Lezione V
Le premesse strutturali
I condizionamenti della geografia:
l’orografia
• La morfologia del territorio condiziona le forme di
sfruttamento e le possibilità di comunicazione, con
profondi effetti sull’economia.
• Nella regio III un territorio accidentato, caratterizzato da
un susseguirsi di massicci montuosi, sebbene di non
eccelsa altezza:
–
–
–
–
I Monti Alburni e i Monti della Maddalena nella Lucania tirrenica.
Il massiccio del Pollino tra Lucania e Bruzio.
La Catena Costiera e la Sila nel Bruzio centro-settentrionale.
Le Serre e l’Aspromonte nel Bruzio centro-meridionale.
2
I condizionamenti della geografia: le
pianure
• In genere di modesta estensione e situate
sulle coste:
– In Lucania la Piana del Sele, la Piana di
Metaponto e la pianura interna del Vallo di
Diano.
– Nel Bruzio la Piana di Sibari (con il naturale
prolungamento della valle del Crati), la Piana di
S. Eufemia e la Piana di Gioia Tauro.
3
Carta fisica della Lucania
4
Carta fisica
del Bruzio
5
L’idrografia
• Un grande numero di brevi corsi d’acqua, rilevanti non
solo per l’irrigazione, ma anche per le comunicazioni.
– Le possibilità di navigazione fluviale anche su corsi d’acqua di
modesta portata.
– La possibilità di creare piccoli porti alle foci dei fiumi.
– I solchi vallivi favoriscono le comunicazioni (per esempio il
sistema Crati - Savuto).
• Corsi d’acqua in genere più lunghi e di regolare portata sul
versante ionico: da nord a sud il Bradano, il Basento,
l’Agri, il Sinni, il Crati, il Neto.
• Sul versante tirrenico da ricordare il Sele (con il suo
affluente Tanagro), il Lao, il Savuto e l’Amato.
6
Le vie di comunicazione fluviale
• Le opportunità di navigazione su corsi d’acqua di
modesta entità, che comunque avevano probabilmente
una portata maggiore di quella odierna.
• Una possibilità favorita dall’uso in età antica di piccole
imbarcazioni a fondo piatto.
• Il Crati sembra essere stato navigabile fino a 40 km.
dalla foce.
• Plinio, Naturalis Historia, III, 96 e i fiumi navigabili del
Bruzio: amnes ibi navigabiles Carcinus, Crotalus,
Semirus, Arogas, Thagines.
– Una testimonianza che si riferisce alla sola Calabria ionica.
– Discussa l’identificazione dei corsi d’acqua menzionati da
Plinio, che comunque non dovevano essere tra i maggiori di
questo versante del Bruzio.
7
I porti
• La posizione della nostra regione nel Mediterraneo
ne fa un punto di passaggio obbligato per molte
rotte tra Oriente e Occidente, tra Meridione e
Settentrione.
• La conformazione delle coste favorisce la
creazione di numerosi approdi, tranne che sulla
costa ionica della Lucania.
• Tra i più rilevanti in età romana: Velia, Vibo
Valentia, Reggio, Locri, Crotone, Sibari.
8
Il problema del drenaggio
• Le piane costiere e interne della regione
hanno le tendenza all’impaludamento, in
assenza di costanti lavori di regimentazione
delle acque.
• Una tendenza che favorì lo sviluppo della
malaria in alcune fasi dell’antichità.
9
Il regime delle piogge
• La concentrazione di violente piogge in brevi
periodi, caratteristica del clima mediterraneo,
provoca l’erosione dei suoli.
• Un fenomeno che è stato osservato anche per la
nostra regione nell’Antichità, in base ai sedimenti
della piana di Metaponto.
• Un fenomeno potenzialmente devastante dal punto
di vista economico, ma i cui effetti in età antica
furono mitigati da un’occupazione meno intensa
del territorio rispetti ai giorni nostri.
10
Deforestazione?
• Alcuni studiosi hanno supposto una grave deforestazione
dell’Appennino lucano e calabro nell’Antichità.
• Un’ipotesi che può trovare sostegno nell’ampio uso
“distruttivo” dei boschi di questo periodo, come legna da
costruzione o da ardere e per ricavare la pece.
• Un uso che in età romana era in concorrenza con l’utilizzo
“non distruttivo” del bosco e che può essere il motivo di
tensioni socioeconomiche tra gruppi diversi.
11
Le condizioni dell’agricoltura
• Le tre fondamentali colture del territorio in età romana,
cereali, vite e ulivo, erano già presenti agli inizi del I
millennio a.C.
• Tra i cereali nel periodo in considerazione assistiamo ad
una crescita del grano (tenero e duro), a spese dell’orzo e
del farro, più adatti al clima mediterraneo, ma meno
apprezzati per l’alimentazione.
• Un periodo di basse rese: nella coltivazione dei cereali era
normale una resa di 4 volte la semente e di 4 q/ha (oggi per
il grano tenero 25-90 q/ha, per il grano duro 15-50 q/ha).
12
Le condizioni dell’allevamento
• Nella nostra regione, come in molte altre del Mediterraneo,
assumeva soprattutto la forma della transumanza, favorita
dalla relativa contiguità tra aree montuose e aree pianeggianti.
– Un’alternanza tra pascoli invernali, in pianura, e pascoli estivi, in
montagna.
– Una forma di allevamento già praticata, su piccola scala, nell’Italia
preistorica.
• Un considerevole contributo dell’allevamento all’economia
antica, in termini di carne, latte e lana.
• Ma la pratica della transumanza poteva ostacolare l’uso degli
animali nel lavoro dei campi, assolutamente fondamentale
nell’antichità.
13
L’incidenza delle malattie
• Le cattive condizioni igieniche e un’alimentazione
piuttosto povera era causa di una forte incidenza delle
malattie, soprattutto infettive.
• Nella nostra regione particolarmente rilevante la malaria,
diffusa da alcune specie di zanzare che vivevano nelle zone
paludose.
– Il vettore della malattia giunse in Italia meridionale dal
Mediterraneo orientale e dall’Africa, forse a seguito
dell’intensificarsi dei contatti commerciali.
– Un dato che ha influenzato le forme dell’insediamento antico, che
privilegiano le alture rispetto alle zone basse.
– La malattia è attiva in estate e in autunno, debilitando i contadini
proprio nel periodo del raccolto.
14
L’incidenza dei fenomeni
migratori
• Secondo alcuni studiosi complessivamente meno
forte nel mondo romano che in altre civiltà antiche
(p. es. la Cina degli Han).
• Ma la nostra regione sperimentò notevoli
fenomeni di mobilità per gli standard antichi: la
colonizzazione degli inizi del II sec. a.C.,
l’emigrazione verso la pianura Padana e l’arrivo di
masse di schiavi nello stesso periodo, lo
stanziamento di veterani alla fine del I sec. a.C.
15
La struttura demografica
• Un mondo antico caratterizzato da alta natalità e da alta
mortalità.
• Una speranza di vita compresa tra i 20 e i 30 anni.
– Un dato soggetto a considerevoli variazioni nello spazio (con una
maggiore durata della vita nelle campagne) e nel tempo (epidemie,
guerre, carestie).
• Un dato che ha gravi ripercussioni sulle possibilità di sviluppo
economico.
• L’altissima mortalità infantile: secondo alcuni modelli, circa la
metà dei nati moriva prima di compiere 10 anni: ma chi
superava questa soglia poteva sperare in altri 35-40 anni di vita.
• Gli alti tassi di mortalità comportano necessariamente un alto
tasso di fertilità: tra i 6 e i 9 figli per coppia, per mantenere
stabile o in lieve crescita la popolazione.
16
Il numero di abitanti
• Il problema dei livelli della popolazione è
particolarmente mal documentato nel mondo antico, in
particolare per la nostra regione.
• In genere per il mondo antico si pensa ad una lenta e
costante crescita della popolazione fino al II sec. d.C.,
fino a livelli superati in Europa solo nel XV secolo.
– Secondo una plausibile ricostruzione l’Impero romano nella
seconda metà del II sec. d.C. toccava i 65-70 milioni di
abitanti.
• Nella dottrina è diffusa l’opinione di una decadenza
demografica della nostra regione in età romana:
un’opinione che in realtà non trova solido
fondamento.
17
La distribuzione della popolazione
• Nonostante le civiltà classiche siano per definizione civiltà
cittadine, la popolazione urbana era molto inferiore a
quella attuale
– probabilmente nell’Impero romano del II sec. d.C. non eccedeva il
10-12% della popolazione totale.
• Differenze regionali: l’Italia era intensamente urbanizzata,
ma nella nostra regione il tasso di urbanizzazione era molto
inferiore rispetto all’Italia centrale.
• Parte della popolazione cittadina era comunque impegnata
in agricoltura.
• A parte alcune megalopoli, la maggior parte dei centri
urbani antichi contava poche migliaia, se non poche
centinaia, di abitanti.
18
La distribuzione della popolazione
• Nelle città antiche il tasso di mortalità era più alto
che nelle campagne, in particolare in megalopoli
come Roma.
– Un dato legato alle pessime condizioni igieniche, ad
una cattiva alimentazione, al rapido diffondersi delle
malattie infettive in luoghi ad alta densità di
popolazione.
• Le città antiche potevano mantenere o addirittura
accrescere la propria popolazione solo in presenza
di una significativa immigrazione.
19
Le attività della popolazione
• Nell’impero romano del II sec. d.C. in media il
90% circa della popolazione era impegnato nel
settore primario.
– Solo in alcune aree in cui le attività commerciali e
manifatturiere erano particolarmente sviluppate
questa proporzione si abbassava.
• Si suppone comunque per l’età romana almeno
un lieve aumento degli occupati nei settori
secondiario e terziario.
20
La famiglia, la cellula fondamentale
della vita economica e sociale
• Un concetto particolare di “famiglia”, termine con
il quale traduciamo il greco oíkos e il latino
familia o domus.
• Concetti che includono, oltre alle persone (la
famiglia nucleare, ma anche parenti non sposati,
vedovi, schiavi) e alla casa in senso stretto, anche i
beni famigliari.
• Da oíkos nasce il termine oikonomía, col
significato principale di “amministrazione di una
proprietà”.
21
Il concetto di oikonomía e di oíkos in
Senofonte, Economico, 1, 1-2; 5
Lo ascoltai [Socrate] una volta discutere anche di amministrazione domestica
(oikonomía) nel modo seguente. «Dimmi, Critobulo», disse, «amministrazione domestica è forse il nome di una scienza, come medicina, metallurgia e
carpenteria?»
«A me sembra proprio di sì», fece Critobulo.
«E come noi siamo in grado di dire quale sia il compito di ciascuna di queste
arti, così anche dell’amministrazione domestica possiamo dire quale sia il
suo compito?»
«Sembra», disse Critobulo, «che sia proprio di un buon amministratore amministrare bene la sua casa (oíkos)» …
«Ma la casa che cosa è secondo noi? Coincide forse con l’abitazione (oikía) o
anche tutto quanto uno possiede fuori dall’abitazione fa parte della casa?»
«Si, a me sembra», disse Critobulo, «che tutto quanto uno possiede fa parte della
casa, anche se non si trova nella stessa città di chi lo possiede».
22
I caratteri essenziali della
famiglia romana
• Matrimonio monogamico, ma possibilità di
divorzio, da parte di entrambi i coniugi.
• Uno squilibrio di età al momento delle nozze:
ragazze giovani, uomini di età più matura.
– Nel mondo romano era normale che una ragazza fosse
già sposata a 20 anni, un uomo a 30 anni.
• L’alto tasso di mortalità: un forte numero di
vedovi e vedove, come anche di orfani.
– Secondo un modello solo il 20% dei figli quando
raggiungeva l’età adulta aveva ancora entrambi i
genitori vivi.
23
I poteri del capofamiglia nella
Roma arcaica
• I poteri assoluti del capofamiglia nel modello della
famiglia classica.
• Una situazione che si riflette nella società della
Roma arcaica nei poteri del paterfamilias, il
maschio più anziano della famiglia.
– Con il matrimonio la donna diveniva soggetta
all’autorità del marito (o di suo padre): il matrimonio
cum manu.
– Il divorzio era ammesso solo per gravi cause morali.
24
I poteri del capofamiglia nel
Trattato sull’economia, I, 1
• L’amministrazione domestica (oikonomía) e
la politica differiscono non solo tanto
quanto famiglia e stato (queste in effetti ne
costituiscono le rispettive materie), ma
anche perché in politica vi sono molti capi,
l’amministrazione domestica invece è il
governo di uno solo.
25
L’evoluzione della famiglia alla fine
della Repubblica e nell’età imperiale
• L’ampliarsi delle possibilità di divorzio, che diventa
fenomeno del tutto comune tra le élite.
• Il diffondersi del matrimonio sine manu che lasciava la sposa
sotto l’autorità di suo padre.
• Alla morte del padre la donna acquisiva indipendenza (sui
iuris) e godeva di diritti di proprietà quasi uguali a quelli di un
uomo.
– La dote entrava invece a far parte dei beni del marito: ma nel mondo
romano essa non rappresentava una parte molto significativa del
patrimonio della famiglia della sposa.
– Alla morte del padre la donna riceveva un tutor mulieris che doveva
approvare le decisioni in materia economica; ma il ruolo del tutor
progressivamente divenne solo formale.
26
Il potere economico delle donne
• In conseguenza di questo quadro istituzionale le donne
romane avevano un potere economico altrimenti ignoto
prima del XX secolo.
– La stima del 20% della ricchezza in possesso di donne sembra oggi
fin troppo cauta.
– Per esempio tra i proprietari di fabbriche di mattoni a noi noti le
donne sono circa un terzo.
• La riprovazione dei moralisti nei confronti di questo potere
femminile mostra che le donne, per ragioni di pressione
sociale, non sempre potevano disporre dei loro patrimoni a
completa discrezione.
27
La concezione del lavoro
• Un mancato processo di astrazione: in greco e in
latino non esiste un’unica parola che possa
esprimere tutte le sfumature del nostro termine
“lavoro”.
• Gli antichi non conoscevano il concetto unitario di
“lavoro”, ma vedevano solo una pluralità di
occupazioni, valutate in modo molto diverso.
• In generale nel mondo classico il lavoro in sé non
aveva alcuna connotazione positiva, era sentito
piuttosto come condanna da evitare, ove possibile.
28
Erodoto, Storie, II, 166: la valutazione
del lavoro tra barbari e Greci
• Neppure ai guerrieri egiziani è lecito esercitare alcun
mestiere, ma esercitano solo l’arte della guerra, il figlio
succedendo al padre. Se anche questo uso i Greci hanno
appreso dagli Egiziani non sono in grado di giudicarlo
esattamente, poiché vedo che anche Traci e Sciti e Persiani e
Lidi e quasi tutti i barbari considerano più spregevoli degli
altri cittadini quelli che hanno appreso un mestiere e i loro
discendenti, mentre quelli che si sono tenuti lontani dai lavori
manuali li ritengono nobili, e particolarmente quelli che si
sono dedicati alla guerra. Questo modo di pensare l’hanno
appreso tutti i Greci e specialmente gli Spartani; i Corinzi
invece meno di tutti disprezzano gli artigiani.
29
L’otium
• La libertà dall’obbligo di lavorare lasciava il
tempo libero per dedicarsi alle attività della scholé
e dell’otium:
–
–
–
–
Attività politica
Studio
Esercizio fisico
Assistenza agli amici
• Attività dirette al bene pubblico e non al proprio
egoistico interesse.
30
La valutazione delle diverse
professioni
• La più apprezzata era quella di proprietario
terriero,
che
dava
tempo
libero,
indipendenza e autosufficienza.
• Disprezzati i lavori artigianali, che
assorbivano tutte le energie di un uomo e lo
costringevano a vivere in ambienti malsani.
• Svalutato anche il commercio al minuto,
che si riteneva fondato sulla frode.
31
Plutarco, Vita di Pericle, 1, 4 - 2, 1: la
distinzione fra il lavoratore e la sua opera
• Nessun giovane gentiluomo, dopo aver
visto lo Zeus di Pisa o l’Era di Argo
desiderò essere Fidia o Policleto, né
Anacreonte, Fileta o Archiloco, malgrado il
piacere che suscitano le loro poesie. Se un
prodotto ci diletta perché è bello, non è
necessariamente degno di invidia chi lo ha
creato.
32
Il lavoro femminile
• L’ideologia classica confinava il lavoro femminile alla sfera domestica.
• Gli scarsi dati in nostro possesso sembrano confermare questa visione: poco
significativo sembra il ruolo femminile nel lavoro dei campi; e il dato
riguarda anche le schiave.
• Nelle fattorie antiche le donne si occupavano di conservare il cibo, cucinare,
governare la casa, filare la lana.
• Anche nel contesto urbano il ruolo femminile appare minore rispetto a quello
maschile ed è confinato soprattutto ai mestieri di servizio.
• Un dato che si ricava soprattutto dalla menzione del mestiere negli epitafi: il
mestiere femminile potrebbe rimanere celato per ragioni ideologiche.
• Al di là delle possibili distorsioni dovute allo stato della documentazione,
indubbiamente le donne antiche ebbero un ruolo più limitato nel mondo del
lavoro: una delle cause del sottosviluppo dell’economia antica.
33
I condizionamenti della tecnologia
• L’opinione comune: un mondo antico caratterizzato da
stagnazione tecnologica, incapace di tradurre in
strumenti pratici le sue notevoli conoscenze teoriche.
• Un’opinione condizionata dal modello della Rivoluzione
Industriale e di uno sviluppo fondato sulle macchine.
• La necessità di considerare i progressi tecnologici
dell’antichità nel contesto di una società preindustriale.
• La necessità di considerare con maggiore attenzione le
effettive realizzazioni dell’antichità (non solo nel campo
delle macchine), rivelate dalla ricerca archeologica.
34
Il problema dell’energia
• La forza umana era l’energia più in uso nel mondo antico, in
agricoltura, nell’artigianato, ma anche nei trasporti a breve
raggio.
• Rilevante l’apporto della forza animale nel lavoro dei campi
(buoi), nei trasporti (buoi, asini, cavalli, cammelli), nella
trasformazione dei prodotti agricoli (asini).
• L’energia termica, indispensabile nella vita quotidiana e nella
produzione artigianale era assicurata soprattutto dalla legna e dal
carbone vegetale.
• L’energia eolica era impiegata solo per la navigazione,
prevalentemente commerciale.
• L’impiego dell’energia idrica in età imperiale romana
rappresenta uno dei progressi tecnologici di maggior peso
economico nell’antichità.
35
Il settore agricolo
• L’attività economica di maggior peso nel mondo
antico fu caratterizzata da forme di lavoro in larga
misura immutate, anche se in età romana vi fu
qualche innovazione degna di nota:
– L’impiego del mulino con macina a movimento
rotatorio, messa in azione in genere da un asino.
– In età imperiale la diffusione di mulini ad acqua, noti
dalla descrizione di Vitruvio e dalla ricerca
archeologica (Barbegal).
– L’impiego di torchi, con meccanismi sempre più
sofisticati, per la produzione di vino e olio.
36
Schema di funzionamento di un
mulino a trazione animale
1. Perno.
2. Barra cui era
aggiogato
l’animale.
3. Macina girante.
4. Macina giacente.
37
Un mulino a trazione animale
• Rilievo con mulini a
trazione animale, in
questo caso cavalli,
da un sarcofago
ritrovato fuori da
porta S. Giovanni, a
Roma (III sec. d.C.).
• Conservato oggi al
Museo Chiaramonti,
Città del Vaticano.
38
Il complesso dei mulini ad acqua di Barbegal
• Localizzato nei pressi di
Arles,
nella
Francia
meridionale.
• Un complesso messo in
moto dalle acque destinate
alla
città
di
Arelate,
sfruttando
un
pendio
naturale.
• Le due serie di 8 mulini
erano in grado di produrre
4,5 t. di farina al giorno.
• Il complesso fu costruito in
età traianea e funzionò
almeno fino al III sec. d.C.
39
I torchi per la produzione del
vino e dell’olio
• Sebbene per l’uva continuò in età romana il
tradizionale sistema di pigiatura coi piedi, si
diffusero sempre più torchi per una più efficace
spremitura dell’uva e delle olive.
• Il torchio “catoniano” a leva (dal II sec. a.C.) in
cui la pressione di una pesante trave era trasmessa
appunto da una leva.
• Il torchio “pliniano” a vite (dalla metà del I sec.
d.C.) in cui la pressione era trasmessa appunto da
un meccanismo a vite, più efficiente e meno
ingombrante.
40
Scena di pigiatura di uva
• Scena di pigiatura di uva nel mosaico della volta del mausoleo di
Costantina (354 d.C.), nella chiesa di S. Costanza a Roma.
41
Schema di funzionamento di un
torchio a leva
42
Schema di funzionamento di un
torchio a vite
43
Il settore manifatturiero: la ceramica
• Il largo uso, in età imperiale, di stampi, che consentivano
la decorazione in serie della ceramica detta terra sigillata,
con grande risparmio di tempo.
• La creazione di grandi forni di cottura, larghi 4 m e alti 3
m, capaci di contenere anche 30 mila vasi
contemporaneamente.
• Sviluppi particolarmente evidenti nel grandi centri di
produzione della Gallia, come La Graufesenque.
• Progressi nella lavorazione del vetro, attraverso la tecnica
della soffiatura e l’aggiunta di componenti che rendevano
il vetro trasparente.
• In età tardoantica nuove tecniche decorative consentono
una produzione di vetri di lusso (coppa diatreta).
44
L’arte vetraria
tardoromana
• Nell’immagine la preziosa
coppa diatreta Trivulzio,
rinvenuta a Castellazzo
Novarese e databile al IV
sec. d.C.
• Il termine diatreta (dal greco
diatetraivnw,
“perforo”)
allude alla tecnica di
lavorazione.
• Riporta
le
scritta
beneaugurante Bibe, vivas
multis annis.
• Oggi al Museo Archeologico
Nazionale di Milano.
45
Il settore edilizio
• L’impiego dell’opus caementicium, una miscela di
malta e ciottoli, che impiegava anche le resistente
pozzolana, offre nuove possibilità architettoniche di
grande solidità.
– La resistenza dell’opus caementicium all’acqua ne rese
possibile l’impiego anche negli impianti portuali, come a
Puteoli e ad Ostia.
• La diffusione dell’arco, che rese possibile la
costruzione di arditi ponti e acquedotti.
• Il diffuso impiego di macchine simili a gru, impiegate
anche per carico e scarico delle merci dalle navi.
46
L’opus caementicium
• Un esempio di uso
dell’opus caementicium,
da
un
monumento
funerario della via Appia.
47
Un esempio di
gru
• L’impiego di una gru
nella costruzione di un
tempio.
• Rilievo dal cosiddetto
sepolcro degli Haterii.
48
Ricostruzione di
una gru romana
• Fondata principalmente
sul rilievo degli Haterii.
49
Il settore dei trasporti: i trasporti
via terra
• Erano condizionati dall’enorme lentezza e dai
pesanti costi:
– Un carro da trasporto poteva viaggiare ad una velocità
massima di circa 3 km/h.
– Catone, De agricultura, 22, 3: un torchio da olio del
prezzo di 460 sesterzi viene a costare 730 sesterzi, se
acquistato a circa 100 km. di distanza (6 giorni di
viaggio su carro).
– Dai costi indicati nell’Edictum de pretiis di Diocleziano
si ricava che il costo di un carico di grano raddoppiava
ogni 400 km.
50
I miglioramenti dell’età romana
• L’estensione della eccellente rete stradale romana
prima all’Italia, poi a tutto l’Impero rese più
agevoli gli spostamenti via terra, anche se essi
rimasero comunque lenti e costosi in confronto ad
oggi.
• Il miglioramento nella concezione dei carri di
trasporto.
• L’impiego delle botti, con un miglior rapporto tra
peso del contenitore e peso del contenuto rispetto
alle anfore.
51
Carri da viaggio
• Ricostruzione di un carro da
viaggio, probabilmente adibito piuttosto al trasporto di
persone che di merci.
• Colonia, Römisch-Germanisches Museum.
52
Il trasporto in
botte
• Trasporto di una botte,
presumibilmente contenente
vino, con carretto trainato da
asino.
• Da un bassorilievo del II-III
sec. d.C. oggi al Museo
archeologico di Metz.
53
I trasporti via acqua: i vantaggi
• Assai meno costosi e più rapidi i trasporti via acqua, in particolare via
mare, dove si poteva sfruttare al meglio la forza dei venti.
• Attraverso questa via avvenivano di preferenza gli spostamenti di
carattere commerciale, delle merci più svariate: dai grandi obelischi
alle pietre preziose, fino ai generi di largo consumo, come i cereali.
• Anche grazie all’aggiunta di alberi e velatura, le navi da carico romano
avevano grandi capacità di carico, con un tonnellaggio fino a 500 t. e
oltre.
• In favore di vento i trasporti potevano essere piuttosto rapidi: abbiamo
notizia di viaggi da Ostia alle Colonne d’Ercole in 7 giorni, da Ostia a
Narbo Martius in 3 giorni, da Puteoli ad Alessandria in 9 giorni.
54
I trasporti via acqua: i limiti
• Le limitate capacità di manovra delle navi romane
potevano allungare di molto i viaggi.
• I limiti degli strumenti di navigazione e le debolezze
strutturali delle navi romane consigliavano di navigare il
più possibile in vista delle coste, allungando le rotte.
• Le rotte d’alto mare erano possibili solo nel periodo
marzo-novembre.
• La mancanza di strutture portuali adeguate non rendeva
conveniente l’uso di navi di enormi proporzioni: la vicenda
della Syracusia di Ierone II, bloccata nel porto di
Alessandria.
55
Bibliografia di approfondimento
• R. Sallares, Ecology, «The Cambridge Economic
History of the Greco-Roman World», a cura di W.
Scheidel - I. Morris - R. Saller, Cambridge 2007,
pp. 15-37 [Biblioteca digitale].
• R.P. Saller, Household and Gender, ibid., pp. 87112 [Biblioteca digitale].
• W. Scheidel, Demography, ibid., pp. 38-86
[Biblioteca digitale].
• H. Schneider, Technology, ibid., pp. 144-171
[Biblioteca digitale].
56
Bibliografia di approfondimento
• P.A. Gianfrotta, Le vie di comunicazione, «Storia di Roma,
IV, Caratteri e morfologie», Torino 1989, pp. 301-322
[STO/D 937 STO IV].
• G.P. Givigliano, Percorsi e strade, «Storia della Calabria
antica, II, l'età italica e romana», a cura di S. Settis, Roma
- Reggio Calabria 1994, pp. 241-362 [945.78 S 6].
• G.P. Givigliano, Territorio e malaria nei Bruttii, «Rivista
Storica Italiana», 113 (2001), 3, pp. 583-613 [Biblioteca
digitale].
• R. Arcuri, Per una storia delle malattie nella Calabria
romana, «Mediterraneo Antico», 10 (2007), 1-2, pp. 529567 [Biblioteca digitale]
57
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Le premesse strutturali e storiche