LA SACRA SPINA DI PETILIA POLICASTRO
Alle 10:00 di domani venerdì santo 6 aprile, mentre la nostra “Processione delle Varette”
transiterà dal Rione Catocastro, sarà prelevata dal Tesoro della Cattedrale di Notre-Dame a
Parigi, ed esposta alla venerazione dei fedeli nella Sainte Chapelle, la Corona di Spine posta sul
capo di Cristo prima di essere condotto alla crocefissione.
« I soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello
di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: "Salve, re dei Giudei!". E gli davano
schiaffi. » (Vangelo di Giovanni 19,2-3)
Incoronazione di spine di Anton Van Dyck, 1620 circa, Madrid, Museo del Prado.
La Sacra Corona di Spine sarà esposta insieme ad altre due importanti reliquie, un pezzo della
Croce ed un chiodo utilizzato per la crocefissione, raccolte da Sant’Elena, madre dell’Imperatore
Costantino. la Sacra Corona è senza dubbio quella più preziosa e venerata delle tre reliquie. Benché
la sua autenticità non può essere provata rigorosamente nonostante tutti gli studi e le ricerche
storico-scientifiche, una cosa è però certa: su di essa sono concentrati più di sedici secoli di fervida
preghiera della cristianità.
La corona conservata nella cattedrale Notre-Dame di Parigi è un fascio circolare di giunchi tenuti
insieme con fili d’oro. E' su questo circolo intrecciato, con un diametro di 21 centimetri, che erano
intrecciate le spine, che sono andate disperse nel corso dei secoli a causa delle donazioni fatte sia
dagli imperatori di Bisanzio che dai re di Francia. Se ne contano circa 70, disperse nel mondo
cristiano, che secondo la tradizione sono state staccate dalla corona. La conservazione della corona
di spine e degli strumenti della Passione di Cristo, già nei primi secoli, è accennata nei resoconti dei
pellegrini che si recavano a Gerusalemme fin dal IV secolo. Nel 409, San Paolino da Nola la
menziona tra le reliquie della basilica del Monte Sion a Gerusalemme. Nel 570, Antonio Martire la
trova esposta alla venerazione dei fedeli nella Basilica di Sion. Intorno al 575, Cassiodoro, nel suo
Commento al Salmo LXXV, esclama: A Gerusalemme è la colonna, lì si trova la corona di spine!
Nell’ 870 è ancora a Gerusalemme che la segnalerà il monaco Bernardo. Tra i secoli VII° e X°, le
reliquie saranno progressivamente trasferite a Costantinopoli nella cappella degli imperatori
bizantini, soprattutto per metterle al sicuro dai saccheggi come quelli subiti dal Santo Sepolcro
durante le invasioni musulmane. Nel 1238, Bisanzio era governata da Baldovino di Courtenay, un
imperatore latino, che in gravi difficoltà finanziarie, decise di impegnare le reliquie presso alcuni
banchieri veneziani al fine di ottenere dei crediti. San Luigi (Luigi IX°), re di Francia, grazie alla
missione diplomatica del domenicano André de Longjumeau, riuscì a riscattare la corona di spine
presso i banchieri veneziani per l'esorbitante cifra di 135.000 lire-tornesi del tempo. Per paragone,
l'intera costruzione della Sainte-Chapelle costò 40.000 lire-tornesi! Il 10 agosto 1239, il re seguito
da una commossa moltitudine di fedeli, accolse la corona di spine insieme ad altre 21 reliquie a
Villeneuve-l’Archevêque. Il 19 agosto 1239, la processione arrivò a Parigi e il re, abbandonato
l’abbigliamento sontuoso del suo stato, dopo aver indossato una semplice tunica, a piedi scalzi ed
assistito dal fratello, portò la Santa Corona nella Basilica di Notre-Dame de Paris, prima di
depositare tutte le reliquie nella Cappella del Palazzo Reale.
San Luigi mentre porta la Santa Corona nella Cattedrale di Notre-Dame di Parigi il 19 agosto 1239.
dell'Ottocento).
(Incisione
Per garantirne la conservazione, fece poi costruire un reliquiario adatto alla loro importanza: la Sainte Chapelle.
La Sainte Chapelle
Durante la Rivoluzione francese, le reliquie furono depositate presso la Biblioteca Nazionale. Dopo
il Concordato del 1801, saranno consegnate all'arcivescovo di Parigi, che le conserverà nel tesoro
della cattedrale il 10 agosto 1806, dove sono ancora oggi.
Da allora le reliquie sono affidate ai canonici del Capitolo della Basilica Metropolitana, che hanno
l’incarico di garantire la loro venerazione, e poste alla custodia statutaria dei Cavalieri del Santo
Sepolcro di Gerusalemme.
Napoleone I e Napoleone III hanno offerto ciascuno un reliquiario, entrambi esposti nel Tesoro di
Notre Dame.
Reliquiario neo-classico di Napoleone I
Reliquiario neo-gotico di Napoleone III
L'anno 2007 ha posto queste preziose reliquie al centro dei rapporti ecumenici tra cattolici e
ortodossi: Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca ecumenico e arcivescovo di Costantinopoli e Sua
Santità il Patriarca Alessio II di Mosca e di tutte le Russie si sono recati a Parigi per venerare le
sacre reliquie.
Le reliquie sono esposte alla venerazione dei fedeli ogni primo Venerdì del mese, ogni Venerdì di
Quaresima e tutta la giornata del Venerdì Santo a partire dalle ore 10:00..
Attraverso questa pratica, i credenti sono uniti alla contemplazione del mistero pasquale che è la
fonte della fede come espressione di amore senza limiti di Cristo agli uomini e la
partecipazione alla loro sofferenza.
Esposizione della Santa Corona, in occasione di una venerazione.
Come avviene dal 1806, la Santa Corona viene presentata alla venerazione dei fedeli da un canonico della Cattedrale di
Notre Dame di Parigi, sotto la sorveglianza dei Cavalieri dell'Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Reliquia della Croce ( pezzo della Croce di Cristo, contenuto nel reliquiario in mano al Canonico)
La possibile forma della corona di spine posta in testa a Gesù, ricostruita a partire dalla reliquia della Santa corona.
A questa forma dovrebbe ispirarsi, compatibilmente con le tradizioni, il sig. Pino Gelsomino, che le confeziona per la Processione delle Varette, per
come segnalato da Antonello Zaccaria a pag 11 della sua ricerca http://www.webiamo.it/images/zibaldone/testi/Varette_zaccaria.pdf
San Luigi (Re Luigi IX di Francia) mentre venera le Sacre Reliquie nella Sainte Chapelle.
Festa del settimo centenario dell'arrivo della Santa Corona di Spine in Francia
Nel 1939, con grande partecipazione dei parigini è stato celebrato il settimo centenario dell'arrivo della Corona di Spine in Francia, sotto la presidenza
del cardinale Jean Verdier , arcivescovo di Parigi 1929-1940 (dietro i portatori delle reliquie con mitria e pastorale).
Uno dei chiodi usati per la crocefissione di Cristo (altra reliquia del Tesoro di Notre Dame)
Ma andiamo finalmente al tema della Santa Spina di Petilia Policastro.
Intanto le piante che sono considerate come quelle che con più probabilità potrebbero aver fornito i
rami per la corona di Cristo sono tre, appartenenti alla stessa famiglia delle ramnacee. Una è lo
Zizyphus Spina-Christi, ma si indica anche lo Zizyphus vulgaris (giuggiolo). Più comunemente si
indica in Europa il Paliurus aculeatus, detto anche Paliurus Spina-Christi, chiamato marruca, che ha
una doppia spina: una più lunga dritta e una uncinata, la spina cattiva (malaspina) perché secondo il
proverbio: marruca, uno attacca e uno buca.
Zizyphus Spina-Christi
Paliurus Spina-Christi (Marruca)
Nel suo libro Testimoni del Golgota (Le reliquie della passione di Gesù) Edizioni San Paolo, 2003
Michael Hasemann dimostra che Luigi IX, noto per la sua prodigalità nel regalare reliquie, abbia
offerto in dono probabilmente tutte le spine della corona, ormai composta solo da un anello di
giunco a cui un tempo i rametti con le spine erano intrecciati. Hesemann ha così spazio per ritenere
che ci siano, in giro per l'Europa, decine di vere spine provenienti da Parigi. Avverte che però non
tutte le spine esistenti sono autentiche. Per quelle per cui non è documentata la provenienza da
Parigi, "la loro origine è quanto meno dubbia".
La presenza di reliquie nelle varie località ha seguìto la logica dello zelo devozionale che le ha
moltiplicate a dismisura, provocando anche il sarcasmo degl’increduli, i quali hanno tutte le ragioni,
meno un torto: che una reliquia non vale tanto per quello che è realmente, quanto per quello
che ci trova un credente, come in qualunque mausoleo o tomba di granduomo.
Una spina viene conservata a Solesmes, un’altra a Notre-Dame-du-Puy, portata poi a SaintEtienne-en-Forez, entrambe dono di Luigi IX. Parecchie città ne conservano una, spesso trascurata
o dimenticata: Milano, Livorno, Bordeaux, Autun, Gand, Tolosa e diverse ne ha Roma. Una spina
fu donata da Maria, Regina di Scozia, al duca di Northumberleand Tommaso Percy e viene
conservata nel collegio di Stonyhurst. Un’altra fu donata al British Museum in un prezioso
reliquiario dal barone Ferdinando Rothschild.
Monsignor Giovan Battista Alfano, nella sua opera Sante Spine della Corona di Nostro Signore
Gesù Cristo, del 1932, ne ha citate 110, presenti nelle sole chiese italiane.Tra le più conosciute sono
quelle di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, che la tradizione vuole siano state donate da
Sant'Elena e le Sacre Spine di Fermo.
Nella Cattedrale di Andria, si conserva un’insigne reliquia della Sacra Spina (una spina che porta
tracce di sangue che si ravvivano nell'anno in cui il Venerdì Santo coincide con l'Annunciazione del
Signore - 25 marzo), dono alla città pugliese di Beatrice d'Angiò, figlia di Carlo II.
Il fenomeno miracoloso del sangue che si ravviva è avvenuto negli anni 1910, 1922, 1932 e 2005.
Le due Spine di Ariano Irpino, secondo la tradizione donate da Carlo D’Angiò nel sec. XIII, sono
custodite in un artistico reliquiario del sec. XIII-XVI e sono dello stesso ceppo di quella di Andria.
Stando alla Raccolta delle notizie storiche delle chiese dell’Arcidiocesi fiorentina di Luigi Santoni
(1847), Firenze ne aveva una bella collezione: tre spine si trovavano nella Chiesa di San Giuseppe,
una nella chiesa di San Iacopo tra’ Fossi, ma andata dispersa, tre in un prezioso reliquiario a San
Giovannino di Via Cavour e ben sette in Santa Maria Novella. Una spina della corona, conservata a
Bari nella Basilica di San Nicola, presenta sulla punta del sangue coagulato, che secondo la
tradizione in alcune date diventerebbe sangue vivo. Un'altra farebbe parte del tesoro conservato nel
Duomo di Cagliari in Sardegna. Un'altra è custodita nel Santuario di Pompei. Una spina è
conservata nel Museo dell'Opera del Duomo di Pisa mentre un'altra fu posta sempre a Pisa nella
chiesa di Santa Maria di Ponte Nuovo, poi diventata Chiesa della Spina, ma adesso conservata nella
chiesetta di Santa Chiara.
Chiesa della Spina (Pisa)
Una spina fu donata da San Luigi IX, re di Francia, al beato Bartolomeo di Breganze nel XII secolo.
Il vescovo Bartolomeo, nativo di Breganze in territorio vicentino, esiliato in Francia da Ezzelino da
Romano, al ritorno dall’esilio, la portò con sé a Vicenza dove, per custodirla, fece costruire
un'apposita chiesa, detta di Santa Corona. A Noto, in particolare, la processione vespertina del
Venerdì Santo è incentrata sulla “Santa Spina”, una reliquia della corona di spine portata dalla
Palestina nel 1225.
Una delle spine della Sacra Corona di Parigi è giunta a Petilia Policastro (Crotone) nel ‘500.
La spina della Corona di Cristo, donata nel 1523 dalla regina Giovanna di Valois, moglie di
Luigi XII° di Francia, al suo confessore, il cardinale Dionisio Sacco, vescovo di Reims ed
originario dell’antica Policastro (attuale Petilia Policastro) è contenuta in un astuccio con a rilievo
un'iscrizione e la corona reale.
L’astuccio è incastonato in un tabernacolo- reliquiario d’oro, decorato con dodici teste di angeli,
opera di oreficeria francese del Quattrocento.
Il cardinale Sacco, in punto di morte, la inviò tramite il nipote e confratello Ludovico Albo al suo
convento di origine: Santa Maria dei Frati di Policastro. Il santuario detto successivamente della
"Sacra Spina" oggi è molto conosciuto e la reliquia è oggetto di venerazione in tutto il Marchesato.
Il luogo è meta ininterrotta di pellegrinaggi e la sua presenza è segnalata su molte guide turisticoreligiose a tiratura nazionale. La curia vescovile di Crotone, che lo gestisce direttamente, lo ha
eletto a sede territoriale del grande Giubileo del 2000 mentre il grande soffitto, affrescato da
Cristoforo Santanna, è stato ristrutturato dalla sovrintendenza alle belle arti.
Nel 1504 la figlia minore di Luigi XI, la deforme Giovanna di Valois, che
divenne Regina e che sposò per imposizione paterna il cugino Luigi, Duca
d’Orleans, figlio di Carlo I, passato alla storia come Luigi XII, donò al suo
padre spirituale, Fra’ Dionisio Sacco di Policastro, antico sito oggi Petilia
Policastro in provincia di Crotone, “un cannellino d’oro massiccio”, che
portava come ciondolo sempre addosso e che conteneva una spina tolta dalla
corona di Gesù Cristo.
La Regina Giovanna di Valois, canonizzata da Pio XII il giorno di Pentecoste 28 Maggio 1950
Fuori del cannello d’oro vi erano apposte tre lettere sopra e tre sotto, con una piccola corona su
ogni lettera. La scritta di sopra, con la sigla “I.R.Y”, voleva dire in breve “Iesus Rex Yudeorum”,
mentre quella di sotto, con le abbreviazioni “I.R.M.”, molto probabilmente voleva significare
“Joanna Regina Monilis”, richiamando così l’appartenenza del prezioso gioiello alla Regina
Giovanna.
Mentre S. Francesco di Paola era consigliere ed angelo di conforto della Regina Giovanna di
Valois, Padre Dionisio Sacco, invece, patrizio di Policastro, ottimo predicatore dei Minori
Osservanti di S. Francesco d’Assisi, era divenuto famoso alla Corte di Francia per la sua santità e
per la sua dottrina. Oltre ad aver conseguito a Parigi la laurea in Teologia Dogmatica, era stato
anche confessore della Regina Giovanna, di S. Francesco di Paola e dei confratelli che lo avevano
accompagnato in Francia, perché chiamato alla Corte di Re Luigi XI.
Il Re Luigi XII, dopo venti anni di matrimonio, per timore di uno smembramento del Regno, aveva
ripudiato Giovanna di Valois, per sposare Anna di Bretagna di Beaujeu, vedova del Re Carlo VIII.
Così dopo il ripudio , con l’aiuto di Padre Dionisio e di S. Francesco, il “buon uomo eremita”,
come lei Lo chiamava, si ritirò a Bourges, dove piamente visse (1464-1505) e fondò l’Ordine dell’
Annunziata, divenendo suora e madre delle stesse penitenti.
Padre Dionisio Sacco aveva sempre conservato la Sacra Reliquia donatale da Giovanna di Valois,
finchè nel 1523, decise di rivedere l’Italia, andare a Loreto e poi a Roma per arrivare sino alla sua
patria in Calabria.
Così, posto a capo di una legazione per dare maggiore lustro e prestigio al suo viaggio in Italia,
gli fu affidato l’incarico di far presente al papa Leone X che la Francia non aderiva alla riforma di
Martin Lutero e che quindi era al suo fianco per la lotta contro i luterani, suggerendo altresì
l’apertura di un Concilio Generale.
Durante i preparativi del viaggio fra Dionisio pensò di donare, a suo ricordo, la sacra spina al
Convento del suo paese di Santa Maria delle Grazie, oggi detto della “S.S. Spina di Petilia
Policastro”. Accadde però che a Bologna fu assalito da una strana febbre, che lo portò alla
convinzione di una fine imminente ed al forte rammaricato di non poter più portare personalmente
il cannello d’oro al suo paese. Ma per fortuna accadde che proprio tre giorni prima di morire,
miracolosamente, andò a trovarlo un suo nipote, Padre Ludovico de Albo, policastrese e figlio di
Camillo Sacco, che aveva saputo del viaggio dello zio in Italia. Così Padre Dionisio, prima di
morire, potè dare a suo nipote la spina, raccomandandogli di farla pervenire, dopo la sua morte, ai
monaci del Convento del suo paese. La “Sacra Spina” fu pertanto consegnata ai frati di Petilia
Policastro il 24 agosto 1523.
All’arrivo della reliquia a Policastro, la chiesa fù molto cauta nell’autorizzarne la venerazione e
l'arcivescovato di Santa Severina, in epoca di piena controriforma cattolica pretese che la piccola
spina fosse sottoposta ad un vero e proprio processo giudiziario di autenticità.
E' nel clima incandescente di "Riforma Cattolica" e "Controriforma" che opera l’arcivescovo
Santoro nell'indire il processo di autenticità alla sacra reliquia. Una monografia (Cronica) scritta
dall'arcidiacono mons. Diodato Ganini da S. Severina riporta fedelmente l'iter legale del processo e
la sentenza finale che fu registrata quale atto notarile. Successivamente tale sentenza fu approvata
dal sinodo diocesano e quindi la reliquia il 2.12.1573 fu ammessa ufficialmente al culto.
A Petilia Policastro la sacra Spina fu racchiusa in una sfera d’argento con raggi solari e
posizionata tra due cristalli con un “cardilletto” in oro che non consentiva più la sua apertura.
Santuario della Santa Spina a Petilia Policastro
Santuario della Sacra Spina, il dipinto narrante la storia della Reliquia
I vetusti populus alba vicino al convento della Santa Spina.
Con l’arrivo della Spina nella Chiesa, che fu affidata al guardiano Fra’ Cola di Mauro, la frequenza
e le donazioni dei fedeli di tutto il Marchesato e della Calabria aumentarono, per cui la Chiesa
acquistò prestigio e dignità, con apporti di paramenti sacri e di “fabriche”.
Si narra che moltissimi furono i miracoli, come pure molti furono i ciechi che videro e gli ossessi
che furono liberati nel loro corpo dal maligno.
La Spina fu venerata grandemente dal popolo per la sua miracolosità e quando su quel territorio si
diffuse la peste, o vi furono periodi di siccità e di calamità varie, fu portata con grande fede e
devozione in processione dalla Comunità Ecclesiale.
La festa religiosa più importante di Petilia Policastro è quella che si svolge il secondo venerdì di
marzo di ogni anno, con la processione del Calvario al Santuario della Sacra Spina.
Si percorre il vecchio sentiero, detto, appunto via della Santa Spina, che annualmente segue la
solenne Via Crucis che da Petilia arriva al plurisecolare santuario. Questo percorso, attraverso la
contrada detta gli orti di Paternise, passa dal fiume Soleo sul ponte che porta il nome della Sacra
reliquia.
IL PELLEGRINAGGIO del secondo venerdì di marzo segue la processione detta del calvario.
All’inizio della rappresentazione ci sono 12 confratelli, componenti delle confraternite delle
congreghe di San Francesco e della Madonna del Rosario, che indossano il saio penitenziale,
color viola, e portano una corona di spine sulla testa incappucciata ed una croce di legno sulle
spalle.
Un altro confratello, impersona la figura del Cristo, con un saio color rosso vivo, con la corona di
spine in testa, coperta da un cappuccio, ed una croce molto più grande e pesante delle altre, che
porta lungo tutta la processione. La processione è accompagnata anche da altri personaggi, come i
soldati romani; uno, in particolare, segue il Cristo e periodicamente batte la catena sulla croce,
scandendo le tappe del Calvario.
I FEDELI seguono la processione con continue preghiere, litanie e canti, in un misto di italiano,
dialetto e latino. La processione del Secondo Venerdì di Marzo alla Santa Spina è una di quelle
classiche manifestazioni religiose che, col tempo, hanno assunto un’importanza tale da
caratterizzare il vissuto della intera popolazione. La partecipazione a questo evento, è, infatti, così
sentita da travalicare quelli che sono i meri confini religiosi, per divenire una manifestazione
popolare, nel senso più vero del termine. Ogni abitante di Petilia ha nel suo personale bagaglio di
ricordi, uno spazio dedicato alla Santa Spina, da sempre punto di riferimento in ogni occasione di
difficoltà o bisogno. L’insolubile legame tra il paese e il Santuario e la Sacra Reliquia che ospita è
il presupposto necessario da cui si deve partire per poter comprendere pienamente questo evento in
tutte le sue sfumature.
QUELLA DELLA PROCESSIONE del secondo venerdì di marzo è parte integrante della storia
di Petilia Policastro, storia che si ripete da ormai cinque secoli, da quando, cioè, la Sacra Spina
venne in dono dalla Francia. L’arrivo della Reliquia, che poi ha dato nome al Santuario, ha portato
con se nuove pagine di storia, che continuano a scriversi ancora oggi, quando si ripete l’esperienza
collettiva del Calvario.
QUESTA RAPPRESENTAZIONE della Passione di Cristo è una miscellanea di suoni, spazi e
colori che seguono i dettami del cerimoniale sacro, con delle incursioni nel folclorismo religioso,
affidate a gesti che hanno l’inconfondibile sapore del passato. Questi gesti non disdegnano la
sofferenza corporale, che diventa quasi una sorta di compartecipazione visiva ed emotiva alla
vicenda terminale della vita del Cristo.
A ricordare che si tratta di un percorso penitenziale, anche le testimonianze di fede di molti, che
affrontano il tradizionale sentiero della “strada della Santa Spina” a piedi scalzi, taluni addirittura,
nell’ultimo tratto, in ginocchio, per una grazia invocata o ricevuta. Si tratta di “gesti forti”, che
per gli studiosi sono, appunto, la testimonianze di una devozione particolare ed esprimono
simbolicamente il desiderio di unirsi al Cristo che soffre.
LE SUGGESTIONI della Processione iniziano già dalla partenza, dalla chiesa di San Francesco,
con il classico passaggio sotto l’arco della chiesa Matrice, catturato da splendide foto che sono
diventate tra le icone più significative della manifestazione. Proseguendo per le strade del paese, la
processione si snoda raggiungendo in breve il Rione Chiatri e, subito dopo, Paternise, da dove
inizia il percorso tradizionale che porta al “Sacro Monte”. In questo primo tratto, le strade sono
moderne, ma le difficoltà e la fatica non mancano; spesso, però, queste sono superate dalla visione
del Santuario, che si staglia all’orizzonte, per buona parte del tracciato, quasi a voler indicare ai
novelli pellegrini, la meta da raggiungere, quale premio per i sacrifici fatti. Finito questo primo
tratto, così come avviene in molte altre realtà in cui ci sono simili rappresentazioni, il Calvario
chiude dall’esterno il paese, e rappresenta una sorta di barriera che impedisce alle forze ostili di
minacciarlo. Dopo aver affrontato il tratturo del sentiero tradizionale, si giunge, oltrepassando il
ponte della Santa Spina - splendida opera che reca lo stesso ostensorio del Santuario - finalmente
alla meta, stanchi ma nel contempo felici per aver potuto rinnovare questa esperienza di fede e di
vita.
OLTRE CHE I GESTI E GLI SPAZI, di cui si è parlato, molta importanza assumono anche i
suoni della processione. Il Calvario, infatti, è accompagnato incessantemente dai canti dei fedeli e
da tipiche nenie muliebri. Anche queste hanno una forte espressività del dolore ed hanno la
funzione di trasportare i pellegrini dal mondo reale ad un mondo intriso di sacralità, vivendo
questa esperienza in modo diretto. I canti devozionali - con la loro polivocalità e l’univoco
coinvolgimento - sono anche momenti socializzanti, finendo per diventare vere e proprie preghiere.
Le voci sono sforzate, quasi gridate, con una dilatazione sonora del testo e con una crescente
tensione emotiva. Nelle nenie, poi, trova spazio un mix di termini dialettali e di locuzione latine,
che, però, vengono reinterpretate secondo canoni popolari
CHI RIESCE A VIVERE LA PROCESSIONE del secondo Venerdì di marzo della Santa Spina,
riesce a cogliere il battito della storia, di questi cinque secoli che sono trascorsi dall’arrivo della
Reliquia al Santuario, nella consapevolezza di esserne protagonista e non semplice spettatore.
All’aspetto religioso, però, si unisce anche quello più ludico, soprattutto dei giovani, che terminano
la loro escursione alla santa Spina consumando un pasto, tutt’altro che frugale, annaffiato con
abbondanti sorsi di vino, nei boschetti di querce site nei pressi del santuario.
DOPO L’ARRIVO AL SANTUARIO e la celebrazione della Messa Solenne, le celebrazioni
continuano con l’esposizione della Reliquia, che, dopo la tappa nella cappelletta dell’Oratorio,
termina con la tradizionale benedizione del paese. Alla Sacra Spina la popolazione invocava la
protezione del paese, soprattutto in occasione delle calamità naturali, che hanno spesso colpito il
territorio. E le mura del santuario, sono intrise di storia e tradizioni, tramandate da generazioni, dei
prodigi che la Reliquia ha fatto nel corso dei secoli.
Giovedì Santo 5 aprile 2012
Dante Perri
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LA SACRA SPINA DI PETILIA POLICASTRO