Att. Fisica copert 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 9:52 Pagina A Public Health & Health Policy “an informed health policy on chronic diseases” Italian barometer of diabetes and physical activity a cura di Pierpaolo De Feo e Cristina Fatone ITALIAN WELLNESS Alliance Att. Fisica copert 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 9:52 Pagina B Public Health & Health Policy “an informed health policy on chronic diseases” Scientific Editor: Consorzio Mario Negri Sud Via Nazionale, 8/A 66030 Santa Maria Imbaro, (Chieti) - Italy Tel.: +39 0872 5701 Fax: +39 0872 570416 [email protected] Editors-in-Chief: Prof. Giovanni Tognoni, Director of the Consorzio Mario Negri Sud - [email protected] Dr. Antonio Nicolucci - Head of Department of Clinical Pharmacology and Epidemiology, Consorzio Mario Negri Sud [email protected] Objectives: • to inform on the public health relevance of chronic diseases • to provide space for commentary and debate on institutional decisions • to collect available information on the clinical, organizational, human and economical costs of chronic diseases and provide sound and comprehensive data to guide decisions. Target readership: The major challenge of this editorial initiative is to promote a cross-sector dialogue and debate, and provide a platform of information shared by all the stakeholders involved in the care of chronic diseases: Politicians, Policy makers, Key Decision Makers, Payers, Health Managers, Physicians, Industry, Health Trade Unions, Scientific Societies, Health Economists, Pharmacists. To this purpose, the initiative will be conducted with the contribution of a scientific board including representatives of all the sectors involved. CONSORZIO MARIO NEGRI SUD The CMNS was founded in 1987 as a consortium between the Mario Negri Institute in Milan and the Chieti Province authority, later joined by the Abruzzo Region authority. Scientific activities operatively began on September 1st 1987. Since then CMNS has given a significant contribution to the advancement of research aimed at the prevention and cure of human diseases. Based on a core of senior staff of around 80 scientists, the CMNS is also dedicated to training of predoctoral and postdoctoral fellows, including an International PhD Programme. Research at the CMNS covers three main areas of interest: Basic morpho-functional and molecular studies of the organisation of the cell, as applied to the treatment of human disease. Clinical epidemiology, as applied to diabetes, cardiovascular disease, cancer, other chronic diseases, and cognitive and behavioural disturbances in the elderly. Health services research. Analytical methodologies for comprehensive environmental monitoring. CMNS provides a favourable and productive environment to its staff, students, and visiting scientists for the development of a critical mass for scientific research. Scientists are supported by Core Facilities that provide centralized expertise and state-of the-art technologies for several activities. The Institute also offers a PhD programme in Biomedical science and medicine in cooperation with the British Open University. There are currently 14 PhD students at CMNS and many more have successfully completed their post-graduate studies. The PhD programme has enhanced the International atmosphere and outreach of the CMNS through the recruitment of talented and promising students also from abroad and by promoting interactions and collaboration with international research groups. www.negrisud.it Att. Fisica copert 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 9:52 Pagina C Att. Fisica copert 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 9:52 Pagina D This monograph was printed thanks to the unconditional support of Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 1 Italian barometer of diabetes and physical activity a cura di Pierpaolo De Feo e Cristina Fatone Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 2 Pierpaolo De Feo nasce ad Avellino il 9 Luglio, 1955. Si Laurea in Medicina e Chirurgia il 27 Luglio,1979 presso l’Università di Perugia e si specializza in Medicina Interna presso lo stesso Ateneo e in Diabetologia e Malattie Metaboliche presso l’Università di Genova. Dal Settembre 1989 al Dicembre 1990 è Fogarty Fellow nei Laboratori di Ricerca della Endocrine Research Unit, Mayo Clinic, Rochester, MN (USA) and Nemours Children's Clinic, Jacksonville, FL (USA). Professore Associato di Endocrinologia presso il Dipartimento di Medicina Interna, Università di Perugia, è Direttore del Centro Universitario Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria (C.U.R.I.A.MO.) dell’Università di Perugia. Il Prof De Feo è autore di oltre 150 pubblicazioni su riviste internazionali in tema di endocrinologia e metabolismo che hanno ricevuto circa 2000 citazioni. La sua attività di ricerca è stata finalizzata anche al ruolo dell’attività fisica per la terapia e la prevenzione del diabete mellito e dell’obesità. Egli stesso è un attivo praticante ed ha conseguito buoni risultati a livello amatoriale nella maratona (personale 2 h e 42 minuti) e nel ciclismo. Per i suoi lavori il Prof. Pierpaolo De Feo ha ricevuto diversi riconoscimenti nazionali ed internazionali, tra cui la Fogarty Fellowship ed il Premio SID 1995 della Società Italiana di Diabetologia. Attualmente, è Presidente della Italian Wellness Alliance che promuove il miglioramento degli stili di vita per la prevenzione delle malattie non trasmissibili (diabete, malattia cardiovascolari, cancro e patologie respiratorie croniche). 2 Cristina Fatone nasce a Gravedona (CO) il 27 Novembre, 1975. Ottiene il Diploma Universitario in “Dietologia e Dietetica Applicata” a ottobre del 1997, presso il Dipartimento di Medicina Interna, Sezione di Medicina Interna Scienze Endocrine e Metaboliche dell’ Università degli Studi di Perugia; laureatasi in “Medicina e Chirurgia” il 23 luglio 2003, si specializza a pieni voti presso lo stesso Dipartimento, in “Endocrinologia e Malattie del Ricambio”, discutendo una tesi dal titolo “Studio dell’espressione genica muscolare, in soggetti sani e con diabete, in risposta all’esercizio fisico, con aspirato muscolare con ago sottile”. E’ impegnata fin dai primi anni dei suoi studi nella promozione e diffusione dell’uso dello “Stile di Vita” come efficace mezzo preventivo e terapeutico delle più comuni malattie metaboliche ed è co-autrice di dievrsi lavori sul tema “Attività fisica e Malattie Metaboliche”. E’ attualmente Dottoranda di ricerca in “Bioscienze, Biotecnologie e Biomateriali nelle Malattie Vascolari e Endocrinometaboliche”, presso il C.U.R.I.A.MO. dell’Università di Perugia, ove svolge quotidianamente attività ambulatoriale e di ricerca clinica, avviando persone obese e con diabete ad un percorso di rieducazione motoria e nutrizionale. E’ inoltre impegnata nello studio degli effetti dell’esercizio fisico sul muscolo scheletrico, quale principale mediatore ed effettore dei suoi benefici, valutando i meccanismi molecolari coinvolti nella risposta adattativa delle cellule muscolari allo stimolo dell’esercizio fisico. Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 3 Indice Prefazioni 5 Premessa 14 1. Emergenza Diabesità 15 Diabesità: una pandemia globale - Cristina Fatone Il diabete e l'obesità: dati epidemiologici italiani e internazionali - Antonio Nicolucci Diabesità nel bambino - Danilo Fintini, Marco Cappa Diabesità nell'anziano - Raffaele Marfella, Giuseppe Paolisso Il Peso economico della diabesità - Graziella Bruno 16 18 20 23 26 2. Da Elliot Proctor Joslin ai giorni nostri: l’importanza dell’attività motoria e della gestione multidisciplinare del diabete - Pierpaolo De Feo, Cristina Fatone 29 La Triade Terapeutica: ”Attività Motoria, Alimentazione e Farmaci” a) Il ruolo dell'attività motoria Attività fisica: l’importanza clinica e sociale della sedentarietà e del movimento I livelli di attività fisica nella popolazione italiana - Cristina Fatone Il ruolo dell'attività fisica - Cristina Fatone L'attività fisica come modulatore metabolico - Vilberto Stocchi L'attività fisica e la qualità della vita - Antonio Nicolucci 32 33 36 38 41 L'esercizio fisico supervisionato e strutturato L'esercizio fisico come strumento di prevenzione - Pierpaolo De Feo L'esercizio fisico come strumento di terapia - Pierpaolo De Feo Lo studio italiano IDES: Italian Diabetes and Exercise Study - Stefano Balducci 43 46 48 Un nuovo approccio organizzativo assistenziale: ll team multidisciplinare a supporto del Centro Diabetologico Il ruolo dello specialista in Medicina dello Sport - Maurizio Casasco Il ruolo del laureato in scienze motorie - Vilberto Stocchi Il ruolo dell'infermiere - Angela Ghidelli Il ruolo dell’intervento psicologico nell’obesità e nel diabete di tipo II Claudia Mazzeschi, Chiara Pazzagli, Loredana Laghezza e Dalila Battistini 54 57 59 62 L'educazione terapeutica e la motivazione L'educazione terapeutica nella gestione del diabete e dell'obesità - Aldo Maldonato Il Counseling individuale - Dalila Battistini Il Counseling di gruppo - Marina Trento L'autobiografia narrativa per la motivazione al cambiamento - Natalia Piana 67 69 71 74 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 4 Modelli avanzati per l'uso dell'esercizio fisico in diabetologia Il C.U.R.I.A.MO. Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria - Pierpaolo De Feo Il CRAMD. Centro Studi e Ricerche per l’Attività Motoria nel Diabete - Maurizio Di Mauro 77 81 L'attività sportiva Il ruolo dell'attività sportiva - Marcello Faina Sport e diabete: L'esperienza italiana e l'ANIAD - Gerardo Corigliano 83 85 b) Il ruolo dell'Educazione Alimentare L'alimentazione nella cura del diabete - Angela Rivellese L'alimentazione nella cura dell'obesità - Daniela Capezzali, Chiara Perrone 89 92 c) Il ruolo della Terapia Farmacologica Inerzia terapeutica e memoria metabolica - Domenico Cucinotta Nuovi farmaci - Giuseppe Daniele, Stefano Del Prato Ipoglicemie e qualità della vita - Antonio Nicolucci 96 98 100 3. Le Strategie Istituzionali e le Iniziative Italiane Le strategie europee - Pierpaolo De Feo, Cristina Fatone Le strategie del Ministero della Salute - Paola Pisanti 104 107 I Progetti in Italia: ”La salute cammina in città” - Silvano Zanuso “Città per camminare” - Maurizio Damilano “Un passo dopo l’altro... ...da un mare all’altro” - Pierpaolo De Feo Conclusioni 4 109 111 113 117 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 5 Prefazioni Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 6 Antonio Tomassini Senatore, Presidente della XII Commissione Igiene e Sanità del Senato Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito, in particolare nel mondo occidentale, ad un progressivo cambiamento del quadro socio-sanitario soprattutto per le aumentate aspettative di vita e per il supporto che a questa aspettativa si deve offrire. I Sistemi Sanitari Nazionali infatti tendono molto di più che nel passato a programmare azioni di prevenzione che favoriscano un processo coordinato di cura e di attenzione alla salute dei cittadini. Il “Barometer” inteso come sistema di misurazione del fenomeno-diabete, non solo in termini di patologia ma anche di prevenzione, si inquadra senz’altro in questo nuovo approccio culturale ed operativo che anche il Piano Sanitario Nazionale 2011/2013 ha adeguatamente sancito. Inoltre, il fatto che il progetto “Barometer” sia nato a seguito delle raccomandazioni espresse a tutti i Paesi nella Risoluzione delle Nazioni Unite sul diabete del dicembre 2006 e che sia stato presentato nel primo “Changing Diabetes Leadership Forum” tenutosi a New York nel marzo 2007 alla presenza di 20 delegazioni di altrettanti Paesi, ne aumenta il valore soprattutto in termini di impegno “del fare” piuttosto che “del dire”. Il “Barometer” quindi si pone come catalizzatore di conoscenze ma anche come promotore di soluzioni per arginare la pandemia del diabete, sia dal punto di vista dei cittadini generando informazione sui corretti stili di vita, sia dal punto di vista delle istituzioni sollecitando la collaborazione di più attori. Tale iniziativa si inquadra perfettamente nel progetto “Guadagnare Salute”, promosso dal Ministero della Salute, che ha come obiettivo la maggiore diffusione possibile di scelte di vita salutari, incentivando soprattutto l’attività motoria e la sana alimentazione. Si tratta di un intervento intersettoriale teso a coinvolgere tutti i “protagonisti” di quella filiera complessa che è il “sistema salute” per raggiungere obiettivi ambiziosi: 6 migliorare la qualità della vita, diminuire il numero delle cronicità e trasferire il conseguente risparmio dei costi dalla cura alla prevenzione. Desidero quindi compiacermi di questa iniziativa del “Barometer” che ben si inquadra in questa nuova filosofia, che come Istituzioni condividiamo e supportiamo, vale a dire di privilegiare quei progetti che mettono in primo piano non più il paziente ma la persona, con le sue aspettative e le sue necessità. Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 7 Ignazio Marino Senatore, Presidente della Commissione di Inchiesta sull’efficacia e l'efficienza del Sistema Sanitario Nazionale I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) mostrano come lo stile di vita sedentario può rientrare tra le prime dieci cause di mortalità e inabilità nel mondo. Numerose evidenze scientifiche oggi dimostrano in maniera chiara gli effetti benefici sulla salute prodotti da un’attività fisica anche solo moderata ma svolta regolarmente. Complessivamente l’OMS stima che gli stili di vita non salutari spieghino quasi il 50% delle malattie negli uomini e quasi il 25% nelle donne, nei paesi europei più sviluppati. A livello mondiale, l’OMS calcola che circa il 58% del diabete mellito, il 21% delle malattie coronariche e quote tra l’8 e il 42% di certi tipi di cancro sono attribuibili a un indice di massa corporea superiore a 21. Il ruolo dell’esercizio fisico è dimostrato principalmente nei confronti delle patologie cardiovascolari, delle malattie metaboliche come il diabete, delle malattie osteoarticolari e in particolare dell'osteoporosi, ma ha un forte impatto anche sull’ipertensione e sul rischio di cancro. Sempre l’OMS stima che l’inattività fisica e cattivi stili di vita causino 1,9 milioni di decessi e 19 milioni di DALY (disability-adjusted life year) nel mondo. Essa contribuisce in particolare al 10-16% dei casi di tumore del seno, del colon-retto e del diabete mellito di tipo II, e circa il 22% della malattia ischemica. Ma soprattutto, l’esercizio fisico è il primo presidio terapeutico nella lotta all’obesità, vera pandemia moderna. Non bisogna pensare a una pratica intensa dell’esercizio fisico per ottenere benefici: infatti si può avere un miglioramento del proprio stato di salute anche facendo nel corso della giornata brevi periodi di attività fisica moderata e piccoli gesti quotidiani per combattere la sedentarietà indotta dalla vita e dalla tecnologia moderna. Il semplice camminare ad andatura spedita per 30-60 minuti al giorno per più giorni alla settimana si associa in maniera significativa alla riduzione dell’incidenza di mortalità per malattie cardiovascolari. L’attività fisica, inoltre, aiuta a controllare il peso e riduce lo stress, l’ansia e il senso di depressione, promuovendo un concetto moderno di benessere. Negli Stati Uniti, dove l’obesità sta diventando una vera piaga sociale ed economica, il Piano Sanitario Nazionale “Healthy People 2010” individua l’incremento dell’attività fisica come uno dei principali obiettivi di salute per il Paese, definendo in maniera chiara i programmi per incentivare la pratica dell’esercizio in tutte le fasi della vita (solo il 25% degli adulti pratica attività fisica secondo i livelli minimi raccomandati, cioè 30 minuti di attività moderata almeno 5 giorni/settimana oppure 20 minuti di attività intensa 3 o più volte alla settimana). E il diabete è una delle patologie per cui vi è maggiore evidenza di dati politici, economici e clinici sui benefici dell’attività motoria nella lotta a quello che comunemente si usa definire "diabesità", dalla sintesi delle correlazioni pandemiche di diabete e obesità. L’enunciazione dell'OMS nell’atto costitutivo del 1948, “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattie e di infermità”, appare quanto mai attuale e diventa oggi un preciso impegno sul quale lavorare concretamente per l’individuazione di strategie politiche, sociali e sanitarie. Oggi l’impegno delle Istituzioni deve andare in questa direzione, favorendo non solo terapie farmacologiche innovative efficaci nella cura del diabete, ma anche strategie per promuovere una reale prevenzione primaria attraverso stili di vita salutari. 7 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 8 Emanuela Baio Senatore, Segretario della Presidenza del Senato Presidente Comitato Nazionale per i diritti della persona con diabete Investire nella prevenzione e nel controllo delle malattie croniche potrebbe migliorare la qualità della vita e il benessere sia a livello individuale che sociale. I dati oggi a disposizione danno evidenza come nella sola Regione Europea dell’Oms, almeno l’86% dei decessi e il 77% del carico di malattia sono dovuti a questo vasto gruppo di patologie, accomunate da fattori di rischio, determinanti di salute e opportunità di intervento. Una migliore condivisione dei benefici ottenuti grazie a interventi efficaci avrebbe un impatto significativo, in termini di salute e di bilancio, per tutti gli Stati membri. Come decisori politici siamo consapevoli che migliorare la salute delle persone è un obiettivo raggiungibile. Agendo globalmente sui principali fattori di rischio si può già ridurre grossa parte del carico di morti premature, malattie e disabilità che grava sulle Nazioni. Investendo nella prevenzione e migliorando il controllo delle malattie croniche si potrebbe migliorare la qualità della vita e il benessere, a livello sia individuale che globale. Visto il forte impatto sociale associato alla morbilità e alla mortalità prematura delle malattie croniche, si potrebbero condividere meglio i vantaggi degli interventi efficaci e apportare un guadagno a tutti i Paesi, in termini sia economici che di salute. Bisogna allora attuare strategie concrete contro le malattie croniche proponendo un approccio globale e integrato per affrontarle nel loro complesso. L’impegno delle Istituzioni deve essere quello di promuove a livello di popolazione programmi di promozione della salute e prevenzione delle malattie, promuovere scelte di vita salutari, individuando i gruppi ad alto rischio e ottimizzando la copertura della popolazione in termini di cure efficaci, consentendo così l’integrazione di politiche di intervento e azioni in modo da ridurre al minimo le disuguaglianze. Il traguardo finale di questa strategia è evitare le morti premature e ridurre in modo significativo il carico di 8 malattia, migliorando la qualità della vita e rendendo più omogenee le aspettative di vita. I messaggi chiave che debbono guidare l’azione politica debbono essere: • la prevenzione è efficace quanto più è duratura e va considerata un vero e proprio investimento in salute e sviluppo • la società dovrebbe offrire un contesto ambientale che faciliti le scelte più salutari • i servizi sanitari dovrebbero adattarsi a questo obiettivo, affrontando l’attuale carico di malattia e aumentando le opportunità di promozione della salute • le persone dovrebbero essere messe nelle condizioni di promuovere la propria salute, di interagire con i servizi sanitari ed essere parte attiva della gestione delle malattie • per garantire il diritto alla salute è fondamentale che tutti abbiano accesso alla promozione della salute, alla prevenzione delle malattie e ai servizi sanitari • a qualsiasi livello, i governi hanno la responsabilità di proporre politiche di intervento all’insegna della salute e di assicurare un’azione integrata in tutti i settori. Il carico umano, sociale ed economico delle Non Communicable Diseases deve essere affrontato in maniera sinergica e decisa dai Governi di tutto il mondo, impegno questo preso nel recente Summit delle Nazioni Unite del 19 e 20 Settembre, al quale ho avuto l’onore di prendere parte quale rappresentante del Senato Italiano. Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 9 Renato Lauro Rettore dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Presidente dell’Italian Barometer Diabetes Observatory L’obesità e diabete rappresentano, per l’Italia e l’Europa, un problema di salute particolarmente preoccupante per la rapidità della progressione del fenomeno che, nell’arco di due decadi, si è triplicato. E’ reale il definire l’obesità e il diabete, comunemente oggi ribattezzate con il temine “Diabesità” come una pandemia globale. I dati oggi in nostro possesso ci indicano che in Italia, 45 abitanti su 10 soffrono di sovrappeso o sono obesi, con tassi più elevati nelle regioni meridionali e con una tendenza all’aumento negli ultimi anni e questo fenomeno non risparmia i bambini. Tutto questo ha una forte incidenza sul numero di persone, adulti e bambini, che nei prossimi anni svilupperanno il diabete di tipo 2. Le conseguenze per gli individui e la società sono serie in termini di riduzione sia dell’aspettativa sia della qualità della vita, con notevoli ricadute anche economiche, questo soprattutto dovuto alle complicanze che la persona con diabete può sviluppare. Questi sono dati di fatto che devono fare riflettere e, soprattutto, agire con urgenza. Un altro aspetto sul quale soffermarsi è caratterizzato da due equilibri fondamentali: l’equilibrio tra un’alimentazione sana e livelli adeguati di attività fisica e quello tra responsabilità individuale nei confronti della salute, scelte dettate da informazione ed educazione corrette e basate sull’evidenza scientifica, nel rispetto, ove possibile, dei contesti culturali delle varie entità regionali, e responsabilità dei governi e delle istituzioni nazionali, regionali e locali nel creare e promuovere ambienti e contesti favorevoli a scelte salutari. In questo un compito fondamentale è rappresentato dalla comunità scientifica, che deve poter adottare strategie mirate basate su linee guida condivise e percorsi cognitivi e formativi valicati. In campo nutrizionale è necessario diffondere informa- zioni chiare e corrette, per raggiungere un livello di piena consapevolezza e responsabilità del consumatore, evitando confusione e disorientamento nella popolazione. L’adozione di un corretto stile di vita non può essere imposto per legge. L’educazione alimentare e l’autoregolamentazione sulla base di stringenti codici etici di comportamento da parte dell’industria alimentare in accordo con le istituzioni governative, restano gli strumenti di gran lunga più efficaci. Una precisa fotografia del diabete in Italia non può prescindere da una analisi delle complicanze croniche tardive della malattia che, in un epoca in cui è ormai raro il decesso per cause acute, ne rappresentano il vero, principale, costo umano ed economico. In Italia la cura per il diabete assorbe il 6,65% della spesa sanitaria complessiva, con un costo per paziente che è più del doppio della media nazionale. E allora è necessario lavorare su indicatori che misurino la qualità dell’assistenza diabetologica e i risultati anno dopo anno raggiunti. L’Italian Barometer Diabetes Observatory vuole promuovere questa nuova cultura in Italia nella lotta al diabete. Lavorare su indicatori relativi allo stile di vita, appare necessario e importante, per questo il Barometro sullo stile di vita, appare uno strumento importante nei percorsi di prevenzione da adottare da parte di tutta la comunità scientifica e i decisori politici. 9 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 10 Umberto Valentini Presidente Diabete Italia Le linee guida internazionali e gli standard di cura italiani per la cura del diabete, riconoscono nell'attività fisica un ruolo cardine nella prevenzione e nella cura del diabete. Tuttavia portare la persona con diabete a svolgere regolarmente un'attività fisica tale da incidere positivamente sull'evoluzione della malattia è difficile. I motivi sono essenzialmente due: una scarsa formazione degli operatori sanitari ( mancanza di conoscenza e competenza) e la motivazione delle persone con diabete a seguire le prescrizioni. La terapia "attività fisica" viene spesso "dimenticata" dagli operatori sanitari e spesso prescritta in modo superficiale ( si muova di più) e con scarsa convinzione. Per rispondere a queste criticità, Diabete Italia intende sostenere e diffondere tutte le iniziative che promuovano un corretto stile di vita e in particolare una regolare attività motoria strumento essenziale ed efficace nella prevenzione del diabete e nel miglioramento della salute delle persone. E' con piacere quindi che vedo la pubblicazione del secondo "Barometro su diabete e attività fisica in Italia", convinto che possa essere uno strumento utile alla formazione dei diabetologi e degli operatori sanitari che si occupano della cura alle persone con diabete ed essere un documento di riferimento per le Istituzioni. 10 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 11 Carlo B. Giorda Presidente nazionale dell’Associazione Medici Diabetologi L’attività fisica di per sé, indipendentemente dal calo ponderale, riduce sensibilmente il rischio cardiovascolare. Se poi, unitamente a una corretta educazione alimentare, induce perdita di peso, si rivela uno dei più efficaci interventi terapeutici possibili, soprattutto nei soggetti sovrappeso e nel diabete. 4 o 5 chilogrammi di peso persi riducono la mortalità totale del 20%, risultato superiore a quello che si può ottenere con molti interventi farmacologici. Come Presidente dell’Associazione Medici Diabetologi, società scientifica di diabetologi clinici che molto investe nell’educazione terapeutica per promuovere l’attività fisica, è per me naturale spendere una parola d’elogio per la linea tracciata da questa pubblicazione che fa del movimento e della corretta alimentazione i cardini principali della terapia del diabete. Tuttavia, viviamo ancora in un epoca in cui in Sanità è molto più facile farsi apprezzare se si interviene in situazioni d’emergenza con apparecchiature tecnologiche costose per cui, la grande sfida che ci attende, è riuscire a convincere chi amministra e dirige di quanto questi interventi siano efficaci e richiedano organizzazione e risorse umane. Un testo come questo, scritto da un esperto come l’amico De Feo, dove vengono accuratamente descritti e sostanziati scientificamente i punti di forza dell’intervento basato sull’attività motoria e sullo stile di vita, senza contrapporsi al farmaco, può dare un grande contributo in questo senso. 11 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 12 Gabriele Riccardi Presidente SID (Società Italiana di Diabetologia) 2010-2012 L’attività della SID è finalizzata alla prevenzione e alla cura del diabete e delle sue complicanze e pertanto è indirizzata sia alle persone con diabete sia a coloro che presentano un aumentato rischio di ammalare di diabete. Per questi motivi la SID è stata sempre impegnata nel promuovere l’uso ottimale dell’esercizio fisico per la cura e la prevenzione del diabete. La SID ha promosso la crescita del gruppo interassociativo SID-AMD sull’attività fisica, ha siglato un accordo con la Federazione Medico Sportiva Italiana per iniziative di attività didattica e di collaborazione assistenziale tra diabetologi e medici dello sport e nei suoi Congressi Nazionali e nella rivista il Diabete dedica ampio spazio all’aggiornamento sull'importanza delle modifiche dello stile di vita. Dalla collaborazione AMD-SID è nata la nuova edizione aggiornata degli Standard di Cura, importante opera editoriale rivolta al medico e agli altri operatori sanitari impegnati nell’assistenza alle persone con diabete in cui viene sottolineato il ruolo della modifica dello stile di vita (dieta e esercizio fisico) quale primo strumento per la terapia e la prevenzione del diabete da implementare anche in presenza di terapia farmacologica. L’edizione 2011 del Barometro su Diabete e Attività Fisica, rappresenta un utile strumento di diffusione dell’uso dell’esercizio fisico per la prevenzione e la cura del diabete e l’auspicio della SID è che questo volume possa aumentare l’attenzione dei responsabili della gestione delle politiche sanitarie nazionali e regionali su questa spesso sottoutilizzata ma eccellente risorsa. 12 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 13 Lorenzo Mastromonaco Vice President di Novo Nordisk Europe Riscaldamento globale, obesità, terrorismo, povertà, disordini politici, malaria e HIV/AIDS. Le minacce al mondo sono numerose. Essenzialmente si tratta di minacce globali; alcune sono collegate fra loro e non rispettano i confini delle nazioni. Il diabete è stato per lungo tempo un membro silenzioso di tale gruppo. Ma il 20 Dicembre 2006 le Nazioni Unite hanno adottato una Risoluzione storica che riconosce il diabete quale seria minaccia a livello mondiale e spinge tutte le nazioni a fornire cure per il diabete e a migliorarle. Il diabete potrebbe divenire la peggiore pandemia del 21° secolo e noi non avremo scuse se non cambiamo ora il corso della storia. Sappiamo che tra i nostri figli ed i giovani di tutto il mondo si sta sempre più diffondendo l’obesità e che il sovrappeso aumenta il rischio di diabete di tipo 2. Sappiamo che si tratta di un problema che ricade in maniera sproporzionata sui più poveri e che stiamo correndo il rischio di tirare su la prima generazione di ragazzi che vivrà meno dei propri genitori. Sappiamo che entro il 2025 circa 450 milioni di persone nel mondo avranno il diabete e che molti di loro saranno allora nel loro periodo di vita più produttivo. Sappiamo che si tratta di una bomba ad orologeria che minaccia il benessere delle persone ed i sistemi sanitari di tutte le nazioni del mondo. Alla luce di questa conoscenza è obbligatorio agire. Stiamo entrando in un’era di interdipendenza globale. Che lo vogliamo o no non possiamo sfuggire l’uno all’altro. Questo ci conduce ad una responsabilità condivisa. La sfida è trasformare questa responsabilità in un movimento effettivo per cambiare il diabete. Ecco perché bisogna che i politici, i rappresentanti dei governi, i professionisti del sistema sanitario, le persone con il diabete ed i loro familiarii e tutte le componenti pubbliche e private interessate al problema devono lavorare assieme. Insieme, dobbiamo trovare le modalità per fronteggiare la malattia agli stadi iniziali. Prevenire è meglio che curare e curare prima è molto meglio che curare dopo. Quindi dobbiamo promuovere consapevolezza nell’opinione pubblica e rendere possibili la diagnosi preventiva e gli schemi di intervento precoce. E’ inaccettabile che la negazione del problema, la mancanza di coordinamento ed il taglio dei costi siano di ostacolo ad una cura migliore. Una delle aree dove bisogna impegnarsi per facilitare il cambiamento, è quella della trasparenza dell’assistenza sanitaria. Nel business, uno dei principi è che ciò che puoi misurare puoi gestire. Noi crediamo che questo principio possa essere applicato anche alla sanità. Quindi promoviamo la misurabilità quale strumento per guidare l’azione e promuovere il cambiamento nel diabete. E siccome sappiamo quanto importante sia concentrarsi su ciò che dà risultati per i pazienti, ci siamo impegnati a misurare la natura del trattamento del diabete ora disponibile ed il risultato del trattamento a livello di singolo paziente. E una parte dell’impegno sarà implementare a livello internazionale il “Changing Diabetes Barometer”. Un barometro che deve essere realizzato tramite partnerships e che contribuirà a fissare le priorità ed i target per i piani d’azione a livello nazionale. Questo non solo nel campo dei target glicemici e metabolici, ma andando ad analizzare le effettive barriere che esistono oggi al raggiungimento di una condizione diabetica ottimale. Studiare ad esempio come l’attività motoria se non attuata correttamente, o peggio ancora la sedentarietà può annullare completamente i benefici che potrebbero derivare da un appropriato piano terapeutico. Per dimostrare che il percorso attuale può effettivamente essere cambiato, e per ispirare l’azione, bisogna sostenere piani per il diabete a livello nazionale in favore dei giovani ed attraverso progetti concreti aiutiamo gli insegnanti ed i genitori a combattere il diabete nelle scuole e nelle case in tutto il mondo, attraverso l’adozione di stili di vita appropriati. Migliorare la qualità di vita delle persone con diabete e prevenire attraverso un corretto stile di vita è un obiettivo reale su cui bisogna impegnarsi. L’attività motoria in questo senso è una condizione importante sulla quale puntare in maniera decisa. Ormai evidenze sociali e cliniche dimostrano in maniera chiara come l’attività motoria, la diagnosi e il trattamento precoce sono un punto cardine nel successo di qualunque piano terapeutico e per fare questo bisogna sempre di più agire trovando sinergie politiche e sanitarie. Siamo consapevoli della sfida e non possiamo permetterci di fallire. La buona notizia è che sappiamo anche come è fatta una buona cura del diabete e su come si può cercare di mettere un argine a questa moderna pandemia. Abbiamo parlato molto. Ora agiamo. 13 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 14 Premessa La seconda edizione del “Barometro su diabete e attività fisica in Italia” viene pubblicata a distanza di quattro anni dalla prima edizione in italiano ed in inglese del 2007. L’obiettivo principale della prima pubblicazione di questo documento era fornire un aggiornamento sullo stato dell’arte dell’uso dell’attività motoria e dell’esercizio fisico come strumento di prevenzione e cura del diabete nel nostro paese, in relazione a quanto avviene a livello internazionale. L’obiettivo dell’edizione 2011 rimane lo stesso e simile sarà la diffusione del libro che è principalmente rivolto a coloro che sono impegnati a vari livelli nella legislazione sanitaria e nell’organizzazione di attività e servizi socio-sanitari che promuovono il miglioramento degli stili di vita. Il tema dell’implementazione degli stili di vita e della pratica dell’attività motoria è diventato in questi ultimi anni di grande attualità. La World Health Organization ha formulato l’Action Plan 2008-2013 per le quattro principali malattie non trasmissibili (NCD: non communicable diseases): malattie cardiovascolari, diabete, cancro e malattie respiratorie croniche. Queste condizioni condividono comuni fattori di rischio quali la sedentarietà, diete non salutari e tabagismo e soluzioni comuni, per cui è utile una comune piattaforma di collaborazione. Da questa premessa è nata la NCD Alliance, che include la World Heart Federation, l’International Diabetes Federation, l’International Union Against Cancer e l’International Union Against Tuberculosis and Lung Disease, e rappresenta più di 880 associazioni nazionali. Sulla spinta della NCD Alliance, nei singoli paesi stanno nascendo locali Wellness Alliance. In Italia, il gruppo Wellness Metabolico, nato nell’ambito del Changing Diabetes Barometer e accreditato al Ministero della Salute, dal 2011 si è evoluto nell’Italian Wellness Alliance che comprende rappresentanti del mondo scientifico diabetologico, delle istituzioni e del mondo privato, tutti esperti del settore e motivati alla valorizzazione dell’esercizio fisico e del miglioramento degli stili di vita per contrastare l’attuale epidemia di obesità, diabete e malattie cardiovascolari. Questa edizione aggiornata del barometro su diabete e attività fisica in Italia, riflette e riporta i cambiamenti in corso nell’area, i risultati ottenuti e le iniziative in corso. In questi quattro anni in Italia è aumentata 14 l’attenzione alla promozione dell’esercizio fisico per la prevenzione e la cura del diabete a tutti i livelli, sono stati pubblicati i risultati di importanti studi di intervento, è continuata o è stata avviata l’attività di centri multidisciplinari per la modifica degli stili di vita e sono state lanciate nuove iniziative locali e nazionali per promuovere e diffondere la pratica dell’attività motoria. Speriamo che la presente edizione del Barometro su diabete e attività fisica in Italia possa contribuire positivamente ad aumentare l’impegno di tutti in questo settore di vitale importanza per la qualità della vita delle persone con diabete e per la riduzione dei costi del Servizio Sanitario Nazionale. Pierpaolo De Feo President Italian Wellness Alliance 14 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 15 1. Emergenza diabesità Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 16 Diabesità: una pandemia globale Premessa Il neologismo “Diabesità”, coniato nel 1970 da Sims per descrivere il forte legame esistente tra diabete di tipo 2 e obesità, è oggi diffusamente usato per descrivere in maniera semplice ed efficace una nuova emergenza sanitaria: la diffusione di una patologia silente e spesso non riconosciuta che colpisce una grossa fetta di popolazione e che è rappresentata dalla convivenza di obesità e diabete. Obesità e diabete rappresentano, secondo la WHO, un’epidemia globale che colpisce, nel mondo, un numero in continua ed allarmante ascesa, di bambini, adolescenti e adulti, sia nei paesi industrializzati che in via di sviluppo. Il processo di urbanizzazione, le modifiche dello stile di vita che ne derivano, ed il progressivo invecchiamento della popolazione, sono le radici di questo allarmante fenomeno. Situazione Attuale Dati recenti della World Health Organization indicano che attualmente nel mondo si contano 1,6 milioni di soggetti in sovrappeso e circa 400 milioni obesi; si stima che nel 2015, 2,3 miliardi di persone saranno in sovrappeso e più di 700 milioni di persone saranno obese. Se si considera che il rischio di sviluppare diabete è legato in maniera esponenziale al grado di obesità - in condizioni di sovrappeso è pari a tre volte, mentre in presenza di obesità sale a 20 volte - dobbiamo prevedere una diffusione altrettanto rapida e allarmante della malattia diabetica. Nei primi anni del 2000 veniva stimata una prevalenza globale di diabete per il 2010 pari a circa 171 milioni di casi, che avrebbe raggiunto una numerosità superiore al doppio (366 milioni) nel 2030; i paesi per cui si denunciava la più alta incidenza di diabete erano la Cina, l’India, gli USA, l’Indonesia e il Giappone e il maggiore incremento del tasso di incidenza di diabete si prevedeva per India, Sud-africa ed Estremo Oriente. Una recente valutazione eseguita da P.Z. Zimmet nel 2009, ha stimato la prevalenza di diabete per il 2010 pari a circa 285 milioni di casi, prevedendo per il 2030 circa 439 milioni di persone; un incremento superiore al 50% giustificato semplicemente da tre fattori: la crescita della numerosità della popolazione, il suo progressivo invecchiamento e la diffusione del processo di urbanizzazione con la modifi16 ca dello stile di vita che ne consegue (Figura 1 e 2). In Italia, attualmente circa 3.200.000 persone soffrono di diabesità. E secondo le proiezioni al 2025, il numero è destinato a crescere; si passerà dai 4 milioni di obesi di oggi (pari al 10% della popolazione adulta) a un’incidenza del 14% prevista fra 15 anni, con una crescita stimata del 43%. Lo stesso succederà con il diabete di tipo 2: oggi si contano circa 4 milioni di pazienti (a cui si aggiunge un altro milione di malati ‘inconsapevoli’) e si stima una diffusione della malattia destinata a crescere del 50%. Nella fascia di età infantile il dato è ancor più Figura 1. I 10 paesi con maggiore prevalenza di diabete nel 2010 e 2030 2010 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 2030 Country Prevalence (%) Country Prevalence (%) Nauru United Arab Emirates Saudi Arabia Mauritius Bahrain Reunion Kuwait Oman Tonga Malaysia 30.9 Nauru United Arab Emirates Mauritius Saudi Arabia Reunion Bahrain Kuwait Tonga Oman Malaysia 33.4 18.7 16.8 16.2 15.4 15.3 14.6 13.4 13.4 11.6 21.4 19.8 18.9 18.1 17.3 16.9 15.7 14.9 13.8 Figura 2. Numero di persone affette da diabete nelle diverse fasce di età nei paesi sviluppati e in via di sviluppo nel 2010 e nel 2030 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 17 allarmante: attualmente 1 ragazzo su 3 al di sotto dei 18 anni è sovrappeso e si prevede un incremento vertiginoso del numero di baby oversize nei prossimi 15 anni, con una prevalenza che arriverà al 12,5% della popolazione nella fascia 4-17 anni, un incremento del +205%. Una realtà che rischia di tradursi, nel giro di pochi anni, in un’impennata di malattie cardiovascolari, conseguenti all’obesità e al diabete, nei giovani tra i 20 e i 30 anni. Conclusioni L’irrefrenabile corsa della diabesità avrà ripercussioni devastanti non solo a livello individuale ma anche, e soprattutto, a livello sociale, sul prodotto nazionale e sulla situazione economica di ogni paese. I diabesi di oggi e del futuro sono caratterizzati da un elevato tasso di morbilità e mortalità e pertanto da un’alterata qualità di vita, loro e delle loro famiglie; l’impatto del fenomeno diabesità sull’economia, non riguarderà solo i Paesi industrializzati, quali l’Australia, il Regno Unito e gli Stati Uniti, le conseguenze socioeconomiche del diabete potrebbero portare al fallimento anche le economie di numerosi Paesi in via di sviluppo. Paul Zimmet, direttore dell’International Diabetes Institute di Melbourne (Australia), ha rilasciato di recente un’esemplare dichiarazione: «La combinazione di diabete e obesità è la più grande epidemia che il mondo abbia mai dovuto affrontare. Ciò che l’HIV/AIDS hanno rappresentato negli ultimi vent’anni del XX secolo, la “diabesità” (con le sue conseguenze) lo sarà certamente nelle prime due decadi del XXI secolo. Negli ultimi decenni, il numero dei diabetici è più che raddoppiato a livello globale. L’International Diabetes Federation ha comunicato di recente che il numero dei diabetici è destinato a salire nei prossimi decenni, eppure, malgrado i segnali di allarme, la maggior parte dei Governi ha reagito con troppa lentezza. Così, oggi il diabete è tragicamente un’epidemia globale con devastanti conseguenze umanitarie, sociali ed economiche». Per questo motivo, il 21 dicembre 2006 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità una risoluzione che dichiarava “questione internazionale di salute pubblica” il diabete, seconda malattia, dopo l’HIV/AIDS, a ottenere questo poco invidiabile status. Call to action Combattere il diabete e l’obesità è ad oggi, per chi si occupa di salute pubblica, una delle più importanti sfide del nostro secolo. • “La prevenzione” è senz’altro lo strumento più efficace per fermare l’epidemia di diabesità: rafforzare la consapevolezza e la conoscenza dell’importanza di stili di vita scorretti nel definire lo stato di salute di un soggetto, è la radice di questa sfida • Solo un approccio multidisciplinare integrato, associato ad un’adeguata campagna di informazione, può riuscire a ridurre in maniera efficace la diffusione morbosa di questo fenomeno • Una strategia globale definita a livello internazionale, che tenga conto di aspetti politici, epidemiologici, ambientali-infrastrutturali, oltre che di quelli prettamenti clinici, deve tradursi in efficienti politiche nazionali e regionali e attuabili piani di azione Cristina Fatone C.U.R.I.A.MO. Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia Bibliografia 1. Global estimates of the prevalence of diabetes for 2010 and 2030. Diabetes Research and Clinical Practice J.E. Shaw *, R.A. Sicree, P.Z. Zimmet. 2. A national survey of the prevalence of childhood overweight and obesity in Italy. Binkin N, Fontana G, Lamberti A, Cattaneo C, Baglio G, Perra A, Spinelli A.Obes Rev. 2010 Jan;11(1):2-10. Epub 2009 Sep 17. 3. http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs311/en/ index.html. 17 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 18 Il diabete e l’obesità: dati epidemiologici italiani e internazionali Premessa In base alle stime dell’International Diabetes Federation (IDF), riferite alla fascia di età fra i 20 e i 75 anni, nel 2025 ci saranno in Italia più di 3,2 milioni di persone con diabete, mentre a livello mondiale le persone colpite saranno 333 milioni, con un incremento di oltre il 70% rispetto ai dati odierni. Gli incrementi maggiori sono previsti nei Paesi in via di sviluppo, nei quali nel 2025 risiederanno oltre il 75% delle persone affette da diabete. Oltre all’invecchiamento della popolazione, l’epidemia di diabete è da attribuire in misura principale al crescente aumento della percentuale di persone obese, dovuto alla progressiva riduzione dell’attività fisica e al cambiamento delle abitudini alimentari. Le stime ISTAT riferite al 2005 evidenziano che, utilizzando la classificazione dell’OMS, più di un terzo della popolazione adulta (34,2% delle persone di 18 anni e più) è in sovrappeso, mentre il 9,8% è francamente obeso. Situazione Attuale L’obesità è in crescita nel nostro Paese: sono circa 4 milioni e 700 mila le persone adulte obese, con un incremento percentuale di circa il 9% rispetto a cinque anni fa. L’incremento dell’obesità è stato registrato soprattutto nella popolazione maschile, in particolare nei giovani adulti di 25-44 anni e tra gli anziani, ed è più evidente nel Meridione (Figura 1 e 2). Sta inoltre emergendo anche in Europa come problema sempre più rilevante l’obesità infantile, che oggi colpisce circa 5 milioni di bambini in età scolare, con un incremento di 250.000 casi all’anno. In Italia, fra i bambini di 8-9 anni, uno su Figura 1. Andamento dell’obesità in Italia nelle diverse fasce geografiche Figura 2. Prevalenza di sovrappeso e obesità per fasce di età in Italia quattro risulta sovrappeso e uno su otto francamente obeso (Figura 3). Anche in questo caso, il problema è più accentuato al sud: ad esempio, in Campania un bambino su due è sovrappeso o obeso. Tale fenomeno si associa alla comparsa, anche in età infantile e adolescenziale, del diabete di tipo 2, classicamente considerato una prerogativa dell’età adulta. L’obesità infantile rappresenta un drammatico fattore di rischio per lo sviluppo di diabete in età adulta. Negli Stati Uniti, a causa del costante aumento nel tasso di obesità fra i bambini, si stima che fra i nati oggi uno su quattro svilupperà il diabete da adulto, mentre addirittura il rapporto sale a uno su due Figura 3. Prevalenza di sovrappeso e obesità fra i bambini di 8-9 anni. Italia, 2008 Campania Molise Calabria Sicilia Basilicata Puglia Lazio Abruzzo ITALIA Umbria Marche Toscana E-R Liguria Veneto Piemonte Sardegna FVG Valle d’Aosta 28 26 26 25 26 25 26 26 24 24 23 22 20 22 20 19 19 21 17 0 10 21 16 16 17 13 14 13 13 12 11 10 Sovrappeso 23,6% Obeso 12,3% 7 9 7 7 8 7 4 6 20 Sovrappeso 18 49% 23% 30 Obeso 40 % 50 60 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 19 fra i bambini afro-americani o latino-americani. L’obesità in età infantile-adolescenziale ha un impatto drammatico anche sull’insorgenza di ipertensione, dislipidemia e malattie cardiovascolari, e determina una significativa riduzione delle aspettative di vita. Ad esempio, in uno studio appena pubblicato riguardante gli indiani nativi americani, è stato evidenziato come i bambini con obesità avevano un rischio più che doppio di morire prima dei 55 anni rispetto ai loro coetanei più magri. Conclusioni Poiché in Europa occidentale, in base alle stime dell’IDF, oltre l’80% dei casi di diabete è attribuibile all’obesità, è facile comprendere come la lotta all’obesità e al diabete vadano di pari passo, e come sia necessario uno sforzo congiunto di politiche sociali e sanitarie per arginare un fenomeno in continua espansione. Le enormi ricadute in termini sociali, assistenziali ed economici legate alle complicanze cardiovascolari, renali, oculari e neuropatiche del diabete potrebbero infatti in pochi anni rendere non più sostenibili e qualitativamente inadeguati gli sforzi necessari al controllo della malattia e le risorse disponibili per fronteggiarla. Bibliografia 1. Diabetes Atlas, Fourth Edition, 2009. http://www.diabetesatlas.org/ 2. ISTAT. Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorso ai servizi sanitari. Anno 2005. http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/ 20070302_00/testointegrale.pdf 3. Okkio alla Salute: la mappa dell’obesità infantile in Italia. http://www.salute.gov.it/dettaglio/phPrimoPianoNew.jsp?id =188&area=ministero&colore=2 4. Relazione sullo stato sanitario del Paese. 2007-2008. http://www.salute.gov.it/pubblicazioni/ppRisultatiRSSP.jsp 5. Daniels SR, Arnett DK, Eckel RH, Gidding SS, Hayman LL, Kumanyika S, Robinson TN, Scott BJ, St Jeor S, Williams CL. Overweight in children and adolescents: pathophysiology, consequences, prevention, and treatment. Circulation. 2005;111:1999-2012. Call to action • Programmare politiche di intervento, nazionali ed internazionali, che tengano conto degli aspetti sanitari, sociali ed economici dell’epidemia diabesità e risultino in definitva fattibili ed efficaci • Incidere selettivamente sulla classe sociale più a rischio e in particolare nella fascia di età infantile-adolescenziale, con adeguate campagne educative preventive • Incentivare gli interventi sullo stile di vita nell’Italia meridionale Antonio Nicolucci Dipartimento di Farmacologia Clinica ed Epidemiologia, Consorzio Mario Negri Sud 19 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 20 Diabesità nel bambino Premessa La prevalenza dell’obesità nei bambini e negli adolescenti ha raggiunto proporzioni epidemiche nei paesi sviluppati nelle ultime tre decadi. Questo ha portato ad un notevole aumento delle alterazioni del metabolismo glicidico nella popolazione di questa fascia di età. Secondo un’indagine condotta negli Stati Uniti nel 1999-2000, il 14-15% di tutti i soggetti con 15 anni di età è obeso (1). In Europa, una revisione di indagini condotte in vari paesi europei, indica una più alta incidenza di sovrappeso/obesità nei paesi occidentali e del sud Europa. I paesi dell’area del Mediterraneo presentano una prevalenza di sovrappeso fra i bambini del 20-40%, mentre nei paesi del Nord la prevalenza è del 10-20% (2). In Italia uno studio recente mostra come il problema obesità pediatrica sia in rapida espansione nel nostro Paese: già dalla prima infanzia bambini con un’età compresa fra 2 e 6 anni, presentano un eccesso ponderale nel 32% dei casi, con una maggior prevalenza al sud rispetto al nord Italia (3). Questo ha portato alla ribalta nella popolazione adulta, e sempre più negli ultimi anni nella popolazione pediatrica, la nuova entità nosologica del paziente con obesità e alterazioni della glicemia detta “Diabesità”. Situazione attuale L’obesità causa resistenza insulinica che a sua volta aumenta, tramite vari meccanismi, la secrezione insulinica pancreatica. Se la funzione beta cellulare nel tempo declina per superare il carico di glucosio plasmatico, nel tempo può manifestarsi iperglicemia o insorgere Diabete Mellito di Tipo 2 (T2DM) (4). Negli adulti la manifestazione del T2DM (glicemia a digiuno >126 mg/dl in due misurazioni consecutive o >200 mg/dl dopo carico di glucosio) richiede a volte anni, passando attraverso fasi intermedie di alterata glicemia a digiuno (IFG; 110-125 mg/dl) e/o alterata tolleranza glicidica (IGT; glicemia dopo carico di glucosio 140-199 mg/dl). Studi recenti hanno dimostrato che l’IGT e il T2DM sono diventati ormai un problema reale ed in crescita anche nei bambini e negli adolescenti. In una recente casistica italiana la prevalenza di IGT isolato o associato a IFG, in una larga popolazione di bambini e adolescenti italiani è dell’11,2%, mentre il T2DM silente si attesta intorno allo 0,8% nei bambini dell’Italia centrale (5,6), confermando precedenti dati su popolazione 20 europea e italiana, del nord e del sud (7-9). In studi condotti negli Stati Uniti su bambini ed adolescenti obesi di qualunque etnia, IGT è stata riscontrata nel 25% dei bambini e adolescenti obesi considerati; T2DM nel 4% di adolescenti obesi (10). Una più alta incidenza di IGT è stata riportata in bambini obesi della Tailandia e delle Filippine ed in bambini Ispanici che vivono negli Stati Uniti (11). Così come gli adulti, anche i bambini, AfroAmericani, Ispanici, Indiani Pima, hanno un maggior rischio di sviluppare IGT e T2DM. Naturalmente l’obesità infantile comporta anche la presenza di comorbilità legate all’obesità, presenti quindi fin dall’età pediatrica, come alterazioni del metabolismo lipidico, ipertensione arteriosa, infiltrazione grassa del fegato (non-alcoholic fatty liver disease), colecistopatie, sindrome metabolica, iperandrogenismo nelle adolescenti, apnea ostruttiva nel sonno, problemi di natura ortopedica (12, 13). L’età dei bambini obesi, e in particolare lo stadio puberale, influisce in modo inequivocabile sulla manifestazione e la progressione delle alterazioni glicidiche. Infatti è stato recentemente ribadito che la frequenza di IGT in bambini obesi caucasici aumenta gradualmente durante le fasi puberali Tanner I-IV (6) con riduzione nello stadio Tanner V. Questo fenomeno può essere ascritto al transitorio aumento della resistenza insulinica osservata durante la pubertà, con una riduzione della sensibilità insulinica del 25-30% nella fase medio-puberale e un recupero nella fase finale (Tanner V) (14). Il consiglio è quindi di valutare le alterazioni del metabolismo glicidico in bambini obesi usando il carico orale di glucosio piuttosto che la glicemia a digiuno, in quanto quest’ultima da sola può non individuare la presenza di IGT in particolare nella fase puberale. Di fronte a questa iniziale epidemia di Diabesità, anche nel bambino per il momento rimane solo la possibilità della prevenzione con modifiche dello stile di vita. Mentre negli adulti è stato ampiamente studiato l’impatto della dieta e dell’attività fisica regolare sulla riduzione della progressione da IGT a T2DM, sfortunatamente dati a lungo termine sui bambini non sono al momento disponibili. L’American Academy of Pediatrics tuttavia, raccomanda la perdita di peso in bambini e adolescenti obesi attraverso il miglioramento della qualità e della quantità degli alimenti assunti e la riduzione della sedentarietà, favorendo l’attività fisica programmata e non programmata in qualunque fascia di età, adattata al singolo soggetto, ai Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 21 fini della prevenzione di insorgenza di IGT e T2DM tra i bambini a rischio per la malattia (4, 15). Laddove la diagnosi sia stata già fatta e il solo cambiamento di stile di vita non è sufficiente, l’uso della metformina come dell’insulina può in alcuni casi essere necessario per controllare la malattia. Conclusioni L’eccesso ponderale fin dall’età pediatrica, si associa ad una serie di comorbilità e soprattutto costituisce un fattore di rischio precoce per morbilità e mortalità nella vita adulta. Il diabete mellito tipo 2 (DM2) in passato definito diabete dell’età adulta perché riguardante soltanto questa fascia d’età, è diventato una realtà comune fra i bambini e gli adolescenti obesi, appartenenti ad etnie ad alto rischio, configurando l’espansione della Diabesità anche nelle fasce pediatriche. Il problema obesità pediatrica e la prevalenza di IGT e T2DM nelle etnie a basso rischio, come in Europa, rimane per le problematiche sopra esposte e per le temute conseguenze nella vita adulta, uno dei problemi più allarmanti che il Sistema Sanitario si trova oggi a dover affrontare. Call to action • Istruire i pediatri di base sulla prevenzione dell’obesità e sulla promozione della pratica dell’attività fisica fin dalla prima infanzia • Cercare di creare delle linee guida in cui coinvolgere anche i genitori nell’educazione ad una alimentazione sana • Coinvolgere le istituzioni scolastiche nella prevenzione dell’obesità con implementazione di programmi che prevedano un incremento delle attività fisiche programmate • Creare una rete tra specialisti (endocrinologi, diabetologi, nutrizionisti), pediatra di base e genitori, per favorire l’educazione alla prevenzione del fenomeno diabesità nel bambino Danilo Fintini1, Marco Cappa2 1 U.O.C. di Medicina Cardiorespiratoria e dello Sport, Dipartimento Medico Chirurgico di Cardiologia Pediatrica 2 U.O.C. Endocrinologia e Diabetologia, Dipartimento Pediatrico Universitario Ospedaliero Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma Bibliografia 1. Ogden CL, Flegal KM, Carroll MD, Johnson CL. Prevalence and trends in overweight among U.S. children and adolescents, 1999-2000. JAMA 2002;288:1728-32. 2. Lobstein T, Frelut ML. Prevalence of overweight among children in Europe. Obes Rev 2003;4:195-200. 3. Maffeis C, Consolaro A, Cavarzere P, Chini L, Banzato C, Grezzani A, Silvani D, Salzano G, De Luca F, Tato L. Prevalence of overweight and obesity in 2- to 6-year old children. Obesity 2006; 14:765-9. 4. Hannon TS, Rao G, Arslanian SA. Childhood obesity and type 2 diabetes mellitus. Pediatrics. 2005 Aug;116(2):47380. Review. 5. Brufani C, Ciampalini P, Grossi A, Fiori R, Fintini D, Tozzi A, Cappa M, Barbetti F.Glucose tolerance status in 510 children and adolescents attending an obesity clinic in Central Italy. Pediatr Diabetes. 2009 Apr 30. [Epub ahead of print] 6. Brufani C, Tozzi A, Fintini D, Ciampalini P, Grossi A, Fiori R, Kiepe D, Manco M, Schiaffini R, Porzio O, Cappa M, Barbetti F. Sexual dimorphism of body composition and insulin sensitivity across pubertal development in obese Caucasian subjects. Eur J Endocrinol. 2009 May;160(5):769-75. Epub 2009 Feb 16. 7. Invitti G, Guzzaloni G, Gilardini L, Morabito F, Viberti G. Prevalence and concomitants of glucose intolerance in European obese children and adolescents. Diabetes Care 2003;26:118-24. 8. Valerio G, Licenziati MR, Iannuzzi A, Franzese A, Siani P, Riccardi G, Rubba P. Insulin resistance and impaired glucose tolerance in obese children and adolescents from Southern Italy. Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2006 May;16(4):279-84. Epub 2006 Mar 20. 9. Sabin MA, Hunt LP, Ford AL, Werther GA, Crowne EC, Shield JP. Elevated glucose concentrations during an oral glucose tolerance test are associated with the presence of metabolic syndrome in childhood obesity. Diabet Med. 2008 Mar;25(3):289-95. 10. Shina R, Fisch GF, Teague B, Tamborlane WV, Banyas B, et al. Prevalence of impaired glucose tolerance among children and adolescents with marked obesity. N Engl J Med 2002;346:802-10. 11. Goran MI, Bergaman RN, Avila Q, et al. Impaired glucose tolerance and reduced beta-cell function in overweight Latino children with a positive family history for type 2 diabetes. J Clin Endocr Metab 2004;89(1):207-212. 12. Weiss R, Caprio S. The metabolic consequences of childhood obesity. Best Pract Res Clin Endocr Metab 2005;19(3):405-19. 21 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 22 13. Speiser PW, Rudolf MCJ, Anhalt H, Camacho-Hubner C, Chiarelli F, Eliakim A, et al. Consensus statement: Childhood obesity. J Clin Endocrinol Metab 2005;90:1871-87. 14. Moran A, Jacobs DR Jr, Steinberger J, Steffen LM, Pankow JS, Hong CP, Sinaiko AR. Changes in insulin resistance and cardiovascular risk during adolescence: establishment of differential risk in males and females. Circulation. 2008 May 6;117(18):2361-8. Epub 2008 Apr 21. 15. Krebs NF, Jacobson MS; American Academy of Pediatrics Committee on Nutrition. Prevention of pediatric overweight and obesity. Pediatrics. 2003 Aug;112(2):424-30. 22 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:10 Pagina 23 Diabesità nell’anziano Premessa Il nostro paese è tra quelli maggiormente investito dal processo di invecchiamento della popolazione e a livello internazionale l’Italia si colloca tra i paesi più longevi. Da diversi decenni si registra un aumento della popolazione in età anziana e una contemporanea riduzione di quella in età giovanile, parallelamente ad un aumentata sopravvivenza e al contenimento della fecondità ben al di sotto del livello di sostituzione delle generazioni (2,1 figli per donna). Al 1° gennaio del 2010 in Italia, il rapporto tra gli anziani e i giovani ha assunto proporzioni notevoli raggiungendo quota 144 per cento. Attualmente un italiano su cinque, è ultrasessantacinquenne ed anche i ‘grandi vecchi’ (dagli ottanta anni in su) sono in continuo aumento rappresentando più del 5% del totale della popolazione. Oltre 14 milioni di persone superano la soglia dei 60 anni, pari al 24,5% della popolazione; nel 2051 gli over 65 rappresenteranno il 33% dei residenti. Nel mondo, nel 2000 c’erano circa 600 milioni di persone con più di 60 anni, nel 2025 ce ne saranno 1,2 miliardi, fino a raggiungere i 2 miliardi nel 2050. questo è dovuto sostanzialmente all’alta speranza di vita (con un’aspettativa media di vita di 77,6 anni per i maschi e addirittura 83,2 per le femmine) ed al crollo della fecondità (1,3 figli ogni donna). Il processo di invecchiamento, proseguirà in maniera progressiva giungendo nel 2050 a deformare la struttura per età della popolazione, con una quota di anziani (33,6% del totale della popolazione) oltre due volte e mezzo la quota di giovani (solo il 12,7%); inoltre la crescita di popolazione anziana riguarderà soprattutto le fasce di età estreme (i cosiddetti grandi vecchi) che rappresentano il gruppo più fragile tra gli anziani (Figura 1 e 2). Figura 1. “La rivoluzione demografica in Italia” Situazione attuale La popolazione italiana continua ad invecchiare a ritmi superiori rispetto a quelli degli altri paesi industrializzati e Figura 2. Indice di vecchiaia nei paesi Ue Anno 2008 (valori percentuali) 23 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 24 L’invecchiamento della popolazione è tipicamente accompagnato da un incremento della morbilità e mortalità da malattie non trasmissibili, come quelle cardiovascolari, il diabete, la malattia di Alzheimer e altre patologie neurodegenerative, i tumori, le malattie polmonari croniche ostruttive e i problemi muscoloscheletrici. Malattie che, per la loro cronicità e il loro impatto sulla qualità della vita, impongono un peso elevato in termini di salute alla popolazione anziana, e in termini economici al sistema sanitario nazionale e mondiale. Secondo un recente rapporto “Stato di salute e prestazioni sanitarie nella popolazione anziana” del Ministero della Salute, la popolazione anziana oggi in Italia determina il 37% dei ricoveri ospedalieri ordinari e il 49% delle giornate di degenza e dei relativi costi stimati. Gran parte delle patologie riscontrabili con una certa frequenza nella popolazione anziana è strettamente connessa a fattori ambientali e stili di vita; l’obesità e le patologie metaboliche ad essa correlate ne sono un esempio e anche nella popolazione anziana costituiscono spesso la causa di un alterato stato di salute. In Italia, la quota di popolazione in condizione di eccesso ponderale (obesa o in sovrappeso) cresce al crescere dell’età: dal 18,5 per cento tra i 18 e i 24 anni a oltre il 60 per cento tra i 55 e i 74 anni, per diminuire lievemente nelle età più avanzate (56,7 per cento tra le persone di 75 anni e più). In tutte le fasce di età, le condizioni di sovrappeso e obesità sono più diffuse tra gli uomini rispetto alle donne. Inoltre, nella fascia di età 65-74 anni, circa il 15% degli uomini e il 13% delle donne è diabetico, mentre il 9% degli uomini e il 6% delle donne è in una condizione border line (intolleranza al glucosio); il 29% degli uomini e il 38% delle donne è affetto da sindrome metabolica. Nelle persone con età uguale o superiore ai 75 anni, la prevalenza del diabete aumenta fino al 18,9% (Figura 3). 24 Figura 3. Prevalenza del diabete nelle diverse fasce di età E in parte, la modalità di diffusione dell’eccesso ponderale e dei dismetabolismi, rispecchia la diffusione di stili di vita scorretti: i “sedentari”, ovvero coloro che dichiarano di non praticare uno sport né un’attività fisica, tra le persone più anziane sono il 51,9% della popolazione tra i 65-74 anni e il 72,8% della popolazione con 75 anni e più. In definitiva, se le possibilità di intervenire sulla predisposizione ereditaria all’invecchiamento sono limitate, di più si può fare per migliorare i fattori esterni, le abitudini di vita che pure influiscono sulla senescenza. Uno stile di vita errato (alimentazione scorretta, eccesso ponderale, sedentarietà, fumo, scarsa attività intellettuale, stress eccessivo) accelera il processo di invecchiamento, aumenta il rischio di sviluppare patologie invalidanti, riduce quindi l’aspettativa e la qualità di vita; uno stile di vita ottimale, al contrario, (alimentazione equilibrata e varia, normale peso corporeo, attività fisica regolare, impegno intellettuale costante, astensione dal fumo, eustress) aumenta l’aspettativa di vita, rallenta l’invecchiamento e contribuisce a contrastare le malattie mantenendo lo stato di salute. Uno stile di vita corretto si associa quindi ad una maggiore aspettativa di vita in buona salute (Healthy Life Years). Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 25 Conclusioni La vita media negli ultimi 50 anni è notevolmente aumentata, tanto che alcuni scienziati hanno parlato di “broken limits to life – expectancy”, sostenendo che non è più ipotizzabile l’esistenza di limiti fisiologici all’invecchiamento umano. L’incremento dell’aspettativa di vita, non può essere considerato di per se un aspetto positivo se non si associa ad un concomitante miglioramento della qualità di vita: l‘ideale sarebbe ridurre al massimo il divario tra i due indicatori, aspettativa e qualità di vita, promuovendo strategie che aiutino la popolazione ad invecchiare bene. Dunque “Invecchiare” è un privilegio e una meta della società, ma “Invecchiare bene” non è solo una questione genetica, dipende anche dalle scelte di vita. Bibliografia http://www.epicentro.iss.it/igea/ http://www.cuore.iss.it/fattori/anziani.asp http://noi-italia.istat.it Call to action • Incentivare misure preventive rivolte all’adozione di un sano stile di vita e alla diagnosi precoce di patologie e relative complicanze, per ridurre significativamente il peso sociale ed economico delle patologie metaboliche e cardio-vascolari legate alla senescenza • Fronteggiare la “rivoluzione demografica” dei paesi in via di sviluppo, mettendo in atto misure capaci di affrontare le conseguenze legate all’incremento della popolazione anziana, costituisce un atto doveroso e urgente per le politiche internazionali Raffaele Marfella, Giuseppe Paolisso Dipartimento di Gerontologia, Geriatria e Malattie del Metabolismo, Seconda Università Napoli 25 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 26 Il peso economico della Diabesità Premessa I dati epidemiologici internazionali indicano come il diabete tipo 2 stia assumendo a livello mondiale un andamento tipicamente epidemico; l’età di insorgenza di questa malattia sembra progressivamente anticiparsi con un conseguente maggior rischio di sviluppare complicanze invalidanti in età lavorativa piuttosto che in età senile. Il rischio di ammalarsi di diabete tipo 2 è in larga parte determinato dall’obesità, ma è strettamente legato anche alla familiarità, all’etnia, all’età e ad altri indicatori demografici e di classe socio-economica. In Italia, l’incremento più rilevante del numero di casi di diabete è stato registrato negli anziani (età >65 anni), che attualmente rappresentano i 2/3 della popolazione diabetica italiana; in questa fascia di età la prevalenza è pari al 14%. L’età rappresenta il principale indicatore di “bisogno di assistenza”, legame rafforzato dalla coopresenza di altri indicatori di vulnerabilità sociale. Un basso livello di istruzione (indicatore di classe socio-economica) si associa spesso ad un utilizzo improprio delle strutture sanitarie (per es. ricorso al ricovero ospedaliero per condizioni cliniche altrimenti trattabili a livello ambulatoriale), ma anche ad un maggior rischio di ammalarsi. L’appartenenza a classi sociali più basse e meno istruite costituisce spesso un indicatore di stili di vita scorretti (ad esempio ridotta attività fisica) e di obesità e quindi indirettamente esprime un maggior rischio di ammalarsi di diabete. Situazione attuale L’epidemia di diabete, considerando il numero di casi noti progressivamente crescente e il numero di casi non ancora emersi (si stima che in Italia, l’1.5-2% della popolazione sia affetta da diabete non noto) ha importanti e invalidanti risvolti economici. In Italia attualmente, i diabetici sono responsabili di un consumo di risorse sanitarie (costi diretti) 2.5 volte superiore rispetto a quello delle persone non diabetiche, di pari età e sesso. Ogni anno, ci sono in Italia più di 70.000 ricoveri per diabete, dovuti principalmente a complicanze quali ictus cerebrale ed infarto del miocardio, retinopatia diabetica, insufficienza renale e amputazioni degli arti inferiori. In Italia vi è un’ampia variabilità geografica nei ricoveri ospedalieri per diabete, che incidono per oltre il 50% sui costi diretti della malattia, con Regioni più “virtuose” come il 26 Piemonte e Regioni che lo sono meno, quali Sicilia, Puglia, ma anche Lombardia. Una persona affetta da diabete che incontri difficoltà a reperire prontamente sul territorio le informazioni e un servizio di assistenza necessari ad ottenere un buon compenso glicemico, tenderà più facilmente a ricorrere impropriamente al ricovero ospedaliero e a gravare quindi inappropriatamente sui costi del Servizio Sanitario Nazionale. Lo studio di popolazione di Torino ha studiato i costi sanitari riferibili alla popolazione diabetica e ha messo in evidenza come il costo diretto annuo di un paziente diabetico sia pari a € 3348.6, mentre nel non diabetico sia mediamente pari a € 831.9; l’eccesso di costo, dopo aggiustamento per età, sesso e i principali confondenti, è pari a 2.5 volte nel diabetico rispetto al non diabetico. Tale eccesso (Tabella 1) è intorno a due volte per tutte le voci di spesa esaminate. Oltre il 50% dei costi diretti è attribuibile ai ricoveri ospedalieri. I diabetici hanno un consumo di farmaci pari a 3 volte i non diabetici di pari età e sesso, attribuibile alle comorbidità associate alla malattia. Per quanto riguarda i farmaci, la quota principale del costo è imputabile al trattamento delle complicanze cardiovascolari. Tutte le categorie farmacologiche tuttavia, mostrano un aumentato utilizzo nei diabetici rispetto ai non diabetici, a sottolineare l’interessamento multiorgano della malattia. Nei 10 anni dell’Osservatorio ARNO-Diabete, è emerso come solo il 18% del costo dei farmaci sia attribuibile ai farmaci antidiabetici e come questa proporzione sia sostanzialmente rimasta invariata nel corso del tempo, mentre il consumo di farmaci ed il relativo costo sia raddoppiato nel corso del tempo, sottolineando come l’incremento globale della spesa sia impuTabella 1. Costi diretti del diabetico e del non diabetico, studio di popolazione di Torino, anno 2003 Diabetici Non diabetici Costo per persona/anno (€) Costo per persona/anno (€) 1909.8 496.1 2.3 (2.2-2.4) Pronto Soccorso 30.9 16.5 1.7 (1.6-1.7) Visite ambulatoriali 418.2 135.9 2.1 (2.0-2.1) Farmaci 831.0 183.0 2.7 (2.7-2.8) Strisce reattive 158.7 0.4 Ricoveri ospedalieri RR (aggiustato per età e sesso) Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 27 tabile alle comorbilità associate al diabete, piuttosto che al controllo dell’iperglicemia. Infine non bisogna dimenticare il costo del trattamento delle complicanze (macroangiopatia, retinopatia, nefropatia e neuropatia) che risulta particolarmente elevato. Gli interventi sullo stile di vita effettuati nell’ambito della realtà assistenziale italiana hanno evidenziato come in diabetici tipo 2 un incremento dei livelli di attività fisica fino a un dispendio di 10 METs*-ora/settimana (2 chilometri/die a piedi, 50 minuti/die in bicicletta 6 giorni su 7) consenta un’importante riduzione dei costi diretti, oltre a evidenti benefici clinici. La riduzione maggiore si ottiene quando il dispendio energetico si aggira intorno a 25-35 METsora/settimana (6-7 chilometri/die a piedi, 120 minuti/die in bicicletta 6 giorni su 7). Prendendo come riferimento i dati di spesa sanitaria del 1998, si stima che una riduzione di spesa del 20% per ciascun paziente diabetico grazie a questo tipo di intervento, porterebbe a un risparmio annuale superiore a 10 milioni di euro ( Figura 1). Figura 1. Effetti dell’intervento sui costi del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) €/pro capite/anno p<0.05 p<0.05 0 1-10 11-20 21-30 31-40 > 40 Farmaci + 425 + 223 - 212 - 642 - 715 - 627 Counselling 55 55 55 55 55 55 Altre spese SSN 78 -63 -155 - 375 - 692 - 915 Bilancio a 2 anni 558 215 -312 -962 - 1352 - 1487 Spesa al basale 2839 2967 2669 2699 2938 2951 Conclusioni Oggi in Italia il diabete è responsabile del 10-15% dei costi dell’assistenza sanitaria; rappresenta indiscutibilmente una malattia cronica ad elevato impatto sociale che si avvia ad essere sempre più difficile da sostenere per la comunità, in assenza di un’efficace prevenzione. Le disuguaglianze sociali agiscono fortemente sul rischio di contrarre il diabete e sulla capacità di utilizzare le risorse sanitarie correttamente: la prevalenza di diabete è infatti più elevata nelle donne e nelle classi sociali più basse, dato evidente in tutte le classi di età. L’attività di prevenzione, attraverso oculate strategie di screening e interventi volti alla modifica dello stile di vita, dovrebbe essere rivolta soprattutto a questa fascia della popolazione. Call To Actions • Promuovere gli interventi di prevenzione primaria del diabete di tipo 2, con la modifica degli stile di vita, perché sono efficaci ed economicamente vantaggiosi • Promuovere l’uso dell’attività fisica come strumento terapeutico nel diabete di tipo 2 per ridurre i costi diretti ed indiretti della patologia • Rivolgere gli interventi di modifica di stili di vita alle classi sociali con più basso livello socio-culturale e economico Graziella Bruno Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino *un MET è l’unità di misura del metabolismo e, convenzionalmente, corrisponde al consumo di 3,5 ml di Ossigeno per chilogrammo di peso corporeo per minuto [3,5 mlO2(kg*min)-1] 27 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 28 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 29 2. Da Elliot Proctor Joslin ai giorni nostri: l’importanza dell’attività motoria e della gestione multidisciplinare del diabete Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 30 Elliott Proctor Joslin (6 Giugno 1869 - 28 Gennaio 1962) è stato il primo medico negli Stati Uniti a specializzarsi nella cura del diabete ed è il fondatore dell’odierno rinomato “Joslin Diabetes Centre”. Anni di ricerca dedicati alla malattia diabetica e alla più appropriata modalità di gestione, gli hanno conferito il titolo di “padre del diabete”. A lui in particolare spetta l’importante intuizione di rappresentare la terapia ottimale del diabete mellito con la parola di origine russa “troika”, definita graficamente da un carro trascinato da tre cavalli, per esprimere la sua filosofia di cura della malattia diabetica: dieta, esercizio fisico e insulina sono essenziali per vincere il diabete. EPJ Nasce a Oxford, Massachusetts nel 1869 e studia presso la Leicester Academy, lo Yale College e la Harvard Medical School. Joslin inizia a dedicarsi al diabete quando frequenta il college di Yale e alla zia viene diagnosticata la malattia, allora sconosciuta e considerata senza alcuna cura e poca speranza. Segue studi approfonditi mentre frequenta l’Harvard Medical School e vince il premio Società Boylston per il lavoro di ricerca, in seguito pubblicato come il libro “La patologia del diabete mellito”. La sua formazione post-laurea si realizza al Massachusetts General Hospital, collabora con ricercatori tedeschi e austriaci, impegnati nello studio del metabolismo, quindi inizia la sua pratica medica privatamente a Boston nel 1898. Nel 1908, collaborando con il fisiologo Francesco G. Benedetto, Joslin effettua studi approfonditi sull’equilibrio glico-metabolico e nel 1916 pubblica la sua monografia “Il trattamento del diabete mellito”, ove sottolinea l’evidenza di una significativa riduzione della mortalità nei pazienti diabetici che seguivano un programma terapeutico intensivo, basato sulla combinazione di dieta ed esercizio fisico; questo manuale vanta più di 10 edizioni e definisce negli anni il dottor Joslin leader mondiale nella cura del diabete. Due anni più tardi, il Joslin Diabetes 30 Center pubblica il primo manuale per la cura del diabete, per il medico e il paziente, il “The Joslin Guide to Diabetes”, un best seller che viene ancora oggi pubblicato. Quando nel 1922 viene scoperta l’insulina, Joslin affina la sua attività di diabetologo e fa dell’associazione dieta, esercizio fisico, cura del piede e giusto dosaggio di insulina, il capisaldo della modalità di gestione della malattia diabetica. Al Dr. Joslin spettano numerosi primati: – La solida convinzione di considerare il buon controllo glicemico, realizzato attraverso una dieta equilibrata, la pratica di attività fisica e la giusta regolazione della terapia insulinica, l’unico modo per prevenire le complicanze della malattia diabetica. Questo approccio è stato dibattuto per decenni dagli endocrinologi e altri scienziati fino a quando, 30 anni dopo la sua morte, non è stato convalidato dai risultati di uno studio durato circa 10 anni, “The Diabetes Control and Complications Trial Report”, pubblicato nel prestigioso New England Journal of Medicine. Lo studio ha dimostrato chiaramente la veridicità di ciò che Joslin sosteneva nei decenni precedenti: l’insorgenza delle complicanze del diabete può essere ritardata solo da uno stretto controllo glicemico. – Considerare e denunciare la diffusione del diabete come un grave problema di sanità pubblica. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, dichiarò al Surgeon General dello US Public Health Service che il diabete rappresentava un’epidemia e propose al governo del Massachusetts di autorizzare lo svolgimento di uno studio nella sua città natale, Oxford, che potesse approfondire alcuni aspetti della malattia. Lo studio fu avviato nel 1946 e fu portato avanti nei successivi 20 anni. I risultati confermarono i timori di Joslin, secondo cui l’incidenza del diabete negli Stati Uniti stava assumendo proporzioni epidemiche e il diabete doveva pertanto essere considerato un problema di sanità pubblica. – Sostenere l’importanza dell’insegnare ai pazienti di “prendersi cura del proprio diabete”, un approccio che oggi viene indicato con la sigla “DSME” (Diabetes Self-Management Education) e che necessariamente deve prevedere un intervento multidisciplinare (Figura 1). Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 31 Figura 1. Education: The Key to Managing Your Diabetes Good diabetes management starts with learning skills you can use to make good food choices, increase your physical activity in an appropriate way and monitor your blood glucose level. Poiché il diabete è presente 24 ore su 24, 7 giorni a settimana, Joslin sosteneva che solo un percorso educativo personalizzato poteva garantire l’acquisizione di conoscenze e strumenti e dell’abilità di gestire il diabete in piena autonomia, giorno per giorno. La buona gestione del diabete inizia con l’apprendimento di competenze e abilità che permettano di seguire buone scelte alimentari, aumentare i livelli di attività fisica e controllare adeguatamente i livelli di glicemia. Figure professionali che affiancano il diabetologo nel team proposto da Joslin Infermieri educatori in Diabetologia Assistono il paziente attraverso lo sviluppo e il continuo aggiornamento, di un programma educativo individualizzato di auto-gestione del diabete. In particolare educano il paziente a: - monitorare e gestire la glicemia in condizioni fisiologiche e patologiche - gestire il diabete durante viaggi (cambi di clima, fusi orari), riconoscere e trattare alterazioni significative della glicemie - affrontare un programma di trattamento intensivo del diabete e utilizzare nuove tecnologie Nutrizionisti Eseguono consulenze individuali ed interventi educativi di gruppo per promuovere, attraverso l’acquisizione di importanti competenze, comportamenti alimentari salutari. I Nutrizionisti educatori affrontano con il paziente importanti argomenti: la sfida del controllo del peso, la modifica delle scelte alimentari in base alla storia clinica, le lineeguida più aggiornate sulla corretta alimentazione nel diabete Laureati in scienze motorie Preparati a sviluppare e progettare programmi di esercizio rivolti al miglioramento dello stato di salute, aiutano il paziente a definire programmi di allenamento idonei a realizzare obiettivi di peso e di miglioramento dello stato di allenamento. Istruiscono il paziente su come gestire dieta, farmaci ed esercizio fisco, al fine di ottimizzare il controllo glicemico Principi del percorso educativo sostenuto da Joslin 1 The person with diabetes is the center of her/his healthcare team. 2 People living with diabetes make complex self-care decisions everyday. 3 Family and other support systems strongly influence diabetes self-care. 4 People with diabetes learn ideas and concepts that they perceive as important. 5 Learning occurs when the individuals are engaged. 6 Learning is a process that requires reinforcement and flexibility. 7 People living with diabetes make complex self-care decisions everyday. Per realizzare questo obiettivo, ha sempre collaborato con più figure professionali: infermieri educatori, chirurghi e podologi (per la cura degli arti e del piede), patologi (per la descrizione di complicanze) e ostetriche (per la valutazione del rischio di danno fetale in gravidanza). Non a caso, ad oggi il Joslin Diabetes Center si avvale di un team di esperti costituito da nutrizionisti, infermieri educatori e specialisti in attività motoria che lavorano insieme secondo le dinamiche di un team diabetologico, per garantire e coordinare un corretto apprendimento del paziente. Pierpaolo De Feo, Cristina Fatone C.U.R.I.A.MO. Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia Bibliografia: www.joslin.org Joslin’s Diabetes Mellitus, 14th Edition. (Dr. Elliott P. Joslin wrote the first edition of the textbook in 1916, this new edition, edited by C. Ronald Kahn, MD; Gordon Weir, MD; George King, MD; Alan Jacobson, MD; Robert Smith, MD and Alan Moses, MD, has been thoroughly revised and updated by over 120 noted experts from Joslin Diabetes Center and other renowned institutions around the world). Joslin’s Diabetes Deskbook - A Guide for Primary Care Providers, 2nd Edition. Joslin’s Clinical Guidelines for Diabetes – Pocket Edition. 31 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 32 La Triade Terapeutica: “Attività Motoria, Alimentazione e Farmaci” a) Il ruolo dell'attività motoria Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 33 Attività fisica: l’importanza clinica e sociale della sedentarietà e del movimento I livelli di attività fisica nella popolazione Italiana Premessa Lo studio della pratica di attività motoria sta diventando un argomento di estremo interesse per una schiera sempre più ampia di professionisti e sta finalmente assumendo un livello adeguato all’importanza sociale e culturale di questo fenomeno e al suo peso economico nella società italiana. Negli ultimi anni si è iniziato a studiare il “sistema sportivo” del nostro paese, nei suoi aspetti quantitativi e qualitativi (le modalità della pratica, le prestazioni tecnicoagonistiche individuali e di squadra, gli operatori, le società sportive, le federazioni e gli enti, le normative e i regolamenti, gli impianti, le risorse, i mezzi di comunicazione), per riuscire a mettere insieme tutti i tasselli fondamentali di questo sistema e verificarne la bontà. Il “sistema sport”, è ormai opinione diffusa, può essere considerato lo specchio dello sviluppo stesso di un paese: non a caso tutti i paesi, da quelli sviluppati a quelli in via di sviluppo, indipendentemente dalla loro struttura politico-economica, destinano sempre più risorse allo sviluppo della pratica sportiva e dell’attività fisica. Situazione attuale Le indagini multiscopo dell’Istat, che vengono ripetute ad intervalli di tempo regolari, hanno lo scopo non solo di verificare la bontà o meno delle politiche generali in vari settori (e in particolare in quello “dell’attività fisica”), ma anche, e soprattutto, di coglierne le modifiche strutturali e con esse l’emergere di nuove tendenze e nuovi comportamenti di cui tenere debito conto per le politiche future. “I cittadini e il tempo libero” è un’indagine che viene ripetuta ogni cinque anni, ma ulteriormente ampliata da studi di settore e nel territorio, ai quali spetta il compito di approfondire l’analisi su aspetti specifici; “Aspetti della vita quotidiana” analizza ogni anno molteplici aspetti della quotidianità delle famiglie italiane cercando di approfondire le modalità con cui vive la popolazione italiana. Il quadro della popolazione italiana agli inizi del terzo millennio, che emerge dai dati pubblicati dall’Istat nel 2006 tratti dall’indagine Multiscopo Istat “I cittadini e il tempo libero” del 2006, è quello di un Paese diviso in 3 parti (Figura1): il 30,2% per cento pratica sport con continuità o saltuariamente, un altro 28,4% per cento pratica solo attività fisica, mentre gli altri sono del tutto sedentari (41%). In particolare, sono circa 17 milioni 170 mila le persone che dichiarano di praticare uno o più sport: il 20,1% lo fa con continuità, il 10,1% saltuariamente. 16 milioni 120 mila persone, pur non praticando uno sport, svolgono un’attività fisica come fare passeggiate di almeno 2 km, nuotare, andare in bicicletta o altro. I sedentari, ovvero coloro che dichiarano di non praticare sport né attività fisica nel tempo libero, sono oltre 23 milioni e 300 mila. Nel 2009 con “Aspetti della vita quotidiana”, i dati cambiano di poco, il 21,5% della popolazione pratica uno o più sport con continuità, il 9,6% in modo saltuario. Nel complesso la pratica sportiva ha interessato il 31,1 per cento della popolazione di 3 anni e più. Le persone che, pur non praticando un’attività sportiva, hanno dichiarato di svolgere qualche attività fisica (come fare passeggiate per almeno due chilometri, nuotare, andare in bicicletta o altro) sono il 27,7 per cento della popolazione. I sedentari, cioè coloro che non svolgono sport né attività fisica, sono il 40,6%, quota che sale al 44,8% fra le donne e si attesta al Figura 1. Italia divisa in 3 parti 2006 “Cittadini e tempo libero”: 30,2% della popolazione pratica sport con continuità o saltuariamente 28,4% della popolazione pratica solo attività fisica 41% della popolazione è sedentaria 2009 “Aspetti della vita quotidiana”: 31,1% della popolazione pratica sport 27,7% della popolazione pratica solo attività fisica 40,6% della popolazione è sedentaria 33 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 34 36,1% fra gli uomini. I dati di tendenza (disponibili dal 1982 solo per la pratica sportiva continuativa e per la popolazione di 6 anni e più) evidenziano che dopo il calo della pratica registrato tra il 1988 e il 1995, quando la quota di sportivi continuativi è passata dal 23% al 18%, i livelli di partecipazione hanno ripreso a salire. Dal 2003 la quota di popolazione di 6 anni e più che dichiara di praticare sport con continuità risulta sostanzialmente stabile. Rispetto al 2007 si registra un incremento della quota di persone che praticano sport in modo continuativo (dal 20,6 per cento al 21,6 per cento), diminuiscono invece le persone che svolgono solo qualche attività fisica (dal 29,6 per cento al 27,7 per cento). I livelli di pratica sportiva sono molto più alti fra gli uomini: il 25,8 per cento di essi, infatti, pratica sport con continuità e il 12,0 per cento pratica saltuariamente, mentre fra le donne le quote sono decisamente più contenute (17,6 e 7,5 per cento). Tra le donne, però, risulta maggiore la quota di coloro che svolgono qualche attività fisica (il 29,2 per cento rispetto al 26,1 per cento degli uomini). Nel complesso le donne risultano più sedentarie degli uomini: il 44,9 per cento di esse, infatti, ha dichiarato di non praticare sport né attività fisica nel tempo libero a fronte del 35,3 per cento degli uomini. Tra il 1998 e il 2009 aumenta la pratica sportiva in età infantile-adolescenziale: la quota di bambini e i ragazzi tra i 3 e i 17 anni che pratica sport del tempo libero (sia in modo continuativo che saltuario) è passata infatti dal 48,3% al 55,2%. Il 46,3% fa sport in modo continuativo e l’8,9% in modo saltuario. La quota di praticanti è ancora maggiore tra i maschi (60,5% contro il 49,7% delle femmine), ma tra i piccoli di 3-5 anni si riscontra una prevalenza femminile (25,1% contro il 21,6% dei maschi). Le quote più alte di sportivi continuativi si riscontrano nella classe d’età tra i 6 e i 17 anni e in particolare tra gli 11 ed i 14 anni (più del 56 per cento). Praticare sport saltuariamente è invece maggiormente diffuso tra i 15 e i 34 anni. All’aumentare dell’età diminuisce la quota di persone che praticano sport, sia in modo continuativo che saltuario, e aumenta quella di coloro che svolgono qualche attività fisica. Infine, le quote maggiori di sedentari si riscontrano fra le persone anziane, in particolare tra le donne. Oltre il 76 per cento delle donne con 65 anni e più, infatti, si dichiara sedentaria. 34 L’analisi territoriale mostra come la pratica sportiva diminuisca man mano che si scende da Nord verso Sud (Figura 2). Oltre il 24 per cento della popolazione residente nel Nord dichiara di praticare sport con continuità, a fronte del 16 per cento circa della popolazione residente nel Sud e nelle Isole. Nel Nord del Paese la quota di sportivi saltuari supera il 10 per cento, mentre nel Sud scende al 7,3 per cento. Anche per quanto riguarda l’attività fisica le quote maggiori di praticanti si riscontrano al Nord (oltre il 29 per cento), mentre nel Sud e nelle Isole il valore scende sotto il 25 per cento. La divergenza tra nord e sud era già stata denunciata nel 2006, quando si evidenziava che nel Mezzogiorno, oltre il 50% della popolazione non pratica né sport né attività fisica. Riassumendo, nel 2009 più di 23 milioni di persone dichiarano di non praticare sport o attività fisica nel tempo libero, pari al 40% della popolazione di 3 anni e più. Se si escludono i piccolissimi di 3-5 anni, a tutte le età le donne sono più sedentarie degli uomini. Le differenze di genere diminuiscono leggermente tra i 20 e i 54 anni (per effetto della maggiore attività fisica praticata dalle donne) per aumentare di nuovo tra la popolazione con più di 54 anni: in particolare tra gli ultrasettantacinquenni si dichiarano sedentari il 65,8% degli uomini, mentre tra le donne la quota sale all’81,2%. La quota di sedentari è molto bassa fra i più giovani, ma aumenta Figura 2. Analisi territoriale dell’Italia per lo svolgimento di attività motoria Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 35 significativamente al crescere dell’età: a partire dai 65 anni più della metà della popolazione si dichiara sedentaria. I più sedentari sono gli anziani con oltre 75 anni fra i quali oltre il 75% dichiara di non praticare sport né attività fisica nel tempo libero. Le differenze territoriali risultano molto forti: i più sedentari sono maggiormente concentrati al Sud e nelle Isole, dove oltre la metà della popolazione di 3 anni e più non pratica sport né attività fisica nel tempo libero, mentre nel Nord la quota scende sotto il 33%. Le quote maggiori di sedentari si riscontrano tra le persone che possiedono la licenza elementare (54% rispetto al 24,5% dei laureati), tra le casalinghe (58,5%) e i ritirati dal lavoro (52,8%). Tra il 2000 e il 2006 la sedentarietà aumenta in particolare tra i ragazzi dagli 11 ai 14 anni e tra i giovani di 25-34 anni soprattutto per effetto della diminuzione, in queste fasce di età, delle persone che praticano solo qualche attività fisica. Call to action • Individuare le aree geografiche e le fasce di popolazione contraddistinte da stili di vita non salutari, al fine di formulare specifici e settoriali piani di intervento • Promuovere programmi di educazione ad uno stile di vita attivo in età infantile e adolescenziale, con lo scopo di promuovere l’apprendimento di comportamenti salutari che possano mantenersi in età adulta • Progettare e attuare interventi di politiche socio-sanitarie che contrastino la diffusione dei comportamenti a rischio oggi più diffusi (consumo di alcool, sigarette e cibi ipercalorici) Cristina Fatone C.U.R.I.A.MO. Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia Conclusioni Dalle varie analisi condotte sulle abitudini della popolazione italiana, emerge un aumento dell’inattività fisica che, negli ultimi anni, ha interessato un po’ tutte le fasce di età. La maggioranza della popolazione combina insieme stili di vita salutari e non salutari con modalità diverse. Tuttavia esiste un segmento di popolazione che pratica tutti i comportamenti non salutari su tutti i piani: è inattivo, fuma, fa uso eccessivo di alcolici, ha un’alimentazione scorretta. Le politiche socio-sanitarie dovrebbero contrastare la diffusione dei comportamenti a rischio, soprattutto nei confronti dei giovani, tra cui sono sempre più visibili i segnali dell’aumento di stili di vita non salutari (abitudini alimentari poco sane, inattività fisica, obesità, abitudine al fumo e al consumo di alcool). Ciò è tanto più rilevante poiché i comportamenti legati alla salute che si apprendono in età giovanile creano le premesse per uno stile di vita che si mantiene anche in età adulta. Al contrario, l’adozione di comportamenti corretti sin da giovani o addirittura in età preadolescenziale crea i presupposti per un benessere che si mantiene nel tempo. Bibiliografia La vita quotidiana nel 2009 Indagine multiscopo annuale sulle famiglie “Aspetti della vita quotidiana” Anno 2009. “I cittadini e il tempo libero” Indagine multiscopo ISTAT 2006. “Lo sport che cambia” I comportamenti emergenti e le nuove tendenze della pratica sportiva in Italia Argomenti n. 29 – 2005. 35 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 36 Il ruolo dell’attività fisica Premessa Il significato attribuito al termine “Attività fisica” può non essere univoco, ma differentemente interpretato ed esplicitato da un atleta di alto livello agonistico rispetto a chi dedica alla sua pratica solo il proprio tempo libero, o da chi se ne interessa come dirigente o istruttore specializzato. Indipendentemente dalla finalità con cui viene svolta, sia essa ludica, formativa, agonistica, igienico-preventiva o terapeutica, l’attività motoria ha però un unico e indiscutibile significato medico-biologico: costituisce uno dei mezzi più validi per garantire all’organismo uno sviluppo ottimale nella fase di accrescimento, il modo più semplice di rallentare i processi di natura fisica e mentale legati inevitabilmente alla senescenza, un efficace strumento preventivo e terapeutico, nella gestione di tante patologie. L’esercizio fisico costituisce pertanto un’esigenza biologica fondamentale dell’uomo, che ad oggi, e soprattutto nelle società industrializzate, non viene più rispettata. Situazione Attuale Il culto delle attività motorie ha una storia millenaria e l’esercizio fisico, al di là della finalità ludica o agonistica con cui viene svolta, costituisce una delle pratiche terapeutiche più antiche di cui si abbia notizia. Già nel IV secolo a.C. Icco da Taranto, medico greco e antico ginnasiarca, famoso atleta vincitore del pentathlon nella 77a Olimpiade (472 a.C.), ritenuto oggi fondatore della ginnastica medica, sponsorizzava la ginnastica come “mezzo di educazione del fisico e della personalità dell’individuo”. E nei secoli a seguire, numerosi studi, evidenze ed esperienze si sono susseguite e potenziate, permettendo di definire concretamente “la pratica di attività motoria” come elemento insostituibile ed essenziale nel preservare lo stato di salute. Le indicazioni generiche e intuitive del passato si sono così tradotte in linee guida scientificamente validate: oggi, l‘American College of Sport Medicin e l’American Heart Association raccomandano alla popolazione sana, di praticare settimanalmente almeno 150 minuti di attività fisica aerobica di intensità moderata o almeno 60 minuti di attività fisica aerobica di intensità elevata, a cui associare 2 sedute settimanali di attività di forza (o contro resistenza), per aumentare la forza muscolare. In termini pratici tali indicazioni si tradu36 cono nella necessità di dedicare ogni settimana 2 ore e mezzo (o 1 ora se l’impegno è più intenso) del proprio tempo settimanale, allo svolgimento di attività aerobiche (anche dette di resistenza) come il podismo, la marcia, il ciclismo (bici o ciclette), la ginnastica, il nuoto, la danza, senza per forza ricorrere a centri e strutture organizzati o disporre di attrezzature sofisticate. Ma significa anche sfruttare le occasioni offerte dalla vita quotidiana e incrementare il proprio livello di movimento durante lo svolgimento di attività domestiche, riprendendo a fare certi lavori “manualmente”, usando i mezzi più “antichi” per spostarsi (le scale e non l’ascensore, i piedi o la bicicletta e non l’auto per percorrere brevi distanze, il cane per andare a spasso). Per rispettare le indicazioni e mantenere un adeguato e salutare livello di attività fisica, non è necessario quindi realizzare una prestazione da atleti professionisti, ma praticare un regolare e quotidiano (o quasi) incremento dei livelli di attività fisica, privilegiando il più possibile gli spazi pubblici, nella consapevolezza che queste attività costituiscono un’opportunità, sempre a portata di mano, di prevenire malattie croniche e di difendere il proprio stato di salute. Purtroppo, nonostante le forti evidenze scientifiche, in tutti i paesi industrializzati, la crescente diffusione del benessere economico e della meccanizzazione, hanno determinato una progressiva tendenza a ridurre il tempo dedicato al movimento. Le motivazioni sono molteplici, di ordine pratico, sociale e ambientale, ma nella maggior parte dei casi si rileva un irrazionale impiego del tempo libero, una cattiva volontà personale e spesso, soprattutto nelle fasce di popolazione di età media, un atteggiamento rinunciatario nei confronti dell’attività sportiva, giudicata attributo e privilegio dell’età giovanile. Nulla di più sbagliato, sia sul piano biologico che clinico, come dimostrano gli ormai numerosi e approfonditi studi sulla “malattia ipocinetica”, una sindrome definita da Kraus e Raab neI 1961, determinata da mancato o insufficiente esercizio e caratterizzata da molteplici quadri morbosi che riguardano tutte le fasce di età. Conclusioni Nonostante numerose evidenze scientifiche provino che uno stile di vita attivo è condizione essenziale per un pieno benessere psico-fisico, ad oggi si evidenzia la prevalen- Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 37 te diffusione di uno stile di vita caratterizzato da una completa inattività o forte riduzione dei livelli di movimento. L’adozione di uno stile di vita fisicamente attivo è necessariamente una scelta consapevole e deve pertanto essere sostenuta da interventi di natura educativa, sociale e ambientale. Call to action • Realizzare campagne informative ed educative che incentivino scelte consapevoli e che creino un clima sociale e culturale favorevole all’acquisizione di corretti stili di vita • Migliorare le conoscenze degli operatori sanitari sui benefici dell’attività motoria, stimolando la loro capacità di informare e promuovere stili di vita attivi 1. Una regolare attività fisica è necessaria per ottenere un buono stato di salute psico-fisico e migliorare la qualità di vita. 2. La sedentarietà e una cattiva alimentazione predispongono l’insorgenza delle moderne malattie croniche: obesità e diabete di tipo 2. 3. La crescita vertiginosa di obesità e diabete nell’adulto e nel bambino devono essere contrastate, in prima istanza, con la modifica degli stili di vita: alimentazione e attività fisica. 4. Un sano stile di vita (attività fisica regolare e alimentazione corretta), è in grado di prevenire o ritardare l’insorgenza del diabete di tipo 2 ed è un mezzo terapeutico efficace al pari della terapia farmacologica. Nelle persone con diabete di tipo 1 contribuisce, unitamente alla terapia farmacologica, ad un consapevole miglioramento nella gestione del controllo metabolico, del benessere psico-fisico e dell’autostima. 5. Un sano stile di vita prevede l’accumulo giornaliero di almeno 30 minuti di attività fisica di intensità lieve/moderata. 6. Per ottenere maggiori benefici è necessario un impegno complessivo di 60 minuti in attività fisica ad intensità moderata/intensa nell’arco della giornata. 7. Per intraprendere un programma di esercizio sicuro ed efficace, sono fondamentali: una valutazione preliminare da parte del medico, la prescrizione e la supervisione dell’esercizio da parte dell’esperto in attività motoria. 8. Qualora non sussistano controindicazioni, è auspicabile integrare all’esercizio aerobico (ad es. cammino, bicicletta, nuoto) l’esercizio di forza (esercizi con i pesi) unitamente a esercizi per la flessibilità (ginnastica a corpo libero). 9. L’integrazione tra l’attività fisica nel tempo libero e l’esercizio fisico supervisionato e controllato è la condizione ideale per ottenere i massimi benefici. 10. Per trasformare questi principi in azioni è necessaria l’interazione dei principali attori coinvolti nel processo: istituzioni, medici, esperti dell’esercizio, associazioni di persone con diabete ed educatori. • Individuare modalità di riorganizzazione del territorio, attuabili e facilmente proponibili alle amministrazioni locali, che agevolino la messa in atto di scelte salutari Cristina Fatone C.U.R.I.A.MO. Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia L’ATTIVITÀ FISICA È OVUNQUE TU SEI, RICERCALA! Una costante attività fisica prolunga e migliora la qualità della tua vita. 37 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 38 L'attività fisica come modulatore metabolico Premessa L’esercizio fisico costituisce un importante modulatore delle attività metaboliche dell’organismo. L’esercizio prolungato e costante, soprattutto quello aerobico – la camminata spedita della durata di almeno un’ora, ripetuta 34 volte la settimana- è in grado di modificare in maniera specifica la struttura e la funzione delle cellule dei muscoli scheletrici coinvolti, con ripercussioni significative a livello metabolico. Induce inoltre modificazioni biochimiche e molecolari in altri tessuti, determinando adattamenti funzionali a carico dell’intero organismo. A tutt’oggi non si ha ancora una completa e dettagliata conoscenza degli effetti dell’esercizio fisico a livello del muscolo scheletrico e di altri tessuti, mentre risulta ormai indiscutibile l’importanza degli adattamenti morfologici e metabolici indotti dall’esercizio, nei processi fisiologici (come la senescenza) e patologici (come nelle malattie neuro-degenerative e malattie metaboliche croniche). Situazione attuale Tra le modificazioni più significative indotte dall’esercizio fisico aerobico, la biogenesi mitocondriale, con un significativo incremento del numero dei mitocondri, rappresenta uno degli aspetti più importanti. E’ solo per semplificazione che si parlerà di “mitocondri” anziché di “network mitocondriale” dal momento che all’interno della cellula del muscolo scheletrico è possibile distinguere un network mitocondriale sub-sarcolemma e uno intramiofibrillare. La biogenesi mitocondriale può essere definita come la crescita e divisione di strutture mitocondriali pre-esistenti. I mitocondri presentano un proprio DNA mitocondriale circolare, presente in copie, che contiene 37 geni. 13 geni codificano proteine che sono subunità dei complessi I, III, IV e V della catena di trasporto degli elettroni. 22 geni codificano gli RNA transfer e 2 geni gli RNA ribosomiali. In realtà la biogenesi mitocondriale richiede il coinvolgimento di circa 1000-1500 geni, il maggior numero, presenti nel DNA nucleare e solo una piccola parte presenti nel DNA mitocondriale. Pertanto, per una corretta biogenesi mitocondriale è necessario un coordinamento tra l’espressione dei geni nucleari e quelli mitocondriali. E’ evidente che si tratta di un processo complesso che può esse38 re influenzato da stimoli di natura diversa e che oggi è possibile iniziare a comprendere. Tra i principali fattori responsabili della regolazione della biogenesi mitocondriale abbiamo il PGC-1α che è stato scoperto dopo i fattori NRF (fattori respiratori nucleari) 1 e 2 e Tfam (fattore di trascrizione mitocondriale A). Un aumento dell’espressione di PGC-1α nella cellula del muscolo scheletrico è sufficiente per indurre un aumento dei mitocondri e delle fibre di tipo I (1,2). L’interazione di PGC-1α con NRF 1 e 2 influenza in modo significativo l’espressione genica. I siti di legame di NRF1 e 2 sono localizzati sui promotori di molti geni nucleari che codificano proteine mitocondriali come, per esempio, il citocromo c e i componenti dei complessi della catena di trasporto degli elettroni e il fattore di trascrizione mitocondriale A (Tfam). Sulla base delle evidenze scientifiche oggi disponibili è possibile affermare che PGC-1α è responsabile di una coordinata attività di espressione genica sia a livello nucleare che mitocondriale, finalizzata alla biogenesi mitocondriale. Un altro fattore che può influenzare l’attività di PGC- 1α è la p38 MAP chinasi (p38). La fosforilazione di p38 produce una significativa attivazione di PGC-1α (3). Inoltre l’attività di PGC-1α può anche essere regolata da una acetilazione reversibile. La deacetilazione di PGC-1α da parte della sirtuina (SIRT1) è responsabile di una selettiva espressione genica dimostrando che PGC-1α può influire sul controllo dell’espressione genica in modo specifico e distinto (4). Un altro importante fattore coinvolto nelle modificazioni biochimiche indotte dall’esercizio fisico è rappresentato dalla AMPK (AMP chinasi) che è un’enzima sensibile alle variazioni dello stato energetico della cellula e che viene attivato da un aumento del rapporto AMP:ATP. L’utilizzo di ATP nella contrazione muscolare può alterare i normali rapporti ADP:ATP e AMP:ATP, ma è l’aumento di AMP che attiva l’AMPK. L’AMPK è un’enzima eterotrimero costituito da una subunità catalitica e da due subunità regolatrici β e γ. Nella cellula del muscolo scheletrico sono espresse le isoforme α1 e α2 della subunità catalitica e l’isoforma α2 viene attivata, in modo significativo, dall’esercizio fisico (5). L’attivazione della AMPK è poi responsabile di una aumentata attività di PGC-1α (6) dimostrando che questo enzima è un altro importante fattore di regolazione della biogenesi mitocondriale quando il normale equilibrio energetico nella cellula del muscolo scheletrico viene alterato. Nella Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 39 Figura 1. Vie metaboliche coinvolte nella biogenesi mitocondriale (da:Jornayvaz F.R. and Shulman G.I, Essay Biochem. Figura 2. Principali modificazioni metaboliche indotte dall’esercizio fisico nella cellula del muscolo scheletrico 47, 69-84, 2010) (da: Röckl K.S.C, Witezak C.A. and Goodyear L.J, IUBMB Life 60(3), 145-153, 2008) Exercise Training/ Repeated Muscle Contraction AMP:ATP LKB1 Ca2+ Calmodulin calcineurin AMPK CaMKS p38MPK ATF2 ? fiber type transformation Figura1 è rappresentato uno schema che mostra sinteticamente i mediatori e le vie metaboliche, che al momento, sulla base delle più recenti evidenze scientifiche, risultano coinvolti nella biogenesi mitocondriale. Il processo che influenza la struttura del network mitocondriale è estremamente complesso e richiede la fine integrità, strutturale e funzionale, di un sistema di apparati proteici, per veicolare in modo corretto le diverse proteine nei diversi comparti mitocondriali. L’aumento dei mitocondri – indotto dall’esercizio fisico prolungato e costante – determina un aumento dell’efficienza della catena di trasporto degli elettroni e della capacità di sintesi dell’ATP della cellula muscolare, oltre ad un aumento significativo della quantità di DNA mitocondriale. L’esercizio fisico aerobico è responsabile anche di altre significative modificazioni a livello della cellula del muscolo scheletrico, quali l’aumento dei trasportatori del glucosio (GLUT4) e la trasformazione di fibre di tipo II in fibre di tipo I. Un quadro riassuntivo delle modificazioni metaboliche più significative che riguardano la cellula del muscolo scheletrico è riportato nella Figura 2. L’esercizio fisico induce quindi un numero davvero elevato di modificazioni metaboliche, a livello del tessuto muscolare ed extra-muscolare. Le tecniche di studio ad oggi disponibili stanno ampliando in maniera significativa MEF2 mitochondrial biogenes GLUT4 protein expression la loro esplorazione, facendo emergere aspetti fino ad ora sconosciuti. L’utilizzo ad esempio della risonanza magnetica nucleare con il 13C e 31P, ha consentito di valutare “in vivo” la dinamica delle modificazioni metaboliche, con una risoluzione di 1 millisecondo. Questo elevato livello di risoluzione ha permesso di comprendere che molte modificazioni metaboliche esercizio-indotte (l’ultilizzo della fosfocreatina, l’attivazione della glicogenolisi e della glicogenosintesi) avvengono nell’ordine di qualche millisecondo e non in decine di secondi come osservato con le tecniche tradizionali (7). Questo significa che gli eventi a carico delle fibre muscolari, quali: contrazione, rilassamento muscolare ed intervallo tra un evento contrattile e quello successivo, possono ripetersi diverse volte nell’arco di un semplice secondo. Conclusioni Le evidenze scientifiche ad oggi disponibili suggeriscono l’estrema complessità della dinamica dei diversi processi metabolici legati all’esercizio fisico e la necessità di far luce su aspetti ancora poco chiari e sconosciuti. Tuttavia, nonostante queste criticità, è indicutibile il forte legame tra una regolare mancanza di esercizio fisico (sedentarie39 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 40 Figura 3. Effetto del PGC1α sulla infiammazione sistemica cronica (da: Christoph Handschin & Bruce M.Spiegelman, Nature, 454, 463-469, 2008) Repression of FOXO3 activity Increased vascularization Increased ROS detoxification Transcription factor Reduced systemic inflammation Increased mitochondrial and metabolic gene expression Increased ‘exercise’ gene expression Increased neuromuscolarjunction gene expression Chronic exercise Chronic systemic inflammation Inactivity tà) e una maggiore incidenza di malattie croniche moderne (Figura 3) e una significativa riduzione della qualità vita. Un legame che ritrova le sue basi molecolari nel complesso ruolo svolto dal fattore PGC-1α (8). Call to action • Promuovere attività di ricerca che esplorino in maniera sempre più specifica i complessi meccanismi alla base della plasticità del muscolo scheletrico e del suo patrimonio mitocondriale • Diffondere l’uso di metodiche non invasive, meno costose e attendibili, per lo studio del tessuto muscolare “in vivo”, principale effettore dell’esercizio fisico a livello dell’organismo • Implementare l’attività di ricerca per quelle patologie, oggi estremamente diffuse e invalidanti (diabete, insufficienza cardiaca, morbo di parkinson), che riconoscono nella disfunzione mitocondriale dei tessuti, il proprio meccanismo eziopatogenetico, con il fine di raffinare sempre più l’approccio terapeutico Vilberto Stocchi Dipartimento di Scienze Biomolecolari Sezione di Scienze Motorie e della Salute, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” 40 Bibliografia 1. Jornayvaz, R.F. & Shulman, I.G. Regulation of mitochondrial biogenesis. Essay Biochem. 47, 69-84, 2010. 2. Hood, A.D. Mechanisms of exercise-induced mitochondrial biogenesis in skeletal muscle. Appl.Physiol.Nutr.Metab. 34, 465-472, 2009. 3. Akimoto, T., Pohnert, S.C., Li, P., Zhang, M., Gumbs, C., Rosenberg, P.B., et.al. Exercise stimulates Pgc-1alpha transcription in skeletal muscle through activation of the p38 MAPK pathway. J.Biol.Chem. 280, 19587-19593, 2005. 4. Rodgers, J.T., Lerin, C., Haas, W., Gygi, S.P., Spiegelman, B.M., and Puigserver, P. Nutrient control of glucose homeostasis through a complex of PGC-1alpha and SIRT1. Nature, 434, 113-118, 2005. 5. Stephens, H.B., Chen, Z.P., Canny, B.J., Michell, B.J., Kemp, B.E., and McConell, G.K. Progressive increase in human skeletal muscle AMPKalpha2 activity and ACC phosporylation during exercise. Am.J. Physiol.Endocrinol. 282, E688E694, 2002. 6. Irrcher, I., Ljubicic, V., Kirwan , A.F and Hood, D.A. AMPactivated protein kinase-regulated activation of PGC-1alpha promoter in skeletal muscle cells. PloS One. 3, 2008. 7. Shulman, R. G. and Rothman, D. L. The ‘‘glycogen shunt’’ in exercising muscle: A role for glycogen in muscle energetics and fatigue. PNAS, 98, 457-461, 2001. 8. Handschin, C., and Spiegelman, M.B. The role of exercise and PGC1α in inflammation and chronic disease. Nature, 463-469, 2008. Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 41 L'attività fisica e la qualità della vita Situazione attuale L’effetto dei livelli di attività fisica su diverse dimensioni della qualità di vita è stato prevalentemente indagato in popolazioni selezionate rappresentate da soggetti anziani o persone affette da condizioni severe, quali ad esempio patologie tumorali, scompenso cardiaco o broncopatia cronica ostruttiva. In queste condizioni, interventi personalizzati rivolti a promuovere l’attività fisica hanno documentato un effetto positivo sia sul benessere fisico che mentale. Nella popolazione generale, diversi studi hanno evidenziato un impatto favorevole, anche se di moderata entità, dell’attività fisica sulla percezione soggettiva di benessere e sulla funzionalità fisica. La sensazione di “sentirsi bene” è stata riportata in modo consistente e, rappresenta con tutta probabilità un effetto reale, mediato non solo dal miglioramento delle performance fisiche, ma anche da una riduzione dei livelli di stress e di ansia e da un miglioramento della sintomatologia depressiva. Questo effetto positivo è stato riscontrato sia nelle persone che hanno perso peso, sia in quelle che non sono dimagrite, ed è risultato tanto più evidente quanto maggiore era la quantità di attività fisica settimanale svol- Figura 1. Aspetti della qualità della vita e livelli di attività fisica Variazione media punteggio Variazione dei punteggi del questionario SF-36 in relazione al livello di attività fisica svolta da donne in post-menopausa precedentemente sedentarie (Arch Intern Md 2009; 169:269-78). Funzionalità fisica 16 Variazione media punteggio Benessere psichico 16 12 12 8 8 4 4 * * 0 0 -4 -4 Limitazione ruolo per problemi fisici 16 * Limitazione ruolo per problemi emotivi 16 12 12 8 8 4 4 0 0 -4 -4 Variazione media punteggio Uno stile di vita sedentario si associa ad un aumentato rischio di numerose condizioni patologiche quali malattie cardiovascolari, ipertensione, diabete di tipo 2, vari tipi di tumore, osteoporosi, depressione e patologie osteo-articolari. I benefici legati ad un aumento dell’attività fisica nel ridurre queste malattie croniche è stato più volte documentato ed è evidente che l’impatto positivo su queste condizioni patologiche è di per sé sufficiente a determinare una migliore qualità di vita. In ambito sanitario, quando si parla di qualità di vita ci si riferisce generalmente a quegli aspetti di funzionalità fisica, psicologica e sociale che sono direttamente o indirettamente legati allo stato di salute (“health related quality of life”) e quindi potenzialmente modificabili migliorando i risultati della cura. Numerosi studi mostrano che l’esercizio fisico produce benefici sulle diverse aree della qualità della vita, sia attraverso la perdita di peso, sia per un impatto diretto sulla percezione soggettiva dello stato di benessere. ta (Figura 1). Un effetto favorevole dell’attività fisica sulla sintomatologia depressiva è stato inoltre documentato anche in bambini in sovrappeso e in soggetti anziani, risultando quindi ampiamente indipendente dall’età. Variazione media punteggio Premessa 16 12 12 8 8 4 4 0 0 -4 -4 Salute generale 16 Relazioni sociali 16 Dolore fisico * Vitalità 16 * 12 12 * 8 * 8 4 4 0 0 -4 -4 Controllo 4KKW 8KKW 12KKW *P<.05; . P<.01; Controllo 4KKW 8KKW 12KKW . P<.001 In molti studi è stato valutato anche l’impatto dell’esercizio fisico sull’autostima, considerata un importante indicatore di stabilità emotiva e di adattamento alle proprie condizioni di vita, e quindi una componente del benessere psicologico. In generale, l’attività fisica si è dimostrata in grado di modificare in senso positivo la percezione del proprio fisico e della propria identità, sia negli adulti che nei bambini. 41 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 42 Un ulteriore aspetto indagato in rapporto ai livelli di attività fisica è rappresentato dalla qualità del sonno. Anche in questo caso i dati sono suggestivi di un effetto positivo, sia sulla durata che sulla qualità del sonno. Infine, numerosi dati indicano un effetto positivo dell’attività fisica sulla funzionalità sessuale maschile. Infatti, studi condotti su soggetti con problemi della sfera sessuale hanno dimostrato che obesità e stile di vita sedentario rappresentano importanti fattori di rischio, mentre svolgere attività fisica regolare si associa ad una riduzione della severità della disfunzione erettile. Conclusioni Tutti questi dati sottolineano come l’attività fisica possa produrre effetti positivi su un ampio spettro di dimensioni della qualità di vita. Questi effetti, sommati a quelli già ampiamente documentati sui fattori di rischio cardiovascolare, fanno dell’esercizio fisico una delle armi più potenti nella prevenzione delle più importanti malattie croniche e nel miglioramento del senso di benessere fisico e psicologico, sia nelle persone affette da condizioni patologiche che in quelle sane e a tutte le fasce di età. Call to action • Sensibilizzare istituzioni e operatori sull’importanza del benessere psicologico, quale determinante essenziale della condizione di salute, così come definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità • Promuovere programmi di intervento dedicati alla difesa e alla cura di questo aspetto dello stato di salute, soprattutto nei gruppi di popolazione a rischio (anziani e malati cronici) • Utilizzare strumenti standardizzati e convalidati, capaci di esplorare in maniera oggettiva i diversi aspetti dello stato di benessere psico-emotivo di un individuo, soprattutto in ambito sanitario e in quelle realtà in cui “l’esercizio fisico” viene usato come strumento preventivo e terapeutico Antonio Nicolucci Dipartimento di Farmacologia Clinica ed Epidemiologia, Consorzio Mario Negri Sud 42 Bibliografia 1. Gillison FB, Skevington SM, Sato A, Standage M, Evangelidou S. The effects of exercise interventions on quality of life in clinical and healthy populations; a meta-analysis. Soc Sci Med. 2009;68:1700-10. 2. Martin CK, Church TS, Thompson AM, Earnest CP, Blair SN. Exercise dose and quality of life: a randomized controlled trial. Arch Intern Med. 2009;169:26978. 3. Sjösten N, Kivelä SL. The effects of physical exercise on depressive symptoms among the aged: a systematic review. Int J Geriatr Psychiatry. 2006;21:410-8. 4. Petty KH, Davis CL, Tkacz J, Young-Hyman D, Waller JL. Exercise effects on depressive symptoms and selfworth in overweight children: a randomized controlled trial. J Pediatr Psychol. 2009;34:929-39. 5. Zanuso S, Balducci S, Jimenez A. Physical activity, a key factor to quality of life in type 2 diabetic patients. Diabetes Metab Res Rev;25 Suppl 1:S24-8. 6. Hannan JL, Maio MT, Komolova M, Adams MA. Beneficial impact of exercise and obesity interventions on erectile function and its risk factors. J Sex Med. 2009;6 Suppl 3:254-61. Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 43 L'esercizio fisico supervisionato e strutturato L'esercizio fisico come strumento di prevenzione del diabete mellito di tipo 2 Premessa Gli studi che utilizzano l’esercizio fisico quale strumento di prevenzione del diabete mellito sono limitati a soggetti con intolleranza ai carboidrati: mancano studi di intervento in soggetti con sola obesità o con altre patologie a rischio di diabete. Nella maggior parte degli studi l’intervento ha riguardato lo stile di vita combinando l’esercizio fisico con la dieta; solo due studi, limitati alla popolazione cinese, hanno esaminato gli effetti isolati dell’esercizio fisico. Situazione attuale I primi studi di intervento sugli effetti dell’attività fisica nella prevenzione del diabete mellito risalgono agli inizi degli anni 90 (1-3). Caratteristica comune di questi primi tre studi era la mancanza di un disegno sperimentale randomizzato e controllato. Malgrado questo difetto del disegno sperimentale tutti e tre gli studi hanno raggiunto simili conclusioni. Esemplificativi sono a riguardo i risultati del Malmo Study (1): l’intervento (dieta ed attività fisica) migliorava significativamente la VO2max e riduceva il BMI ed l’incidenza di nuovi casi di diabete di circa il 60% in 181 uomini con intolleranza ai carboidrati nel corso dei sei anni dello studio (1). A partire dal Da Qing Study (4) del 1997 sono stati eseguiti diversi studi randomizzati e controllati sull’effetto che una modifica dello stile di vita che includeva l’esercizio fisico ha sull'incidenza di diabete in soggetti con intolleranza ai carboidrati. Il secondo studio di intervento di questo tipo è il Finnish diabetes prevention study eseguito in 522 uomini e donne finlandesi con intolleranza ai carboidrati e pubblicato nel 2001 (5). Il 3° studio è quello con la casistica più numerosa: pubblicato nel 2002, il Diabetes Prevention Program (DPP) (6), è un trial clinico multicentrico (3234 partecipanti in 27 centri negli USA) che aveva l’obiettivo di determinare se un intervento farmacologico (metformina) o la modifica dello stile di vita erano in grado di ridurre l’incidenza di nuovi casi di diabete in soggetti con intolleranza ai carboidrati. I risultati degli studi di intervento su stile di vita dieta ed esercizio fisico, solo dieta o solo esercizio, sono riassunti dalla metanalisi di Gillies et al, (7) e riportati in figura. Come si vede l’intervento che combina dieta ed esercizio riduce del 50% la comparsa di diabete in soggetti con intolleranza ai carboidrati. I soli due studi (entrambi condotti in Cina) in cui è stato analizzato singolarmente l’effetto dell’esercizio fisico dimostrano lo stesso effettoanche se la numerosità del campione non è tale da poter trarre conclusioni definitive. Ad una conclusione simile ai risultati riportati dalla metanalisi di Gillies et al. perviene la Cochrane review sistematica di L. Orozco et al (8) che ha incluso nell’analisi 8 studi randomizzati e controllati con un braccio di esercizio più dieta (2241 soggetti) ed un braccio di raccomandazioni standard (2509 soggetti). Gli interventi combinati riducevano del 43% il rischio di diabete e avevano anche effetti significativi su peso, BMI e circonferenza vita. Altri benefici riguardavano la riduzione della pressione arteriosa sistolica e diastolica (-4 e Study Diet Hazard ratio ( 95% Cl) Hazard ratio ( 95% Cl) Da Qing 1997w22 0.64 (0.41 to 0.99) Jarret 1979 w2 0.85 (0.40 to 1.81) Wein 1999 w35 0.63 (0.35 to 1.14) Pooled effect 0.67 (0.49 to 0.92) Exercise Da Qing 1997 w22 0.53 (0.34 to 0.82) Tao 2004 w21 0.30 (0.10 to 0.93) Pooled effect 0.49 (0.32 to 0.74) Die and exercise Da Qing 1997 w22 DPP 2002 w23 DPS 2003 0.61 (0.39 to 0.95) 0.42 (0.34 to 0.52) w25 Fang 2004 0.40 (0.26 to 0.61) w19 0.75 (0.35 to 1.60) IDDP 2006 w39 Kosaka 2005 Liao 2002 w29 0.62 (0.42 to 0.92) w27 0.29 (0.09 to 0.94) 0.52 (0.05 to 5.69) Pooled effect 0.49 (0.40 to 0.59) Overall pooled effect 0.51 (0.44 to 0.60) 1 0 Favours intervention 2 3 Favours control 43 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 44 -2 mmHg, rispettivamente) mentre gli effetti sui lipidi erano modesti o assenti. Il solo esercizio fisico, in questa review sistematica, non mostra benefici rispetto al gruppo di controllo nel prevenire il diabete a causa dello scarso numero di soggetti. In conclusione, il miglioramento dello stile di vita riduce l’incidenza del diabete mellito di tipo 2 di circa il 50% in soggetti con intolleranza ai carboidrati. Data l’incerta evidenza dell’effetto del solo esercizio fisico è opportuno prevenire il diabete combinando l’esercizio fisico con l’intervento nutrizionale. Il follow-up dello studio Finnish diabetes prevention study ha dimostrato, anche dopo anni dalla sospensione del protocollo intensivo, la persistenza dei benefici dell’intervento sullo stile di vita, in termini di prevenzione di nuovi casi di diabete tipo 2. In tale studio, nel follow-up a 3,5 anni si ottiene, nel gruppo di intervento, una riduzione del 39% del rischio di nuovi casi di diabete (dato significativo) (9). Questi risultati sono confermati dal follow-up dello studio Da Qing, in cui è stata dimostrata la persistenza dei benefici dell’intervento sullo stile di vita addirittura a distanza a 20 anni. In tale studio il gruppo di pazienti con intervento combinato sullo stile di vita (dieta e esercizio fisico) ha ottenuto una riduzione dell’incidenza di diabete del 51% ([HRR] 0·49; 95% IC 0·33–0·73) nel periodo attivo dell’intervento (4 anni) e del 43% (0·57; 0·41–0·81) nel follow-up di 20 anni. La media annuale di incidenza del diabete era del 7% per il gruppo di intervento rispetto all’11% del gruppo di controllo, con un’incidenza cumulativa di diabete durante i 20 anni di follow-up rispettivamente dell’80% e del 93% (10). Conclusioni L’esercizio Fisico inserito in un intervento combinato con la dieta, riduce del 50-60% il rischio di comparsa di diabete nelle persone con intolleranza ai carboidrati. Rispetto agli interventi di prevenzione del diabete con i farmaci, l’esercizio fisico e la modifica dello stile di vita hanno dimostrato di mantenere il benficio anche dopo la sospensione dell’intervento. Nonostante sia stata ampiamente dimostrata l’utilità dell’esercizio fisico come strumento di prevenzione, continua ad essere 44 problematica l’applicazione delle raccomandazioni per integrare l’esercizio fisico in un intervento globale sullo stile di vita. Call to action • È necessario realizzare programmi di prevenzione del diabete di tipo 2 con l’uso dell’esercizio fisico nelle popolazioni ad alto rischio • Data l’incerta evidenza dell’effetto del solo esercizio fisico è opportuno prevenire il diabete combinando l’esercizio fisico con l’intervento nutrizionale • Bisogna validare e analizzare il rapporto costo/beneficio di interventi multidisciplinari di prevenzione del diabete di tipo 2 di tipo che includono come strategie: esercizio fisico, aspetti nutrizionali e aspetti psicologici Pierpaolo De Feo C.U.R.I.A.MO. Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia Bibliografia 1. Eriksson, KF, Lindgarde, F. Prevention of type 2 (non-insulindependent) diabetes mellitus by diet and physical exercise. The 6-year Malmo feasibility study. Diabetologia 34:891, 1991. 2. Page RCL, Harden KE, Cook JTE et al. Can life-styles of subjects with impaired glucose tolerance be changed ? A feasibility study. Diabet Med 9: 562-566, 1992. 3. Bourn DM, Mann JI, McSkimming BJ, et al. Does a life-style intervention program have an effect? Diabetes Care 17: 1311-1319, 1994. Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 45 4. Pan XR, Li GW, Hu YH, et al. Effects of diet and exercise in preventing NIDDM in people with impaired glucose tolerance. The Da Qing IGT study. Diabetes Care 20:537, 1997. 5. Tuomiletho J, Lindstrom J, Eriksson JG, Valle TT, Hamalainen H, Ilanne-Parikka P, Keinanen-Kiuaanniemi S, Laasko M, Louheranta A, Rastas M, Salminen V, Uusitupa M: Prevention of type 2 diabetes mellitus by changes in lifestyle among subjects with impaired glucose tolerance. N Engl J Med 344: 1343-50, 2001. 6. Diabetes Prevention Program Research Group: Reduction in the incidence of type 2 diabetes with lifestyle intervention or metformin. N Engl J Med 346: 393-403, 2002. 7. C.L. Gillies et al. Pharmacological and lifestyle interventions to prevent or delay type 2 diabetes in people with impaired glucose tolerance: systematic review and meta-analysis. Br. Med. J. 19 gennaio 2007. 8. Orozco LJ, Buchleitner AM, Gimenez-Perez G, Roqué i Figuls M, Richter B, Mauricio D. Exercise or exercise and diet for preventing type 2 diabetes mellitus (Review) Cochrane Database Syst Rev. 2008 Jul 16. 9. Lindström J, Ilanne-Parikka P, Peltonen M et al. Sustained reduction in the incidence of type 2 diabetes by lifestyle intervention: follow-up of the Finnish Diabetes Prevention Study. Lancet. 2006 Nov 11;368(9548):1673-9. 10. Li G, Zhang P, Wang J, et al. The long-term effect of lifestyle interventions to prevent diabetes in the China Da Qing Diabetes Prevention Study: a 20-year follow-up study. Lancet 2008; 371: 1783– 1789. 45 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 46 L'esercizio fisico come strumento di terapia del diabete mellito di tipo 2 Premessa In letteratura, negli ultimi anni sono stati prodotti dati riguardo agli effetti pleiotropici dell’esercizio fisico sulla riduzione del rischio cardiovascolare, dell’ obesità viscerale, della pressione arteriosa, dei markers di infiammazione cronica e della trigliceridemia. Inoltre, studi di associazione hanno dimostrato una forte correlazione tra l’intensità dell’esercizio fisico, in termini di dispendio energetico, e riduzione del rischio cardiovascolare. Ulteriori studi di associazione hanno dimostrato una correlazione inversa tra stato di forma fisica in soggetti sani, obesi o con DMT2 e mortalità per tutte le cause. Infine, alcuni studi indicano che l’esercizio fisico migliora non solo lo stato di forma fisica ma anche la qualità della vita. Dati preliminari molto interessanti sui benefici dell’esercizio fisico vengono dalla recente esperienza del modello terapeutico multidisciplinare del CURIAMO. L’intervento combinato con nutrizione, supporto psicologico e tre mesi di attività fisica aerobica e di allenamento alla forza muscolare ha prodotto nei primi 79 pazienti con diabete mellito di tipo 2 significativi miglioramenti dell’ emoglobina glicosilata (nel grafico cerchio rosso prima, verde 3 mesi dopo), associati ad una riduzione della quantità di Situazione Attuale Due importanti studi di intervento con l’esercizio fisico nel diabete di tipo 2 sono stati condotti in Italia, dimostrandone i benefici. I soggetti coinvolti sono stati sottoposti ad adeguati programmi di attività fisica che hanno comportato una riduzione dell’utilizzo di farmaci (con diminuzione delle spese farmaceutiche e socio-sanitarie) ed un miglioramento di diversi parametri antropometrici, metabolici e clinici. Il primo studio è stato eseguito a Perugia (1,2) utilizzando come esercizio fisico l’attività motoria all’aperto ed in particolare il camminare. Il secondo, l’Italian Diabetes Exercise Study (IDES), è stato uno studio multicentrico che ha valutato i benefici dell’esercizio fisico strutturato e supervisionato in palestra (3,4). Di quest’ultimo vengono riportati i risultati in dettaglio nel seguente capitolo. Lo studio di Perugia ha dimostrato che è possibile convincere circa il 70% delle persone sedentarie con diabete mellito di tipo 2 a praticare regolarmente l’attività fisica e che il solo camminare 4-5 km al giorno, tutti i giorni, determina in questi soggetti la diminuzione della pressione arteriosa sistolica di 7-9 mmHg, della circonferenza vita di 4-5 cm e del peso di 3 kg, della glicemia a digiuno del 20%, dell’emoglobina glicosilata di un punto percentuale, della trigliceridemia del 30%. Conseguentemente, il rischio d’infarto nei successivi 10 anni è stato ridotto del 20%. 46 farmaci necessari per la cura del diabete (nel grafico DDD = Daily Defined Dose). Simili benefici si sono stati osservati anche per il controllo pressorio con riduzione delle DDD dei farmaci anti-ipertensivi e parallela e significativa riduzione della pressione arteriosa massima e minima. La letteratura scientifica dimostra che i vantaggi dell’uso dell’esercizio fisico come strumento terapeutico vanno oltre la semplice riduzione del peso e della glicemia e attraverso gli effetti pleiotropici dell’attività motoria finiscono per ridurre la mortalità. Su questo dato non abbiamo prove dirette da studi di intervento, ma sono stati prodotti risultati convincenti e concordanti mediante studi epidemiologici prospettici. Un recente lavoro di P. Kokkinos et al., eseguito in oltre 3000 soggetti con diabete mellito di tipo 2, dimostra come lo stato di forma fisica, valutato mediante test da sforzo cardiovascolare, è Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 47 • Combinare l’esercizio-terapia con l’intervento nutrizionale ed il supporto motivazionale e psicologico per ottenere benefici a lungo termine • Promuovere la diffusione sul territorio nazionale di centri multidisciplinari per la modifica dello stile di vita nelle persone con obesità e diabete mellito di tipo 2 Pierpaolo De Feo C.U.R.I.A.MO. Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia Bibliografia fortemente predittivo del rischio di morte da tutte le cause nei 7 anni successivi all’esecuzione del test. Conclusioni La validità dell’esercizio fisico come terapia delle persone con diabete mellito di tipo 2, con e senza trattamento farmacologico, è chiaramente dimostrata. Per questo motivo tutte le linee guida delle società scientifiche diabetologiche inseriscono la modifica dello stile di vita (esercizio e dietoterapia) come primo intervento terapeutico nel diabete mellito di tipo 2, da continuare sempre. I vantaggi dell’esercizio fisico per le persone con diabete di tipo 2 vanno al di là del miglioramento del controllo glicemico e includono una riduzione del rischio cardiovascolare e il miglioramento della qualità della vita; inoltre, si produce anche ad una riduzione dei costi per il servizio sanitario nazionale. Call to action • Diffondere nell’ambito diabetologico l’uso dell’esercizio fisico come strumento terapeutico aumentando la consapevolezza dei diabetologici su questa risorsa, poco utilizzata 1. Di Loreto C, Fanelli C, Lucidi P, et al. Validation of a counseling strategy to promote the adoption and the maintenance of physical activity by type 2 diabetic subjects. Diabetes Care 2003; 26:404–8. 2. Di Loreto C, Fanelli C, Lucidi P, et al. Make your diabetic patients walk: long-term impact of different amounts of physical activity on type 2 diabetes. Diabetes Care 2005, 28:1295-302. 3. Balducci S, Zanuso S, Massarini M, et al. The Italian Diabetes and Exercise Study (IDES):Design and methods for a prospective Italian multicentre trial of intensive lifestyle intervention in people with type 2 diabetes and the metabolic syndrome. Nutr Metab Cardiovasc Dis e-pub Nov 29, 2007. 4. Stefano Balducci, MD; Silvano Zanuso, PhD; Antonio Nicolucci, MD; Pierpaolo De Feo, MD, PhD; Stefano Cavallo, MD; Patrizia Cardelli, MD; Sara Fallucca, PhD; Elena Alessi, MD; Francesco Fallucca, MD; and Giuseppe Pugliese, MD, PhD; for the Italian Diabetes Exercise Study (IDES) Investigators . Effect of an intensive exercise intervention strategy on modifiable cardiovascular risk factors in type 2 diabetic subjects. A Randomized Controlled Trial: The Italian Diabetes and Exercise Study (IDES). Archives of Internal Medicine, 2010. 5. Peter Kokkinos, Jonathan Myers, Demosthenes Panagiotakos, Athanasios Manolis, Andreas Pittaras, Marc Blackman, Roshney Jacob-Issac, Charles Faselis, Joshua Abella, Steven Singh. Exercise Capacity and All-Cause Mortality in African American and Caucasian Men with Type 2 Diabetes. Diabetes Care 32:623–628, 2009. 47 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 48 Lo studio Italiano IDES: Italian Diabetes and Exercise Study Premessa L’IDES rappresenta ad oggi lo studio di intervento di maggiore numerosità e di più lunga durata in pazienti diabetici di tipo 2 con sindrome metabolica, disegnato con il fine di valutare l’efficacia dell’ esercizio fisico sui fattori di rischio cardiovascolare modificabili. A tutt’oggi i trials clinici che hanno dimostrato l’efficacia dell’esercizio sulla riduzione dell’ HbA1C hanno tendenzialmente utilizzato programmi di esercizio supervisionato e i più promettenti sembrano essere quelli che hanno utilizzato l’allenamento combinato (Aerobico + Forza). Nello studio DARE, Sigal et al. (2007) hanno dimostrato che l’allenamento combinato rappresenta attualmente la miglior forma di esercizio fisico per il miglioramento del controllo glico-metabolico in pazienti diabetici di tipo 2. Situazione Attuale In letteratura gli interventi di counselling strutturato all’attività fisica e l’uso dell’esercizio fisico combinato, hanno entrambi dimostrato una superiore efficacia rispetto al trattamento convenzionale. Lo studio IDES ha avuto quindi l’obiettivo di valutare l’efficacia dell’associazione dei due tipi di intervento, rispetto ad un gruppo di controllo trattato con un intervento di counselling strutturato, anziché un gruppo di controllo sedentario. Gli Outcome perseguiti sono stati: outcome primario: riduzione dell’ HbA1c; outcome secondari: a - Fattori di rischio cardiovascolare modificabili tradizionali (trigliceridi, colesterolo HDL e LDL, pressione arteriosa diastolica e sistolica, BMI e circonferenza vita) e non tradizionali (markers infiammatori); b – Benessere Psico-Fisico; c – Spesa farmaceutica. Sono stati reclutati 606 pazienti da 22 centri per la cura del diabete, omogeneamente distribuiti sul territorio nazionale. I principali criteri di inclusione erano: diabete di tipo 2, circonferenza vita superiore a 94 cm per i maschi e 80 cm per le femmine, 48 più almeno due fattori di rischio per la sindrome metabolica secondo i crtiteri IDF. I pazienti arruolati sono stati randomizzati in un gruppo di intervento (EXE), che effettuava un Esercizio fisico combinato, prescritto, supervisionato e controllato, associato ad un programma di counselling strutturato, e in un gruppo di controllo (CON), che effettuava solamente un programma di counselling strutturato. Per entrambi i gruppi la durata dello studio è stata di 12 mesi (Figura 1). Figura 1. Diagramma di flusso Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 49 Tra i due gruppi, EXE e CON, al baseline non vi erano differenze statisticamente significative (Tabella 1). Tabella 1. Caratteristiche al baseline dei gruppi EXE e CON Sesso, % (M/F) Età, anni EXE CON P* 59/41 57/43 0.56 58.8±8.6 58.8±8.5 0.99 Fumo, % 0.48 Mai 63.4 65.0 Ex Fumatore 18.2 14.5 Fumatore 18.5 19.5 Ereditarietà per il diabete, % 65.7% 67.7 % 0.61 Durata dell malattia, anni 6 (3-10) 6 (3-10) 0.2 Infarto del Miocardio 19 (6.3) 17 (5.6) 0.86 Rivascolarizzazione Coronarica 15 (5.0) 14 (4.6) 0.85 Ulcera piede diabetico 13 (4.3) 13 (4.3) 1.0 Retinopatia Background 49 (16.2) 46 (15.2) 0.82 Microalbuminuria 49 (19.6) 62 (23.5) 0.32 Macroalbuminuria 11 (4.4) 4 (1.5) 0.09 Complicanze Croniche, n (%) * Student t-test per le variabili distribuite normalmente, MannWhitney U-test per le variabili continue non-normalmente distribute, χ2 test per le variabili categoriche. Tutti i pazienti sono stati valutati per parametri ematochimici e di physical fitness al baseline e dopo 12 mesi, mentre per il gruppo EXE anche a 3, 6 e 9 mesi. La fitness cardiorespiratoria (VO2max) è stata valutata con metabografo durante un test incrementale sub-massimale eseguito al treadmill. La forza massima è stata calcolata con il test delle massime ripetute eseguito per tre diversi gruppi muscolari (Arti Inferiori, Pettorali, Dorsali). La flessibilità della muscolatura della catena cinetica posteriore è stata valutata mediante un bending test standard eseguito dalla posizione eretta. Il programma di esercizio fisico combinato, prevedeva due sessioni settimanali della durata di 75 minuti sotto la supervisione di un Operatore di Fitness Metabolica. Il programma prevedeva 40 minuti di esercizio aerobico (Intesità compresa tra 55-70% della VO2max) e 35 minuti di esercizio di forza (Intesità compresa tra 60-80% di 1 Ripetizione Massimale). L’Exercise counselling prevedeva per entrambi i gruppi, un programma strutturato in sette step: motivazione, auto-efficacia, piacere, supporto, comprensione, mancanza di impedimenti e compilazione del diario. E’ stato calcolato il Volume totale di attività fisica eseguita da ogni paziente, convertendo sia l’esercizio fisico supervisionato che l’attività fisica non supervisionata in equivalenti metabolici (METs). La conversione dell’esercizio in METs è stata effettuata utilizzando le equazioni dell’American College of Sports Medicine. La conversione dell’attività fisica volontaria in METs invece, è stata effettuata utilizzando il questionario Minnesota Leisure Time Physical Activity, che fornisce appropriati e specifici valori in METs per le attività effettuate. Il gruppo EXE ha accumulato mediamente 20.0 METs .h-1.settimana-1 mentre il gruppo di controllo 10.0 METs .h-1.settimana-1. Da notare che i METs accumulati dal gruppo CON, dimostratosi particolarmente attivo per l’attività di counselling seguita, corrispondono alle raccomandazioni minime riportate dalle linee guida attuali (150 min/settimanali di attività fisica ad intensità compresa tra 3 e 5.9 METs) (Figura 2). Figura 2. Confronto tra il volume totale di attività accumlato dai pazienti dell’IDES e le raccomandazioni correnti 49 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 50 La valutazione dell’outcome primario dello studio (riduzione dell’ HbA1c) ha evidenziato un migliore risultato nel gruppo EXE, rispetto al gruppo CON (Figura 3). Per i parametri di attività fisica e di Physical Fitness, il gruppo EXE ha evidenziato miglioramenti più significativi. Inoltre il gruppo EXE ha accumulato un volume di attività fisica non supervisionata superiore a quella del gruppo CON come probabile effetto dell’ interazione tra il counselling strutturato ad opera del Diabetologo e il costante rinforzo del messaggio da parte dell’operatore di fitness metabolica (Tabella 2). Figura 3. HbA1c al baseline e dopo 12 mesi in entrambi i gruppi Tabella 2. Parametri di Attività fisica e Physical Fitness CON Baseline CON 12 mesi P* EXE Baseline EXE 12 mesi P* Mean difference (95% CI) P # EXE vs. CON Non Supervisionata 0.76±1.5 10.0±8.7 <0.0001 0.73±1.8 12.5±7.4 <0.0001 2.47 (1.1;3.8) <0.0001 Supervisionata - - - - 7.6±2.8 - - Totale 0.76±1.5 10.0±8.7 <0.0001 0.73±1.8 20.0±9.0 <0.0001 10.0 (8.6;11.5) <0.0001 25.9±7.0 27.5±6.8 <0.0001 25.9±5.4 30.4±5.8 <0.0001 2.8 (2.1;3.5) <0.0001 Arti superiori 39.7±15.7 39.1±15.6 0.94 40.2±16.3 51.0±19.0 <0.0001 11.0 (9.5;12.5) <0.0001 Arti inferiori 104.0±69.5 102.3±65.9 0.12 108.0±64.5 139.8±72.8 <0.0001 30.8 (25.1;35.6) <0.0001 Flessibilità, Cm 11.2±9.6 10.1±10.3 <0.0001 12.5±9.9 6.7±9.4 <0.0001 -4.6 (-5.7;-3.6) <0.0001 ATTIVITA’ FISICA METs . h-1 . wk-1 VO2max, ml/Kg/min FORZA, Kg 50 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 51 Tutti i parametri glico-metabolici sono migliorati significativamente nel gruppo EXE, mentre nel gruppo CON sono migliorati in maniera statisticamente significativa solo la circonferenza vita, la pressione arteriosa sisto-diastolica, il colesterolo totale e LDL. Il miglioramento di tutti i parametri glico-metabolici nel gruppo EXE ha consentito di ottenere una riduzione statisticamente significativa del rischio coronarico fatale e non fatale, calcolato con l’UKPDS score (Tabella 3). Tabella 3. Parametri glico-metabolici e UKPDS risk score CON Baseline CON 12 mesi P* EXE Baseline EXE 12 mesi P* Mean difference (95% CI) P # EXE vs. CON Glicemia, mg/dl 150±52 140±47 0.005 145±49 135±42 <0.0001 -0.68 (-9.4;8.1) 0.88 HbA1c % 7.15±1.4 7.02±1.2 0.48 7.12±1.4 6.70±1.1 <0.0001 -0.30 (-0.49;-0.10) <0.0001 Insulinemia, µU/ml 12.8±8.6 12.9±6.9 0.06 12.4±8.1 11.3±7.4 0.001 -1.18 (-2.36;0.0) <0.0001 HOMA-IR 4.8±3.9 4.5±3.1 0.29 4.5±3.6 3.8±2.9 <0.0001 -0.36 (-0.94;0.22) 0.05 BMI, Kg/m 31.9±4.6 31.7±4.5 0.20 31.2±4.6 30.3±4.4 <0.0001 -0.78 (-1.07;-0.49) <0.0001 Circonferenza vita cm 105.1±11.0 104.8±10.9 0.04 105.2±11.8 101.3±11.4 <0.0001 -3.6 (-4.4;-2.9) <0.0001 Pressione Arteriosa Sistolica, mmHg 142±18 138±16 0.001 140±18 132±14 <0.0001 -4.2 (-6.9;-1.6) 0.002 Pressione Arteriosa Diastolica, mmHg 85±10 83±9 0.02 84±10 80±8 <0.0001 -1.7 (-3.3;-1.1) 0.03 Colesterolo, mg/dl 201±34 188±36 <0.0001 199±32 181±35 <0.0001 -5.3 (-12.0;1.4) 0.12 2 Trigliceridi, mg/dl 139±81 141±74 0.11 131±97 132±82 0.20 -6.7 (-14.4;11.8) 0.85 HDL, mg/dl 45.8±10.5 45.6±10.0 0.65 44.9±11.4 48.4±11.9 <0.0001 3.7 (2.2;5.3) <0.0001 LDL, mg/dl 128±34 114±33 <0.0001 129±31 106±29 <0.0001 -9.6 (-15.9;-3.3) 0.003 Rischio a 10 anni (UKPDS) di avere un evento coronarico, % NON FATALE 18.5±12.2 17.8±12.0 0.08 19.5±13.3 15.8±10.4 <0.0001 -3.1 (-4.2;-2.0) <0.0001 FATALE 12.1±10.3 11.9±10.2 0.82 12.8±11.1 10.2±8.5 <0.0001 -2.4 (-3.3;-1.5) <0.0001 Nel gruppo CON, nell’ arco dei 12 mesi, si è evidenziato un aumento significativo del numero dei pazienti trattati con OHA (Glinidi e Thiazolidinedioni), con Insulina o in terapia combinata; lo stesso trend si è evidenziato per i farmaci Anti-Ipertensivi, Ipolipemizzanti e Anti aggreganti/coagulanti. Nel gruppo EXE vi è stato un aumento significativo solo del numero dei pazienti trattati con i Thiazolidinedioni e le Statine. Dividendo l’ intero gruppo (EXE+CON) in quintili di volume di attività fisica accumulata nel corso dell’anno, è emersa una chiara relazione indiretta, dose/risposta, tra la quantità di attività fisica accumulata e il rischio di evento coronarico: I quintile = aumento del rischio coronarico; II quintile = diminuzione non significativa del rischio coronarico; III , IV e V quintile = diminuzione significativa del rischio coronarico. Da notare che nel V quintile, a fronte di un volume importante di attività fisica accumulata (29.3 METs), si assiste ad una trascurabile diminuzione del rischio (0.1) rispetto al IV quartile (Figura 4). 51 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 52 Figura 4. Riduzione del rischio di evento coronarico (10 anni UKPDS risk score) in rapporto ai quintili di volume di attività fisica (METs . h-1 . week-1) Conclusioni I risultati di questo studio ci permettono di concludere che l’esercizio fisico supervisionato e strutturato, che combina attività aerobica ed esercizio di forza, associato ad un incremento dell’attività fisica volontaria, determina risultati migliori (in termini di controllo glicemico, rischio cardio-vascolare e costi legati all’uso di farmaci), rispetto al solo incremento dell’attività volontaria. Call to action Confrontando i gruppi EXE e CON, dopo averli normalizzati per volume di attività fisica rispetto al rischio di evento coronarico NON FATALE-FATALE (10 anni UKPDS risk score), si è evidenziato come la riduzione del rischio nel gruppo EXE, rispetto al gruppo CON, sia statisticamente significativa. Risultato che potrebbe essere giustificato dall’azione sinergica positiva dell’esercizio fisico combinato (EXE), rispetto alla sola attività fisica aerobica non supervisionata (CON) (Figura 5). Figura 5. Riduzione del rischio di evento coronarico NON FATALE-FATALE (10 anni UKPDS risk score) nel gruppo EXE vs CON, normalizzato per volume di attività fisica 52 • Attuare programmi di esercizio fisico supervisionato e strutturato, associato ad un’accurata applicazione di interventi di counselling volti all’incremento dell’attività fisica volontaria, nella gestione terapeutica del diabete mellito di tipo 2 • Stimolare rapporti di collaborazione tra centri di diabetologia e centri sportivi specializzati nell’uso dell’ esercizio fisico come trumento terapeutico • Sviluppare progetti e attività di ricerca per definire, in termini di economia sanitaria, la bontà di programmi di intervento innovativi sulla modifica dello stile di vita dei soggetti diabetici Stefano Balducci Associazione Fitness Metabolica Dipartimento di Scienze cliniche, Ospedale Sant’Andrea, Divisione di Diabetologia Università La Sapienza di Roma Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 53 IDES: Key Point KEY POINT 1 L’esercizio fisico combinato associato all’attività fisica volontaria, è superiore alla sola attività fisica volontaria nel ridurre l’emoglobina glicosilata e il rischio CV KEY POINT 2 Bibliografia 1. Sigal RJ, Kenny GP, Boulé NG, et al. Effects of aerobic training, resistance training, or both on glycemic control in type 2 diabetes: a randomized trial. Ann Intern Med 2007; 147:357-69. 2. Balducci S, Zanuso S, Massarini M, et al. The Italian Diabetes and Exercise Study (IDES): Design and methods for a prospective Italian multicentre trial of intensive lifestyle intervention in people with type 2 diabetes and the metabolic syndrome. Nutr Metab Cardiovasc Dis e-pub Nov 29, 2007. 3. Di Loreto C, Fanelli C, Lucidi P, et al. Validation of a counseling strategy to promote the adoption and the maintenance of physical activity by type 2 diabetic subjects. Diabetes Care 2003; 26:404–8. Il solo counseling pur incrementando il volume di attività fisica a valori consigliati dalle linee guida attuali non determina riduzioni statisticamente significative del rischio CV KEY POINT 3 L’esercizio fisico combinato associato ad attività fisica volontaria, consente una ottimizzazione dell’ uso dei farmaci con conseguente risparmio di spesa KEY POINT 4 Esiste una relazione indiretta dose/risposta tra la quantità di attività fisica accumulata e il rischio di evento coronarico 53 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 54 Un nuovo approccio organizzativo assistenziale: il team multidisciplinare a supporto del centro diabetologico Il ruolo dello specialista in medicina dello sport Premessa La Federazione Medico Sportiva Italiana, tra le Federazioni Sportive del CONI, rappresenta la Società Scientifica di Medicina dello Sport, riconosciuta dagli organismi e dalle istituzioni pubbliche e sportive italiane ed internazionali. Essa ha tra i suoi obiettivi prioritari il benessere della popolazione in generale e di quella sportiva in particolare; questo obiettivo viene perseguito sia teoricamente, attraverso la diffusione della cultura di un corretto stile di vita, sia praticamente, attraverso una continua attività di valutazione clinico-funzionale e di prescrizione dell’esercizio fisico. Situazione attuale L’esigenza per la FMSI di intervenire praticamente fra la popolazione generale, in particolare fra quella sportiva, è pienamente giustificata dall’incremento recente di patologie metaboliche quali l’obesità ed il sovrappeso, registrato soprattutto nei giovani, nonostante negli ultimi 10 anni si sia rilevato un significativo aumento della pratica di attività sportiva. Le indagini condotte per chiarire questa apparente discrepanza indicano che la motivazione è da ricercarsi in un’alimentazione qualitativamente scorretta e nell’incremento del tempo dedicato dai giovani alle attività sedentarie (anche 5 volte in più rispetto al passato), tempo che si somma a quello trascorso a scuola. In altri termini i giovani di oggi, complessivamente, non osservano un corretto stile di vita. Tale realtà è preoccupante perché l’ipocinesia e l’obesità che ne può conseguire, sono causa di molte patologie. E’ noto che il BMI (Tabella 1) è strettamente correlato al rischio di insorgenza nel tempo di patologie di diversa natura (malattie metaboliche, cardiovascolari, ipertensione, artrosi per eccesso di carico sulle articolazioni), dove il rischio massimo si ha per BMI > 40. Tra queste, una delle più importanti, anche dal punto di vista sociale, è rappresentata dal diabete mellito tipo 2. Numerose evidenze scientifiche supportano questa relazione, evidenziando una correlazione positiva tra insorgenza di diabete e ore di sedentarietà e fra ipocinesia e riduzione della sensibilità all’insulina. Da quanto detto appare pertanto evidente che l’esercizio fisico, continuo ed adeguato, associato ad una corretta alimentazione e ad un appropriato stile di vita, è un mezzo insostituibile ed assolutamente efficace di prevenzione e di terapia, dell’obesità, ed anche, e soprattutto, del diabete mellito tipo 2. Anche la pratica dello sport agonistico risulta compatibile con la patologia diabetica ed è capace di determinare un miglior controllo della malattia. La prescrizione e la somministrazione al soggetto diabetico dell’esercizio fisico dunque, assumono la valenza di una vera e propria terapia e l’attività motoria ne rappresenta il farmaco. Come ogni farmaco, peraltro, dovrebbe essere somministrato alla “giusta dose”. Tale concetto basilare era stato già espresso 2500 anni fa da Ippocrate, ma ancora oggi, troppo spesso si osserva che la prescrizione dell’esercizio fisico non tiene conto dei parametri che regolano l’allenamento: quantità, intensità, progressività e continuità dei carichi imposti. Nello specifico, dare la giusta considerazione a tali parametri, è fondamentale non tanto perché l’allenamento sia efficace (per un sedentario anche salire le scale di casa tutti i giorni è produttivo), ma perchè si ottenga il massimo del risulta- Tabella 1. *Il Body Mass Index (BMI) o Indice di Massa Corporea, è il risultato del rapporto tra peso ed altezza al quadrato del soggetto (BMI=[Massa corporea (kg)]/[Altezza al quadrato(m²)] ovvero BMI=kg/m2), ed è molto usato in ambito clinico per determinare se il soggetto ha un peso normale; esso rappresenta un’elementare espressione della composizione corporea ed è un indice utile per una semplice valutazione della quantità di massa grassa: tanto più è elevato il suo valore tanto maggiore è la percentuale di massa grassa. Indice di massa corporea (BMI): intervalli numerici definenti un soggetto sottopeso, normopeso o sovrappeso emaciazione magrezza grave magrezza moderata magrezza lieve normopeso sovrappeso obesità < 14,9 54 15 - 15,9 16 - 16,9 17 - 18,4 18,5 - 24,9 25 - 29,9 30 - 39,9 obesità grave > 40 26-09-2011 13:11 Pagina 55 to, evitando errori e danni conseguenti. La giusta dose di esercizio fisico da prescrivere dipende da molteplici fattori di tipo clinico e di tipo fisiologico: lo stato di salute, il tipo dell’eventuale patologia, lo stile di vita, l’alimentazione, le caratteristiche funzionali del soggetto, il tipo di attività fisica ecc.; che per essere valutati nell’insieme, richiedono un’adeguata e preventiva valutazione clinico-funzionale. Per la malattia diabetica, dal punto di vista clinico è necessario che il soggetto affronti l’esercizio fisico in condizioni di buon compenso glicemico. Tale obiettivo deve essere realizzato non solo a riposo, ma deve essere previsto e mantenuto anche durante lo sforzo. La dose di esercizio infatti, va sempre “pesata” congiuntamente al regime alimentare e alla eventuale terapia farmacologica, onde evitare che durante lo sforzo, l’insorgenza di crisi iperglicemiche o la necessità di dover ricorrere eccessivamente ai substrati lipidici, possano determinare possibili danni. Dal punto di vista funzionale, per poter prescrivere l’esercizio fisico come mezzo di riabilitazione (inteso come uno strumento per riacquisire capacità fisiche ed abilità motorie perdute o deteriorate), è necessario che lo si conosca bene. In particolare conoscere il costo (energetico e meccanico) di ogni singola attività sportiva, cioè l’equivalente dell’effetto di uno specifico farmaco, prima di deciderne la somministrazione, significa conoscere e prevedere le risposte acute e croniche dell’organismo alla sua pratica. Inoltre, al fine di definirne la “giusta dose”, è necessario integrare tali informazioni con la conoscenza del livello di efficienza fisica del soggetto, elementi che si ottengono tramite test di valutazione delle capacità funzionali (resistenza, forza, velocità). Come per la somministrazione di un farmaco vanno valutati il tipo e la gravità della patologia, nonché le caratteristiche del soggetto (per esempio il sesso, il peso, lo stato fisico), così il “farmaco sport” va somministrato in funzione del livello di efficienza fisica di base del soggetto. In altri termini, la prescrizione dell’esercizio fisico, in termini di carico di lavoro, va sempre individualizzata (Figura 1). Figura 1. Per la maggioranza delle popolazione (sedentaria) si possono registrare significativi incrementi del VO2max, purché l'intensità dell'esercizio di allenamento ricada intorno all'80% del V’O2max del soggetto. Ciò implica, necessariamente, che tale ultimo valore venga misurato preventivamente in modo da permettere l'individualizzazione del carico allenante. In caso contrario si corre il rischio di applicare un carico troppo elevato o troppo basso con effetti non ottimali (da Wilmore e Costill, 1994, modificata) % improvement in Vo2 max Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 30 25 20 15 10 5 20 40 60 80 100 120 % Vo2 max used during training Conclusioni La prescrizione dell’esercizio fisico o dell’attività sportiva, richiede dunque una specifica competenza ed una approfondita conoscenza delle caratteristiche dell’attività da selezionare, delle qualità funzionali dell’individuo e delle relative interrelazioni tra le due. Il medico specialista in medicina dello Sport possiede, per formazione accademica ed esperienza professionale, anche mutuata dalla pratica con gli atleti di alto livello, le competenze per assolvere in modo specialistico al compito di prescrivere l’esercizio fisico al soggetto patologico. Ovviamente è necessario che il diabetologo effettui un'adeguata valutazione clinica preventiva della persona con diabete da sottoporre al “trattamento”. Questo approccio multidisciplinare consente un adeguato inquadramento del 55 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 56 dato fisico-patologico e una conseguente corretta prescrizione dell'“esercizio fisico”. Per tali motivi la Federazione Medico Sportiva Italiana e la Società Italiana di Diabetologia hanno deliberato di stipulare una convenzione, che avvii e regoli un programma di collaborazione clinica e scientifica finalizzato alla diffusione della pratica sportiva e del corretto stile di vita tra le persone con diabete. L’accordo convenzionale prevede l’attivazione di iniziative comuni nel settore della formazione e dell’informazione, nonché la realizzazione di gruppi di lavoro misti, medico dello sport/diabetologo, distribuiti a livello periferico provinciale, che costituiscano presidi operativi per la corretta prescrizione dell’esercizio fisico e sportivo nei soggetti diabetici. Call to action • Educare Diabetologi e Medici specialisti in medicina dello sport ad una sinergica e produttiva collaborazione, al fine di ottimizzare la gestione della patologia diabetica con la prescrizione dell’esercizio fisico • Prevedere la presenza della figura del Medico Specialista in Medicina dello Sport nel Team multidisciplinare di trattamento del paziente diabetico, al fine di realizzare una corretta valutazione clinica-funzionale della persona e la giusta prescrizione dell’esercizio fisico nell'ambito della terapia Maurizio Casasco Presidente Federazione Medico Sportiva Italiana 56 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 57 Il ruolo del laureato in scienze motorie Premessa Il dibattito circa l’identità scientifica del settore delle “Scienze Motorie” è ancora oggi acceso, legato probabilmente alle riconosciute multidisciplinarietà e particolarità insite in queste due semplici parole. La formazione che la Facoltà di Scienze motorie si prefigge di fornire spazia a tutto campo nell’ambito dell’attività motoria e sportiva (attività ludiche, per le diverse età, e le singole discipline sportive). Oggi però il concetto di attività motoria e sportiva è sempre più legato alla preservazione dello stato di salute e di un benessere psico-fisico nonché alla prevenzione dei rischi legati agli stili di vita scorretti. E’ per questo motivo che le attenzioni dei corsi di laurea in Scienze Motorie si stanno ulteriormente ampliando: non più solo preparazione di professionisti dello sport con competenze nella programmazione e gestione delle attività propriamente sportive, ma anche possesso di competenze sempre più finalizzate allo sviluppo, al mantenimento e al recupero della motricità e del benessere psicofisico ad essa correlato. Situazione attuale Il corso di laurea triennale in Scienze Motorie, Sportive e della Salute rappresenta la naturale evoluzione delle esperienze maturate nei precedenti corsi e nasce dall’esigenza di rispondere in maniera più adeguata ai significativi cambiamenti a cui la società è andata incontro negli ultimi anni, così come alla continua trasformazione delle attività professionali. A questo scopo il corso di laurea triennale prevede percorsi formativi che, attraverso la conoscenza degli aspetti anatomici, fisiologici e biochimici, permette di apprendere le basi biologiche del movimento e gli adattamenti all’esercizio fisico. Inoltre, vengono attivati percorsi formativi per l’apprendimento e l’insegnamento delle tecniche motorie e sportive e delle metodologie di misurazione e valutazione dell’esercizio fisico, finalizzate all’acquisizione delle competenze necessarie per valutare gli effetti, gli aspetti biomeccanici, le tecniche e gli strumenti per un corretto svolgimento delle attività motorie e sportive a livello individuale e di gruppo, oltre alle conoscenze psicologiche e sociologiche di base per poter interagire con efficacia con i diversi soggetti praticanti. La conoscenza delle basi pedagogiche, psicologiche e didattiche permetterà di trasmettere, oltre alle conoscenze tecniche, valori etici e motivazioni adeguate per promuovere uno stile di vita attivo e una pratica dello sport leale ed esente dall’uso di pratiche e sostanze potenzialmente nocive alla salute. Gli obiettivi del corso di laurea magistrale in Scienze Motorie per la Prevenzione e la Salute riguardano la formazione di figure professionali altamente qualificate, capaci di intervenire con competenze specifiche nella progettazione, direzione, conduzione e valutazione di programmi di attività motoria individualizzati, interagendo con altre professionalità, al fine del mantenimento e del recupero della piena efficienza e del pieno benessere individuale, dell’integrazione sociale, della prevenzione degli stati patologici e delle limitazioni che intervengono con l’avanzare dell’età. A tale scopo, attraverso il percorso formativo, lo studente raggiunge i seguenti obiettivi: • acquisire le nozioni e le categorie concettuali necessarie per interagire con professionalità diverse che operano nell’ambito della sanità e dei servizi sociali, nella consapevolezza dell’estensione e dei limiti della propria area di competenza; • possedere basi teoriche avanzate sulla motricità umana e sul suo controllo, che permettano di affrontare le molteplici situazioni che la professione presenterà, con elevato grado di autonomia decisionale e con responsabile creatività; • conoscere le norme igienico-sanitarie relative agli ambienti in cui sarà svolta la professione; • avere padronanza dei contenuti e delle strategie comunicative per una corretta promozione e educazione alla salute; • possedere la capacità di cogliere gli aspetti psicologici e sociologici correlati con la riformulazione dell’immagine del sé corporeo, con la deprivazione e la reintegrazione sociale, in seguito a eventi di interesse clinico; • avere le competenze per compiere una valutazione funzionale delle capacità motorie di soggetti di diverse 57 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 58 fasce di età, sani o in condizioni cliniche stabilizzate, di concerto con il medico, per quanto di sua competenza; • saper valutare l’impatto di terapie farmacologiche sulle capacità motorie e saper modulare di conseguenza i programmi di attività; • saper programmare, dirigere e condurre un percorso di attività motoria individualizzato, utilizzando specifiche strumentazioni, anche in ambiente acquatico, che non introduca fattori di rischio aggiuntivi, ottimizzi le capacità residue e, ove possibile, permetta al medico di decidere una riduzione della terapia farmacologica; • saper valutare i risultati ottenuti. Le competenze specifiche e caratterizzanti di un laureato magistrale di questa classe riguardano primariamente, i benefici e i rischi della pratica delle attività motorie in soggetti di diversa età, genere, condizione psico-fisica, abilità psico-motorie, e il livello di rischio legato a esiti cronici di varie malattie. Inoltre, possiede le conoscenze relative agli adattamenti delle funzioni vitali dell’organismo umano in risposta alle pratiche di attività fisica, in relazione al genere, età, stato di salute o condizione clinica di ciascun soggetto ed è in grado di eseguire test di valutazione dell’esercizio fisico post-riabilitativo, in termini di modalità, protocolli, misurazioni fisiologiche e risultati attesi, specifici per differenti popolazioni, inclusi soggetti con patologie cardiovascolari, polmonari, metaboliche e di altra natura in fase stabilizzata dal punto di vista clinico e riabilitativo, in bambini e anziani. Possiede, infine, le conoscenze relative alle modificazioni funzionali e alle controindicazioni assolute e relative ai test di esercizio, e il riconoscimento di soggetti che necessitano della supervisione sanitaria durante test di esercizio sottomassimale e massimale, nonché di soggetti che richiedono una valutazione sanitaria prima di impegnarsi in un programma motorio. Possiede la conoscenza dei fattori di rischio per soggetti con patologie cardiovascolari, polmonari, metaboliche e d’altra natura, e la comprensione degli indicatori prognostici per soggetti ad alto rischio; nonché la conoscenza degli effetti di tali malattie sulla prestazione fisica e la salute 58 del soggetto durante i test e la pratica dell’esercizio fisico e le condizioni tecniche e i sintomi clinici che impongono l’arresto di un test di esercizio. Conclusioni Il ruolo del laureato in Scienze Motorio si è affinato negli ultimi anni e continua a delinearsi sempre più specificamente, nella forte e unanime convinzione del suo potenziale e insostituibile ruolo anche in ambito sanitario. Una approfondita conoscenza degli svariati aspetti fisiologici dell’organismo e delle multiple condizioni patologiche che possono riguardarlo, sono alla base della definizione di una figura professionale in grado di lavorare e collaborare in un team multidisciplinare dedicato al trattamento di un soggetto con patologie croniche, come il diabete mellito. Call to action • Delineare il ruolo potenzialmente sostenibile in ambito sanitario dai laureati in scienze motorie, implementando la loro integrazione nei team multidisciplinari di trattamento di varie patologie croniche • Stimolare rapporti di collaborazione tra medici (diabetologi e specialisti in medicina dello sport) e laureati in scienze motorie, per un’ottimale prescrizione e applicazione di efficaci programmi terapeutici Vilberto Stocchi Presidente Conferenza Nazionale Presidi delle Facoltà di Scienze Motorie Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 59 Il ruolo dell’infermiere Premessa Oggi, più che mai, siamo portati a credere che l’attività fisica faccia bene a tutte le età e che dovrebbe essere praticata per tutta la vita. Nei bambini e adolescenti, la pratica di attività fisica contribuisce ad un armonico sviluppo della muscolatura, migliora la coordinazione, sviluppa il senso di aggregazione, favorisce l’interazione con i coetanei ed insegna a mettersi in gioco, rispettando le regole. Nell’adulto sano e ancor più in presenza di patologie croniche (come il diabete) il mantenimento e/o il ripristino di un buono stato di salute è garantito da uno stile di vita corretto. Nelle persone con diabete, è bene proporre l’attività motoria come strumento terapeutico ed invitare a praticarla, anche se molto spesso sentiamo rispondere: …”non sono capace”… “non ho tempo”… E’ importante che chiunque, soprattutto chi ha il diabete, ritorni a credere nelle proprie capacità; perché certamente, come affermava Publio Siro nel 1° sec. d.c. “Nessuno sa quanto è capace di fare prima di averci provato”. Situazione attuale E’ ormai ampiamente dimostrato che la pratica regolare di attività fisica migliora il senso di benessere psico-fisico. Nelle persone con diabete i vantaggi legati ad uno stile di vita attivo sono ancor più evidenti: oltre ai benefici metabolici, l’attività fisica aiuta a mantenere il sistema muscolo-scheletrico in buono stato, a conservare una buona coordinazione ed un buon equilibrio e certamente migliora lo stato emotivo e di tensione, molto spesso messi a dura prova dalla convivenza con questa patologia cronica. Le persone con diabete devono avere una particolare cura di sé e quando iniziano a praticare attivi- tà fisica, dovrebbero essere accuratamente informate; tutti i professionisti che si relazionano col paziente nella gestione della sua patologia, dovrebbero aiutarlo nella comprensione e nella gestione dell’argomento “attività fisica e diabete”. L’infermiere in particolare dovrà sottolineare l’importanza: • del tipo di attività fisica da intraprendere (TIPO). Ci sono sport che possono essere più rischiosi di altri per il grado di impegno fisico richiesto e per il fatto di essere praticati in ambienti poco “protetti “ (immersioni subacquee, paracadutismo, volo con deltaplano, alpinismo estremo, lotta libera, rugby, automobilismo e motociclismo). In questi casi l’insorgenza di una crisi ipoglicemica è più pericolosa che in circostanze normali e può essere rischiosa per la propria vita. Gli sport da consigliare sono quelli che impongono un impegno moderato, che il nostro corpo è capace di tollerare: golf, nuoto, ciclismo, bocce, danza, tennis o anche più semplicemente una bella camminata a piedi…ma a passo veloce! Non bisogna comunque dimenticare che il diabete, di per sé, non preclude nessuna strada. Ci sono atleti diabetici che affrontano imprese sportive estreme grazie al loro ottimo controllo metabolico e ad un attento e frequente monitoraggio glicemico. Marco Peruffo è una di queste persone; il 3 ottobre del 2002 ha conquistato la vetta del Cho Oyu alta ben 8201 m. La sua autodisciplina ed il rigoroso controllo delle proprie condizioni fisiche sono state indispensabili per non mettere a rischio la propria vita. 59 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 60 • del tempo da dedicare all’attività fisica (DURATA) • del controllo delle glicemie in relazione alla pratica di attività fisica (AUTOCONTROLLO GLICEMICO). La persona che segue una terapia insulinica, dovrà essere accuratamente informata: • sulle variazioni della sensibilità all’insulina legate all’esercizio fisico (dopo aver effettuato attività fisica c’è un aumento della sensibilità all’insulina che tende a favorire il ripristino dei depositi di glicogeno; questo fenomeno dura dalle 6 alle 12 ore dopo l’attività, ma può persistere anche fino a 24-36 ore). • sul modificato assorbimento dell’insulina dai siti di iniezione (è bene evitare le parti del corpo coinvolte direttamente nei movimenti, anche dopo la seduta; l’aumento della temperatura dell’ambiente dove viene praticata l’attività fisica, così come la consueta doccia calda al termine degli esercizi, aumentano l’assorbimento dell’insulina iniettata con rischio di ipoglicemia, mentre lavorare in ambiente freddo ne riduce l’assorbimento con rischio di iperglicemie). • sul timing dell’esercizio fisico ed il livello di insulinizzazione (per evitare le ipoglicemie è bene effettuare attività fisica dopo almeno 2-3 ore dall’iniezione di analogo rapido e, se si usa ancora l’insulina Regolare, dopo almeno 4-5 ore dall’iniezione. L’orario migliore per l’attività fisica è il primo mattino, la tarda mattinata o il tardo pomeriggio; evitare quindi gli orari immediatamente post prandiali ). • sulla relazione tra il trend glicemico delle ore precedenti l’attività fisica, lo schema insulinico adottato e la risposta glicemica abituale e personale alla attività fisica. In particolare, la persona con diabete insulino-dipendente (DM tipo 1) secondo il “POSITION STATEMENT” dell’American Diabetes Association, dovrebbe: - evitare di effettuare attività fisica se la glicemia è > a 250 mg/dl ed è presente chetonuria - fare attività con estrema cautela se la glicemia > 300 mg/dl, in assenza di chetonuria - introdurre una quota extra di carboidrati se livelli <100 mg/dl Sarebbe opportuno controllare la glicemia capillare costantemente 60’, 30’ e 10’ prima dell’esercizio e se si evidenziasse una glicemia “in discesa”, sarebbe opportuno sospendere momentaneamente l’esercizio ed assumere carboidrati a rapido assorbimento. Se si rilevasse un valore > 300 e in rapida salita, anche in assenza di chetoni, sarebbe indicato sospendere momentaneamente l’esercizio e praticare una piccola dose di insulina regolare o di analogo. Infine è bene sempre consigliare un opportuno equipaggiamento: • scarpe comode ed adatte all’attività fisica praticata 60 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 61 Call to action • Stimolare l’infermiere nell’ambito del team diabetologico, nel suo potenziale ruolo di educatore • Preparare e istruire gli infermieri perché diventino capaci di progettare efficacemente il percorso educativo del paziente con diabete: informare, istruire e collaborare attivamente con il paziente nella gestione “diabete-vita quotidiana”, sono azioni determinanti per migliorare la partecipazione attiva del paziente nel suo piano terapeutico Angela Ghidelli Past-president OSDI • calzini di cotone senza cuciture per evitare lesioni cutanee • borraccia dell’acqua per mantenere una buona idratazione • cappellino per il sole/pioggia • carboidrati a lento/rapido assorbimento per l’eventuale necessità di correggere la glicemia • glucometro completo Conclusioni Nel team diabetologico il ruolo dell’infermiere è essenziale nel progettare e mettere in atto un efficace percorso educativo da proporre alla persona con diabete, che abbia la finalità di rendere il paziente capace, prima di autocontrollarsi e poi di autogestirsi. La creazione di un rapporto di fiducia e di collaborazione fra paziente e infermiere, basato su un reciproco scambio di informazioni, consentirà al paziente di partecipare attivamente alla gestione terapeutica della sua condizione. 61 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 62 Il ruolo dell’intervento psicologico nell’obesità e nel diabete di tipo II Premessa L’obesità ed il diabete comportano seri rischi non solo per la salute, aumentando la probabilità di una mortalità precoce ma, da un punto di vista psicologico, anche per la qualità della vita, per la bassa stima di sé, per maggiori sintomi depressivi, disturbi somatici e per maggiori difficoltà psicosociali associate al peso ed alla discriminazione (Tyler et al., 2007; Anderson et al., 2001; Zeller & Modi, 2006; Must et al., 1999). Ricerche hanno messo in luce che l’obesità non è necessariamente legata a tratti psicopatologici, ma che i ripetuti fallimenti nei tentativi di perdere del peso e le difficoltà a livello delle relazioni interpersonali legate all’eccesso ponderale possano incidere significativamente sull’autostima delle persone; inoltre, il tipo di forma dell’obesità varia a seconda della struttura di personalità del soggetto (Molinari, Ragazzoni, Morosin, 1997). Sono, infatti, generalmente meno conosciuti i rischi psicopatologici che possono essere presenti insieme all’obesità ed al diabete, area di ricerca in crescita negli ultimi decenni (Ma & Xiao, 2010). La depressione, in particolare, è uno dei disturbi più frequenti e, come l’obesità e il diabete, contribuisce sostanzialmente alla morbilità ed alla mortalità (Chapman et al., 2005). L’obesità e la depressione hanno in comune non solo le complicazione per la salute, quali i disturbi cardiovascolari ed il diabete, ma vi sono prove empiriche di effetti sinergici negativi sulla qualità della vita e sulla risposta al trattamento quando i due disturbi coesistono (Ladwig et al., 2006; Werrij et al. 2006; Gariepy et al., 2010). Sulla stessa linea sono gli studi su soggetti diabetici: una meta-analisi su 42 ricerche ha dimostrato che l’11,4% dei pazienti con diabete risponde anche ai criteri di comorbilità con la depressione maggiore ed il 31% ha significativi sintomi depressivi (Anderson et al., 2001). Le ricerche hanno confermato che pazienti con diabete e depressione hanno una peggiore adesione ai trattamenti con conseguenti peggiori esiti clinici (Gonzalez et al. 2007). Le ricerche hanno dunque messo in luce una forte associazione tra aspetti psicologici, obesità e/o diabete, e risposta al trattamento. Inoltre, come evidenziano Bosello e Cuzzolaro “..il disegno di una dieta è un intervento che non sarebbe inesatto definire psicoterapeutico perché è 62 diretto a modificare durevolmente abitudini, tradizioni, stili di vita, processi mentali, equilibri familiari e sociali, cioè fenomeni ed economie di ordine psichico” (Bosello et al., 2006, pag. 107), configurandosi quindi come un intervento che, quando è ben attuato, coinvolge inevitabilmente fattori psicologici, di tipo affettivo e cognitivo. Un elemento essenziale per l’efficacia dell’intervento sullo stile di vita è la motivazione al cambiamento del paziente. Molti pazienti, infatti, portano spesso con sé una lunga storia di tentativi di dimagrire attuati facendo ricorso a diete alimentari restrittive con conseguenti vissuti di fallimento; affinché l’intervento possa incidere sullo stile di vita, in cui la perdita di peso si configura più come una conseguenza che come un obiettivo primario, è indispensabile il coinvolgimento attivo del paziente nel trattamento, un lavoro sulle motivazioni al cambiamento ed una maggiore responsabilizzazione rispetto all’agognato cambiamento ponderale, troppo spesso delegato ad un agente esterno che dovrebbe intervenire quasi magicamente. Situazione attuale Come evidenziato dai dati di ricerca e dalle linee-guida più recenti, la modalità di intervento che il centro C.U.R.I.A.MO. (Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale sull’Attività Motoria) adotta nel trattamento riabilitativo dell’obesità e del diabete di tipo II è un team approach multidisciplinare, che prevede la presenza e l’integrazione del lavoro di differenti figure professionali. Tale modello di intervento è in linea con una lettura dell’eziopatogenesi del disagio e della patologia come bio-psico-sociale, in cui interagiscono cioè fattori biologici, psicologici e ambientali. All’interno del lavoro di equipe, ai fini dell’efficacia intervento, sono necessari una integrazione delle differenti competenze e una chiarezza dei differenti ruoli e confini professionali. Si illustrano di seguito le specifiche modalità di intervento psicologico-clinico all’interno del più ampio progetto del C.U.R.I.A.MO. Date le diversità delle caratteristiche psicologiche e di intervento presenti nelle diverse fasi del Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 63 ciclo di vita, l’intervento psicologico all’interno del Centro distingue due modalità di intervento per l’età adulta e per l’età evolutiva, che saranno di seguito riportate. L’intervento psicologico in età adulta prevede un’articolazione del lavoro in due fasi: – colloquio psico-motivazionale e di valutazione del rischio psicopatologico: previsto nella fase iniziale della presa in carico del paziente, è volto a promuovere la partecipazione attiva del paziente al percorso; obiettivo primario è dunque la messa a fuoco della compliance terapeutica e delle motivazioni al cambiamento attraverso anche la comprensione delle aspettative di successo rispetto al percorso riabilitativo (Molinari & Riva, 2004). Il colloquio psico-motivazionale costituisce inoltre una fase iniziale di assessment che si propone di individuare i pazienti maggiormente a rischio di drop-out, avvalendosi anche di test psicologici. Gli strumenti psicometrici diretti utilizzati, sono volti ad indagare le seguenti aree: • questionari specifici per i disturbi del comportamento alimentare • questionari di valutazione psico-patologica • questionari per la valutazione della qualità della vita • questionari per la valutazione dell’immagine del corpo • questionari per la valutazione della qualità della relazione con altri significativi – Counselling psicologico: per i soggetti a rischio individuati nel colloquio, e per coloro che ne fanno richiesta, è previsto un lavoro di counselling psicologico, che può essere svolto sia in setting individuale sia gruppale Possiamo brevemente sintetizzare gli obiettivi dell’intervento psicologico all’interno del Centro C.U.R.I.A.M.O in: – assessment psicologico attraverso i dati clinici del colloquio ed i questionari psicologici – individuazione dei pazienti obesi maggiormente vulnerabili sul piano psicologico e/o psicopatologico – aumento della compliance terapeutica, attraverso l’esplorazione delle motivazioni al cambiamento – verifica dell’efficacia del più ampio intervento multidisciplinare attraverso i follow-up periodici – eventuale Counselling psicologico Tabella 1. Strumenti per gli adulti Strumenti Breve descrizione BUT - Body Uneasiness Test Valutazione psicometrica del disagio relativo all’immagine del proprio corpo (Cuzzolaro et al., 2000) EDI-3 – Eating Disorder Inventory Rilevazione clinica della sintomatologia associata ai disturbi alimentari (Garner, 2004) BES - Binge Eating Scale Diretto alla valutazione del comportamento alimentare e, in particolare, del sintomo abbuffate compulsive (Gormally et al., 1982) SCL-90, R - Symptom Check List – Revised Valuta il grado e la qualità della sofferenza psicologica attraverso la misura sia degli aspetti sintomatologici specifici sia di quelli riguardanti la valutazione globale dello stato psicopatologico del paziente (Derogatis, 1983). CES-D - Center for Epidemiologic Studies Depression Scale Strumento epidemiologico relativo alla depressione, particolarmente adatto per valutare i sintomi depressivi in pazienti affetti da disturbi somatici (Locke & Putman, 1981) STAI – 1 e 2 - State-Trait Anxiety Inventory Finalizzato alla rilevazione e misurazione dell'ansia sia per finalità di tipo psicodiagnostico, sia per verificare l'efficacia e i benefici della psicoterapia (Spielberger et al., 1989) MCMI-III - Millon Clinical Multiaxial Inventory-III Finalizzato alla valutazione della personalità, permette un inquadramento diagnostico rispetto all'Asse II del DSM-IV. Fornisce inoltre indicazioni su stili di personalità particolarmente rigidi e disadattivi, misura alcune sindromi cliniche dell'Asse I e l’eventuale presenza di sindromi cliniche particolarmente invalidanti o gravi (Millon, 1996) SF-36 – Short Form of Health Survey Questionnaire (SF-36) Valuta il livello di attività e la sensazione di benessere della persona (Ware, 1993) CISS - Coping Inventory for Stressful Situations Misura aspetti multidimensionali del coping (Endler & Parker, 1990) RAQ - Reciprocal Attachment Questionnaire Rileva i modelli di attaccamento con altri significativi presenti almeno negli ultimi 6 mesi (West & Sheldon-Keller, 1992). 63 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 64 L’intervento in età evolutiva si differenzia dall’intervento in età adulta per un insieme di fattori. Come riportato in letteratura, anche per l’età evolutiva il modello etiopatogenetico multifattoriale, in cui interagiscono fattori biologici, psicologici e sociali, è quello più adatto per comprendere l’insorgenza dell’obesità. Per quanto riguarda l’età evolutiva, l’approccio del C.U.R.I.A.M.O. parte dal presupposto dell’esistenza di differenti dinamiche sottostanti all’obesità nelle differenti età dello sviluppo: infanzia, preadolescenza e adolescenza. Da una analisi della letteratura (Molinari, 2005) si riconosce infatti come per l’obesità infantile occorra un’attenzione maggiormente centrata sui fattori di rischio (es.: relazione madre-bambino), aspetti familiari e conseguenze psicosociali, mentre per l’obesità adolescenziale prevalentemente sulle caratteristiche di personalità e dell’immagine del corpo. Nell’età adolescenziale, quando non è presente una precedente storia di sovrappeso infantile, sono in primo piano i significati psicologici, emotivi e cognitivi, connessi ai cambiamenti corporei legati all’avviarsi di un processo di individuazione dal contesto familiare. Assumono un ruolo più centrale le dinamiche individuali del ragazzo/a obeso. L’importanza del ruolo della famiglia sul sovrappeso dei figli è emerso anche in un recente studio metaanalitico, che si è posto l’obiettivo di analizzare le ricerche riguardanti gli interventi sullo stile di vita in età evolutiva al fine di ottenere fruttuose indicazioni che costituissero un ponte tra la ricerca e la clinica (Kitzmann et al., 2010). Dallo studio meta-analitico, che ha esaminato ricerche pubblicate tra il 1965 ed il 2004, sono emersi dati incoraggianti sull’efficacia e sull’efficienza degli interventi sullo stile di vita in soggetti in sovrappeso in età evolutiva; in particolare, è emerso come gli esiti siano migliori nei programmi che prevedono un attivo coinvolgimento dei genitori. Alla luce di quanto riportato, all’interno del più ampio progetto del C.U.R.I.A.M.O., l’intervento psicologico in età evolutiva prevede il coinvolgimento dei genitori, ed è così articolato: – colloqui psico-motivazionali e valutativi sul rischio psicopatologico: 1. colloquio con il minore: volto alla comprensione del vissuto soggettivo dell’obesità e ad una storicizza64 zione del sintomo nella vita del soggetto, accanto alla comprensione del ruolo del minore nella richiesta di aiuto al Centro e della sua motivazione al cambiamento. Vengono inoltre compilati questionari adeguati all’età che riguardano la personalità e le tematiche specifiche della disturbo; 2. colloquio con i genitori: accanto alla raccolta di dati anamnestici utili per la comprensione della natura del sovrappeso nel figlio (es. età di insorgenza; relazione con il cibo dall’infanzia; eventuali eventi stressanti e variazioni repentine di peso), il colloquio è finalizzato ad un coinvolgimento attivo dei genitori nell’intervento sullo stile di vita, affinché tale intervento non si configuri come una delega dei genitori ad altri, ma come un’occasione di condivisione e collaborazione. Accanto al colloquio clinico, vengono utilizzati strumenti diagnostici volti a comprendere le caratteristiche delle relazioni familiari; 3. Colloquio congiunto genitori e figlio: volto alla condivisione di alcune tematiche emerse nei colloqui precedenti pertinenti la partecipazione al progetto del C.U.R.I.A.M.O. e, principalmente, atto a fondare una compliance terapeutica che permetta ai membri della famiglia di sentirsi agenti attivi nel progetto di cambiamento dello stile di vita. – Counselling psicologico: per i minori e famiglie a rischio e per coloro che ne fanno richiesta è previsto un lavoro di counselling psicologico. Tabella 2. Strumenti per i genitori Strumenti Breve descrizione FAM-III GENERAL SCALE Misura i punti di forza e di debolezza familiari, (Skinner, Steinhauer & SantaBarbara, 1984) RAQ - Reciprocal Attachment Questionnaire Rileva i modelli di attaccamento con altri significativi presenti almeno negli ultimi 6 mesi (West & Sheldon-Keller, 1992). Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 65 Tabella 3. Strumenti per l’età evolutiva Strumenti Breve descrizione EDI-3 – Eating Disorder Inventory Rilevazione clinica della sintomatologia associata ai disturbi alimentari (Garner, 2004) BUT - Body Uneasiness Test Valutazione psicometrica del disagio relativo all’immagine del proprio corpo (Cuzzolaro et al., 2000) SCL-90, R - Symptom Check List – Revised Valuta il grado e la qualità della sofferenza psicologica attraverso la misura sia degli aspetti sintomatologici specifici sia di quelli riguardanti la valutazione globale dello stato psicopatologico del paziente (Derogatis, 1983). L’obesità è oggi una malattia cronica da prevenire e curare attraverso il ricorso al lavoro di équipe ed il coinvolgimento attivo del paziente. Il paziente deve essere posto al centro del progetto di cambiamento del suo stile di vita, mediante il suo coinvolgimento attivo nella presa in carico del problema in un’ottica di collaborazione con l’equipe degli esperti Uno stile di vita non salutare è il prodotto di una molteplicità di fattori in larga parte mediati dai fattori personali (ICF) del funzionamento di ciascun paziente. Call to action • Ai fini dell’efficacia dell’intervento sull’obesità e sul diabete è fondamentale adottare un modello multidimensionale, che preveda la presenza e l’integrazione del lavoro di differenti figure professionali FAM-III GENERAL SCALE Misura i punti di forza e di debolezza familiari (Skinner, Steinhauer & SantaBarbara, 1984) FAM-III SELF - REPORT Rileva come la persona valuta il proprio funzionamento all’interno della famiglia (Skinner, Steinhauer & Santa-Barbara, 1984) • Affinché l’intervento possa incidere sullo stile di vita, è indispensabile il coinvolgimento attivo del paziente nel trattamento attraverso un lavoro sulle motivazioni al cambiamento RAQ - Reciprocal Attachment Questionnaire Rileva i modelli di attaccamento con altri significativi presenti almeno negli ultimi 6 mesi (West & Sheldon-Keller, 1992). • Negli interventi sull’età evolutiva, accanto al lavoro sul bambino/ragazzo è importante anche il coinvolgimento del contesto familiare, che costituisce lo scenario all’interno del quale l’obesità si è sviluppata Conclusioni Le cause maggiormente note dell’obesità e del sovrappeso sono frequentemente espressione di uno stile di vita non corretto, che comporta stress, un’alimentazione sregolata e una ridotta attività fisica Anche nel nostro paese l’obesità è in costante crescita, gli obesi sono circa il 10% della popolazione adulta ed il 15% di quella infantile con una notevole rilevanza clinica e sociale. Ciò comporta una questione sanitaria difficile, alla luce dei fattori etiopatogenetici coinvolti: genetici, biologici, ambientali, cognitivi, affettivi, relazionali e comportamentali) e delle gravi complicanze ad essa associate (Carrubba, 2004). • È importante tenere conto dell’associazione tra aspetti psicologici e obesità e/o diabete anche per una buona risposta al trattamento • L’utilizzo di strumenti psicometrici permette di valutare non solo le caratteristiche dei pazienti obesi e/o diabetici, ma anche di progettare un intervento calibrato sui reali bisogni degli utenti • L’utilizzo di strumenti consente di verificare l’efficacia dell’intervento attuato insieme al paziente Claudia Mazzeschi*, Chiara Pazzagli*, Loredana Laghezza* e Dalila Battistini** *Dipartimento di Scienze Umane e della Formazione **C.U.R.I.A.M.O Università di Perugia 65 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 66 Bibliografia: 1. Anderson RJ, Freedland KE, Clouse RE, Lustman PJ. The prevalence of comorbid depression in adults with diabetes: a meta-analysis. Diabetes Care. 2001 Jun; 24(6):1069-78. 2. Carrubba M. (2004) Prefazione. In E. Molinari, G. Riva (2004) Psicologia Clinica dell’obesità. Bollati Boringhieri: Totino, pp. 11-13. 3. Chapman DP, Perry GS, Strine TW. (2005) The vital link between chronic disease and depressive disorders. Prev Chronic Dis 2005; 2. 4. Cuzzolaro M. (1997) Disturbi dl comportamento alimentare in adolescenza. In M. Pissacroia (1997) Trattato di Psicopatologia dell’adolescenza. Piccin: Padova. 5. Ganley R.M. (1992) Family patterns in obesity: Wight considerations of emotional eating and restraint, Fam. Syst. Med., 10, 2: 181-199. 6. Gariepy G., Wang J., Lesage A., Schmitz N. (2010) The interaction of obesity and psychological distress on disability. Social Psychiatry & Psychiatric Epidemiology; Vol. 45 Issue 5, p531-540. 7. Gonzalez JS, Safren SA, Cagliero E, Wexler DJ, Delahanty L, Wittenberg E, Blais MA, Meigs JB, Grant RW. Depression, self-care, and medication adherence in type 2 diabetes: relationships across the full range of symptom severity. Diabetes Care. 2007 Sep;30(9):2222-7. 8. Kinston W., Miller L., Loader P., Wolff O.H.(1990) Revealing sex differences in childhood obesity by using family systems approcch, Fam. Syst. Med., 8, 4: 371-386. 9. Kitzman KM, Dalton WT, Stanley CM, Beech BM et al. (2010) Lifestyle interventions for youth who are overweight: a meta-analytic review. Health Psychology, vol. 29, 1: 91 – 101. 10. Ladwig KH, Marten-Mittag B, Löwel H, Döring A, Wichmann HE. (2006) Synergistic effects of depressed mood and obesity on long-term cardiovascular risks in 1510 obese men and women: results from the MONICAKORA Augsburg Cohort Study 1984–1998. Int J Obes, 30:1408–1414. 11. Ma J., Xiao L. (2010) Obesity and Depression in US Women: Results From the 2005–2006 National Health and Nutritional Examination Survey. Obesity: 18 2, 347–353. 12. Molinari E. (2004) L’obesità nell’infanzia e nell’adolescenza. In E. Molinari, G. Riva (2004) Psicologia clinica dell’obesità. Bollati Boringhieri: Torino. 66 13. Molinari E., Ragazzoni P., Morosin A. (1997) Psychopathology in Obese Subjects with and without Binge-Eating Disorder and in Bulimic Subjects. Psychol. Rep., vol. 80, pp. 1327 – 1335. 14. Molinari E., Riva G. (2004) Psicologia clinica dell’obesità. Bollati Boringhieri: Torino. 15. Must A, Spadano J, Coakley EH et al. (1999) The disease burden associated with overweight and obesity. JAMA 1999;282:1523–1529. 16. Tyler C., Johnston C.A., Fullerton G., Ferey J.P. (2007) Reduced quality of life in very overweight Mexican American adolescents. Journal of Adolescent Health, 40, 366-368. 17. Werrij MQ, Mulkens S, Hospers HJ, Jansen A. (2006) Overweight and obesity: the significance of a depressed mood. Patient Educ Couns 2006;62:126–131. 18. Wiener J.M. (1997) (Ed.) 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Questa consapevolezza ha portato a una rivoluzione nell’ETP, con la motivazione e l’autodeterminazione dei pazienti poste ormai in primo piano, e le informazioni e la pratica – pur sempre indispensabili – offerti “a richiesta” piuttosto che “imposti”. Situazione attuale Come evidenziato in una recente revisione della letteratura (1), l’ETP ha adottato numerosi modelli basati sulla scienza del comportamento per comprendere e facilitare il cambiamento, come: il modello trans-teorico degli stadi del cambiamento, il colloquio motivazionale, la terapia cognitivo-comportamentale, l’approccio umanistico nella relazione d’aiuto, l’empowerment… Benché molto diversi quanto a interventi suggeriti – che possono variare dal totalmente non-direttivo al molto direttivo – questi modelli hanno in comune alcuni aspetti: tutti riconoscono che la motivazione può solo venire dall’interno del paziente e aspirano all’auto-determinazione di obiettivi e strategie; tutti raccomandano empatia, accettazione, un atteggiamento non-giudicante, e il non-uso di discussioni o etichette da parte del personale sanitario; tutti pongono alla base l’ascolto del paziente. La nostra analisi, necessariamente parziale, dei risultati pubblicati ha messo in evidenza luci e ombre degli approcci più in voga. La terapia cognitivo-comportamentale, largamente usata negli ultimi venti anni nel trattamento dell’obesità, ha dato risultati più soddisfacenti nel breve che nel medio-lungo periodo, con efficacia provata soltanto nella bulimia nervosa. Un rinforzo della sua efficacia si è avuto in un caso con adolescenti obesi affiancandole “l’avventura-terapia”, e in un altro caso facendo seguire a 10 settimane di programma cognitivocomportamentale 10 settimane di contatto telefonico quindicinale. Il modello trans-teorico degli stadi del cambiamento, tanto largamente accettato, è stato recentemente criticato per i suoi limiti concettuali ed empirici, per mancanza di capacità predittiva e per l’assenza di legami teorici con il colloquio motivazionale, che invece, da parte sua, mostra forte compatibilità concettuale e similitudini procedurali con la terapia cognitivo-comportamentale. Gli interventi comportamentali sugli stili di vita appaiono oggi i più promettenti. Rientrano in questo quadro alcuni progetti realizzati da diabetologi e pazienti insieme, come “Io-muovo-la-mia-vita” e “Un passo dopo l’altro… da un mare all’altro”, il progetto IDES e il progetto Romeo (descritti in altre parti del Barometro), nonché lo studio ICAN e il trial Look AHEAD, ancora in corso ma di cui sono stati pubblicati gli ottimi risultati a 1 anno. Di fatto al momento, la maggiore sfida è costituita dal mantenimento del calo ponderale, e gli studi che hanno affrontato l’argomento hanno dato risultati variabili, da modesti/transitori a soddisfacenti, per lo più grazie a un follow-up pro-attivo. Fino a pochi anni fa gli effetti reciproci fra qualità di vita e calo ponderale sono stati poco studiati, con risultati dubbi. Uno studio recente sul trattamento dell’obesità ha mostrato un effetto positivo del calo ponderale sulla qualità di vita e sull’auto-stima, ma non l’effetto reciproco. Come in altri campi della medicina, un approccio umanistico è stato auspicato anche nel campo dell’ETP e in particolare dell’educazione alimentare. L’approccio narrativo-autobiografico (descritto in altra parte del Barometro) è stato da noi introdotto nell’ETP dal 2003 (2). La sua integrazione con la tradizionale educazione all’autogestione del diabete nei campi-scuola per adolescenti ha portato per molti a un aumento di auto-efficacia, maturità, accettazione della malattia e responsabilità nell’auto-gestione: tutti fattori contribuenti per definizione a una migliore qualità di vita. L’introduzione dell’approccio narrativo-autobiografico nell’ETP rappresenta un’at67 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 68 tuazione concreta del modello bio-psico-sociale di cura della cronicità, suggerendo che la complessità della malattia può essere gestita grazie all’integrazione dello sguardo narrativo con lo sguardo biomedico. L’ascolto attento, empatico del paziente è alla base dell’attuale approccio di cura centrato sul paziente. La scrittura di sé, in quanto metodo facilmente esportabile e riproducibile per favorire l’auto-espressione dei pazienti e la loro reciproca consapevolezza, appare come un mezzo particolarmente appropriato per realizzare una vera cura centrata sul paziente. Infatti essa pone la scrittura del paziente “al centro” e questa diviene veicolo e contenitore della relazione di cura, permettendo al curante di avvicinare in sicurezza l’espressione di sentimenti anche dolorosi. Di fatto l’approccio autobiografico può aiutare ogni individuo a dare un senso alla malattia, favorendo la motivazione interna al cambiamento. Conclusioni Per una cura efficace di diabete e obesità sono necessari cambiamenti negli stili di vita del paziente, che l’educazione terapeutica ha il compito di facilitare. Per questo oggi la motivazione e l’auto-determinazione dei pazienti hanno acquisito un ruolo di primo piano nell’ETP. Per facilitare il cambiamento, gli operatori sanitari possono adottare numerosi approcci che, pur nella loro diversità, concordano nel raccomandare empatia, accettazione, un atteggiamento non-giudicante, e il nonuso di discussioni o etichette da parte del personale sanitario; tutti pongono alla base l’ascolto del paziente. L’introduzione dell’approccio narrativo-autobiografico nell’ETP rappresenta un’attuazione concreta del modello bio-psico-sociale di cura della cronicità, suggerendo che la complessità della malattia può essere gestita grazie all’integrazione dello sguardo narrativo con lo sguardo biomedico. Call to action • Per curare efficacemente le persone con diabete o obesità, gli operatori sanitari devono acquisire competenze relazionali mediante una formazione specifica 68 • Le strutture sanitarie devono fornire i tempi e gli spazi organizzativi per un’ETP strutturata, fondata su un’approccio bio-psico-sociale alla malattia cronica • L’approccio narrativo-autobiografico realizzato in gruppo è un metodo efficace ed efficiente per la formazione, così dei pazienti, come del personale sanitario Aldo Maldonato Dipartimento delle Scienze Cliniche, Università La Sapienza di Roma Bibliografia 1. Maldonato A, Piana N, Bloise D, et Al. Optimizing patient education for people with obesity: Possible use of the autobiographical approach. Patient Educ Couns 2010; 79: 287290. 2. Piana N, Maldonato A, Bloise D, et Al. The narrative-autobiographical approach in the group education of adolescents with diabetes: A qualitative research on its effects. Patient Educ Couns 2010, 80: 56-63. Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 69 Il Counseling Individuale Premessa Dal latino consulere cioè riflettere, provvedere, il counseling è una forma di consulenza il cui scopo terapeutico è quello di sostenere l’individuo nella decisione, favorendo una visione realistica di sé, delle proprie risorse e dei propri limiti, e infine dell’ambiente in cui si trova ad interagire. Alla base di ogni forma di consulenza opera una relazione tra due o più termini, che si avvalgono della comunicazione, ovvero del rendere comune un qualcosa. Tale comunicazione assume una valenza stra-ordinaria se di fondo connotata da una capacità empatica, ovvero un assetto recettivo di “colui che provvede” (il counselor) in grado di sentire ciò che è nell’altro, oltre il proprio sè, pur mantenendo la sua identità. Situazione Attuale Il paziente affetto da malattia cronica si confronta con un cambiamento incisivo e permanente del suo stile di vita, che inevitabilmente viene rivisto, ridefinito, ripensato. Il counselor, in questo tipo di situazioni, può avere un impatto decisivo sul vissuto da parte del paziente di una situazione implicante nuove difficoltà e nuovi modi di gestirle. In un diabete di tipo 2, il paziente si misura con una nuova situazione metabolica, che richiede la necessità di cambiare uno stile di vita che probabilmente ha contribuito all’insorgere della patologia. La sedentarietà deve essere messa in discussione davanti ad un corpo malato, ed è sempre grazie ad un proporre valido del counselor che una consapevolezza può essere acquisita. Il provvedere ad uno stile di vita più attivo nel paziente con diabete è reso possibile dal colloquio motivazionale e da strategie volte a rendere il cambiamento duraturo nel tempo. Il colloquio motivazionale si focalizza su moti interiori fondamentali per il cambiamento del paziente: - la presa di coscienza della situazione e dei vantaggi provenienti da una costante attività fisica, quindi un bilancio decisionale positivo che viene fatto in seguito ad una valutazione dei pro e dei contro pensata attivamente dal paziente; - la percezione dell’autoefficacia, quindi di un sentimen- to di fiducia verso le risorse interne ed esterne disponibili al paziente. A tal fine risulta utile porre specifici obiettivi di allenamento, alla portata del paziente, che fungono da stimolo al miglioramento e da rinforzo positivo; - la ricerca del piacere come tendenza costante dell’essere umano. E’ attraverso esperienze anche gratificanti che si accetta e si prosegue il cambiamento; - promuovere situazioni che sostengano la persona anche nei momenti di difficoltà, come ad esempio le attività di gruppo dove si instaurano dinamiche di appartenenza, di interdipendenza e di coesione. E’ importante, inoltre, che anche il gruppo-famiglia sia di supporto nel cambiamento dell’individuo che attraversa una difficoltà; - analizzare il livello di consapevolezza, ovvero quanto è profondo il suo sapere di voler modificare una situazione altrimenti rischiosa, e quanto è forte e realistica le percezione dei rischi; - indagare la presenza/assenza di impedimenti, quindi calarsi nella quotidianità della persona e capire quanto ciò che è stato fino ad ora discusso trovi tempi e spazi proponibili; - favorire una compilazione scritta di adempimenti e mancanze, tramite un diario che giochi da “testimone” di un progetto. Conclusioni E’ importante assicurarsi che ogni momento motivazionale sia stato completamente assorbito e metabolizzato. Diventa quindi indispensabile sostenere con altri colloqui distanziati nel tempo la persona ed il suo vissuto, in modo da rafforzare quanto già condiviso, e ridurre il rischio di eventuali abbandoni del progetto. Il counseling individuale può essere anche una prima fase di intervento, che prosegue poi con una interazione di gruppo, dove il counselor permette e facilita una rete di relazioni aventi come obiettivo quello di far emergere e di condividere una comune situazione di difficoltà, e di consolidare la disponibilità al cambiamento. 69 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 70 Call to action Tabella 2. Obiettivi del counseling per l’attività fisica • Affrontare un problema complesso richiede un intervento strutturato in diverse fasi. E’ necessario pertanto che vengano promossi modelli di intervento multidisciplinari, all’interno dei quali sia presente e adeguatamente valorizzato l’aspetto del counseling. Risulta inoltre fondamentale favorire la formazione di figure professionali che abbiano competenze specifiche di counseling, ma che possano conoscere a sufficienza anche gli altri aspetti dell’intervento, in modo da garantire una complementarietà di più discipline applicate ad un’unica persona, tale da non rendere frammentario lo stato di necessità del paziente Trasmettere al paziente l’importanza terapeutica che riveste la pratica dell’esercizio fisico; Promuovere la fiducia del paziente sulla propria capacità di praticare l’attività fisica; Dare consigli pratici sul tipo di attività; Facilitare l’individuazione di possibili compagni; Capire se il paziente è cosciente dei benefici derivanti dalla pratica dell’attività fisica; Capire se esistono per il paziente impedimenti maggiori alla pratica dell’attività fisica; Chiedere la compilazione di un diario dell’attività fisica. Tabella 1. Principali fattori che condizionano la pratica dell’attivita fisica Autostima confidenza nella propria capacità di praticare l’attività fisica Piacere derivante dalla pratica dell’attività fisica Supporto da parte di familiari, conoscenti e coetanei Consapevolezza dei benefici derivanti dalla pratica dell’attività fisica Assenza 70 d’impedimenti maggiori alla pratica dell’attività fisica Dalila Battistini C.U.R.I.A.Mo Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 71 Il Counseling di gruppo ROMEO: Ripensare l’Organizzazione per Migliorare l’Educazione e gli Outcome. Un nuovo modello clinico-educativo ed assistenziale Premessa Il diabete è una malattia cronica che richiede, da parte della persona che ne è affetta, l’acquisizione di nuove condotte di salute e modifiche dello stile di vita. Si tratta di attivare percorsi di apprendimento e cambiamento affinché la persona con diabete possa ricostruire un personale benessere psicofisico pur in presenza di una malattia. Al contempo sono necessari nuovi modelli assistenziali in grado di offrire un’assistenza sanitaria continua ed interventi di educazione ripetuti per prevenire le complicanze acute e ridurre il rischio di complicanze a lungo termine. L’educazione diventa la chiave di volta, il ponte che può unire le esigenze della singola persona a quelle cliniche per un corretto trattamento: si tratta di mettere a punto nuovi modelli di assistenza pensati per la persona che deve apprendere ad adattarsi ad una malattia cronica (Figura 1). Situazione attuale Nel 1996 è stato sviluppato e sperimentato un modello clinico-pedagogico, “Group Care” (1,2) che prevede visite di educazione terapeutica per gruppi, con approccio di tipo sistemico in alternativa alla tradizionale visita diabetologica individuale. Si è costruito un percorso clinicoeducativo ed assistenziale che si è dimostrato capace di stabilizzare il compenso metabolico, migliorare la qualità di vita e l’acquisizione di nuove condotte di salute. Il percorso educativo utilizza un programma, descritto all’interno di un manuale, che affronta argomenti importanti per la gestione del diabete: come individuare una corretta alimentazione, come svolgere l’attività fisica, come aver cura di sé in presenza del diabete, le complicanze e cosa fare per evitarle. Gli argomenti sono trattati con metodologie di tipo interattivo; le persone con diabete sono coinvolte in un percorso di problem solving, lavori a piccoli gruppi, discussioni guidate, role playing. La persona viene aiutata a trovare le proprie personali soluzioni e l’esperienza diventa veicolo di formazione. I piccoli gruppi sono gestiti da operatori formati al lavoro di équipe, con capacità relazionali e di empatia sviluppate mediante formazione personale e supervisione pedagogica. Il lavoro attualmente si svolge all’interno del Laboratorio di Pedagogia Clinica del Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Torino (Figura 2). Figura 1. Il materiale utilizzato nelle sedute della Group Care è stato scritto insieme alle persone con diabete, utilizzando una terminologia semplice e immdediata Figura 2. Laboratorio di Pedagogia Clinica. La strttura è inserita nell’ambulatorio di diabetologia e ogni anno sono svolte 1500-1800 visite 71 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 72 Sulla base di queste considerazioni e dei risultati ottenuti nel nostro centro con il modello della Group Care e dell’interesse dimostrato da alcuni Servizi di Diabetologia, è stato pensato e sperimentato il trasferimento del metodo di assistenza per gruppi, a 12 strutture diabetologiche italiane che si erano dichiarate disponibili a partecipare ad uno studio multicentrico . Il progetto, denominato ROMEO, acronimo di “Ripensare l’Organizzazione per Migliorare l’Educazione e gli Outcome”, iniziato nel dicembre ’99 e terminato nell’agosto del 2007, ha definito un percorso di trasferibilità e riproducibilità del modello della Group Care (2). Degli 815 pazienti arruolati nello studio, 421 sono stati seguiti mediante Group Care e 394 mediante visite tradizionali. Al termine dello studio si è dimostrato che i soli pazienti seguiti mediante la Group Care migliorano il loro compenso metabolico, il colesterolo e i trigliceridi insieme alle conoscenze, qualità di vita e capacità di gestire la malattia. Figura 3. Elenco degli sperimentatori coinvolti nel progetto ROMEO E. Ansaldi, F. Malvicino, M. Battezzati, P. Maresca, C. Cappa, C. Palenzona, G. Rosti, Alessandria L. Gentile, G. De Corrado, M Fernicola, R. Gambaudo, E Molina, T.Miroglio, S. Poggio, E. Repetti, F. Rosso, P Viglione, Asti G. Morone, F. Travaglino, Biella A. Chiambretti, M Albertone, A. Birocco, MP Maritano, E. Mularoni, R. Fornengo, D. Rolfo, Chivasso S. Gamba, Ospedale Maria Vittoria, Torino L. Mormile, P. De Murtas, AM. Ingaramo, A. Marchesini, Ospedale Mauriziano,Torino E. Orsi, F. Albani, L Giarratana, Milano G. Corigliano, I.Vaccarella, Napoli M. Patella, M Masin, G Sartore, R. Toniatto, R. Valentini, A. Barison, D. Fedele, Padova V. Miselli, P. Accorsi, U.Pagliani, Scandiano-Reggio Emilia L. Tonutti, C. Boscariol, M. Armellini, R. Lesa, C Sartori, C.Noacco, C.Taboga, Udine L. Richiardi, S. Borla, AM. Ingaramo, Ospedale Valdese, Torino Figura 4. Pazienti a Target nello studio ROMEO. Le barre in rosso equivalgono ai pazienti seguiti mediante Group Care, in Blu quelli seguiti con approccio tradizionale 72 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 73 Conclusioni Bibliografia Il progetto ROMEO è uno studio che ha fatto dell’intervento educativo, inserito nell’attività routinaria delle diabetologie, il punto di forza per favorire il cambiamento nella persona. ROMEO, oltre ad essere uno studio clinico e randomizzato, rappresenta il desiderio e l’entusiasmo di molti operatori che cercano di individuare metodologie e programmi assistenziali capaci di rispondere in modo innovativo, sfruttando meglio le risorse disponibili, alle molte esigenze dei cittadini con diabete. 1. M Trento, P Passera, E Borgo, M Tomalino, M Bajardi, F Cavallo, M Porta. A 5-year randomized controlled study of learning, problem solving ability and quality of life modifications in people with type 2 diabetes managed by group care. Diabetes Care, 27, 670-675, 2004. 2. Trento M and ROMEO investigators. Romeo: Rethink Oragnization To Improve Education And Outcomes. A Multicentre Randomized Trial Of LIfestile Intervention By Group Care To manage Type 2 Diabetes. Diabetes Care. 33, 745-747, 2010. Call to action • Le malattie croniche richiedono una organizzazione dell’assistenza capace di aiutare le persone a migliorare aspetti clinici e qualità di vita • Interventi educativi strutturati e inseriti nella routine clinica migliorano il compenso metabolico delle persone con diabete • La formazione degli operatori è essenziale per fornire una adeguata assistenza alle persone con malattie croniche Marina Trento Psicopedagogista Laboratorio di Pedagogia Clinica, Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Torino 73 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 74 L'autobiografia narrativa per la motivazione al cambiamento Premessa Situazione attuale E’ ormai noto come il diabete e l’obesità siano malattie dal forte impatto non solo fisico ma anche psicologico, che richiedono alla persona coinvolta un cambiamento: nello stile di vita, nelle abitudini quotidiane, nel modo di affrontare e gestire la malattia, nella propria progettualità futura. L’insorgenza della malattia, la sua essenza cronica, la necessità di diventare da subito attori esperti della sua gestione e del cambiamento, sono tutti fattori che generano, soprattutto all’inizio, grandi sofferenze e stress emotivi che difficilmente trovano uno spazio per essere elaborati e superati all’interno delle strutture istituzionalmente preposte alla cura. Se da decenni ormai, si parla di educazione terapeutica come di un supporto pratico e concreto per istruire i pazienti nella gestione e nella cura della loro malattia, poco o niente è stato fatto fino a oggi per aiutare e sostenere queste stesse persone nell’elaborazione interiore dei propri vissuti e delle emozioni legate alla malattia. Curare diabete e obesità significa anche ascoltare i profondi disagi esistenziali che queste malattie portano con sé e che spesso diventano difficoltà e resistenza al cambiamento e alla cura. E’ ormai noto infatti, come nella gestione di una malattia cronica sia altrettanto fondamentale prendersi cura dei significati e dei vissuti soggettivi che la persona attribuisce alla sua condizione e alla sua storia, e che proprio questa dimensione soggettiva influenzi e condizioni le modalità individuali di cambiamento e cura da cui dipende l’andamento stesso della malattia. Alla luce di queste considerazioni, negli ultimi anni la narrazione e la scrittura di sé - quali strumenti pedagogici afferenti all’approccio narrativo-autobiografico – sono entrati a pieno titolo nell’ambito dell’educazione terapeutica del paziente (1) proprio per offrire alle persone uno spazio dove raccontare ed esprimere idee, opinioni, emozioni, difficoltà legati alla propria storia di vita con il diabete e/o l’obesità. In tal modo le narrazioni legate alla malattia - che per lungo tempo restano dentro come nodi critici, blocchi emotivi, pesi da portarsi addosso -, possono trovare libertà d’espressione al di là di pregiudizi e discriminazioni, alleviando così la sofferenza e trasformando in nuove parole e nuovi racconti, la percezione e i significati che la persona attribuisce alla propria storia. Da un anno, presso il centro C.U.R.I.A.M.O. di Perugia (Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria), grazie all’approccio narrativo-autobiografico i pazienti possono raccontare la loro esperienza e aiutare anche noi operatori a capire meglio che cosa si provi ad avere il diabete e/o essere obesi ed i disagi, le sofferenze, le privazioni, le paure, che spesso non trovano ascolto e comprensione e che rappresentano la chiave da cui ripartire per aprirsi al cambiamento e a nuove progettualità di sé. Gli ostacoli al cambiamento e alla cura di sé: l’incostanza - i dolori fisici - la poca fiducia in me - la poca tenacia - la pigrizia - gli impegni di lavoro e della famiglia il rapporto ossessivo con il cibo - la passività - la poca autostima - l’essere debole Il mio rapporto con l’attività fisica è: zero - pessimo - conflittuale - di sacrificio - saltuario - ho incominciato ad avere il fiatone facendo le scale - nei periodi oscuri vengo meno alla volontà - incubo ma non perché non mi piace, anzi, vorrei farne e farne molta, ma non ce la faccio. Faccio fatica a salire le scale, a correre con mio figlio, forse con qualche chilo in meno sarebbe un piacere 74 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 75 Parole e pensieri per l’obesità: una condanna - una maledizione - un’ingiustizia sociale – diversità - una colpa che non sento mia - difficile inserimento nei modelli della società di oggi - non trovarti a tuo agio con te stesso – inadeguatezza - non sentirsi bene con gli altri - guardare sempre se chi sta vicino è grasso o magro una malattia anche se non è considerata tale: chi è malato è compreso, chi è obeso è deriso - è sempre stata per me motivo di vergogna verso me stesso e verso gli altri - handicap fisico - effetto di una tossicodipendenza - mancanza di carattere - una cosa che fa stare male dentro e fuori fatica e impedimento ai lavori quotidiani - un essermi lasciata andare - un essermi dimenticata lo specchio - non volersi bene un nemico da combattere per rinascere in un corpo nuovo - difficile rapporto con il cibo - essere obesi vuol dire non essere accettati da questa società fondata solo sull’immagine- rinuncia a uscire per paura di gente che ride - condiziona tutta la mia vita, le mie giornate, i miei interessi – caos – disarmonia - un dolore sottile che ti pervade e ti opacizza la vita - distruzione fisica, morale del proprio corpo Parole e pensieri per il diabete: La fatica di ricordarsi di fare gli stick – disagio per i farmaci - l’emarginazione degli amici seduti a tavola con me - la riflessione davanti a qualsiasi alimento - eseguire gli esami per la glicemia durante la giornata quando sono fuori - fare l’insulina - dover cambiare stile di vita - dover continuamente tenere la glicemia sotto controllo - pensare continuamente alle conseguenze - una malattia subdola - sentirsi diverso - paura delle complicanze - paura di morire - è un pensiero fisso, un’ossessione - rinuncia a vivere serenamente - fine della libertà - privazione - depressione nel rapporto con gli altri -rinuncia ai piaceri della vita Il rapporto con il mio corpo: Il mio corpo non mi piace, ho grossi problemi nel muovermi con scioltezza, quando mi sento osservata mi sento giudicata – mi vedo terribilmente grassa e brutta – evito di guardarmi allo specchio – odio, odio puro! Non lo amo e mi rende più triste di quanto lo sia giornalmente guardarmi allo specchio. Ho vergogna di farmi vedere da altre persone – pessimo, ma non faccio nulla per cambiare, completa apatia – disordinato. Mi appartiene lo so, io lo guardo da lontano come se non fosse mio e invece vivo dentro di lui - Non esiste, mi guardo allo specchio giusto per pettinarmi. La mia anima, i miei sentimenti, quella che sono io nel profondo è lontana anni luce dal mio corpo ma nessuno guarda dentro (tranne chi mi ama) e in mezzo alla gente vorrei sparire 75 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 76 Conclusioni L’educazione del paziente alla gestione e alla cura della sua malattia cronica non può prescindere dalla presa in carico del vissuto psico-emotivo che la convivenza con la cronicità comporta. La medicina e la tecnologia oggi ci hanno messo a disposizione i mezzi migliori per garantire a una persona affetta da cronicità le migliori cure possibili, così come un futuro sereno. Ma ciò spesso non basta a far sì che la persona si prenda cura di sé e si apra al cambiamento del proprio stile di vita. E questa resistenza spesso è la conseguenza di un mondo emotivo che accompagna l’esperienza della malattia fatto di dolore, disagio, negazione, vergogna, rabbia, incomprensione, solitudine. Emozioni che diventano barriere alla cura, ostacolo al cambiamento. A fronte di questo profondo disagio – fisico e psichico – la narrazione e la scrittura di sé rappresentano validi strumenti di cura che valorizzano la storia di vita del paziente, l’incontro e lo scambio di esperienze e vissuti, la possibilità di riconoscersi nelle storie degli altri grazie a un ascolto e un sostegno reciproco. Il “gruppo” rappresenta il contesto privilegiato per accompagnare la persona al racconto e alla scoperta di sé, attraverso un movimento che da individuale e intimo si apre alla coralità di un’esperienza e alla solidarietà umana. E per capire, alla fine, che anche nella malattia non si è mai soli e cambiare si può, a qualsiasi età e in qualsiasi momento della propria vita. Call to action • Stimolare la coscienza collettiva sulla necessità di cambiare gli attuali modelli di cura della malattia cronica, già riconosciuti insufficienti e inadeguati • Investire maggiori risorse (spazi, mezzi finanziari, personale formato adeguatamente) nell’educazione terapeutica dei pazienti • Implementare la diffusione di pratiche educative che prevedano veri e propri spazi di supporto psico-pedagogico alla persona, a integrazione di momenti tecnici 76 e informativi, cosicché i paradigmi scientifico e umanistico possano dialogare e cooperare per far fronte alla complessità della malattia Natalia Piana C.U.R.I.A.Mo Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria, Università degli studi di Peugia Bibliografia 1. N. Piana, A. Maldonato, D. Bloise, L. Carboni, G. Careddu, E. Fraticelli, L. Mereu, G. Romani, “The narrative-autobiographical approach in the group education of adolescents with diabetes: a qualitative research on its effects, Patient Education and Counseling 2010, 80: 56-63. Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 77 Modelli avanzati per l'uso dell'esercizio fisico in diabetologia Il C.U.R.I.A.MO. Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria Premessa Il 6 luglio 2009 è stato siglato dai rappresentanti della Regione Umbria e dell’Universita’ degli Studi di Perugia (Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attivita’ Motoria, C.U.R.I.A.MO.) un protocollo d’intesa per la prevenzione del Diabete Mellito, dell’obesità e dell’ipertensione. L’articolo 2 del Protocollo d’Intesa stabilisce gli obiettivi del progetto C.U.R.I.A.MO: 1. Sviluppare programmi multisettoriali per contrastare gli stili di vita non salutari (cattiva alimentazione, il bere smoderatamente, il fumare, il non praticare attività motoria) che costituiscono fattori di rischio per sviluppare malattie cardiovascolari e il diabete di tipo 2 o per enfatizzarne gli effetti negativi nel caso in cui già si soffra di queste patologie; 2. Promuovere una cultura della prevenzione del diabete mellito, dell’obesità, dell’ipertensione, delle vasculopatie arteriosclerotiche, dell’osteoporosi e dei processi associati all’invecchiamento, suggerendo i comportamenti più adeguati per un sano stile di vita, al fine di evitare il ricorso a rimedi farmacologici e prevenire l’insorgenza delle patologie o contenerne gli effetti; 3. Divulgare e diffondere i risultati della ricerca affinché possa realizzarsi una crescita continua delle conoscenze anche al fine di attivare offerte formative finalizzate all’efficacia degli interventi di prevenzione nel contrastare l’insorgere delle patologie o nel contenerne gli effetti; 4. Introdurre nei percorsi di diagnosi, di cura e di riabilitazione, specifici protocolli comportamentali basati sulle prove di efficacia e efficienza dei risultati scientifici della presente ricerca, atti a ridurre i fattori di rischio legati a stili di vita non salutari. Situazione attuale Il C.U.R.I.A.MO. ha definito un innovativo percorso multidisciplinare per la modifica dello stile di vita delle persone con obesità e diabete di tipo 2 (Figura 1, Tabella 2). Il modello del C.U.R.I.A.MO. è stato disegnato per cercare - con una serie di passaggi curati da figure professionali diverse e complementari - di fare allo stesso tempo una valutazione clinica della patologia e promuovere i complessi aspetti psicologici che portano le persone sedentarie alla scelta di uno stile di vita salutare. 77 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 78 Il percorso di modifica dello stile di vita del CURIAMO Figura professionale Obiettivo clinico Obiettivo psicologico Diabetologo Stato patologia e complicanze Autoconsapevolezza Dietista Correzione errori alimentari Autoconsapevolezza Specialista medicina sport Valutazione forma fisica Autoconsapevolezza Psicologo Motivazione al cambiamento Bilancio decisionale Laureato Scienze Motorie Miglioramento forma fisica con sedute in palestra Autoefficacia, piacere Pedagogista ed infermiere educatore terapeutico Formazione di gruppi di pazienti e figure di pazienti leader Dinamica positiva del gruppo Organizzatore di attività all’aperto e istruttore di Nordic Walking Miglioramento forma fisica con camminate all’aperto Dinamica positiva di gruppo e ambiente Tutte le figure insieme Camminate in gruppo di 1-2 settimane con mete stimolanti Dinamica positiva di gruppo, ambiente e sfida Diabetologo, specialista medicina dello sport e, se necessario, altre figure professionali Visite di controllo a 3,6 e poi ogni 12 mesi con rivalutazione della terapia e dello stato di patologia e di forma fisica Rinforzo per l’adesione a lungo termine Il percorso del paziente comincia con lo specialista di patologia perché il paziente si aspetta la cura. Il diabetologo con il paziente esamina lo stato della patologia, le eventuali complicanze, il rischio cardiovascolare ed aiuta il paziente a capire quali sono le cause del diabete e quali possono essere le soluzioni (presa di coscienza del possibile beneficio in termini di salute e benessere psicofisico del cambiamento di stile di vita). La dietista con il paziente esamina le abitudini alimentari, identifica gli errori alimentari e collabora con il paziente al quale, tramite tecniche di problem solving, sono richieste strategie correttive, sostenibili a lungo termine (presa di coscienza degli errori nutrizionali e della possibilità di miglioramento dell’alimentazione). Sono inoltre organizzate 6 sessioni di educazione alimentare e del laboratorio del gusto per piccoli gruppi, condotte da due dietiste. Il medico specialista in medicina dello sport mediante il test al lattato con carichi crescenti su treadmill sub-mas78 simali valuta lo stato di forma fisica del soggetto e sottolinea il rapporto tra capacità aerobica e spettanza di vita. Il paziente ha l’occasione di prendere coscienza del suo stato di forma fisica e di visualizzare un possibile miglioramento grazie all’allenamento. Lo psicologo aiuta il paziente nel processo di accettazione della patologia, nell’individuarne le cause e gli eventuali effetti emotivi e relazionali, favorendo uno spostamento decisionale del paziente verso uno stile di vita più salutare in cui l’attività fisica e l’attenzione alla dieta non sono delle costrizioni, ma scelte consapevoli e positive che migliorano autostima e qualità di vita. I pazienti con disturbi del comportamento alimentare sono indirizzati a 12 incontri di gruppo a termine, esperenziale mediano, condotti da uno psicoterapeuta. Il laureato in scienze motorie assiste il paziente nel suo iniziale processo di cambiamento facendogli percepire il piacere dell’attività motoria, di riscoprire il movimento e, soprattutto, promuovendo la sensazione di autoefficacia Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 79 del paziente e la visione delle nuove possibilità di cura e di miglioramento fisico offerte dal cambiamento. La pedagogista interviene dopo le prime sedute in palestra aggregando i pazienti in gruppi di 12-18 partecipanti nei quali, attraverso l’autobiografia narrativa, vengono esteriorizzati i vissuti di patologia, descritti gli effetti e le aspettative del cambiamento e promosso, sulla scia delle dinamiche di gruppo, il prosieguo dell’attività fisica anche dopo la fine delle sessioni in palestra. L’operatore turistico eco ambientale raccoglie il lavoro fatto dalle altre figure professionali aggiungendo il valore dello stimolo ambientale agli altri stimoli positivi intrinseci all’attività fisica di gruppo e promuove periodici incontri per assicurare l’adesione a lungo termine al cambiamento. Il percorso di cambiamento verso uno stile di vita salutare così organizzato è efficace se le figure professionali preposte sono sensibili, attente e collaborano tra loro. Per questo vengono tenute riunioni settimanali tra tutti gli operatori per verificare in itinere la funzionalità dell’intervento e migliorarne l’efficacia. Ad oggi, abbiamo a disposizione i risultati dell’intervento di modifica dello stile di vita in 79 pazienti con diabete tipo 2 e in 225 pazienti con obesità. L’analisi dei dati del diabete di tipo 2 dimostra significativi benefici dell’intervento a distanza di 3 mesi dall’inizio. Si sono registrati significative riduzioni della massa grassa (2,3 kg), della pressione arteriosa (sistolica -15 mmHg, diastolica -7 mmHg) e l’incremento di 0,6 kg della massa muscolare, una significativa riduzione della glicemia basale (30 mg%) e dell’emoglobina glicosilata (-0,75 %). Si è ridotto il rischio cardiovascolare ed è migliorata la capacità aerobica, ad indicare una riduzione del rischio di morte da tutte le cause. Inoltre, i tests psicometrici dimostrano un netto miglioramento del tono dell’umore, dell’autostima e della qualità di vita. Tutti i miglioramenti sopra elencati si sono associati con una riduzione della spesa per farmaci e delle DDD (daily defined doses) dei farmaci usati per la terapia del-diabete e dell’ipertensione. Infine, il CURIAMO ha organizzato una serie di iniziative per promuovere una cultura della prevenzione del diabete mellito, obesità, ipertensione e vasculopatie arteriosclerotiche e favorire comportamenti più adeguati per un sano stile di vita e per divulgare e diffondere i risultati della ricerca. Conclusioni Il CURIAMO rappresenta un vero e proprio laboratorio sperimentale per identificare le strategie più efficaci di miglioramento dello stile di vita delle persone con diabete e obesità. L’esperienza del modello di intervento nel primo anno di attività, è particolarmente positiva per gli operatori coinvolti e per i pazienti che sono stati trattati. Si intravede dai risultati preliminari una nuova via terapeutica che oltre a migliorare lo stato di salute e la qua79 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 80 lità della vita delle persone con diabete può comportare significativi risparmi per i costi del SSN. Una richiesta comune dei pazienti che terminano la fase intensiva dell’intervento, a cui il CURIAMO non può attualmente rispondere, è quella di poter continuare l’esercizio terapia in ambiente supervisionato e in modo strutturato. Call to action • È necessario produrre dati economici in termini di costo/beneficio e costo/utilità dell’intervento che potranno essere utilizzati dai decisori politici per valutare l’opportunità di istituire nel territorio dei centri multidisciplinari sullo stile di vita • È necessario un coordinamento tra il centro multidisciplinare ed il territorio per dare una continuità all’azione intensiva di modifica dello stile di vita. Una utilizzazione ottimale degli spazi nelle palestre pubbliche con laureati di scienze motorie qualificati e consulenze nutrizionali e psicologiche esterne potrebbe essere un percorso da sperimentare • È necessario verificare a lungo termine gli effetti dell’intervento di modifica dello stile di vita sulle persone con diabete mellito di tipo 2 Pierpaolo De Feo C.U.R.I.A.MO. Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia 80 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 81 Il CRAMD Centro Studi e Ricerche per l’Attività Motoria nel Diabete Premessa Il Centro Studi e Ricerche per l’Attività Motoria nel Diabete nasce a Catania nell’aprile 2002 in seguito alla necessità di individuare strumenti e giuste sinergie fra metabolismo, medicina dello sport e scienze motorie. Il suo obiettivo primario è il corretto studio dell’Attività Fisica nel Diabete e nell’Obesità come strumento indispensabile di terapia, per l’identificazione di percorsi idonei di avviamento all’attività motoria per persone con diabete o obese. Il primo atto è stata la convenzione fra il CRAMD ed il Cus Catania, passaggio importante e significativo come base operativa iniziale per l’accesso dei diabetici all’attività motoria. La professionalità e l’accoglienza in un ambiente istituzionalmente giovane, sono stati così elemento di attrazione per l’accesso dei “ragazzi” con diabete ed obesità agli attrezzatissimi impianti sportivi che il Cus Catania, ha messo a disposizione (palestre, sala attrezzi, piste, ambulatori, aule, attrezzature varie) insieme al know-how tecnico-sportivo per i diabetici, i team diabetologici e i tecnici. Situazione attuale Al CRAMD ogni giorno Diabetici di tipo 1 e di tipo 2 curano il wellness metabolico con sedute di allenamento specifiche sotto la direzione di medici diabetologi e dello sport, psicologi e laureati in Scienze Motorie appositamente formati. Tutto ciò grazie all’avviamento di un piano di sviluppo che ha coinvolto medici, tecnici e diabetici. Attività per i medici Numerose le iniziative per gli specialisti del settore con Convegni di aggiornamento e corsi pratici (Corsi Nazionali avanzati su Diabete e Attività fisica ospitati nel prestigioso Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana di Erice, Meeting Internazionale su Diabete e Attività Fisica, Corsi pratici per Specialisti di diabetologia e per Medici di Medicina Generale) Attività per i tecnici Sono di routine Corsi annuali per Laureati in Scienze Motorie in collaborazione con l’omonimo Corso di Laurea dell’Università di Catania (regolarmente accreditati), Seminari scientifici e Corsi di aggiornamento che formano giovani esperti di movimento e metabolismo. Attività per i diabetici Attività interne al Cus Catania L’accesso dei diabetici agli impianti del Cus Catania è ottimizzato attraverso una modulistica distribuita in tutte le strutture sanitarie che permette di raccogliere informazioni su diabetici e obesi. Vengono costituiti così gruppi omogenei in base ad età, tipo di diabete, terapia ed eventuali complicanze presenti. Al primo incontro si stabilisce un piano di lavoro che ha la durata di tre mesi, al termine dei quali viene rilasciata una certificazione sulle attività svolte (a firma di medici, specialisti del movimento e psicologi) che ogni diabetico consegna poi alla struttura specialistica di riferimento. In relazione ai risultati ottenuti e all’adesione al trattamento viene eventualmente deciso un periodo di lavoro di ulteriori tre mesi o un follow-up a 81 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 82 Conclusioni Il Centro Studi e Ricerche per l’Attività Motoria nel Diabete, consolidandosi sempre di più nel territorio, rappresenta oggi un punto di riferimento importante per il diabetico e l’obeso, con un modello facilmente esportabile e un’occasione di lavoro per le svariate figure professionali specifiche coinvolte. I prossimi obiettivi che il CRAMD intende raggiungere riguardano il miglioramento della logistica. Ogni persona con diabete e/obesità che volesse intraprendere un percorso di attività fisica potrà recarsi nella struttura più vicina o più comoda, avendo la certezza di trovare personale tecnico qualificato e specificatamente formato. 6-8 mesi con successivo intervento di sostegno o di rafforzamento. Tutte le persone con diabete, dopo attenta analisi dei requisiti metabolici, fisici ed individuali e con strategie mirate (counseling individuale e di gruppo) iniziano così un percorso d’accesso personalizzato. Attività esterne al Cus Catania Riguardano attività per diabetici di tipo 1 (Diabtrek: scalata alla vetta dell’Etna, Madonietrek: lungo i sentieri montuosi delle Madonie) e diabetici di tipo 2 (percorsi di fitwalking nelle splendide pinete dell’Etna e weekend formativi a mare). Inoltre il CRAMD ha concordato specifiche intese con piscine pubbliche e private già convenzionate con il Cus Catania per chi preferisce le attività di acqua. 82 Call to action • L’esperienza positiva del CRAMD indica l’opportunità di istituire collaborazioni attive tra centri diabetologici e strutture sportive • Aumentare le attività formative ed educazionali sull’impiego ottimale dell’esercizio fisico per la terapia e prevenzione del diabete, coinvolgendo psicologi e laureati in scienze motorie Maurizio Di Mauro Presidente CRAMD Centro Studi e Ricerche per l’Attività Motoria nel Diabete Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 83 L'attività sportiva Il ruolo dell'attività sportiva Premessa Numerosissime pubblicazioni scientifiche evidenziano come il principale fattore di rischio di morte sia proprio la ridotta capacità di esercizio, mostrando in alcuni casi che l’incremento di un solo MET (un MET è l’unità di misura del metabolismo e, convenzionalmente, corrisponde al consumo di Ossigeno di 3,5 ml per kilogrammo di peso corporeo per minuto [3,5 mlO2(kg*min)-1]) diminuisca del 17% il rischio di mortalità in un gruppo di oltre 7000 donne (Gulati, Circulation, 2003). L’attività fisica è da considerarsi quella medicina capace di far guarire o di proteggere da alcune malattie, ma dovrebbe essere svolta sotto controllo medico, sia per la prescrizione di quella ideale che per la definizione del suo dosaggio. Concetto indiscutibile quando si fa riferimento a popolazioni in condizioni patologiche, in cui l’attività sportiva va intesa proprio come sport-terapia, ma appropriato e facilmente intuibile anche quando si affrontano condizioni fisiologiche: ad un bambino piccolo, verrà proposta una attività sportiva rivolta al miglioramento del suo sviluppo psico-fisico e non un’attività di sollevamento pesi! Situazione attuale Ma qual è, secondo le più recenti evidenze scientifiche, il minimo di attività fisica necessaria per preservare e migliorare la salute? Dal punto di vista calorico questo potrebbe essere quantificato in una attività motoria che comporti un dispendio energetico compreso tra 1000 e 2000 calorie a settimana; dal punto di vista pratico significa seguire un allenamento aerobico tre-cinque volte a settimana di intensità moderata, per circa 30-60 minuti a cui associare un allenamento muscolare semplice ed esercizi quotidiani di stretching. L’allenamento aerobico deve svolgersi ad una intensità che sia tra il 55-60 e l’80% del proprio massimale (inteso come massimo consumo d’Ossigeno). Nel piano settimanale di lavoro, all’allenamento aerobico si dovrebbero associare delle sedute di allenamento con piccoli pesi o contro piccole resistenze, un allenamento cioè che agisce maggiormente sulla periferia (ovvero sui muscoli) senza indurre carichi troppo alti che potrebbero determinare sovraccarichi funzionali ed essere quindi controindicati in alcune patologie (ad esempio nell’ipertensione arteriosa). Infine, ma non di minore importanza, andrebbe inserito quotidianamente un esercizio di allungamento delle principali articolazioni (spalla, bacino e colonna) per contrastare la comune esperienza della perdita di flessibilità articolare, legata all’invecchiamento. Quando la pratica sportiva è di tipo agonistico, non dobbiamo dimenticare che oltre agli effetti positivi legati alla pratica dell’attività motoria, si vengono a creare condizioni e situazioni che pongono importanti sfide alla persona (soprattutto se in presenza di condizioni patologiche come il diabete) e ai professionisti che lo seguono. Se la situazione ideale per il diabetologo è quella in cui il consumo di glucosio avviene ogni giorno in orari, quantità e modalità prevedibili, come accade regolarmente con l’assunzione di glucosio ai pasti principali e come è possibile realizzare se si svolgono attività ludiche, assai meno “ideale” può essere quello che avviene con la pratica agonistica. Gli orari degli incontri possono differire molto anche da un giorno all’altro; gli allenamenti possono essere diversamente intensificati in funzione della sua programmazione; la partecipazione reale all’incontro (in campo o in panchina) può essere decisa all’ultimo momento. Per affrontare queste situazioni sarebbe necessario avere un paziente ‘modello’, ma non basterebbe! Occorre un lavoro di gruppo che sappia affrontare, avvalendosi se possibile dell’aiuto di un medico specialista in Medicina dello Sport, l’entità dello sforzo, la misura in cui questo sarà ‘finanziato’ dai tessuti muscolari attraverso carboidrati o acidi grassi liberi (generalmente il ricorso ai grassi è inversamente proporzionale all’intensità). Un impegno che si aggiunge alla necessità di calibrare con cura sia l’equilibrio glicemico precedente all’attività sportiva, sia quello nelle ore seguenti (in cui la ricostituzione delle riserve di glucosio provoca una tendenziale ipoglicemia). Non vi sono ad oggi impedimenti normativi o legali alla pratica di attività fisica da parte della persona con diabete. Riprendendo la legge del 16 marzo 1987 n°115, la malattia diabetica priva di complicanze invalidanti non costituisce motivo ostativo al rilascio del certificato di idoneità fisica per la iscrizione nelle scuole di ogni ordine e 83 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 84 grado, per lo svolgimento di attività sportive a carattere non agonistico e per l’accesso ai posti di lavoro pubblico e privato, salvo i casi per i quali si richiedano specifici, particolari requisiti attitudinali. Il comma 2 della legge precisa inoltre che, in caso di attività sportive agonistiche, il certificato deve essere rilasciato previa presentazione di una certificazione del medico diabetologo curante che attesti lo stato di malattia diabetica compensata nonché la condizione ottimale di autocontrollo e di terapia da parte del soggetto diabetico. Conclusioni In generale, ed indipendentemente dalla tipologia del soggetto, l’attività fisica è: – capace di ridurre il rischio di incidente cardiovascolare (infarto, ictus, ecc.) per il suo effetto diretto sul cuore e sui vasi ma anche per il suo effetto indiretto su TUTTI i fattori di rischio cardiovascolare (riduce la pressione arteriosa a riposo, aiuta nel dimagrimento corporeo, aumenta il livello di colesterolo HDL, ecc); – il più potente farmaco nel contrastare la sindrome metabolica; – essenziale nell’aumentare la tolleranza e l’utilizzo del glucosio, riducendo il rischio di diabete di tipo 2 e migliorando il trattamento con insulina, nel diabete di tipo 1. Una seduta isolata di esercizio fisico può migliorare la captazione del glucosio anche per 16 ore; alcune settimane di allenamenti migliorano del 30% e per lungo tempo la captazione insulino mediata. In condizioni fisiologiche e soprattutto in presenza di patologie metaboliche come il diabete, lo strumento attività motoria-sportiva può essere estremamente utile ed efficace nel mantenere una condizione di benessere psico-fisico e nell’ottimizzazione della gestione terapeutica di una patologia, senza dimenticare l’impatto positivo che esso può avere sulla sfera psichica ed emotiva dell’atleta. 84 Call to action • Favorire una equilibrata attività sportiva per le persone con diabete aumentando l’interazione tra specialisti in medicina dello sport e diabetologi. L’obiettivo ideale è il conseguimento di buoni risultati sportivi associato al miglioramento del controllo glico-metabolico e dell’equilibrio psichico dell’atleta con diabete Marcello Faina Direttore dell’Istituto di Scienza dello Sport del Comitato Olimpico Nazionale Italiano Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 85 “SPORT E DIABETE: l'esperienza italiana e l'ANIAD” Premessa Il mondo dello sport e del diabete ha, in Italia, alcune peculiarita’ ed originalita’ che non si riscontrano in altri paesi. Dal 1991 esiste la Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici (ANIAD ONLUS) , unica fra le 220 associazioni aderenti all’IDF ad occuparsi esclusivamente della diffusione dello sport, della formazione e sostegno degli atleti con diabete, della promozione della salute attraverso l’attività’ fisica nelle persone con diabete. Situazione attuale L’ANIAD nasce da una precedente esperienza spontanea regionale e ha avuto il merito di aggregare numerosi giovani che praticavano diverse discipline a buon livello fin dagli anni ‘80, quasi sempre con il “fai da te” e spesso “nascondendosi” rispetto al mondo ufficiale della diabetologia di allora, non sempre incline ad accettare e sostenere tali persone. L’associazione ha creato in questi anni un network di opinioni ed attività fra gli atleti con diabete, contribuendo a diffonderne la cultura, imponendo l’immagine dello sportivo diabetico consapevole, attento, capace di valutare sempre il rapporto rischio beneficio e quindi modello da seguire. Questo network di atleti diabetici, alcuni dei quali abili anche nel comunicare in modo corretto e convincente, è stato in questi venti anni di vita dell’A.N.I.A.D., in grado di promuovere la diffusione della cultura dello sport fra i diabetologi e gli operatori sanitari ed ha contribuito a far maturare nel mondo della diabetologia la convinzione che bisognasse valorizzare l’attività fisica quale importante mezzo di crescita e formazione della persona con diabete oltre che di mantenimento della salute acquisendone le opportune conoscenze e metodologie applicative. Dall’associazione, in modo talvolta organizzato talvolta spontaneo, sono gemmati molti altri gruppi con particolare interesse per specifiche attività sportive quali, ad esempio, l’A.D.I.Q. (Alpinisti Diabetici in Quota), esperti di alta montagna che hanno conquistato numerose vette anche superiori ad 8000 metri in Asia, Africa e SudAmerica. Il loro impegno sociale si esprime annualmente nella organizzazione di una iniziativa, il“DiabTrek”, uno stage di trekking di mezza montagna destinato a bambini con diabete tipo 1 e guidati oltre che da diabetologi dagli stessi alpinisti con diabete. Questo rappresenta un modello di comunicazione educativa eccellente e un esempio di come il diabetico guida possa essere egli stesso promotore di salute nella comunità. 85 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 86 Altri gruppi da ricordare sono il gruppo della squadra nazionale di Basket e la squadra di calcio dell’A.N.I.A.D. Entrambe più volte impegnate in incontri anche a livello nazionale, hanno contribuito alla diffusione delle conoscenze di questa malattia e al miglioramento dell’immagine della persona con diabete, esibendosi spesso in occasione delle manifestazioni a corollario della Giornata Mondiale del Diabete. Il Gruppo Ciclismo & Diabete 86 annovera alcune centinaia di aderenti ed organizza escursioni di fondo in Italia ed in Europa per promuovere le conoscenze sul diabete nei media e aumentare le conoscenze personali degli aderenti sulla fisio-patologia dello sport, sulla gestione dell’alimentazione e dell’insulina in occasione degli incontri culturali che sempre si legano all’evento sportivo.Il Gruppo Diabete No-Limits impegnato nel podismo di fondo (mezze maratone e maratone), ed è dotato di un sito assai vivace ed interattivo dove atleti con diabete discutono e condividonostrategie terapeutiche e comportamentali adottate durante tali gare. Completano il quadro il Gruppo di Velisti e il neonato gruppo in seno ad A.N.I.A.D dei praticanti il “Triathlon”. Oltre a queste aggregazioni che rappresentano un bell’esempio di lavoro di gruppo, vanno segnate alcuni giovani che talora, attraverso un percorso complesso e talvolta doloroso di accettazione della propria malattia e ricerca di un diabetologo che potesse sostenere le proprie aspirazioni, hanno raggiunto obiettivi importanti e mediaticamente rilevanti, contribuendo a proporre e a diffondere questa immagine positiva di vitalità e benessere, educazione terapeutica e consapevole convivenza con il diabete. Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 87 Mi piace citare in particolare Monica Priore, prima donna in Italia con diabete ad aver attraversato a nuoto lo Stretto di Messina e Mauro Talini, maratoneta su due ruote protagonista di tantissime imprese di fondo (Tour dei Santuari Europei, Capo Nord, Gerusalemme) che di recente ha percorso circa 10.000 km in Sud-America raggiungendo la Terra del Fuoco per sostenere il bellissimo progetto di solidarietà “Una bici mille speranze”, in collaborazione con la comunità di Padre Kolbe che raccoglie fondi per la costruzione di una scuola per i bambini poveri di una favelas di San Paolo del Brasile. Conclusioni La pratica responsabile dello sport, oltre ai ben noti effetti benefici sul sistema cardiovascolare, obbliga ad effettuare un’autocontrollo glicemico costante e “ragionato”, richiede una costante attenzione alle proprie scelte alimentari e una valutazione previsionale del dispendio energetico e quindi del fabbisogno glicidico compensatorio; in altre parole, allena a gestire il diabete nel migliore dei modi, in condizioni talvolta “estreme”, rappresentando una palestra di autogestione straordinaria anche nella vita quotidiana. La pratica regolare dell’attività sportiva in persone con diabete sviluppa inoltre quelle caratteristiche tipiche dello sport come la lealtà, la disponibilità ad aiutare gli altri e la valutazione del rapporto rischio-beneficio che sono estremamente formativi nel processo di accettazione della malattia cronica ed, unitamente alle soddisfazioni sportive e alla costante percezione di una mantenuta condizione di salute, migliorano significativamente la qualità di vita. In questi venti anni di vita, l’A.N.I.A.D ha raggiunto migliaia di giovani con diabete, ha partecipato a, ed ha organizzato, centinaia di iniziative sportive, talora in collaborazione con altre associazioni, enti ed istituzioni, ed è costantemente impegnata in questo processo virtuoso, i cui attori fondamentali sono gli stessi atleti con diabete. Rappresenta un mondo variegato “in movimento”, un valore aggiunto nel panorama diabetologico italiano ed un modello pedagogico “a piramide rovesciata” in cui gli stimoli alla crescita culturale e sportiva nascono proprio dalla e cioe’ dagli stessi atleti con diabete che ne sono i destinatari per “contagiare” spesso gli stessi operatori sanitari e le istituzioni. Call to action • Formare in modo strutturato, aderendo a progetti italiani e al progetto IDF, atleti diabetici che diventino testimoni e diffusori della cultura di una sana attivita fisica nel mondo della diabetologia • Realizzare sul territorio il protocollo di cooperazione già approvato dalla giunta del CONI per avvalersi del reciproco know-how nel sostenere atleti con diabete ed alfabetizzare alla conoscenza di essi istruttori di educazione fisica ed allenatori • Contribuire al recepimento e alla diffusione del manifesto dei diritti della persona con diabete in particolare il capitolo che riguarda l’attivita fisica sul territorio della regione Campania Gerardo Corigliano Responsabile Centro Diabetologico AID Napoli Presidente ANIAD 87 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 88 La Triade Terapeutica: “Attività Motoria, Alimentazione e Farmaci” b) Il ruolo dell'Educazione Alimentare Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 89 L’alimentazione nella cura del Diabete Premessa La terapia nutrizionale del diabete mellito, associata ad un regolare esercizio fisico ed eventualmente ad una idonea terapia farmacologica, è fondamentale per ottenere un controllo metabolico ottimale e ridurre il rischio di sviluppo delle complicanze macro e microangiopatiche, nel paziente diabetico sia tipo 1 che 2. Un intervento nutrizionale adeguato contribuisce al raggiungimento degli obiettivi glicemici e migliora il profilo di rischio cardiovascolare, in quanto in grado di controllare anche le altre alterazioni metaboliche frequentemente associate al diabete, quali insulino-resistenza, dislipidemia, ipertensione arteriosa. il 10 ed il 20 % delle calorie totali giornaliere, con l’indicazione di non superare un apporto proteico di 0.8 g/kg di peso corporeo nei pazienti con diabete tipo 1 e nefropatia; 5) riduzione dell’apporto di sale (< 6 g al giorno); 6) moderato apporto di alcool (1 bicchiere nella donna e 2 nell’uomo al giorno) in assenza di controindicazioni specifiche come ipertrigliceridemia, obesità e gravidanza. L’implementazione pratica di queste raccomandazioni, riassunte nella Tabella 1, non è affatto facile e necessita di strumenti idonei. A tal proposito, i risultati ottenuti dallo studio LOOK-AHEAD nei pazienti diabetici (3), così come quelli ottenuti negli studi di prevenzione del diabete negli Situazione attuale Le linee guida per una corretta alimentazione del paziente diabetico (1,2) si basano su alcuni principi fondamentali quali: 1) mantenimento del peso corporeo per i pazienti normopeso o moderata riduzione ponderale, del 5-10 %, per i pazienti in sovrappeso od obesi, necessaria anche per il miglioramento della sensibilità insulinica la cui alterazione è alla base del diabete tipo 2 e delle malattie cardiovascolari; 2) riduzione dell’apporto dei grassi saturi e dei grassi trans al di sotto del 10% dell’apporto calorico totale della dieta (o anche del 8 % in caso di elevati livelli di colesterolo LDL) con preferenza, invece, degli acidi grassi insaturi, in particolare dei monoinsaturi (che dovrebbero costituire il 10-20 % dell’ apporto calorico totale); 3) quota di carboidrati compresa tra il 45% ed il 60% dell’energia totale, purchè derivi prevalentemente da alimenti ricchi in fibre (cereali integrali, legumi, verdura e frutta) e/o a basso indice glicemico (pasta, riso parboiled etc.). Il consumo di alimenti ricchi in fibre, oltre ad avere effetti positivi metabolici (sul controllo glicemico, sui livelli di colesterolo LDL) e sulla pressione arteriosa, ha anche il vantaggio di aumentare il senso di sazietà, facilitando nei soggetti obesi l’adesione alla dieta ipocalorica; 4) quota proteica, sia di origine animale che vegetale, tra Tabella 1. Raccomandazioni per la terapia nutrizionale del diabete Peso corporeo e bilancio energetico Per gli individui in sovrappeso od obesi, riduzione dell’apporto calorico ed aumento del dispendio energetico, al fine di ottenere un accettabile decremento ponderale (5-10% del peso) Proteine 10-20% ET. DM tipo 1 con nefropatia: 0.8g/kg peso ideale/die Grassi saturi + trans <10% ET, se colesterolo LDL elevato <8% Grassi monoinsaturi cis 10-20% ET Grassi Polinsaturi n-3 2-3 porzioni di pesce la settimana e vegetali ricchi in n-3 Colesterolo <300 mg/die Carboidrati 45-60% ET in basa alle caratteristiche metaboliche dei pazienti. Preferire alimenti a basso indice glicemico e/o ricchi in fibre Indice Glicemico Alimenti ricchi in carboidrati con basso indice glicemico dovrebbero essere preferiti quando le altre caratteristiche nutrizionali sono appropriate Fibre 40g/die (20g/1000 kcal) prevalentemente idrosolubili. Effetti benefici anche con quantità minori (più accettabili). Tra i cereali, preferire quelli integrali e ricchi in fibre Sale Alcol ≤ 6g/die Accettabile un consumo moderato: fino a 10 g nelle donne e 20 g negli uomini (in assenza di altre patologie associate) ET: energia totale giornaliera. 89 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 90 individui a rischio (4), mostrano chiaramente che obiettivi importanti possono essere raggiunti solo tramite programmi intensivi di educazione effettuati da team multidisciplinari. Nello studio condotto nei pazienti diabetici, il gruppo di pazienti assegnato all’“intensive care” nutrizionale (incontri individuali e di gruppo con medici, dietisti, psicologi, infermieri, preparatori atletici) ha ottenuto una riduzione significativa del peso corporeo, un miglioramento del controllo glicemico e dei lipidi, una riduzione significativa della pressione arteriosa (Tabella 2). A questi effetti favorevoli si è inoltre aggiunta una riduzione significativa dell’utilizzo dei farmaci, sia per il controllo del diabete che delle altre patologie ad esso associate, con una conseguente diminuzione dei costi sanitari. Tabella 2. Miglioramento del controllo glicemico, della pressione arteriosa e dei lipidi plasmatici dopo un anno di terapia nutrizionale intensiva (TNI) o standard (TNS) in pazienti con diabete tipo 2 TNI TNS p value -0.64±0.02 -0.14±0.02 <0.001 Pressione arteriosa sistolica (mmHg) -6.8±0.4 -2.8±0.3 <0.001 Pressione arteriosa diastolica (mmHg) -3.0±0.2 -1.8±0.2 <0.001 Colesterolo LDL (mg/dl) -5.2±0.6 -5.7±0.6 0.49 Colesterolo HDL (mg/dl) 3.4±0.2 1.4±0.1 <0.001 -30.3±2.0 -14.6±1.8 <0.001 HbAIC (%) Trigliceridi (mg/dl) mandazioni nutrizionali, uno per il paziente diabetico tipo 1 ed uno per quello con diabete tipo 2 (5,6), in cui viene descritto un programma intensivo di educazione nutrizionale, standardizzato nella metodologia e nei contenuti, che può essere utilizzato nella comune pratica clinica ed anche nelle strutture in cui non sono presenti le specifiche figure professionali. Tale programma, basato su 6 incontri di gruppo (8-10 pazienti) in cui vengono trattati diversi argomenti (riportati nelle tabelle 3 e 4) e su una didattica completamente interattiva, è stato già utilizzato Tabella 3. Argomenti del programma di educazione nutrizionale nei soggetti con diabete tipo 2 1° Sessione Bilancio energetico e peso corporeo: come si diventa obesi/sovrappeso e perché perdere peso 2° Sessione Bilancio energetico e peso corporeo: come perdere peso incrementando il dispendio energetico 3° Sessione Bilancio energetico e peso corporeo: come perdere peso riducendo l’intake energetico della dieta 4° Sessione Grassi: quantità e qualità 5° Sessione Carboidrati: quantità e qualità 6° Sessione Proteine, Sale, Alcol e modelli alimentari Tabella 4. Argomenti del programma di educazione nutrizionale nei soggetti con diabete tipo 1 1° Sessione Bilancio energetico e peso corporeo: come si diventa obesi e perché perdere peso The Look AHEAD Research Group, Diabetes Care 2007 2° Sessione Carboidrati: identificare gli alimenti ricchi in carboidrati, a basso indice glicemico e/o ricchi in fibre La messa in pratica di programmi intensivi di educazione, considerando la complessità, l’impegno di personale con competenze specifiche e i costi di realizzazione, si scontra ad oggi con un certo scetticismo nei confronti della reale possibilità di inserirli nella comune pratica clinica. Proprio per superare alcune di queste criticità, abbiamo recentemente prodotto 2 Manuali per l'attuazione delle racco- 3° Sessione Carboidrati: come identificare i carboidrati presenti negli alimenti e frazionarli nell’arco della giornata 4° Sessione Carboidrati: come mantenere costante la quota dei carboidrati della dieta 5° Sessione Grassi: quantità e qualità 6° Sessione Proteine, Sale, Alcol e modelli alimentari Con riduzione significativa dell’uso dei farmaci 90 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 91 in alcuni centri diabetologici italiani nell’ambito di uno studio pilota, e ha dato risultati confortanti sia per la riduzione ponderale che per il controllo glicemico e degli altri fattori di rischio cardiovascolare (7). Conclusioni L’importanza della terapia nutrizionale nel trattamento del paziente diabetico si basa su solide evidenze scientifiche e la dieta da raccomandare al paziente diabetico non è sostanzialmente diversa da quella da raccomandare alla popolazione generale per la prevenzione dell’aterosclerosi. Essa si basa infatti sui principi di una sana alimentazione che valgono anche per la popolazione in generale; tali principi devono essere adattati alla malattia di base e alle esigenze del singolo paziente trovando, di volta in volta, gli strumenti più adatti per una reale motivazione al cambiamento, unica possibilità per modificare in maniera duratura il proprio stile di vita. Call to action • Effettuazione di corsi di educazione nutrizionale, standardizzati per metodologia, a livello degli ambulatori per il trattamento del diabete • Preparazione di messaggi nutrizionali adeguati per la prevenzione ed il trattamento delle malattie cronicodegenerative e loro implementazione • Effettuazione di corsi di educazione nutrizionale a diversi livelli, scuole, ristorazione collettiva etc • Effettuazione di menù adeguati a livello della ristorazione scolastica, aziendale, ospedaliera, dei ristoranti e dei fast-foods Bibliografia 1. Mann JI, De Leeuw I, Hermansen K, Karamanos B, Karlström B, Katsilambros N,Riccardi G, Rivellese AA, Rizkalla S, Slama G, Toeller M, Uusitupa M, Vessby B; Diabetes and Nutrition Study Group (DNSG) of the European Association. Evidencebased nutritional approaches to the treatment and prevention of diabetes mellitus.Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2004 Dec;14(6):373-94. 2. Raccomandazioni nutrizionali basate sull’evidenza per la terapia e la prevenzione del diabete mellito” del Diabetes Nutrition Study Group (DNSG) dell’ European Association for the Study of Diabetes (EASD). Il Diabete; 2005; 4:173-196 3. The Look AHEAD Research Group. Reduction in weight and cardiovascular disease risk factors in individuals with type 2 diabetes. Diabetes Care 2007, 30: 1374-1383. 4. C.L. Gillies et al. “Pharmacological and lifestyle interventions to prevent or delay type 2 diabetes in people with impaired glucose tolerance: systematic review and meta-analysis”. BMJ 10, 2007 : 299-334. 5. Rivellese AA, Bruttomesso D, De Natale C, Giacco A, Giacco R, Giordano C, Pacioni D, Riccardi G, Saldalamacchia G, Tia VN, Tomelini M, Trento M, Vitacolonna E. Incontri di educazione alimentare per l’implementazione delle raccomandazioni nutrizionali (pazienti diabetici tipo 2). Abbott Diabetes Care. 6. Rivellese AA, Bruttomesso D, De Natale C, Giacco A, Giacco R, Giordano C, Pacioni D, Riccardi G, Saldalamacchia G, Tia VN, Tomelini M, Trento M, Vitacolonna E. Incontri di educazione alimentare per l’implementazione delle raccomandazioni nutrizionali (pazienti diabetici tipo 1). Abbott Diabetes Care. 7. De Natale C e Rivellese A.A. a nome del Gruppo Educandia Implementazione delle raccomandazioninutrizionali nei diabetici tipo 2 Il Giornale di AMD 2009,12:71-75. Angela Rivellese Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università Federico II di Napoli 91 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 92 L’alimentazione nella cura dell’obesità Premessa L’alimentazione si delinea come lo strumento primario per l’educazione finalizzata alla prevenzione e cura delle malattie e, quindi, alla promozione ed al mantenimento di un ottimale stato di salute. Il miglioramento delle condizioni socio-economiche ha purtroppo sconvolto discutibilmente le abitudini alimentari, facendo aumentare il trend delle patologie sociali, caratterizzanti il nostro secolo ed in continuo aumento, obesità in primis, senza più distinguo tra sessi, razze, classi sociali, fasce d’età. L’obesità è una patologia cronica, complessa, multifattoriale, conseguente a fattori genetici o ambientali o dall’interazione di essi. Ma se c’è ampia intesa nel considerare sovrappeso ed obesità come fattori in grado di compromettere lo stato di salute, molto più discusso è il loro trattamento. La certezza è che falliti gli atteggiamenti proibizionistici basati su dicktat e restrizioni, la terapia nutrizionale, non tenendo in alcun conto l’aspetto pluridimensionale del cibo e dell’atto di alimentarsi, è stata surclassata dall’educazione alimentare. L’educazione alimentare, secondo la definizione proposta dall’OMS e dalla FAO, è il processo informativo ed educativo per mezzo del quale si persegue il generale miglioramento dello stato di nutrizione degli individui, attraverso la promozione di adeguate abitudini alimentari, l’eliminazione dei comportamenti alimentari non soddisfacenti, l’utilizzazione di manipolazioni più igieniche dei cibi ed un uso efficiente delle risorse commestibili. Situazione attuale L’intervento dietoterapico, nelle persone sovrappeso e obese mira a far acquisire o riacquisire abitudini alimentari sane e piacevoli e favorisce il raggiungimento e il mantenimento di un appropriato controllo metabolico, glucidico, lipidico e pressorio, e previene o ritarda lo sviluppo di altre patologie croniche associate (Tabella 1)1,2. In studi effettuati in soggetti in sovrappeso od obesi, è stato dimostrato come nel breve periodo il calo ponderale ed il controllo dei fattori di rischio cardiovascolari non siano diversamente influenzati da diete a basso contenu92 Tabella 1. Obiettivi clinici nel trattamento del sovrappeso e obesità to glucidico o lipidico3. È necessario agire però con cautela nei soggetti che seguono diete a basso contenuto di carboidrati, considerando che sono disponibili solo dati nel breve periodo4. Analogamente, anche l’approccio alternativo di diete a basso contenuto lipidico, non ha ancora prodotto efficacia nel lungo termine5, anche se tali diete facilitano il raggiungimento di un bilancio energetico negativo, e riducono ulteriormente il rischio cardiovascolare6. Le persone obese devono ricevere, preferibilmente da un medico nutrizionista o da un dietista esperto nel trattamento nutrizionale dell’obesità ed inserito nel team multidisciplinare, una terapia nutrizionale individualizzata e basata sull’approccio educativo, al fine di raggiungere obiettivi terapeutici che tengano in considerazione le esigenze personali e la motivazione al cambiamento (Tabella 2)7. Nei soggetti in sovrappeso o con obesità, è necessario un miglioramento qualitativo e quantitativo dell’alimentazione per ridurre l’introito calorico e indurre il calo ponderale. Tali graduali acquisizioni di modifica dello stile di vita, insieme a strategie derivate dalla terapia cognitivo-comportamentale, sono le chiavi per mantenere a lungo ter- Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 93 Tabella 2 e 4. La terapia integrata nutrizionale e comportamentale mine i risultati ottenuti. Si dovrebbero, tramite un counseling nutrizionale specifico, fornire gli elementi di conoscenza utili a poter scegliere gli alimenti in modo consapevole e soprattutto, a costruire un piano alimentare quotidiano bilanciato e piacevole (Tabella 4). A conferma di ciò trials clinici hanno dimostrato che la combinazione della terapia comportamentale con la moderata riduzione dell’apporto calorico (300-500 kcal/ die) ed il modesto incremento del dispendio energetico (200- 300 kcal/die) permettono un lento, progressivo, ma più efficace calo ponderale (0,45-0,90 kg/settimana), rispetto a programmi che utilizzano una sola delle modalità descritte8. Un’alimentazione equilibrata dal punto di vista quantitativo e qualitativo può incidere sulla riduzione del peso corporeo del 8% in media e contribuire a ridurre il grasso addominale nell’arco di sei mesi circa, caratterizzando la perdita di peso a carico della massa grassa per il 75% e del 25% di quella magra, con migliori conseguenti risultati di mantenimento. Un’alimentazione naturalmente ricca in fibre vegetali, o a basso contenuto di grassi, o di carboidrati, può essere efficace nel determinare un calo ponderale nel breve periodo9, ma l’obiettivo del mantenimento a lungo termine è raggiungibile solo attraverso l’educazione ad una dieta ricca di fibre provenienti da ortaggi, frutta, cereali non raffinati, povera di grassi di origine animale e di zuccheri addiziona- Tabella 3. Raccomandazioni per la terapia nutrizionale dell’obesità ti, come quella mediterranea, caratterizzata anche da alimenti capaci di indurre elevato senso di sazietà. Da un punto di vista qualitativo, la scelta di alimenti a basso indice glicemico può rendere più efficace il trattamento influendo in modo positivo sull’andamento del peso, della composizione corporea e dell’assetto lipidico10. Occorre porre attenzione anche al consumo di alcool, poiché fornisce calorie non necessarie, aumentando l’introito energetico senza fornire i nutrienti essenziali, tanto che il suo eccessivo consumo è risultato associato all’obesità, sia in studi epidemiologici che sperimentali. Una moderata introduzione di alcool, fino a 10 g/die nelle donne e 20 g/die negli uomini, potrebbe essere accettabile, fuorché nelle condizioni in cui è sempre sconsigliato, come in gravidanza e in caso di ipertrigliceridemia e pancreatite11 (Tabella 3). Conclusioni Il trattamento nutrizionale dell’obesità è ancora oggetto di numerosi studi che non hanno dato esito a lungo termine, ma si è concordi sulla necessità di interventi integrati che permettano il mantenimento ed il sostegno al paziente nel lungo periodo, lavorando su obiettivi personali, realistici, e mantenendo elevata la motivazione al cambiamento. Per quanto riguarda l’alimentazione, oltre alla raccomandazione ad un adeguato controllo delle porzioni, qualitativa93 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 94 mente si deve far riferimento alle linee guida per una sana alimentazione nella popolazione italiana. L’obiettivo principale, nel tempo, è quello di acquisire il metodo migliore per poter ottimizzare la propria dieta giornaliera, rispetto alla gestione del peso e alla propria condizione di salute. Call to action Vista la complessità del trattamento delle patologie croniche come l’obesità e ancora la scarsa letteratura scientifica in merito, sono da tenere in considerazione due aspetti di fondamentale importanza: • La effettuazione di trias clinici con follow-up a lungo termine per la definizione di protocolli nutrizionali condivisi che promuovano abitudini e comportamenti alimentari salubri, non dettati dalle mode del momento, utilizzando anche metodiche innovative (es. Nutri Plate – Figura 1) Figura 1. Nutri Plate è un piatto suddiviso in aree colorate, che rappresentano nei diversi spazi le tipologie di cibo – e grosso modo le quantità – che dovrebbero essere previste ad ogni pasto, in modo da mangiare in modo corretto senza trascurare nessun nutriente. • La necessità di una formazione specifica sul corretto utilizzo del counseling nutrizionale e dell’educazione terapeutica di gruppo e del singolo, condividendo il lavoro e gli obiettivi in team multidisciplinari e multidimensionali Daniela Capezzali, Chiara Perrone Coordinatore degli insegnamenti tecnico-pratici e di Tirocini/ Tutor di tirocinio, Corso di Laurea in Dietistica Università degli Studi di Perugia 94 Bibliografia 1. American Diabetes Association. Nutrition Recommendations and Interventions for Diabetes - 2006. A Position Statement of the American Diabetes Association. Diabetes Care 2008;31(Suppl 1):S61-S78. 2. AMD, Diabete Italia, SID. Standard italiani per la cura del diabete mellito. Ed. Infomedica, Torino 2007. Accessibile al: http://www.infodiabetes.it 3. Avenell A, Broom J, Brown TJ, Poobalan A, Aucott L, Stearns SC, Smith WC, Jung RT, Campbell MK, Grant AM. Systematic review of the long-term effects and economic consequences of treatments for obesity and implications for health improvement. Health Technol Assess. 2004 May;8(21):III-IV, 1-182. 4. Davis NJ, Tomuta N, Schechter C, Isasi CR, Segal-Isaacson CJ, Stein D, Zonszein J, Wylie-Rosett J. Comparative Study of the Effects of a 1‑Year Dietary Intervention of a LowCarbohydrate Diet Versus a Low-Fat Diet on Weight and Glycemic Control in Type 2 Diabetes. Diabetes Care 2009;32:1147-52. 5. Summerbell C.D., Cameron C., Glasziou P.P. Advice on lowfat diets for obesity. Cochrane Database of Systematic Reviews: reviews 2008 issue 3. 6. Brownell KD. Diet, exercise,and behavioural intervention: the nonpharmacolocical approach. Eur J Clin Invest 28 (suppkl.2), 19-22, 1998. 7. Avenell A, Brown TJ, McGee MA, Campbell MK, Grant AM, Broom J, Jung RT, Smith WC. What interventions should we add to weight reducing diets in adults with obesity? A systematic review of randomized controlled trials of adding drug therapy, exercise, behaviour therapy or combinations of these interventions. J Hum Nutr Diet. 2004 Aug;17(4):293-316. 8. Flodgren G., Deane K., Dickinson H.O., Kirk S., Alberti H., Beyer F.R., Brown J.G., Penney T.L., Summerbell C.D, Eccles M.P. Interventions to change the behavieour of health professionals and the organisation of care tio promote weight reduction in oìverweight and obese adults. Cochrane Database of Systematic Reviews: reviews 2010 issue 3. 9. Klein S. Clinical trial experience with fat-restricted vs. carbohydrate-restricted weight-loss diets. Obes Res. 2004 Nov;12 Suppl 2:141S-4S. 10.Thomas D., elliott EJ, Baur L. Low glyceamic index or low glyceamic load dotes for overweight and obesity. Cochrane Database of Systematic Reviews: reviews 2009 issue 1. 11. American Dietetics Association Dietary Guidelines 2010. Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 95 La Triade Terapeutica: “Attività Motoria, Alimentazione e Farmaci” c) Il ruolo della Terapia Farmacologica Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 96 Inerzia terapeutica e memoria metabolica Premessa Una delle principali (se non la principale) cause che spiegano perché una elevata percentuale di soggetti con diabete mellito ancor oggi non raggiunge gli obiettivi desiderati in termini di compenso metabolico, è rappresentata dal fenomeno della “inerzia terapeutica”. Con questo termine si intende comunemente l’atteggiamento del medico che, pur consapevole del mancato raggiungimento degli obiettivi del trattamento di una determinata patologia, evita di adottare misure idonee (1). Questo atteggiamento può nascere da varie motivazioni, quali poca convinzione sui reali vantaggi derivanti dal raggiungimento degli obiettivi, scarsa fiducia negli strumenti disponibili per l’intervento o nella reale volontà del paziente di utilizzarli a fronte dei sacrifici richiesti, ecc. Il fenomeno dell’inerzia terapeutica coinvolge pressoché tutte le patologie croniche ed è evidente anche nella gestione del diabete mellito di tipo 2, sia nelle fasi precoci della malattia, quando cioè l’assenza di sintomi clinici e la modesta entità del rialzo glicemico possono creare, non solo nel paziente ma anche nel medico, la falsa impressione di una condizione di scarsa importanza clinica, sia nelle fasi più tardive e in particolare quando si verifica il fallimento secondario degli ipoglicemizzanti orali. Situazione attuale Quasi tutti i soggetti con diabete di tipo 2, dopo un periodo più o meno lungo di malattia, vanno incontro ad un progressivo incremento dei valori glicemici nonostante utilizzino al meglio i farmaci orali, per un progressivo esaurimento della residua capacità di produrre insulina da parte del pancreas (2). Questa evenienza impone il ricorso alla terapia insulinica iniettiva, evento che è molto spesso visto come “una iattura” dal paziente, ma talora anche dal medico, non sempre preparato nei confronti delle obiettive difficoltà associate a questa terapia. Da qui la tendenza a dilazionare nel tempo il passaggio alla nuova terapia, su pressione del paziente e nella più o meno recondita speranza/illusione che qualcosa nel frattempo cambi (“starò più attento alla dieta” è la tipica giustificazione spesso fornita e prontamente accettata). Le conseguenze di questo atteggiamento remissivo sono, 96 inevitabilmente, un periodo più o meno prolungato di cattivo controllo della glicemia, con tutte le conseguenze in termini di danni indotti da una glicemia elevata per molto tempo su vasi, cuore, rene, retina, nervi, ecc. Il problema dell’inerzia terapeutica assume oggi ulteriore gravità alla luce delle evidenze che dimostrano che essa penalizza soprattutto i soggetti con diabete alla diagnosi o nei primi anni della malattia, facendo perder loro il beneficio della cosiddetta “memoria metabolica”. E’ già noto da alcuni anni, sulla base dei risultati dello studio DCCT, che i soggetti con diabete di tipo 1 che raggiungono sin dall’esordio della malattia un buon compenso glicemico, anche a distanza di molti anni vanno meno incontro alle complicanze croniche della malattia rispetto a chi raggiunge questi risultati tardivamente (3). La stessa cosa è stata di recente dimostrata anche per il diabete di tipo 2, grazie ai dati del follow-up dello studio UKPDS: i pazienti in trattamento intensivo sin dalla diagnosi di diabete, dopo 20 anni avevano meno complicanze microangiopatiche e cardiovascolari di chi all’inizio praticava una terapia meno aggressiva ed aveva dunque glicemia peggiore, anche se successivamente il suo compenso migliorava (4). Queste evidenze dimostrano che l’impegno, da parte del paziente ma anche del medico, Rappresentazione schematica dell’onere glicemico evitabile, passando da un atteggiamento inerte (o cauto) ad uno proattivo (o aggressivo) (da: Ref. 2) Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 97 per un buon controllo del diabete sin da subito dopo la diagnosi pagherà i suoi frutti non solo nel breve ma anche nel medio e nel lungo termine e ancor di più dimostrano quanto sia sbagliato, soprattutto in questo periodo iniziale della malattia, assumere un atteggiamento inerte. Conclusioni Cosa è possibile fare per risolvere il problema dell’inerzia terapeutica? Certamente va migliorato il livello di preparazione dei medici nella gestione delle malattie croniche, sia nella fase universitaria sia - soprattutto - in quella post-universitaria, con aggiornamenti periodici sulle indicazioni delle linee-guida in merito agli obiettivi terapeutici e agli strumenti migliori per raggiungerli. Andrebbero anche messi a disposizione dei sanitari strumenti di valutazione periodica della propria “performance” cioè dei risultati ottenuti: più concretamente, potrebbero essere inseriti nella pratica clinica dei “promemoria”, che possono assumere la forma di segnali di allerta computerizzati nel caso di valori anomali (come una HbA1c sopra il target), oppure liste su cui spuntare gli interventi consigliati per determinate situazioni cliniche o, ancora, semplici fogli con gli elementi essenziali delle linee-guida e chiare indicazioni su come e quando intervenire (2). Esistono numerose evidenze che dimostrano che questi semplici strumenti sono in grado di modificare un atteggiamento “cauto” verso uno “proattivo” e quindi di ridurre il danno conseguente all’inerzia terapeutica. Bibliografia 1. Philips LS, et al: Clinical Inertia. Ann Intern Med 135: 825834, 2001. 2. Gruppo di Lavoro Intersocietario Associazione Medici Diabetologi e Società Italiana di Diabetologia: Il fallimento secondario degli ipoglicemizzanti orali nel diabete mellito tipo 2: inquadramento fisiopatologico e approccio terapeutico. Il Diabete 20:57-81, 2008. 3. The Diabetes Control and Complications Trial/Epidemiology of Diabetes Interventions and Complications (DCCT/EDIC) Study Research Group: Intensive Diabetes Treatment and Cardiovascular Disease in Patients with Type 1 Diabetes. N. Engl J Med 353: 26-43, 2005. 4. Holman RR, et al: 10-Year Follow-up of Intensive Glucose Control in Type 2 Diabetes. N. Engl J Med 359: 1-12, 2008. Call to action • Attuare la diagnosi precoce del diabete tipo 2 • Attuare strumenti di verifica periodica dei risultati ottenuti in termini di compenso metabolico • Coinvolgere la medicina generale nella gestione del fallimento degli ipoglicemizzanti orali Domenico Cucinotta Dipartimento di Medicina Interna, Università di Messina 97 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 98 Nuovi farmaci Premessa Ad oggi, la diffusione del diabete nel mondo ha assunto caratteristiche epidemiche. I pazienti con diabete tipo 2, che rappresentano la maggior parte della popolazione diabetica, sono caratterizzati da un aumentato rischio di complicanze croniche e di morbilità e mortalità cardiovascolare. Un accurato trattamento dovrebbe quindi avere come primo obiettivo la riduzione del rischio della complicanza cronica in funzione non solo del controllo glicemico, ma anche del ruolo di sovrappeso ed obesità (sempre più diffusi non solo in età adulta ma anche in età pediatrica), della complessità dei meccanismi fisiopatologici del diabete e della rivisitazione degli algoritmi di trattamento e dei loro obiettivi terapeutici in base ai risultati dei più recenti studi di intervento nel diabete tipo 2. Situazione attuale Negli ultimi venti anni sono stati compiuti numerosi progressi nella comprensione della fisiopatologia del diabete tipo 2. Dall’ormai storico “triumvirato” caratterizzato dal difetto beta-cellulare, insulino-resistenza ed aumentata produzione epatica di glucosio, si è giunti alla identificazione di almeno altri cinque meccanismi coinvolti nello sviluppo e nella progressione della malattia e a carico di altrettanti apparati: il tessuto adiposo, l’apparato gastrointestinale, l’alfa-cellula, il rene ed il sistema nervoso centrale. I nuovi farmaci, quindi, sono stati e saranno sviluppati con l’intento di correggere una o più di queste alterazioni. La scoperta dei recettori PPARs, fattori di trascrizione genica capaci di regolare il metabolismo glucidico e lipidico, ha portato alla sintesi di agonisti noti come tiazolidinedioni (rosiglitazone e pioglitazone). Mediante l’attivazione dei recettori PPAR-γ, essi esercitano una precipua azione sul tessuto adiposo, modificando il metabolismo lipidico e quindi quello glucidico per effetto di un miglioramento della sensibilità. Dati pre-clinici e clinici suggeriscono, inoltre, un effetto protettivo sulla funzione beta-cellulare. Di contro, il trattamento con questi farmaci si associa ad un aumento del peso corporeo con una ridistribuzione del tessuto adiposo a favore di quello metabolicamente meno dannoso (tessuto adiposo sotto98 cutaneo). Oggetto di discussione rimane il possibile effetto sul sistema cardiovascolare. Un aumento del rischio di insufficienza cardiaca è stato segnalato, mentre dubbio è l’effetto di protezione vascolare che sembra più chiaro per quanto riguarda il pioglitazone. I tiazolidinedioni hanno un effetto specifico sui recettori PPAR-γ, mentre un effetto specifico sui recettori PPAR-α è precipuo dei fibrati. L’attivazione di PPAR-α aumenta l’ossidazione degli acidi grassi a livello epatico e cardiaco con conseguente riduzione di VLDL e trigliceridi circolanti e miglioramento della sensibilità insulinica periferica. La ricerca farmacologica si è quindi indirizzata sulla produzione di molecole con azione agonista sinergica su PPARα/γ, i glitazar. Lo sviluppo di questi farmaci è stato rallentato da poco chiari effetti cardiovascolari, anche se la ricerca ha recentemente illustrato nuove potenzialità. La novità principale in campo farmacologico degli ultimi anni è certamente rappresentata dalla introduzione di farmaci attivi sul sistema incretinico (analoghi del GLP-1 ed inibitori dell’enzima DPP-4). Questi farmaci sono disegnati per aumentare la disponibilità nel sistema di GLP-1, un ormone normalmente secreto dall’intestino in concomitanza con l’assunzione di un pasto. Questo ormone ha un potente effetto sulla secrezione di insulina ma viene degradato nel giro di 1-2 minuti per effetto dell’enzima dipeptidil-peptidasi-4. Al fine di aumentare la disponibilità dell’ormone a fini terapeutici, la molecola del GLP-1 è stata manipolata per renderla resistente all’effetto dell’enzima (agonisti del recettore del GLP-1) o inibendo l’enzima stesso (inibitori DPP-4). L’impiego di questi farmaci migliora la prima e la seconda fase della secrezione insulinica riducendo anche la secrezione di glucagone senza alterarne la risposta all’ipoglicemia. L’agonista del recettore del GLP-1 svolge inoltre una riduzione dello svuotamento gastrico, induzione della sazietà e discreto calo ponderale. Attualmente, buoni risultati sono stati ottenuti grazie all’Exenatide in doppia somministrazione, mentre è da poco disponibile l’analogo del GLP-1 Liraglutide, dotato di più lunga emivita e quindi impiegabile con una sola somministrazione al giorno. I livelli più costanti di GLP-1 ottenuti con liraglutide si traducono anche in un maggiore effetto sulla glicemia a digiuno ed una minore incidenza di nausea e vomito. Su questa strada di somministrazioni più diradate e nell’ottica di acqui- Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 99 sire una maggiore aderenza alla terapia, sono in fase di sviluppo analoghi del GLP-1 con somministrazione settimanale, bi-settimanale e, addirittura, mensile. Se queste sono le più recenti acquisizioni della farmacopea nel campo del trattamento del diabete, ed in particolare del diabete tipo 2, il futuro appare ancora più ricco, con molecole sempre progettate per correggere le specifiche alterazioni responsabili dell'iperglicemia cronica. In quest’ottica, nuovi farmaci in grado di agire su tappe enzimatiche responsabili di delicati processi, come quelli che governano la secrezione di insulina e l’azione di farmaci iperglicemizzanti come il glucagone, sono in fase di attiva esplorazione. Ma la nuova classe di farmaci prossimi venturi sembra essere quella che annovera gli inibitori del GLUT-2 (Dapagliflozin, Sergliflozin etc.). Questo trasportatore è responsabile del riassorbimento del 90% del glucosio filtrato a livello del rene. La conseguente perdita dell’eccesso di glucosio nelle urine oltre a ridurre i livelli di glicemia sembra poter favorire il calo ponderale ed i valori pressori. Conclusioni In definitiva, il diabete tipo 2 sta emergendo come una patologia complessa, caratterizzata dalla coesistenza di molteplici fattori patogenetici, ognuno dei quali può essere un potenziale obiettivo farmacologico. A tutt'oggi è però improbabile che si possa identificare un unico farmaco in grado di controllare non solo le alterazioni della glicemia, ma anche le frequenti alterazioni metaboliche ed emodinamiche che si accumulano nel paziente diabetico. Il trattamento farmacologico, se vuole essere efficace, non può che basarsi su un attento uso combinato di più farmaci. Di certo, quale che sia il farmaco e/o la combinazione di farmaci impiegati, la loro efficacia sarà tanto maggiore ed il loro impiego tanto più sicuro nella misura in cui essi non saranno la sola forma di trattamento. Il trattamento farmacologico deve infatti inserirsi in un programma terapeutico che veda sempre, alla base, l’adozione di uno stile di vita salubre caratterizzato dalla attenzione dietetica e dalla regolare attività fisica: una norma che, diabetici e non diabetici, tutti dovrebbero seguire. Farmaci tradizionali, nuovi e futuri per il trattamento del diabete tipo 2 Call to action • Promuovere attività formative e di aggiornamento del personale medico sull’uso ottimale dei farmaci per la cura del diabete • Favorire gli studi sulle interazioni tra esercizio fisico e farmaci usati per la cura del diabete • Favorire gli studi di farmaco economia sugli effetti dell’esercizio fisico sull’assunzione dei farmaci usati per la cura del diabete Giuseppe Daniele, Stefano Del Prato Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Sezione di Malattie del Metabolismo e Diabetologia, Università di Pisa. 99 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 100 Ipoglicemie e qualità della vita Premessa Le complicanze a lungo termine del diabete sono responsabili di un drammatico impatto sulla qualità di vita. Il miglioramento del controllo metabolico rappresenta una delle strategie più importanti per prevenire o ritardare lo sviluppo di tali complicanze, come chiaramente dimostrato dallo studio DCCT per il diabete di tipo 1 e dall’UKPDS per il diabete di tipo 2 (1,2). Tuttavia, gli sforzi terapeutici necessari a mantenere i valori di emoglobina glicata entro i target raccomandati portano in molti casi ad un aumentato rischio di ipoglicemie, soprattutto quando si utilizzano farmaci secretagoghi o insulina. Sebbene le ipoglicemie siano spesso considerate dai medici un prezzo necessario da pagare al fine di raggiungere un adeguato controllo metabolico ed evitare le complicanze a lungo termine, esse rappresentano per il paziente un’esperienza particolarmente stressante, che può condizionare in modo importante la qualità di vita e l’adesione alla terapia e agli stili di vita raccomandati. Situazione Attuale Il verificarsi di episodi di ipoglicemia ha un impatto negativo su molti aspetti della vita quotidiana, quali l’attività lavorativa, la vita sociale, la guida, la pratica sportiva, le attività del tempo libero, il sonno. Come conseguenza, diversi studi hanno documentato che le persone che hanno avuto esperienza di ipoglicemie, specie se severe, tendono a riportare una peggiore qualità di vita e maggiori preoccupazioni legate alla malattia. Ad esempio, in uno studio italiano su 2.500 persone con diabete di tipo 2, la frequenza percepita di episodi di ipoglicemia rappresentava un predittore indipendente di minore benessere mentale e di peggiore percezione complessiva del proprio stato di salute (3). Analogamente, uno studio canadese ha documentato come la severità delle ipoglicemie abbia un impatto su tutte le dimensioni di benessere fisico, psicologico e di funzionalità sociale esplorate con il questionario SF-36 (4). In un’altra inchiesta condotta negli Stati Uniti fra pazienti trattati con ipoglicemizzanti orali, coloro che riferivano precedenti episodi di ipoglicemia riferivano maggiori limitazioni per quanto riguarda la mobilità 100 e le attività abituali, maggiori livelli di dolore/fastidi e più alti livelli di ansia e depressione (5). Nell’ambito dello studio UKPDS, le persone con diabete di tipo 2 che avevano avuto più di due episodi di ipoglicemia durante lo studio presentavano più spesso problemi di affaticamento, tensione, depressione e rabbia, e risultavano più preoccupate per la loro vita in generale e per il loro diabete, quando confrontate con persone che non avevano avuto alcun episodio di ipoglicemia (6). L’impatto negativo delle ipoglicemie è stato evidenziato anche in uno studio condotto in sette paesi europei (7). In questo studio, i pazienti tendevano a riportare una qualità di vita tanto più bassa, quanto più severi erano i sintomi di ipoglicemia riferiti. Inoltre, i soggetti che avevano avuto ipoglicemie riferivano più spesso tremori, sudorazioni, fatica eccessiva, sonnolenza, difficoltà a concentrarsi, vertigini, senso di fame, astenia e mal di testa. L’esperienza di una ipoglicemia, specie se severa, rappresenta un evento traumatico per il paziente, generando ansia e paure di successivi episodi, con un impatto negativo sulla qualità di vita (8). E’ stato evidenziato come le persone in trattamento per il diabete, specie se con insulina, tendono ad essere più preoccupate per le ipoglicemie che per le complicanze a lungo termine della malattia (9). Tale preoccupazione è spesso responsabile di scarsa adesione alle terapie (mancata assunzione del farmaco per evitare l’ipoglicemia) o di comportamenti errati di compensazione (assunzione di cibi o bevande zuccherate per mantenere la glicemia a valori di sicurezza), determinando di fatto un peggior controllo metabolico (10). In un’indagine fra pazienti con diabete di tipo 1 e di tipo 2 trattati con insulina, circa un terzo degli intervistati dichiarava di avere maggiore paura delle ipoglicemie dopo avere avuto un episodio lieve/moderato, mentre fra quelli che avevano avuto un episodio severo, due terzi dei soggetti con T1DM e oltre l’80% di quelli con T2DM dichiaravano di avere più paura (11). L’atteggiamento più frequente dopo un episodio di ipoglicemia era rappresentato da una riduzione di propria iniziativa della dose di insulina. Comportamenti compensatori errati sono molto frequenti fra gli adolescenti e i giovani adulti (12), ma anche fra i genitori di bambini affetti da diabete (13), rendendo particolarmente difficile il raggiungimento dei target terapeutici stabiliti nelle fasce di età più giovani. Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 101 La scelta di regimi terapeutici che riducono il rischio di ipoglicemie può contribuire a ridurre i livelli di ansia e preoccupazione legati alla terapia. Ad esempio, nello studio EQuality1, condotto in Italia su 1341 persone con diabete di tipo 1, il trattamento con microinfusore era associato a minori paure delle ipoglicemie ad una maggiore soddisfazione per il trattamento (14). Tuttavia, anche all’interno del gruppo di 470 pazienti trattati con microinfusore, l’esperienza nell’ultimo anno di più di un episodio di ipoglicemia di associava ad un rischio doppio di peggiore qualità di vita, valutata con il Daily Burden and Restrictions score (15). La paura o l’esperienza di ipoglicemie è risultata anche associata a minore soddisfazione per il trattamento, a sua volta responsabile di scarsa adesione alle raccomandazioni mediche. In un’indagine via internet condotta negli Stati Uniti fra le persone in terapia con ipoglicemizzanti orali, i sintomi dell’ipoglicemia rappresentavano il più frequente problema di tollerabilità del trattamento riferito dagli intervistati ed era associato ad un significativo aumento della probabilità di non aderire alla terapia (16). In un’altra indagine via web, sempre fra soggetti in trattamento con ipoglicemizzanti orali, i pazienti che riferivano sintomi di ipoglicemia presentavano una peggiore qualità di vita, una minore soddisfazione per il trattamento e maggiori preoccupazioni riguardo future ipoglicemie (17). Analoghi risultati sono stati ottenuti nello studio condotto in sette paesi europei precedentemente citato (7): i pazienti che presentavano sintomi di ipoglicemia mostravano minore soddisfazione per il trattamento e riferivano più spesso barriere alla terapia, quali poca sicurezza riguardo le istruzioni ricevute, incapacità ad attenersi al piano terapeutico stabilito, maggiore fastidio per gli effetti collaterali della terapia. a lungo termine può essere compromessa dall’impatto dell’assistenza sulla qualità di vita a breve termine. Quest’ultima può essere migliorata grazie ad una maggiore attenzione agli aspetti rilevanti per il paziente e ad una maggiore cura nel minimizzare gli effetti collaterali dei trattamenti, oltre ad una migliore comunicazione e ad un più attivo coinvolgimento della persona con diabete nella gestione della malattia. La scelta di terapie che minimizzano il rischio di ipoglicemie, soprattutto nelle categorie di pazienti più vulnerabili, può pertanto rappresentare un importante aspetto per garantire una maggiore accettabilità del trattamento ed una maggiore adesione, con un risvolto positivo sulla qualità di vita e il rischio di complicanze a lungo termine. Call to action • Coinvolgere attivamente il paziente nelle scelte terapeutiche, ponendo una maggiore attenzione sugli aspetti considerati più rilevanti dal paziente stesso, al fine di migliorare l’accettabilità e l’adesione al trattamento • Istruire i pazienti, in un processo di apprendimento attivo, a regolare la terapia ipoglicemizzante seguita, anche sulla base dello stile di vita seguito: scelte alimentari e attività fisica svolta Antonio Nicolucci Dipartimento di Farmacologia Clinica ed Epidemiologia, Consorzio Mario Negri Sud Conclusioni Il riconoscimento della qualità della vita come importante mediatore fra decisioni cliniche e risultati è un passo fondamentale per migliorare l’assistenza nelle condizioni croniche, delle quali il diabete rappresenta un caso modello. Infatti, l’efficacia degli interventi volti a ridurre le complicanze del diabete e a migliorare la qualità della vita 101 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 102 Bibliografia 1. DCCT Research Group. The effect of intensive treatment of diabetes on the development and progression of long-term complications in insulin-dependent diabetes mellitus. N Engl J Med. 1993;329:977-86. 2. Holman RR, Paul SK, Bethel MA et al. 10-Year follow-up of intensive glucose control in type 2 diabetes. N Engl J Med 2008; 359:577–89. 3. Nicolucci A, Cucinotta D, Squatrito S, Lapolla A, Musacchio N, Leotta S, Vitali L, Bulotta A, Nicoziani P, Coronel G; QuoLITy Study Group. Clinical and socio-economic correlates of quality of life and treatment satisfaction in patients with type 2 diabetes. Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2009;19:45-53. 4. Davis RE, Morrissey M, Peters JR, Wittrup-Jensen K, Kennedy-Martin T, Currie CJ. Impact of hypoglycaemia on quality of life and productivity in type 1 and type 2 diabetes. Curr Med Res Opin 2005; 21: 1477–1483. 5. Williams SA, Pollack MF, Dibonaventura M. Effects of hypoglycemia on health-related quality of life, treatment satisfaction and healthcare resource utilization in patients with type 2 diabetes mellitus. Diabetes Res Clin Pract. 2011;91:36370. 6. UKPDS 37. Quality of life in type 2 diabetic patients is affected by complications not by intensive policies to improve blood glucose or blood pressure control. Diabetes Care 1999; 22: 1125–1136. 7. Alvarez-Guisasola F, Yin DD, Nocea G, Qiu Y, Mavros P. Association of hypoglycemic symptoms with patients' rating of their health-related quality of life state: a cross sectional study. Health Qual Life Outcomes. 2010;8:86. 8. Currie CJ, Morgan CL, Poole CD et al. Multivariate models of health-related utility and the fear of hypoglycaemia in people with diabetes. Curr Med Res Opin 2006; 22: 1523–34. 9. Workgroup on Hypoglycemia, American Diabetes Association. Defining and reporting hypoglycemia in diabetes: a report from the American Diabetes Association Workgroup on Hypoglycemia. 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Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 104 Le strategie europee Premessa Se negli ultimi 40 anni, i paesi industrializzati, europei ed extra-europei, hanno compiuto notevoli progressi nella gestione delle malattie infettive-trasmissibili, ottenendo una significativa riduzione della loro diffusione e della mortalità, una nuova entità nosologica si è rapidamente diffusa in tutto il mondo, arrivando a rappresentare una vera emergenza sanitaria: si tratta delle “malattie non trasmissibili” (MNT) o Non Communicable Diseases (NCDs) - malattie cardiovascolari, tumori, malattie respiratorie croniche e diabete – ad oggi la principale causa di morte prematura e di disabilità, nella maggior parte dei paesi, sviluppati e in via di sviluppo. Nella regione europea dell’OMS, le NCDs si confermano la principale causa di morte; l’invecchiamento della popolazione, la globalizzazione degli scambi commerciali e di marketing, la rapida urbanizzazione non pianificata, sono responsabili dell’esplosione della diffusione di queste patologie. Nel 2004 sono stati circa 8,1 milioni (pari all’86% del numero totale) i decessi legati alle malattie non trasmissibili; 1,5 milioni si sono verificati prima dei 60 anni di età e di questi, circa 1,1 milioni nei paesi a basso e medio reddito. In assenza di adeguate e immediate misure difensive, nel 2015 le NMCDs saranno la causa di 8,6 milioni di morti. Numerose evidenze scientifiche dimostrano come queste patologie siano ampiamente prevenibili e meglio gestibili attraverso efficaci interventi rivolti al controllo di quattro comuni e modificabili fattori di rischio: uso di tabacco, alimentazione scorretta, sedentarietà e consumo nocivo di alcol. Situazione attuale Oggi tutti i paesi europei sono chiamati a proporre nuove politiche e/o rafforzare gli attuali piani, per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili, come parte integrante del loro piano di sviluppo di salute nazionale e delle varie politiche pubbliche. Tutto ciò partendo da due concetti fondamentali, la cui importanza è unanimamente riconosciuta. Le malattie non trasmissibili sono una minaccia per lo sviluppo e la sicurezza di tutti i paesi europei. Le 104 NCDs sono ormai divenute un carattere identificativo dello stato di sviluppo di ogni paese; nei paesi orientali della regione europea dell’OMS, in cui gli ambienti sociali, economici e fisici sono definiti da una popolazione a basso e medio reddito, si realizza una minore protezione dai rischi causa delle NCDs e delle loro conseguenze, rispetto alla parte occidentale della regione europea, in cui le popolazioni tendono a essere più protette da migliori condizioni di vita e di lavoro e da interventi efficaci. Questo si traduce in un’ampia differenza nello stato di salute e nella distribuzione e incidenza sociale di malattie non trasmissibili, tra i 53 paesi dell’Europa. Nei paesi più sviluppati, inoltre, i recenti cambiamenti demografici e il conseguente invecchiamento della popolazione, hanno comunque determinato un’imponente esigenza di gestire le malattie non trasmissibili e la disabilità ad esse correlata, un peso economico crescente e una sfida capitale per i sistemi sanitari e sociali, che devono necessariamente essere ricalibrati per resistere alla crescente domanda di bisogni sanitari. Le politiche nazionali riguardanti settori diversi da quello sanitario, hanno un grosso peso nella gestione delle NCDs, perché interferiscono sui fattori di rischio alla base dell’epidemica diffusione delle malattie non trasmissibili e delle morti precoci. Quasi il 60% della diffusione delle NCDs in Europa è determinato da sette principali fattori di rischio: ipertensione, tabacco, alcol, colesterolo alto, sovrappeso, consumo insufficiente di frutta e verdura e inattività fisica. L’inattività fisica, in particolare, insieme alle abitudini alimentari, rappresenta un’importante fattore causale nella diffusione sia delle malattie non trasmissibili che dell’obesità. La reintroduzione dei livelli adeguati di attività fisica costituisce ad oggi una grande sfida che non può essere affrontata attraverso interventi tradizionali di promozione della salute, ma richiede un approccio multisettoriale, con politiche di intervento che controllino vari aspetti della vita quotidiana. E’ essenziale il coinvolgimento dei diversi settori del sistema sociale di ogni paese (l’agricoltura, il commercio, la finanza, la fiscalità, la produzione alimentare, la produzione farmaceutica, l’industria, l’istruzione, i trasporti e lo sviluppo urbano) e di tutti gli ambiti (lavorativo, scolastico e domestico), per controllare fattori di rischio come la sedentarietà, il sovrappeso e l’obesità. Negli ultimi anni i fautori delle politiche pubbliche nei Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 105 paesi Europei hanno posto la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili in prima linea fra gli sforzi compiuti per migliorare la stato di salute delle popolazioni. Nel 2006 il Comitato Regionale per l’Europa dell’OMS, ha adottato la Strategia europea per la prevenzione e il controllo delle malattie croniche, come potenziale modalità di intervento. A tal fine, il 31% per cento degli Stati membri della regione europea dell’OMS ha istituito un’unità - o un dipartimento - nell’ambito del Ministero della Salute, dedicato alle malattie croniche, mentre il 28% sta realizzando un documento politico, approvato a livello nazionale, per la prevenzione e il controllo di malattie non trasmissibili. La strategia europea per la prevenzione e il controllo delle NCDs affonda le sue radici nella Strategia globale per la prevenzione e il controllo delle malattie croniche, approvata dalla World Health Assembly nel 2000, che ha focalizzato l’attenzione su quattro tipi di malattie croniche (malattie cardiovascolari, tumori, malattie respiratorie croniche e diabete) e quattro importanti fattori di rischio (uso del tabacco, abuso di alcool, alimentazione scorretta e sedentarietà), per meglio evidenziare le cause più comuni di malattia e le possibili sinergie in materia di prevenzione e di controllo. L’Assemblea Mondiale della Sanità ha approvato la ‘Strategia globale su dieta, attività fisica e salute’ a Maggio 2004 e nel 2008 ha deliberato il Piano d’azione per la strategia globale per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili (Action Plan for the Global Strategy for the Prevention and Control of NCDs). Allo stesso modo, a Maggio 2010 è approvata all’unanimità dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite la risoluzione, che sottolinea la necessità di un’azione concertata al fine di affrontare, gestire e limitare le quattro malattie più importanti non trasmissibili e i fattori di rischio comuni ad esse legati. Ed è già stato fissato per settembre 2011, a New York, un meeting (“High-level Meeting of the United Nations General Assembly on the prevention and control of noncommunicable Diseases”), a cui parteciperanno i Capi di Stato e di governo e che avrà come obiettivo quello di rafforzare le azioni, a livello nazionale e globale, per fronteggiare l’impatto socio-economico delle malattie non trasmissibili attraverso oculati approcci multisettoriali. In conformità con il Piano d’azione per la strategia globa105 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 106 le per la prevenzione e il controllo delle NMCDs, le politiche proposte dai paesi europei dovrebbero comprendere e prevedere i tre seguenti aspetti: 1. Lo sviluppo di una programmazione nazionale, multisettoriale, per la prevenzione e il controllo delle NCDs. Questo include (i) l’istituzione di un sistema ad alto livello (nazionale e multisettoriale) atto a pianificare, guidare, controllare e valutare la promulgazione di una politica nazionale che coinvolga effettivamente vari settori, oltre a quello sanitario; (ii) lo sviluppo e l’attuazione di una politica globale e di un piano per la prevenzione e il controllo delle NCDs e per la riduzione dei fattori di rischio modificabili; (iii) una legislazione, nonché politiche fiscali e di altro tipo, che sia efficace nel ridurre i fattori di rischio modificabili e i loro determinanti. 2. L’integrazione, nel piano sanitario nazionale, della prevenzione e del controllo delle NCDs. Questo include (i) l’istituzione di un’unità NCDs all’interno del Ministero della Sanità con organico adeguato e sufficientemente finanziato; (ii) la programmazione di una sorveglianza di alta qualità e di un sistema di monitoraggio e (iii) l’integrazione, basata sull’evideza, di interventi di prevenzione primaria e secondaria nel sistema sanitario, con particolare enfasi sulle cure primarie. 3. Il rafforzamento dei sistemi sanitari, capaci così di rispondere più efficacemente ed equamente ai bisogni sanitari delle persone affette da malattie non trasmissibili. È necessario pertanto (i) assicurare che l’infrastruttura del sistema sanitario, sia nel settore pubblico che privato, abbia gli elementi necessari per la gestione e la cura delle malattie croniche, (ii) attuare e monitorare modalità di screening per l’individuazione precoce di patologie come: cancro al seno e al collo dell’utero, ipertensione e altri fattori di rischio cardiovascolare, (iii) aiutare le persone affette da NCDs a gestire le proprie condizioni, ottimizzando la loro educazione, gli incentivi e gli strumenti rivolti all’autogestione e alla cura (iv) sviluppare meccanismi di finanziamento della sanità, sostenibili, al fine di ridurre le disuguaglianze nell’accesso a cure sanitarie. 106 Conclusioni Nei paesi dell’Unione Europea, soprattutto nei paesi orientali, una persona su cinque fa poca o nessuna attività fisica e i due terzi della popolazione adulta non raggiungono i livelli raccomandati di attività, capaci di preservare lo stato di salute. Si stima che l’inattività fisica priverà in media ogni anno gli europei di oltre 5 milioni di giorni di vita sana, incrementando in maniera esponenziale la diffusione di patologie croniche non trasmissibili. Tra gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio dei paesi industrializzati e in via di sviluppo, deve emergere in maniera imponente il controllo della diffusione di stili di vita scorretti e lo sforzo nel limitare l’espansione epidemica delle NCDs. Call to action • Porre in opera piani di azione e politiche nazionali, regionali e locali, volte alla diffusione di stili di vita corretti, basati sull’evidenza scientifica della loro efficacia e su una sostenibilità economica • Introdurre politiche specifiche a supporto dell’attività fisica, in grado di rendere la pratica di attività motoria facilmente accessibile, culturalmente accettabile, attraente e conveniente per tutti Pierpaolo De Feo, Cristina Fatone C.U.R.I.A.Mo Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria, Università degli studi di Peugia Bibliografia Discussion Paper. Regional High-level Consultation in the European Region on them Prevention and Control of Noncommunicable Diseases Hosted in Oslo by the Government of Norway 25-26 November 2010. Resolution adopted by the General Assembly. 24/265 Prevention and control of non-comunicable diseases. Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 107 Le strategie del Ministero della Salute Premessa Numerose evidenze epidemiologiche dimostrano come l’adozione di uno stile di vita più sano e l’esercizio fisico siano importanti. La pratica di un’attività fisica costante può rappresentare un importantissimo strumento, in tutte le età della vita, di prevenzione di molte patologie, ma anche una precisa strategia di intervento nei confronti di persone colpite da svariate malattie. Sono state documentate significative relazioni positive fra regolare attività fisica aerobica e riduzione della patologia cardiovascolare, del diabete, dell’obesità, miglioramento dello stato cognitivo, dell’umore e della “sensazione di benessere” in generale, riduzione del rischio di osteoporosi e di alcune neoplasie, in particolare del colon e della mammella. Per favorire l’adozione di uno stile di vita attivo, è necessario adottare modalità assistenziali nuove, che richiedono interventi che coinvolgono i servizi sanitari e sociali, la famiglia, la scuola, il mondo del lavoro ed una maggiore responsabilizzazione di tutti gli interlocutori, compreso il cittadino. Situazione attuale Le strategie europee rafforzano la necessità di avviare urgentemente un’azione mirata di lotta contro il diabete, al fine di far fronte alla crescente incidenza e prevalenza di questa malattia, nonché all’aumento dei costi diretti e indiretti che ne derivano, valorizzando le azioni tese ad un approccio globale, dando particolare risalto ad una politica coerente e universale in materia di stile di vita e attività fisica. Considerando che gli interventi strutturati sulla promozione dell’esercizio fisico rappresentano una necessità nelle strategie per migliorare la salute delle persone, è necessario individuare quei modelli che possano facilmente essere organizzati a livello locale, basati sulla conoscenza degli aspetti fisiopatologici e genetici, che agiscono insieme all’ambiente, condizionando i risultati. Naturalmente, nell’organizzazione è necessario tenere conto della struttura del nostro sistema sanitario e della cultura della nostra popolazione, considerando che un regolare esercizio fisico può sì migliorare il controllo delle malattie croniche e dismetaboliche, ma le risposte sono spesso variabili da individuo ad individuo. I Piani Sanitari Nazionali tengono conto di alcune considerazioni importanti: 1. il diabete è una malattia cronica; 2. il diabete è una patologia cui va riconosciuto carattere di particolare rilievo sociale e che incide significatamene sulla spesa sanitaria; 3. migliorare l’assistenza al diabetico significa determinare un aumento dell’aspettativa di vita e un miglioramento della qualità della stessa; e sottolineano l’importanza dell’adozione di uno stile di vita adeguato e dell’attività fisica. Il Piano Sanitario Nazionale 2006-2008 ha posto particolare attenzione all’importanza dell’attività fisica, non solo come efficace strumento di prevenzione delle patologie croniche (tra cui il diabete), ma anche per ridurre le complicanze e migliorare la qualità di vita delle persone. Il documento riporta che, al fine di favorire l’attività fisica, è necessario individuare, a livello regionale e locale, le modalità, le strutture e le opportunità offerte dal territorio per praticare attività fisica, secondo alcuni obiettivi: • attivare programmi di formazione per il personale dedicato, sui diversi contenuti e le diverse metodologie per la promozione della attività fisica; • favorire la diffusione di interventi di contrasto della sedentarietà e di promozione di stili di vita attivi, sulla popolazione in generale e su gruppi a rischio, utilizzando le metodologie dotate di maggiore efficacia; • aumentare la forza e la coerenza dei messaggi informativi/formativi al fine di coinvolgere un numero sempre maggiore di persone in una regolare attività fisica; • promuovere cultura e legislazione, al fine di modificare l’ambiente urbano in senso favorevole alla pratica della attività fisica, di migliorare l’accessibilità “carfree” a luoghi e servizi, di aumentare la sicurezza percepita nelle strade, di contrastare l’ambiente costruito che induce sedentarietà. Il 25 marzo 2009, la Conferenza Stato-Regioni ha approvato l’Accordo per la realizzazione degli obiettivi prioritari di Piano per l’anno 2009. Tra gli obiettivi di Piano va ricordato quello riguardante gli effetti positivi, solidamente documentati, dell’attività fisica; l’Accordo riporta: “nonostante le solidissime evidenze scientifiche, il tema 107 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 108 della promozione dell’attività fisica nella popolazione generale e della “prescrizione dell’attività fisica” per le persone a rischio più elevato, resta una delle aree di intervento più sottovalutate in seno al Sistema Sanitario Nazionale; è pertanto necessario sviluppare sperimentazioni relative all’introduzione di tale pratica in aree del Paese in cui esistono condizioni favorevoli per avviare tale percorso, sottoponendo i risultati raggiunti ad una rigorosa valutazione di efficacia e di costo-efficacia in vista di un’eventuale estensione di tali programmi”. Va inoltre ricordato il Programma interministeriale “Guadagnare Salute” che partendo dall’importanza di fattori di rischio, quali alimentazione, fumo, alcool, sedentarietà, identifica 4 aree settoriali, tra cui quella della promozione dell’attività fisica (relativo al fattore di rischio “sedentarietà”). Per rendere operative le strategie individuate è stata prevista, inoltre, la firma dei protocolli d’intesa tra Istituzioni Ministeriali e organizzazioni del sindacato, delle imprese e dell’Associazionismo. Questi accordi hanno l’obiettivo di “determinare nella popolazione e nel singolo individuo un profondo cambiamento di mentalità, attraverso iniziative pratiche finalizzate a far adottare modifiche nello stile di vita. Essi evidenziano la necessità che le strategie prevedano azioni che coinvolgano diversi interlocutori, tenendo presente che per agire sui fattori ambientali e sui determinanti socio economici delle malattie croniche, sono necessarie alleanze tra forze diverse; molti degli interventi per contrastare i fattori di rischio e promuovere la salute, sono esterni alla capacità di intervento del SSN”. Conclusioni Possiamo sicuramente affermare che il “Barometro su diabete e attività fisica” si inserisce correttamente nella prospettiva di una modifica culturale e operativa del Sistema Sanitario Italiano, con la finalità di incrementare nella persona il bisogno di adottare e mantenere comportamenti capaci di influenzare positivamente il suo stato di salute e la malattia, inquadrandosi correttamente sia nel contesto internazionale, che in quello nazionale. 108 Call to action • Attivare programmi di formazione per la promozione della attività fisica • Favorire la diffusione di interventi di contrasto della sedentarietà e di promozione di stili di vita • Promuovere cultura e legislazione, in senso favorevole alla pratica della attività fisica • Aumentare la forza e la coerenza dei messaggi informativi/formativi al fine di coinvolgere un numero sempre maggiore di persone in una regolare attività fisica Paola Pisanti Direzione Generale della Programmazione Ministero della Salute Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 109 I progetti in Italia La salute cammina in città Premessa Un progetto fondato sulle più recenti evidenze scientifiche. La comunità scientifica non ha più nessun dubbio: la pratica costante di attività fisica è strettamente correlata con lo stato di salute generale. Per mantenere un buono stato di salute le persone sane dovrebbero accumulare almeno 150 minuti a settimana di attività fisica, eseguita ad intensità moderata; ciò significa fare una camminata a passo svelto per 20 minuti al giorno. E’ stato ben documentato come il passaggio dallo stato di sedentarietà a quello di ‘moderatamente attivo’ consenta di ottenere numerosi benefici per lo stato di salute generale. E cosa dovrebbero fare i soggetti con patologie croniche? E coloro i quali sono invece già moderatamente attivi? Le raccomandazioni generali vanno ovviamente e opportunamente modificate in base alle diverse caratteristiche soggettive e alle diverse categorie di persone. E chi meglio del medico può indirizzare il cittadino, suggerendo la giusta ‘dose’ di esercizio fisico? Il progetto ‘La Salute Cammina in Città’ è un innovativo sistema che dà al medico la possibilità di ‘prescrivere’ in maniera rapida e precisa la giusta dose di attività fisica e di controllare i progressi; e stimola il cittadino a diventare più attivo e consapevole dei benefici che questo può comportare. Ma l’utilità del percorso va ben oltre l’efficacia fisiologica: è un modo responsabile ed eco-sostenibile di promuovere l’attività fisica. Il progetto ‘La Salute Cammina in Città’ è un’iniziativa volta a rendere facile, prescrivibile e controllabile la pratica di attività/esercizio fisico. ta). Il percorso blu invece può essere più intenso (perché prevede più dislivelli) e consigliato solo a soggetti con un livello di forma fisica, o con caratteristiche cliniche, particolari. E’ l’ambiente che diventa palestra. Per fare attività fisica in maniera corretta ed efficace, l’ambiente stesso può diventare ‘l’attrezzo ideale’. Camminare è la forma di attività fisica più naturale ed accessibile e notevoli sono i benefici che si possono trarre dal semplice ricominciare a camminare in maniera regolare. Per il progetto ‘La Salute Cammina in Città’ l’ambiente viene attentamente studiato e in parte modificato, per fornire una serie di percorsi che consentano di svolgere in maniera sicura la corretta ‘dose’ di attività fisica. Sarà il medico di base che consiglierà al proprio assistito quale percorso eseguire, quante volte la settimana e a che andatura. Ogni percorso ha delle caratteristiche ben precise: lunghezza, livello di difficoltà, qualità fisica maggiormente sollecitata (resistenza, equilibrio etc.); il medico è informato delle richieste fisiche e metaboliche di ogni percorso e sa consigliare al suo assistito il percorso più appropriato. Il progetto L’idea di base è quella di creare nel territorio una serie di percorsi che siano ben caratterizzati per quanto riguarda il loro impegno metabolico. Così caratterizzati, i percorsi possono essere identificati da colori (come nel caso delle piste da sci), che rappresentano la loro ‘difficoltà’ (volume e intensità) e, a loro volta, ‘dosi’ definite di attività fisica. Fare il percorso ‘verde’ in venti minuti tre volte la settimana ad esempio, può consentire di raggiungere la dose minima di attività fisica consigliata dalle più recenti linee guida, perché l’impegno metabolico previsto equivale a 7,8 METs/h settimana (la ‘dose minima consiglia109 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 110 Conclusioni Incoraggiare la popolazione ad essere fisicamente attiva presenta numerosi vantaggi che travalicano la salute stessa e possono avere implicazioni sociali, ambientali ed economiche. La promozione dell’attività fisica quindi, è parte integrante e fondamentale dell’impegno degli amministratori pubblici, le cui decisioni devono essere prese sulla base delle migliori evidenze e degli esempi disponibili. Per questo è necessario un approccio integrato: basato su solide basi scientifiche, ma con enfasi sul tessuto sociale della comunità e una grande attenzione all’ambiente. La salvaguardia dell’ambiente, che è uno dei doveri dell’uomo dotato di rispetto per il pianeta e per le future generazioni, si esercita attraverso azioni responsabili e anche l’esercizio fisico può essere fatto in maniera responsabile e naturale. Il territorio offre spazi ed occasioni per potersi muovere in maniera naturale, efficace, sana e piacevole. Senza rinchiudersi in spazi angusti l’ambiente può essere opportunamente strutturato per farci muovere, star bene, vivere meglio. Salute ed ambiente insomma, costituiscono un binomio vincente. Call to action • Stimolare le amministrazioni comunali sensibili alla promozione eco-sostenibile dell’attività fisica per la popolazione • Creare una task force interdisciplinare, costituita da medici dello sport, laureati in scienze motorie, diabetologi e medici di base con l’obiettivo di poter ‘mettere a terra’ il progetto in varie parti d’Italia • Valutare l’impatto clinico ed economico dei singoli progetti mediante studi disegnati ad hoc Silvano Zanuso Prof. a contratto presso il corso di Laurea in Scienze e Tecniche dell’Attività Motoria Preventiva e Adattata, Università di Padova. Responsabile Dipartimento Scientifico di Technogym 110 Bibliografia Lee IM, Ewing R, Sesso HD. The built environment and physical activity levels: the Harvard Alumni Health Study. Am J Prev Med. 2009 Oct;37(4):293-8. Lee IM, Buchner DM. The importance of walking to public health. Med Sci Sports Exerc. 2008 Jul;40(7 Suppl):S512-8. Review. Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 111 Città per camminare Premessa Il diabete rappresenta una malattia metabolica fortemente influenzata da stili di vita poco corretti, in modo particolare da un’accentuata sedentarietà, condizione che trova spesso giustificazione nelle poche occasioni per muoversi offerte dalla città in cui si vive. Un miglior utilizzo degli spazi cittadini e una migliore organizzazione della loro viabilità, rappresentano un esempio chiaro e diretto di ciò che si potrebbe fare a favore della salute pubblica con il minimo sforzo. “Città per Camminare” è un progetto ideato per incrementare le opportunità di promozione dell’attività fisica da svolgere in città, sviluppare una mobilità sostenibile e per rafforzare le iniziative che tutelino la qualità della vita dei cittadini e la salute pubblica. Un modo nuovo ed intelligente di leggere e preparare la città, perché diventi strumento a disposizione delle persone e non viceversa. Città per Camminare vuole quindi sintetizzare e realizzare in modo ideale il concetto di “andare a piedi”, quale sistema per conoscere, amare ed apprezzare il territorio e, soprattutto, quale forma di civiltà, di qualità di vita, di politica ambientale, turistica, urbanistica e della salute. In questo senso, le città che hanno – o vogliono abbracciare – questa idea del camminare, tutelano i propri cittadini con una politica sociale e salutistica improntata al miglioramento dello stile di vita e della qualità di vita di tutti. Il progetto sperimentato in Piemonte in questi anni – visibile anche attraverso il citato sito – ha coinvolto a tutt’oggi 41 città aderenti e oltre 60 percorsi ideati per poter fruire del territorio in piena armonia con esso, al passo di un cammino che permetta di osservare e vivere la città e/o gli spazi che la circondano, con uno sguardo nuovo. I numeri indicati sono in divenire; le adesioni non sono terminate e arrivano continue richieste di adesione dai comuni piemontesi. Il progetto Il progetto “Città per camminare” ha la finalità di rendere la città “a misura d’uomo”, perché possa essere vissuta “a piedi” e divenire così patrimonio culturale anche per chi si occupa e crede, nell’importanza della prevenzione, come fattore determinante lo stato di salute e la qualità di vita di una società. Il progetto nasce nell’ambito dello sviluppo del “fitwalking”, disciplina rappresentata dal cammino di tipo sportivo, strettamente legata al mondo della salute, e parte in Piemonte come area test. L’idea è molto semplice e vuole offrire alle amministrazioni cittadine uno strumento da utilizzare per perseguire molteplici finalità in diversi ambiti: salute, sport, mobilità sostenibile, organizzazione urbana, ma anche turismo e promozione artistica, storica e culturale. A legare il tutto l’idea della “rete” che inserisca le città aderenti al progetto in un sito – www.cittapercamminare.org – che diviene strumento di promozione e divulgazione delle iniziative realizzate. Naturalmente, perché una città venga accettata ed inserita nel progetto, deve possedere parametri organizzativi e realizzativi minimi che permettano di garantire la presenza e lo sviluppo di luoghi e situazioni favorenti “il camminare”. Conclusioni Rimettere la persona al centro del “sistema città”, promuovendo azioni, aree e iniziative che stimolino la pratica del cammino, l’utilizzo di un’attività motoria di base o pratiche di tipo più sportivo, è l’obiettivo prioritario ed ambizioso che il progetto “Città per Camminare” si è posto. Nella regione Piemonte, le amministrazioni locali hanno risposto allo stimolo offerto, credendo nel progetto e sostenendo la realizzazione e la gestione del sito specifico; un segnale importante che permette di replicare e lanciare l’idea su scala nazionale. In questa direzione sta già lavorando la Scuola del Cammino di Saluzzo che, nello sviluppo della disciplina del fitwalking, ha posto particolare attenzione al ruolo determinante che le città possono avere nel contribuire ad una crescita culturale della proposta motorio-sportiva quale strumento essenziale di miglioramento dello stile di vita e della qualità di vita delle persone. 111 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 112 Call to action • Spronare l’uso dell’ambiente offerto da ogni realtà cittadina, come strumento valido e non costoso, capace di influenzare positivamente lo stato di salute e la qualità di vita di una società • Diffondere le iniziative regionali già note per la loro efficacia, funzionalità e sostenibilità, nel territorio nazionale • Sensibilizzare le amministrazioni località sulla possibilità di rendere ogni città “a misura d’uomo”, perché possa essere vissuta anche “a piedi” Maurizio Damilano Campione Olimpico 112 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 113 Un passo dopo l’altro… ...da un mare all’altro Premessa Uno degli aspetti caratterizzanti la motivazione alla pratica dell’esercizio fisico a lungo termine è il raggiungimento di un traguardo difficile, che per questo richiede un costante allenamento ed uno stato di buona forma fisica. Il concetto della “sfida”, o di provare a se stessi che con la determinazione è possibile ottenere risultati prima impensati, sta alla base dei sacrifici e degli allenamenti di tanti atleti che partecipano a competizioni sportive amatoriali. Lo stesso concetto vale per tante persone che riscoprono l’esercizio fisico e le potenzialità del proprio corpo dopo anni di sedentarietà e che hanno neces- sità di aumentare la propria autostima, dimostrando a se stessi che possono mettersi in gioco e avere successo. Il progetto In funzione di queste considerazioni nasce il progetto “Un passo dopo l’altro….da un mare all’altro” che ha l’obiettivo primario di servire da stimolo per l’adesione costante alla pratica motoria, attraverso un allenamento progressivo che metta il partecipante in condizione di camminare per diversi giorni consecutivi per distanze di 30-35 km al giorno. Altri obiettivi del progetto sono: Patrocinio: SIO, SID, AMD, Regione dell’Umbria, Province di Ancona, Macerata, Perugia, Siena, Grosseto, Comuni di Assisi e Corciano Supporto non condizionato di: BMS-Astra Zeneca, Novo Nordisk, Roche Diagnostici Testimonial: Campione Olimpico Maurizio Damilano Un progetto del C.U.R.I.A.MO., Università di Perugia 113 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 114 migliorare lo stato di forma fisica e mentale dei partecipanti che, dopo aver completato il percorso difficilmente ritornano alle abitudini sedentarie del passato, e valorizzare il rapporto fisiologico tra uomo e ambiente riscoprendo il piacere di camminare in un verde scenario naturale che accresce il senso di benessere interiore. Infine, il progetto ha anche una valenza turistica, perché promuove un modo di viaggiare ecosostenibile e la riscoperta di luoghi del territorio non valorizzati dai tradizionali circuiti turistici. Il progetto “Un passo dopo l’altro….da un mare all’altro” è una coast-to-coast italiana e consiste nell’attraversare a piedi l’Italia centrale partendo dal mare Adriatico o dal Tirreno per coprire la distanza di circa 390 km tra Ancona 114 Circonferenza Vita cm kg Peso corporeo Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 115 Pressione arteriosa sistolica kg mm hg Massa grassa e Talamone. Il progetto è rivolto a pazienti affetti da obesità e/o diabete mellito che nella preparazione e durante i 14 giorni della traversata sono seguiti da personale medico, infermieri, dietiste e laureati in scienze motorie. La prima edizione si è svolta dal 30 aprile al 13 maggio 2010, mentre la seconda edizione si è realizzata nelle prime due settimane di maggio 2011. Hanno partecipato complessivamente 76 persone, con un’età media di circa 56 anni. Tutti i partecipanti hanno tratto benefici da questa lunga traversata di 14 giorni e li porteranno sicuramente dentro come un ricordo di un’esperienza unica, dello spirito e del corpo. Il cammino è stato anche verso uno stato di salute migliore; in tutti i partecipanti, indipendentemente dall’indice di massa corporea, è emersa una riduzione significativa di: peso corporeo (kg), circonferenza vita (cm), massa grassa (kg), mm hg Pressione arteriosa diastolica kg Massa muscolare 115 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 116 Benefici per ogni Km percorso PARAMETRO BMI < 25 BMI 25-30 BMI > 30 Peso corporeo BMI Circonferenza vita Massa grassa Massa magra Massa muscolare Total body water PA sistolica -0,13% -0,05% -0,33% -0,12% -0,50% -0,19% -0,44% -0,47% +0,35% -0,43% -0,48% +0,05% -0,81% -0,85% +0,35% +0,33% +0,17% +0,34% +0,26% -0,91% -1,43% +0,11% -1,89% -1,61% +0,11% -1,23% -3,39% PA diastolica pressione arteriosa sistolica e diastolica (mmHg). Si è evidenziata inoltre, un aumento di: massa magra (kg), massa muscolare (kg) e TBW (total body water, espresso in litri). Nelle figure vengono illustrati i benefici ottenuti dalle persone che hanno partecipato alla coast-tocoast, “divise” in base al peso corporeo: normale (BMI meno di 25 kg/m2), sovrappeso (BMI 25-30) o obeso (BMI sopra 30). La Tabella, infine, permette di calcolare a chiunque i benefici che può attendersi da una camminata a tappe, 116 per ciascun km percorso. I risultati positivi sono stati ottenuti anche grazie ad un’introduzione corretta di cibo, tale da consentire l’attività motoria, ma anche un bilancio energetico negativo di circa 1000 kcal al giorno. In sostanza, trascorrendo 14 giorni senza dubbio piacevoli, siamo riusciti a creare diversi equilibri: nel gruppo, nella patologia e soprattutto nell’autoconsapevolezza di essere parte rispettosa di un ecosistema. Conclusioni Quanto di positivo è stato sperimentato sarà riproposto ogni anno, nella speranza che tanto di ambizioso quanto di reale sia alla portata di molti. La partecipazione sarà allargata a 100 pazienti più personale di supporto. Per ulteriori informazioni e per i consigli per l’allenamento, consultare il sito web www.unipg.it/curiamo. Call to action • Utilizzare le attrattive del nostro territorio per promuovere nuove vie di salute e turismo ecosostenibile • Pubblicizzare e finanziare le iniziative e le attività turistiche che promuovono una sana alimentazione e l’attività fisica come mezzo di spostamento Pierpaolo De Feo C.U.R.I.A.MO. Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria, Università degli studi di Perugia Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 117 Conclusioni Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 118 Il diabete e le patologie croniche non-trasmissibili (NCDs, non-communicable diseases) possono essere prevenute sia utilizzando delle strategie di intervento sulla popolazione che strategie mirate a coloro che hanno un elevato rischio. Le due modalità di approccio possono essere applicate parallelamente per ottenere il massimo dell’efficacia in termini di prevenzione. Il barometro su attività fisica e diabete in Italia ha riportato lo stato dell’arte e le iniziative attuate e in corso di sperimentazione nel nostro paese. Molto c’è da fare per promuovere seriamente l’attività fisica e contrastare la sedentarietà e, in questo campo, è giusto condividere il lavoro fatto da altre nazioni che hanno sistemi organizzativi più avanzati nel settore degli stili di vita. Un documento integralmente condivisibile che propone le modalità ottimali per organizzare un efficace intervento sulla popolazione di promozione dell’attività fisica è la “Toronto Charter for Physical Activity: A Global Call to Action”, pubblicato nel maggio 2010 a cura del Global Advocacy Council for Physical Activity e della International Society for Physical Activity and Health. Il documento è in linea con i principi dettati dalla Organizzazione Mondiale della Sanità in due documenti “Global Strategy on Diet, Physical Activity and Health”, del 2004 e “Non-Communicable Disease Action Plan” del 2008. Secondo il documento di Toronto, per aumentare l’attività fisica e ridurre la sedentarietà, paesi e organizzazioni dovrebbero impegnarsi a: 1. Adottare strategie basate sull’evidenza, con l’obiettivo di coinvolgere l’intera popolazione e i sottogruppi che incontrano le maggiori difficoltà; 2. Condividere un approccio volto a garantire equità sociale sulla salute e a ridurre le disuguaglianze e le disparità di accesso all’attività fisica; 3. Identificare le determinanti ambientali, sociali ed individuali che promuovono l’inattività fisica; 4. Attuare azioni sostenibili in partnership a livello nazionale, regionale e locale e in più settori, che abbiano un maggiore e un più efficace impatto; 5. Sostenere le attività volte a promuovere ricerca, pratica, valutazione e sorveglianza nel settore dell’attività fisica; 118 6. Utilizzare un approccio che guardi tutte le fasi della vita, per affrontare le necessità di bambini, famiglie, adulti e anziani; 7. Promuovere presso i decisori politici e istituzionali e la comunità in generale, un aumento dell’impegno politico e delle risorse destinate all’attività fisica; 8. Garantire la sensibilità culturale e adattare le strategie per soddisfare le esigenze di diverse realtà e contesti locali; 9. Facilitare scelte personali salutari, rendendo la scelta di essere fisicamente attivi quella più facile. Il documento di Toronto analizza nello specifico le azioni che possono essere intraprese per implementare una politica nazionale e per redigere un piano d’azione nazionale. In Italia, non abbiamo un piano nazionale nel settore, ma esistono in Europa esempi di interventi strutturali pianificati a livello nazionale. Per la prevenzione del diabete, un modello particolarmente interessante che si basa sui risultati del Finnish Diabetes Prevention Study (DPS) e sull’esperienza del North Karelia Project, il primo programma di intervento su una comunità per le malattie cardiovascolari, è stato prodotto dalla Finlandia ed è il Finnish national 10-year diabetes program, DEHKO (Development Programme for the Prevention and Care of Diabetes 20002010). Questo programma coniuga la strategia di intervento sulla popolazione con quella di intervento mirato ai soggetti ad alto rischio e i risultati preliminari dell’intervento ne dimostrano sia la fattibilità che l’efficacia. Esistono pertanto, strategie valide per migliorare lo stile di vita della popolazione con un intervento pianificato a livello nazionale e vanno attentamente considerate anche nel nostro paese. Il secondo punto della “Toronto Charter for Physical Activity” riguarda i suggerimenti volti a implementare le politiche che supportano l’attività fisica. Esempi di politiche di sostegno e regolamenti proposti, sono: • Politica nazionale chiara e ben definita, con precisi obiettivi volti ad aumentare la pratica di attività fisica (sia di quanto che da quando). Tutti i settori possono condividere obiettivi comuni e identificare specificamente il loro contributo; Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 119 • Politiche di pianificazione urbana e rurale e linee guida di progettazione per favorire gli spostamenti a piedi, in bicicletta, il trasporto pubblico, lo sport e la ricreazione, con una particolare attenzione all’accesso equo e alla sicurezza; • Politiche economiche (sovvenzioni, incentivi, imposte e detrazioni fiscali) per sostenere la partecipazione all’attività fisica o per ridurre gli ostacoli alla pratica di attività fisica (per esempio, incentivi fiscali per l’acquisto di attrezzature o per l’iscrizione in palestre); • Politiche rivolte agli ambienti di lavoro, che supportino infrastrutture e programmi per l’attività fisica e promuovano il trasporto attivo (per recarsi e tornare dal lavoro); • Politiche in campo scolastico, che supportino corsi di educazione fisica di alta qualità e obbligatori, che favoriscano il recarsi attivamente a scuola, l’attività fisica durante l’orario scolastico e ambienti scolastici sani; • Politiche per lo sport e tempo libero e sistemi di finanziamento che diano maggiore importanza alla partecipazione di tutti i membri della comunità; • Politiche che coinvolgano i media, al fine di promuovere l’attività fisica. Per esempio, “Report Cards” o relazioni della società civile, in merito all’attuazione di azioni intraprese per l’attività fisica e per accrescere il senso di responsabilità comune; • Politiche di comunicazione di massa e campagne di marketing sociale per aumentare nella comunità e nelle parti interessate, le azioni a sostegno dell’attività fisica. Infine, la “Toronto Charter for Physical Activity” riassume le strategie per orientare i servizi e i finanziamenti verso una prioritaria promozione dell’attività fisica, e i suggerimenti per sviluppare partnerships per azioni efficaci. Il documento integrale può essere consultato nel sito web: http://www.globalpa.org.uk. In linea con le iniziative internazionali e quelle promosse dalla Organizzazione Mondiale della Sanità e, in particolare, dalla NCD Alliance, è stata istituita nel nostro Paese l’Italian Wellness Alliance. Questa associazione nasce come un gruppo di opinione, operativo a livello nazionale, finalizzato a promuovere sani stili di vita per ridurre la diffusione delle Non-Communicable Diseases (NCD: diabete, malattie cardiovascolari, cancro e malattie respiratorie croniche). Su questo tema vi è un crescente interesse, sia da parte della WHO che del Word Economic Forum, a causa del crescente negativo impatto sul sistema economico e sulla qualità della vita delle NCD, nei paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo. Il 19 e 20 Settembre 2011 si tiene a New York un Summit delle Nazioni Unite sulle strategie ottimali per prevenire le NCD, in risposta alla risoluzione votata all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni unite del 13 maggio del 2010. La Italian Wellness Alliance vuole contribuire a far crescere nel nostro paese la cultura della prevenzione delle NCDs, attraverso interventi mirati a livello nazionale e locale, a promuovere sani stili di vita. L’Alliance si è strutturata in un Direttivo (Figura 1) e in una gruppo di circa 100 soci fondatori. La prima riunione del consiglio direttivo della Italian Wellness Alliance è fissata per il giorno 12 settembre presso la sala della XII Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica. Successivamente il consiglio direttivo della Italian Wellness Alliance si riunirà periodicamente presso sedi Istituzionali, con lo scopo di individuare strategie realizzabili ed eventuali sinergie, con le varie organizzazioni della società civile, che possano avere un impatto positivo sugli stili di vita e sul benessere della popolazione italiana. Le scelte del direttivo saranno vagliate e condivise dal comitato costitutivo, che comprende i presidenti delle Società Scientifiche interessate alla prevenzione delle NCD, esperti in Scienze Motorie, Giornalisti e operatori istituzionali e del settore privato. Un primo obiettivo della Italian Wellness Alliance sarà quello della presentazione alle Istituzioni e ai media dell’iniziativa e la partecipazione al FORUM sulle NCD, promosso dall’International Diabetes Federation dal 4 all’8 Dicembre p.v. a Dubai. Il Barometro su Diabete e Attività Fisica in Italia si integra con le future iniziative della Italian Wellness Alliance e ci proponiamo, dopo la prima edizione del 2007 e questa del 2011, di pubblicare nel 2015 una terza edizione del Barometro su Diabete e Attività Fisica in Italia, che aggiorni gli operatori del settore sulla auspicabile crescita delle iniziative e delle applicazioni cliniche dell’uso dell’esercizio fisico, come strumento di prevenzione e cura del diabete. 119 Att. Fisica 2011.qxp:Layout 1 26-09-2011 13:11 Pagina 120 Sitografia http://www.globalpa.org.uk. http://ncdalliance.org/ ITALIAN WELLNESS Figura 1. Consiglio Direttivo Italian Wellness Alliance Presidenti Onorari Sen. Antonio Tomassini On. Rocco Crimi Prof. Francesco Bistoni Prof. Renato Lauro Presidente Prof. Pierpaolo De Feo Alliance Presidente della Commissione Igiene e Sanitàdel Senato Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega allo Sport Rettore Università degli Studi di Perugia Rettore Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Presidente dell’Italian Barometer Diabetes Observatory DIRETTORE DEL C.U.R.I.A.MO. (Centro Universitario Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria, Università di Perugia) Board Prof. Giuseppe Ambrosio Prof. Michele Carruba Dott. Massimo Cherubini Dott. Paolo Di Caro Prevention of Cardiovascular Disease Committee, AmericanCollege of Cardiology Past President commissione ministeriale "Alimentazione, stili di vita e salute” Public Affairs Association, Consigliere Nazionale Ordine dei Giornalisti Direttore Agenzia Nazionale per i Giovani (ANG) del Governo Italiano e della Commissione Europea. Dott. Claudio Cricelli Presidente Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) Dott. Roberto Messina Presidente Federanziani Dott.ssa Edea Perata Associazione Parlamentare per la tutela e la promozione del diritto alla prevenzione Prof. Fabio Pigozzi Presidente della Federazione Internazionale di Medicina dello Sport (FIMS) Dott.ssa Paola Pisanti Responsabile NCD, Ministero della Salute, Presidente della Commissione Nazionale Diabete Prof. Carlo Riccardi Past President Società Italiana di Farmacologia (SIF) Prof. Gabriele Riccardi Presidente Società Italiana di Diabetologia (SID) Prof. Walter Ricciardi Direttore dell'Osservatorio Nazionale per la Salute nelle Regioni Italiane Dott. Federico Serra Presidente della O.N.G. “Sport senza Frontiere” e DG dell’Italian Barometer Diabetes Observatory Prof. Federico Spandonaro Facoltà di Economia di Roma Tor Vergata, coordinatore scientifico del Rapporto annuale sulla Sanità del CEIS Prof. Vilberto Stocchi Presidente della Conferenza Nazionale dei Presidi del Corso di Laurea in Scienze Motorie e Sportive Dott.ssa Ketty Vaccaro Responsabile Welfare e Salute della Fondazione Censis Segretario scientifico Dott.ssa Cristina Fatone 120 C.U.R.I.A.MO., Via G. Bambagioni, 19 – 06126 Perugia