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NOTA A CORTE DI CASSAZIONE – SECONDA SEZIONE PENALE
SENTENZA 17 novembre 2015, n. 45642
A cura di FRANCESCA COLAFATI
Il delitto di usura: la determinazione del profitto confiscabile ai sensi dell'art. 644, ultimo
comma, c.p.
Sommario: 1. Excursus storico del reato d’usura 2. Analisi della fattispecie 3. La confisca prevista
dall'art. 644, ultimo comma, c.p.4. Usura bancaria 5. Cassazione penale, 27 ottobre 2015,
n.45642, sez. II. 5.1. Il fatto 5.2. La concreta determinazione del profitto confiscabile
1. Excursus storico del reato d’usura nell'ordinamento italiano
Il fenomeno dell’usura è strettamente legato al momento storico di riferimento. A seconda delle
concezioni filosofiche o dottrinali che circolavano nella società, si decideva se punire o meno la
condotta usuraria. Se la dottrina era fortemente liberale, il reato d’usura non era previsto. In caso di
dottrine più “eticizzanti”e “moralizzatrici”, il reato era previsto e punito dai codici.
In origine, con il termine usura (dal verbo "utor", usare) si designava il frutto del denaro dato in
prestito, senza che la parola implicasse significati indegni o moralmente riprovevoli.
Per quanto riguarda l’esperienza italiana, il primo esempio di disciplina legale dell’usura lo si trova
nelle Costituzioni Melfitane del 1231, promulgate dall’imperatore Federico II di Svevia nel Regno
di Sicilia.
In tali costituzioni, l’usura era considerata, in omaggio alla tradizione cristiana, un fatto “molto
grave e disdicevole”.
Il reato d’usura, non essendo previsto dal codice Zanardelli, ispirato per l’appunto ad una
concezione più liberale, fu introdotto nel Codice Rocco del 1930 nel quale la condotta tipica si
fondava sulla situazione di debolezza del “povero sventurato”, che, privo delle risorse economiche
necessarie per far fronte alle normali esigenze quotidiane, era costretto a rivolgersi all’usuraio.
Veniva delineata, così, la più classica delle figure d’usura e dell’usuraio.
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La disciplina codicistica si presentava sfuggente ed indeterminata, ciò, conseguentemente,
comportava difficoltà probatorie dei requisiti costitutivi della fattispecie. Pertanto, il legislatore
italiano vi apportò una prima modifica con la legge 356/1992 con la quale viene introdotta la nuova
fattispecie d’usura impropria ex art. 644 bis c.p.
Sul versante probatorio, la riforma del 1992 non richiedeva più la dimostrazione
dell’approfittamento dello stato di bisogno, ma la prova dell’approfittamento di una situazione di
disagio meno pressante in cui versava l’imprenditore o il professionista: “difficoltà economiche o
finanziarie”. Questa fattispecie non forniva, però, una definizione tautologica di interessi usurai.
Con la legge 108/1996, il legislatore, spinto dal crescente allarme sociale generato dal fenomeno
usura, continuò a percorrere la strada della semplificazione probatoria, abolendo il reato d’usura
impropria, riscrivendo la fattispecie classica dell’usura, e tratteggiando una nuova figura
dell’usuraio.
Nella descrizione del fatto tipico, l’art. 644 c.p. eliminò qualsivoglia richiamo allo stato di bisogno
della vittima e all’approfittamento di tale condizione da parte del soggetto attivo per relegarlo a
circostanza aggravante del fatto ed inserendo un requisito oggettivo, un indice numerico, in modo
tale da rendere più facile, almeno nelle intenzioni, l’accertamento processuale ed evitare ampi
margini di discrezionalità del giudice, che avevano generato problemi nel testo originario, quando
vigeva la formulazione del reato prevista dal Codice Rocco.
2. Analisi della fattispecie
L'usura è un tipico esempio di reato in contratto per la cui configurabilità è necessario vi sia uno
scambio di tipo sinallagmatico, cioè un negozio a prestazioni corrispettive. Spesso si tratta di
contratti di mutuo, ma può prendere la forma di locazione o di una compravendita (rateale o con
patto di riscatto) con una apertura di credito o ancora di prestazioni professionali.
Quanto all'interesse protetto dalla norma, per alcuni, è il patrimonio del soggetto passivo: la vera
vittima dell’usura, essendo colui che vede il suo patrimonio depauperarsi in misura superiore al
consentito a seguito di una data operazione finanziaria.
Altri, lo individuano nell'ordinamento del credito quale strumento dell'economia nazionale accanto
al corretto funzionamento del mercato finanziario.
Soggetto attivo può essere chiunque (reato comune).
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Per quanto riguarda il soggetto passivo, il comma 5, al n. 4, prevede quale circostanza aggravante il
fatto che la condotta sia realizzata in danno di chi svolge attività imprenditoriale, artigianale o
professionale.
In merito alla condotta penalmente rilevante, il nuovo articolo 644 c.p. si avvale dello strumento
della norma parzialmente in bianco per disciplinare le due forme d’usura complementari tra loro.
La prima è l’usura presunta, ispirata alla legislazione d’oltralpe ed incentrata sul superamento di un
valore numerico detto tasso soglia, il quale viene trimestralmente aggiornato dal Ministero
dell’Economia e delle Finanze. Pertanto, l'art. 644, comma terzo parte prima, è una norma penale in
bianco in quanto rinvia ad altra fonte subordinata (il decreto ministeriale) per determinare un
elemento essenziale del reato.
La seconda forma d’usura è chiamata usura in concreto, voluta dal legislatore per evitare vuoti di
tutela. È prevista, infatti, la punibilità anche nell’ipotesi di rispetto del limite fissato ex lege qualora,
avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, il
tasso risulta sproporzionato rispetto alla prestazione della controparte contrattuale se, quest’ultima,
versa in condizioni di difficoltà economica o finanziaria, senza tuttavia richiedere una condotta
attiva d’approfittamento.
Alla luce di tale previsione, però, ritornano i problemi interpretativi e probatori sorti quando vigeva
la prima formulazione del reato d’usura. Infatti, se da un lato la nuova disposizione ha reso più
facile l’accertamento processuale, dall'altro si è in tal modo costruita una fattispecie d’usura
“altalenante”.
Le principali critiche sollevate dalla dottina riguardavano principalmente il nucleo centrale della
fattispecie basato sul tasso soglia. Essendo quest’ultimo aggiornato con cadenza trimestrale, non si
aveva una chiara e stabile definizione d’usurarietà, ma il comportamento poteva essere definito tale
solo in relazione ad un particolare trimestre.
Oltre alle due forme d’usura, il legislatore sempre nell'art. 644 c.p., prevede la fattispecie di
mediazione usuraria. La ratio incriminatrice è, come per le altre fattispecie d’usura, la tutela del
patrimonio del soggetto passivo contro l’azione di quei mediatori che si assicurano lauti guadagni
intromettendosi tra chi presta e chi richiede denaro, fornendo la loro opera di mediazione e
facendosi dare, o promettere, per tale opera, un compenso usuraio.
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Anche in questo caso, la più attenta dottrina ha evidenziato l'assenza di una stabile e chiara
definizione dell’usurarietà del compenso, che dovrà dedursi sfruttando i parametri validi per la
definizione d’interesse usuraio nei casi d’usura in concreto.
L'elemento psicologico richiesto è il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà di concludere il
contratto con interessi o vantaggi usurari. Nell'usura in concreto è richiesta anche la consapevolezza
della situazione di difficoltà economica e finanziaria del soggetto passivo.
3. La confisca prevista dall'art. 644, ultimo comma, c.p.
L'ultimo comma dell'art. 644 c.p., come modificato dall'art. 1 legge 7 marzo 1996 n. 108, ha
introdotto un'ipotesi di confisca obbligatoria - nel caso di condanna o anche di applicazione di pena
"patteggiata" ai sensi dell'art. 444 c.p.p. per una delle fattispecie di usura previste dalla disposizione
- "dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità
di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli
interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alla
restituzione e al risarcimento dei danni".
Rispetto alla previsione dell'art. 240 c.p. viene sancita, pertanto, la confisca obbligatoria non solo
del prezzo ma anche del profitto del reato, per il quale la misura è di regola facoltativa e subordinata
all'accertamento in concreto della pericolosità.
La maggiore novità introdotta dalla disposizione è costituita dall'estensione della confisca
obbligatoria pure alle "somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per
interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi
usurari", con la quale è stata introdotta nell'ordinamento la c.d. confisca "di valore" o "per
equivalente", estesa successivamente ad altre fattispecie, non solo di reato.
La giurisprudenza ha affermato espressamente la natura di misura di sicurezza della confisca
prevista dall'ultimo comma dell'art. 644 c.p., costituendo essa un "caso speciale di confisca
obbligatoria... (applicabile) in connessione con un giudizio di pericolosità con finalità preventive"
con conseguente assoggettamento alla disciplina prevista in via generale per tale istituto.
Quindi, nel solco di un orientamento emerso in altri Paesi e allo scopo di potenziare l’efficacia dello
strumento della confisca nel contrasto di alcune gravi forme di criminalità, è stata introdotta anche
nel nostro sistema la confisca per equivalente (chiamata anche confisca di valore): è prevista, in
caso di impossibilità di agire
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direttamente sui beni costituenti il profitto o il prezzo del reato, la possibilità di confiscare utilità
patrimoniali di valore corrispondente di cui il reo abbia la disponibilità. Questa tecnica ablativa è
stata inserita per la prima volta nel nostro ordinamento in occasione della riforma del reato di usura
(art. 644, ult. comma).
4. Usura bancaria.
Prima dell'introduzione della nuova norma, modalità e termini relativi all'erogazione del credito ed
il costo del denaro erano rimessi alla volontà delle parti. Ovviamente, la parte contrattualmente più
forte era nella situazione di poter dettare termini e condizioni in maniera arbitraria, stante l'assenza
di regole, sanzioni e conseguenti responsabilità. Era frequente, possibile e legale, che l'erogatore del
credito addebitasse costi elevati al cliente e pertanto la L.108/96 ha colmato una lacuna normativa.
La legge L. 108/96, infatti, ha contribuito ad ampliare, in maniera notevole, l’ambito di
applicazione del reato di usura e conseguentemente l’area di tutela offerta dalla norma, che non è
più relegata ad operare esclusivamente nei casi in cui sussista lo "stato di bisogno" del quale taluno
abbia "approfittato" conseguendo vantaggi per sé o per altri, ma opera anche ogni qual volta venga
superato il limite (cosiddetto Tasso Soglia d'Usura) posto dall’art. 2 della stessa L. 108/96.
In particolare, la norma è volta a sanzionare la condotta di chi (banche ed operatori finanziari), a
fronte di operazioni di erogazione di credito, applichi "commissioni, remunerazioni a qualsiasi
titolo e [...] spese, escluse quelle per le imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito" (Art.
1 L. 108/96) superiori al limite determinato dall’art 2 della L. 108/96 (Tasso Soglia d'Usura), il
principale ambito di operatività della disciplina è costituito dai conti correnti, dai mutui e da altre
operazioni di finanziamento e credito.
L’usura in conto corrente è determinata dai costi addebitati al correntista, connessi alle operazioni
di erogazione del credito, ai sensi dell’art. 1, comma 3, L.108/96. Per la determinazione del tasso
d’interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese,
escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito.
Il costo del denaro deve, dunque, essere contenuto entro il limite del Tasso Soglia d'Usura,
determinato dal Legislatore (art. 2 L. 108/96), con il T.E.G. (Tasso Effettivo Globale) rilevato
trimestralmente dalla Banca D'Italia, e pubblicato trimestralmente sulla Gazzetta Ufficiale,
aumentato del suo 50%.
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Per la determinazione sono necessari, oltre al tasso d'interesse effettivamente applicato (TAEG),
dati tra i quali alcune informazioni inerenti a costi non immediatamente rilevabili, ma deducibili
tramite calcoli matematici come gli interessi generati dall’applicazione della valuta, gli interessi
generati dall'anatocismo, gli interessi generati dall’addebito della Commissione di Massimo
Scoperto ed anche le spese.
5. Cassazione penale, 27 ottobre 2015, n. 45642, Sez. II
Con la sentenza in commento, la Seconda Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione,
definisce, in modo analitico, la nozione di "profitto confiscabile" in materia di usura ai sensi
dell'art. 644 ultimo comma c.p.
In particolare, il Supremo Consesso conferma che il reato di usura possa ritenersi consumato anche
con la sola pattuizione degli interessi oltre soglia, pur tuttavia, per integrarsi il “profitto” è
necessario il conseguimento di un profitto patrimoniale da parte dell’autore del fatto: “in tema di
usura, il profitto confiscabile, ex art. 644 c.p., coincide con gli interessi usurari concretamente
corrisposti …” (Cass. Sez. 6 sent. n. 45090 del 02/10/2014) . Inoltre, completa la generale nozione
di profitto del reato che si identifica nell'effettivo arricchimento patrimoniale già conseguito, in
rapporto di immediata e diretta derivazione causale dalla condotta illecita concretamente contestata,
con la massima secondo la quale "nel concetto di interessi usurari materialmente corrisposti
debbono essere intesi anche quelli eventualmente corrisposti mediante la consegna di titoli di
credito, irrilevante essendo, invece, che questi ultimi siano stati utilizzati o riscossi, posto che tali
documenti, per la loro autonomia rispetto ai diritti incorporati, possono essere comunque oggetto
di misura ablatoria".
5.1. Il fatto
La fattispecie posta all’attenzione della Corte di Cassazione trae origine da una decisione del
Tribunale di Torino che, a seguito di giudizio di riesame, nell'ambito di un procedimento penale
iscritto nei confronti di legali rappresentanti a vario titolo di Banca XXXXX S.p.a. per i reati di
usura aggravata, con ordinanza, confermava i decreti di sequestro preventivo, verso la banca,
emessi dal Giudice per le indagini preliminari per contabilizzazione di interessi passivi oltre soglia.
Il Tribunale del riesame afferma che il profitto del reato di usura sottoponibile a
confisca ex art. 644 c.p., ultimo comma, possa essere individuato anche in una diminuzione
dell'esposizione debitoria.
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La difesa di parte ricorrente contesta quanto affermato dal Tribunale eccependo che il creditore che
si limita a ridurre il proprio credito senza, quindi, aver ricevuto l'intero capitale dato a prestito e gli
interessi maturati sullo stesso non conseguirebbe un effettivo arricchimento patrimoniale. E che
quindi il Tribunale sarebbe incorso in violazione di legge ex art. 644, ultimo comma cod.pen.
5.2 La concreta determinazione del profitto confiscabile
La Corte di Cassazione per affermare che la concreta corresponsione degli interessi può anche
consistere nell'emissione di un titolo di credito a favore del supposto usuraio ed indipendentemente
dal fatto che detto titolo sia stato poi utilizzato o posto all'incasso, trae spunto dalla corretta
osservazione del Tribunale del Riesame allorquando ha sottolineato che la banca "è in condizione di
apprendere le somme che confluiscono sul conto corrente che andranno a ridurre il proprio credito".
Attraverso cioè la stipulazione del relativo contratto la banca finisce per contabilizzare a proprio
favore la voce passiva degli interessi (nella specie usurari) a carico del cliente, il quale si vede
corrispondentemente ridurre il proprio saldo attivo così di fatto essendo già posto nella condizione
di poter disporre esclusivamente del saldo del proprio conto corrente decurtato degli interessi stessi.
In tale situazione è indubbio che "il profitto della banca debba intendersi già concretamente
conseguito per effetto di diretta derivazione causale della condotta dell'agente e che non ci si trovi
in presenza di un credito meramente virtuale".
La Corte di Cassazione, infine con la sentenza in commento, ha anche chiarito un ulteriore ed
importante principio di diritto più specificamente afferente il diritto processuale penale.
Infatti, statuiscono i Supremi Giudici, "è il caso di ricordare come il controllo di legittimità che
compete alla Corte di Cassazione in materia di ricorsi aventi ad oggetto misure cautelari reali non
si estende all'adeguatezza delle linee argomentative ed alla congruenza logica del discorso
giustificativo della decisione, potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di
motivazione inesistente o meramente apparente: quando essa manchi assolutamente o sia, altresì,
del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a
rendere comprensibile l'iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero le linee argomentative del
provvedimento siano totalmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il
provvedimento. Il vizio appare il tal caso qualificabile come inosservanza della specifica norma
processuale che impone, a pena di nullità, l'obbligo di motivazione dei provvedimenti
giurisdizionali.
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Non è quindi possibile cercare di fare rientrare nell'ambito di cui alla lettera c) dell'art. 606 c.p.p.
una doglianza che al più potrebbe essere ricondotta nell'ambito della lett. e) del medesimo articolo
di legge".
La Corte specifica che innanzi alla stessa "deve essere apprezzata solo la presenza di seri indizi
della sussistenza del fumus e del periculum", pertanto, la parte ricorrente non può, sotto l'apparente
deduzione di vizi attinenti alla violazione di legge, prospettare una richiesta di rivalutazione del
merito di elementi di fatto legati alla ricostruzione della tempistica e delle modalità di
movimentazione dei conti correnti oggetto di attenzione nel corso dell'indagine.
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