ATTUALITÀ 9 SAN RAFFAELE CIMENA • Dalle fabbriche alle stanze del potere. Il primo marzo del 1993 l’arresto. Oggi tangenti anche su Sogin In principio fu il “Compagno G” Funzionario del Pci finito nell’inchiesta “tangentopoli” negò sempre le colpe del partito LIBORIO LA MATTINA In principio fu "il compagno G". Così i giornali chiamarono Primo Greganti il giorno del suo arresto: era il primo marzo 1993, mentre imperversava la bufera di Mani Pulite che finirà per travolgere le forze politiche della cosiddetta Prima Repubblica. Greganti, fino a quel momento un oscuro funzionario del Pci-Pds, venne accusato dalla procura di Milano di mazzette per 621 milioni di lire (versate da un manager socialista del gruppo Ferruzzi) in un'inchiesta che spalancò il filone delle "tangenti rosse". In carcere rimase per 115 giorni, quasi un record, e negò sempre, con un'ostinazione che divenne proverbiale, che quei soldi fossero destinati al partito. Nato a Jesi (Ancona) nel 1944 da una famiglia contadina, Primo Greganti è torinese di elezione. Vive in una bella villa, nella parte alta di San Raffaele Cimena, insieme alla seconda moglie Simonetta, da cui ha avuto una figlia (Luna) e frequenta i portici di Chivasso, città in cui era anche venuto, qualche anno fa, a presentare un suo libro, dal proverbiale titolo Tangentopoli 2: la politica si spartiva gli appalti Bufera su Expo 2015. “Scusate il ritardo...” Cominceranno oggi gli interrogatori di garanzia davanti al gip di Milano, Fabio Antezza, degli arrestati nell'inchiesta sulle presunte irregolarità di una serie di appalti, tra cui alcuni relativi a Expo. Venerdì, la guardia di finanza e la Dia di Milano hanno arrestato, tra gli altri, Primo Greganti e Gianstefano Frigerio, ex esponenti rispettivamente del Pci e della Dc, già coinvolti in 'mani pulite'. In manette sono finiti anche Angelo Paris, responsabile dell'ufficio contratti di Expo 2015 Spa, Sergio Cattozzo, Enrico Maltauro e l'ex senatore di Forza Italia, Luigi Grillo, che sono tutti reclusi nel carcere di Opera. Un'ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari e' stata emessa, inoltre, nei confronti di Antonio Rognoni, ex dg di Infrastrutture Lombarde, già arrestato il 20 marzo. Intanto, alla luce del terremoto giudiziario che in questi giorni ha investito diversi manager legati ad Expo 2015 "rilevando l'esistenza di una 'cupola degli appalti' che, per conto di alcuni esponenti politici locali e nazionali, avrebbe gestito il sistema dei la- vori pubblici in Lombardia", il MoVimento 5 Stelle alla Camera ha chiesto al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Maurizio Lupi, in quanto competente sulla gestione degli appalti circa l'esposizione universale, di riferire in aula quanto prima al fine di chiarire le dinamiche di una vicenda che diversi organi di stampa, ad oggi, non hanno esitato a definire una "seconda Tangentopoli" e che il MoVimento 5 Stelle aveva già denunciato in tempi non sospetti. Il ministro reagisce: "Leggo che nell'ordinanza per gli arresti dell'indagine sugli appalti di Expo 2015 vengo citato da Gianstefano Frigerio. Il quale, il 29 aprile dell'anno scorso, affermava: 'Devo mandare un biglietto a Maurizio Lupi con il nome di Antonio per suggerir- lo come presidente Anas'. Posso dire con assoluta certezza di non aver mai ricevuto quel biglietto ne' alcun altro tipo di comunicazione", scrive il ministro delle Infrastrutture a proposito di presunti contatti con uno degli arrestati nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti per l'Expo. Il premier Renzi: "severi con tutti. Niente sconti a nessuno". TORINO Per i giudici della Corte d’Appello il fatto non sussiste perchè non parteciparono ai reati ‘Ndrangheta: assolti fratello e figlio del Boss A Ivrea, Libera intitola la sede a Domenico Noviello Luigi Marando Rosario Marando Assolti in appello dall'accusa di riciclaggio "perché il fatto non sussiste" Rosario e Luigi Marando, a processo per l'eredità di Pasqualino, boss della 'ndrangheta piemontese, fratello del primo e padre del secondo, scomparso nel 2001. I due erano stati condannati in primo grado rispettivamente a tre anni e mezzo e a due anni con l'accusa di avere investito la somma in attività illecite tra cui alcune società attive nella zona del basso Canavese. Il loro legale, Wilmer Perga, aveva invece sostenuto che non si potesse parlare di riciclaggio di una Sabato 10 maggio la sede di Libera, in via Arduino 41, è stata intitolata a Domenico Noviello, vittima innocente di camorra, ucciso il 16 maggio del 2008 a Castel Volturno. Ospite il figlio, Massimiliano Noviello. Il gruppo giovani di Libera Ivrea ha deciso di dedicare a lui il proprio Presidio e la propria sede, ricordandolo così: "Domenico Noviello, un uomo libero e dignitoso che si rifiutò di inchinarsi alla prepotenza della camorra diventando testimone di giustizia".Titolare di una autoscuola, nel 2001 aveva denunciato un tentativo di estorsione da parte del clan Bidognetti. Gli volevano estorcere 100 milioni di lire all’anno. Con la sua testimonianza Noviello contribuì a far condannare il pregiudicato Pasquale Morrone, poi morto per cause naturali, ed i fratelli Alessandro e Francesco Cirillo, arrestati, condannati e liberati. Sette anni dopo somma che i magistrati ritenevano ottenuta tramite un reato se si presuppone che avessero partecipato al reato stesso, impostazione accolta dalla Corte la denuncia sempre loro lo hanno bloccato nei pressi di Baia Verde sul litorale di Caserta. Noviello fino al 2003 aveva una vigilanza sotto casa, un sistema di tutela per la sua testimonianza venuto meno quando evidentemente gli organi preposti hanno ritenuto che non ci fosse più rischio per la sua vita. Domenico Noviello non è stato ucciso per vendetta: lo hanno ammazzato a distanza di cinque anni per dire a tutti gli altri che c’è sempre il tempo di pagare il prezzo della sfida. Lo hanno ucciso lungo il tragitto che percorreva abitualmente. Il processo per l’omicidio si è concluso con l’assegnazione di tre ergastoli agli esecutori Massimo Alfiero, Giovanni Bartolucci e Davide Granato, mentre il mandante, Giuseppe Setola, è ancora sotto processo. Dice Massimo Noviello che il padre Mimmo “era un uomo solare. Amava la vita. Voleva viverla alla luce del sole, senza vergognarsene. Non era un don Chisciotte, non era un pazzo, non era un visionario, come gli hanno detto poi. Non era un eroe, soprattutto. Era un uomo dignitoso, che credeva al decoro e alla legge. Si è soltanto rifiutato di inchinarsi alla forza, alla prepotenza della camorra. Non lo ha fatto per insegnare qualcosa agli altri. Lo ha fatto soltanto per se stesso, per potersi guardare allo specchio con serenità. Io sono stato d’accordo con lui e continuo a pensare che ab- bia fatto la cosa giusta. Si è soltanto rifiutato di inchinarsi alla forza, alla prepotenza della camorra. Capivo che non c’era alcuna intelligenza nella tentazione di arrendersi. Come avremmo potuto vivere con quella avvilente rabbia in corpo? Come avrebbe potuto vivere lui, in quella situazione? Quella sofferenza avrebbe ucciso la sua gioia di vivere, lo avrebbe immiserito, e lo sapeva, lo diceva. Non c’era altra strada. Ancora oggi mi sembra di sentirlo quando mi chiede: vale la pena vivere docili e ubbidienti come pecore?”. La scelta di Domenico Noviello non è stata vana: in seguito alla sua uccisione e proprio in suo onore, un gruppo di imprenditori ha deciso di dare vita alla prima Associazione antiracket di Castel Volturno, con lo scopo di riappropriarsi del territorio e di non lasciare sole le persone che si oppongono all’estorsione. d'appello che ha disposto la riconsegna dei beni sequestrati loro nel corso dell'indagine. E' stato invece condannato Domenico Marando, fratello di Pa- squalino e Rosario (quest'ultimo già condannato all'ergastolo per quattro omicidi). Assolto anche lui per il reato di riciclaggio, per cui in primo grado gli erano stati inflitti cinque anni di reclusione, dovrà comunque scontare tre anni per la ricettazione di 300mila euro. Domenico Noviello “Scusate il ritardo...”.. La sua famiglia emigra a Torino quando lui ha appena 14 anni. Va a lavorare alla Fiat, come in molti facevano allora, e, in catena di montaggio matura la sua passione politica. Entra nel Pci, di cui diventa funzionario amministrativo della Federazione subalpina e, nel 1989, apre una propria società di servizi industriali e sposa la linea di Achille Occhetto e il progetto del Pds. Sempre lontano dai riflettori. Fino al 1993 e alle manette. Il nome di Greganti comparve in diverse indagini come, per esempio, quella sulla Eumit, una società di importexport sospettata di finanziare occultamente il Pci, ma mai, in nessuna occasione e in nessuna circostanza, il "compagno G" pronunciò una parola che potesse portare al coinvolgimento di un politico. Arrivarono le sentenze e anche un patteggia- mento: "Non ero colpevole - spiegò qualche anno dopo al teatrino civico di Chivasso - ma avevo i conti in rosso, un'azienda distrutta e dovevo ricominciare a lavorare". Negli anni successivi riaprì una nuova attività di consulenza industriale - si fa per dire - e prese la tessera del Pd. Il lavoro, stando a quanto emerge oggi dalle carte della Procura della Repubblica di Milano, è ricominciato quasi subito. Tutte le mattine da San Raffaele Cimena a Milano a parlare di Expo 2015, di città della Salute e pure di Sogin, con gli occhi puntati sui lavori di smantellamento e decontaminazione della centrale nucleare di Trino Vercellese. Un appalto di 240 milioni di euro, con annessa tangente da 600 mila euro che avrebbe dovuto versare un imprenditore vicentino. Insomma, proprio come nel libro: «Scusate il ritardo, il Compagno G è tornato». Anche più convincente il sottotitolato: «Cosa siamo diventati? Arrivisti, calabraghe, opportunisti, ciechi e piagnoni. È ora di finirla». Parole e musica di uno che non ha mai pensato di aver fatto qualcosa di sbagliato. Chissà oggi...