Laboratorio specialistico
L. 328/2000 : I PIANI DI ZONA.
CONTRIBUTO PROF. DANIELA TEAGNO
Lezione 11 maggio 2009
Testi di riferimento:
Rei D., Sociologia e welfare, Gruppo Editoriale Esselibri, Napoli, II edizione, 2008
Ferrera M. , Le politiche sociali, Il Mulino, Manuali, Bologna, 2006
Battistella A., De Ambrogio U., Ranci Ortigosa E., Il Piano di zona. Costruzione,
gestione, valutazione, Carocci Faber, Roma, 2004 (3^ ristampa 2007)
Maggian R., Il sistema integrato dell’assistenza. Guida alla L.328/2000, Carocci,
Roma, 2ª ristampa maggio 2002
1
L’analisi delle politiche pubbliche/sociali
• L’analisi delle politiche pubbliche è lo studio del
come, perché e con quali effetti i diversi sistemi
politici (in particolare i governi) perseguono certi
corsi di azione per risolvere problemi di rilevanza
collettiva.
• L’analisi delle politiche sociali è allora lo studio di un
sotto-insieme di corsi di azioni, volti a risolvere
problemi e a raggiungere obiettivi di natura “sociale”,
che cioè hanno a che fare, in senso lato, col
benessere (welfare) dei cittadini.
Le politiche sociali sono un tipo di politica pubblica e
si distinguono per:
• contenuto: sono politiche relative a previdenza,
sanità, assistenza, cioè riguardano direttamente il
comparto della protezione sociale. A cui sono
connesse le politiche del lavoro, quelle fiscali, per
la casa, l’istruzione, la formazione, l’ambiente…
• funzione: sono politiche a “carattere distributivo”,
cioè forniscono ai destinatari benefici, attraverso
un ventaglio di prestazioni (dai trasferimenti di
ordine monetario, ai beni in natura e servizi), per
accrescere il loro benessere.
Il welfare state
• si tratta di un sistema sociale (connesso al
processo di modernizzazione) basato sulla
assunzione da parte di uno stato politico di
responsabilità primarie per il benessere sociale
e individuale di ogni cittadino, attraverso la
legislazione e l’attivazione di specifiche
politiche sociali realizzate tramite uffici e
agenzie governative, ossia da istituzioni
pubbliche.
Il tradizionale stato di diritto è fondato sulle libertà
individuali e sulle istituzioni di democrazia
rappresentativa, lo stato sociale offre qualcosa in più ai
suoi cittadini, ovvero si impegna a fornire tutela e
protezione contro rischi e bisogni che costituiscono
<sfide> per le condizioni di vita degli individui.
Il welfare in Italia
Il modello di welfare italiano può essere definito in vari
modi:
•
•
•
da un punto di vista costituzionale è LAVORISTA (artt.
1, 4 Cost.), SOLIDARISTA (art.2 Cost.) e
OCCUPAZIONALE (art. 38 Cost.).
Meglio sarebbe dire “OCCUPAZIONALE MISTO A
TRATTI DI UNIVERSALSMO”, perché il S.S.N. dal 1978
garantisce pari prestazioni sanitarie a tutti i cittadini;
in base alle caratteristiche tipiche del welfare
dell’Europa mediterranea, è FAMILISTA (Ferrera);
da un punto di vista politico PARTICOLARISTA e
CLIENTELARE (Paci, Ascoli).
Entrate/uscite per la protezione sociale (%)
previdenza
Stato
sanità
assistenza
21,9
55,8
74,7
Regioni/enti
locali
----
39.4
18,3
Enti
previdenziali
1,7
----
6,8
+ 2/3 Previdenza
il 25% Sanità
2/32
Imprese
51,9
2,2
----
Lavoratori
dipendenti
14,2
----
----
Lavoratori
autonomi
8,4
----
----
Famiglie
0,5
0,2
----
Rei, 2008 (dati 2003)
Uscite:
il 7% Assistenza (di
cui il 5,2% per
prestazioni in denaro)
Sul totale spesa: 74%
trasferimenti; 26% beni
e servizi
spesa sociale per funzioni - confronto Italia/UE25, 2003
61,7
45,7
UE 25
25,7
1,8
3,5
Italia
0,3
abit/esclusione
6,6
disoccup
8,0 4,1
6,4
invalidità
malattia/sanità
7,9
famiglia/figli
28,3
vecchiaia e
superstiti
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
Fonte: Ferrera (2006) dal database Eurostat
La doppia distorsione del welfare state italiano
distorsione
distributiva
distorsione funzionale
Vecchiaia e superstiti
Altri rischi
++++
+++
Semigarantiti
++
+
Non garantiti
+
-
Garantiti
Cause e conseguenze della distorsione
Le peculiarità italiana si può collegare alla “logica politica” della Prima
Repubblica (1948-1992) che ha fatto del welfare state un nuovo sistema
di potere, consolidatosi intorno a una vera e propria partitocrazia
distributiva, che per catturare il consenso ha utilizzato modalità
particolaristico-clientelari.
Tra le conseguenze:
- i problemi di efficacia/efficienza, nonché di equità, non solo all’interno
delle generazioni ma anche tra le diverse generazioni;
- il rafforzamento dello status quo e l’ostilità verso il cambiamento
istituzionale;
- l’impatto più violento, rispetto agli altri paesi europei, della crisi
iniziata negli anni Settanta.
A partire dal 1992, inizia una nuova fase di “ricalibratura” del welfare
state italiano, caratterizzata da importanti riforme in quasi tutti i
-Tangentopoli, Mani Pulite => 2ª Repubblica
comparti di spesa. Perché?
-Transizione verso l’UEM europea
Verso la riforma dell’assistenza sociale
La riforma dello stato sociale si impose come grande priorità nazionale nel
1996 con il primo governo di centro sinistra della Seconda repubblica, guidato
da Romano Prodi e con Livia Turco (DS) a capo del ministero per la solidarietà
sociale.
Nel 1997 una commissione di esperti, presieduta da Paolo Onofri,ebbe il
compito di elaborare una riflessione generale sugli scenari e le opportunità in
materia di riforma del welfare state nel suo complesso, che sfociò in una serie
di raccomandazioni.
Nella legge finanziaria per il 1998 il governo Prodi cercò di inserire molte delle
raccomandazioni della commissione Onofri e i principali interventi che
seguirono furono:
l’ISE/ISEE, l’assegno per i nuclei con almeno 3 figli minori, l’assegno di
maternità per le madri sprovviste di altra copertura assicurativa,la
sperimentazione del RMI [+sostegno locazione, ministero lavori pubblici]
Sempre nel 1998, Prodi presentò un disegno di legge intitolato “Disposizioni
per la realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali”, che
giunse in parlamento insieme a tante altre proposte sullo stesso tema,
andando a costituire la base per la riforma dell’assistenza sociale approvata
due anni dopo.
Legge 8 novembre 2000, n. 328
Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali*
Essa consta di:
1.
Principi e finalità (artt. 1-5)
2.
Assetto istituzionale/organizzativo (artt. 6-13)
3.
Particolari interventi di integrazione e sostegno sociale (artt. 14-17)
4.
Pianificazione (artt. 18-21)
5.
Quadro degli interventi, servizi e trasferimenti economici (artt.22-26)
6.
Norme finali (artt. 27-30)
*(art. 128 dlgs 112/98)
Il D.Lgs. 112/98
Ai sensi del decreto legislativo n.112/98, per "servizi sociali“ – art.
128, comma 2 – si intendono tutte le attività relative alla
predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o
di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le
situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra
nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal
sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle
assicurate in sede di amministrazione della giustizia.
=> Si passa cioè da un concetto negativo e statico come
l’assistenzialismo ad una lettura positiva dell’assistenza erogatrice di
servizi sociali in senso lato, e soprattutto come processo dinamico
ed evolutivo.
Le finalità del sistema integrato
di interventi e servizi sociali
=> Prevenire, eliminare, ridurre le condizioni di disabilità,
bisogno, disagio individuale e familiare, derivanti dalle
seguenti cause (problematiche multidimensionali):
A. inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali, condizioni
di non autonomia
=> Promuovere interventi per garantire:
B. la qualità della vita/benessere,
C. pari opportunità, non discriminazione, diritti di
cittadinanza
nonché
D. il diritto di scelta dei cittadini
E. la partecipazione attiva dei cittadini e delle
organizzazione degli interessi e la solidarietà sociale
F. Copertura finanziaria
E. solidarietà e partecipazione
D. libertà di scelta
C. diritto e eguaglianza
B. benessere
a
A. assistenza
Slide N. Negri
Condizioni dell’erogazione degli interventi
e fornitura dei servizi
• Copertura finanziaria e patrimoniale (328,art.1, comma 3)
Gli interventi si avvalgono delle risorse assegnate dal Fondo
nazionale per le politiche sociali (l’art. 4 comma 2 potenzia
l’istituto introdotto con Legge 499/97, art. 59; l’entità del
finanziamento è deciso dalla finanziaria), nonché degli autonomi
stanziamenti delle Regioni e degli Enti Locali.
• La copertura finanziaria è un vincolo (328,art.22 comma 2)
Le prestazioni sociali sono erogabili nei “limiti delle risorse del
Fondo nazionale per le politiche sociali, tenuto conto delle
risorse ordinarie già destinate dagli enti locali alla spesa sociale”.
I soggetti attuatori
…a cui la legge quadro assegna il compito di realizzare il sistema integrato di
interventi e servizi sociali:
 soggetti pubblici*: Stato, Conferenza Stato-regioni, Enti pubblici nazionali
(Istat, Cnr, Inps, Inpdap, Inail, Istituto superiore di sanità, Irccs), Regioni,
Province, Comuni, altri Enti Locali (Ipab, Asl/Aso, Aziende speciali e le
istituzioni, Comunità montane, Consorzi fra enti locali, Unioni di comuni,
Istituti autonomi per le case popolari)
soggetti economici del mercato (imprese, liberi professionisti, società,
cooperative)
organismi del terzo settore (associazioni, fondazioni, onlus, coop. sociali,
enti di patronato, organizzazioni di volontariato, enti religiosi riconosciuti)
famiglie (nuclei familiari e singoli individui)
*Enti locali, regioni e stato concorrono - si è detto - al finanziamento del sistema secondo
competenze differenziate e con dotazioni finanziarie afferenti ai rispettivi bilanci. Rimane in
realtà la tradizionale separatezza fra risorse che finanziano i trasferimenti monetari assistenziali
(erogati dal centro) e risorse locali che sostengono soprattutto la produzione di servizi.
I destinatari degli interventi
Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha carattere di
universalità.
Sono destinatari degli interventi:
Le famiglie
Le singole persone
La comunità
I destinatari sono distinti, in relazione alla cittadinanza, in:
Cittadini italiani
Cittadini appartenenti all’UE
Stranieri
I destinatari con priorità
La presenza di vincoli di bilancio implica la gerarchizzazione dei
beneficiari => Accedono prioritariamente ai servizi e alle prestazioni
• i soggetti in condizione di povertà o con limitato reddito
• o con incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze
per inabilità di ordine fisico e psichico,
•con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del
lavoro,
•nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria
che rendono necessari interventi assistenziali.
Qualora sia richiesta la verifica della condizione economica del
richiedente per accedere ai servizi disciplinati dalla 328, l’accertamento
viene effettuato – art. 25 - secondo le disposizioni previste dal DLgs
109/1998 (Ise).
L. 328: le prestazioni (1)
Capo III – disposizioni per la realizzazione di particolari
interventi di integrazione e sostegno sociale (artt. 14-17):
• Progetti individuali per le persone disabili
•Sostegno domiciliare
autosufficienti
per
le
persone
anziane
non
•Valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari
(politiche di conciliazione lavoro-famiglia, servizi per la prima
infanzia, assegni di cura, affidamento, servizi di tregua,
prestiti d’onore, agevolazioni fiscali e tariffarie comunali)
•Titoli per l’acquisto di servizi sociali
L. 328: le prestazioni (2)
Gli interventi di livello essenziale (art.22, com. 2) riguardano il campo del:
Contrasto alla povertà economica (22.2,a; 23*)
Tutela e cura dei minori/famiglie/donne (art.22c,d,e)
Sostegno e cura handicap/vecchiaia (art.22.2 f,g)
Lotta contro le dipendenze (art.22.2,h)
Informazione/consulenza per fruizione servizi e promozione auto-aiuto (art.22.2,i)
Per ogni ambito territoriale (di zona), tenendo conto anche delle diverse esigenze
delle aree urbane e rurali, sono previste come “necessarie” le seguenti attività:
servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione/consulenza,
pronto intervento per emergenze personali e familiari, assistenza domiciliare,
strutture protette residenziali e semiresidenziali (per soggetti con fragilità sociali),
centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario.
*L’art. 23 prevede espressamente l’estensione del RMI, come misura generale di contrasto
alla povertà, a cui ricondurre anche gli altri interventi di sostegno al reddito, quali gli
assegni e le pensioni sociali.
Si prevede anche (art. 24) una delega al Governo per il riordino degli assegni e delle
indennità derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo.
Integrazione fra settori di policies
Il sistema integrato di interventi e servizi sociali
richiede inoltre:
di integrare gli interventi e le prestazioni socioassistenziali con politiche nel campo (art.3 comma
2a; art. 6, comma 3b; art 8 comma 3b; art. 18
comma 6):
•sanitario
•dell’istruzione
•della formazione professionale
•del lavoro
Assetto dei poteri istituzionali
Schema multilivello sviluppato in un assetto a 4 termini
tre decentrati, di cui
si rafforza la tendenza a un welfare “municipale”: le ps
sono ridefinite come un prerequisito di sviluppo locale
(costruzione capitale sociale, rete integrata,
cambiamenti intenzionali e attesi)
due relativamente forti:
il comune a diretto contatto con la popolazione da servire
la regione quale snodo di decisione politica e organizzativa del
sistema territoriale;
uno ausiliario
 la provincia svolge funzioni di supporto ai comuni;
uno nazionale
lo stato è un regolatore di ultima istanza, garante
dell’omogeneità dei diritti sociali sul territorio nazionale.
I livelli e gli strumenti della programmazione
Posta l’esigenza di integrazione degli interventi e delle
politiche nonché la presenza di vincoli di bilancio Enti
Locali, Regioni e Stato devono:
adottare il metodo della programmazione degli
interventi e delle risorse (328, art.3 comma 1).
Pianificazione e programmazione vengono di solito usati come
sinonimi: Comune
indicano un processo
cui un soggetto, sulla
Piano di attraverso
zona
base dei propri valori, formula una scala di priorità degli obiettivi
(Piano sociale
da raggiungere in un determinato
periodo di tempo, specifica le
Provincia
modalità con le quali intende
raggiungere gli obiettivi, precisando
provinciale)
gli strumenti e le risorse (umane e finanziarie) necessarie.
Piano sociale è costituito da documenti
L’output del
processo programmatorio
Regione
variamenti denominati: regionale
PIANI (obiettivi ultimi, a lungo e medio
termine), PROGRAMMI (obiettivi a medio e breve termine,
Piano sociale
attuativi del piano), PROGETTI
(valenza più operativa, all’interno
Stato
di un piano/programmanazionale
che fa da cornice di riferimento)
Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali
A livello statale è stato approvato, per ora, solo il Piano nazionale
2001-2003, che individua quali obiettivi di priorità sociale:
1. Valorizzare e sostenere le responsabilità familiari
1.1. Promuovere e sostenere la libera assunzione di
responsabilità
1.2. Sostenere e valorizzare le capacità genitoriali
1.3. Sostenere le pari opportunità e la condivisone delle
responsabilità tra uomini e donne
1.4. Promuovere una visione positiva della persona anziana
2. Rafforzare i diritti dei minori
2.1 Consolidare e qualificare le risposte per l’infanzia e
l’adolescenza
3. Potenziare gli interventi a contrasto della povertà
4. Sostenere con servizi domiciliari le persone non
autosufficienti (in particolare gli anziani e le disabilità gravi)
5. Altri obiettivi di particolare rilevanza sociale.
Piano sociale regionale
La modifica del titolo V della Costituzione ad opera della
legge costituzionale 3/2001 ha fatto ricadere nell'ambito di
competenza esclusiva delle Regioni la materia
dell'assistenza; in capo allo Stato resta comunque la
responsabilità di “determinare i livelli essenziali delle
prestazioni atte a garantire l'affermazione e tutela dei diritti
civili e sociali dei cittadini su tutto il territorio nazionale”
(Costituzione, art.117, comma 2, lettera m).
Le Regioni hanno seguito percorsi di programmazione diversi
ed eterogenei: alcune hanno predisposto un piano sociale
regionale, altre hanno scelto di realizzare piani socio-sanitari,
altre ancora hanno emanato leggi per la costruzione del
sistema integrato di servizi e interventi sociali.
… in Piemonte
Il Piemonte ha emanato la L.R. n.1 del 8/1/2004 per la
realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e
servizi sociali, non ancora il Piano Sociale Regionale (PSR).
La scelta operata dalla Regione Piemonte è stata quella di
far precedere la costruzione del PSR dalla predisposizione
dei PdZ nei diversi ambiti territoriali, intendendo così
promuovere un percorso di programmazione che
valorizzasse un’elaborazione dal basso (bottom up) e che
facesse emergere le specificità e le peculiarità locali. A tal
fine la Giunta regionale con propria delibera (n. 51-13234 del
3 agosto 2004) ha approvato le linee guida per la
predisposizione dei PdZ, definendo attori, ruoli e funzioni,
contenuti, strumenti, modalità di concertazione e modelli di
iter formativi.
=> In Piemonte il periodo 2006-2008 coincide con la
prima triennalità di adozione dei PdZ
Gli obiettivi dei PdZ
come articolazioni territoriali di quelli regionali
•Valorizzare il ruolo della famiglia quale prima aggregazione a
livello sociale
•Valorizzare e sostenere le responsabilità familiari e le
capacità genitoriali
•Rafforzare i diritti dei minori assicurandone l’esigibilità anche
tramite l’attivazione di servizi ed iniziative all’interno di una
progettazione di più ampie politiche del territorio
•Sostenere con servizi domiciliari le persone non
autosufficienti (in particolare gli anziani e le disabilità gravi)
•Potenziare gli interventi a contrasto di ogni forma di povertà
•Assumere una logica sperimentale in cui metodologia,
percorsi, strategie, risorse disponibili vengono valutati,
selezionati e ridefiniti al fine di migliorare continuamente la
risposta ai bisogni della popolazione.
Piani di Zona: investitura dei Comuni quali
primi attori istituzionali delle politiche sociali
L’art. 17 della L.R. 1/04 piemontese - richiamando l'art. 19
della 328/2000 - definisce il PdZ come “lo strumento
fondamentale e obbligatorio per la definizione del sistema
integrato degli interventi e dei servizi sociali del territorio di
competenza” dei comuni singoli od associati.
È tradizione regionale favorire con incentivi l’esercizio associato delle
funzioni sociali in ambiti territoriali che di norma si delineano come
coincidenti con i distretti sanitari.
Nelle linee guida il PdZ viene definito come “lo strumento
attraverso il quale i Comuni, secondo gli assetti territoriali
adottati per la gestione dei servizi sociali, con il concorso di
tutti i soggetti attiva nella progettazione, disegnano il
sistema integrato di interventi e servizi sociali, con
riferimento agli obiettivi strategici, agli strumenti realizzativi
e alle risorse da attivare”.
I contenuti dei Piani di Zona
Sono, come declinati nelle Linee guida piemontesi:
•la rilevazione dei bisogni e delle risorse locali;
•le strategie e priorità di intervento locali;
•gli obiettivi gestionali rispetto alle priorità definite;
•i progetti, i programmi e le modalità organizzative;
•le modalità di integrazione fra gli attori del sistema;
•le risorse finanziarie, strutturali e professionali;
•il sistema informativo utilizzato;
•la definizione del sistema di valutazione del piano, dei
servizi e degli interventi;
•i metodi e gli strumenti di comunicazione sociale;
•la formazione di base e permanente.
Gli attori dei Piani di Zona
Come previsto nelle Linee guida piemontesi :
•i Comuni: “sono i titolari delle funzioni amministrative
concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale” e
“provvedono, d'intesa con tutti gli attori della
programmazione locale, all'attivazione, predisposizione e
realizzazione del PdZ”; sono i Sindaci che forniscono le
indicazioni politico strategiche generali, definiscono le
priorità di intervento e le risorse, verificano i risultati;
•l'Azienda Sanitaria Locale: “partecipa alla definizione dei
PdZ per gli aspetti relativi alla tutela della salute del
territorio e della popolazione di riferimento e, in
particolare, per l'integrazione dei servizi a carattere
socio-sanitario” (che si attua nel distretto);
•la Provincia;
•le IPAB e le aziende pubbliche di servizi alla persona;
•il Terzo Settore.
Gli strumenti di piano
Le Linee guida individuano:
•la Conferenza di Piano: vi partecipano “tutti gli attori
pubblici e privati, istituzionale e non, che abbiano una
competenza sulla progettazione, attivazione ed erogazione
di prestazioni e servizi sul territorio” e ad essa competono
funzioni consultive e decisorie; prevista dal D.lgs 267/2000,
è convocata dall'ente gestore “quale atto di informazione,
partecipazione e coordinamento…”;
•i Tavoli di concertazione: “sono la sede in cui si attua la
programmazione partecipata e l'elaborazione progettuale ed
effettiva dei piani di zona” e possono essere articolati in
gruppi tematici;
•l'Accordo di Programma: “è l'atto finale in cui si
formalizzano le decisioni assunte nel processo di
programmazione del PdZ la cui stipula avvia la fase
attuativa”.
Gli organismi dei Piani di Zona
Le indicazioni metodologiche fornite dalle Linee guida
individuano due organismi da attivare per favorire un
rapporto sinergico fra le responsabilità politico-strategiche
e le competenze tecnico-gestionali:
•il Tavolo di coordinamento politico istituzionale: è
l'organismo politico, formato dai Sindaci dei Comuni del
territorio o da una loro rappresentanza, determina e verifica
tutto l'iter procedurale del PdZ;
•l'Ufficio di Piano: è l'organismo tecnico a cui compete la
rilevazione del contesto e dei bisogni, l'attivazione dei tavoli
di concertazione per la definizione dei programmi e delle
azioni per singole aree e la stesura definitiva del
documento di Piano, previa verifica ed approvazione da
parte del Tavolo di coordinamento politico istituzionale.
Iter formativo del Piano di Zona
1.
2.
Avvio iter istituzionale con delibera del
Comitato/Assemblea dei Sindaci, che istituisce
tavolo politico e ufficio di piano
convocazione della Conferenza di piano
3.
attivazione della Conferenza di piano
Sindaci dei comuni
Attori competenti
coinvolti
4. rilevazione contesto e bisogno
Ufficio di Piano
5. definizione priorità/obiettivi strategici e
individuazione risorse
Tavolo politico
6. Tavoli di concertazione per definizione azioni
Ufficio di Piano +
soggetti interessati
7. Verifica azioni concertate rispetto priorità/obiettivi
Tavolo politico
8. Stesura documento
Ufficio di Piano
9. Approvazione tramite accordo di programma
Attori che
investono risorse
Il primo ciclo di programmazione
dei Piani di Zona
in Piemonte
Sono 58 (più il comune capoluogo) i soggetti gestori delle
funzioni socio-assistenziali in Piemonte (anno 2005). A ogni
ente gestore afferisce un PdZ; fanno eccezione alcuni casi
‘sovrazonali’, nel senso che enti gestori diversi hanno
prodotto un unico piano. Sono tre i piani sovrazonali
piemontesi: uno tra i distretti dell’alta provincia di Novara,
uno tra i distretti della provincia del Verbano-Cusio-Ossola e
uno tra i distretti della provincia di Cuneo.
Nei PdZ esaminati si sono potute rilevare più di due mila
interventi/attività, classificati secondo le modalità di
mantenimento, potenziamento, innovazione.
I PdZ come strumenti per la programmazione locale
I documenti di piano contengono la descrizione delle diverse attività
che ogni “zona” intende predisporre per realizzare il sistema integrato
di interventi e servizi sociali a livello territoriale.
Area del mantenimento: attività per mantenere in vita servizi e/o
modalità di lavoro professionale già presenti sul territorio
2%
23%
Mantenim ento
37%
Potenziam ento
Innovazione
n.c.
38%
Area del potenziamento: attività per migliorare/ampliare servizi e/o
modalità di lavoro professionale già presenti sul territorio
Area dell’innovazione: attività per realizzare servizi e/o modalità di lavoro professionale non
ancora presenti sul territorio, e dunque di nuova istituzione.
Soggetti responsabili degli interventi di
potenziamento/innovazione
L’Asl è
coinvolta
nel 45%
degli
interventi
Il settore
nonprofit è
coinvolto nel
49% degli
interventi
Percentuale
da soli
ente gestore (forma associata/consortile)
34.61
ufficio di piano
1.30
comuni
19.48
asl
8.53
provincia
1.58
volontariato
3.56
cooperazione sociale
0.68
altri (sindacati, scuole, autorità giudiziaria ecc.)
3.27
con altri soggetti responsabili
ente gestore/asl
10.33
altre combinazioni
12.59
non specificato
4.07
Totale
100
Percentuale
cumulata
34.61
35.91
55.39
63.92
65.50
69.06
69.73
73.01
83.34
95.93
100.00
In ogni caso, i PdZ si sono presentati come una nuova
opportunità di programmazione delle politiche e dei
servizi sociali che ha visto coinvolti nella realizzazione
delle azioni un numero rilevante di attori.
Scarica

Il Piano di zona