, questo 1% di maggior tassazione deriva dal fatto che il reddito prodotto in C è tassato sia
da A, sia da D, senza che alcuno dei due Stati di residenza riconoscano un credito per tale imposta.
La gravità della doppia tassazione – che l’aliquota dell’1% poco mette in evidenza – appare più chiara da
un esempio più verosimile, che preveda aliquote differenziate nei paesi di residenza (A e D, 36%) e nei
paesi della fonte (B e C, 18%).
Anche qui l’imposizione “non doppia” implicherebbe un carico fiscale complessivo di 36 (pari all’aliquota
dei paesi di residenza), mentre quella effettiva è di 9 in A [A: 36 – (B: 18% su 6/36 di 100 = 3) – (D: 36% su
24/36 di 100 = 24)], di 3 in B, di 0 in C e di 28 in D [D:36 – (B: 18% su 6/36 di 100 = 3) – (A: 36% su 5/36 di
100 = 5)], pari al 40%. La doppia imposizione di 4 è riconducibile per 1 alla tassazione del reddito prodotto
in C da A e D (36% di 1/36 di 100) e per 3 dalla differenza di aliquota applicata sia da A, sia da D, sul reddito prodotto in B (36% - 18% = 18% su 6/36 di 100 = 3). Il tutto può essere ricondotto alla differenza di aliquota tra Stati di residenza e Stati della fonte, che è applicata da parte dei due Stati di residenza [(36% - 0%
in C su 1/36 di 100 = 1) + (36% - 18% in B su 6/36 di 100 = 3) = 4].
37 Nell’esempio contenuto nelle note che precedono si tratterebbe dello Stato D.
38 Nell’esempio si tratta dello Stato A.
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“studi”
giunga al risultato di imporre a ciascun Stato di residenza di scomputare le imposte assolte nell’altro Stato di residenza deve essere respinta.
2.4.2 Le possibili soluzioni proposte dall’OCSE
La discussione sopra evidenziata nel testo e gli esempi forniti in nota evidenziano
come l’art. 23 del Modello OCSE non sia in grado di risolvere i conflitti d’imposizione tra diversi Stati di residenza, dando quindi luogo a doppie imposizioni sui
redditi derivanti da piani di stock-option. Una possibile soluzione per risolvere il
problema – suggerisce l’OCSE39 - sarebbe quella di prevedere che le autorità competenti dei due Stati si accordassero prevedendo che ciascuno Stato deve scomputare l’imposta estera basata sulla residenza che fu applicata dall’altro Stato sulla
parte del reddito relativo a servizi resi durante il periodo in cui il contribuente era
residente dell’altro Stato40.
Il Commentario dovrebbe così essere modificato per prevedere che questo approccio al problema offre una buona base per risolvere queste problematiche di doppia
tassazione dovute a conflitti tra Stati di residenza. Deve essere tuttavia rilevato che
questi casi di “multiple residence taxation” non si limitano ai redditi derivanti dai
piani di stock-option e occorrerebbe verificare se una simile soluzione sarebbe
appropriata anche in altri casi.
2.5
Problematiche afferenti gli adempimenti fiscali
2.5.1 Analisi del problema
In pratica, una parte significativa delle difficoltà transfrontaliere relative ai piani di
stock-option derivano da problematiche di tipo amministrativo e dagli adempimenti fiscali. Anche se diversi problemi sopra illustrati possono essere risolti chiarendo ciò che ciascun paese coinvolto può assoggettare a tassazione e come debba
essere accordato un meccanismo per evitare una doppia imposizione, vi è ancora
un carico amministrativo non indifferente per le amministrazioni finanziarie e un
onere da adempimenti per i dipendenti che risiedono e lavorano in tempi successivi in differenti paesi. L’imposizione dei redditi di tali dipendenti richiede che le
amministrazioni fiscali determinino correttamente a quali attività l’opzione è relativa e tengano conto delle operazioni afferenti le opzioni e le azioni in società estere. Diversi paesi e svariate società hanno sperimentato come opzioni relative ad
azioni in società estere, attribuite a dipendenti di società sussidiarie nazionali, possano dar luogo a notevoli difficoltà, particolarmente a causa del fatto che il locale
datore di lavoro, che di solito è il sostituto d’imposta, può non essere direttamente
coinvolto nel piano di stock-option.
39 Cfr. lo Studio, pag. 17.
40 Così, apparirebbe logico per lo Stato D accordare il credito d’imposta (o l’esenzione dei redditi) per i redditi
tassati in A afferenti attività svolte non solo in A, ma anche in B e in C, dato che al tempo in cui dette attività
furono svolte, il contribuente era residente nello Stato A e non in D ai fini della Convenzione tra A e D.
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17
“studi”
2.5.2 Le possibili soluzioni proposte dall’OCSE
Uno strumento efficace per ridurre le difficoltà amministrative e da adempimenti
– evidenzia l’OCSE41 - può essere quello di realizzare un sistema più efficiente di
scambio di informazioni in relazione ai piani di stock-option. A seconda delle singole disposizione di legge applicabili in ambito nazionale, le informazioni possono essere richieste presso il datore di lavoro, il lavoratore o la società che gestisce il
piano, la quale tipicamente disporrà di tutte le informazioni afferenti la partecipazione del singolo dipendente al piano, come la data di attribuzione e di esercizio
dell’opzione, e le altre condizioni che regolano l’operazione.
Tali informazioni possono essere richieste a diverse persone e in differenti forme.
Possibili miglioramenti con riguardo allo scambio d’informazioni relative ai piani
di stock-option potranno essere esaminati nel quadro del lavoro svolto dal
Comitato nell’area dello scambio d’informazioni. Una ulteriore strada per alleviare
queste difficoltà potrebbe consistere nella capacità delle amministrazioni fiscali di
rendere chiara e agevolmente comprensibile la disciplina fiscale nazionale delle
stock-option. Difatti, in diversi paesi, il loro trattamento fiscale dipende non già da
norme specifiche, ma dall’interpretazione di norme e principi di carattere generale. Anche in questi casi è onere delle amministrazioni fiscali rendere chiara e coerente la sua interpretazione in punto di regime tributario delle stock-option.
2.6
L’alienazione delle stock option a seguito di fusioni o acquisizioni
2.6.1 Analisi del problema
A seguito di una fusione o di una acquisizione, è possibile che le opzioni per acquistare azioni di una società fusa o acquisita siano sostituite da opzioni per acquistare
azioni nella società risultante dalla fusione o acquirente. Ciò può essere considerato, in alcuni paesi, un atto di alienazione delle stock-option, atto che può assumere
rilevanza fiscale o nello Stato di residenza del dipendente, o in quello della fonte, o
in entrambi. Un trattamento differente dell’operazione nei due paesi può dare
luogo a fenomeni di doppia tassazione dovuti a differenze di imputazione a periodo del reddito tassabile. Ancora, se uno Stato non considera che le opzioni attribuite ad un dipendente residente siano alienate in caso di fusioni o acquisizioni effettuate all’interno dei confini nazionali, ci si può attendere che lo stesso principio
debba valere allorché nell’operazione siano coinvolte società estere42.
41 Cfr. lo Studio, 17.
42 Ad esempio, il dipendente E, residente dello Stato A, ha delle stock-option nella società Y, residente nello
Stato B. La società Y si fonde con la società Z, anch’essa residente in B, per formare la nuova società YZ.
Nell’operazione, tutte le opzioni nella società Y sono oggetto di concambio con opzioni nella società YZ.
Mentre una fusione effettuata all’interno dei confini nazionali non sarebbe considerata una alienazione delle
opzioni da parte del dipendente, secondo il diritto di A o di B, lo Stato A potrebbe considerare che la fusione
tra Y e Z abbia dato luogo non ad un mero concambio non tassabile ma ad una cessione delle opzioni nella
società fusa e un acquisto delle stesse in quella risultante dalla fusione, oppure ad una permuta di opzioni
fiscalmente rilevante.
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18
“studi”
2.6.2 Le possibili soluzioni proposte dall’OCSE
Soltanto alcuni trattati fiscali affrontano il problema delle differenze derivanti da
operazioni di riorganizzazione societaria che hanno effetti transfrontalieri. Mentre
queste disposizioni possono non menzionare specificatamente le stock-option, tali
disposizioni possono comunque essere di ausilio allorché il concambio di opzioni
a seguito di fusione possa qualificarsi come alienazione in uno Stato ma non nell’altro. Per esempio, al fine di evitare tale asimmetrie di qualificazione dell’operazione, occorrerebbe stilare – ad avviso dell’OCSE43 - specifiche disposizioni convenzionali che consentano ai contribuenti di considerare come alienazione le operazioni di concambio che non vengono qualificate tali per il diritto interno, ovvero
di ottenere differimenti di imposizione su una “cessione presunta” prevista dal
diritto interno, a seguito di fusione, ancorché il diritto tributario interno del paese
in questione consideri il concambio come tale.
2.7 Le differenze nella valutazione dei redditi da stock-option
nei casi in cui le azioni siano quotate in diverse borse
In alcuni casi, azioni quotate in differenti mercati presentano nello stesso momento
prezzi leggermente diversi, soprattutto allorché i prezzi espressi nelle valute delle
borse in questione siano convertiti al cambio spot del momento (tali variazioni
possono essere la risultanza di processi di arbitraggio non ancora completati, o
possono esprimere aspettative sull’andamento dei tassi di cambio, ecc.). Tale circostanza può dare luogo a differenti valutazioni, ai fini fiscali, del reddito derivante
dalle stock-option o della plusvalenza realizzata in sede di vendita delle azioni,
nei diversi paesi in cui le azioni sono quotate. Problemi analoghi possono verificarsi in casi in cui appaia non vi sia alcuna plusvalenza (o una minore plusvalenza) nel valore dell’azione secondo la valuta di un paese, mentre emerga una plusvalenza (o una maggiore plusvalenza) esprimendo il valore nella valuta dell’altro
paese; in altri termini, parte o tutta la remunerazione è costituita da ciò che può
essere considerato un puro utile su cambi.
Sebbene ciò possa dare luogo ad alcuni problemi nell’effettuare gli adempimenti
per società che gestiscano piani di stock-option su scala mondiale, è chiaro che la
determinazione del reddito di lavoro dipendente è materia regolata dal diritto tributario interno, e ciascun paese ha diritto di misurare il reddito (o la plusvalenza)
relativo alla stock-option con riferimento al valore nazionale dell’opzione o dell’azione.
43 Cfr. lo Studio, pag. 18.
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19
“studi”
3.
Problematiche fiscali per il datore di lavoro
Questo paragrafo analizza sinteticamente alcune problematiche che possono sorgere da piani di stock-option in relazione all’applicazione dei trattati fiscali dal
punto di vista del datore di lavoro. Sono ovviamente escluse dalla trattazione
quelle problematiche che sono specifiche per il dipendente, che sono già state trattate in precedenza e che, per il datore di lavoro, si risolvono in problematiche afferenti i corretti adempimenti da porre in essere nella sua qualità di sostituto d’imposta.
3.1
La deducibilità del costo del piano di opzione
La deduzione dei costi afferenti i piani d’opzione (spese legali, finanziarie, contabili afferenti il piano) non dà luogo a particolari difficoltà, almeno per quei costi
che sono sostenuti dal datore di lavoro44.
Vi sono invece diversi punti di vista con riguardo all’an e al quantum della deducibilità per il datore di lavoro, quale costo, del reddito derivante al dipendente per
effetto delle stock-option.
La questione se consentire una deduzione dall’imponibile quando le azioni siano
emesse a fronte di un piano di stock-option è una questione di politica fiscale
nazionale. Se da un lato è vero che la variabilità delle normative nei diversi paesi
può dare luogo a difficoltà, dall’altro lato il problema può essere ricondotto nella
più ampia questione delle asimmetrie qualificatorie tra paesi nella determinazione
del reddito d’impresa, problematica che generalmente esula dai trattati fiscali.
3.2
Il concetto di “onere della remunerazione sostenuto da una stabile
organizzazione”
La problematica della deducibilità del costo per il datore di lavoro, tuttavia, assume notevole importanza allorché si debba applicare l’art. 15, § 2, lett. c) del
Modello OCSE, ossia quando si debba determinare se la remunerazione grava su
una stabile organizzazione del datore di lavoro. Il paragrafo 7 del Commentario
all’art. 15 indica che l’espressione “onere della remunerazione che non sia sostenuto da una stabile organizzazione” deve essere interpretata nel senso che la remunerazione non è deducibile dal reddito imputabile alla predetta stabile organizzazione. Il fatto che uno Stato non consenta una deduzione allorché siano emesse
azioni in esecuzione di un piano di stock-option non significa che il costo della
remunerazione pagato in forma di stock-option non sia deducibile e quindi non
44 Vi possono essere problematiche di transfer price qualora i costi siano sostenuti da una società che non è il
datore di lavoro, ad esempio ove il piano d’opzione sia posto in essere dalla società capogruppo per tutte le
sussidiarie, ma tale argomento esula dal presente studio. Cfr. quanto indicato nel testo al paragrafo 1.
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20
“studi”
sia a carico della stabile organizzazione localizzata in uno Stato. Tutti i paesi, normalmente, consentono la deduzione dei costi afferenti la gestione del piano di
stock-option, allorché detti costi siano inerenti al personale in servizio presso la
stabile organizzazione.
L’OCSE quindi suggerisce l’opportunità di ampliare il citato § 7 del Commentario
all’art. 15 per chiarire che la remunerazione in forma di stock-option deve essere
considerata a carico di una stabile organizzazione anche se lo Stato in cui essa è
situata non consente che l’emissione di azioni per il relativo piano dia luogo, di
per sé, a costi deducibili.
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21
“studi”
4.
Osservazioni e commenti
4.1
La caratterizzazione del reddito
Si deve condividere la proposta dell’OCSE45 di precisare nel Commentario all’art.
15 il diritto dello Stato della fonte di sottoporre ad imposizione i redditi di lavoro
subordinato derivanti dall’attività svolta nel predetto Stato, indipendentemente
dal fatto che essi sia pagati prima, durante o dopo la permanenza del lavoratore in
detto paese.
Si ritiene opportuna altresì la precisazione – che l’OCSE propone di inserire nel
Commentario46 - della “linea di confine” tra redditi derivanti dal piano di opzione
che costituiscono redditi di lavoro subordinato, a norma dell’art. 15, e redditi derivanti dal suddetto piano che invece sono qualificabili come plusvalenze, disciplinate dall’art. 13.
L’OCSE suggerisce di individuare tale “linea di confine” considerando redditi di
lavoro subordinato, per quanto qui interessa, soltanto i benefici che derivano al
dipendente fino al momento dell’esercizio dell’opzione47.
Al riguardo deve essere rimarcato che, di volta in volta, secondo la legislazione
interna di ciascun Stato, il prelievo impositivo nei piani di stock-option può verificarsi:
(i) al momento di attribuzione dell’opzione: il valore dell’opzione al momento in cui
essa è attribuita a titolo gratuito, ovvero la differenza tra detto valore e il
(minor) costo per l’acquisto dell’opzione;
(ii) al momento in cui il diritto incorporato nell’opzione può essere esercitato: il reddito
derivante dalla differenza tra il valore dell’opzione a questa data e il costo
sopportato dal dipendente per il suo acquisto, se vi è stato;
(iii) al momento in cui l’opzione è venduta: il reddito derivante dalla differenza tra il
prezzo di vendita dell’opzione e il costo sopportato dal dipendente per il suo
acquisto, se vi è stato;
(iv) al momento di esercizio dell’opzione: il reddito derivante dalla differenza tra il
valore delle azioni al momento dell’esercizio dell’opzione e il costo sostenuto
dal dipendente per la loro acquisizione (prezzo di esercizio delle azioni ed
eventuale costo dell’opzione).
45 Cfr. lo Studio, § 14
46 Cfr. lo Studio, §§ 22 e ss.
47 In realtà lo Studio afferma, al § 10, che lo Stato della fonte avrebbe il diritto, in base all’art. 15, di tassare la
plusvalenza derivante dalla vendita delle azioni, calcolata quale differenza tra prezzo di vendita e prezzo di
esercizio dell’opzione. Tale affermazione è poi smentita dalla successiva discussione del tema indicata ai §§
17 e ss.
Difatti, a nostro sommesso avviso, la norma interna dello Stato della fonte che preveda l’imposizione delle
plusvalenze non può essere caratterizzata come norma che tassa il reddito di lavoro dipendente, prevista
all’art. 15 del Modello OCSE, ma come tassazione delle plusvalenze azionarie, ricadente nel disposto dell’art. 13, § 4, del Modello, in relazione alla quale il diritto d’imposizione spetta in via esclusiva allo Stato di
residenza.
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22
“studi”
E’ di tutta evidenza che il reddito di cui sopra sub (i) è compreso in quello sub (ii) il
quale, a sua volta, è compreso in quello sub (iii). Il reddito di cui sub (iv) comprende i redditi di cui sub (i) e (ii). La legislazione interna di ciascun Stato può prevedere che l’imposizione scatti soltanto nel momento (iii) o in quello (iv), oppure al
verificarsi di ciascuno dei tre eventi [essendo logicamente alternativi gli eventi (iii)
e (iv)], precisandosi che in occasione della tassazione degli eventi (ii) e (iii) o (iv)
occorrerà sottrarre dall’imponibile quanto già assoggettato ad imposizione in precedenza, ossia in occasione degli eventi sub (i) e (ii).
Certamente un chiarimento da inserire nel Commentario è assolutamente opportuno e di sicuro ausilio sia per le autorità fiscali, sia per i contribuenti.
Deve essere qui ricordato, tuttavia, che la qualificazione o caratterizzazione del
reddito, ai fini convenzionali, non ha nulla a che vedere con il trattamento fiscale
del medesimo secondo il diritto tributario interno degli Stati, ma ha il più limitato
scopo di fissare il limite entro cui lo Stato della fonte può esercitare la potestà
impositiva in relazione ai redditi derivanti dalle stock-option.
In particolare, ciò che viene qualificato come reddito di lavoro subordinato, a
norma dell’art. 15 della Convenzione Modello OCSE potrà essere sottoposto ad
imposizione nello Stato della fonte, ricorrendo le altre condizioni ivi fissate. In
opposto, la parte di beneficio che venga qualificata quale plusvalenza sarà sottoposta al diritto esclusivo d’imposizione da parte dello Stato di residenza, a norma
dell’art. 13 del Modello.
Naturalmente, tale qualificazione non impedisce allo Stato di residenza di trattare
l’intero reddito relativo al piano d’opzione come derivante dall’attività di lavoro
subordinato piuttosto che come plusvalenza, o di definire un diverso confine tra le
due categorie, valevole ai fini del proprio diritto interno. Dall’altro lato, lo Stato
della fonte sarà parimenti libero di qualificare il reddito, ai fini interni, in conformità al proprio sistema tributario, ma la definizione convenzionale di ciò che costituisce reddito di lavoro costituisce un limite alla potestà impositiva di tale Stato,
sempreché, lo si ripete, anche le altre condizioni fissate dall’art. 15 siano verificate.
Come si è visto, il § 23 dello Studio OCSE suggerisce di identificare la “linea di
confine” tra reddito di lavoro e plusvalenza nel momento in cui l’opzione viene
esercitata.
In questa prospettiva, l’ammontare massimo del beneficio qualificabile, sempre a
tali fini convenzionali, come reddito di lavoro, può essere determinato mediante
differenza tra il valore di mercato delle azioni alla data di esercizio dell’opzione e
il loro prezzo di esercizio.
A nostro avviso, appare più opportuno fissare il suddetto confine nel momento in
cui il diritto incorporato nell’opzione diventa irrevocabilmente attuale (vested).
Infatti, nei casi in cui l’opzione ricevuta dal dipendente abbia le stesse caratteristiche
delle opzioni negoziate nei mercati regolamentati, essendo il diritto in essa incorporato di natura incondizionata ed attuale, e l’opzione liberamente cedibile, appare più
appropriato considerare il valore dell’opzione (ossia il suo prezzo di mercato alla
data di attribuzione) come reddito da lavoro dipendente, e trattare ogni futuro
apprezzamento dell’opzione o delle azioni acquistate come plusvalenze.
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23
“studi”
In secondo luogo, l’identificazione del “vesting” dell’opzione come unica fonte del
reddito di lavoro subordinato risolve diversi problemi pratici nella determinazione di quanta parte del reddito di lavoro vada allocata al paese della fonte, o ai
diversi paesi della fonte e di residenza, come si vedrà nel successivo paragrafo 4.3.
4.2
Le difficoltà nell’applicazione del credito per le imposte
assolte all’estero
L’eliminazione in concreto della doppia imposizione richiede che lo Stato della
fonte applichi il meccanismo convenzionale di cui all’art. 23 (A o B), ossia il credito
per le imposte estere o l’esenzione del reddito estero.
Ai fini della successiva disamina si prenderà in considerazione soltanto il primo
metodo, che peraltro è quello applicato nel nostro paese.
L’applicazione, tuttavia, del credito per imposte estere presenta tuttavia alcune
difficoltà, che attengono:
(i) alle differenze di qualificazione del medesimo reddito tra Stato di residenza e
Stato della fonte;
(ii) alle asimmetrie temporali in cui viene effettuato il prelievo fiscale;
(iii) alla qualificazione come “di fonte estera” del reddito tassato dallo Stato della
fonte.
Le suddette problematiche verranno discusse nei paragrafi che seguono.
4.2.1 Le differenze di qualificazione del reddito
Si consideri, ad esempio, che lo Stato della fonte tassi il reddito da stock-option al
momento dell’esercizio dell’opzione, in misura pari alla differenza tra il valore di
mercato delle azioni (120) e il loro prezzo di esercizio (100). Lo Stato di residenza,
invece, non tassa le stock-option, ma le plusvalenze azionarie. Quando le azioni
sono vendute (ad esempio a 150) la plusvalenza di 50 (rispetto appunto al prezzo
di esercizio di 100) viene tassata.
Ciò determina una doppia tassazione su 20, qualificato come reddito di lavoro
dipendente dallo Stato della fonte e incluso nella plusvalenza di 50 da parte dello
Stato di residenza.
Lo Stato di residenza, ad esempio, potrebbe negare la spettanza del credito d’imposta qualificando l’intero reddito di 50 come plusvalenza, e quindi affermando il
suo diritto esclusivo alla tassazione a norma dell’art. 13 della Convenzione.
4.2.2 Le asimmetrie temporali nella tassazione del reddito
Il secondo problema attiene allo sfasamento temporale nella tassazione del reddito. Può accadere che la tassazione nello Stato della fonte preceda quella dello Stato
di residenza del contribuente.
In una prospettiva italiana, a norma dell’art. 15, comma 3, t.u.i.r., la detrazione
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24
“studi”
deve essere richiesta a pena di decadenza nella dichiarazione dei redditi relativa al
periodo d’imposta in cui le imposte estere sono pagate a titolo definitivo. Lo stesso
articolo, al comma 1, pone quale condizione per la detrazione che alla formazione
del reddito complessivo concorra il reddito prodotto all’estero e limita l’importo
detraibile fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al
rapporto tra redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo, al lordo delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione.
Se l’imposizione estera, nello Stato della fonte, precede quella italiana, il reddito
estero, nell’anno in cui l’imposta estera è assolta a titolo definitivo, non concorre a
formare il reddito complessivo e quindi questa non risulterebbe deducibile, sia per
il mancato verificarsi della suddetta condizione, sia perché la quota d’imposta italiana afferente il reddito estero, in quel periodo d’imposta, è pari a zero48.
Ove invece la tassazione nello Stato della fonte avvenga in un periodo d’imposta
successivo a quello in cui si verifica l’imposizione nel paese di residenza, l’art. 15
t.u.i.r. prevede che si proceda ad una nuova liquidazione dell’imposta, sulla base
di un meccanismo di “riporto all’indietro” del credito per imposte estere.
Si deve quindi condividere la proposta dell’OCSE49 di integrare il Commentario relativamente all’applicazione dell’art. 23, con la precisazione che il meccanismo di eliminazione della doppia imposizione, cui è tenuto a dare applicazione lo Stato di residenza, non subisce restrizioni temporali e si rende applicabile anche quando vi sia uno
sfasamento tra momento di imposizione del reddito nello Stato della fonte e momento di imposizione del reddito nello Stato di residenza. Si rende cioè applicabile un
meccanismo di riporto “in avanti” o “all’indietro” del credito per imposte estere.
4.2.3 La qualificazione “di fonte estera” del reddito tassato nello Stato della fonte
Sempre da una prospettiva italiana, il credito per le imposte estere spetta per i redditi “prodotti all’estero”, ex art. 15 t.u.i.r. Mancando una specifica norma che definisca quando un reddito si considera prodotto all’estero, potrebbe sorgere il problema che il reddito tassato nel paese della fonte non si consideri prodotto all’estero ai fini dell’applicazione del credito d’imposta.
Il problema, tuttavia, appare risolto sia dalle convenzioni italiane contro la doppia
imposizione, per le quali il credito d’imposta spetta per i tributi assolti all’estero
“su elementi di reddito che sono imponibili nell’altro Stato contraente”. Nel diritto
tributario convenzionale, prevalente come è noto sulla norma interna se più favorevole ex art. 128 t.u.i.r., il fatto stesso che il reddito sia tassato nello Stato estero
implica che esso debba comunque considerarsi prodotto all’estero ai fini della
spettanza del credito d’imposta.
48 Cfr. sul problema, in senso conforme, M. PIAZZA, Guida alla fiscalità internazionale, Milano, 2001, 749 e ss. e
spec. 750, testo e nota 11, ove ulteriori riferimenti dottrinali, il quale condivisibilmente evidenzia che allorché
vi sia un trattato contro la doppia imposizione tale limitazione non si dovrebbe ritenere applicabile. In quest’ultimo senso cfr. la risoluzione della Direzione Regionale delle Entrate della Lombardia n. 51217/91, ma
cfr. anche la risoluzione Ministero finanze 31 marzo 1999, n. 59/E secondo la quale, anche ai fini convenzionali, si debbono ritenere applicabili le norme interne di natura attuativa.
49 Cfr. lo Studio, pag. 9, § 13.
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25
“studi”
Per altro verso, il Modello OCSE all’art. 23B contiene una previsione analoga, non
subordinando il credito d’imposta al fatto che il reddito abbia “fonte estera” ma a
quello che detto reddito sia stato tassato dallo Stato della fonte in conformità alla
Convenzione.
4.3
L’attribuzione del reddito da stock-option allo Stato della fonte
Come si è visto, l’OCSE fissa diversi criteri per determinare, in base alle singole
circostanze di fatto, a quale periodo di lavoro debba ritenersi correlato il reddito
derivante dall’opzione: se ad un periodo di lavoro passato o futuro rispetto all’assegnazione e, una volta risolto tale problema, ove il dipendente abbia prestato la
sua attività per il periodo di tempo “remunerato” (anche) dall’opzione in più Stati,
il reddito andrà suddiviso sulla base di un criterio di allocazione temporale, proporzionalmente al tempo di lavoro svolto in ciascun Stato. Tale criterio allocativo,
tuttavia, non determina immediatamente il diritto di ciascuno Stato della fonte a
tassare la porzione di reddito a questo allocata, dovendo svolgersi un’ulteriore
verifica del diritto all’imposizione dello Stato della fonte alla luce dei criteri indicati nell’art. 15 della Modello.
Questo tentativo dell’OCSE di stabilire alcuni criteri, al fine di determinare a quali
attività può essere riferita l’opzione, deve essere certamente apprezzato, soprattutto con riferimento alla distinzione tra remunerazione per attività svolte in passato
e incentivo per attività da eseguirsi in futuro da parte del dipendente.
Si possono condividere tali criteri nelle loro linee generali, anche se possono sorgere alcuni problemi nell’esatta determinazione del periodo di lavoro cui possa essere attribuita la remunerazione costituita dall’opzione.
La determinazione dell’intero periodo di lavoro al quale l’opzione deve ritenersi
attribuibile in una sorta di rapporto sinallagmatico gioca un ruolo cruciale nella
formula di allocazione indicata al § 31 dello Studio.
Ad esempio, alcune opzioni immediatamente efficaci e negoziabili potrebbero
essere attribuite a dirigenti che hanno lavorato con successo presso il datore di
lavoro sin dal 1990. Secondo i principi generali suggeriti dall’OCSE, appare chiaro
che tali opzioni debbano venir considerate come remunerazione per l’attività svolta nel passato, ossia nei precedenti dodici anni.
Proviamo ora a modificare il suddetto esempio, affermando che le opzioni attribuite includono una condizione sospensiva, a norma della quale esse non possono
essere esercitate sino a che non sia spirato il termine di due anni dalla loro attribuzione e purché il titolare dell’opzione sia ancora in costanza di rapporto di lavoro
con la stessa società. In tale ipotesi occorre attribuire a tale condizione il significato
di estendere la corrispettività dell’opzione anche all’attività svolta nei futuri due
anni, con conseguente estensione del periodo di lavoro sussumibile ai fini del calcolo della formula di ripartizione a 14.
In ogni caso, appare comunque abbastanza difficile in pratica allocare, con effetti
apprezzabili, un diritto impositivo ad uno Stato con riferimento ad un’attività
svolta diversi anni prima – tenuto conto altresì del termine di decadenza per l’e-
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26
“studi”
sercizio del potere impositivo - mentre l’attuale Stato della fonte verrebbe a soffrire degli effetti di un sì lungo periodo di ripartizione del reddito derivante dalle
stock-option.
Anche nei casi in cui l’opzione possa essere vista come una remunerazione per
attività future, potrebbe essere assai difficile – in pratica – identificare l’intero
periodo di lavoro cui l’opzione possa essere attribuita in termini retributivi. Ad
esempio, se l’opzione viene attribuita nell’anno 1, diventa esercitabile nell’anno 3 e
scade dopo dieci anni dalla data in cui può essere esercitata, possiamo affermare, a
priori, che l’intero periodo di lavoro cui riferirla debba essere determinato in 3
anni, ponendo quale termine finale del periodo la data in cui l’opzione stessa
diviene esercitabile.
Da un punto di vista di politica fiscale, sembra piuttosto necessario raggiungere
un equo bilanciamento tra l’interesse dello Stato della fonte di poter assoggettare
ad imposizione le retribuzioni differite e l’interesse dello Stato di residenza, del
datore di lavoro, del contribuente e delle amministrazioni fiscali di avere una certezza in punto di regole afferenti la tassazione delle opzioni, evitando processi di
riallocazione di reddito tra giurisdizioni.
Si impone, insomma, un approccio pragmatico al problema.
A tale riguardo, si potrebbe suggerire di considerare come reddito di lavoro,
ovviamente sempre ai limitati fini convenzionali di riparto della potestà impositiva tra più giurisdizioni fiscali, soltanto il valore dell’opzione al momento in cui
essa diviene esercitabile, trattando così ogni apprezzamento dell’opzione stessa o
dell’azione cui essa inerisce come plusvalenza.
Il periodo di riferimento, ai fini dell’allocazione del reddito tra più giurisdizioni,
dovrebbe poi, a nostro avviso, essere sempre compreso tra la data di attribuzione
dell’opzione e quella in cui diviene esercitabile, eliminando così ogni giudizio –
certamente fonte di incertezza – sulla caratteristica del piano di stock-option di
remunerare attività passate piuttosto che future.
Allorché l’attribuzione dell’opzione abbia luogo quando un dipendente lavori in
un paese (lo Stato della fonte) diverso da quello di residenza, il primo Stato avrà
diritto a tassare il valore dell’opzione come reddito di lavoro subordinato, indipendentemente dal periodo, presente, passato o futuro, di lavoro in altri paesi.
Una simile soluzione consentirebbe altresì allo Stato di residenza di mettere in
atto, con semplicità, i necessari meccanismi per evitare una doppia tassazione.
4.4
Il problema delle plurime imposizioni dovute al trasferimento
di residenza
La soluzione proposta dall’OCSE in tale contesto, in particolare nel § 42 dello
Studio, come si è visto, è quella di precisare nel Commentario all’art. 23 per suggerire che lo Stato di “seconda” residenza del contribuente dovrebbe scomputare
dall’imposta dovuta non soltanto le imposte pagate nei paesi della fonte ma anche
in quello di “prima” residenza del contribuente, ovviamente sul medesimo reddito, e purché lo Stato di prima residenza abbia esercitato la sua potestà impositiva
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27
“studi”
in conformità alle previsioni della convenzione contro la doppia imposizione stipulata con detto Stato di seconda residenza.
Appare invece inappagante l’affermazione secondo la quale tale approccio dovrebbe
essere limitato ai casi in esame, afferente le stock-option, preferendosi al riguardo
una soluzione di più ampia portata, che preveda appunto il principio generale
secondo cui lo Stato di residenza debba in ogni caso evitare la doppia imposizione,
interpretandosi a tal fine l’espressione “redditi tassati in base alla presente convenzione” anche nel senso di redditi tassati in precedenza dallo Stato di residenza.
Certamente, questo problema di imposizioni plurime dovrebbe essere esaminato
con maggiore approfondimento, ma già in questa sede si può fare un’affermazione
di carattere generale, e cioè che è tutt’altro che in contrasto con la ratio dell’art. 23
del Modello OCSE un’interpretazione del medesimo nel senso che il paese di attuale
residenza abbia il dovere di evitare una plurima imposizione sul reddito già tassato
in altre giurisdizioni, siano esse paesi della fonte piuttosto che di residenza.
Riprendendo l’esempio indicato nel paragrafo 42 dello Studio, secondo il trattato
tra lo Stato A e lo Stato D, nell’anno in cui il dipendente E era residente di A, tale
Stato aveva il diritto di sottoporre ad imposizione il reddito del suo contribuente su
base mondiale, accordando un credito d’imposta (o un’esenzione) in relazione alle
imposte pagate nello Stato B della fonte. Se oggi E è residente dello Stato D, nessuna norma di diritto internazionale tributario impedisce certamente a D di considerare, secondo il proprio sistema fiscale, che il presupposto già tassato in A alcuni
anni prima si debba considerare invece verificato in D proprio nell’anno in cui E è
diventato residente di quel paese. Ma se tale suo diritto è incontestabile, allo stesso
modo appare evidente che D sia tenuto ad applicare un meccanismo volto ad evitare una plurima imposizione, non soltanto in relazione ai tributi assolti in B, Stato
della fonte, ma anche a quelli assolti in A, Stato di precedente residenza.
Una simile interpretazione risolverebbe molti casi di doppia imposizione che
potrebbero verificarsi per effetto di un trasferimento di residenza.
A tale riguardo, come si vedrà meglio nel successivo paragrafo, esaminando la
problematica da una prospettiva europea, tale interpretazione appare l’unica adottabile dagli Stati membri che sia compatibile con il diritto comunitario. E dato il
principio di non discriminazione, che oggi costituisce un caposaldo nel diritto tributario convenzionale, sarebbe parimenti inaccettabile se una diversa interpretazione fosse adottata da parte di paesi comunitari nei confronti di paesi non appartenenti all’Unione europea.
4.5
Profili di diritto tributario comunitario
La Commissione europea, nel suo recente studio sulla tassazione delle società50, ha affrontato il tema delle stock-option, in una prospettiva di libera circolazione europea.
50 Cfr. COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Company Taxation in the Internal Market, Bruxelles, 23 ottobre
2001, SEC (2001) 1681, 293 e ss.
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“studi”
L’esempio fornito51 ha carattere paradossale: X e Y sono dipendenti della stessa
società multinazionale Z, con stabilimenti in Belgio, Finlandia e Svezia. Ad
entrambi vengono assegnate opzioni, aventi le stesse caratteristiche: il periodo di
“vesting” è di due anni, e al momento dell’esercizio dell’opzione il dipendente
deve essere ancora tale.
Nel momento di attribuzione delle opzioni, X vive e lavora in Svezia e Y in Belgio.
Verso la fine del periodo di vesting X si trasferisce in Finlandia, mentre Y va in
Svezia a sostituire X. Dopo tre anni entrambi i dipendenti esercitano le loro opzioni: a quest’epoca X vive e lavora in Belgio, e Y in Finlandia; nell’anno successivo
entrambi vendono le loro azioni, il cui valore è aumentato notevolmente di valore.
X può evitare completamente la tassazione. Quando l’opzione gli venne attribuita,
costui viveva in Svezia, in cui le opzioni vengono tassate quando esercitate ed è prevista una exit tax dopo il vesting. Quando si verifica tale momento, X viveva in
Finlandia, che tassa anch’esso le opzioni quando esercitate; quando l’opzione è esercitata, X vive in Belgio, che tassa le opzioni quando sono attribuite, e infine la vendita delle azioni non dà luogo, in Belgio, all’imposizione di alcuna plusvalenza.
All’opposto, Y corre il rischio di una triplice tassazione: in Belgio, quando l’opzione gli viene attribuita; in Svezia, dato che l’opzione poteva essere esercitata quando costui viveva in quel paese; in Finlandia, che tassa le opzioni quando vengono
effettivamente esercitate, oltre che le plusvalenze derivanti da cessioni azionarie.
Un siffatto rischio di plurima tassazione dovuta alla differente definizione del presupposto per la tassazione delle opzioni, l’assenza di criteri univoci di tipo convenzionale, la difficoltà di correlare i benefici derivanti dal piano di stock-option
ad uno specifico periodo lavorativo e, infine, la mancanza di norme che consentano di detrarre dall’imposta dovuta in un paese quella già assolta in un paese di
precedente residenza, in definitiva la mancanza di coordinamento tra i sistemi
fiscali degli Stati membri costituiscono, ad avviso della Commissione, una seria
barriera alle attività economiche transfrontaliere. La situazione è aggravata dal
rischio di doppie imposizioni.
51 Cfr. il box 45 a pag. 295.
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