AIF
Scuola Invernale 2005
Castiglioncello, 1-6 dicembre
Nuclei e particelle: aspetti di storia della
fisica
Invarianze, simmetrie, leggi di
conservazione
In realtà, il tentativo di tracciare un quadro sommario dello
sviluppo della fisica delle particelle dai primi anni sessanta
al (data simbolica) 1983.
Pions to quarks – Particle Physics in the 1950s (based on a
Fermilab symposium), eds. Laurie Brown, Max Dresden,
Lillian Hoddeson, Cambridge University Press, 1989.
Andrew Pickering, Constructing quarks – A
sociological history of particle physics,
University of Chicago Press, 1984
“The view taken here is that the reality of quarks was the
upshot of particle physicists’ practice and not the reverse ...”
“The account of particle physics offered here is intended
as a contribution to the ‘relativist-constructivist’ programme
in the sociology of scientific knowledge ...”
Roger G. Newton, The Truth of Science,
Harvard University Press, 1997; La verità
della scienza, McGraw-Hill it., 1999.
“Senza dubbio esistono influenze estranee di carattere politico
e sociale, benché sociologi e storici possano a volte esagerare la
loro importanza. Ma la variante malevola, chiamata ‘costruttivismo
sociale relativistico’, sostiene, nella sua forma estrema, che tutte le
teorie scientifiche, e anche i fatti che ne costituiscono il fondamento,
siano costruzioni sociali, prive di relazione con alcunché in natura.”
“...la dichiarazione di Pickering di non voler ‘negare alla realtà –
sotto forma di dati sperimentali – un ruolo nello sviluppo della
conoscenza scientifica’ deve considerarsi in qualche modo insincera.”
A prescindere, si può concordare con Pickering che ...
la fisica del ventesimo secolo può essere descritta come quella
di una successione di concezioni atomistiche:
1)
2)
3)
4)
Fisica atomica
Fisica nucleare
Fisica delle particelle
I quarks e il modello standard
E anche con la sua distinzione, a proposito delle tappe 3 e 4, fra
una vecchia (fino al 64) e una nuova fisica. Meno con il suo far
partire la “nuova fisica” solo dall’ipotesi dei quarks.
Qui si tenderà a sostenere il punto di vista che – se pure c’è una
nuova fisica – essa nasce quando rinasce con la ritrovata fiducia
nel potere fondante della matematica (Jona Lasinio)
Invarianze, simmetrie e leggi di conservazione
avevano svolto un ruolo importante anche
nella “vecchia fisica”







Energia-impulso (analisi delle collisioni elastiche e
anelastiche)
Momento angolare. Importanza dello spin per la
classificazione delle particelle (fermioni-bosoni)
Carica elettrica
Numero barionico
Numero leptonico
Parità
Spin isotopico (isospin)
Il cammino verso SU(3) e
l’ipotesi dei quarks
P.Roman, Theory of Elementary Particles, North-Holland, 1960
M. Gell-Mann, Y. Ne’eman, The Eightfold Way: A Review – With
A Collection of Reprints, W.A. Benjamin, 1964
F.E. Close, An Introduction to Quarks and Partons, Academic Press,
1979
Lo spin isotopico
Dà corpo all’idea che adroni aventi masse prossime, e gli stessi
spin e parità intrinseca ma cariche elettriche diverse, sono la stessa
cosa per quanto riguarda l’interazione forte (indipendenza dalla
carica).
Questo fu formalizzato assegnando a ciascuno dei gruppi di adroni
di cui sopra uno stesso numero quantico I, analogo a quello di spin
(isospin o spin isotopico).
Come per lo spin, la terza componente dell’isospin si supponeva
quantizzata, e i suoi diversi valori distinguevano fra i membri di
uno stesso gruppo (multipletto).
Sarebbero la stessa cosa, per quanto riguarda le interazioni forti,
per cominciare, il protone e il neutrone. Essi divengono quindi
stati di una stessa particella. Lo stato di un nucleone può allora
essere scritto come una matrice colonna a due elementi, che
danno rispettivamente l’ampiezza di probabilità che si tratti
di un protone o di un neutrone.
Gli stati di protone e neutrone si scriveranno allora come:
1 
 p   
 0
e
 0
 n   
1 
Essi sono autostati dell’operatore matriciale
corrispondenti agli autovalori 1 e -1
1 0 

 3  
 0 - 1
Introdotti anche gli operatori matriciali
 0 1

 1  
1 0 
e
0  i

 2  
 i 0
si verifica che le tre matrici soddisfano alle regole di commutazione:
1 1 
1 
 2  i , 2  j   i ijk  2  k 
Inoltre
1
    1  i 2 
2
e
 
1
 1  i 2 
2
trasformano un neutrone in protone e viceversa.
Una generica trasformazione nello spazio degli stati si scrive:
 '  U
Poiché, vista dal punto di vista passivo, la trasformazione deve
trasformare una base ortonormale in una base ortonormale, la
matrice U deve essere unitaria. Le matrici unitarie hanno
determinante di modulo 1. Se il determinante vale 1, si chiamano
unimodulari.
Le matrici in questione formano gruppo: il gruppo SU(2), gruppo
delle trasformazioni unitarie unimodulari.
1 1 
1 

,


i

ijk   k 
Le  2 i 2 j 
2 
individuano l’algebra di Lie del gruppo.
L’algebra dei generatori può essere generalizzata in termini di
operatori astratti:
[ I i , I j ]  i ijk I k
Le matrici 2x2 date sopra che soddisfano a quest’algebra
agiscono sulla rappresentazione bi-dimensionale (fondamentale)
del gruppo. Si possono trovare via via matrici NxN che soddisfano
all’algebra. I multipletti che sono trasformati da esse costituiscono
rappresentazioni N-dimensionali di SU(2). La rappresentazione
tridimensionale è nota come la regolare. Essa descrive particelle
di isospin 1, dunque un tripletto (es.: i pioni, nei loro tre stati di
carica).
Ora, l’indipendenza dalla carica si può tradurre nell’invarianza
dell’interazione forte per rotazioni nello spazio dell’isospin, cui
corrisponde la conservazione dello spin isotopico.
L’isospin si supponeva rigorosamente conservato nelle interazioni
forti. Le piccole differenze di massa all’interno di un multipletto si
attribuivano alle interazioni elettromagnetiche che distinguevano fra
di esse (esempio: protone e neutrone, doppietto di isospin ½.)
Nuovi numeri quantici: la stranezza
Negli anni 50, i kaoni e le Λ erano noti come particelle
strane. La stranezza del loro comportamento stava nel fatto
che erano prodotte con sezioni d’urto tipiche delle interazioni
forti, ma decadevano con vite medie proprie delle deboli.
Nel 1952 Abraham Pais avanzò la sua ipotesi della “produzione
associata”: un kaone e una Λ interagivano “forte” soli in coppie,
e come tali potevano essere prodotti da interazioni forti; ma,
lasciate a se stesse, potevano decadere solo via interazione debole.
I due nucleoni non si distinguerebbero nel caso di una simmetria
esatta. L’esatta simmetria è rotta dall’interazione elettromagnetica.
Anche i barioni ordinari, nucleoni,e iperoni, per un totale di 8, si
assomigliano abbastanza. Si può pensare a una simmetria rotta, che
di per sé li porrebbe in un unico multipletto.
D’altra parte, le interazioni forti possiedono altre leggi di
conservazione oltre a quella dello spin isotopico: quella del
numero barionico e quella della stranezza.
La simmetria, una volta rotta, dovrebbe lasciare inviolate la
conservazione dell’isospin, del numero barionico e della stranezza.
SU(3). Ritrovare un ordine.
Furono Murray Gell-Mann e Yuval Ne’eman (1961) a rendersi
conto, indipendentemente, che il gruppo di simmetria che garantiva
tutto ciò era la più immediata generalizzazione di SU(2), cioè il
gruppo SU(3) delle matrici unitarie unimodulari 3x3.
M.Gell-Mann, Y. Ne’eman, The Eightfold Way, Benjamin, 1964
Sembra presentarsi subito una difficoltà: la rappresentazione
fondamentale è tridimensionale, può quindi albergare tre
particelle e non otto. Bisognerà dunque saltarla, questa
rapresentazione fondamentale, e partire dalla regolare, che
otto-dimensionale. Va osservato che il contenuto in multipletti
di isospin e l’attribuzione ad essi di un valore definito della
stranezza è prescritto.
La figura mostra
l’ottetto barionico.
Ma non è proibita l’esistenza di altri ottetti – non barionici:
l’ottetto dei mesoni pseudoscalari
e quello dei mesoni vettoriali
N.B.: c’è qualche
problema di
sovrabbondanza,
per il quale rimando
a Gell-Mann e
Ne’eman, op. cit.
Si passa poi alle rappresentazioni di maggiore dimensionalità. La
prima è il decupletto. Vi trovano posto stati eccitati degli iperoni,
nonché la Δ, ex “risonanza 33”. Ma il vertice, la Ω, è mancante …
Deve trattarsi di un singoletto isotopico con spin 3/2, parità +,
massa di circa of 1.680 MeV, carica negativa, numero barionico
+1, stranezza = -3, stabile rispetto a decadimenti forti.
Un barione con queste caratteristiche
fu scoperto nel 1964 da un gruppo di
fisici di Brookhaven e delle Università
di Rochester e Syracuse, condotto da
N. Samios, usando la camera a bolle
da 80 pollici.
L’esperimento verificò anche, dalla
determimanazione della massa, che
la rottura della simmetria doveva
imputarsi a interazioni mediumstrong.
Un antecedente: il modello di Sakata
1949: Fermi e Yang propongono che il pione non sia una
particella elementare, ma sia composta, specificamente uno
stato legato nucleone-antinucleone. È chiaro che si tratta di
una prima radicale alternativa alla teoria di Yukawa.
1956: Sakata estende l’idea di Fermi e Yang, nel senso di
considerare le “particelle elementari” come composte dai
costituenti veramente elementari p, n e Λ.
La teoria non può ridursi a pura
classificazione:
Le teorie di gauge
Un po’ di storia






L’invarianza di gauge dell’elettromagnetismo
Elettromagnetismo come teoria di Hamilton-Jacobi
Weyl: all’origine dei concetti e della terminologia
Meccanica quantistica: dall’invarianza di scala a quella di
fase
Una teoria locale di gauge: l’elettromagnetismo
Estensione a gruppi non abeliani: la teoria di Yang e Mills
Giuseppe Cammarata, Masses fermioniques, connexions algébriques
et modèle standard, tesi di dottorato sostenuta presso l'Université de
la MéditerranéeAix-Marseille II, 21 dicembre 1998.
L’invarianza di gauge dell’elettromagnetismo
Data la forma delle equazioni di collegamento che lo legano al
quadripotenziale,
A A
F        A   A
x
x
il tensore F del campo elettromagnetico – e con esso le
equazioni di Maxwell – sono lasciate invariate dalla sostituzione
A  A    
Elettromagnetismo come teoria di HamiltonJacobi
L’idea è di ottenere sia le equazioni di Mawwell sia le equazioni
del moto di una particella carica da un unico principio fisico (il
principio di Hamilton). Si verifica che ciò si ottiene se si parte
dalla lagrangiana
1
1
2
L   p  eA   F F 
2
4
La sostituzione
p  p  eA
è dunque tutto quanto occorre per introdurre l’interazione nelle
equazioni classiche del moto.
Weyl: all’origine dei concetti e della
terminologia
Nel tentativo di dar vita a una teoria unitaria di gravitazione ed
elettromagnetismo (1918), Weyl rilasciò uno dei vincoli che fissano
una connessione in relatività generale: quello che richiede la
conservazione delle lunghezze e del prodotto scalare fra due vettori
sotto trasporto parallelo (condizione di metricità). Il risultato è una
connessione determinata dal tensore metrico e da un (quadri)vettore
A, che risulta invariante sotto le trasformazioni simultanee
g  g 
A  A    
A può dunque essere interpretato come quadripotenziale e.m.
Meccanica quantistica: dall’invarianza di
scala a quella di fase
Dopo lo sviluppo della meccanica quantistica, F. London, V. Fock,
lo stesso Weyl ed altri si resero conto che la teoria originaria di
Weyl poteva essere opportunamente riformulata.
L’equazione di Schrödinger per una particella carica in un campo
elettromagnetico


 e  i e

2

 1

 2m  i  eA  e  V   i t
rimane inalterata sotto le simultanee trasformazioni
A  A    
  e
 ie
Un commento di Weyl (1950): “Oggi, credo, dopo l’introduzione
della ψ attraverso la teoria quantistica, possiamo indicare in modo
più preciso dove la mia teoria andò fuori strada: l’invarianza di gauge
non connette il potenziale elettromagnetico con quello gravitazionale
[...] ma con la ψ del campo di materia. Non potevo certamente saperlo
nel 1918!”
Alla “sua” invarianza Weyl aveva dato il nome di Eichinvarianz o
Massstabinvarianz (invarianza di scala). Le versioni inglesi
scelsero gauge, che significa calibro.
Il termine è rimasto nell’uso, ma è evidente che non è quello più
adeguato per qualificare la nuova invarianza.
Una teoria locale di gauge:
l’elettromagnetismo
L’elettromagnetismo, come teoria di campo, può essere generato
dalla richiesta dell’invarianza locale di gauge. Vediamo perché*.
• La statistica delle misure per le osservabili quanto-meccaniche
comporta espressioni bilineari nella funzione d’onda. Esse sono
pertanto invarianti sotto trasformazioni globali di fase del tipo
 ( x)  e  ( x)
i
Queste trasformazioni formano gruppo: il gruppo abeliano U(1).
•Chris Quigg, Gauge Theories of the Strong, Weak, and
Electromagnetic Interactions, Frontiers in Physics, Benjamin, 1983.
• Si è liberi di scegliere una convenzione di fase dipendente dal
punto? In altre parole, la meccanica quantistica può risultare
invariante sotto trasformazioni locali di fase, del tipo
 ( x)  e
 ( x) ?
i ( x )
• La risposta è: sì, a patto di introdurre un interazione che si scoprirà
essere quella della materia carica con un campo elettromagnetico.
Il principio di gauge, ovvero: come
trasformare una constatazione in un principio.
Fin qui si è verificata l’invarianza di gauge di una teoria.
Rovesciamo l’argomentazione: richiediamo che la nostra
teoria sia invariante sotto la trasformazione locale di fase
 ( x)  ei ( x ) ( x)
Si dimostra che una tale invarianza non è possibile per una teoria
libera, ma richiede una teoria interagente, che comporta, in questo
caso, un campo vettoriale, soggetto corrispondentemente a libertà
di gauge, la cui interazione con la materia carica è determinata.
Al campo vettoriale deve corrispondere una particella di massa
nulla (in questo caso tutto torna: è il fotone). La ragione è la
seguente: l’equazione cui deve obbedire il quadripotenziale è la





  A   (  A )  j
che è invariante sotto la trasformazione di gauge
A  A    
Ma, se il quadripotenziale A dovesse rappresentare una particella
massiva, dovrebbe obbedire all’equazione
(   m2 ) A   (  A )  j
che non è gauge-invariante.
La teoria di Yang e Mills (1954)
Il “principio di gauge” riguarda questa volta particelle descritte
da isospinori. L’invarianza locale sarà dunque sotto una
trasformazione del tipo:

1/ 2 
e
ig  ( x ) / 2

(1 / 2 )
(g indica una costante d’accoppiamento, analoga alla carica elettrica).
Ora però il gruppo delle trasformazioni non è più abeliano: è difatti
il gruppo SU(2) dell’isospin..
Anche in questo caso, si dimostra che l’invarianza richiede una teoria
interagente, che comporta questa volta tre campi vettoriali, soggetti
corrispondentemente a libertà di gauge, la cui interazione con la
materia è fissata.
Le tre corrispondenti particelle W dovevano formare un tripletto di
isospin .... ed avere massa nulla. A differenza dei fotoni, essi
dovevano avere una forma di autointerazione.
La formulazione di Yang e Mills era pensata per le interazioni
forti. Come tale, in considerazione di quanto appena detto, fu
sostanzialmente accantonata, anche se Yang espresse in
un’occasione (1956) l’opinione che la teoria avrebbe potuto in
seguito dimostrare la non necessità della condizione di massa nulla*.
*Pickering, op. cit. p. 164
Una seconda (o terza?) via era quella di dare massa alle
particelle di gauge “con le mani”, inserendo un appropriato
termine di massa nella lagrangiana. Ciò rompe l’analogia
con l’elettrodinamica e distrugge la gauge-invarianza, ma
trasforma la teoria in un candidato realistico per la descrizione
di interazioni a corto range, forti o deboli che siano.
Essa fu fatta propria da J.J.Sakurai (1960). Egli estese la
formulazione originaria, ipotizzando che vi fossero altre due
particelle vettoriali, accoppiate rispettivamente alla stranezza
e al numero barionico. Egli finiva così per predire l’esistenza
dei mesoni vettori ρ, ω e φ, anche perché l’operazione “masse
con le mani” gli era riuscita benissimo.
Pickering, ibidem.
Interazioni deboli: un’importante
modifica alla teoria di Fermi
Fra il 1957 e il 1961, indipendentemente, Julian Schwinger,
Sidney Bludman e Sheldon Glashow proposero che le
interazioni deboli fossero mediate da bosoni vettori.
Nel 1957 Schwinger concepì l’idea primitiva di una possibile
unificazione fra le interazioni deboli e quelle elettromagnetiche.
Mentre le seconde erano mediate dal fotone scarico, le prime, in
cui si ha significativamente un cambiamento di carica delle
particelle interagenti, sarebbero state mediate da bosoni vettori
carichi.
Lo schema di unificazione abbozzato era tuttavia soltanto
formale, in considerazione della diversissima intensità delle due
interazioni, del fatto che le interazioni deboli sono a cortissimo
range mentre quelle e.m. hanno portata infinita, e del fatto che
le prime non conservano la parità.
1958. Bludman non si proponeva un’unificazione elettrodebole,
la sua attenzione essendo rivolta alle sole interazioni deboli.
Egli suggerì che i bosoni vettori mediatori delle interazioni
deboli non fossero altro che le particelle di gauge di una teoria
di Yang e Mills, trasferendo così dal campo delle interazioni
forti a quello delle interazioni deboli il campo di applicazione
della teoria. Conformemente alla simmetria in questione, i
bosoni vettori dovevano sussistere nei tre stati di carica.
In un articolo del 1961, sviluppando le idee di Schwinger e Bludman,
Glashow definì la cornice entro la quale, nel corso degli anni Settanta,
ad opera di Weinberg e Salam, si sarebbe sviluppata la teoria
elettrodebole.
Il modello di Glashow implicava un tripletto (nei tre stati di carica,
come in Bludman) e un singoletto, naturalmente neutro.
Il tripletto e il singoletto si mescolavano in modo tale da produrre
una particella neutra molto massiva e una particella di massa nulla
da identificarsi con il fotone secondo lo schema:
Z 0  cosWW 0  sinW B 0
   sinWW 0  cosW B 0
A loro volta risultavano molto massivi i bosoni vettori carichi.
Rotture spontanee di simmetria e meccanismo
di Higgs



1961: Nambu e Jona Lasinio: rotture spontanee di
simmetria (SSB).
1961: Goldstone: una SSB deve essere accompagnata dalla
comparsa di particelle di massa e spin nulli.
1964-67: Higgs, Brout ed Englert, Kibble: il teorema di
Goldstone può essere eluso nelle teorie di gauge.
Insomma, si possono dotare i campi di Yang e Mills di
massa conservando un’esatta simmetria di gauge.
Rotture spontanee di simmetria: il
meccanismo di Higgs
Higgs: includere nella lagrangiana QED un paio di campi scalari,
accoppiati fra loro e al fotone in modo da preservare la gaugeinvarianza dell’e. m.; dando ai campi scalari una massa negativa
nella lagrangiana, lo spettro fisico conteneva un fotone privo di
massa e una particella massiva.
Nella teoria dei campi, il vuoto è appropriatamente definito come lo
stato in cui tutti i campi hanno la loro energia minima. In genere
questo si consegue quando il valore del campo è zero ovunque.
Non così per il campo di Higgs: i campi di Higgs hanno la proprietà
inconsueta di non annullarsi nel vuoto.
L’interesse per questo meccanismo di rottura spontanea si concentrò
inizialmente su possibili rotture di SU(3) nelle interazioni forti
L’unificazione elettrodebole: altre tappe nella
storia



Il tentativo di vedere le interazioni deboli mediate da
bosoni vettori in analogia con l’elettromagnetismo si
scontrava con la difficoltà che la teoria appariva non
rinormalizzabile
Una teoria alla Yang e Mills (Bludman, 1958) risultava
rinormalizzabile, ma presupponeva bosoni vettori di massa
nulla; ogni tentativo di dotarli di masse portava a
violazioni dell’invarianza di gauge
Una risposta apparve venire dal meccanismo di Higgs
(1964).
Il modello di Weinberg e Salam
1967: indipendentemente, S. Weinberg e A. Salam ripresero il
modello di Glashow, sostituendo i termini di massa introdotti
“con le mani” con masse generate tramite il meccanismo di Higgs.
Per le masse dei tre bosoni vettori, nei tre stati di carica, i valori
erano univocamente determinati da un singolo parametro.
Questi fondamentali contributi rimasero a lungo ignorati. La
ragione principale essendo che avevano uno scarso riscontro
fenomenologico*.
Pickering, op.cit. pp.172-173.
Finalmente i quarks
1964. Articolo di M.Gell-Mann, “A Schematic Model of
Baryons and Mesons”: “If we assume that the strong interactions
of baryons and mesons are correctly described in tems of the
broken ‘eightfold way’, we are tempted to look for some
fundamental explanation of the situation”.
George Zweig introduce indipendentemente l’idea. Chiama
aces quelli che Gell-Mann chiama quarks.
Indovinare quale delle due denominazioni permarrà.
Si controlla che, per tutti i barioni, vale la relazione:
Q B S
   I3
e 2 2
(1
I quarks consistevano in un doppietto di isospin con S=0, indicati
con u e d; e un singoletto di isospin con S=–1, indicato con s.
I barioni sono formati da tre quarks, che avranno B=1/3. Per la (1)
allora i quarks devono avere cariche frazionarie.
La tabella riassume la situazione:
sapore
B
J
I
I3
S
Q/e
u
1/3
1/2
1/2
+1/2
0
+2/3
d
1/3
1/2
1/2
-1/2
0
-1/3
s
1/3
1/2
0
0
1
-1/3
I quarks come rappresentazione fondamentale di SU(3)
Y
1/3
0
-1/2
-2/3
+1/2 I 3
Difficoltà col principio di Pauli: sapori e
colori
È facile controllare che gli elementi


e
 
del decupletto barionico devono essere rispettivamente formati
da tre quarks d e da tre quarks u. Ora, i membri del decupletto
devono essere i barioni di spin 3/2 di massa minima; ma allora
i quarks costituenti dovranno essere nello stato fondamentale
spazialmente simmetrico (l=0). Il valore 3/2 del momento
angolare si potrà pertanto ottenere solo con spin paralleli. Ma
per il principio di Pauli, tre fermioni identici non possono
stare nello stesso stato quantico complessivo.
Praticamente immediatamente (1964) Oscar Greenberg suggerisce
che i quarks potrebbero obbedire a una parastatistica.
Un’ipotesi alternativa fu avanzata appena sei mesi dopo da Han
Moo-Young e Yoikiro Nambu.
La funzione d’onda di un adrone che contiene tre quarks deve, in
partenza, essere il prodotto di tre funzioni d’onda, una descrivente
la posizione dei quarks, una gli spin e una i sapori. L’incompatibilità
col principio di Pauli si può superare se i quarks hanno un ulteriore
numero quantico, che distingua fra loro quarks altrimenti identici.
Il nuovo numero quantico fu chiamato colore. La funzione d’onda
dell’adrone diventa ora il prodotto di quattro funzioni d’onda.
L’ipotesi del colore è che i tre quarks hanno tutti colore diverso,
ciò che rende antisimmetrica la funzione d’onda di colore, e quindi
quella complessiva.
In particolare, i tre quarks u della Δ a doppia carica positiva
avranno colori tutti diversi.
Il numero dei quarks risulta così moltiplicato per tre.
Dato che ciò appesantisce lo schema di fondo, apparve subito
necessario che l’ipotesi potesse essere suffragata da evidenze
esplicite. Una prima apparve venire dal decadimento del pione
neutro, per il quale la previsione teorica della vita media risultava
in accordo coi dati appunto sulla base dell’ipotesi del colore.
J.E. Dodd, The Ideas of Particle Physics - An Introduction for
Physicists, Cambridge University Press, 1984.
Il ruolo del colore non si esaurisce nell’eliminazione di una
contraddizione.
I tre colori “assomigliano” ai tre sapori, nel senso che non possono
non far pensare ai quarks dei tre colori come membri della
rappresentazione fondamentale di una nuova simmetria SU(3),
un SU(3) di colore, SU(3)c.
La matematica di SU(3)c è la stessa dell’SU(3)f. In particolare, la
rappresentazione fondamentale può generare le altre. Così, la
rappresentazione fondamentale di SU(3)f può generare la regolare
– otto-dimensionale, quella degli ottetti – e così via. Così è anche
per SU(3)c, ma, in questo caso, le sole rappresentazioni accettabili,
vista l’antisimmetria totale della funzione d’onda di colore
complessiva, sono singoletti di colore.
Il colore è “come” una carica, sebbene con una differenza
essenziale: le cariche possono essere solo positive o negative,
ciò che rende possibile indicarle con un + o un - .
Ma qui siamo in presenza di tre cariche, ciascuna delle quali,
di conseguenza, non ha una “opposta”. I “segni” possibili
sono solo due; i colori di più (quelli cosiddetti fondamentali
– combinazione – sono tre).
I singoletti di colore – che colore non hanno – sono il corrispettivo
delle particelle scariche. Essi, nell’analogia col caso elettrico, sono
dunque il corrispettivo degli atomi (neutri). A quanto pare, la
cromodinamica non ammette “ioni”.
QCD: la cromodinamica quantistica
L’idea base della QCD è che le cariche di colore dei quarks
agiscano come le sorgenti della forza “forte”, di colore o
cromodinamica, fra quarks. In particolare, dovrà sussistere
una forza cromostatica, attrattiva fra i tre colori in un barione
e fra quark e antiquark in un mesone.
La formalizzazione avverrà, anche in questo caso, in termini
della richiesta di un’invarianza di gauge locale, in questo caso
sotto l’applicazione del gruppo di trasformazioni dell’SU(3) di
colore. Come negli altri casi, la richiesta richiede l’introduzione
di campi di gauge rappresentanti particelle senza massa e di
spin 1 (gluoni).
Ma i quarks ci sono per davvero?
Lo stesso Gell-Mann, non pensava che queste entità
con cariche frazionarie esistessero veramente. Per lui i
quarks dovevano essere “matematici”, uno strumento
conveniente per organizzare il giardino zoologico dei
barioni e dei mesoni. Come scrisse nel 1964, “A search for
stable quarks of charge -1/3 or +2/3 . . . at the highestenergy accelerators would help to reassure us of the nonexistence of real quarks.”1
M. Gell-Mann, Phys. Lett. 8, 214 (1964) .
Di nuovo elettroni su protoni: la diffusione
anelastica profonda e i partoni.
Nel 1967 a Stanford era stata completata la costruzione di un
acceleratore lineare di elettroni (due miglia, 50 GeV). Una
collaborazione SLAC-MIT, guidata da Richard Taylor (SLAC)
e Henry Kendall e Jerome Friedman (MIT) iniziò misure sulla
diffusione anelastica di elettroni su protoni.
l
l'
N
La struttura dei diagrammi è simile a quella che si ha nel caso
della diffusione elastica (scambio di un fotone).
Nel caso della diffusione elastica, la sezione d’urto può essere
scritta in termini di due fattori di forma funzioni del momento
trasferito. Nel caso anelastico la trattazione è analoga, solo che
ora i due fattori di forma sono sostituiti da due funzioni di
struttura, che non dipendono solo dal momento trasferito, ma
anche dall’ulteriore invariante
   pl  pl '   pN / M
dove M è la massa del nucleone; un altro invariante, naturalmente
non indipendente, è definito come
x
t
2M
Calcolato nel sistema di riposo del nucleone, l’invariante x vale:
El  El '
x fornisce quindi una misura dell’energia persa dall’elettrone
nella collisione. James D. Bjorken ipotizzò che le funzioni di
struttura dipendessero soltanto da x, e non da t e ν separatamente.
Su suo suggerimento, gli sperimentatori andarono a controllare la
dipendenza da t , a x fissato, delle funzioni di struttura, e verificarono
che, con grande approssimazione, quella dipendenza, per t e x
sufficientemente grandi, scompariva, come predetto da Bjorken.
L’effetto si chiama proprietà di scaling perchè la dipendenza da ν
è compensata da un corrispondente riscalamento di t. In un certo
senso può leggersi come un’invarianza di scala, in quanto variare
t corrisponde a sondare il nucleone a diverse scale.
Come ricorda Pickering, i risultati, presentati alla Conferenza di
Vienna sulla fisica delle alte energia nel 1968 non suscitarono
particolare interesse. Ciò è in parte dovuto alla circostanza che
Bjorken aveva derivato i suoi risultati sulla base dell’algebra
delle correnti, in termini difficilmente comprensibili dai più, in
particolare per quanto riguarda una lettura in termini direttamente
fisici dei risultati.
Le cose cambiarono subito dopo in seguito all’intervento di
Feynman. Questi cominciò col considerare i protoni come
una “nuvola” di oggetti, che, senza compromettersi sulla loro
natura, chiamò partoni. Essi avrebbero dovuto manifestarsi ad
energie sufficientemente alte, come quelle raggiunte nell’esperimento,
nel senso che in tali circostanze l’elettrone avrebbe scambiato un
fotone con un singolo partone, dando luogo a sezioni d’urto simili
a quelle per la diffusione elastica. In particolare, le funzioni di
struttura avrebbero dovuto mostrare la proprietà di scaling.
Tre modalità di comportamento in funzione dell’energia:
• Dapprima gli elettroni sono diffusi elasticamente dai protoni;
le cose si descrivono in termini di due funzioni del momento
trasferito;
• A energie più alte sono prevalentemente diffusi anelasticamente;
questa situazione richiede le funzioni di struttura di cui sopra;
• A energie ancora più alte, si ha di nuovo a che fare con due
funzioni di un solo invariante; questo testimonia del fatto che
si ha a che fare con una diffusione elastica, questa volta da parte
di oggetti “puntiformi” contenuti nel protone.
Collisioni elettrone-positrone

...in astratto

e in concreto
Processi d’interesse

e
e
γ
γ
e

q
X

e

q
e
γ
e
 , ,
X
In concreto …
“Nei tardi anni 60 la principale fonte d’informazione sulla
annichilazione elettrone-positrone era il collisionatore elettrone
-positrone ADONE che entrò in operazione a Frascati in Italia
nel 1967.”
Pickering, op. cit., p. 148.
Adone: il modello a dominanza vettoriale e il “giardino
invece di un deserto”.
Nel 1970 gli sperimentatori di Adone pubblicarono dati sul
rapporto
 (e  e   adroni )
R
 (e  e       )
Ho ricordato la versione di Sakurai della teoria di Yang e Mills.
Essa aveva dato vita al “modello a dominanza vettoriale”: le
reazioni a numeratore avrebbero dovuto procedere via la formazione
dei mesoni vettoriali noti. Un’estrapolazione sulla base del modello
dei dati raccolti a energie minori portava a precedere una trascurabile
produzione di adroni.
Pickering, op. cit., p. 221.
Vittorio Sivestrini, portavoce dell’esperimento, presentò i
risultati alla XVI Conferenza Internazionale sulla Fisica delle
Alte Energie (Fermilab, settembre 1972), dicendo pittorescamente
che, laddove ci si aspettava un deserto, si era trovato un giardino.
Nell’intervallo fra 1 e 3 GeV i valori di R trovati si aggiravano
attorno a 2.
Se il risultato era in disaccordo con il modello a dominanza
vettoriale, risultava invece in accordo qualitativo con
estrapolazioni ai processi di annichilazione dei dati relativi
alla diffusione anelastica profonda.
Se i processi erano mediati da quark (seconda figura), R doveva
tendere a un valore costante, il cui valore doveva essere quello
della somma dei quadrati delle cariche dei quarks.
Per tre quarks privi di colore,
2
2
2
2
 2 1 1
R        
3
 3  3  3
Nell’ipotesi del colore, doveva valere tre volte tanto, in accordo
col valore trovato*.
*Pickering, op. cit., pp. 221-222.
Un quarto quark
Fu proposto da Glashow, J. Iliopoulos e L. Maiani nel 1970
come soluzione ad anomalie riguardanti il decadimento del K.
Per esso Glashow scelse il termine charm.
L’introduzione del charm permetteva di individuare una
simmetria fra quarks e leptoni, nella quale si corrispondevano
le famiglie
(u, d )  (e, e )
( s, c)  (  ,  )
Nel 1974 , in esperimenti distinti condotti al collisionatore SPEAR
della Stanford University (Burton Richter*) e al protosincrotrone di
Brookhaven (Samuel Ting*) fu scoperta una particella con una vita
media inusualmente lunga, alternativamente strettissima
  (86,6  6,0) KeV )
(
e una grande massa:
m  (3069,93  0,09)MeV
Fu battezzata ψ alla Stanford, J a Brookhaven (J/psi). Fu interpretata
come uno stato legato quark charm-antiquark charm.
*Premi Nobel per la fisica 1976
Adone e la J/ψ
Nel novembre del 1974, Giorgio Bellettini, direttore dei Laboratori
di Frascati, fu informato della scoperta dallo stesso Samuel Ting. Si
capì che, forzando al massimo le posibilità energetiche della macchina,
sarebbe stato possibile produrre la particella. E così fu.
Testimonianza di Giorgio Salvini: “Fui abbastanza saggio da
pubblicare questo risultato dicendo: siamo stati avvisati di questa
risonanza e l’abbiamo trovata; sicché il nostro articolo comparve
contemporaneamente agli altri ma con questa dichiarazione iperonesta,
cosa di cui mi lodo ancora perché in queste cose non si può scherzare.
Sicché siamo stati tra gli scopritori della J/ψ, ma grazie al suggerimento
di chi l’aveva trovata prima”.*
*G. Salvini, Intervista a cura di G. Battimelli e G.Paoloni, in: INFN,
Storia di una comunità di ricerca; riportata in Vecchi, op. cit., p. 92 .
Ancora l’unificazione elettrodebole
Ho ricordato le difficoltà inerenti alla rinormalizzabilità delle
teorie alla Yang e Mills. Nonché il sostanziale silenzio che
fece seguito, per qualche anno, alla pubblicazione degli studi di
Weinberg e Salam.
Un evento importante, nella vicenda degli studi sulla unificazione
elettrodebole fu la prova della rinormalizzabilità di teorie di gauge
con rottura spontanea di simmetria. Il problema, riferito
genericamente a teorie alla Yang e Mills, fu oggetto di studi
plurienmali da parte di M. Veltman*, ed ebbe una risposta definitiva
nel senso specifico appena ricordato nel 1971 da parte di un allievo
di Veltman, G. ‘t Hooft*.
*Premi Nobel per la fisica, 1999.
Alla ricerca di fenomeni
Come conseguenza di questi eventi, il modello di Weinberg e
Salam, e sue modifiche e integrazioni, furono finalmente prese
in considerazione come base per una teoria realistica delle
interazioni elettrodeboli*.
Se ne cercarono dunque anche conseguenze fenomenologiche.
Fra queste, le cosiddette correnti neutre.
*Pickering, op. cit., pp. 180 segg.
Le correnti neutre
La teoria delle interazioni elettrodeboli le interazioni prevedeva
dunque un bosone vettore massivo scarico.
I vertici tipici:
e
e
W
e
Z0
e
L’interazione elettrone-elettrone con scambio di una Z
e
e
Z
0
e
e
è molto difficile da rivelare perché mascherata da quella che
avviene per scambio di un fotone, che è molto più forte.
e
ν
W
e

ν
ν
Z0

ν
e

e
Le verifica dell’esistenza di un processo come quello della
seconda figura avrebbe permesso di discriminare fra la teoria
tradizionale delle interazioni deboli e quella di Glashow,
Weinberg e Salam. Nei primi anni 70 in realtà non erano stati
ancora osservati neppure processi leptonici del primo tipo.
Esistevano invece dati su processi coinvolgenti adroni, per i quali
i risultati apparivano in contraddizione con le previsioni basate
sull’esistenza di correnti neutre. Era il caso del decadimento del
K neutro in una coppia di muoni:

s
Z0
K0
d


Una risposta venne dal lavoro di Glashow, Maiani e Iliopoulos
(GIM): se il quark con charm aveva cariva 3/2 e un appropriato
accoppiamento ai bosoni vettori, si poteva avere una soppressione
delle correnti neutre in accordo coi dati.
Le correnti neutre cancellate dal meccanismo GIM erano
strangeness-changing. Il meccanismo non funzionava per
processi nei quali non avveniva un cambiamento di stranezza.
La prima evidenza per le correnti deboli venne da un esperimento
condotto operando con una gigantesca camera a bolle, Gargamelle,
costruita da un gruppo guidato da André Lagarrigue, al protosincrotrone da 26 GeV del CERN.
1973, eventi del tipo νN->νX),
Finora non si è fatto cenno al nesso fra unificazione elettrodebole
e modello a quarks. In effetti il modello di Weinberg e Salam era
stato applicato solo a leptoni. L’estensione agli adroni suggeriva
immediatamente che le cariche accoppiate tramite i bosoni di
gauge dovessero essere i sapori dei quarks*.
*Pickering, op.cit. p.183.
La cromodinamica quantistica
(QCD)
È la teoria che descrive l’interazione forte fra quarks in
termini di scambio di bosoni vettori, i gluoni. È una teoria
quantistica di campo, in specifico una teoria di gauge non
abeliana. È ovviamente una parte fondamentale del cosiddetto
modello standard della fisica delle particelle. Gode di due
importanti proprietà:
Le proprietà:
• la libertà asintotica, che vuol dire che nelle reazioni ad energie
molto alte quarks e gluoni interagiscono molto debolmente. Che la
QCD predice questo comportamento fu scoperto nel 1973 da David
Politzer* (Cal Tech.) e da David Gross* (Un. of California at Santa
Barbara) e Frank Wilczek* (MIT; W. era stato studente di Gross a
Princeton) .
• Il confinamento, che vuol dire che la forza tra quarks non
diminuisce con la distanza, e che anzi separarli richiederebbe
un’energia infinita. I quarks sono dunque destinati a convivere
perennemente nel corpo degli adroni. Although analytically unproven,
confinement is widely believed to be true because it explains the
consistent failure of free quark searches, and it is easy to demonstrate
in lattice QCD.
*Premi Nobel per la fisica 2004
Verso il modello standard
Nel 1964, la motivazione per l’introduzione del charm era stata
quella di assicurare una simmetria fra quarks e leptoni. Dieci anni
dopo, i leptoni erano rimasti quattro; ma non c’erano ragioni a
priori per cui non potessero essere di più.
Per far breve una storia lunga, nel 1978 – merito soprattutto di
Martin Perl – era stata definitivamente appurata l’esistenza di un
terzo leptone carico, il tau (massa intorno ai 1780 MeV).
Ma allora si riproponeva il problema: sì, perché i leptoni, dando già
per scontata l’esistenza del neutrino del tau, diventavano sei, e il
parallelismo coi quarks si perdeva in senso opposto.
Mancavano due quarks – due sapori – che sarebbero poi stati
indicati con le lettere b e t (beauty e e truth, oppure bottom e top –
finì per prevalere la coppia mista beauty e top).
Al Fermi-Lab, un gruppo guidato da Leon Lederman, scoprì una
nuova particella, denominata upsilon , che, quasi in contemporanea
con la sanzione dell’esistenza del terzo leptone carico, fu
interpretata come uno stato beauty-antibeauty (il beauty aveva
carica 2/3, il top –1/3).
A questo punto, per il completamento di quello che sarebbe stato
chiamato il modelo standard, mancavano il neutrino del tau e il
quark top.
Ma doveva anche chiudersi la lunga vicenda riguardante la teoria
elettrodebole …
Il coronamento di una lunga vicenda: la
scoperta dei bosoni vettori
Se la logica dominante era stata a lungo: facciamo le macchine,
gli eventi seguiranno, un momento di svolta si ebbe dopo la
metà degli anni 70, come preconizzato da Wolfgang Panowsky,
direttore di SLAC, nel 1974*. Fondamentale, per la rivelazione
dei bosoni vettori mediatori dell’interazione elettrodebole,
apparve essere un collisionatore protone-antiprotone. Il problema
era come ottenere gli antiprotoni. Al CERN, antiprotoni si potevano
ottenere inviando un fascio di protoni dal PS su un bersaglio
metallico. Me ne sarebbero venuti fuori troppo pochi e “caldi”,
cioè dispersi quanto a energie e direzioni.
*Pickering, op. cit. p. 365.
Il “raffreddamento stocastico” degli antiprotoni, fu ideato da
Simon Van der Meer e realizzato sotto la sua guida.
Un elettrodo pickup misura un ssegnale “errore” per una
data particella. Il segnale può essere estremamente piccolo,
dell’ordine del trilionesimo di watt.
Il segnale è processato e
amplificato. Il guadagno può
essere di un fattore 10 alla
15.
L’opposto del segnale “errore”
è applicato all’antiprotone al
“kicker”. Il segnale kicker
può arrivare ai 1500 watts.
Nel gennaio del 1983, il gruppo guidato da Carlo Rubbia presentò
i primi dati positivi a un workshop che si tenne a Roma. In breve
tempo gli esperimenti denominati UA1 e UA2 furono in grado di
comunicare i dati relativi alle masse delle particelle finalmente
scoperte, che risultarono compatibili con le previsioni teoriche.
Non si legge bene ...


... ma qui dice:
TAU NEUTRINO
Not yet discovered
but believed to exist
... e qua si dice la
stessa cosa per il
TOP
Top quark e neutrino del tau
La scoperta del quark top avvenne al Fermilab nel 1995, da
parte di un foltissinmo gruppo del quale facevano parte, mi è
gradito ricordaslo, tre colleghi bolognesi, Maddalena Deninno,
Franco Rimondi e Stefano Zucchelli.
Nello stesso laboratorio avvenne poi, nel luglio del 200, la
scoperta anche del terzo neutrino
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Simmetrie, invarianze e leggi di conservazione (, 468 KB)