su Piero Portaluppi Mi trovo a scrivere di Piero Portaluppi non senza scrupoli, poiché è stato preside per tutto il corso di studi da me svolti alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano negli anni Cinquanta, nonché allora titolare della cattedra di Composizione architettonica articolata su due corsi annuali, che egli delegava per incarico a più giovani colleghi, con sue apparizioni perloppiù occasionali e limitate. Pertanto un rapporto personale saltuario e rarefatto, quello mio di studente, e del tutto formale, differente da quello più confidenziale avuto da mio fratello che aveva frequentato la scuola una quindicina dʼanni prima, quando gli studenti erano assai meno numerosi. Piero Portaluppi Milano 1888 – 1967 Di lui ho saputo, per esempio, che allʼavvento delle leggi razziali prescritte dal Fascismo, in quanto preside si impone ai recalcitranti insegnanti delle varie discipline scientifiche, la più ardua barriera di selezione nel corso di laurea, perché Saul Steinberg, ebreo di origine rumena che stenta a superarle, possa emigrare da architetto negli Stati Uniti, dove in seguito si affermerà come straordinario disegnatore; o che, dopo la tragica morte nellʼultima guerra del figlio Tuccio (di cui dallʼinfanzia conservo un riconoscente ricordo), le due casette o le due “P” contrapposte ricamate sulle camicie in luogo delle cifre diventano nere in segno di lutto. E, attingendo ora a ricordi personali: il preside supera i gradini a due a due per raggiungere la Facoltà di Architettura allora al primo piano dellʼala sud del Politecnico; tempo permettendo, guida la macchina sportiva con capote ribassata; durante i viaggi di laurea allʼestero, incoraggia lʼallegria goliardica dei partecipanti e, alla stazione dʼarrivo, si precipita a sollevare le allieve dal carico dei bagagli, magari prontamente imitato dal collega Cassi Ramelli. Come ho già detto, Portaluppi compare in aula soltanto al termine delle prove progettuali ex-tempore e, scegliendo tra gli elaborati consegnati dagli allievi, ne commenta lʼesito con qualche battuta scherzosa suscitando Atrio della casa in via Morozzo della Rocca, Milano, 1939 unanime ilarità e larga corrente di simpatia; mentre, di fronte alle differenti tendenze ideali e formali che si confrontano nei corsi di Composizione tra gruppi di allievi, minimizza sostenendo che lo scontro è sempre avvenuto e salutare: ai suoi tempi tra chi era per i merli guelfi e chi era per i merli ghibellini; infine, al termine di ogni sessione, da coloro che si sono appena laureati, reclama il tu e di essere confidenzialmente chiamato per nome. Guido Canella, 2003 Progetto per Hellytown, 1926 estratto da: Un eroe del nostro tempo*, in Guido Canella, Architetti italiani nel Novecento, a cura di Enrico Bordogna con Enrico Prandi ed Elvio Manganaro, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2010 * In AA.VV., Piero Portaluppi. Linea errante nellʼarchitettura del Novecento, a cura di L. Molinari, Skira, Milano 2003. Progetto per il Quartiere Monte Amarillo di Allabanuel, 1939