Lezione V Le premesse strutturali I condizionamenti della geografia: l’orografia • La morfologia del territorio condiziona le forme di sfruttamento e le possibilità di comunicazione, con profondi effetti sull’economia. • Nella regio III un territorio accidentato, caratterizzato da un susseguirsi di massicci montuosi, sebbene di non eccelsa altezza: – – – – I Monti Alburni e i Monti della Maddalena nella Lucania tirrenica. Il massiccio del Pollino tra Lucania e Bruzio. La Catena Costiera e la Sila nel Bruzio centro-settentrionale. Le Serre e l’Aspromonte nel Bruzio centro-meridionale. 2 I condizionamenti della geografia: le pianure • In genere di modesta estensione e situate sulle coste: – In Lucania la Piana del Sele, la Piana di Metaponto e la pianura interna del Vallo di Diano. – Nel Bruzio la Piana di Sibari (con il naturale prolungamento della valle del Crati), la Piana di S. Eufemia e la Piana di Gioia Tauro. 3 Carta fisica della Lucania 4 Carta fisica del Bruzio 5 L’idrografia • Un grande numero di brevi corsi d’acqua, rilevanti non solo per l’irrigazione, ma anche per le comunicazioni. – Le possibilità di navigazione fluviale anche su corsi d’acqua di modesta portata. – La possibilità di creare piccoli porti alle foci dei fiumi. – I solchi vallivi favoriscono le comunicazioni (per esempio il sistema Crati - Savuto). • Corsi d’acqua in genere più lunghi e di regolare portata sul versante ionico: da nord a sud il Bradano, il Basento, l’Agri, il Sinni, il Crati, il Neto. • Sul versante tirrenico da ricordare il Sele (con il suo affluente Tanagro), il Lao, il Savuto e l’Amato. 6 Le vie di comunicazione fluviale • Le opportunità di navigazione su corsi d’acqua di modesta entità, che comunque avevano probabilmente una portata maggiore di quella odierna. • Una possibilità favorita dall’uso in età antica di piccole imbarcazioni a fondo piatto. • Il Crati sembra essere stato navigabile fino a 40 km. dalla foce. • Plinio, Naturalis Historia, III, 96 e i fiumi navigabili del Bruzio: amnes ibi navigabiles Carcinus, Crotalus, Semirus, Arogas, Thagines. – Una testimonianza che si riferisce alla sola Calabria ionica. – Discussa l’identificazione dei corsi d’acqua menzionati da Plinio, che comunque non dovevano essere tra i maggiori di questo versante del Bruzio. 7 I porti • La posizione della nostra regione nel Mediterraneo ne fa un punto di passaggio obbligato per molte rotte tra Oriente e Occidente, tra Meridione e Settentrione. • La conformazione delle coste favorisce la creazione di numerosi approdi, tranne che sulla costa ionica della Lucania. • Tra i più rilevanti in età romana: Velia, Vibo Valentia, Reggio, Locri, Crotone, Sibari. 8 Il problema del drenaggio • Le piane costiere e interne della regione hanno le tendenza all’impaludamento, in assenza di costanti lavori di regimentazione delle acque. • Una tendenza che favorì lo sviluppo della malaria in alcune fasi dell’antichità. 9 Il regime delle piogge • La concentrazione di violente piogge in brevi periodi, caratteristica del clima mediterraneo, provoca l’erosione dei suoli. • Un fenomeno che è stato osservato anche per la nostra regione nell’Antichità, in base ai sedimenti della piana di Metaponto. • Un fenomeno potenzialmente devastante dal punto di vista economico, ma i cui effetti in età antica furono mitigati da un’occupazione meno intensa del territorio rispetti ai giorni nostri. 10 Deforestazione? • Alcuni studiosi hanno supposto una grave deforestazione dell’Appennino lucano e calabro nell’Antichità. • Un’ipotesi che può trovare sostegno nell’ampio uso “distruttivo” dei boschi di questo periodo, come legna da costruzione o da ardere e per ricavare la pece. • Un uso che in età romana era in concorrenza con l’utilizzo “non distruttivo” del bosco e che può essere il motivo di tensioni socioeconomiche tra gruppi diversi. 11 Le condizioni dell’agricoltura • Le tre fondamentali colture del territorio in età romana, cereali, vite e ulivo, erano già presenti agli inizi del I millennio a.C. • Tra i cereali nel periodo in considerazione assistiamo ad una crescita del grano (tenero e duro), a spese dell’orzo e del farro, più adatti al clima mediterraneo, ma meno apprezzati per l’alimentazione. • Un periodo di basse rese: nella coltivazione dei cereali era normale una resa di 4 volte la semente e di 4 q/ha (oggi per il grano tenero 25-90 q/ha, per il grano duro 15-50 q/ha). 12 Le condizioni dell’allevamento • Nella nostra regione, come in molte altre del Mediterraneo, assumeva soprattutto la forma della transumanza, favorita dalla relativa contiguità tra aree montuose e aree pianeggianti. – Un’alternanza tra pascoli invernali, in pianura, e pascoli estivi, in montagna. – Una forma di allevamento già praticata, su piccola scala, nell’Italia preistorica. • Un considerevole contributo dell’allevamento all’economia antica, in termini di carne, latte e lana. • Ma la pratica della transumanza poteva ostacolare l’uso degli animali nel lavoro dei campi, assolutamente fondamentale nell’antichità. 13 L’incidenza delle malattie • Le cattive condizioni igieniche e un’alimentazione piuttosto povera era causa di una forte incidenza delle malattie, soprattutto infettive. • Nella nostra regione particolarmente rilevante la malaria, diffusa da alcune specie di zanzare che vivevano nelle zone paludose. – Il vettore della malattia giunse in Italia meridionale dal Mediterraneo orientale e dall’Africa, forse a seguito dell’intensificarsi dei contatti commerciali. – Un dato che ha influenzato le forme dell’insediamento antico, che privilegiano le alture rispetto alle zone basse. – La malattia è attiva in estate e in autunno, debilitando i contadini proprio nel periodo del raccolto. 14 L’incidenza dei fenomeni migratori • Secondo alcuni studiosi complessivamente meno forte nel mondo romano che in altre civiltà antiche (p. es. la Cina degli Han). • Ma la nostra regione sperimentò notevoli fenomeni di mobilità per gli standard antichi: la colonizzazione degli inizi del II sec. a.C., l’emigrazione verso la pianura Padana e l’arrivo di masse di schiavi nello stesso periodo, lo stanziamento di veterani alla fine del I sec. a.C. 15 La struttura demografica • Un mondo antico caratterizzato da alta natalità e da alta mortalità. • Una speranza di vita compresa tra i 20 e i 30 anni. – Un dato soggetto a considerevoli variazioni nello spazio (con una maggiore durata della vita nelle campagne) e nel tempo (epidemie, guerre, carestie). • Un dato che ha gravi ripercussioni sulle possibilità di sviluppo economico. • L’altissima mortalità infantile: secondo alcuni modelli, circa la metà dei nati moriva prima di compiere 10 anni: ma chi superava questa soglia poteva sperare in altri 35-40 anni di vita. • Gli alti tassi di mortalità comportano necessariamente un alto tasso di fertilità: tra i 6 e i 9 figli per coppia, per mantenere stabile o in lieve crescita la popolazione. 16 Il numero di abitanti • Il problema dei livelli della popolazione è particolarmente mal documentato nel mondo antico, in particolare per la nostra regione. • In genere per il mondo antico si pensa ad una lenta e costante crescita della popolazione fino al II sec. d.C., fino a livelli superati in Europa solo nel XV secolo. – Secondo una plausibile ricostruzione l’Impero romano nella seconda metà del II sec. d.C. toccava i 65-70 milioni di abitanti. • Nella dottrina è diffusa l’opinione di una decadenza demografica della nostra regione in età romana: un’opinione che in realtà non trova solido fondamento. 17 La distribuzione della popolazione • Nonostante le civiltà classiche siano per definizione civiltà cittadine, la popolazione urbana era molto inferiore a quella attuale – probabilmente nell’Impero romano del II sec. d.C. non eccedeva il 10-12% della popolazione totale. • Differenze regionali: l’Italia era intensamente urbanizzata, ma nella nostra regione il tasso di urbanizzazione era molto inferiore rispetto all’Italia centrale. • Parte della popolazione cittadina era comunque impegnata in agricoltura. • A parte alcune megalopoli, la maggior parte dei centri urbani antichi contava poche migliaia, se non poche centinaia, di abitanti. 18 La distribuzione della popolazione • Nelle città antiche il tasso di mortalità era più alto che nelle campagne, in particolare in megalopoli come Roma. – Un dato legato alle pessime condizioni igieniche, ad una cattiva alimentazione, al rapido diffondersi delle malattie infettive in luoghi ad alta densità di popolazione. • Le città antiche potevano mantenere o addirittura accrescere la propria popolazione solo in presenza di una significativa immigrazione. 19 Le attività della popolazione • Nell’impero romano del II sec. d.C. in media il 90% circa della popolazione era impegnato nel settore primario. – Solo in alcune aree in cui le attività commerciali e manifatturiere erano particolarmente sviluppate questa proporzione si abbassava. • Si suppone comunque per l’età romana almeno un lieve aumento degli occupati nei settori secondiario e terziario. 20 La famiglia, la cellula fondamentale della vita economica e sociale • Un concetto particolare di “famiglia”, termine con il quale traduciamo il greco oíkos e il latino familia o domus. • Concetti che includono, oltre alle persone (la famiglia nucleare, ma anche parenti non sposati, vedovi, schiavi) e alla casa in senso stretto, anche i beni famigliari. • Da oíkos nasce il termine oikonomía, col significato principale di “amministrazione di una proprietà”. 21 Il concetto di oikonomía e di oíkos in Senofonte, Economico, 1, 1-2; 5 Lo ascoltai [Socrate] una volta discutere anche di amministrazione domestica (oikonomía) nel modo seguente. «Dimmi, Critobulo», disse, «amministrazione domestica è forse il nome di una scienza, come medicina, metallurgia e carpenteria?» «A me sembra proprio di sì», fece Critobulo. «E come noi siamo in grado di dire quale sia il compito di ciascuna di queste arti, così anche dell’amministrazione domestica possiamo dire quale sia il suo compito?» «Sembra», disse Critobulo, «che sia proprio di un buon amministratore amministrare bene la sua casa (oíkos)» … «Ma la casa che cosa è secondo noi? Coincide forse con l’abitazione (oikía) o anche tutto quanto uno possiede fuori dall’abitazione fa parte della casa?» «Si, a me sembra», disse Critobulo, «che tutto quanto uno possiede fa parte della casa, anche se non si trova nella stessa città di chi lo possiede». 22 I caratteri essenziali della famiglia romana • Matrimonio monogamico, ma possibilità di divorzio, da parte di entrambi i coniugi. • Uno squilibrio di età al momento delle nozze: ragazze giovani, uomini di età più matura. – Nel mondo romano era normale che una ragazza fosse già sposata a 20 anni, un uomo a 30 anni. • L’alto tasso di mortalità: un forte numero di vedovi e vedove, come anche di orfani. – Secondo un modello solo il 20% dei figli quando raggiungeva l’età adulta aveva ancora entrambi i genitori vivi. 23 I poteri del capofamiglia nella Roma arcaica • I poteri assoluti del capofamiglia nel modello della famiglia classica. • Una situazione che si riflette nella società della Roma arcaica nei poteri del paterfamilias, il maschio più anziano della famiglia. – Con il matrimonio la donna diveniva soggetta all’autorità del marito (o di suo padre): il matrimonio cum manu. – Il divorzio era ammesso solo per gravi cause morali. 24 I poteri del capofamiglia nel Trattato sull’economia, I, 1 • L’amministrazione domestica (oikonomía) e la politica differiscono non solo tanto quanto famiglia e stato (queste in effetti ne costituiscono le rispettive materie), ma anche perché in politica vi sono molti capi, l’amministrazione domestica invece è il governo di uno solo. 25 L’evoluzione della famiglia alla fine della Repubblica e nell’età imperiale • L’ampliarsi delle possibilità di divorzio, che diventa fenomeno del tutto comune tra le élite. • Il diffondersi del matrimonio sine manu che lasciava la sposa sotto l’autorità di suo padre. • Alla morte del padre la donna acquisiva indipendenza (sui iuris) e godeva di diritti di proprietà quasi uguali a quelli di un uomo. – La dote entrava invece a far parte dei beni del marito: ma nel mondo romano essa non rappresentava una parte molto significativa del patrimonio della famiglia della sposa. – Alla morte del padre la donna riceveva un tutor mulieris che doveva approvare le decisioni in materia economica; ma il ruolo del tutor progressivamente divenne solo formale. 26 Il potere economico delle donne • In conseguenza di questo quadro istituzionale le donne romane avevano un potere economico altrimenti ignoto prima del XX secolo. – La stima del 20% della ricchezza in possesso di donne sembra oggi fin troppo cauta. – Per esempio tra i proprietari di fabbriche di mattoni a noi noti le donne sono circa un terzo. • La riprovazione dei moralisti nei confronti di questo potere femminile mostra che le donne, per ragioni di pressione sociale, non sempre potevano disporre dei loro patrimoni a completa discrezione. 27 La concezione del lavoro • Un mancato processo di astrazione: in greco e in latino non esiste un’unica parola che possa esprimere tutte le sfumature del nostro termine “lavoro”. • Gli antichi non conoscevano il concetto unitario di “lavoro”, ma vedevano solo una pluralità di occupazioni, valutate in modo molto diverso. • In generale nel mondo classico il lavoro in sé non aveva alcuna connotazione positiva, era sentito piuttosto come condanna da evitare, ove possibile. 28 Erodoto, Storie, II, 166: la valutazione del lavoro tra barbari e Greci • Neppure ai guerrieri egiziani è lecito esercitare alcun mestiere, ma esercitano solo l’arte della guerra, il figlio succedendo al padre. Se anche questo uso i Greci hanno appreso dagli Egiziani non sono in grado di giudicarlo esattamente, poiché vedo che anche Traci e Sciti e Persiani e Lidi e quasi tutti i barbari considerano più spregevoli degli altri cittadini quelli che hanno appreso un mestiere e i loro discendenti, mentre quelli che si sono tenuti lontani dai lavori manuali li ritengono nobili, e particolarmente quelli che si sono dedicati alla guerra. Questo modo di pensare l’hanno appreso tutti i Greci e specialmente gli Spartani; i Corinzi invece meno di tutti disprezzano gli artigiani. 29 L’otium • La libertà dall’obbligo di lavorare lasciava il tempo libero per dedicarsi alle attività della scholé e dell’otium: – – – – Attività politica Studio Esercizio fisico Assistenza agli amici • Attività dirette al bene pubblico e non al proprio egoistico interesse. 30 La valutazione delle diverse professioni • La più apprezzata era quella di proprietario terriero, che dava tempo libero, indipendenza e autosufficienza. • Disprezzati i lavori artigianali, che assorbivano tutte le energie di un uomo e lo costringevano a vivere in ambienti malsani. • Svalutato anche il commercio al minuto, che si riteneva fondato sulla frode. 31 Plutarco, Vita di Pericle, 1, 4 - 2, 1: la distinzione fra il lavoratore e la sua opera • Nessun giovane gentiluomo, dopo aver visto lo Zeus di Pisa o l’Era di Argo desiderò essere Fidia o Policleto, né Anacreonte, Fileta o Archiloco, malgrado il piacere che suscitano le loro poesie. Se un prodotto ci diletta perché è bello, non è necessariamente degno di invidia chi lo ha creato. 32 Il lavoro femminile • L’ideologia classica confinava il lavoro femminile alla sfera domestica. • Gli scarsi dati in nostro possesso sembrano confermare questa visione: poco significativo sembra il ruolo femminile nel lavoro dei campi; e il dato riguarda anche le schiave. • Nelle fattorie antiche le donne si occupavano di conservare il cibo, cucinare, governare la casa, filare la lana. • Anche nel contesto urbano il ruolo femminile appare minore rispetto a quello maschile ed è confinato soprattutto ai mestieri di servizio. • Un dato che si ricava soprattutto dalla menzione del mestiere negli epitafi: il mestiere femminile potrebbe rimanere celato per ragioni ideologiche. • Al di là delle possibili distorsioni dovute allo stato della documentazione, indubbiamente le donne antiche ebbero un ruolo più limitato nel mondo del lavoro: una delle cause del sottosviluppo dell’economia antica. 33 I condizionamenti della tecnologia • L’opinione comune: un mondo antico caratterizzato da stagnazione tecnologica, incapace di tradurre in strumenti pratici le sue notevoli conoscenze teoriche. • Un’opinione condizionata dal modello della Rivoluzione Industriale e di uno sviluppo fondato sulle macchine. • La necessità di considerare i progressi tecnologici dell’antichità nel contesto di una società preindustriale. • La necessità di considerare con maggiore attenzione le effettive realizzazioni dell’antichità (non solo nel campo delle macchine), rivelate dalla ricerca archeologica. 34 Il problema dell’energia • La forza umana era l’energia più in uso nel mondo antico, in agricoltura, nell’artigianato, ma anche nei trasporti a breve raggio. • Rilevante l’apporto della forza animale nel lavoro dei campi (buoi), nei trasporti (buoi, asini, cavalli, cammelli), nella trasformazione dei prodotti agricoli (asini). • L’energia termica, indispensabile nella vita quotidiana e nella produzione artigianale era assicurata soprattutto dalla legna e dal carbone vegetale. • L’energia eolica era impiegata solo per la navigazione, prevalentemente commerciale. • L’impiego dell’energia idrica in età imperiale romana rappresenta uno dei progressi tecnologici di maggior peso economico nell’antichità. 35 Il settore agricolo • L’attività economica di maggior peso nel mondo antico fu caratterizzata da forme di lavoro in larga misura immutate, anche se in età romana vi fu qualche innovazione degna di nota: – L’impiego del mulino con macina a movimento rotatorio, messa in azione in genere da un asino. – In età imperiale la diffusione di mulini ad acqua, noti dalla descrizione di Vitruvio e dalla ricerca archeologica (Barbegal). – L’impiego di torchi, con meccanismi sempre più sofisticati, per la produzione di vino e olio. 36 Schema di funzionamento di un mulino a trazione animale 1. Perno. 2. Barra cui era aggiogato l’animale. 3. Macina girante. 4. Macina giacente. 37 Un mulino a trazione animale • Rilievo con mulini a trazione animale, in questo caso cavalli, da un sarcofago ritrovato fuori da porta S. Giovanni, a Roma (III sec. d.C.). • Conservato oggi al Museo Chiaramonti, Città del Vaticano. 38 Il complesso dei mulini ad acqua di Barbegal • Localizzato nei pressi di Arles, nella Francia meridionale. • Un complesso messo in moto dalle acque destinate alla città di Arelate, sfruttando un pendio naturale. • Le due serie di 8 mulini erano in grado di produrre 4,5 t. di farina al giorno. • Il complesso fu costruito in età traianea e funzionò almeno fino al III sec. d.C. 39 I torchi per la produzione del vino e dell’olio • Sebbene per l’uva continuò in età romana il tradizionale sistema di pigiatura coi piedi, si diffusero sempre più torchi per una più efficace spremitura dell’uva e delle olive. • Il torchio “catoniano” a leva (dal II sec. a.C.) in cui la pressione di una pesante trave era trasmessa appunto da una leva. • Il torchio “pliniano” a vite (dalla metà del I sec. d.C.) in cui la pressione era trasmessa appunto da un meccanismo a vite, più efficiente e meno ingombrante. 40 Scena di pigiatura di uva • Scena di pigiatura di uva nel mosaico della volta del mausoleo di Costantina (354 d.C.), nella chiesa di S. Costanza a Roma. 41 Schema di funzionamento di un torchio a leva 42 Schema di funzionamento di un torchio a vite 43 Il settore manifatturiero: la ceramica • Il largo uso, in età imperiale, di stampi, che consentivano la decorazione in serie della ceramica detta terra sigillata, con grande risparmio di tempo. • La creazione di grandi forni di cottura, larghi 4 m e alti 3 m, capaci di contenere anche 30 mila vasi contemporaneamente. • Sviluppi particolarmente evidenti nel grandi centri di produzione della Gallia, come La Graufesenque. • Progressi nella lavorazione del vetro, attraverso la tecnica della soffiatura e l’aggiunta di componenti che rendevano il vetro trasparente. • In età tardoantica nuove tecniche decorative consentono una produzione di vetri di lusso (coppa diatreta). 44 L’arte vetraria tardoromana • Nell’immagine la preziosa coppa diatreta Trivulzio, rinvenuta a Castellazzo Novarese e databile al IV sec. d.C. • Il termine diatreta (dal greco diatetraivnw, “perforo”) allude alla tecnica di lavorazione. • Riporta le scritta beneaugurante Bibe, vivas multis annis. • Oggi al Museo Archeologico Nazionale di Milano. 45 Il settore edilizio • L’impiego dell’opus caementicium, una miscela di malta e ciottoli, che impiegava anche le resistente pozzolana, offre nuove possibilità architettoniche di grande solidità. – La resistenza dell’opus caementicium all’acqua ne rese possibile l’impiego anche negli impianti portuali, come a Puteoli e ad Ostia. • La diffusione dell’arco, che rese possibile la costruzione di arditi ponti e acquedotti. • Il diffuso impiego di macchine simili a gru, impiegate anche per carico e scarico delle merci dalle navi. 46 L’opus caementicium • Un esempio di uso dell’opus caementicium, da un monumento funerario della via Appia. 47 Un esempio di gru • L’impiego di una gru nella costruzione di un tempio. • Rilievo dal cosiddetto sepolcro degli Haterii. 48 Ricostruzione di una gru romana • Fondata principalmente sul rilievo degli Haterii. 49 Il settore dei trasporti: i trasporti via terra • Erano condizionati dall’enorme lentezza e dai pesanti costi: – Un carro da trasporto poteva viaggiare ad una velocità massima di circa 3 km/h. – Catone, De agricultura, 22, 3: un torchio da olio del prezzo di 460 sesterzi viene a costare 730 sesterzi, se acquistato a circa 100 km. di distanza (6 giorni di viaggio su carro). – Dai costi indicati nell’Edictum de pretiis di Diocleziano si ricava che il costo di un carico di grano raddoppiava ogni 400 km. 50 I miglioramenti dell’età romana • L’estensione della eccellente rete stradale romana prima all’Italia, poi a tutto l’Impero rese più agevoli gli spostamenti via terra, anche se essi rimasero comunque lenti e costosi in confronto ad oggi. • Il miglioramento nella concezione dei carri di trasporto. • L’impiego delle botti, con un miglior rapporto tra peso del contenitore e peso del contenuto rispetto alle anfore. 51 Carri da viaggio • Ricostruzione di un carro da viaggio, probabilmente adibito piuttosto al trasporto di persone che di merci. • Colonia, Römisch-Germanisches Museum. 52 Il trasporto in botte • Trasporto di una botte, presumibilmente contenente vino, con carretto trainato da asino. • Da un bassorilievo del II-III sec. d.C. oggi al Museo archeologico di Metz. 53 I trasporti via acqua: i vantaggi • Assai meno costosi e più rapidi i trasporti via acqua, in particolare via mare, dove si poteva sfruttare al meglio la forza dei venti. • Attraverso questa via avvenivano di preferenza gli spostamenti di carattere commerciale, delle merci più svariate: dai grandi obelischi alle pietre preziose, fino ai generi di largo consumo, come i cereali. • Anche grazie all’aggiunta di alberi e velatura, le navi da carico romano avevano grandi capacità di carico, con un tonnellaggio fino a 500 t. e oltre. • In favore di vento i trasporti potevano essere piuttosto rapidi: abbiamo notizia di viaggi da Ostia alle Colonne d’Ercole in 7 giorni, da Ostia a Narbo Martius in 3 giorni, da Puteoli ad Alessandria in 9 giorni. 54 I trasporti via acqua: i limiti • Le limitate capacità di manovra delle navi romane potevano allungare di molto i viaggi. • I limiti degli strumenti di navigazione e le debolezze strutturali delle navi romane consigliavano di navigare il più possibile in vista delle coste, allungando le rotte. • Le rotte d’alto mare erano possibili solo nel periodo marzo-novembre. • La mancanza di strutture portuali adeguate non rendeva conveniente l’uso di navi di enormi proporzioni: la vicenda della Syracusia di Ierone II, bloccata nel porto di Alessandria. 55 Bibliografia di approfondimento • R. Sallares, Ecology, «The Cambridge Economic History of the Greco-Roman World», a cura di W. Scheidel - I. Morris - R. Saller, Cambridge 2007, pp. 15-37 [Biblioteca digitale]. • R.P. Saller, Household and Gender, ibid., pp. 87112 [Biblioteca digitale]. • W. Scheidel, Demography, ibid., pp. 38-86 [Biblioteca digitale]. • H. Schneider, Technology, ibid., pp. 144-171 [Biblioteca digitale]. 56 Bibliografia di approfondimento • P.A. Gianfrotta, Le vie di comunicazione, «Storia di Roma, IV, Caratteri e morfologie», Torino 1989, pp. 301-322 [STO/D 937 STO IV]. • G.P. Givigliano, Percorsi e strade, «Storia della Calabria antica, II, l'età italica e romana», a cura di S. Settis, Roma - Reggio Calabria 1994, pp. 241-362 [945.78 S 6]. • G.P. Givigliano, Territorio e malaria nei Bruttii, «Rivista Storica Italiana», 113 (2001), 3, pp. 583-613 [Biblioteca digitale]. • R. Arcuri, Per una storia delle malattie nella Calabria romana, «Mediterraneo Antico», 10 (2007), 1-2, pp. 529567 [Biblioteca digitale] 57