AIF Scuola Invernale 2005 Castiglioncello, 1-6 dicembre Nuclei e particelle: aspetti di storia della fisica Invarianze, simmetrie, leggi di conservazione In realtà, il tentativo di tracciare un quadro sommario dello sviluppo della fisica delle particelle dai primi anni sessanta al (data simbolica) 1983. Pions to quarks – Particle Physics in the 1950s (based on a Fermilab symposium), eds. Laurie Brown, Max Dresden, Lillian Hoddeson, Cambridge University Press, 1989. Andrew Pickering, Constructing quarks – A sociological history of particle physics, University of Chicago Press, 1984 “The view taken here is that the reality of quarks was the upshot of particle physicists’ practice and not the reverse ...” “The account of particle physics offered here is intended as a contribution to the ‘relativist-constructivist’ programme in the sociology of scientific knowledge ...” Roger G. Newton, The Truth of Science, Harvard University Press, 1997; La verità della scienza, McGraw-Hill it., 1999. “Senza dubbio esistono influenze estranee di carattere politico e sociale, benché sociologi e storici possano a volte esagerare la loro importanza. Ma la variante malevola, chiamata ‘costruttivismo sociale relativistico’, sostiene, nella sua forma estrema, che tutte le teorie scientifiche, e anche i fatti che ne costituiscono il fondamento, siano costruzioni sociali, prive di relazione con alcunché in natura.” “...la dichiarazione di Pickering di non voler ‘negare alla realtà – sotto forma di dati sperimentali – un ruolo nello sviluppo della conoscenza scientifica’ deve considerarsi in qualche modo insincera.” A prescindere, si può concordare con Pickering che ... la fisica del ventesimo secolo può essere descritta come quella di una successione di concezioni atomistiche: 1) 2) 3) 4) Fisica atomica Fisica nucleare Fisica delle particelle I quarks e il modello standard E anche con la sua distinzione, a proposito delle tappe 3 e 4, fra una vecchia (fino al 64) e una nuova fisica. Meno con il suo far partire la “nuova fisica” solo dall’ipotesi dei quarks. Qui si tenderà a sostenere il punto di vista che – se pure c’è una nuova fisica – essa nasce quando rinasce con la ritrovata fiducia nel potere fondante della matematica (Jona Lasinio) Invarianze, simmetrie e leggi di conservazione avevano svolto un ruolo importante anche nella “vecchia fisica” Energia-impulso (analisi delle collisioni elastiche e anelastiche) Momento angolare. Importanza dello spin per la classificazione delle particelle (fermioni-bosoni) Carica elettrica Numero barionico Numero leptonico Parità Spin isotopico (isospin) Il cammino verso SU(3) e l’ipotesi dei quarks P.Roman, Theory of Elementary Particles, North-Holland, 1960 M. Gell-Mann, Y. Ne’eman, The Eightfold Way: A Review – With A Collection of Reprints, W.A. Benjamin, 1964 F.E. Close, An Introduction to Quarks and Partons, Academic Press, 1979 Lo spin isotopico Dà corpo all’idea che adroni aventi masse prossime, e gli stessi spin e parità intrinseca ma cariche elettriche diverse, sono la stessa cosa per quanto riguarda l’interazione forte (indipendenza dalla carica). Questo fu formalizzato assegnando a ciascuno dei gruppi di adroni di cui sopra uno stesso numero quantico I, analogo a quello di spin (isospin o spin isotopico). Come per lo spin, la terza componente dell’isospin si supponeva quantizzata, e i suoi diversi valori distinguevano fra i membri di uno stesso gruppo (multipletto). Sarebbero la stessa cosa, per quanto riguarda le interazioni forti, per cominciare, il protone e il neutrone. Essi divengono quindi stati di una stessa particella. Lo stato di un nucleone può allora essere scritto come una matrice colonna a due elementi, che danno rispettivamente l’ampiezza di probabilità che si tratti di un protone o di un neutrone. Gli stati di protone e neutrone si scriveranno allora come: 1 p 0 e 0 n 1 Essi sono autostati dell’operatore matriciale corrispondenti agli autovalori 1 e -1 1 0 3 0 - 1 Introdotti anche gli operatori matriciali 0 1 1 1 0 e 0 i 2 i 0 si verifica che le tre matrici soddisfano alle regole di commutazione: 1 1 1 2 i , 2 j i ijk 2 k Inoltre 1 1 i 2 2 e 1 1 i 2 2 trasformano un neutrone in protone e viceversa. Una generica trasformazione nello spazio degli stati si scrive: ' U Poiché, vista dal punto di vista passivo, la trasformazione deve trasformare una base ortonormale in una base ortonormale, la matrice U deve essere unitaria. Le matrici unitarie hanno determinante di modulo 1. Se il determinante vale 1, si chiamano unimodulari. Le matrici in questione formano gruppo: il gruppo SU(2), gruppo delle trasformazioni unitarie unimodulari. 1 1 1 , i ijk k Le 2 i 2 j 2 individuano l’algebra di Lie del gruppo. L’algebra dei generatori può essere generalizzata in termini di operatori astratti: [ I i , I j ] i ijk I k Le matrici 2x2 date sopra che soddisfano a quest’algebra agiscono sulla rappresentazione bi-dimensionale (fondamentale) del gruppo. Si possono trovare via via matrici NxN che soddisfano all’algebra. I multipletti che sono trasformati da esse costituiscono rappresentazioni N-dimensionali di SU(2). La rappresentazione tridimensionale è nota come la regolare. Essa descrive particelle di isospin 1, dunque un tripletto (es.: i pioni, nei loro tre stati di carica). Ora, l’indipendenza dalla carica si può tradurre nell’invarianza dell’interazione forte per rotazioni nello spazio dell’isospin, cui corrisponde la conservazione dello spin isotopico. L’isospin si supponeva rigorosamente conservato nelle interazioni forti. Le piccole differenze di massa all’interno di un multipletto si attribuivano alle interazioni elettromagnetiche che distinguevano fra di esse (esempio: protone e neutrone, doppietto di isospin ½.) Nuovi numeri quantici: la stranezza Negli anni 50, i kaoni e le Λ erano noti come particelle strane. La stranezza del loro comportamento stava nel fatto che erano prodotte con sezioni d’urto tipiche delle interazioni forti, ma decadevano con vite medie proprie delle deboli. Nel 1952 Abraham Pais avanzò la sua ipotesi della “produzione associata”: un kaone e una Λ interagivano “forte” soli in coppie, e come tali potevano essere prodotti da interazioni forti; ma, lasciate a se stesse, potevano decadere solo via interazione debole. I due nucleoni non si distinguerebbero nel caso di una simmetria esatta. L’esatta simmetria è rotta dall’interazione elettromagnetica. Anche i barioni ordinari, nucleoni,e iperoni, per un totale di 8, si assomigliano abbastanza. Si può pensare a una simmetria rotta, che di per sé li porrebbe in un unico multipletto. D’altra parte, le interazioni forti possiedono altre leggi di conservazione oltre a quella dello spin isotopico: quella del numero barionico e quella della stranezza. La simmetria, una volta rotta, dovrebbe lasciare inviolate la conservazione dell’isospin, del numero barionico e della stranezza. SU(3). Ritrovare un ordine. Furono Murray Gell-Mann e Yuval Ne’eman (1961) a rendersi conto, indipendentemente, che il gruppo di simmetria che garantiva tutto ciò era la più immediata generalizzazione di SU(2), cioè il gruppo SU(3) delle matrici unitarie unimodulari 3x3. M.Gell-Mann, Y. Ne’eman, The Eightfold Way, Benjamin, 1964 Sembra presentarsi subito una difficoltà: la rappresentazione fondamentale è tridimensionale, può quindi albergare tre particelle e non otto. Bisognerà dunque saltarla, questa rapresentazione fondamentale, e partire dalla regolare, che otto-dimensionale. Va osservato che il contenuto in multipletti di isospin e l’attribuzione ad essi di un valore definito della stranezza è prescritto. La figura mostra l’ottetto barionico. Ma non è proibita l’esistenza di altri ottetti – non barionici: l’ottetto dei mesoni pseudoscalari e quello dei mesoni vettoriali N.B.: c’è qualche problema di sovrabbondanza, per il quale rimando a Gell-Mann e Ne’eman, op. cit. Si passa poi alle rappresentazioni di maggiore dimensionalità. La prima è il decupletto. Vi trovano posto stati eccitati degli iperoni, nonché la Δ, ex “risonanza 33”. Ma il vertice, la Ω, è mancante … Deve trattarsi di un singoletto isotopico con spin 3/2, parità +, massa di circa of 1.680 MeV, carica negativa, numero barionico +1, stranezza = -3, stabile rispetto a decadimenti forti. Un barione con queste caratteristiche fu scoperto nel 1964 da un gruppo di fisici di Brookhaven e delle Università di Rochester e Syracuse, condotto da N. Samios, usando la camera a bolle da 80 pollici. L’esperimento verificò anche, dalla determimanazione della massa, che la rottura della simmetria doveva imputarsi a interazioni mediumstrong. Un antecedente: il modello di Sakata 1949: Fermi e Yang propongono che il pione non sia una particella elementare, ma sia composta, specificamente uno stato legato nucleone-antinucleone. È chiaro che si tratta di una prima radicale alternativa alla teoria di Yukawa. 1956: Sakata estende l’idea di Fermi e Yang, nel senso di considerare le “particelle elementari” come composte dai costituenti veramente elementari p, n e Λ. La teoria non può ridursi a pura classificazione: Le teorie di gauge Un po’ di storia L’invarianza di gauge dell’elettromagnetismo Elettromagnetismo come teoria di Hamilton-Jacobi Weyl: all’origine dei concetti e della terminologia Meccanica quantistica: dall’invarianza di scala a quella di fase Una teoria locale di gauge: l’elettromagnetismo Estensione a gruppi non abeliani: la teoria di Yang e Mills Giuseppe Cammarata, Masses fermioniques, connexions algébriques et modèle standard, tesi di dottorato sostenuta presso l'Université de la MéditerranéeAix-Marseille II, 21 dicembre 1998. L’invarianza di gauge dell’elettromagnetismo Data la forma delle equazioni di collegamento che lo legano al quadripotenziale, A A F A A x x il tensore F del campo elettromagnetico – e con esso le equazioni di Maxwell – sono lasciate invariate dalla sostituzione A A Elettromagnetismo come teoria di HamiltonJacobi L’idea è di ottenere sia le equazioni di Mawwell sia le equazioni del moto di una particella carica da un unico principio fisico (il principio di Hamilton). Si verifica che ciò si ottiene se si parte dalla lagrangiana 1 1 2 L p eA F F 2 4 La sostituzione p p eA è dunque tutto quanto occorre per introdurre l’interazione nelle equazioni classiche del moto. Weyl: all’origine dei concetti e della terminologia Nel tentativo di dar vita a una teoria unitaria di gravitazione ed elettromagnetismo (1918), Weyl rilasciò uno dei vincoli che fissano una connessione in relatività generale: quello che richiede la conservazione delle lunghezze e del prodotto scalare fra due vettori sotto trasporto parallelo (condizione di metricità). Il risultato è una connessione determinata dal tensore metrico e da un (quadri)vettore A, che risulta invariante sotto le trasformazioni simultanee g g A A A può dunque essere interpretato come quadripotenziale e.m. Meccanica quantistica: dall’invarianza di scala a quella di fase Dopo lo sviluppo della meccanica quantistica, F. London, V. Fock, lo stesso Weyl ed altri si resero conto che la teoria originaria di Weyl poteva essere opportunamente riformulata. L’equazione di Schrödinger per una particella carica in un campo elettromagnetico e i e 2 1 2m i eA e V i t rimane inalterata sotto le simultanee trasformazioni A A e ie Un commento di Weyl (1950): “Oggi, credo, dopo l’introduzione della ψ attraverso la teoria quantistica, possiamo indicare in modo più preciso dove la mia teoria andò fuori strada: l’invarianza di gauge non connette il potenziale elettromagnetico con quello gravitazionale [...] ma con la ψ del campo di materia. Non potevo certamente saperlo nel 1918!” Alla “sua” invarianza Weyl aveva dato il nome di Eichinvarianz o Massstabinvarianz (invarianza di scala). Le versioni inglesi scelsero gauge, che significa calibro. Il termine è rimasto nell’uso, ma è evidente che non è quello più adeguato per qualificare la nuova invarianza. Una teoria locale di gauge: l’elettromagnetismo L’elettromagnetismo, come teoria di campo, può essere generato dalla richiesta dell’invarianza locale di gauge. Vediamo perché*. • La statistica delle misure per le osservabili quanto-meccaniche comporta espressioni bilineari nella funzione d’onda. Esse sono pertanto invarianti sotto trasformazioni globali di fase del tipo ( x) e ( x) i Queste trasformazioni formano gruppo: il gruppo abeliano U(1). •Chris Quigg, Gauge Theories of the Strong, Weak, and Electromagnetic Interactions, Frontiers in Physics, Benjamin, 1983. • Si è liberi di scegliere una convenzione di fase dipendente dal punto? In altre parole, la meccanica quantistica può risultare invariante sotto trasformazioni locali di fase, del tipo ( x) e ( x) ? i ( x ) • La risposta è: sì, a patto di introdurre un interazione che si scoprirà essere quella della materia carica con un campo elettromagnetico. Il principio di gauge, ovvero: come trasformare una constatazione in un principio. Fin qui si è verificata l’invarianza di gauge di una teoria. Rovesciamo l’argomentazione: richiediamo che la nostra teoria sia invariante sotto la trasformazione locale di fase ( x) ei ( x ) ( x) Si dimostra che una tale invarianza non è possibile per una teoria libera, ma richiede una teoria interagente, che comporta, in questo caso, un campo vettoriale, soggetto corrispondentemente a libertà di gauge, la cui interazione con la materia carica è determinata. Al campo vettoriale deve corrispondere una particella di massa nulla (in questo caso tutto torna: è il fotone). La ragione è la seguente: l’equazione cui deve obbedire il quadripotenziale è la A ( A ) j che è invariante sotto la trasformazione di gauge A A Ma, se il quadripotenziale A dovesse rappresentare una particella massiva, dovrebbe obbedire all’equazione ( m2 ) A ( A ) j che non è gauge-invariante. La teoria di Yang e Mills (1954) Il “principio di gauge” riguarda questa volta particelle descritte da isospinori. L’invarianza locale sarà dunque sotto una trasformazione del tipo: 1/ 2 e ig ( x ) / 2 (1 / 2 ) (g indica una costante d’accoppiamento, analoga alla carica elettrica). Ora però il gruppo delle trasformazioni non è più abeliano: è difatti il gruppo SU(2) dell’isospin.. Anche in questo caso, si dimostra che l’invarianza richiede una teoria interagente, che comporta questa volta tre campi vettoriali, soggetti corrispondentemente a libertà di gauge, la cui interazione con la materia è fissata. Le tre corrispondenti particelle W dovevano formare un tripletto di isospin .... ed avere massa nulla. A differenza dei fotoni, essi dovevano avere una forma di autointerazione. La formulazione di Yang e Mills era pensata per le interazioni forti. Come tale, in considerazione di quanto appena detto, fu sostanzialmente accantonata, anche se Yang espresse in un’occasione (1956) l’opinione che la teoria avrebbe potuto in seguito dimostrare la non necessità della condizione di massa nulla*. *Pickering, op. cit. p. 164 Una seconda (o terza?) via era quella di dare massa alle particelle di gauge “con le mani”, inserendo un appropriato termine di massa nella lagrangiana. Ciò rompe l’analogia con l’elettrodinamica e distrugge la gauge-invarianza, ma trasforma la teoria in un candidato realistico per la descrizione di interazioni a corto range, forti o deboli che siano. Essa fu fatta propria da J.J.Sakurai (1960). Egli estese la formulazione originaria, ipotizzando che vi fossero altre due particelle vettoriali, accoppiate rispettivamente alla stranezza e al numero barionico. Egli finiva così per predire l’esistenza dei mesoni vettori ρ, ω e φ, anche perché l’operazione “masse con le mani” gli era riuscita benissimo. Pickering, ibidem. Interazioni deboli: un’importante modifica alla teoria di Fermi Fra il 1957 e il 1961, indipendentemente, Julian Schwinger, Sidney Bludman e Sheldon Glashow proposero che le interazioni deboli fossero mediate da bosoni vettori. Nel 1957 Schwinger concepì l’idea primitiva di una possibile unificazione fra le interazioni deboli e quelle elettromagnetiche. Mentre le seconde erano mediate dal fotone scarico, le prime, in cui si ha significativamente un cambiamento di carica delle particelle interagenti, sarebbero state mediate da bosoni vettori carichi. Lo schema di unificazione abbozzato era tuttavia soltanto formale, in considerazione della diversissima intensità delle due interazioni, del fatto che le interazioni deboli sono a cortissimo range mentre quelle e.m. hanno portata infinita, e del fatto che le prime non conservano la parità. 1958. Bludman non si proponeva un’unificazione elettrodebole, la sua attenzione essendo rivolta alle sole interazioni deboli. Egli suggerì che i bosoni vettori mediatori delle interazioni deboli non fossero altro che le particelle di gauge di una teoria di Yang e Mills, trasferendo così dal campo delle interazioni forti a quello delle interazioni deboli il campo di applicazione della teoria. Conformemente alla simmetria in questione, i bosoni vettori dovevano sussistere nei tre stati di carica. In un articolo del 1961, sviluppando le idee di Schwinger e Bludman, Glashow definì la cornice entro la quale, nel corso degli anni Settanta, ad opera di Weinberg e Salam, si sarebbe sviluppata la teoria elettrodebole. Il modello di Glashow implicava un tripletto (nei tre stati di carica, come in Bludman) e un singoletto, naturalmente neutro. Il tripletto e il singoletto si mescolavano in modo tale da produrre una particella neutra molto massiva e una particella di massa nulla da identificarsi con il fotone secondo lo schema: Z 0 cosWW 0 sinW B 0 sinWW 0 cosW B 0 A loro volta risultavano molto massivi i bosoni vettori carichi. Rotture spontanee di simmetria e meccanismo di Higgs 1961: Nambu e Jona Lasinio: rotture spontanee di simmetria (SSB). 1961: Goldstone: una SSB deve essere accompagnata dalla comparsa di particelle di massa e spin nulli. 1964-67: Higgs, Brout ed Englert, Kibble: il teorema di Goldstone può essere eluso nelle teorie di gauge. Insomma, si possono dotare i campi di Yang e Mills di massa conservando un’esatta simmetria di gauge. Rotture spontanee di simmetria: il meccanismo di Higgs Higgs: includere nella lagrangiana QED un paio di campi scalari, accoppiati fra loro e al fotone in modo da preservare la gaugeinvarianza dell’e. m.; dando ai campi scalari una massa negativa nella lagrangiana, lo spettro fisico conteneva un fotone privo di massa e una particella massiva. Nella teoria dei campi, il vuoto è appropriatamente definito come lo stato in cui tutti i campi hanno la loro energia minima. In genere questo si consegue quando il valore del campo è zero ovunque. Non così per il campo di Higgs: i campi di Higgs hanno la proprietà inconsueta di non annullarsi nel vuoto. L’interesse per questo meccanismo di rottura spontanea si concentrò inizialmente su possibili rotture di SU(3) nelle interazioni forti L’unificazione elettrodebole: altre tappe nella storia Il tentativo di vedere le interazioni deboli mediate da bosoni vettori in analogia con l’elettromagnetismo si scontrava con la difficoltà che la teoria appariva non rinormalizzabile Una teoria alla Yang e Mills (Bludman, 1958) risultava rinormalizzabile, ma presupponeva bosoni vettori di massa nulla; ogni tentativo di dotarli di masse portava a violazioni dell’invarianza di gauge Una risposta apparve venire dal meccanismo di Higgs (1964). Il modello di Weinberg e Salam 1967: indipendentemente, S. Weinberg e A. Salam ripresero il modello di Glashow, sostituendo i termini di massa introdotti “con le mani” con masse generate tramite il meccanismo di Higgs. Per le masse dei tre bosoni vettori, nei tre stati di carica, i valori erano univocamente determinati da un singolo parametro. Questi fondamentali contributi rimasero a lungo ignorati. La ragione principale essendo che avevano uno scarso riscontro fenomenologico*. Pickering, op.cit. pp.172-173. Finalmente i quarks 1964. Articolo di M.Gell-Mann, “A Schematic Model of Baryons and Mesons”: “If we assume that the strong interactions of baryons and mesons are correctly described in tems of the broken ‘eightfold way’, we are tempted to look for some fundamental explanation of the situation”. George Zweig introduce indipendentemente l’idea. Chiama aces quelli che Gell-Mann chiama quarks. Indovinare quale delle due denominazioni permarrà. Si controlla che, per tutti i barioni, vale la relazione: Q B S I3 e 2 2 (1 I quarks consistevano in un doppietto di isospin con S=0, indicati con u e d; e un singoletto di isospin con S=–1, indicato con s. I barioni sono formati da tre quarks, che avranno B=1/3. Per la (1) allora i quarks devono avere cariche frazionarie. La tabella riassume la situazione: sapore B J I I3 S Q/e u 1/3 1/2 1/2 +1/2 0 +2/3 d 1/3 1/2 1/2 -1/2 0 -1/3 s 1/3 1/2 0 0 1 -1/3 I quarks come rappresentazione fondamentale di SU(3) Y 1/3 0 -1/2 -2/3 +1/2 I 3 Difficoltà col principio di Pauli: sapori e colori È facile controllare che gli elementi e del decupletto barionico devono essere rispettivamente formati da tre quarks d e da tre quarks u. Ora, i membri del decupletto devono essere i barioni di spin 3/2 di massa minima; ma allora i quarks costituenti dovranno essere nello stato fondamentale spazialmente simmetrico (l=0). Il valore 3/2 del momento angolare si potrà pertanto ottenere solo con spin paralleli. Ma per il principio di Pauli, tre fermioni identici non possono stare nello stesso stato quantico complessivo. Praticamente immediatamente (1964) Oscar Greenberg suggerisce che i quarks potrebbero obbedire a una parastatistica. Un’ipotesi alternativa fu avanzata appena sei mesi dopo da Han Moo-Young e Yoikiro Nambu. La funzione d’onda di un adrone che contiene tre quarks deve, in partenza, essere il prodotto di tre funzioni d’onda, una descrivente la posizione dei quarks, una gli spin e una i sapori. L’incompatibilità col principio di Pauli si può superare se i quarks hanno un ulteriore numero quantico, che distingua fra loro quarks altrimenti identici. Il nuovo numero quantico fu chiamato colore. La funzione d’onda dell’adrone diventa ora il prodotto di quattro funzioni d’onda. L’ipotesi del colore è che i tre quarks hanno tutti colore diverso, ciò che rende antisimmetrica la funzione d’onda di colore, e quindi quella complessiva. In particolare, i tre quarks u della Δ a doppia carica positiva avranno colori tutti diversi. Il numero dei quarks risulta così moltiplicato per tre. Dato che ciò appesantisce lo schema di fondo, apparve subito necessario che l’ipotesi potesse essere suffragata da evidenze esplicite. Una prima apparve venire dal decadimento del pione neutro, per il quale la previsione teorica della vita media risultava in accordo coi dati appunto sulla base dell’ipotesi del colore. J.E. Dodd, The Ideas of Particle Physics - An Introduction for Physicists, Cambridge University Press, 1984. Il ruolo del colore non si esaurisce nell’eliminazione di una contraddizione. I tre colori “assomigliano” ai tre sapori, nel senso che non possono non far pensare ai quarks dei tre colori come membri della rappresentazione fondamentale di una nuova simmetria SU(3), un SU(3) di colore, SU(3)c. La matematica di SU(3)c è la stessa dell’SU(3)f. In particolare, la rappresentazione fondamentale può generare le altre. Così, la rappresentazione fondamentale di SU(3)f può generare la regolare – otto-dimensionale, quella degli ottetti – e così via. Così è anche per SU(3)c, ma, in questo caso, le sole rappresentazioni accettabili, vista l’antisimmetria totale della funzione d’onda di colore complessiva, sono singoletti di colore. Il colore è “come” una carica, sebbene con una differenza essenziale: le cariche possono essere solo positive o negative, ciò che rende possibile indicarle con un + o un - . Ma qui siamo in presenza di tre cariche, ciascuna delle quali, di conseguenza, non ha una “opposta”. I “segni” possibili sono solo due; i colori di più (quelli cosiddetti fondamentali – combinazione – sono tre). I singoletti di colore – che colore non hanno – sono il corrispettivo delle particelle scariche. Essi, nell’analogia col caso elettrico, sono dunque il corrispettivo degli atomi (neutri). A quanto pare, la cromodinamica non ammette “ioni”. QCD: la cromodinamica quantistica L’idea base della QCD è che le cariche di colore dei quarks agiscano come le sorgenti della forza “forte”, di colore o cromodinamica, fra quarks. In particolare, dovrà sussistere una forza cromostatica, attrattiva fra i tre colori in un barione e fra quark e antiquark in un mesone. La formalizzazione avverrà, anche in questo caso, in termini della richiesta di un’invarianza di gauge locale, in questo caso sotto l’applicazione del gruppo di trasformazioni dell’SU(3) di colore. Come negli altri casi, la richiesta richiede l’introduzione di campi di gauge rappresentanti particelle senza massa e di spin 1 (gluoni). Ma i quarks ci sono per davvero? Lo stesso Gell-Mann, non pensava che queste entità con cariche frazionarie esistessero veramente. Per lui i quarks dovevano essere “matematici”, uno strumento conveniente per organizzare il giardino zoologico dei barioni e dei mesoni. Come scrisse nel 1964, “A search for stable quarks of charge -1/3 or +2/3 . . . at the highestenergy accelerators would help to reassure us of the nonexistence of real quarks.”1 M. Gell-Mann, Phys. Lett. 8, 214 (1964) . Di nuovo elettroni su protoni: la diffusione anelastica profonda e i partoni. Nel 1967 a Stanford era stata completata la costruzione di un acceleratore lineare di elettroni (due miglia, 50 GeV). Una collaborazione SLAC-MIT, guidata da Richard Taylor (SLAC) e Henry Kendall e Jerome Friedman (MIT) iniziò misure sulla diffusione anelastica di elettroni su protoni. l l' N La struttura dei diagrammi è simile a quella che si ha nel caso della diffusione elastica (scambio di un fotone). Nel caso della diffusione elastica, la sezione d’urto può essere scritta in termini di due fattori di forma funzioni del momento trasferito. Nel caso anelastico la trattazione è analoga, solo che ora i due fattori di forma sono sostituiti da due funzioni di struttura, che non dipendono solo dal momento trasferito, ma anche dall’ulteriore invariante pl pl ' pN / M dove M è la massa del nucleone; un altro invariante, naturalmente non indipendente, è definito come x t 2M Calcolato nel sistema di riposo del nucleone, l’invariante x vale: El El ' x fornisce quindi una misura dell’energia persa dall’elettrone nella collisione. James D. Bjorken ipotizzò che le funzioni di struttura dipendessero soltanto da x, e non da t e ν separatamente. Su suo suggerimento, gli sperimentatori andarono a controllare la dipendenza da t , a x fissato, delle funzioni di struttura, e verificarono che, con grande approssimazione, quella dipendenza, per t e x sufficientemente grandi, scompariva, come predetto da Bjorken. L’effetto si chiama proprietà di scaling perchè la dipendenza da ν è compensata da un corrispondente riscalamento di t. In un certo senso può leggersi come un’invarianza di scala, in quanto variare t corrisponde a sondare il nucleone a diverse scale. Come ricorda Pickering, i risultati, presentati alla Conferenza di Vienna sulla fisica delle alte energia nel 1968 non suscitarono particolare interesse. Ciò è in parte dovuto alla circostanza che Bjorken aveva derivato i suoi risultati sulla base dell’algebra delle correnti, in termini difficilmente comprensibili dai più, in particolare per quanto riguarda una lettura in termini direttamente fisici dei risultati. Le cose cambiarono subito dopo in seguito all’intervento di Feynman. Questi cominciò col considerare i protoni come una “nuvola” di oggetti, che, senza compromettersi sulla loro natura, chiamò partoni. Essi avrebbero dovuto manifestarsi ad energie sufficientemente alte, come quelle raggiunte nell’esperimento, nel senso che in tali circostanze l’elettrone avrebbe scambiato un fotone con un singolo partone, dando luogo a sezioni d’urto simili a quelle per la diffusione elastica. In particolare, le funzioni di struttura avrebbero dovuto mostrare la proprietà di scaling. Tre modalità di comportamento in funzione dell’energia: • Dapprima gli elettroni sono diffusi elasticamente dai protoni; le cose si descrivono in termini di due funzioni del momento trasferito; • A energie più alte sono prevalentemente diffusi anelasticamente; questa situazione richiede le funzioni di struttura di cui sopra; • A energie ancora più alte, si ha di nuovo a che fare con due funzioni di un solo invariante; questo testimonia del fatto che si ha a che fare con una diffusione elastica, questa volta da parte di oggetti “puntiformi” contenuti nel protone. Collisioni elettrone-positrone ...in astratto e in concreto Processi d’interesse e e γ γ e q X e q e γ e , , X In concreto … “Nei tardi anni 60 la principale fonte d’informazione sulla annichilazione elettrone-positrone era il collisionatore elettrone -positrone ADONE che entrò in operazione a Frascati in Italia nel 1967.” Pickering, op. cit., p. 148. Adone: il modello a dominanza vettoriale e il “giardino invece di un deserto”. Nel 1970 gli sperimentatori di Adone pubblicarono dati sul rapporto (e e adroni ) R (e e ) Ho ricordato la versione di Sakurai della teoria di Yang e Mills. Essa aveva dato vita al “modello a dominanza vettoriale”: le reazioni a numeratore avrebbero dovuto procedere via la formazione dei mesoni vettoriali noti. Un’estrapolazione sulla base del modello dei dati raccolti a energie minori portava a precedere una trascurabile produzione di adroni. Pickering, op. cit., p. 221. Vittorio Sivestrini, portavoce dell’esperimento, presentò i risultati alla XVI Conferenza Internazionale sulla Fisica delle Alte Energie (Fermilab, settembre 1972), dicendo pittorescamente che, laddove ci si aspettava un deserto, si era trovato un giardino. Nell’intervallo fra 1 e 3 GeV i valori di R trovati si aggiravano attorno a 2. Se il risultato era in disaccordo con il modello a dominanza vettoriale, risultava invece in accordo qualitativo con estrapolazioni ai processi di annichilazione dei dati relativi alla diffusione anelastica profonda. Se i processi erano mediati da quark (seconda figura), R doveva tendere a un valore costante, il cui valore doveva essere quello della somma dei quadrati delle cariche dei quarks. Per tre quarks privi di colore, 2 2 2 2 2 1 1 R 3 3 3 3 Nell’ipotesi del colore, doveva valere tre volte tanto, in accordo col valore trovato*. *Pickering, op. cit., pp. 221-222. Un quarto quark Fu proposto da Glashow, J. Iliopoulos e L. Maiani nel 1970 come soluzione ad anomalie riguardanti il decadimento del K. Per esso Glashow scelse il termine charm. L’introduzione del charm permetteva di individuare una simmetria fra quarks e leptoni, nella quale si corrispondevano le famiglie (u, d ) (e, e ) ( s, c) ( , ) Nel 1974 , in esperimenti distinti condotti al collisionatore SPEAR della Stanford University (Burton Richter*) e al protosincrotrone di Brookhaven (Samuel Ting*) fu scoperta una particella con una vita media inusualmente lunga, alternativamente strettissima (86,6 6,0) KeV ) ( e una grande massa: m (3069,93 0,09)MeV Fu battezzata ψ alla Stanford, J a Brookhaven (J/psi). Fu interpretata come uno stato legato quark charm-antiquark charm. *Premi Nobel per la fisica 1976 Adone e la J/ψ Nel novembre del 1974, Giorgio Bellettini, direttore dei Laboratori di Frascati, fu informato della scoperta dallo stesso Samuel Ting. Si capì che, forzando al massimo le posibilità energetiche della macchina, sarebbe stato possibile produrre la particella. E così fu. Testimonianza di Giorgio Salvini: “Fui abbastanza saggio da pubblicare questo risultato dicendo: siamo stati avvisati di questa risonanza e l’abbiamo trovata; sicché il nostro articolo comparve contemporaneamente agli altri ma con questa dichiarazione iperonesta, cosa di cui mi lodo ancora perché in queste cose non si può scherzare. Sicché siamo stati tra gli scopritori della J/ψ, ma grazie al suggerimento di chi l’aveva trovata prima”.* *G. Salvini, Intervista a cura di G. Battimelli e G.Paoloni, in: INFN, Storia di una comunità di ricerca; riportata in Vecchi, op. cit., p. 92 . Ancora l’unificazione elettrodebole Ho ricordato le difficoltà inerenti alla rinormalizzabilità delle teorie alla Yang e Mills. Nonché il sostanziale silenzio che fece seguito, per qualche anno, alla pubblicazione degli studi di Weinberg e Salam. Un evento importante, nella vicenda degli studi sulla unificazione elettrodebole fu la prova della rinormalizzabilità di teorie di gauge con rottura spontanea di simmetria. Il problema, riferito genericamente a teorie alla Yang e Mills, fu oggetto di studi plurienmali da parte di M. Veltman*, ed ebbe una risposta definitiva nel senso specifico appena ricordato nel 1971 da parte di un allievo di Veltman, G. ‘t Hooft*. *Premi Nobel per la fisica, 1999. Alla ricerca di fenomeni Come conseguenza di questi eventi, il modello di Weinberg e Salam, e sue modifiche e integrazioni, furono finalmente prese in considerazione come base per una teoria realistica delle interazioni elettrodeboli*. Se ne cercarono dunque anche conseguenze fenomenologiche. Fra queste, le cosiddette correnti neutre. *Pickering, op. cit., pp. 180 segg. Le correnti neutre La teoria delle interazioni elettrodeboli le interazioni prevedeva dunque un bosone vettore massivo scarico. I vertici tipici: e e W e Z0 e L’interazione elettrone-elettrone con scambio di una Z e e Z 0 e e è molto difficile da rivelare perché mascherata da quella che avviene per scambio di un fotone, che è molto più forte. e ν W e ν ν Z0 ν e e Le verifica dell’esistenza di un processo come quello della seconda figura avrebbe permesso di discriminare fra la teoria tradizionale delle interazioni deboli e quella di Glashow, Weinberg e Salam. Nei primi anni 70 in realtà non erano stati ancora osservati neppure processi leptonici del primo tipo. Esistevano invece dati su processi coinvolgenti adroni, per i quali i risultati apparivano in contraddizione con le previsioni basate sull’esistenza di correnti neutre. Era il caso del decadimento del K neutro in una coppia di muoni: s Z0 K0 d Una risposta venne dal lavoro di Glashow, Maiani e Iliopoulos (GIM): se il quark con charm aveva cariva 3/2 e un appropriato accoppiamento ai bosoni vettori, si poteva avere una soppressione delle correnti neutre in accordo coi dati. Le correnti neutre cancellate dal meccanismo GIM erano strangeness-changing. Il meccanismo non funzionava per processi nei quali non avveniva un cambiamento di stranezza. La prima evidenza per le correnti deboli venne da un esperimento condotto operando con una gigantesca camera a bolle, Gargamelle, costruita da un gruppo guidato da André Lagarrigue, al protosincrotrone da 26 GeV del CERN. 1973, eventi del tipo νN->νX), Finora non si è fatto cenno al nesso fra unificazione elettrodebole e modello a quarks. In effetti il modello di Weinberg e Salam era stato applicato solo a leptoni. L’estensione agli adroni suggeriva immediatamente che le cariche accoppiate tramite i bosoni di gauge dovessero essere i sapori dei quarks*. *Pickering, op.cit. p.183. La cromodinamica quantistica (QCD) È la teoria che descrive l’interazione forte fra quarks in termini di scambio di bosoni vettori, i gluoni. È una teoria quantistica di campo, in specifico una teoria di gauge non abeliana. È ovviamente una parte fondamentale del cosiddetto modello standard della fisica delle particelle. Gode di due importanti proprietà: Le proprietà: • la libertà asintotica, che vuol dire che nelle reazioni ad energie molto alte quarks e gluoni interagiscono molto debolmente. Che la QCD predice questo comportamento fu scoperto nel 1973 da David Politzer* (Cal Tech.) e da David Gross* (Un. of California at Santa Barbara) e Frank Wilczek* (MIT; W. era stato studente di Gross a Princeton) . • Il confinamento, che vuol dire che la forza tra quarks non diminuisce con la distanza, e che anzi separarli richiederebbe un’energia infinita. I quarks sono dunque destinati a convivere perennemente nel corpo degli adroni. Although analytically unproven, confinement is widely believed to be true because it explains the consistent failure of free quark searches, and it is easy to demonstrate in lattice QCD. *Premi Nobel per la fisica 2004 Verso il modello standard Nel 1964, la motivazione per l’introduzione del charm era stata quella di assicurare una simmetria fra quarks e leptoni. Dieci anni dopo, i leptoni erano rimasti quattro; ma non c’erano ragioni a priori per cui non potessero essere di più. Per far breve una storia lunga, nel 1978 – merito soprattutto di Martin Perl – era stata definitivamente appurata l’esistenza di un terzo leptone carico, il tau (massa intorno ai 1780 MeV). Ma allora si riproponeva il problema: sì, perché i leptoni, dando già per scontata l’esistenza del neutrino del tau, diventavano sei, e il parallelismo coi quarks si perdeva in senso opposto. Mancavano due quarks – due sapori – che sarebbero poi stati indicati con le lettere b e t (beauty e e truth, oppure bottom e top – finì per prevalere la coppia mista beauty e top). Al Fermi-Lab, un gruppo guidato da Leon Lederman, scoprì una nuova particella, denominata upsilon , che, quasi in contemporanea con la sanzione dell’esistenza del terzo leptone carico, fu interpretata come uno stato beauty-antibeauty (il beauty aveva carica 2/3, il top –1/3). A questo punto, per il completamento di quello che sarebbe stato chiamato il modelo standard, mancavano il neutrino del tau e il quark top. Ma doveva anche chiudersi la lunga vicenda riguardante la teoria elettrodebole … Il coronamento di una lunga vicenda: la scoperta dei bosoni vettori Se la logica dominante era stata a lungo: facciamo le macchine, gli eventi seguiranno, un momento di svolta si ebbe dopo la metà degli anni 70, come preconizzato da Wolfgang Panowsky, direttore di SLAC, nel 1974*. Fondamentale, per la rivelazione dei bosoni vettori mediatori dell’interazione elettrodebole, apparve essere un collisionatore protone-antiprotone. Il problema era come ottenere gli antiprotoni. Al CERN, antiprotoni si potevano ottenere inviando un fascio di protoni dal PS su un bersaglio metallico. Me ne sarebbero venuti fuori troppo pochi e “caldi”, cioè dispersi quanto a energie e direzioni. *Pickering, op. cit. p. 365. Il “raffreddamento stocastico” degli antiprotoni, fu ideato da Simon Van der Meer e realizzato sotto la sua guida. Un elettrodo pickup misura un ssegnale “errore” per una data particella. Il segnale può essere estremamente piccolo, dell’ordine del trilionesimo di watt. Il segnale è processato e amplificato. Il guadagno può essere di un fattore 10 alla 15. L’opposto del segnale “errore” è applicato all’antiprotone al “kicker”. Il segnale kicker può arrivare ai 1500 watts. Nel gennaio del 1983, il gruppo guidato da Carlo Rubbia presentò i primi dati positivi a un workshop che si tenne a Roma. In breve tempo gli esperimenti denominati UA1 e UA2 furono in grado di comunicare i dati relativi alle masse delle particelle finalmente scoperte, che risultarono compatibili con le previsioni teoriche. Non si legge bene ... ... ma qui dice: TAU NEUTRINO Not yet discovered but believed to exist ... e qua si dice la stessa cosa per il TOP Top quark e neutrino del tau La scoperta del quark top avvenne al Fermilab nel 1995, da parte di un foltissinmo gruppo del quale facevano parte, mi è gradito ricordaslo, tre colleghi bolognesi, Maddalena Deninno, Franco Rimondi e Stefano Zucchelli. Nello stesso laboratorio avvenne poi, nel luglio del 200, la scoperta anche del terzo neutrino