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Public Health & Health Policy
“an informed health policy on chronic diseases”
Italian barometer of diabetes
and physical activity
a cura di
Pierpaolo De Feo e Cristina Fatone
ITALIAN WELLNESS
Alliance
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Public Health & Health Policy
“an informed health policy on chronic diseases”
Scientific Editor:
Consorzio Mario Negri Sud
Via Nazionale, 8/A
66030 Santa Maria Imbaro, (Chieti) - Italy
Tel.: +39 0872 5701
Fax: +39 0872 570416
[email protected]
Editors-in-Chief:
Prof. Giovanni Tognoni, Director of the Consorzio Mario Negri Sud - [email protected]
Dr. Antonio Nicolucci - Head of Department of Clinical Pharmacology and Epidemiology, Consorzio Mario Negri Sud
[email protected]
Objectives:
• to inform on the public health relevance of chronic diseases
• to provide space for commentary and debate on institutional decisions
• to collect available information on the clinical, organizational, human and economical costs
of chronic diseases and provide sound and comprehensive data to guide decisions.
Target readership:
The major challenge of this editorial initiative is to promote a cross-sector dialogue and debate, and provide a platform of
information shared by all the stakeholders involved in the care of chronic diseases: Politicians, Policy makers, Key Decision Makers,
Payers, Health Managers, Physicians, Industry, Health Trade Unions, Scientific Societies, Health Economists, Pharmacists.
To this purpose, the initiative will be conducted with the contribution of a scientific board including representatives of all the
sectors involved.
CONSORZIO MARIO NEGRI SUD
The CMNS was founded in 1987 as a consortium between the Mario Negri Institute in Milan and the Chieti Province
authority, later joined by the Abruzzo Region authority. Scientific activities operatively began on September 1st 1987.
Since then CMNS has given a significant contribution to the advancement of research aimed at the prevention and cure of human
diseases. Based on a core of senior staff of around 80 scientists, the CMNS is also dedicated to training of predoctoral and
postdoctoral fellows, including an International PhD Programme.
Research at the CMNS covers three main areas of interest:
Basic morpho-functional and molecular studies of the organisation of the cell, as applied to the treatment of human disease.
Clinical epidemiology, as applied to diabetes, cardiovascular disease, cancer, other chronic diseases, and cognitive and behavioural
disturbances in the elderly. Health services research.
Analytical methodologies for comprehensive environmental monitoring.
CMNS provides a favourable and productive environment to its staff, students, and visiting scientists for the development of a critical
mass for scientific research. Scientists are supported by Core Facilities that provide centralized expertise and state-of the-art
technologies for several activities. The Institute also offers a PhD programme in Biomedical science and medicine in cooperation
with the British Open University.
There are currently 14 PhD students at CMNS and many more have successfully completed their post-graduate studies.
The PhD programme has enhanced the International atmosphere and outreach of the CMNS through the recruitment of talented
and promising students also from abroad and by promoting interactions and collaboration with international research groups.
www.negrisud.it
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Italian barometer of diabetes
and physical activity
a cura di
Pierpaolo De Feo e Cristina Fatone
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Pierpaolo De Feo
nasce ad Avellino il 9 Luglio, 1955.
Si Laurea in Medicina e Chirurgia il 27
Luglio,1979 presso l’Università di Perugia e
si specializza in Medicina Interna presso lo
stesso Ateneo e in Diabetologia e Malattie
Metaboliche presso l’Università di Genova.
Dal Settembre 1989 al Dicembre 1990 è
Fogarty Fellow nei Laboratori di Ricerca della
Endocrine Research Unit, Mayo Clinic,
Rochester, MN (USA) and Nemours
Children's Clinic, Jacksonville, FL (USA).
Professore Associato di Endocrinologia
presso il Dipartimento di Medicina Interna,
Università di Perugia, è Direttore del Centro
Universitario Ricerca Interdipartimentale
Attività Motoria (C.U.R.I.A.MO.)
dell’Università di Perugia.
Il Prof De Feo è autore di oltre 150
pubblicazioni su riviste internazionali in tema
di endocrinologia e metabolismo che hanno
ricevuto circa 2000 citazioni. La sua attività
di ricerca è stata finalizzata anche al ruolo
dell’attività fisica per la terapia e la
prevenzione del diabete mellito e
dell’obesità. Egli stesso è un attivo
praticante ed ha conseguito buoni risultati a
livello amatoriale nella maratona (personale
2 h e 42 minuti) e nel ciclismo. Per i suoi
lavori il Prof. Pierpaolo De Feo ha ricevuto
diversi riconoscimenti nazionali ed
internazionali, tra cui la Fogarty Fellowship
ed il Premio SID 1995 della Società Italiana
di Diabetologia. Attualmente, è Presidente
della Italian Wellness Alliance che promuove
il miglioramento degli stili di vita per la
prevenzione delle malattie non trasmissibili
(diabete, malattia cardiovascolari, cancro e
patologie respiratorie croniche).
2
Cristina Fatone
nasce a Gravedona (CO) il 27 Novembre,
1975.
Ottiene il Diploma Universitario in
“Dietologia e Dietetica Applicata” a ottobre
del 1997, presso il Dipartimento di
Medicina Interna, Sezione di Medicina
Interna Scienze Endocrine e Metaboliche
dell’ Università degli Studi di Perugia;
laureatasi in “Medicina e Chirurgia”
il 23 luglio 2003, si specializza a pieni voti
presso lo stesso Dipartimento, in
“Endocrinologia e Malattie del Ricambio”,
discutendo una tesi dal titolo “Studio
dell’espressione genica muscolare, in
soggetti sani e con diabete, in risposta
all’esercizio fisico, con aspirato muscolare
con ago sottile”. E’ impegnata fin dai primi
anni dei suoi studi nella promozione e
diffusione dell’uso dello “Stile di Vita” come
efficace mezzo preventivo e terapeutico
delle più comuni malattie metaboliche ed è
co-autrice di dievrsi lavori sul tema “Attività
fisica e Malattie Metaboliche”.
E’ attualmente Dottoranda di ricerca in
“Bioscienze, Biotecnologie e Biomateriali
nelle Malattie Vascolari e
Endocrinometaboliche”, presso il
C.U.R.I.A.MO. dell’Università di Perugia, ove
svolge quotidianamente attività
ambulatoriale e di ricerca clinica, avviando
persone obese e con diabete ad un percorso
di rieducazione motoria e nutrizionale.
E’ inoltre impegnata nello studio degli effetti
dell’esercizio fisico sul muscolo scheletrico,
quale principale mediatore ed effettore dei
suoi benefici, valutando i meccanismi
molecolari coinvolti nella risposta adattativa
delle cellule muscolari allo stimolo
dell’esercizio fisico.
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Indice
Prefazioni
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Premessa
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1. Emergenza Diabesità
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Diabesità: una pandemia globale - Cristina Fatone
Il diabete e l'obesità: dati epidemiologici italiani e internazionali - Antonio Nicolucci
Diabesità nel bambino - Danilo Fintini, Marco Cappa
Diabesità nell'anziano - Raffaele Marfella, Giuseppe Paolisso
Il Peso economico della diabesità - Graziella Bruno
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18
20
23
26
2. Da Elliot Proctor Joslin ai giorni nostri:
l’importanza dell’attività motoria e della gestione
multidisciplinare del diabete - Pierpaolo De Feo, Cristina Fatone
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La Triade Terapeutica: ”Attività Motoria, Alimentazione e Farmaci”
a) Il ruolo dell'attività motoria
Attività fisica: l’importanza clinica e sociale della sedentarietà e del movimento
I livelli di attività fisica nella popolazione italiana - Cristina Fatone
Il ruolo dell'attività fisica - Cristina Fatone
L'attività fisica come modulatore metabolico - Vilberto Stocchi
L'attività fisica e la qualità della vita - Antonio Nicolucci
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33
36
38
41
L'esercizio fisico supervisionato e strutturato
L'esercizio fisico come strumento di prevenzione - Pierpaolo De Feo
L'esercizio fisico come strumento di terapia - Pierpaolo De Feo
Lo studio italiano IDES: Italian Diabetes and Exercise Study - Stefano Balducci
43
46
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Un nuovo approccio organizzativo assistenziale:
ll team multidisciplinare a supporto del Centro Diabetologico
Il ruolo dello specialista in Medicina dello Sport - Maurizio Casasco
Il ruolo del laureato in scienze motorie - Vilberto Stocchi
Il ruolo dell'infermiere - Angela Ghidelli
Il ruolo dell’intervento psicologico nell’obesità e nel diabete di tipo II Claudia Mazzeschi, Chiara Pazzagli, Loredana Laghezza e Dalila Battistini
54
57
59
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L'educazione terapeutica e la motivazione
L'educazione terapeutica nella gestione del diabete e dell'obesità - Aldo Maldonato
Il Counseling individuale - Dalila Battistini
Il Counseling di gruppo - Marina Trento
L'autobiografia narrativa per la motivazione al cambiamento - Natalia Piana
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Modelli avanzati per l'uso dell'esercizio fisico in diabetologia
Il C.U.R.I.A.MO. Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria - Pierpaolo De Feo
Il CRAMD. Centro Studi e Ricerche per l’Attività Motoria nel Diabete - Maurizio Di Mauro
77
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L'attività sportiva
Il ruolo dell'attività sportiva - Marcello Faina
Sport e diabete: L'esperienza italiana e l'ANIAD - Gerardo Corigliano
83
85
b) Il ruolo dell'Educazione Alimentare
L'alimentazione nella cura del diabete - Angela Rivellese
L'alimentazione nella cura dell'obesità - Daniela Capezzali, Chiara Perrone
89
92
c) Il ruolo della Terapia Farmacologica
Inerzia terapeutica e memoria metabolica - Domenico Cucinotta
Nuovi farmaci - Giuseppe Daniele, Stefano Del Prato
Ipoglicemie e qualità della vita - Antonio Nicolucci
96
98
100
3. Le Strategie Istituzionali e le Iniziative Italiane
Le strategie europee - Pierpaolo De Feo, Cristina Fatone
Le strategie del Ministero della Salute - Paola Pisanti
104
107
I Progetti in Italia:
”La salute cammina in città” - Silvano Zanuso
“Città per camminare” - Maurizio Damilano
“Un passo dopo l’altro... ...da un mare all’altro” - Pierpaolo De Feo
Conclusioni
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111
113
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Prefazioni
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Antonio Tomassini
Senatore,
Presidente della XII Commissione
Igiene e Sanità del Senato
Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito, in particolare nel mondo occidentale, ad un progressivo cambiamento del quadro socio-sanitario soprattutto per le aumentate aspettative di vita e per il supporto che a questa aspettativa si deve offrire.
I Sistemi Sanitari Nazionali infatti tendono molto di più
che nel passato a programmare azioni di prevenzione che
favoriscano un processo coordinato di cura e di attenzione alla salute dei cittadini.
Il “Barometer” inteso come sistema di misurazione del
fenomeno-diabete, non solo in termini di patologia ma
anche di prevenzione, si inquadra senz’altro in questo
nuovo approccio culturale ed operativo che anche il Piano
Sanitario Nazionale 2011/2013 ha adeguatamente sancito.
Inoltre, il fatto che il progetto “Barometer” sia nato a
seguito delle raccomandazioni espresse a tutti i Paesi nella Risoluzione delle Nazioni Unite sul diabete del dicembre 2006 e che sia stato presentato nel primo “Changing
Diabetes Leadership Forum” tenutosi a New York nel
marzo 2007 alla presenza di 20 delegazioni di altrettanti
Paesi, ne aumenta il valore soprattutto in termini di impegno “del fare” piuttosto che “del dire”.
Il “Barometer” quindi si pone come catalizzatore di conoscenze ma anche come promotore di soluzioni per arginare la pandemia del diabete, sia dal punto di vista dei cittadini generando informazione sui corretti stili di vita, sia
dal punto di vista delle istituzioni sollecitando la collaborazione di più attori.
Tale iniziativa si inquadra perfettamente nel progetto
“Guadagnare Salute”, promosso dal Ministero della
Salute, che ha come obiettivo la maggiore diffusione possibile di scelte di vita salutari, incentivando soprattutto
l’attività motoria e la sana alimentazione.
Si tratta di un intervento intersettoriale teso a coinvolgere tutti i “protagonisti” di quella filiera complessa che è il
“sistema salute” per raggiungere obiettivi ambiziosi:
6
migliorare la qualità della vita, diminuire il numero delle
cronicità e trasferire il conseguente risparmio dei costi
dalla cura alla prevenzione.
Desidero quindi compiacermi di questa iniziativa del
“Barometer” che ben si inquadra in questa nuova filosofia, che come Istituzioni condividiamo e supportiamo,
vale a dire di privilegiare quei progetti che mettono in primo piano non più il paziente ma la persona, con le sue
aspettative e le sue necessità.
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Ignazio Marino
Senatore,
Presidente della Commissione di Inchiesta sull’efficacia e
l'efficienza del Sistema Sanitario Nazionale
I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
mostrano come lo stile di vita sedentario può rientrare tra
le prime dieci cause di mortalità e inabilità nel mondo.
Numerose evidenze scientifiche oggi dimostrano in
maniera chiara gli effetti benefici sulla salute prodotti da
un’attività fisica anche solo moderata ma svolta regolarmente.
Complessivamente l’OMS stima che gli stili di vita non
salutari spieghino quasi il 50% delle malattie negli uomini e quasi il 25% nelle donne, nei paesi europei più sviluppati.
A livello mondiale, l’OMS calcola che circa il 58% del diabete mellito, il 21% delle malattie coronariche e quote tra
l’8 e il 42% di certi tipi di cancro sono attribuibili a un
indice di massa corporea superiore a 21.
Il ruolo dell’esercizio fisico è dimostrato principalmente
nei confronti delle patologie cardiovascolari, delle malattie metaboliche come il diabete, delle malattie osteoarticolari e in particolare dell'osteoporosi, ma ha un forte
impatto anche sull’ipertensione e sul rischio di cancro.
Sempre l’OMS stima che l’inattività fisica e cattivi stili di
vita causino 1,9 milioni di decessi e 19 milioni di DALY
(disability-adjusted life year) nel mondo. Essa contribuisce
in particolare al 10-16% dei casi di tumore del seno, del
colon-retto e del diabete mellito di tipo II, e circa il 22%
della malattia ischemica.
Ma soprattutto, l’esercizio fisico è il primo presidio terapeutico nella lotta all’obesità, vera pandemia moderna.
Non bisogna pensare a una pratica intensa dell’esercizio
fisico per ottenere benefici: infatti si può avere un miglioramento del proprio stato di salute anche facendo nel
corso della giornata brevi periodi di attività fisica moderata e piccoli gesti quotidiani per combattere la sedentarietà indotta dalla vita e dalla tecnologia moderna.
Il semplice camminare ad andatura spedita per 30-60
minuti al giorno per più giorni alla settimana si associa in
maniera significativa alla riduzione dell’incidenza di mortalità per malattie cardiovascolari.
L’attività fisica, inoltre, aiuta a controllare il peso e riduce
lo stress, l’ansia e il senso di depressione, promuovendo
un concetto moderno di benessere.
Negli Stati Uniti, dove l’obesità sta diventando una vera
piaga sociale ed economica, il Piano Sanitario Nazionale
“Healthy People 2010” individua l’incremento dell’attività fisica come uno dei principali obiettivi di salute per il
Paese, definendo in maniera chiara i programmi per
incentivare la pratica dell’esercizio in tutte le fasi della vita
(solo il 25% degli adulti pratica attività fisica secondo i
livelli minimi raccomandati, cioè 30 minuti di attività
moderata almeno 5 giorni/settimana oppure 20 minuti di
attività intensa 3 o più volte alla settimana).
E il diabete è una delle patologie per cui vi è maggiore evidenza di dati politici, economici e clinici sui benefici dell’attività motoria nella lotta a quello che comunemente si
usa definire "diabesità", dalla sintesi delle correlazioni
pandemiche di diabete e obesità.
L’enunciazione dell'OMS nell’atto costitutivo del 1948,
“La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattie e di
infermità”, appare quanto mai attuale e diventa oggi un
preciso impegno sul quale lavorare concretamente per
l’individuazione di strategie politiche, sociali e sanitarie.
Oggi l’impegno delle Istituzioni deve andare in questa
direzione, favorendo non solo terapie farmacologiche
innovative efficaci nella cura del diabete, ma anche strategie per promuovere una reale prevenzione primaria
attraverso stili di vita salutari.
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Emanuela Baio
Senatore,
Segretario della Presidenza del Senato
Presidente Comitato Nazionale per i diritti della persona
con diabete
Investire nella prevenzione e nel controllo delle malattie
croniche potrebbe migliorare la qualità della vita e il
benessere sia a livello individuale che sociale. I dati oggi a
disposizione danno evidenza come nella sola Regione
Europea dell’Oms, almeno l’86% dei decessi e il 77% del
carico di malattia sono dovuti a questo vasto gruppo di
patologie, accomunate da fattori di rischio, determinanti
di salute e opportunità di intervento.
Una migliore condivisione dei benefici ottenuti grazie a
interventi efficaci avrebbe un impatto significativo, in termini di salute e di bilancio, per tutti gli Stati membri.
Come decisori politici siamo consapevoli che migliorare la
salute delle persone è un obiettivo raggiungibile. Agendo
globalmente sui principali fattori di rischio si può già
ridurre grossa parte del carico di morti premature, malattie e disabilità che grava sulle Nazioni. Investendo nella
prevenzione e migliorando il controllo delle malattie croniche si potrebbe migliorare la qualità della vita e il benessere, a livello sia individuale che globale. Visto il forte
impatto sociale associato alla morbilità e alla mortalità
prematura delle malattie croniche, si potrebbero condividere meglio i vantaggi degli interventi efficaci e apportare un guadagno a tutti i Paesi, in termini sia economici
che di salute.
Bisogna allora attuare strategie concrete contro le malattie croniche proponendo un approccio globale e integrato per affrontarle nel loro complesso.
L’impegno delle Istituzioni deve essere quello di promuove a livello di popolazione programmi di promozione della salute e prevenzione delle malattie, promuovere scelte
di vita salutari, individuando i gruppi ad alto rischio e ottimizzando la copertura della popolazione in termini di
cure efficaci, consentendo così l’integrazione di politiche
di intervento e azioni in modo da ridurre al minimo le
disuguaglianze.
Il traguardo finale di questa strategia è evitare le morti
premature e ridurre in modo significativo il carico di
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malattia, migliorando la qualità della vita e rendendo più
omogenee le aspettative di vita.
I messaggi chiave che debbono guidare l’azione politica
debbono essere:
• la prevenzione è efficace quanto più è duratura e va
considerata un vero e proprio investimento in salute e
sviluppo
• la società dovrebbe offrire un contesto ambientale che
faciliti le scelte più salutari
• i servizi sanitari dovrebbero adattarsi a questo obiettivo, affrontando l’attuale carico di malattia e aumentando le opportunità di promozione della salute
• le persone dovrebbero essere messe nelle condizioni di
promuovere la propria salute, di interagire con i servizi
sanitari ed essere parte attiva della gestione delle
malattie
• per garantire il diritto alla salute è fondamentale che
tutti abbiano accesso alla promozione della salute, alla
prevenzione delle malattie e ai servizi sanitari
• a qualsiasi livello, i governi hanno la responsabilità di
proporre politiche di intervento all’insegna della salute
e di assicurare un’azione integrata in tutti i settori.
Il carico umano, sociale ed economico delle Non
Communicable Diseases deve essere affrontato in maniera sinergica e decisa dai Governi di tutto il mondo, impegno questo preso nel recente Summit delle Nazioni Unite
del 19 e 20 Settembre, al quale ho avuto l’onore di prendere parte quale rappresentante del Senato Italiano.
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Renato Lauro
Rettore dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Presidente dell’Italian Barometer Diabetes Observatory
L’obesità e diabete rappresentano, per l’Italia e l’Europa,
un problema di salute particolarmente preoccupante per
la rapidità della progressione del fenomeno che, nell’arco
di due decadi, si è triplicato.
E’ reale il definire l’obesità e il diabete, comunemente
oggi ribattezzate con il temine “Diabesità” come una
pandemia globale.
I dati oggi in nostro possesso ci indicano che in Italia, 45 abitanti su 10 soffrono di sovrappeso o sono obesi, con
tassi più elevati nelle regioni meridionali e con una tendenza all’aumento negli ultimi anni e questo fenomeno
non risparmia i bambini.
Tutto questo ha una forte incidenza sul numero di persone, adulti e bambini, che nei prossimi anni svilupperanno
il diabete di tipo 2.
Le conseguenze per gli individui e la società sono serie in
termini di riduzione sia dell’aspettativa sia della qualità
della vita, con notevoli ricadute anche economiche, questo soprattutto dovuto alle complicanze che la persona
con diabete può sviluppare.
Questi sono dati di fatto che devono fare riflettere e,
soprattutto, agire con urgenza.
Un altro aspetto sul quale soffermarsi è caratterizzato da
due equilibri fondamentali: l’equilibrio tra un’alimentazione sana e livelli adeguati di attività fisica e quello tra responsabilità individuale nei confronti della salute,
scelte dettate da informazione ed educazione corrette e
basate sull’evidenza scientifica, nel rispetto, ove possibile, dei contesti culturali delle varie entità regionali, e
responsabilità dei governi e delle istituzioni nazionali,
regionali e locali nel creare e promuovere ambienti e contesti favorevoli a scelte salutari.
In questo un compito fondamentale è rappresentato dalla comunità scientifica, che deve poter adottare strategie
mirate basate su linee guida condivise e percorsi cognitivi e formativi valicati.
In campo nutrizionale è necessario diffondere informa-
zioni chiare e corrette, per raggiungere un livello di piena
consapevolezza e responsabilità del consumatore, evitando confusione e disorientamento nella popolazione.
L’adozione di un corretto stile di vita non può essere
imposto per legge.
L’educazione alimentare e l’autoregolamentazione sulla
base di stringenti codici etici di comportamento da parte
dell’industria alimentare in accordo con le istituzioni
governative, restano gli strumenti di gran lunga più efficaci.
Una precisa fotografia del diabete in Italia non può prescindere da una analisi delle complicanze croniche tardive della malattia che, in un epoca in cui è ormai raro il
decesso per cause acute, ne rappresentano il vero, principale, costo umano ed economico.
In Italia la cura per il diabete assorbe il 6,65% della spesa
sanitaria complessiva, con un costo per paziente che è più
del doppio della media nazionale.
E allora è necessario lavorare su indicatori che misurino la
qualità dell’assistenza diabetologica e i risultati anno
dopo anno raggiunti.
L’Italian Barometer Diabetes Observatory vuole promuovere questa nuova cultura in Italia nella lotta al diabete.
Lavorare su indicatori relativi allo stile di vita, appare
necessario e importante, per questo il Barometro sullo stile di vita, appare uno strumento importante nei percorsi
di prevenzione da adottare da parte di tutta la comunità
scientifica e i decisori politici.
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Umberto Valentini
Presidente Diabete Italia
Le linee guida internazionali e gli standard di cura italiani
per la cura del diabete, riconoscono nell'attività fisica un
ruolo cardine nella prevenzione e nella cura del diabete.
Tuttavia portare la persona con diabete a svolgere regolarmente un'attività fisica tale da incidere positivamente
sull'evoluzione della malattia è difficile.
I motivi sono essenzialmente due: una scarsa formazione
degli operatori sanitari ( mancanza di conoscenza e competenza) e la motivazione delle persone con diabete a
seguire le prescrizioni.
La terapia "attività fisica" viene spesso "dimenticata"
dagli operatori sanitari e spesso prescritta in modo superficiale ( si muova di più) e con scarsa convinzione.
Per rispondere a queste criticità, Diabete Italia intende
sostenere e diffondere tutte le iniziative che promuovano un corretto stile di vita e in particolare una regolare
attività motoria strumento essenziale ed efficace nella
prevenzione del diabete e nel miglioramento della salute
delle persone.
E' con piacere quindi che vedo la pubblicazione del
secondo "Barometro su diabete e attività fisica in Italia",
convinto che possa essere uno strumento utile alla formazione dei diabetologi e degli operatori sanitari che si
occupano della cura alle persone con diabete ed essere
un documento di riferimento per le Istituzioni.
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Carlo B. Giorda
Presidente nazionale
dell’Associazione Medici Diabetologi
L’attività fisica di per sé, indipendentemente dal calo ponderale, riduce sensibilmente il rischio cardiovascolare.
Se poi, unitamente a una corretta educazione alimentare, induce perdita di peso, si rivela uno dei più efficaci
interventi terapeutici possibili, soprattutto nei soggetti
sovrappeso e nel diabete. 4 o 5 chilogrammi di peso persi riducono la mortalità totale del 20%, risultato superiore a quello che si può ottenere con molti interventi farmacologici.
Come Presidente dell’Associazione Medici Diabetologi,
società scientifica di diabetologi clinici che molto investe
nell’educazione terapeutica per promuovere l’attività fisica, è per me naturale spendere una parola d’elogio per la
linea tracciata da questa pubblicazione che fa del movimento e della corretta alimentazione i cardini principali
della terapia del diabete.
Tuttavia, viviamo ancora in un epoca in cui in Sanità è
molto più facile farsi apprezzare se si interviene in situazioni d’emergenza con apparecchiature tecnologiche
costose per cui, la grande sfida che ci attende, è riuscire
a convincere chi amministra e dirige di quanto questi
interventi siano efficaci e richiedano organizzazione e
risorse umane.
Un testo come questo, scritto da un esperto come l’amico
De Feo, dove vengono accuratamente descritti e sostanziati scientificamente i punti di forza dell’intervento basato sull’attività motoria e sullo stile di vita, senza contrapporsi al farmaco, può dare un grande contributo in questo senso.
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Gabriele Riccardi
Presidente SID (Società Italiana di Diabetologia)
2010-2012
L’attività della SID è finalizzata alla prevenzione e alla cura
del diabete e delle sue complicanze e pertanto è indirizzata sia alle persone con diabete sia a coloro che presentano un aumentato rischio di ammalare di diabete. Per
questi motivi la SID è stata sempre impegnata nel promuovere l’uso ottimale dell’esercizio fisico per la cura e la
prevenzione del diabete. La SID ha promosso la crescita
del gruppo interassociativo SID-AMD sull’attività fisica, ha
siglato un accordo con la Federazione Medico Sportiva
Italiana per iniziative di attività didattica e di collaborazione assistenziale tra diabetologi e medici dello sport e nei
suoi Congressi Nazionali e nella rivista il Diabete dedica
ampio spazio all’aggiornamento sull'importanza delle
modifiche dello stile di vita.
Dalla collaborazione AMD-SID è nata la nuova edizione
aggiornata degli Standard di Cura, importante opera editoriale rivolta al medico e agli altri operatori sanitari impegnati nell’assistenza alle persone con diabete in cui viene
sottolineato il ruolo della modifica dello stile di vita (dieta
e esercizio fisico) quale primo strumento per la terapia e
la prevenzione del diabete da implementare anche in presenza di terapia farmacologica.
L’edizione 2011 del Barometro su Diabete e Attività
Fisica, rappresenta un utile strumento di diffusione dell’uso dell’esercizio fisico per la prevenzione e la cura del
diabete e l’auspicio della SID è che questo volume possa
aumentare l’attenzione dei responsabili della gestione
delle politiche sanitarie nazionali e regionali su questa
spesso sottoutilizzata ma eccellente risorsa.
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Lorenzo Mastromonaco
Vice President di Novo Nordisk Europe
Riscaldamento globale, obesità, terrorismo, povertà,
disordini politici, malaria e HIV/AIDS. Le minacce al mondo sono numerose. Essenzialmente si tratta di minacce
globali; alcune sono collegate fra loro e non rispettano i
confini delle nazioni.
Il diabete è stato per lungo tempo un membro silenzioso
di tale gruppo.
Ma il 20 Dicembre 2006 le Nazioni Unite hanno adottato
una Risoluzione storica che riconosce il diabete quale
seria minaccia a livello mondiale e spinge tutte le nazioni
a fornire cure per il diabete e a migliorarle.
Il diabete potrebbe divenire la peggiore pandemia del 21°
secolo e noi non avremo scuse se non cambiamo ora il
corso della storia.
Sappiamo che tra i nostri figli ed i giovani di tutto il mondo si sta sempre più diffondendo l’obesità e che il sovrappeso aumenta il rischio di diabete di tipo 2. Sappiamo che
si tratta di un problema che ricade in maniera sproporzionata sui più poveri e che stiamo correndo il rischio di tirare su la prima generazione di ragazzi che vivrà meno dei
propri genitori. Sappiamo che entro il 2025 circa 450
milioni di persone nel mondo avranno il diabete e che
molti di loro saranno allora nel loro periodo di vita più
produttivo. Sappiamo che si tratta di una bomba ad orologeria che minaccia il benessere delle persone ed i sistemi sanitari di tutte le nazioni del mondo.
Alla luce di questa conoscenza è obbligatorio agire.
Stiamo entrando in un’era di interdipendenza globale.
Che lo vogliamo o no non possiamo sfuggire l’uno all’altro. Questo ci conduce ad una responsabilità condivisa.
La sfida è trasformare questa responsabilità in un movimento effettivo per cambiare il diabete.
Ecco perché bisogna che i politici, i rappresentanti dei
governi, i professionisti del sistema sanitario, le persone
con il diabete ed i loro familiarii e tutte le componenti
pubbliche e private interessate al problema devono lavorare assieme. Insieme, dobbiamo trovare le modalità per
fronteggiare la malattia agli stadi iniziali.
Prevenire è meglio che curare e curare prima è molto
meglio che curare dopo.
Quindi dobbiamo promuovere consapevolezza nell’opinione pubblica e rendere possibili la diagnosi preventiva e
gli schemi di intervento precoce.
E’ inaccettabile che la negazione del problema, la mancanza di coordinamento ed il taglio dei costi siano di ostacolo ad una cura migliore. Una delle aree dove bisogna
impegnarsi per facilitare il cambiamento, è quella della
trasparenza dell’assistenza sanitaria.
Nel business, uno dei principi è che ciò che puoi misurare
puoi gestire.
Noi crediamo che questo principio possa essere applicato
anche alla sanità. Quindi promoviamo la misurabilità
quale strumento per guidare l’azione e promuovere il
cambiamento nel diabete. E siccome sappiamo quanto
importante sia concentrarsi su ciò che dà risultati per i
pazienti, ci siamo impegnati a misurare la natura del trattamento del diabete ora disponibile ed il risultato del trattamento a livello di singolo paziente.
E una parte dell’impegno sarà implementare a livello
internazionale il “Changing Diabetes Barometer”.
Un barometro che deve essere realizzato tramite partnerships e che contribuirà a fissare le priorità ed i target per
i piani d’azione a livello nazionale.
Questo non solo nel campo dei target glicemici e metabolici, ma andando ad analizzare le effettive barriere che
esistono oggi al raggiungimento di una condizione diabetica ottimale.
Studiare ad esempio come l’attività motoria se non attuata correttamente, o peggio ancora la sedentarietà può
annullare completamente i benefici che potrebbero derivare da un appropriato piano terapeutico.
Per dimostrare che il percorso attuale può effettivamente
essere cambiato, e per ispirare l’azione, bisogna sostenere piani per il diabete a livello nazionale in favore dei giovani ed attraverso progetti concreti aiutiamo gli insegnanti ed i genitori a combattere il diabete nelle scuole e
nelle case in tutto il mondo, attraverso l’adozione di stili
di vita appropriati.
Migliorare la qualità di vita delle persone con diabete e
prevenire attraverso un corretto stile di vita è un obiettivo reale su cui bisogna impegnarsi.
L’attività motoria in questo senso è una condizione
importante sulla quale puntare in maniera decisa.
Ormai evidenze sociali e cliniche dimostrano in maniera
chiara come l’attività motoria, la diagnosi e il trattamento precoce sono un punto cardine nel successo di qualunque piano terapeutico e per fare questo bisogna sempre
di più agire trovando sinergie politiche e sanitarie.
Siamo consapevoli della sfida e non possiamo permetterci di fallire.
La buona notizia è che sappiamo anche come è fatta una
buona cura del diabete e su come si può cercare di mettere un argine a questa moderna pandemia.
Abbiamo parlato molto. Ora agiamo.
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Premessa
La seconda edizione del “Barometro su diabete e attività
fisica in Italia” viene pubblicata a distanza di quattro anni
dalla prima edizione in italiano ed in inglese del 2007.
L’obiettivo principale della prima pubblicazione di questo
documento era fornire un aggiornamento sullo stato dell’arte dell’uso dell’attività motoria e dell’esercizio fisico
come strumento di prevenzione e cura del diabete nel
nostro paese, in relazione a quanto avviene a livello internazionale. L’obiettivo dell’edizione 2011 rimane lo stesso
e simile sarà la diffusione del libro che è principalmente
rivolto a coloro che sono impegnati a vari livelli nella legislazione sanitaria e nell’organizzazione di attività e servizi socio-sanitari che promuovono il miglioramento degli
stili di vita.
Il tema dell’implementazione degli stili di vita e della pratica dell’attività motoria è diventato in questi ultimi anni
di grande attualità. La World Health Organization ha formulato l’Action Plan 2008-2013 per le quattro principali
malattie non trasmissibili (NCD: non communicable diseases): malattie cardiovascolari, diabete, cancro e malattie
respiratorie croniche. Queste condizioni condividono
comuni fattori di rischio quali la sedentarietà, diete non
salutari e tabagismo e soluzioni comuni, per cui è utile
una comune piattaforma di collaborazione. Da questa
premessa è nata la NCD Alliance, che include la World
Heart Federation, l’International Diabetes Federation,
l’International Union Against Cancer e l’International
Union Against Tuberculosis and Lung Disease, e rappresenta più di 880 associazioni nazionali. Sulla spinta della
NCD Alliance, nei singoli paesi stanno nascendo locali
Wellness Alliance. In Italia, il gruppo Wellness
Metabolico, nato nell’ambito del Changing Diabetes
Barometer e accreditato al Ministero della Salute, dal
2011 si è evoluto nell’Italian Wellness Alliance che comprende rappresentanti del mondo scientifico diabetologico, delle istituzioni e del mondo privato, tutti esperti del
settore e motivati alla valorizzazione dell’esercizio fisico e
del miglioramento degli stili di vita per contrastare
l’attuale epidemia di obesità, diabete e malattie cardiovascolari. Questa edizione aggiornata del barometro su diabete e attività fisica in Italia, riflette e riporta i cambiamenti in corso nell’area, i risultati ottenuti e le iniziative in
corso. In questi quattro anni in Italia è aumentata
14
l’attenzione alla promozione dell’esercizio fisico per la
prevenzione e la cura del diabete a tutti i livelli, sono stati pubblicati i risultati di importanti studi di intervento, è
continuata o è stata avviata l’attività di centri multidisciplinari per la modifica degli stili di vita e sono state lanciate nuove iniziative locali e nazionali per promuovere e diffondere la pratica dell’attività motoria. Speriamo che la
presente edizione del Barometro su diabete e attività fisica in Italia possa contribuire positivamente ad aumentare
l’impegno di tutti in questo settore di vitale importanza
per la qualità della vita delle persone con diabete e per la
riduzione dei costi del Servizio Sanitario Nazionale.
Pierpaolo De Feo
President Italian Wellness Alliance
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1. Emergenza
diabesità
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Diabesità: una pandemia globale
Premessa
Il neologismo “Diabesità”, coniato nel 1970 da Sims per
descrivere il forte legame esistente tra diabete di tipo 2 e
obesità, è oggi diffusamente usato per descrivere in
maniera semplice ed efficace una nuova emergenza sanitaria: la diffusione di una patologia silente e spesso non
riconosciuta che colpisce una grossa fetta di popolazione
e che è rappresentata dalla convivenza di obesità e diabete. Obesità e diabete rappresentano, secondo la WHO,
un’epidemia globale che colpisce, nel mondo, un numero in continua ed allarmante ascesa, di bambini, adolescenti e adulti, sia nei paesi industrializzati che in via di
sviluppo. Il processo di urbanizzazione, le modifiche dello
stile di vita che ne derivano, ed il progressivo invecchiamento della popolazione, sono le radici di questo allarmante fenomeno.
Situazione Attuale
Dati recenti della World Health Organization indicano
che attualmente nel mondo si contano 1,6 milioni di soggetti in sovrappeso e circa 400 milioni obesi; si stima che
nel 2015, 2,3 miliardi di persone saranno in sovrappeso
e più di 700 milioni di persone saranno obese. Se si considera che il rischio di sviluppare diabete è legato in
maniera esponenziale al grado di obesità - in condizioni
di sovrappeso è pari a tre volte, mentre in presenza di
obesità sale a 20 volte - dobbiamo prevedere una diffusione altrettanto rapida e allarmante della malattia diabetica. Nei primi anni del 2000 veniva stimata una prevalenza globale di diabete per il 2010 pari a circa 171 milioni di casi, che avrebbe raggiunto una numerosità superiore al doppio (366 milioni) nel 2030; i paesi per cui si
denunciava la più alta incidenza di diabete erano la Cina,
l’India, gli USA, l’Indonesia e il Giappone e il maggiore
incremento del tasso di incidenza di diabete si prevedeva
per India, Sud-africa ed Estremo Oriente. Una recente
valutazione eseguita da P.Z. Zimmet nel 2009, ha stimato la prevalenza di diabete per il 2010 pari a circa 285
milioni di casi, prevedendo per il 2030 circa 439 milioni
di persone; un incremento superiore al 50% giustificato
semplicemente da tre fattori: la crescita della numerosità
della popolazione, il suo progressivo invecchiamento e la
diffusione del processo di urbanizzazione con la modifi16
ca dello stile di vita che ne consegue (Figura 1 e 2). In
Italia, attualmente circa 3.200.000 persone soffrono di
diabesità. E secondo le proiezioni al 2025, il numero è
destinato a crescere; si passerà dai 4 milioni di obesi di
oggi (pari al 10% della popolazione adulta) a
un’incidenza del 14% prevista fra 15 anni, con una crescita stimata del 43%. Lo stesso succederà con il diabete di tipo 2: oggi si contano circa 4 milioni di pazienti (a
cui si aggiunge un altro milione di malati ‘inconsapevoli’)
e si stima una diffusione della malattia destinata a crescere del 50%. Nella fascia di età infantile il dato è ancor più
Figura 1. I 10 paesi con maggiore prevalenza di diabete nel
2010 e 2030
2010
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
2030
Country
Prevalence
(%)
Country
Prevalence
(%)
Nauru
United Arab
Emirates
Saudi Arabia
Mauritius
Bahrain
Reunion
Kuwait
Oman
Tonga
Malaysia
30.9
Nauru
United Arab
Emirates
Mauritius
Saudi Arabia
Reunion
Bahrain
Kuwait
Tonga
Oman
Malaysia
33.4
18.7
16.8
16.2
15.4
15.3
14.6
13.4
13.4
11.6
21.4
19.8
18.9
18.1
17.3
16.9
15.7
14.9
13.8
Figura 2. Numero di persone affette da diabete nelle diverse
fasce di età nei paesi sviluppati e in via di sviluppo nel 2010 e
nel 2030
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allarmante: attualmente 1 ragazzo su 3 al di sotto dei 18
anni è sovrappeso e si prevede un incremento vertiginoso del numero di baby oversize nei prossimi 15 anni, con
una prevalenza che arriverà al 12,5% della popolazione
nella fascia 4-17 anni, un incremento del +205%. Una
realtà che rischia di tradursi, nel giro di pochi anni, in
un’impennata di malattie cardiovascolari, conseguenti
all’obesità e al diabete, nei giovani tra i 20 e i 30 anni.
Conclusioni
L’irrefrenabile corsa della diabesità avrà ripercussioni
devastanti non solo a livello individuale ma anche, e
soprattutto, a livello sociale, sul prodotto nazionale e
sulla situazione economica di ogni paese. I diabesi di
oggi e del futuro sono caratterizzati da un elevato tasso
di morbilità e mortalità e pertanto da un’alterata qualità
di vita, loro e delle loro famiglie; l’impatto del fenomeno
diabesità sull’economia, non riguarderà solo i Paesi industrializzati, quali l’Australia, il Regno Unito e gli Stati
Uniti, le conseguenze socioeconomiche del diabete
potrebbero portare al fallimento anche le economie di
numerosi Paesi in via di sviluppo.
Paul Zimmet, direttore dell’International Diabetes
Institute di Melbourne (Australia), ha rilasciato di recente
un’esemplare dichiarazione: «La combinazione di diabete e obesità è la più grande epidemia che il mondo abbia
mai dovuto affrontare. Ciò che l’HIV/AIDS hanno rappresentato negli ultimi vent’anni del XX secolo, la “diabesità” (con le sue conseguenze) lo sarà certamente nelle
prime due decadi del XXI secolo. Negli ultimi decenni, il
numero dei diabetici è più che raddoppiato a livello globale. L’International Diabetes Federation ha comunicato
di recente che il numero dei diabetici è destinato a salire
nei prossimi decenni, eppure, malgrado i segnali di allarme, la maggior parte dei Governi ha reagito con troppa
lentezza. Così, oggi il diabete è tragicamente
un’epidemia globale con devastanti conseguenze umanitarie, sociali ed economiche». Per questo motivo, il 21
dicembre 2006 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite
ha approvato all’unanimità una risoluzione che dichiarava “questione internazionale di salute pubblica” il diabete, seconda malattia, dopo l’HIV/AIDS, a ottenere questo
poco invidiabile status.
Call to action
Combattere il diabete e l’obesità è ad oggi, per chi si
occupa di salute pubblica, una delle più importanti sfide
del nostro secolo.
• “La prevenzione” è senz’altro lo strumento più efficace per fermare l’epidemia di diabesità: rafforzare la
consapevolezza e la conoscenza dell’importanza di
stili di vita scorretti nel definire lo stato di salute di un
soggetto, è la radice di questa sfida
• Solo un approccio multidisciplinare integrato,
associato ad un’adeguata campagna di informazione,
può riuscire a ridurre in maniera efficace la diffusione
morbosa di questo fenomeno
• Una strategia globale definita a livello internazionale, che tenga conto di aspetti politici, epidemiologici, ambientali-infrastrutturali, oltre che di quelli prettamenti clinici, deve tradursi in efficienti politiche nazionali e regionali e attuabili piani di azione
Cristina Fatone
C.U.R.I.A.MO.
Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale
Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia
Bibliografia
1. Global estimates of the prevalence of diabetes for 2010 and
2030. Diabetes Research and Clinical Practice J.E. Shaw *,
R.A. Sicree, P.Z. Zimmet.
2. A national survey of the prevalence of childhood overweight
and obesity in Italy. Binkin N, Fontana G, Lamberti A,
Cattaneo C, Baglio G, Perra A, Spinelli A.Obes Rev. 2010
Jan;11(1):2-10. Epub 2009 Sep 17.
3. http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs311/en/
index.html.
17
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Il diabete e l’obesità:
dati epidemiologici italiani e internazionali
Premessa
In base alle stime dell’International Diabetes Federation
(IDF), riferite alla fascia di età fra i 20 e i 75 anni, nel 2025
ci saranno in Italia più di 3,2 milioni di persone con diabete, mentre a livello mondiale le persone colpite saranno 333 milioni, con un incremento di oltre il 70% rispetto ai dati odierni. Gli incrementi maggiori sono previsti
nei Paesi in via di sviluppo, nei quali nel 2025 risiederanno oltre il 75% delle persone affette da diabete. Oltre
all’invecchiamento della popolazione, l’epidemia di diabete è da attribuire in misura principale al crescente
aumento della percentuale di persone obese, dovuto alla
progressiva riduzione dell’attività fisica e al cambiamento
delle abitudini alimentari. Le stime ISTAT riferite al 2005
evidenziano che, utilizzando la classificazione dell’OMS,
più di un terzo della popolazione adulta (34,2% delle
persone di 18 anni e più) è in sovrappeso, mentre il 9,8%
è francamente obeso.
Situazione Attuale
L’obesità è in crescita nel nostro Paese: sono circa 4 milioni e 700 mila le persone adulte obese, con un incremento percentuale di circa il 9% rispetto a cinque anni fa.
L’incremento dell’obesità è stato registrato soprattutto
nella popolazione maschile, in particolare nei giovani
adulti di 25-44 anni e tra gli anziani, ed è più evidente
nel Meridione (Figura 1 e 2). Sta inoltre emergendo
anche in Europa come problema sempre più rilevante
l’obesità infantile, che oggi colpisce circa 5 milioni di
bambini in età scolare, con un incremento di 250.000
casi all’anno. In Italia, fra i bambini di 8-9 anni, uno su
Figura 1. Andamento dell’obesità in Italia nelle diverse fasce
geografiche
Figura 2. Prevalenza di sovrappeso e obesità per fasce di età
in Italia
quattro risulta sovrappeso e uno su otto francamente
obeso (Figura 3). Anche in questo caso, il problema è più
accentuato al sud: ad esempio, in Campania un bambino su due è sovrappeso o obeso. Tale fenomeno si associa alla comparsa, anche in età infantile e adolescenziale, del diabete di tipo 2, classicamente considerato una
prerogativa dell’età adulta. L’obesità infantile rappresenta un drammatico fattore di rischio per lo sviluppo di diabete in età adulta. Negli Stati Uniti, a causa del costante
aumento nel tasso di obesità fra i bambini, si stima che
fra i nati oggi uno su quattro svilupperà il diabete da
adulto, mentre addirittura il rapporto sale a uno su due
Figura 3. Prevalenza di sovrappeso e obesità fra i bambini di
8-9 anni. Italia, 2008
Campania
Molise
Calabria
Sicilia
Basilicata
Puglia
Lazio
Abruzzo
ITALIA
Umbria
Marche
Toscana
E-R
Liguria
Veneto
Piemonte
Sardegna
FVG
Valle
d’Aosta
28
26
26
25
26
25
26
26
24
24
23
22
20
22
20
19
19
21
17
0
10
21
16
16
17
13
14
13
13
12
11
10
Sovrappeso
23,6%
Obeso
12,3%
7
9
7
7
8
7
4
6
20
Sovrappeso
18
49%
23%
30
Obeso
40
%
50
60
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fra i bambini afro-americani o latino-americani. L’obesità
in età infantile-adolescenziale ha un impatto drammatico anche sull’insorgenza di ipertensione, dislipidemia e
malattie cardiovascolari, e determina una significativa
riduzione delle aspettative di vita. Ad esempio, in uno
studio appena pubblicato riguardante gli indiani nativi
americani, è stato evidenziato come i bambini con obesità avevano un rischio più che doppio di morire prima dei
55 anni rispetto ai loro coetanei più magri.
Conclusioni
Poiché in Europa occidentale, in base alle stime dell’IDF,
oltre l’80% dei casi di diabete è attribuibile all’obesità, è
facile comprendere come la lotta all’obesità e al diabete
vadano di pari passo, e come sia necessario uno sforzo
congiunto di politiche sociali e sanitarie per arginare un
fenomeno in continua espansione. Le enormi ricadute in
termini sociali, assistenziali ed economici legate alle complicanze cardiovascolari, renali, oculari e neuropatiche
del diabete potrebbero infatti in pochi anni rendere non
più sostenibili e qualitativamente inadeguati gli sforzi
necessari al controllo della malattia e le risorse disponibili
per fronteggiarla.
Bibliografia
1. Diabetes Atlas, Fourth Edition, 2009.
http://www.diabetesatlas.org/
2. ISTAT. Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorso ai servizi sanitari. Anno 2005.
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/
20070302_00/testointegrale.pdf
3. Okkio alla Salute: la mappa dell’obesità infantile in Italia.
http://www.salute.gov.it/dettaglio/phPrimoPianoNew.jsp?id
=188&area=ministero&colore=2
4. Relazione sullo stato sanitario del Paese. 2007-2008.
http://www.salute.gov.it/pubblicazioni/ppRisultatiRSSP.jsp
5. Daniels SR, Arnett DK, Eckel RH, Gidding SS, Hayman LL,
Kumanyika S, Robinson TN, Scott BJ, St Jeor S, Williams CL.
Overweight in children and adolescents: pathophysiology,
consequences, prevention, and treatment. Circulation.
2005;111:1999-2012.
Call to action
• Programmare politiche di intervento, nazionali ed
internazionali, che tengano conto degli aspetti sanitari, sociali ed economici dell’epidemia diabesità e risultino in definitva fattibili ed efficaci
• Incidere selettivamente sulla classe sociale più a rischio
e in particolare nella fascia di età infantile-adolescenziale, con adeguate campagne educative preventive
• Incentivare gli interventi sullo stile di vita nell’Italia
meridionale
Antonio Nicolucci
Dipartimento di Farmacologia Clinica ed Epidemiologia,
Consorzio Mario Negri Sud
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Diabesità nel bambino
Premessa
La prevalenza dell’obesità nei bambini e negli adolescenti ha raggiunto proporzioni epidemiche nei paesi sviluppati nelle ultime tre decadi. Questo ha portato ad un
notevole aumento delle alterazioni del metabolismo glicidico nella popolazione di questa fascia di età. Secondo
un’indagine condotta negli Stati Uniti nel 1999-2000, il
14-15% di tutti i soggetti con 15 anni di età è obeso (1).
In Europa, una revisione di indagini condotte in vari paesi europei, indica una più alta incidenza di sovrappeso/obesità nei paesi occidentali e del sud Europa. I paesi
dell’area del Mediterraneo presentano una prevalenza di
sovrappeso fra i bambini del 20-40%, mentre nei paesi
del Nord la prevalenza è del 10-20% (2). In Italia uno studio recente mostra come il problema obesità pediatrica
sia in rapida espansione nel nostro Paese: già dalla prima
infanzia bambini con un’età compresa fra 2 e 6 anni, presentano un eccesso ponderale nel 32% dei casi, con una
maggior prevalenza al sud rispetto al nord Italia (3).
Questo ha portato alla ribalta nella popolazione adulta, e
sempre più negli ultimi anni nella popolazione pediatrica,
la nuova entità nosologica del paziente con obesità e
alterazioni della glicemia detta “Diabesità”.
Situazione attuale
L’obesità causa resistenza insulinica che a sua volta
aumenta, tramite vari meccanismi, la secrezione insulinica pancreatica. Se la funzione beta cellulare nel tempo
declina per superare il carico di glucosio plasmatico, nel
tempo può manifestarsi iperglicemia o insorgere Diabete
Mellito di Tipo 2 (T2DM) (4). Negli adulti la manifestazione del T2DM (glicemia a digiuno >126 mg/dl in due misurazioni consecutive o >200 mg/dl dopo carico di glucosio)
richiede a volte anni, passando attraverso fasi intermedie
di alterata glicemia a digiuno (IFG; 110-125 mg/dl) e/o
alterata tolleranza glicidica (IGT; glicemia dopo carico di
glucosio 140-199 mg/dl). Studi recenti hanno dimostrato
che l’IGT e il T2DM sono diventati ormai un problema reale ed in crescita anche nei bambini e negli adolescenti. In
una recente casistica italiana la prevalenza di IGT isolato
o associato a IFG, in una larga popolazione di bambini e
adolescenti italiani è dell’11,2%, mentre il T2DM silente
si attesta intorno allo 0,8% nei bambini dell’Italia centrale (5,6), confermando precedenti dati su popolazione
20
europea e italiana, del nord e del sud (7-9). In studi condotti negli Stati Uniti su bambini ed adolescenti obesi di
qualunque etnia, IGT è stata riscontrata nel 25% dei
bambini e adolescenti obesi considerati; T2DM nel 4% di
adolescenti obesi (10). Una più alta incidenza di IGT è stata riportata in bambini obesi della Tailandia e delle
Filippine ed in bambini Ispanici che vivono negli Stati Uniti
(11). Così come gli adulti, anche i bambini, AfroAmericani, Ispanici, Indiani Pima, hanno un maggior
rischio di sviluppare IGT e T2DM.
Naturalmente l’obesità infantile comporta anche la presenza di comorbilità legate all’obesità, presenti quindi fin
dall’età pediatrica, come alterazioni del metabolismo lipidico, ipertensione arteriosa, infiltrazione grassa del fegato (non-alcoholic fatty liver disease), colecistopatie, sindrome metabolica, iperandrogenismo nelle adolescenti,
apnea ostruttiva nel sonno, problemi di natura ortopedica (12, 13). L’età dei bambini obesi, e in particolare lo stadio puberale, influisce in modo inequivocabile sulla manifestazione e la progressione delle alterazioni glicidiche.
Infatti è stato recentemente ribadito che la frequenza di
IGT in bambini obesi caucasici aumenta gradualmente
durante le fasi puberali Tanner I-IV (6) con riduzione nello stadio Tanner V. Questo fenomeno può essere ascritto
al transitorio aumento della resistenza insulinica osservata durante la pubertà, con una riduzione della sensibilità
insulinica del 25-30% nella fase medio-puberale e un
recupero nella fase finale (Tanner V) (14). Il consiglio è
quindi di valutare le alterazioni del metabolismo glicidico
in bambini obesi usando il carico orale di glucosio piuttosto che la glicemia a digiuno, in quanto quest’ultima da
sola può non individuare la presenza di IGT in particolare
nella fase puberale.
Di fronte a questa iniziale epidemia di Diabesità, anche
nel bambino per il momento rimane solo la possibilità
della prevenzione con modifiche dello stile di vita. Mentre
negli adulti è stato ampiamente studiato l’impatto della
dieta e dell’attività fisica regolare sulla riduzione della
progressione da IGT a T2DM, sfortunatamente dati a lungo termine sui bambini non sono al momento disponibili. L’American Academy of Pediatrics tuttavia, raccomanda la perdita di peso in bambini e adolescenti obesi attraverso il miglioramento della qualità e della quantità degli
alimenti assunti e la riduzione della sedentarietà, favorendo l’attività fisica programmata e non programmata in
qualunque fascia di età, adattata al singolo soggetto, ai
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fini della prevenzione di insorgenza di IGT e T2DM tra i
bambini a rischio per la malattia (4, 15). Laddove la diagnosi sia stata già fatta e il solo cambiamento di stile di
vita non è sufficiente, l’uso della metformina come dell’insulina può in alcuni casi essere necessario per controllare la malattia.
Conclusioni
L’eccesso ponderale fin dall’età pediatrica, si associa ad
una serie di comorbilità e soprattutto costituisce un fattore di rischio precoce per morbilità e mortalità nella vita
adulta. Il diabete mellito tipo 2 (DM2) in passato definito
diabete dell’età adulta perché riguardante soltanto questa fascia d’età, è diventato una realtà comune fra i bambini e gli adolescenti obesi, appartenenti ad etnie ad alto
rischio, configurando l’espansione della Diabesità anche
nelle fasce pediatriche. Il problema obesità pediatrica e la
prevalenza di IGT e T2DM nelle etnie a basso rischio,
come in Europa, rimane per le problematiche sopra esposte e per le temute conseguenze nella vita adulta, uno
dei problemi più allarmanti che il Sistema Sanitario si
trova oggi a dover affrontare.
Call to action
• Istruire i pediatri di base sulla prevenzione dell’obesità
e sulla promozione della pratica dell’attività fisica fin
dalla prima infanzia
• Cercare di creare delle linee guida in cui coinvolgere
anche i genitori nell’educazione ad una alimentazione
sana
• Coinvolgere le istituzioni scolastiche nella prevenzione
dell’obesità con implementazione di programmi che
prevedano un incremento delle attività fisiche programmate
• Creare una rete tra specialisti (endocrinologi, diabetologi, nutrizionisti), pediatra di base e genitori, per favorire l’educazione alla prevenzione del fenomeno diabesità nel bambino
Danilo Fintini1, Marco Cappa2
1
U.O.C. di Medicina Cardiorespiratoria e dello Sport,
Dipartimento Medico Chirurgico di Cardiologia Pediatrica
2
U.O.C. Endocrinologia e Diabetologia, Dipartimento
Pediatrico Universitario Ospedaliero
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma
Bibliografia
1. Ogden CL, Flegal KM, Carroll MD, Johnson CL. Prevalence
and trends in overweight among U.S. children and adolescents, 1999-2000. JAMA 2002;288:1728-32.
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22
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Diabesità nell’anziano
Premessa
Il nostro paese è tra quelli maggiormente investito dal
processo di invecchiamento della popolazione e a livello
internazionale l’Italia si colloca tra i paesi più longevi. Da
diversi decenni si registra un aumento della popolazione
in età anziana e una contemporanea riduzione di quella
in età giovanile, parallelamente ad un aumentata sopravvivenza e al contenimento della fecondità ben al di sotto
del livello di sostituzione delle generazioni (2,1 figli per
donna). Al 1° gennaio del 2010 in Italia, il rapporto tra gli
anziani e i giovani ha assunto proporzioni notevoli raggiungendo quota 144 per cento.
Attualmente un italiano su cinque, è ultrasessantacinquenne ed anche i ‘grandi vecchi’ (dagli ottanta anni in
su) sono in continuo aumento rappresentando più del
5% del totale della popolazione. Oltre 14 milioni di persone superano la soglia dei 60 anni, pari al 24,5% della
popolazione; nel 2051 gli over 65 rappresenteranno il
33% dei residenti. Nel mondo, nel 2000 c’erano circa
600 milioni di persone con più di 60 anni, nel 2025 ce ne
saranno 1,2 miliardi, fino a raggiungere i 2 miliardi nel
2050.
questo è dovuto sostanzialmente all’alta speranza di vita
(con un’aspettativa media di vita di 77,6 anni per i maschi
e addirittura 83,2 per le femmine) ed al crollo della fecondità (1,3 figli ogni donna). Il processo di invecchiamento,
proseguirà in maniera progressiva giungendo nel 2050 a
deformare la struttura per età della popolazione, con una
quota di anziani (33,6% del totale della popolazione)
oltre due volte e mezzo la quota di giovani (solo il
12,7%); inoltre la crescita di popolazione anziana riguarderà soprattutto le fasce di età estreme (i cosiddetti grandi vecchi) che rappresentano il gruppo più fragile tra gli
anziani (Figura 1 e 2).
Figura 1. “La rivoluzione demografica in Italia”
Situazione attuale
La popolazione italiana continua ad invecchiare a ritmi
superiori rispetto a quelli degli altri paesi industrializzati e
Figura 2. Indice di vecchiaia nei paesi Ue Anno 2008 (valori percentuali)
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L’invecchiamento della popolazione è tipicamente
accompagnato da un incremento della morbilità e mortalità da malattie non trasmissibili, come quelle cardiovascolari, il diabete, la malattia di Alzheimer e altre patologie neurodegenerative, i tumori, le malattie polmonari
croniche ostruttive e i problemi muscoloscheletrici.
Malattie che, per la loro cronicità e il loro impatto sulla
qualità della vita, impongono un peso elevato in termini
di salute alla popolazione anziana, e in termini economici al sistema sanitario nazionale e mondiale. Secondo un
recente rapporto “Stato di salute e prestazioni sanitarie
nella popolazione anziana” del Ministero della Salute, la
popolazione anziana oggi in Italia determina il 37% dei
ricoveri ospedalieri ordinari e il 49% delle giornate di
degenza e dei relativi costi stimati.
Gran parte delle patologie riscontrabili con una certa frequenza nella popolazione anziana è strettamente connessa a fattori ambientali e stili di vita; l’obesità e le patologie metaboliche ad essa correlate ne sono un esempio
e anche nella popolazione anziana costituiscono spesso la
causa di un alterato stato di salute. In Italia, la quota di
popolazione in condizione di eccesso ponderale (obesa o
in sovrappeso) cresce al crescere dell’età: dal 18,5 per
cento tra i 18 e i 24 anni a oltre il 60 per cento tra i 55 e
i 74 anni, per diminuire lievemente nelle età più avanzate (56,7 per cento tra le persone di 75 anni e più). In tutte le fasce di età, le condizioni di sovrappeso e obesità
sono più diffuse tra gli uomini rispetto alle donne. Inoltre,
nella fascia di età 65-74 anni, circa il 15% degli uomini e
il 13% delle donne è diabetico, mentre il 9% degli uomini e il 6% delle donne è in una condizione border line
(intolleranza al glucosio); il 29% degli uomini e il 38%
delle donne è affetto da sindrome metabolica. Nelle persone con età uguale o superiore ai 75 anni, la prevalenza del diabete aumenta fino al 18,9% (Figura 3).
24
Figura 3. Prevalenza del diabete nelle diverse fasce di età
E in parte, la modalità di diffusione dell’eccesso ponderale e dei dismetabolismi, rispecchia la diffusione di stili di
vita scorretti: i “sedentari”, ovvero coloro che dichiarano
di non praticare uno sport né un’attività fisica, tra le persone più anziane sono il 51,9% della popolazione tra i
65-74 anni e il 72,8% della popolazione con 75 anni e
più.
In definitiva, se le possibilità di intervenire sulla predisposizione ereditaria all’invecchiamento sono limitate, di più
si può fare per migliorare i fattori esterni, le abitudini di
vita che pure influiscono sulla senescenza. Uno stile di vita
errato (alimentazione scorretta, eccesso ponderale,
sedentarietà, fumo, scarsa attività intellettuale, stress
eccessivo) accelera il processo di invecchiamento, aumenta il rischio di sviluppare patologie invalidanti, riduce
quindi l’aspettativa e la qualità di vita; uno stile di vita
ottimale, al contrario, (alimentazione equilibrata e varia,
normale peso corporeo, attività fisica regolare, impegno
intellettuale costante, astensione dal fumo, eustress)
aumenta l’aspettativa di vita, rallenta l’invecchiamento e
contribuisce a contrastare le malattie mantenendo lo stato di salute. Uno stile di vita corretto si associa quindi ad
una maggiore aspettativa di vita in buona salute (Healthy
Life Years).
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Conclusioni
La vita media negli ultimi 50 anni è notevolmente aumentata, tanto che alcuni scienziati hanno parlato di “broken
limits to life – expectancy”, sostenendo che non è più ipotizzabile l’esistenza di limiti fisiologici all’invecchiamento
umano. L’incremento dell’aspettativa di vita, non può
essere considerato di per se un aspetto positivo se non si
associa ad un concomitante miglioramento della qualità
di vita: l‘ideale sarebbe ridurre al massimo il divario tra i
due indicatori, aspettativa e qualità di vita, promuovendo
strategie che aiutino la popolazione ad invecchiare bene.
Dunque “Invecchiare” è un privilegio e una meta della
società, ma “Invecchiare bene” non è solo una questione
genetica, dipende anche dalle scelte di vita.
Bibliografia
http://www.epicentro.iss.it/igea/
http://www.cuore.iss.it/fattori/anziani.asp
http://noi-italia.istat.it
Call to action
• Incentivare misure preventive rivolte all’adozione di un
sano stile di vita e alla diagnosi precoce di patologie e
relative complicanze, per ridurre significativamente il
peso sociale ed economico delle patologie metaboliche
e cardio-vascolari legate alla senescenza
• Fronteggiare la “rivoluzione demografica” dei paesi in
via di sviluppo, mettendo in atto misure capaci di
affrontare le conseguenze legate all’incremento della
popolazione anziana, costituisce un atto doveroso e
urgente per le politiche internazionali
Raffaele Marfella, Giuseppe Paolisso
Dipartimento di Gerontologia, Geriatria e Malattie
del Metabolismo, Seconda Università Napoli
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Il peso economico della Diabesità
Premessa
I dati epidemiologici internazionali indicano come il diabete tipo 2 stia assumendo a livello mondiale un andamento tipicamente epidemico; l’età di insorgenza di questa malattia sembra progressivamente anticiparsi con un
conseguente maggior rischio di sviluppare complicanze
invalidanti in età lavorativa piuttosto che in età senile.
Il rischio di ammalarsi di diabete tipo 2 è in larga parte
determinato dall’obesità, ma è strettamente legato anche
alla familiarità, all’etnia, all’età e ad altri indicatori demografici e di classe socio-economica. In Italia, l’incremento
più rilevante del numero di casi di diabete è stato registrato negli anziani (età >65 anni), che attualmente rappresentano i 2/3 della popolazione diabetica italiana; in questa fascia di età la prevalenza è pari al 14%. L’età rappresenta il principale indicatore di “bisogno di assistenza”,
legame rafforzato dalla coopresenza di altri indicatori di
vulnerabilità sociale. Un basso livello di istruzione (indicatore di classe socio-economica) si associa spesso ad un
utilizzo improprio delle strutture sanitarie (per es. ricorso
al ricovero ospedaliero per condizioni cliniche altrimenti
trattabili a livello ambulatoriale), ma anche ad un maggior rischio di ammalarsi. L’appartenenza a classi sociali
più basse e meno istruite costituisce spesso un indicatore
di stili di vita scorretti (ad esempio ridotta attività fisica) e
di obesità e quindi indirettamente esprime un maggior
rischio di ammalarsi di diabete.
Situazione attuale
L’epidemia di diabete, considerando il numero di casi
noti progressivamente crescente e il numero di casi non
ancora emersi (si stima che in Italia, l’1.5-2% della popolazione sia affetta da diabete non noto) ha importanti e
invalidanti risvolti economici. In Italia attualmente, i diabetici sono responsabili di un consumo di risorse sanitarie (costi diretti) 2.5 volte superiore rispetto a quello delle
persone non diabetiche, di pari età e sesso. Ogni anno,
ci sono in Italia più di 70.000 ricoveri per diabete, dovuti principalmente a complicanze quali ictus cerebrale ed
infarto del miocardio, retinopatia diabetica, insufficienza
renale e amputazioni degli arti inferiori. In Italia vi è
un’ampia variabilità geografica nei ricoveri ospedalieri
per diabete, che incidono per oltre il 50% sui costi diretti della malattia, con Regioni più “virtuose” come il
26
Piemonte e Regioni che lo sono meno, quali Sicilia,
Puglia, ma anche Lombardia. Una persona affetta da diabete che incontri difficoltà a reperire prontamente sul
territorio le informazioni e un servizio di assistenza
necessari ad ottenere un buon compenso glicemico, tenderà più facilmente a ricorrere impropriamente al ricovero ospedaliero e a gravare quindi inappropriatamente sui
costi del Servizio Sanitario Nazionale.
Lo studio di popolazione di Torino ha studiato i costi sanitari riferibili alla popolazione diabetica e ha messo in evidenza come il costo diretto annuo di un paziente diabetico sia pari a € 3348.6, mentre nel non diabetico sia
mediamente pari a € 831.9; l’eccesso di costo, dopo
aggiustamento per età, sesso e i principali confondenti,
è pari a 2.5 volte nel diabetico rispetto al non diabetico.
Tale eccesso (Tabella 1) è intorno a due volte per tutte le
voci di spesa esaminate. Oltre il 50% dei costi diretti è
attribuibile ai ricoveri ospedalieri. I diabetici hanno un
consumo di farmaci pari a 3 volte i non diabetici di pari
età e sesso, attribuibile alle comorbidità associate alla
malattia. Per quanto riguarda i farmaci, la quota principale del costo è imputabile al trattamento delle complicanze cardiovascolari. Tutte le categorie farmacologiche
tuttavia, mostrano un aumentato utilizzo nei diabetici
rispetto ai non diabetici, a sottolineare l’interessamento
multiorgano della malattia. Nei 10 anni dell’Osservatorio
ARNO-Diabete, è emerso come solo il 18% del costo dei
farmaci sia attribuibile ai farmaci antidiabetici e come
questa proporzione sia sostanzialmente rimasta invariata
nel corso del tempo, mentre il consumo di farmaci ed il
relativo costo sia raddoppiato nel corso del tempo, sottolineando come l’incremento globale della spesa sia impuTabella 1. Costi diretti del diabetico e del non diabetico,
studio di popolazione di Torino, anno 2003
Diabetici
Non diabetici
Costo per persona/anno (€)
Costo per persona/anno (€)
1909.8
496.1
2.3 (2.2-2.4)
Pronto Soccorso
30.9
16.5
1.7 (1.6-1.7)
Visite ambulatoriali
418.2
135.9
2.1 (2.0-2.1)
Farmaci
831.0
183.0
2.7 (2.7-2.8)
Strisce reattive
158.7
0.4
Ricoveri ospedalieri
RR (aggiustato
per età e sesso)
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tabile alle comorbilità associate al diabete, piuttosto che
al controllo dell’iperglicemia. Infine non bisogna dimenticare il costo del trattamento delle complicanze (macroangiopatia, retinopatia, nefropatia e neuropatia) che
risulta particolarmente elevato.
Gli interventi sullo stile di vita effettuati nell’ambito della
realtà assistenziale italiana hanno evidenziato come in diabetici tipo 2 un incremento dei livelli di attività fisica fino a
un dispendio di 10 METs*-ora/settimana (2 chilometri/die
a piedi, 50 minuti/die in bicicletta 6 giorni su 7) consenta
un’importante riduzione dei costi diretti, oltre a evidenti
benefici clinici. La riduzione maggiore si ottiene quando il
dispendio energetico si aggira intorno a 25-35 METsora/settimana (6-7 chilometri/die a piedi, 120 minuti/die in
bicicletta 6 giorni su 7). Prendendo come riferimento i dati
di spesa sanitaria del 1998, si stima che una riduzione di
spesa del 20% per ciascun paziente diabetico grazie a
questo tipo di intervento, porterebbe a un risparmio
annuale superiore a 10 milioni di euro ( Figura 1).
Figura 1. Effetti dell’intervento sui costi del Servizio
Sanitario Nazionale (SSN)
€/pro capite/anno
p<0.05 p<0.05
0
1-10
11-20
21-30
31-40
> 40
Farmaci
+ 425
+ 223
- 212
- 642
- 715
- 627
Counselling
55
55
55
55
55
55
Altre spese SSN
78
-63
-155
- 375
- 692
- 915
Bilancio a 2
anni
558
215
-312
-962
- 1352
- 1487
Spesa al basale
2839
2967
2669
2699
2938
2951
Conclusioni
Oggi in Italia il diabete è responsabile del 10-15% dei
costi dell’assistenza sanitaria; rappresenta indiscutibilmente una malattia cronica ad elevato impatto sociale
che si avvia ad essere sempre più difficile da sostenere per
la comunità, in assenza di un’efficace prevenzione. Le
disuguaglianze sociali agiscono fortemente sul rischio di
contrarre il diabete e sulla capacità di utilizzare le risorse
sanitarie correttamente: la prevalenza di diabete è infatti
più elevata nelle donne e nelle classi sociali più basse,
dato evidente in tutte le classi di età. L’attività di prevenzione, attraverso oculate strategie di screening e interventi volti alla modifica dello stile di vita, dovrebbe essere
rivolta soprattutto a questa fascia della popolazione.
Call To Actions
• Promuovere gli interventi di prevenzione primaria del
diabete di tipo 2, con la modifica degli stile di vita, perché sono efficaci ed economicamente vantaggiosi
• Promuovere l’uso dell’attività fisica come strumento
terapeutico nel diabete di tipo 2 per ridurre i costi
diretti ed indiretti della patologia
• Rivolgere gli interventi di modifica di stili di vita alle
classi sociali con più basso livello socio-culturale e economico
Graziella Bruno
Dipartimento di Medicina Interna,
Università di Torino
*un MET è l’unità di misura del metabolismo e, convenzionalmente,
corrisponde al consumo di 3,5 ml di Ossigeno per chilogrammo di peso
corporeo per minuto [3,5 mlO2(kg*min)-1]
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2. Da Elliot Proctor
Joslin ai giorni nostri:
l’importanza dell’attività motoria e della
gestione multidisciplinare del diabete
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Elliott Proctor Joslin (6
Giugno 1869 - 28 Gennaio
1962) è stato il primo medico
negli Stati Uniti a specializzarsi
nella cura del diabete ed è il
fondatore dell’odierno rinomato
“Joslin
Diabetes
Centre”. Anni di ricerca dedicati alla malattia diabetica e
alla più appropriata modalità
di gestione, gli hanno conferito il titolo di “padre del diabete”. A lui in particolare spetta
l’importante intuizione di rappresentare la terapia ottimale
del diabete mellito con la parola di origine russa “troika”,
definita graficamente da un
carro trascinato da tre cavalli,
per esprimere la sua filosofia di cura della malattia diabetica: dieta, esercizio fisico e insulina sono essenziali per
vincere il diabete.
EPJ Nasce a Oxford, Massachusetts nel 1869 e studia
presso la Leicester Academy, lo Yale College e la Harvard
Medical School. Joslin inizia a dedicarsi al diabete quando frequenta il college di Yale e alla zia viene diagnosticata la malattia, allora sconosciuta e considerata senza alcuna cura e poca speranza. Segue studi approfonditi mentre frequenta l’Harvard Medical School e vince il premio
Società Boylston per il lavoro di ricerca, in seguito pubblicato come il libro “La patologia del diabete mellito”. La
sua formazione post-laurea si realizza al Massachusetts
General Hospital, collabora con ricercatori tedeschi e
austriaci, impegnati nello studio del metabolismo, quindi
inizia la sua pratica medica privatamente a Boston nel
1898. Nel 1908, collaborando con il fisiologo Francesco
G. Benedetto, Joslin effettua studi approfonditi sull’equilibrio glico-metabolico e nel 1916 pubblica la sua monografia “Il trattamento del diabete mellito”, ove sottolinea
l’evidenza di una significativa riduzione della mortalità nei
pazienti diabetici che seguivano un programma terapeutico intensivo, basato sulla combinazione di dieta ed esercizio fisico; questo manuale vanta più di 10 edizioni e
definisce negli anni il dottor Joslin leader mondiale nella
cura del diabete. Due anni più tardi, il Joslin Diabetes
30
Center pubblica il primo manuale per la cura del diabete,
per il medico e il paziente, il “The Joslin Guide to
Diabetes”, un best seller che viene ancora oggi pubblicato. Quando nel 1922 viene scoperta l’insulina, Joslin affina la sua attività di diabetologo e fa dell’associazione dieta, esercizio fisico, cura del piede e giusto dosaggio di
insulina, il capisaldo della modalità di gestione della
malattia diabetica.
Al Dr. Joslin spettano numerosi primati:
– La solida convinzione di considerare il buon controllo glicemico, realizzato attraverso una dieta
equilibrata, la pratica di attività fisica e la giusta
regolazione della terapia insulinica, l’unico modo
per prevenire le complicanze della malattia diabetica.
Questo approccio è stato dibattuto per decenni dagli
endocrinologi e altri scienziati fino a quando, 30 anni
dopo la sua morte, non è stato convalidato dai risultati di uno studio durato circa 10 anni, “The Diabetes
Control and Complications Trial Report”, pubblicato
nel prestigioso New England Journal of Medicine. Lo
studio ha dimostrato chiaramente la veridicità di ciò
che Joslin sosteneva nei decenni precedenti:
l’insorgenza delle complicanze del diabete può essere
ritardata solo da uno stretto controllo glicemico.
– Considerare e denunciare la diffusione del diabete come un grave problema di sanità pubblica.
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, dichiarò al
Surgeon General dello US Public Health Service che il
diabete rappresentava un’epidemia e propose al
governo del Massachusetts di autorizzare lo svolgimento di uno studio nella sua città natale, Oxford, che
potesse approfondire alcuni aspetti della malattia. Lo
studio fu avviato nel 1946 e fu portato avanti nei successivi 20 anni. I risultati confermarono i timori di
Joslin, secondo cui l’incidenza del diabete negli Stati
Uniti stava assumendo proporzioni epidemiche e il diabete doveva pertanto essere considerato un problema
di sanità pubblica.
– Sostenere l’importanza dell’insegnare ai pazienti
di “prendersi cura del proprio diabete”, un approccio che oggi viene indicato con la sigla “DSME”
(Diabetes Self-Management Education) e che necessariamente deve prevedere un intervento multidisciplinare (Figura 1).
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Figura 1.
Education: The Key to Managing Your Diabetes
Good diabetes management starts with learning skills you can
use to make good food choices, increase your physical activity
in an appropriate way and monitor your blood glucose level.
Poiché il diabete è presente 24 ore su 24, 7 giorni a settimana, Joslin sosteneva che solo un percorso educativo
personalizzato poteva garantire l’acquisizione di conoscenze e strumenti e dell’abilità di gestire il diabete in piena autonomia, giorno per giorno. La buona gestione del
diabete inizia con l’apprendimento di competenze e abilità che permettano di seguire buone scelte alimentari,
aumentare i livelli di attività fisica e controllare adeguatamente i livelli di glicemia.
Figure professionali che affiancano il diabetologo nel
team proposto da Joslin
Infermieri educatori
in Diabetologia
Assistono il paziente attraverso lo sviluppo e
il continuo aggiornamento, di un programma educativo individualizzato di auto-gestione del diabete. In particolare educano il
paziente a:
- monitorare e gestire la glicemia in condizioni fisiologiche e patologiche
- gestire il diabete durante viaggi (cambi di
clima, fusi orari), riconoscere e trattare
alterazioni significative della glicemie
- affrontare un programma di trattamento
intensivo del diabete e utilizzare nuove
tecnologie
Nutrizionisti
Eseguono consulenze individuali ed interventi educativi di gruppo per promuovere, attraverso l’acquisizione di importanti competenze, comportamenti alimentari salutari. I
Nutrizionisti educatori affrontano con il
paziente importanti argomenti: la sfida del
controllo del peso, la modifica delle scelte alimentari in base alla storia clinica, le lineeguida più aggiornate sulla corretta alimentazione nel diabete
Laureati in scienze
motorie
Preparati a sviluppare e progettare programmi di esercizio rivolti al miglioramento dello
stato di salute, aiutano il paziente a definire
programmi di allenamento idonei a realizzare obiettivi di peso e di miglioramento dello
stato di allenamento. Istruiscono il paziente
su come gestire dieta, farmaci ed esercizio
fisco, al fine di ottimizzare il controllo glicemico
Principi del percorso educativo sostenuto da Joslin
1
The person with diabetes is the center of her/his healthcare team.
2
People living with diabetes make complex self-care decisions
everyday.
3
Family and other support systems strongly influence diabetes
self-care.
4
People with diabetes learn ideas and concepts that they perceive
as important.
5
Learning occurs when the individuals are engaged.
6
Learning is a process that requires reinforcement and flexibility.
7
People living with diabetes make complex self-care decisions
everyday.
Per realizzare questo obiettivo, ha sempre collaborato con
più figure professionali: infermieri educatori, chirurghi e
podologi (per la cura degli arti e del piede), patologi (per
la descrizione di complicanze) e ostetriche (per la valutazione del rischio di danno fetale in gravidanza). Non a
caso, ad oggi il Joslin Diabetes Center si avvale di un team
di esperti costituito da nutrizionisti, infermieri educatori e
specialisti in attività motoria che lavorano insieme secondo le dinamiche di un team diabetologico, per garantire e
coordinare un corretto apprendimento del paziente.
Pierpaolo De Feo, Cristina Fatone
C.U.R.I.A.MO.
Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale
Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia
Bibliografia:
www.joslin.org
Joslin’s Diabetes Mellitus, 14th Edition. (Dr. Elliott P. Joslin
wrote the first edition of the textbook in 1916, this new edition,
edited by C. Ronald Kahn, MD; Gordon Weir, MD; George King,
MD; Alan Jacobson, MD; Robert Smith, MD and Alan Moses,
MD, has been thoroughly revised and updated by over 120 noted experts from Joslin Diabetes Center and other renowned
institutions around the world).
Joslin’s Diabetes Deskbook - A Guide for Primary Care
Providers, 2nd Edition.
Joslin’s Clinical Guidelines for Diabetes – Pocket Edition.
31
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La Triade Terapeutica:
“Attività Motoria, Alimentazione e Farmaci”
a) Il ruolo dell'attività motoria
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Attività fisica: l’importanza clinica e sociale
della sedentarietà e del movimento
I livelli di attività fisica nella popolazione Italiana
Premessa
Lo studio della pratica di attività motoria sta diventando
un argomento di estremo interesse per una schiera sempre più ampia di professionisti e sta finalmente assumendo un livello adeguato all’importanza sociale e culturale
di questo fenomeno e al suo peso economico nella società italiana.
Negli ultimi anni si è iniziato a studiare il “sistema sportivo” del nostro paese, nei suoi aspetti quantitativi e qualitativi (le modalità della pratica, le prestazioni tecnicoagonistiche individuali e di squadra, gli operatori, le
società sportive, le federazioni e gli enti, le normative e i
regolamenti, gli impianti, le risorse, i mezzi di comunicazione), per riuscire a mettere insieme tutti i tasselli fondamentali di questo sistema e verificarne la bontà. Il
“sistema sport”, è ormai opinione diffusa, può essere
considerato lo specchio dello sviluppo stesso di un paese:
non a caso tutti i paesi, da quelli sviluppati a quelli in via
di sviluppo, indipendentemente dalla loro struttura politico-economica, destinano sempre più risorse allo sviluppo della pratica sportiva e dell’attività fisica.
Situazione attuale
Le indagini multiscopo dell’Istat, che vengono ripetute
ad intervalli di tempo regolari, hanno lo scopo non solo
di verificare la bontà o meno delle politiche generali in
vari settori (e in particolare in quello “dell’attività fisica”),
ma anche, e soprattutto, di coglierne le modifiche strutturali e con esse l’emergere di nuove tendenze e nuovi
comportamenti di cui tenere debito conto per le politiche
future. “I cittadini e il tempo libero” è un’indagine che
viene ripetuta ogni cinque anni, ma ulteriormente
ampliata da studi di settore e nel territorio, ai quali spetta il compito di approfondire l’analisi su aspetti specifici;
“Aspetti della vita quotidiana” analizza ogni anno molteplici aspetti della quotidianità delle famiglie italiane cercando di approfondire le modalità con cui vive la popolazione italiana.
Il quadro della popolazione italiana agli inizi del terzo
millennio, che emerge dai dati pubblicati dall’Istat nel
2006 tratti dall’indagine Multiscopo Istat “I cittadini e il
tempo libero” del 2006, è quello di un Paese diviso in
3 parti (Figura1): il 30,2% per cento pratica sport con
continuità o saltuariamente, un altro 28,4% per cento
pratica solo attività fisica, mentre gli altri sono del tutto
sedentari (41%). In particolare, sono circa 17 milioni 170
mila le persone che dichiarano di praticare uno o più
sport: il 20,1% lo fa con continuità, il 10,1% saltuariamente. 16 milioni 120 mila persone, pur non praticando
uno sport, svolgono un’attività fisica come fare passeggiate di almeno 2 km, nuotare, andare in bicicletta o
altro. I sedentari, ovvero coloro che dichiarano di non
praticare sport né attività fisica nel tempo libero, sono
oltre 23 milioni e 300 mila. Nel 2009 con “Aspetti della
vita quotidiana”, i dati cambiano di poco, il 21,5% della
popolazione pratica uno o più sport con continuità, il
9,6% in modo saltuario. Nel complesso la pratica sportiva ha interessato il 31,1 per cento della popolazione di 3
anni e più. Le persone che, pur non praticando
un’attività sportiva, hanno dichiarato di svolgere qualche
attività fisica (come fare passeggiate per almeno due chilometri, nuotare, andare in bicicletta o altro) sono il 27,7
per cento della popolazione. I sedentari, cioè coloro che
non svolgono sport né attività fisica, sono il 40,6%,
quota che sale al 44,8% fra le donne e si attesta al
Figura 1. Italia divisa in 3 parti
2006 “Cittadini e tempo libero”:
30,2% della popolazione pratica
sport con continuità o saltuariamente
28,4% della popolazione pratica
solo attività fisica
41% della popolazione è sedentaria
2009 “Aspetti della vita quotidiana”:
31,1% della popolazione pratica
sport
27,7% della popolazione pratica
solo attività fisica
40,6% della popolazione è sedentaria
33
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36,1% fra gli uomini. I dati di tendenza (disponibili dal
1982 solo per la pratica sportiva continuativa e per la
popolazione di 6 anni e più) evidenziano che dopo il calo
della pratica registrato tra il 1988 e il 1995, quando la
quota di sportivi continuativi è passata dal 23% al 18%,
i livelli di partecipazione hanno ripreso a salire. Dal 2003
la quota di popolazione di 6 anni e più che dichiara di
praticare sport con continuità risulta sostanzialmente stabile. Rispetto al 2007 si registra un incremento della
quota di persone che praticano sport in modo continuativo (dal 20,6 per cento al 21,6 per cento), diminuiscono
invece le persone che svolgono solo qualche attività fisica (dal 29,6 per cento al 27,7 per cento). I livelli di pratica sportiva sono molto più alti fra gli uomini: il 25,8 per
cento di essi, infatti, pratica sport con continuità e il 12,0
per cento pratica saltuariamente, mentre fra le donne le
quote sono decisamente più contenute (17,6 e 7,5 per
cento). Tra le donne, però, risulta maggiore la quota di
coloro che svolgono qualche attività fisica (il 29,2 per
cento rispetto al 26,1 per cento degli uomini). Nel complesso le donne risultano più sedentarie degli uomini: il
44,9 per cento di esse, infatti, ha dichiarato di non praticare sport né attività fisica nel tempo libero a fronte del
35,3 per cento degli uomini. Tra il 1998 e il 2009 aumenta la pratica sportiva in età infantile-adolescenziale: la
quota di bambini e i ragazzi tra i 3 e i 17 anni che pratica sport del tempo libero (sia in modo continuativo che
saltuario) è passata infatti dal 48,3% al 55,2%. Il 46,3%
fa sport in modo continuativo e l’8,9% in modo saltuario. La quota di praticanti è ancora maggiore tra i maschi
(60,5% contro il 49,7% delle femmine), ma tra i piccoli
di 3-5 anni si riscontra una prevalenza femminile (25,1%
contro il 21,6% dei maschi). Le quote più alte di sportivi
continuativi si riscontrano nella classe d’età tra i 6 e i 17
anni e in particolare tra gli 11 ed i 14 anni (più del 56 per
cento). Praticare sport saltuariamente è invece maggiormente diffuso tra i 15 e i 34 anni. All’aumentare dell’età
diminuisce la quota di persone che praticano sport, sia in
modo continuativo che saltuario, e aumenta quella di
coloro che svolgono qualche attività fisica. Infine, le
quote maggiori di sedentari si riscontrano fra le persone
anziane, in particolare tra le donne. Oltre il 76 per cento
delle donne con 65 anni e più, infatti, si dichiara sedentaria.
34
L’analisi territoriale mostra come la pratica sportiva diminuisca man mano che si scende da Nord verso Sud
(Figura 2). Oltre il 24 per cento della popolazione residente nel Nord dichiara di praticare sport con continuità,
a fronte del 16 per cento circa della popolazione residente nel Sud e nelle Isole. Nel Nord del Paese la quota di
sportivi saltuari supera il 10 per cento, mentre nel Sud
scende al 7,3 per cento. Anche per quanto riguarda
l’attività fisica le quote maggiori di praticanti si riscontrano al Nord (oltre il 29 per cento), mentre nel Sud e nelle
Isole il valore scende sotto il 25 per cento. La divergenza
tra nord e sud era già stata denunciata nel 2006, quando si evidenziava che nel Mezzogiorno, oltre il 50% della
popolazione non pratica né sport né attività fisica.
Riassumendo, nel 2009 più di 23 milioni di persone
dichiarano di non praticare sport o attività fisica nel
tempo libero, pari al 40% della popolazione di 3 anni e
più. Se si escludono i piccolissimi di 3-5 anni, a tutte le
età le donne sono più sedentarie degli uomini. Le differenze di genere diminuiscono leggermente tra i 20 e i 54
anni (per effetto della maggiore attività fisica praticata
dalle donne) per aumentare di nuovo tra la popolazione
con più di 54 anni: in particolare tra gli ultrasettantacinquenni si dichiarano sedentari il 65,8% degli uomini,
mentre tra le donne la quota sale all’81,2%. La quota di
sedentari è molto bassa fra i più giovani, ma aumenta
Figura 2. Analisi territoriale dell’Italia per lo svolgimento di attività motoria
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significativamente al crescere dell’età: a partire dai 65
anni più della metà della popolazione si dichiara sedentaria. I più sedentari sono gli anziani con oltre 75 anni
fra i quali oltre il 75% dichiara di non praticare sport né
attività fisica nel tempo libero. Le differenze territoriali
risultano molto forti: i più sedentari sono maggiormente concentrati al Sud e nelle Isole, dove oltre la metà
della popolazione di 3 anni e più non pratica sport né
attività fisica nel tempo libero, mentre nel Nord la quota
scende sotto il 33%. Le quote maggiori di sedentari si
riscontrano tra le persone che possiedono la licenza elementare (54% rispetto al 24,5% dei laureati), tra le
casalinghe (58,5%) e i ritirati dal lavoro (52,8%). Tra il
2000 e il 2006 la sedentarietà aumenta in particolare tra
i ragazzi dagli 11 ai 14 anni e tra i giovani di 25-34 anni
soprattutto per effetto della diminuzione, in queste
fasce di età, delle persone che praticano solo qualche
attività fisica.
Call to action
• Individuare le aree geografiche e le fasce di popolazione contraddistinte da stili di vita non salutari, al fine di
formulare specifici e settoriali piani di intervento
• Promuovere programmi di educazione ad uno stile di
vita attivo in età infantile e adolescenziale, con lo
scopo di promuovere l’apprendimento di comportamenti salutari che possano mantenersi in età adulta
• Progettare e attuare interventi di politiche socio-sanitarie che contrastino la diffusione dei comportamenti
a rischio oggi più diffusi (consumo di alcool, sigarette
e cibi ipercalorici)
Cristina Fatone
C.U.R.I.A.MO.
Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale
Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia
Conclusioni
Dalle varie analisi condotte sulle abitudini della popolazione italiana, emerge un aumento dell’inattività fisica
che, negli ultimi anni, ha interessato un po’ tutte le fasce
di età. La maggioranza della popolazione combina insieme stili di vita salutari e non salutari con modalità diverse. Tuttavia esiste un segmento di popolazione che pratica tutti i comportamenti non salutari su tutti i piani: è
inattivo, fuma, fa uso eccessivo di alcolici, ha
un’alimentazione scorretta. Le politiche socio-sanitarie
dovrebbero contrastare la diffusione dei comportamenti
a rischio, soprattutto nei confronti dei giovani, tra cui
sono sempre più visibili i segnali dell’aumento di stili di
vita non salutari (abitudini alimentari poco sane, inattività fisica, obesità, abitudine al fumo e al consumo di alcool). Ciò è tanto più rilevante poiché i comportamenti
legati alla salute che si apprendono in età giovanile creano le premesse per uno stile di vita che si mantiene anche
in età adulta. Al contrario, l’adozione di comportamenti
corretti sin da giovani o addirittura in età preadolescenziale crea i presupposti per un benessere che si mantiene
nel tempo.
Bibiliografia
La vita quotidiana nel 2009 Indagine multiscopo annuale sulle
famiglie “Aspetti della vita quotidiana” Anno 2009.
“I cittadini e il tempo libero” Indagine multiscopo ISTAT 2006.
“Lo sport che cambia” I comportamenti emergenti e le nuove
tendenze della pratica sportiva in Italia Argomenti n. 29 –
2005.
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Il ruolo dell’attività fisica
Premessa
Il significato attribuito al termine “Attività fisica” può non
essere univoco, ma differentemente interpretato ed esplicitato da un atleta di alto livello agonistico rispetto a chi
dedica alla sua pratica solo il proprio tempo libero, o da
chi se ne interessa come dirigente o istruttore specializzato. Indipendentemente dalla finalità con cui viene svolta,
sia essa ludica, formativa, agonistica, igienico-preventiva
o terapeutica, l’attività motoria ha però un unico e indiscutibile significato medico-biologico: costituisce uno dei
mezzi più validi per garantire all’organismo uno sviluppo
ottimale nella fase di accrescimento, il modo più semplice di rallentare i processi di natura fisica e mentale legati
inevitabilmente alla senescenza, un efficace strumento
preventivo e terapeutico, nella gestione di tante patologie. L’esercizio fisico costituisce pertanto un’esigenza biologica fondamentale dell’uomo, che ad oggi, e soprattutto nelle società industrializzate, non viene più rispettata.
Situazione Attuale
Il culto delle attività motorie ha una storia millenaria e
l’esercizio fisico, al di là della finalità ludica o agonistica
con cui viene svolta, costituisce una delle pratiche terapeutiche più antiche di cui si abbia notizia. Già nel IV
secolo a.C. Icco da Taranto, medico greco e antico ginnasiarca, famoso atleta vincitore del pentathlon
nella 77a Olimpiade (472 a.C.), ritenuto oggi fondatore
della ginnastica medica, sponsorizzava la ginnastica come
“mezzo di educazione del fisico e della personalità dell’individuo”. E nei secoli a seguire, numerosi studi, evidenze ed esperienze si sono susseguite e potenziate, permettendo di definire concretamente “la pratica di attività
motoria” come elemento insostituibile ed essenziale nel
preservare lo stato di salute. Le indicazioni generiche e
intuitive del passato si sono così tradotte in linee guida
scientificamente validate: oggi, l‘American College of
Sport Medicin e l’American Heart Association raccomandano alla popolazione sana, di praticare settimanalmente
almeno 150 minuti di attività fisica aerobica di intensità
moderata o almeno 60 minuti di attività fisica aerobica di
intensità elevata, a cui associare 2 sedute settimanali di
attività di forza (o contro resistenza), per aumentare la
forza muscolare. In termini pratici tali indicazioni si tradu36
cono nella necessità di dedicare ogni settimana 2 ore e
mezzo (o 1 ora se l’impegno è più intenso) del proprio
tempo settimanale, allo svolgimento di attività aerobiche
(anche dette di resistenza) come il podismo, la marcia, il
ciclismo (bici o ciclette), la ginnastica, il nuoto, la danza,
senza per forza ricorrere a centri e strutture organizzati o
disporre di attrezzature sofisticate. Ma significa anche
sfruttare le occasioni offerte dalla vita quotidiana e incrementare il proprio livello di movimento durante lo svolgimento di attività domestiche, riprendendo a fare certi
lavori “manualmente”, usando i mezzi più “antichi” per
spostarsi (le scale e non l’ascensore, i piedi o la bicicletta
e non l’auto per percorrere brevi distanze, il cane per
andare a spasso). Per rispettare le indicazioni e mantenere un adeguato e salutare livello di attività fisica, non è
necessario quindi realizzare una prestazione da atleti professionisti, ma praticare un regolare e quotidiano (o quasi) incremento dei livelli di attività fisica, privilegiando il
più possibile gli spazi pubblici, nella consapevolezza che
queste attività costituiscono un’opportunità, sempre a
portata di mano, di prevenire malattie croniche e di difendere il proprio stato di salute.
Purtroppo, nonostante le forti evidenze scientifiche, in
tutti i paesi industrializzati, la crescente diffusione del
benessere economico e della meccanizzazione, hanno
determinato una progressiva tendenza a ridurre il tempo
dedicato al movimento. Le motivazioni sono molteplici, di
ordine pratico, sociale e ambientale, ma nella maggior
parte dei casi si rileva un irrazionale impiego del tempo
libero, una cattiva volontà personale e spesso, soprattutto nelle fasce di popolazione di età media, un atteggiamento rinunciatario nei confronti dell’attività sportiva,
giudicata attributo e privilegio dell’età giovanile. Nulla di
più sbagliato, sia sul piano biologico che clinico, come
dimostrano gli ormai numerosi e approfonditi studi sulla
“malattia ipocinetica”, una sindrome definita da Kraus e
Raab neI 1961, determinata da mancato o insufficiente
esercizio e caratterizzata da molteplici quadri morbosi
che riguardano tutte le fasce di età.
Conclusioni
Nonostante numerose evidenze scientifiche provino che
uno stile di vita attivo è condizione essenziale per un pieno benessere psico-fisico, ad oggi si evidenzia la prevalen-
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te diffusione di uno stile di vita caratterizzato da una
completa inattività o forte riduzione dei livelli di movimento. L’adozione di uno stile di vita fisicamente attivo è
necessariamente una scelta consapevole e deve pertanto
essere sostenuta da interventi di natura educativa, sociale e ambientale.
Call to action
• Realizzare campagne informative ed educative che
incentivino scelte consapevoli e che creino un clima
sociale e culturale favorevole all’acquisizione di corretti stili di vita
• Migliorare le conoscenze degli operatori sanitari sui
benefici dell’attività motoria, stimolando la loro capacità di informare e promuovere stili di vita attivi
1.
Una regolare attività fisica è necessaria per ottenere un
buono stato di salute psico-fisico e migliorare la qualità di vita.
2.
La sedentarietà e una cattiva alimentazione predispongono l’insorgenza delle moderne malattie croniche:
obesità e diabete di tipo 2.
3.
La crescita vertiginosa di obesità e diabete nell’adulto
e nel bambino devono essere contrastate, in prima
istanza, con la modifica degli stili di vita:
alimentazione e attività fisica.
4.
Un sano stile di vita (attività fisica regolare e alimentazione corretta), è in grado di prevenire o ritardare
l’insorgenza del diabete di tipo 2 ed è un mezzo terapeutico efficace al pari della terapia farmacologica.
Nelle persone con diabete di tipo 1 contribuisce, unitamente alla terapia farmacologica, ad un consapevole
miglioramento nella gestione del controllo metabolico, del benessere psico-fisico e dell’autostima.
5.
Un sano stile di vita prevede l’accumulo giornaliero di
almeno 30 minuti di attività fisica di intensità lieve/moderata.
6.
Per ottenere maggiori benefici è necessario un impegno complessivo di 60 minuti in attività fisica ad intensità moderata/intensa nell’arco della giornata.
7.
Per intraprendere un programma di esercizio sicuro ed
efficace, sono fondamentali: una valutazione preliminare da parte del medico, la prescrizione e la supervisione dell’esercizio da parte dell’esperto in attività
motoria.
8.
Qualora non sussistano controindicazioni, è auspicabile integrare all’esercizio aerobico (ad es. cammino,
bicicletta, nuoto) l’esercizio di forza (esercizi con i pesi)
unitamente a esercizi per la flessibilità (ginnastica a
corpo libero).
9.
L’integrazione tra l’attività fisica nel tempo libero e
l’esercizio fisico supervisionato e controllato è la condizione ideale per ottenere i massimi benefici.
10.
Per trasformare questi principi in azioni è necessaria
l’interazione dei principali attori coinvolti nel processo:
istituzioni, medici, esperti dell’esercizio, associazioni di
persone con diabete ed educatori.
• Individuare modalità di riorganizzazione del territorio,
attuabili e facilmente proponibili alle amministrazioni
locali, che agevolino la messa in atto di scelte salutari
Cristina Fatone
C.U.R.I.A.MO.
Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale
Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia
L’ATTIVITÀ FISICA
È OVUNQUE TU SEI,
RICERCALA!
Una costante attività fisica
prolunga e migliora la qualità
della tua vita.
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L'attività fisica come modulatore metabolico
Premessa
L’esercizio fisico costituisce un importante modulatore
delle attività metaboliche dell’organismo. L’esercizio prolungato e costante, soprattutto quello aerobico – la camminata spedita della durata di almeno un’ora, ripetuta 34 volte la settimana- è in grado di modificare in maniera
specifica la struttura e la funzione delle cellule dei muscoli scheletrici coinvolti, con ripercussioni significative a
livello metabolico. Induce inoltre modificazioni biochimiche e molecolari in altri tessuti, determinando adattamenti funzionali a carico dell’intero organismo.
A tutt’oggi non si ha ancora una completa e dettagliata
conoscenza degli effetti dell’esercizio fisico a livello del
muscolo scheletrico e di altri tessuti, mentre risulta ormai
indiscutibile l’importanza degli adattamenti morfologici e
metabolici indotti dall’esercizio, nei processi fisiologici
(come la senescenza) e patologici (come nelle malattie
neuro-degenerative e malattie metaboliche croniche).
Situazione attuale
Tra le modificazioni più significative indotte dall’esercizio
fisico aerobico, la biogenesi mitocondriale, con un significativo incremento del numero dei mitocondri, rappresenta uno degli aspetti più importanti. E’ solo per semplificazione che si parlerà di “mitocondri” anziché di “network
mitocondriale” dal momento che all’interno della cellula
del muscolo scheletrico è possibile distinguere un network
mitocondriale sub-sarcolemma e uno intramiofibrillare. La
biogenesi mitocondriale può essere definita come la crescita e divisione di strutture mitocondriali pre-esistenti. I
mitocondri presentano un proprio DNA mitocondriale circolare, presente in copie, che contiene 37 geni. 13 geni
codificano proteine che sono subunità dei complessi I, III,
IV e V della catena di trasporto degli elettroni. 22 geni
codificano gli RNA transfer e 2 geni gli RNA ribosomiali. In
realtà la biogenesi mitocondriale richiede il coinvolgimento di circa 1000-1500 geni, il maggior numero, presenti
nel DNA nucleare e solo una piccola parte presenti nel
DNA mitocondriale. Pertanto, per una corretta biogenesi
mitocondriale è necessario un coordinamento tra
l’espressione dei geni nucleari e quelli mitocondriali. E’ evidente che si tratta di un processo complesso che può esse38
re influenzato da stimoli di natura diversa e che oggi è
possibile iniziare a comprendere. Tra i principali fattori
responsabili della regolazione della biogenesi mitocondriale abbiamo il PGC-1α che è stato scoperto dopo i fattori NRF (fattori respiratori nucleari) 1 e 2 e Tfam (fattore
di trascrizione mitocondriale A). Un aumento dell’espressione di PGC-1α nella cellula del muscolo scheletrico è sufficiente per indurre un aumento dei mitocondri e delle
fibre di tipo I (1,2). L’interazione di PGC-1α con NRF 1 e 2
influenza in modo significativo l’espressione genica. I siti di
legame di NRF1 e 2 sono localizzati sui promotori di molti
geni nucleari che codificano proteine mitocondriali come,
per esempio, il citocromo c e i componenti dei complessi
della catena di trasporto degli elettroni e il fattore di trascrizione mitocondriale A (Tfam). Sulla base delle evidenze scientifiche oggi disponibili è possibile affermare che
PGC-1α è responsabile di una coordinata attività di espressione genica sia a livello nucleare che mitocondriale, finalizzata alla biogenesi mitocondriale. Un altro fattore che
può influenzare l’attività di PGC- 1α è la p38 MAP chinasi (p38). La fosforilazione di p38 produce una significativa
attivazione di PGC-1α (3). Inoltre l’attività di PGC-1α può
anche essere regolata da una acetilazione reversibile. La
deacetilazione di PGC-1α da parte della sirtuina (SIRT1) è
responsabile di una selettiva espressione genica dimostrando che PGC-1α può influire sul controllo dell’espressione genica in modo specifico e distinto (4). Un altro
importante fattore coinvolto nelle modificazioni biochimiche indotte dall’esercizio fisico è rappresentato dalla
AMPK (AMP chinasi) che è un’enzima sensibile alle variazioni dello stato energetico della cellula e che viene attivato da un aumento del rapporto AMP:ATP. L’utilizzo di ATP
nella contrazione muscolare può alterare i normali rapporti ADP:ATP e AMP:ATP, ma è l’aumento di AMP che attiva
l’AMPK. L’AMPK è un’enzima eterotrimero costituito da
una subunità catalitica e da due subunità regolatrici β e γ.
Nella cellula del muscolo scheletrico sono espresse le isoforme α1 e α2 della subunità catalitica e l’isoforma α2 viene attivata, in modo significativo, dall’esercizio fisico (5).
L’attivazione della AMPK è poi responsabile di una aumentata attività di PGC-1α (6) dimostrando che questo enzima
è un altro importante fattore di regolazione della biogenesi mitocondriale quando il normale equilibrio energetico
nella cellula del muscolo scheletrico viene alterato. Nella
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Figura 1. Vie metaboliche coinvolte nella biogenesi mitocondriale (da:Jornayvaz F.R. and Shulman G.I, Essay Biochem.
Figura 2. Principali modificazioni metaboliche indotte
dall’esercizio fisico nella cellula del muscolo scheletrico
47, 69-84, 2010)
(da: Röckl K.S.C, Witezak C.A. and Goodyear L.J, IUBMB Life
60(3), 145-153, 2008)
Exercise Training/
Repeated Muscle Contraction
AMP:ATP
LKB1
Ca2+
Calmodulin
calcineurin
AMPK
CaMKS
p38MPK
ATF2
?
fiber type
transformation
Figura1 è rappresentato uno schema che mostra sinteticamente i mediatori e le vie metaboliche, che al momento,
sulla base delle più recenti evidenze scientifiche, risultano
coinvolti nella biogenesi mitocondriale.
Il processo che influenza la struttura del network mitocondriale è estremamente complesso e richiede la fine
integrità, strutturale e funzionale, di un sistema di apparati proteici, per veicolare in modo corretto le diverse proteine nei diversi comparti mitocondriali. L’aumento dei
mitocondri – indotto dall’esercizio fisico prolungato e
costante – determina un aumento dell’efficienza della
catena di trasporto degli elettroni e della capacità di sintesi dell’ATP della cellula muscolare, oltre ad un aumento
significativo della quantità di DNA mitocondriale.
L’esercizio fisico aerobico è responsabile anche di altre
significative modificazioni a livello della cellula del muscolo scheletrico, quali l’aumento dei trasportatori del glucosio (GLUT4) e la trasformazione di fibre di tipo II in fibre di
tipo I. Un quadro riassuntivo delle modificazioni metaboliche più significative che riguardano la cellula del muscolo scheletrico è riportato nella Figura 2.
L’esercizio fisico induce quindi un numero davvero elevato di modificazioni metaboliche, a livello del tessuto
muscolare ed extra-muscolare. Le tecniche di studio ad
oggi disponibili stanno ampliando in maniera significativa
MEF2
mitochondrial
biogenes
GLUT4
protein expression
la loro esplorazione, facendo emergere aspetti fino ad ora
sconosciuti. L’utilizzo ad esempio della risonanza magnetica nucleare con il 13C e 31P, ha consentito di valutare “in
vivo” la dinamica delle modificazioni metaboliche, con
una risoluzione di 1 millisecondo. Questo elevato livello di
risoluzione ha permesso di comprendere che molte modificazioni metaboliche esercizio-indotte (l’ultilizzo della
fosfocreatina, l’attivazione della glicogenolisi e della glicogenosintesi) avvengono nell’ordine di qualche millisecondo e non in decine di secondi come osservato con le
tecniche tradizionali (7). Questo significa che gli eventi a
carico delle fibre muscolari, quali: contrazione, rilassamento muscolare ed intervallo tra un evento contrattile e
quello successivo, possono ripetersi diverse volte nell’arco di un semplice secondo.
Conclusioni
Le evidenze scientifiche ad oggi disponibili suggeriscono
l’estrema complessità della dinamica dei diversi processi
metabolici legati all’esercizio fisico e la necessità di far
luce su aspetti ancora poco chiari e sconosciuti. Tuttavia,
nonostante queste criticità, è indicutibile il forte legame
tra una regolare mancanza di esercizio fisico (sedentarie39
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Figura 3. Effetto del PGC1α sulla infiammazione sistemica cronica (da: Christoph Handschin & Bruce M.Spiegelman, Nature,
454, 463-469, 2008)
Repression of
FOXO3 activity
Increased
vascularization
Increased ROS
detoxification
Transcription factor
Reduced systemic
inflammation
Increased mitochondrial
and metabolic gene
expression
Increased ‘exercise’
gene expression
Increased neuromuscolarjunction gene expression
Chronic exercise
Chronic systemic inflammation
Inactivity
tà) e una maggiore incidenza di malattie croniche moderne (Figura 3) e una significativa riduzione della qualità
vita. Un legame che ritrova le sue basi molecolari nel complesso ruolo svolto dal fattore PGC-1α (8).
Call to action
• Promuovere attività di ricerca che esplorino in maniera
sempre più specifica i complessi meccanismi alla base
della plasticità del muscolo scheletrico e del suo patrimonio mitocondriale
• Diffondere l’uso di metodiche non invasive, meno
costose e attendibili, per lo studio del tessuto muscolare “in vivo”, principale effettore dell’esercizio fisico a
livello dell’organismo
• Implementare l’attività di ricerca per quelle patologie,
oggi estremamente diffuse e invalidanti (diabete, insufficienza cardiaca, morbo di parkinson), che riconoscono nella disfunzione mitocondriale dei tessuti, il proprio meccanismo eziopatogenetico, con il fine di raffinare sempre più l’approccio terapeutico
Vilberto Stocchi
Dipartimento di Scienze Biomolecolari
Sezione di Scienze Motorie e della Salute,
Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”
40
Bibliografia
1. Jornayvaz, R.F. & Shulman, I.G. Regulation of mitochondrial
biogenesis. Essay Biochem. 47, 69-84, 2010.
2. Hood, A.D. Mechanisms of exercise-induced mitochondrial
biogenesis in skeletal muscle. Appl.Physiol.Nutr.Metab. 34,
465-472, 2009.
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Pagina 41
L'attività fisica e la qualità della vita
Situazione attuale
L’effetto dei livelli di attività fisica su diverse dimensioni
della qualità di vita è stato prevalentemente indagato in
popolazioni selezionate rappresentate da soggetti anziani o persone affette da condizioni severe, quali ad esempio patologie tumorali, scompenso cardiaco o broncopatia cronica ostruttiva. In queste condizioni, interventi personalizzati rivolti a promuovere l’attività fisica hanno
documentato un effetto positivo sia sul benessere fisico
che mentale. Nella popolazione generale, diversi studi
hanno evidenziato un impatto favorevole, anche se di
moderata entità, dell’attività fisica sulla percezione soggettiva di benessere e sulla funzionalità fisica. La sensazione di “sentirsi bene” è stata riportata in modo consistente e, rappresenta con tutta probabilità un effetto reale, mediato non solo dal miglioramento delle performance fisiche, ma anche da una riduzione dei livelli di stress e
di ansia e da un miglioramento della sintomatologia
depressiva. Questo effetto positivo è stato riscontrato sia
nelle persone che hanno perso peso, sia in quelle che non
sono dimagrite, ed è risultato tanto più evidente quanto
maggiore era la quantità di attività fisica settimanale svol-
Figura 1. Aspetti della qualità della vita e livelli di attività
fisica
Variazione media punteggio
Variazione dei punteggi del questionario SF-36 in relazione al livello
di attività fisica svolta da donne in post-menopausa
precedentemente sedentarie (Arch Intern Md 2009; 169:269-78).
Funzionalità fisica
16
Variazione media punteggio
Benessere psichico
16
12
12
8
8
4
4
*
*
0
0
-4
-4
Limitazione ruolo
per problemi fisici
16
*
Limitazione ruolo
per problemi emotivi
16
12
12
8
8
4
4
0
0
-4
-4
Variazione media punteggio
Uno stile di vita sedentario si associa ad un aumentato
rischio di numerose condizioni patologiche quali malattie
cardiovascolari, ipertensione, diabete di tipo 2, vari tipi di
tumore, osteoporosi, depressione e patologie osteo-articolari. I benefici legati ad un aumento dell’attività fisica
nel ridurre queste malattie croniche è stato più volte
documentato ed è evidente che l’impatto positivo su queste condizioni patologiche è di per sé sufficiente a determinare una migliore qualità di vita. In ambito sanitario,
quando si parla di qualità di vita ci si riferisce generalmente a quegli aspetti di funzionalità fisica, psicologica e
sociale che sono direttamente o indirettamente legati allo
stato di salute (“health related quality of life”) e quindi
potenzialmente modificabili migliorando i risultati della
cura. Numerosi studi mostrano che l’esercizio fisico produce benefici sulle diverse aree della qualità della vita, sia
attraverso la perdita di peso, sia per un impatto diretto
sulla percezione soggettiva dello stato di benessere.
ta (Figura 1). Un effetto favorevole dell’attività fisica sulla
sintomatologia depressiva è stato inoltre documentato
anche in bambini in sovrappeso e in soggetti anziani,
risultando quindi ampiamente indipendente dall’età.
Variazione media punteggio
Premessa
16
12
12
8
8
4
4
0
0
-4
-4
Salute generale
16
Relazioni sociali
16
Dolore fisico
*
Vitalità
16
*
12
12
*
8
*
8
4
4
0
0
-4
-4
Controllo
4KKW
8KKW
12KKW
*P<.05; . P<.01;
Controllo
4KKW
8KKW
12KKW
. P<.001
In molti studi è stato valutato anche l’impatto dell’esercizio fisico sull’autostima, considerata un importante indicatore di stabilità emotiva e di adattamento alle proprie
condizioni di vita, e quindi una componente del benessere psicologico. In generale, l’attività fisica si è dimostrata
in grado di modificare in senso positivo la percezione del
proprio fisico e della propria identità, sia negli adulti che
nei bambini.
41
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Un ulteriore aspetto indagato in rapporto ai livelli di attività fisica è rappresentato dalla qualità del sonno. Anche
in questo caso i dati sono suggestivi di un effetto positivo, sia sulla durata che sulla qualità del sonno.
Infine, numerosi dati indicano un effetto positivo dell’attività fisica sulla funzionalità sessuale maschile. Infatti,
studi condotti su soggetti con problemi della sfera sessuale hanno dimostrato che obesità e stile di vita sedentario
rappresentano importanti fattori di rischio, mentre svolgere attività fisica regolare si associa ad una riduzione della severità della disfunzione erettile.
Conclusioni
Tutti questi dati sottolineano come l’attività fisica possa
produrre effetti positivi su un ampio spettro di dimensioni della qualità di vita. Questi effetti, sommati a quelli già
ampiamente documentati sui fattori di rischio cardiovascolare, fanno dell’esercizio fisico una delle armi più
potenti nella prevenzione delle più importanti malattie
croniche e nel miglioramento del senso di benessere fisico e psicologico, sia nelle persone affette da condizioni
patologiche che in quelle sane e a tutte le fasce di età.
Call to action
• Sensibilizzare istituzioni e operatori sull’importanza del
benessere psicologico, quale determinante essenziale
della condizione di salute, così come definito
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
• Promuovere programmi di intervento dedicati alla difesa e alla cura di questo aspetto dello stato di salute,
soprattutto nei gruppi di popolazione a rischio (anziani
e malati cronici)
• Utilizzare strumenti standardizzati e convalidati, capaci
di esplorare in maniera oggettiva i diversi aspetti dello
stato di benessere psico-emotivo di un individuo,
soprattutto in ambito sanitario e in quelle realtà in cui
“l’esercizio fisico” viene usato come strumento preventivo e terapeutico
Antonio Nicolucci
Dipartimento di Farmacologia Clinica ed Epidemiologia,
Consorzio Mario Negri Sud
42
Bibliografia
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Pagina 43
L'esercizio fisico supervisionato e strutturato
L'esercizio fisico come strumento di prevenzione
del diabete mellito di tipo 2
Premessa
Gli studi che utilizzano l’esercizio fisico quale strumento
di prevenzione del diabete mellito sono limitati a soggetti con intolleranza ai carboidrati: mancano studi di intervento in soggetti con sola obesità o con altre patologie a
rischio di diabete. Nella maggior parte degli studi
l’intervento ha riguardato lo stile di vita combinando
l’esercizio fisico con la dieta; solo due studi, limitati alla
popolazione cinese, hanno esaminato gli effetti isolati
dell’esercizio fisico.
Situazione attuale
I primi studi di intervento sugli effetti dell’attività fisica
nella prevenzione del diabete mellito risalgono agli inizi
degli anni 90 (1-3). Caratteristica comune di questi primi
tre studi era la mancanza di un disegno sperimentale randomizzato e controllato. Malgrado questo difetto del
disegno sperimentale tutti e tre gli studi hanno raggiunto
simili conclusioni. Esemplificativi sono a riguardo i risultati del Malmo Study (1): l’intervento (dieta ed attività fisica) migliorava significativamente la VO2max e riduceva il
BMI ed l’incidenza di nuovi casi di diabete di circa il 60%
in 181 uomini con intolleranza ai carboidrati nel corso dei
sei anni dello studio (1).
A partire dal Da Qing Study (4) del 1997 sono stati eseguiti diversi studi randomizzati e controllati sull’effetto
che una modifica dello stile di vita che includeva
l’esercizio fisico ha sull'incidenza di diabete in soggetti
con intolleranza ai carboidrati. Il secondo studio di intervento di questo tipo è il Finnish diabetes prevention study
eseguito in 522 uomini e donne finlandesi con intolleranza ai carboidrati e pubblicato nel 2001 (5). Il 3° studio è
quello con la casistica più numerosa: pubblicato nel 2002,
il Diabetes Prevention Program (DPP) (6), è un trial clinico
multicentrico (3234 partecipanti in 27 centri negli USA)
che aveva l’obiettivo di determinare se un intervento farmacologico (metformina) o la modifica dello stile di vita
erano in grado di ridurre l’incidenza di nuovi casi di diabete in soggetti con intolleranza ai carboidrati.
I risultati degli studi di intervento su stile di vita dieta ed
esercizio fisico, solo dieta o solo esercizio, sono riassunti
dalla metanalisi di Gillies et al, (7) e riportati in figura.
Come si vede l’intervento che combina dieta ed esercizio
riduce del 50% la comparsa di diabete in soggetti con
intolleranza ai carboidrati. I soli due studi (entrambi condotti in Cina) in cui è stato analizzato singolarmente
l’effetto dell’esercizio fisico dimostrano lo stesso effettoanche se la numerosità del campione non è tale da poter
trarre conclusioni definitive. Ad una conclusione simile ai
risultati riportati dalla metanalisi di Gillies et al. perviene
la Cochrane review sistematica di L. Orozco et al (8) che
ha incluso nell’analisi 8 studi randomizzati e controllati
con un braccio di esercizio più dieta (2241 soggetti) ed
un braccio di raccomandazioni standard (2509 soggetti).
Gli interventi combinati riducevano del 43% il rischio di
diabete e avevano anche effetti significativi su peso, BMI
e circonferenza vita. Altri benefici riguardavano la riduzione della pressione arteriosa sistolica e diastolica (-4 e
Study
Diet
Hazard ratio ( 95% Cl)
Hazard ratio ( 95% Cl)
Da Qing 1997w22
0.64 (0.41 to 0.99)
Jarret 1979 w2
0.85 (0.40 to 1.81)
Wein 1999 w35
0.63 (0.35 to 1.14)
Pooled effect
0.67 (0.49 to 0.92)
Exercise
Da Qing 1997 w22
0.53 (0.34 to 0.82)
Tao 2004 w21
0.30 (0.10 to 0.93)
Pooled effect
0.49 (0.32 to 0.74)
Die and exercise
Da Qing 1997 w22
DPP 2002 w23
DPS 2003
0.61 (0.39 to 0.95)
0.42 (0.34 to 0.52)
w25
Fang 2004
0.40 (0.26 to 0.61)
w19
0.75 (0.35 to 1.60)
IDDP 2006 w39
Kosaka 2005
Liao 2002 w29
0.62 (0.42 to 0.92)
w27
0.29 (0.09 to 0.94)
0.52 (0.05 to 5.69)
Pooled effect
0.49 (0.40 to 0.59)
Overall pooled effect
0.51 (0.44 to 0.60)
1
0
Favours
intervention
2
3
Favours
control
43
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-2 mmHg, rispettivamente) mentre gli effetti sui lipidi
erano modesti o assenti. Il solo esercizio fisico, in questa
review sistematica, non mostra benefici rispetto al gruppo di controllo nel prevenire il diabete a causa dello scarso numero di soggetti. In conclusione, il miglioramento
dello stile di vita riduce l’incidenza del diabete mellito di
tipo 2 di circa il 50% in soggetti con intolleranza ai carboidrati. Data l’incerta evidenza dell’effetto del solo esercizio fisico è opportuno prevenire il diabete combinando
l’esercizio fisico con l’intervento nutrizionale.
Il follow-up dello studio Finnish diabetes prevention
study ha dimostrato, anche dopo anni dalla sospensione
del protocollo intensivo, la persistenza dei benefici dell’intervento sullo stile di vita, in termini di prevenzione di
nuovi casi di diabete tipo 2. In tale studio, nel follow-up
a 3,5 anni si ottiene, nel gruppo di intervento, una riduzione del 39% del rischio di nuovi casi di diabete (dato
significativo) (9). Questi risultati sono confermati dal follow-up dello studio Da Qing, in cui è stata dimostrata la
persistenza dei benefici dell’intervento sullo stile di vita
addirittura a distanza a 20 anni. In tale studio il gruppo
di pazienti con intervento combinato sullo stile di vita
(dieta e esercizio fisico) ha ottenuto una riduzione dell’incidenza di diabete del 51% ([HRR] 0·49; 95% IC
0·33–0·73) nel periodo attivo dell’intervento (4 anni) e
del 43% (0·57; 0·41–0·81) nel follow-up di 20 anni. La
media annuale di incidenza del diabete era del 7% per
il gruppo di intervento rispetto all’11% del gruppo di
controllo, con un’incidenza cumulativa di diabete durante i 20 anni di follow-up rispettivamente dell’80% e del
93% (10).
Conclusioni
L’esercizio Fisico inserito in un intervento combinato con
la dieta, riduce del 50-60% il rischio di comparsa di diabete nelle persone con intolleranza ai carboidrati.
Rispetto agli interventi di prevenzione del diabete con i
farmaci, l’esercizio fisico e la modifica dello stile di vita
hanno dimostrato di mantenere il benficio anche dopo
la sospensione dell’intervento. Nonostante sia stata
ampiamente dimostrata l’utilità dell’esercizio fisico
come strumento di prevenzione, continua ad essere
44
problematica l’applicazione delle raccomandazioni per
integrare l’esercizio fisico in un intervento globale sullo
stile di vita.
Call to action
• È necessario realizzare programmi di prevenzione del
diabete di tipo 2 con l’uso dell’esercizio fisico nelle
popolazioni ad alto rischio
• Data l’incerta evidenza dell’effetto del solo esercizio
fisico è opportuno prevenire il diabete combinando
l’esercizio fisico con l’intervento nutrizionale
• Bisogna validare e analizzare il rapporto costo/beneficio di interventi multidisciplinari di prevenzione del
diabete di tipo 2 di tipo che includono come strategie:
esercizio fisico, aspetti nutrizionali e aspetti psicologici
Pierpaolo De Feo
C.U.R.I.A.MO.
Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale
Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia
Bibliografia
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45
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Pagina 46
L'esercizio fisico come strumento di terapia
del diabete mellito di tipo 2
Premessa
In letteratura, negli ultimi anni sono stati prodotti dati
riguardo agli effetti pleiotropici dell’esercizio fisico sulla
riduzione del rischio cardiovascolare, dell’ obesità viscerale, della pressione arteriosa, dei markers di infiammazione cronica e della trigliceridemia. Inoltre, studi di associazione hanno dimostrato una forte correlazione tra
l’intensità dell’esercizio fisico, in termini di dispendio
energetico, e riduzione del rischio cardiovascolare.
Ulteriori studi di associazione hanno dimostrato una correlazione inversa tra stato di forma fisica in soggetti sani,
obesi o con DMT2 e mortalità per tutte le cause. Infine,
alcuni studi indicano che l’esercizio fisico migliora non
solo lo stato di forma fisica ma anche la qualità della vita.
Dati preliminari molto interessanti sui benefici dell’esercizio fisico vengono dalla recente esperienza del modello
terapeutico multidisciplinare del CURIAMO. L’intervento
combinato con nutrizione, supporto psicologico e tre
mesi di attività fisica aerobica e di allenamento alla forza
muscolare ha prodotto nei primi 79 pazienti con diabete
mellito di tipo 2 significativi miglioramenti dell’ emoglobina glicosilata (nel grafico cerchio rosso prima, verde 3
mesi dopo), associati ad una riduzione della quantità di
Situazione Attuale
Due importanti studi di intervento con l’esercizio fisico nel
diabete di tipo 2 sono stati condotti in Italia, dimostrandone i benefici. I soggetti coinvolti sono stati sottoposti ad
adeguati programmi di attività fisica che hanno comportato una riduzione dell’utilizzo di farmaci (con diminuzione
delle spese farmaceutiche e socio-sanitarie) ed un miglioramento di diversi parametri antropometrici, metabolici e
clinici. Il primo studio è stato eseguito a Perugia (1,2) utilizzando come esercizio fisico l’attività motoria all’aperto
ed in particolare il camminare. Il secondo, l’Italian Diabetes
Exercise Study (IDES), è stato uno studio multicentrico che
ha valutato i benefici dell’esercizio fisico strutturato e
supervisionato in palestra (3,4). Di quest’ultimo vengono
riportati i risultati in dettaglio nel seguente capitolo.
Lo studio di Perugia ha dimostrato che è possibile convincere circa il 70% delle persone sedentarie con diabete
mellito di tipo 2 a praticare regolarmente l’attività fisica e
che il solo camminare 4-5 km al giorno, tutti i giorni,
determina in questi soggetti la diminuzione della pressione arteriosa sistolica di 7-9 mmHg, della circonferenza vita
di 4-5 cm e del peso di 3 kg, della glicemia a digiuno del
20%, dell’emoglobina glicosilata di un punto percentuale, della trigliceridemia del 30%. Conseguentemente, il
rischio d’infarto nei successivi 10 anni è stato ridotto del
20%.
46
farmaci necessari per la cura del diabete (nel grafico DDD
= Daily Defined Dose). Simili benefici si sono stati osservati anche per il controllo pressorio con riduzione delle
DDD dei farmaci anti-ipertensivi e parallela e significativa
riduzione della pressione arteriosa massima e minima.
La letteratura scientifica dimostra che i vantaggi dell’uso
dell’esercizio fisico come strumento terapeutico vanno
oltre la semplice riduzione del peso e della glicemia e
attraverso gli effetti pleiotropici dell’attività motoria finiscono per ridurre la mortalità. Su questo dato non abbiamo prove dirette da studi di intervento, ma sono stati prodotti risultati convincenti e concordanti mediante studi
epidemiologici prospettici. Un recente lavoro di P.
Kokkinos et al., eseguito in oltre 3000 soggetti con diabete mellito di tipo 2, dimostra come lo stato di forma
fisica, valutato mediante test da sforzo cardiovascolare, è
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• Combinare l’esercizio-terapia con l’intervento nutrizionale ed il supporto motivazionale e psicologico per
ottenere benefici a lungo termine
• Promuovere la diffusione sul territorio nazionale di centri multidisciplinari per la modifica dello stile di vita nelle persone con obesità e diabete mellito di tipo 2
Pierpaolo De Feo
C.U.R.I.A.MO.
Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale
Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia
Bibliografia
fortemente predittivo del rischio di morte da tutte le cause nei 7 anni successivi all’esecuzione del test.
Conclusioni
La validità dell’esercizio fisico come terapia delle persone
con diabete mellito di tipo 2, con e senza trattamento farmacologico, è chiaramente dimostrata. Per questo motivo tutte le linee guida delle società scientifiche diabetologiche inseriscono la modifica dello stile di vita (esercizio e
dietoterapia) come primo intervento terapeutico nel diabete mellito di tipo 2, da continuare sempre. I vantaggi
dell’esercizio fisico per le persone con diabete di tipo 2
vanno al di là del miglioramento del controllo glicemico e
includono una riduzione del rischio cardiovascolare e il
miglioramento della qualità della vita; inoltre, si produce
anche ad una riduzione dei costi per il servizio sanitario
nazionale.
Call to action
• Diffondere nell’ambito diabetologico l’uso dell’esercizio fisico come strumento terapeutico aumentando la
consapevolezza dei diabetologici su questa risorsa,
poco utilizzata
1. Di Loreto C, Fanelli C, Lucidi P, et al. Validation of a counseling strategy to promote the adoption and the maintenance of physical activity by type 2 diabetic subjects.
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Nicolucci, MD; Pierpaolo De Feo, MD, PhD; Stefano Cavallo,
MD; Patrizia Cardelli, MD; Sara Fallucca, PhD; Elena Alessi,
MD; Francesco Fallucca, MD; and Giuseppe Pugliese, MD,
PhD; for the Italian Diabetes Exercise Study (IDES)
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5. Peter Kokkinos, Jonathan Myers, Demosthenes
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47
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Lo studio Italiano IDES: Italian Diabetes and Exercise Study
Premessa
L’IDES rappresenta ad oggi lo studio di intervento di maggiore numerosità e di più lunga durata in pazienti diabetici di tipo 2 con sindrome metabolica, disegnato con il
fine di valutare l’efficacia dell’ esercizio fisico sui fattori di
rischio cardiovascolare modificabili.
A tutt’oggi i trials clinici che hanno dimostrato
l’efficacia dell’esercizio sulla riduzione dell’ HbA1C
hanno tendenzialmente utilizzato programmi di
esercizio supervisionato e i più promettenti sembrano essere quelli che hanno utilizzato l’allenamento
combinato (Aerobico + Forza). Nello studio DARE,
Sigal et al. (2007) hanno dimostrato che
l’allenamento combinato rappresenta attualmente
la miglior forma di esercizio fisico per il miglioramento del controllo glico-metabolico in pazienti diabetici di tipo 2.
Situazione Attuale
In letteratura gli interventi di counselling strutturato all’attività fisica e l’uso dell’esercizio fisico combinato, hanno entrambi dimostrato una superiore
efficacia rispetto al trattamento convenzionale. Lo
studio IDES ha avuto quindi l’obiettivo di valutare
l’efficacia dell’associazione dei due tipi di intervento, rispetto ad un gruppo di controllo trattato con
un intervento di counselling strutturato, anziché un
gruppo di controllo sedentario.
Gli Outcome perseguiti sono stati:
outcome primario: riduzione dell’ HbA1c;
outcome secondari:
a - Fattori di rischio cardiovascolare modificabili tradizionali (trigliceridi, colesterolo HDL e LDL,
pressione arteriosa diastolica e sistolica, BMI e
circonferenza vita) e non tradizionali (markers
infiammatori);
b – Benessere Psico-Fisico;
c – Spesa farmaceutica.
Sono stati reclutati 606 pazienti da 22 centri per la
cura del diabete, omogeneamente distribuiti sul territorio nazionale. I principali criteri di inclusione
erano: diabete di tipo 2, circonferenza vita superiore a 94 cm per i maschi e 80 cm per le femmine,
48
più almeno due fattori di rischio per la sindrome metabolica secondo i crtiteri IDF. I pazienti arruolati sono stati
randomizzati in un gruppo di intervento (EXE), che effettuava un Esercizio fisico combinato, prescritto, supervisionato e controllato, associato ad un programma di counselling strutturato, e in un gruppo di controllo (CON), che
effettuava solamente un programma di counselling strutturato. Per entrambi i gruppi la durata dello studio è stata
di 12 mesi (Figura 1).
Figura 1. Diagramma di flusso
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Tra i due gruppi, EXE e CON, al baseline non vi erano differenze statisticamente significative (Tabella 1).
Tabella 1. Caratteristiche al baseline dei gruppi EXE
e CON
Sesso, % (M/F)
Età, anni
EXE
CON
P*
59/41
57/43
0.56
58.8±8.6
58.8±8.5
0.99
Fumo, %
0.48
Mai
63.4
65.0
Ex Fumatore
18.2
14.5
Fumatore
18.5
19.5
Ereditarietà per il diabete, %
65.7%
67.7 %
0.61
Durata dell malattia, anni
6 (3-10)
6 (3-10)
0.2
Infarto del Miocardio
19 (6.3)
17 (5.6)
0.86
Rivascolarizzazione Coronarica
15 (5.0)
14 (4.6)
0.85
Ulcera piede diabetico
13 (4.3)
13 (4.3)
1.0
Retinopatia Background
49 (16.2)
46 (15.2)
0.82
Microalbuminuria
49 (19.6)
62 (23.5)
0.32
Macroalbuminuria
11 (4.4)
4 (1.5)
0.09
Complicanze Croniche, n (%)
* Student t-test per le variabili distribuite normalmente, MannWhitney U-test per le variabili continue non-normalmente distribute,
χ2 test per le variabili categoriche.
Tutti i pazienti sono stati valutati per parametri ematochimici e di physical fitness al baseline e dopo 12 mesi, mentre per il gruppo EXE anche a 3, 6 e 9 mesi. La fitness
cardiorespiratoria (VO2max) è stata valutata con metabografo durante un test incrementale sub-massimale eseguito al treadmill. La forza massima è stata calcolata con
il test delle massime ripetute eseguito per tre diversi
gruppi muscolari (Arti Inferiori, Pettorali, Dorsali). La flessibilità della muscolatura della catena cinetica posteriore
è stata valutata mediante un bending test standard eseguito dalla posizione eretta.
Il programma di esercizio fisico combinato, prevedeva
due sessioni settimanali della durata di 75 minuti sotto la
supervisione di un Operatore di Fitness Metabolica. Il
programma prevedeva 40 minuti di esercizio aerobico
(Intesità compresa tra 55-70% della VO2max) e 35 minuti
di esercizio di forza (Intesità compresa tra 60-80% di 1
Ripetizione Massimale).
L’Exercise counselling prevedeva per entrambi i gruppi,
un programma strutturato in sette step: motivazione,
auto-efficacia, piacere, supporto, comprensione, mancanza di impedimenti e compilazione del diario.
E’ stato calcolato il Volume totale di attività fisica eseguita da ogni paziente, convertendo sia l’esercizio fisico
supervisionato che l’attività fisica non supervisionata in
equivalenti metabolici (METs). La conversione dell’esercizio in METs è stata effettuata utilizzando le equazioni
dell’American College of Sports Medicine. La conversione dell’attività fisica volontaria in METs invece, è stata
effettuata utilizzando il questionario Minnesota Leisure
Time Physical Activity, che fornisce appropriati e specifici
valori in METs per le attività effettuate. Il gruppo EXE ha
accumulato mediamente 20.0 METs .h-1.settimana-1
mentre il gruppo di controllo 10.0 METs .h-1.settimana-1.
Da notare che i METs accumulati dal gruppo CON, dimostratosi particolarmente attivo per l’attività di counselling
seguita, corrispondono alle raccomandazioni minime
riportate dalle linee guida attuali (150 min/settimanali di
attività fisica ad intensità compresa tra 3 e 5.9 METs)
(Figura 2).
Figura 2. Confronto tra il volume totale di attività
accumlato dai pazienti dell’IDES e le raccomandazioni
correnti
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La valutazione dell’outcome primario dello studio (riduzione dell’ HbA1c) ha evidenziato un migliore risultato nel
gruppo EXE, rispetto al gruppo CON (Figura 3).
Per i parametri di attività fisica e di Physical Fitness, il
gruppo EXE ha evidenziato miglioramenti più significativi. Inoltre il gruppo EXE ha accumulato un volume di attività fisica non supervisionata superiore a quella del gruppo CON come probabile effetto dell’ interazione tra il
counselling strutturato ad opera del Diabetologo e il
costante rinforzo del messaggio da parte dell’operatore
di fitness metabolica (Tabella 2).
Figura 3. HbA1c al baseline e dopo 12 mesi in entrambi
i gruppi
Tabella 2. Parametri di Attività fisica e Physical Fitness
CON Baseline
CON 12 mesi
P*
EXE Baseline
EXE 12 mesi
P*
Mean difference
(95% CI)
P # EXE vs.
CON
Non
Supervisionata
0.76±1.5
10.0±8.7
<0.0001
0.73±1.8
12.5±7.4
<0.0001
2.47 (1.1;3.8)
<0.0001
Supervisionata
-
-
-
-
7.6±2.8
-
-
Totale
0.76±1.5
10.0±8.7
<0.0001
0.73±1.8
20.0±9.0
<0.0001
10.0 (8.6;11.5)
<0.0001
25.9±7.0
27.5±6.8
<0.0001
25.9±5.4
30.4±5.8
<0.0001
2.8 (2.1;3.5)
<0.0001
Arti superiori
39.7±15.7
39.1±15.6
0.94
40.2±16.3
51.0±19.0
<0.0001
11.0 (9.5;12.5)
<0.0001
Arti inferiori
104.0±69.5
102.3±65.9
0.12
108.0±64.5
139.8±72.8
<0.0001
30.8 (25.1;35.6)
<0.0001
Flessibilità, Cm
11.2±9.6
10.1±10.3
<0.0001
12.5±9.9
6.7±9.4
<0.0001
-4.6 (-5.7;-3.6)
<0.0001
ATTIVITA’
FISICA
METs . h-1 . wk-1
VO2max,
ml/Kg/min
FORZA, Kg
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Tutti i parametri glico-metabolici sono migliorati significativamente nel gruppo EXE, mentre nel gruppo CON
sono migliorati in maniera statisticamente significativa
solo la circonferenza vita, la pressione arteriosa sisto-diastolica, il colesterolo totale e LDL. Il miglioramento di
tutti i parametri glico-metabolici nel gruppo EXE ha consentito di ottenere una riduzione statisticamente significativa del rischio coronarico fatale e non fatale, calcolato
con l’UKPDS score (Tabella 3).
Tabella 3. Parametri glico-metabolici e UKPDS risk score
CON Baseline
CON 12 mesi
P*
EXE Baseline
EXE 12 mesi
P*
Mean difference
(95% CI)
P # EXE vs.
CON
Glicemia, mg/dl
150±52
140±47
0.005
145±49
135±42
<0.0001
-0.68 (-9.4;8.1)
0.88
HbA1c %
7.15±1.4
7.02±1.2
0.48
7.12±1.4
6.70±1.1
<0.0001
-0.30 (-0.49;-0.10)
<0.0001
Insulinemia, µU/ml
12.8±8.6
12.9±6.9
0.06
12.4±8.1
11.3±7.4
0.001
-1.18 (-2.36;0.0)
<0.0001
HOMA-IR
4.8±3.9
4.5±3.1
0.29
4.5±3.6
3.8±2.9
<0.0001
-0.36 (-0.94;0.22)
0.05
BMI, Kg/m
31.9±4.6
31.7±4.5
0.20
31.2±4.6
30.3±4.4
<0.0001
-0.78 (-1.07;-0.49)
<0.0001
Circonferenza vita cm
105.1±11.0
104.8±10.9
0.04
105.2±11.8
101.3±11.4
<0.0001
-3.6 (-4.4;-2.9)
<0.0001
Pressione Arteriosa
Sistolica, mmHg
142±18
138±16
0.001
140±18
132±14
<0.0001
-4.2 (-6.9;-1.6)
0.002
Pressione Arteriosa
Diastolica, mmHg
85±10
83±9
0.02
84±10
80±8
<0.0001
-1.7 (-3.3;-1.1)
0.03
Colesterolo, mg/dl
201±34
188±36
<0.0001
199±32
181±35
<0.0001
-5.3 (-12.0;1.4)
0.12
2
Trigliceridi, mg/dl
139±81
141±74
0.11
131±97
132±82
0.20
-6.7 (-14.4;11.8)
0.85
HDL, mg/dl
45.8±10.5
45.6±10.0
0.65
44.9±11.4
48.4±11.9
<0.0001
3.7 (2.2;5.3)
<0.0001
LDL, mg/dl
128±34
114±33
<0.0001
129±31
106±29
<0.0001
-9.6 (-15.9;-3.3)
0.003
Rischio a 10 anni (UKPDS) di avere un evento coronarico, %
NON FATALE
18.5±12.2
17.8±12.0
0.08
19.5±13.3
15.8±10.4
<0.0001
-3.1 (-4.2;-2.0)
<0.0001
FATALE
12.1±10.3
11.9±10.2
0.82
12.8±11.1
10.2±8.5
<0.0001
-2.4 (-3.3;-1.5)
<0.0001
Nel gruppo CON, nell’ arco dei 12 mesi, si è evidenziato
un aumento significativo del numero dei pazienti trattati
con OHA (Glinidi e Thiazolidinedioni), con Insulina o in
terapia combinata; lo stesso trend si è evidenziato per i
farmaci Anti-Ipertensivi, Ipolipemizzanti e Anti aggreganti/coagulanti. Nel gruppo EXE vi è stato un aumento
significativo solo del numero dei pazienti trattati con i
Thiazolidinedioni e le Statine.
Dividendo l’ intero gruppo (EXE+CON) in quintili di volume di attività fisica accumulata nel corso dell’anno, è
emersa una chiara relazione indiretta, dose/risposta, tra
la quantità di attività fisica accumulata e il rischio di evento coronarico:
I quintile = aumento del rischio coronarico;
II quintile = diminuzione non significativa del rischio
coronarico;
III , IV e V quintile = diminuzione significativa del rischio
coronarico.
Da notare che nel V quintile, a fronte di un volume
importante di attività fisica accumulata (29.3 METs), si
assiste ad una trascurabile diminuzione del rischio (0.1)
rispetto al IV quartile (Figura 4).
51
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Figura 4. Riduzione del rischio di evento coronarico (10
anni UKPDS risk score) in rapporto ai quintili di volume di
attività fisica (METs . h-1 . week-1)
Conclusioni
I risultati di questo studio ci permettono di concludere
che l’esercizio fisico supervisionato e strutturato, che
combina attività aerobica ed esercizio di forza, associato
ad un incremento dell’attività fisica volontaria, determina
risultati migliori (in termini di controllo glicemico, rischio
cardio-vascolare e costi legati all’uso di farmaci), rispetto
al solo incremento dell’attività volontaria.
Call to action
Confrontando i gruppi EXE e CON, dopo averli normalizzati per volume di attività fisica rispetto al rischio di evento coronarico NON FATALE-FATALE (10 anni UKPDS risk
score), si è evidenziato come la riduzione del rischio nel
gruppo EXE, rispetto al gruppo CON, sia statisticamente
significativa. Risultato che potrebbe essere giustificato
dall’azione sinergica positiva dell’esercizio fisico combinato (EXE), rispetto alla sola attività fisica aerobica non
supervisionata (CON) (Figura 5).
Figura 5. Riduzione del rischio di evento coronarico NON
FATALE-FATALE (10 anni UKPDS risk score) nel gruppo
EXE vs CON, normalizzato per volume di attività fisica
52
• Attuare programmi di esercizio fisico supervisionato e
strutturato, associato ad un’accurata applicazione di
interventi di counselling volti all’incremento dell’attività fisica volontaria, nella gestione terapeutica del diabete mellito di tipo 2
• Stimolare rapporti di collaborazione tra centri di diabetologia e centri sportivi specializzati nell’uso dell’ esercizio fisico come trumento terapeutico
• Sviluppare progetti e attività di ricerca per definire, in
termini di economia sanitaria, la bontà di programmi
di intervento innovativi sulla modifica dello stile di vita
dei soggetti diabetici
Stefano Balducci
Associazione Fitness Metabolica
Dipartimento di Scienze cliniche, Ospedale Sant’Andrea,
Divisione di Diabetologia Università La Sapienza di Roma
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IDES: Key Point
KEY POINT 1
L’esercizio fisico combinato associato
all’attività fisica volontaria, è superiore alla
sola attività fisica volontaria nel ridurre
l’emoglobina glicosilata e il rischio CV
KEY POINT 2
Bibliografia
1. Sigal RJ, Kenny GP, Boulé NG, et al. Effects of aerobic training, resistance training, or both on glycemic control in type
2 diabetes: a randomized trial. Ann Intern Med 2007;
147:357-69.
2. Balducci S, Zanuso S, Massarini M, et al. The Italian Diabetes
and Exercise Study (IDES): Design and methods for a
prospective Italian multicentre trial of intensive lifestyle
intervention in people with type 2 diabetes and the metabolic syndrome. Nutr Metab Cardiovasc Dis e-pub Nov 29,
2007.
3. Di Loreto C, Fanelli C, Lucidi P, et al. Validation of a counseling strategy to promote the adoption and the maintenance
of physical activity by type 2 diabetic subjects. Diabetes
Care 2003; 26:404–8.
Il solo counseling pur incrementando il
volume di attività fisica a valori consigliati
dalle linee guida attuali non determina
riduzioni statisticamente significative del
rischio CV
KEY POINT 3
L’esercizio fisico combinato associato ad
attività fisica volontaria, consente una
ottimizzazione dell’ uso dei farmaci con
conseguente risparmio di spesa
KEY POINT 4
Esiste una relazione indiretta dose/risposta
tra la quantità di attività fisica accumulata
e il rischio di evento coronarico
53
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Pagina 54
Un nuovo approccio organizzativo assistenziale:
il team multidisciplinare a supporto del centro
diabetologico
Il ruolo dello specialista in medicina dello sport
Premessa
La Federazione Medico Sportiva Italiana, tra le
Federazioni Sportive del CONI, rappresenta la Società
Scientifica di Medicina dello Sport, riconosciuta dagli
organismi e dalle istituzioni pubbliche e sportive italiane
ed internazionali. Essa ha tra i suoi obiettivi prioritari il
benessere della popolazione in generale e di quella sportiva in particolare; questo obiettivo viene perseguito sia
teoricamente, attraverso la diffusione della cultura di un
corretto stile di vita, sia praticamente, attraverso una
continua attività di valutazione clinico-funzionale e di
prescrizione dell’esercizio fisico.
Situazione attuale
L’esigenza per la FMSI di intervenire praticamente fra la
popolazione generale, in particolare fra quella sportiva, è
pienamente giustificata dall’incremento recente di patologie metaboliche quali l’obesità ed il sovrappeso, registrato soprattutto nei giovani, nonostante negli ultimi 10
anni si sia rilevato un significativo aumento della pratica
di attività sportiva. Le indagini condotte per chiarire questa apparente discrepanza indicano che la motivazione è
da ricercarsi in un’alimentazione qualitativamente scorretta e nell’incremento del tempo dedicato dai giovani
alle attività sedentarie (anche 5 volte in più rispetto al
passato), tempo che si somma a quello trascorso a scuola. In altri termini i giovani di oggi, complessivamente,
non osservano un corretto stile di vita.
Tale realtà è preoccupante perché l’ipocinesia e l’obesità
che ne può conseguire, sono causa di molte patologie. E’
noto che il BMI (Tabella 1) è strettamente correlato al
rischio di insorgenza nel tempo di patologie di diversa
natura (malattie metaboliche, cardiovascolari, ipertensione, artrosi per eccesso di carico sulle articolazioni), dove
il rischio massimo si ha per BMI > 40.
Tra queste, una delle più importanti, anche dal punto di
vista sociale, è rappresentata dal diabete mellito tipo 2.
Numerose evidenze scientifiche supportano questa relazione, evidenziando una correlazione positiva tra insorgenza di diabete e ore di sedentarietà e fra ipocinesia e
riduzione della sensibilità all’insulina.
Da quanto detto appare pertanto evidente che l’esercizio
fisico, continuo ed adeguato, associato ad una corretta
alimentazione e ad un appropriato stile di vita, è un
mezzo insostituibile ed assolutamente efficace di prevenzione e di terapia, dell’obesità, ed anche, e soprattutto,
del diabete mellito tipo 2. Anche la pratica dello sport
agonistico risulta compatibile con la patologia diabetica
ed è capace di determinare un miglior controllo della
malattia.
La prescrizione e la somministrazione al soggetto diabetico dell’esercizio fisico dunque, assumono la valenza di
una vera e propria terapia e l’attività motoria ne rappresenta il farmaco. Come ogni farmaco, peraltro, dovrebbe
essere somministrato alla “giusta dose”. Tale concetto
basilare era stato già espresso 2500 anni fa da Ippocrate,
ma ancora oggi, troppo spesso si osserva che la prescrizione dell’esercizio fisico non tiene conto dei parametri
che regolano l’allenamento: quantità, intensità, progressività e continuità dei carichi imposti. Nello specifico,
dare la giusta considerazione a tali parametri, è fondamentale non tanto perché l’allenamento sia efficace (per
un sedentario anche salire le scale di casa tutti i giorni è
produttivo), ma perchè si ottenga il massimo del risulta-
Tabella 1.
*Il Body Mass Index (BMI) o Indice di Massa Corporea, è il risultato del rapporto tra peso ed altezza al quadrato del soggetto (BMI=[Massa corporea (kg)]/[Altezza al quadrato(m²)] ovvero BMI=kg/m2), ed è molto usato in ambito clinico per determinare se il soggetto ha un peso normale; esso rappresenta un’elementare espressione della composizione corporea ed è un indice utile per una semplice valutazione della quantità di massa grassa: tanto più è elevato il suo valore tanto maggiore è la percentuale di massa grassa.
Indice di massa corporea (BMI): intervalli numerici definenti un soggetto sottopeso, normopeso o sovrappeso
emaciazione
magrezza grave
magrezza moderata
magrezza lieve
normopeso
sovrappeso
obesità
< 14,9
54
15 - 15,9
16 - 16,9
17 - 18,4
18,5 - 24,9
25 - 29,9
30 - 39,9
obesità grave
> 40
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to, evitando errori e danni conseguenti. La giusta dose di
esercizio fisico da prescrivere dipende da molteplici fattori di tipo clinico e di tipo fisiologico: lo stato di salute, il
tipo dell’eventuale patologia, lo stile di vita,
l’alimentazione, le caratteristiche funzionali del soggetto,
il tipo di attività fisica ecc.; che per essere valutati nell’insieme, richiedono un’adeguata e preventiva valutazione
clinico-funzionale.
Per la malattia diabetica, dal punto di vista clinico è
necessario che il soggetto affronti l’esercizio fisico in condizioni di buon compenso glicemico. Tale obiettivo deve
essere realizzato non solo a riposo, ma deve essere previsto e mantenuto anche durante lo sforzo. La dose di
esercizio infatti, va sempre “pesata” congiuntamente al
regime alimentare e alla eventuale terapia farmacologica, onde evitare che durante lo sforzo, l’insorgenza di
crisi iperglicemiche o la necessità di dover ricorrere eccessivamente ai substrati lipidici, possano determinare possibili danni. Dal punto di vista funzionale, per poter prescrivere l’esercizio fisico come mezzo di riabilitazione
(inteso come uno strumento per riacquisire capacità fisiche ed abilità motorie perdute o deteriorate), è necessario che lo si conosca bene. In particolare conoscere il
costo (energetico e meccanico) di ogni singola attività
sportiva, cioè l’equivalente dell’effetto di uno specifico
farmaco, prima di deciderne la somministrazione, significa conoscere e prevedere le risposte acute e croniche dell’organismo alla sua pratica. Inoltre, al fine di definirne la
“giusta dose”, è necessario integrare tali informazioni
con la conoscenza del livello di efficienza fisica del soggetto, elementi che si ottengono tramite test di valutazione delle capacità funzionali (resistenza, forza, velocità). Come per la somministrazione di un farmaco vanno
valutati il tipo e la gravità della patologia, nonché le
caratteristiche del soggetto (per esempio il sesso, il peso,
lo stato fisico), così il “farmaco sport” va somministrato
in funzione del livello di efficienza fisica di base del soggetto. In altri termini, la prescrizione dell’esercizio fisico,
in termini di carico di lavoro, va sempre individualizzata
(Figura 1).
Figura 1. Per la maggioranza delle popolazione (sedentaria) si possono registrare significativi incrementi del
VO2max, purché l'intensità dell'esercizio di allenamento
ricada intorno all'80% del V’O2max del soggetto. Ciò
implica, necessariamente, che tale ultimo valore venga
misurato preventivamente in modo da permettere
l'individualizzazione del carico allenante. In caso contrario si corre il rischio di applicare un carico troppo elevato
o troppo basso con effetti non ottimali (da Wilmore e
Costill, 1994, modificata)
% improvement in Vo2 max
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30
25
20
15
10
5
20
40
60
80 100 120
% Vo2 max used during training
Conclusioni
La prescrizione dell’esercizio fisico o dell’attività sportiva,
richiede dunque una specifica competenza ed una
approfondita conoscenza delle caratteristiche dell’attività
da selezionare, delle qualità funzionali dell’individuo e
delle relative interrelazioni tra le due. Il medico specialista in medicina dello Sport possiede, per formazione
accademica ed esperienza professionale, anche mutuata
dalla pratica con gli atleti di alto livello, le competenze
per assolvere in modo specialistico al compito di prescrivere l’esercizio fisico al soggetto patologico. Ovviamente
è necessario che il diabetologo effettui un'adeguata
valutazione clinica preventiva della persona con diabete
da sottoporre al “trattamento”. Questo approccio multidisciplinare consente un adeguato inquadramento del
55
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dato fisico-patologico e una conseguente corretta prescrizione dell'“esercizio fisico”.
Per tali motivi la Federazione Medico Sportiva Italiana e
la Società Italiana di Diabetologia hanno deliberato di stipulare una convenzione, che avvii e regoli un programma di collaborazione clinica e scientifica finalizzato alla
diffusione della pratica sportiva e del corretto stile di vita
tra le persone con diabete. L’accordo convenzionale prevede l’attivazione di iniziative comuni nel settore della
formazione e dell’informazione, nonché la realizzazione
di gruppi di lavoro misti, medico dello sport/diabetologo,
distribuiti a livello periferico provinciale, che costituiscano
presidi operativi per la corretta prescrizione dell’esercizio
fisico e sportivo nei soggetti diabetici.
Call to action
• Educare Diabetologi e Medici specialisti in medicina
dello sport ad una sinergica e produttiva collaborazione, al fine di ottimizzare la gestione della patologia
diabetica con la prescrizione dell’esercizio fisico
• Prevedere la presenza della figura del Medico
Specialista in Medicina dello Sport nel Team multidisciplinare di trattamento del paziente diabetico, al fine di
realizzare una corretta valutazione clinica-funzionale
della persona e la giusta prescrizione dell’esercizio fisico nell'ambito della terapia
Maurizio Casasco
Presidente Federazione Medico Sportiva Italiana
56
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Il ruolo del laureato in scienze motorie
Premessa
Il dibattito circa l’identità scientifica del settore delle
“Scienze Motorie” è ancora oggi acceso, legato probabilmente alle riconosciute multidisciplinarietà e particolarità insite in queste due semplici parole. La formazione
che la Facoltà di Scienze motorie si prefigge di fornire spazia a tutto campo nell’ambito dell’attività motoria
e sportiva (attività ludiche, per le diverse età, e le singole discipline sportive). Oggi però il concetto di attività
motoria e sportiva è sempre più legato alla preservazione dello stato di salute e di un benessere psico-fisico
nonché alla prevenzione dei rischi legati agli stili di vita
scorretti.
E’ per questo motivo che le attenzioni dei corsi di laurea
in Scienze Motorie si stanno ulteriormente ampliando:
non più solo preparazione di professionisti dello sport
con competenze nella programmazione e gestione delle
attività propriamente sportive, ma anche possesso di
competenze sempre più finalizzate allo sviluppo, al mantenimento e al recupero della motricità e del benessere
psicofisico ad essa correlato.
Situazione attuale
Il corso di laurea triennale in Scienze Motorie,
Sportive e della Salute rappresenta la naturale evoluzione delle esperienze maturate nei precedenti corsi e
nasce dall’esigenza di rispondere in maniera più adeguata ai significativi cambiamenti a cui la società è
andata incontro negli ultimi anni, così come alla continua trasformazione delle attività professionali. A questo
scopo il corso di laurea triennale prevede percorsi formativi che, attraverso la conoscenza degli aspetti anatomici, fisiologici e biochimici, permette di apprendere le
basi biologiche del movimento e gli adattamenti
all’esercizio fisico. Inoltre, vengono attivati percorsi formativi per l’apprendimento e l’insegnamento delle tecniche motorie e sportive e delle metodologie di misurazione e valutazione dell’esercizio fisico, finalizzate all’acquisizione delle competenze necessarie per valutare gli
effetti, gli aspetti biomeccanici, le tecniche e gli strumenti per un corretto svolgimento delle attività motorie
e sportive a livello individuale e di gruppo, oltre alle
conoscenze psicologiche e sociologiche di base per
poter interagire con efficacia con i diversi soggetti praticanti.
La conoscenza delle basi pedagogiche, psicologiche e
didattiche permetterà di trasmettere, oltre alle conoscenze tecniche, valori etici e motivazioni adeguate per promuovere uno stile di vita attivo e una pratica dello sport
leale ed esente dall’uso di pratiche e sostanze potenzialmente nocive alla salute.
Gli obiettivi del corso di laurea magistrale in Scienze
Motorie per la Prevenzione e la Salute riguardano la
formazione di figure professionali altamente qualificate,
capaci di intervenire con competenze specifiche nella
progettazione, direzione, conduzione e valutazione di
programmi di attività motoria individualizzati, interagendo con altre professionalità, al fine del mantenimento e
del recupero della piena efficienza e del pieno benessere
individuale, dell’integrazione sociale, della prevenzione
degli stati patologici e delle limitazioni che intervengono
con l’avanzare dell’età. A tale scopo, attraverso il percorso formativo, lo studente raggiunge i seguenti obiettivi:
• acquisire le nozioni e le categorie concettuali necessarie per interagire con professionalità diverse che operano nell’ambito della sanità e dei servizi sociali, nella
consapevolezza dell’estensione e dei limiti della propria area di competenza;
• possedere basi teoriche avanzate sulla motricità
umana e sul suo controllo, che permettano di affrontare le molteplici situazioni che la professione presenterà, con elevato grado di autonomia decisionale e con
responsabile creatività;
• conoscere le norme igienico-sanitarie relative agli
ambienti in cui sarà svolta la professione;
• avere padronanza dei contenuti e delle strategie
comunicative per una corretta promozione e educazione alla salute;
• possedere la capacità di cogliere gli aspetti psicologici e
sociologici correlati con la riformulazione dell’immagine del sé corporeo, con la deprivazione e la reintegrazione sociale, in seguito a eventi di interesse clinico;
• avere le competenze per compiere una valutazione
funzionale delle capacità motorie di soggetti di diverse
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fasce di età, sani o in condizioni cliniche stabilizzate, di
concerto con il medico, per quanto di sua competenza;
• saper valutare l’impatto di terapie farmacologiche
sulle capacità motorie e saper modulare di conseguenza i programmi di attività;
• saper programmare, dirigere e condurre un percorso
di attività motoria individualizzato, utilizzando specifiche strumentazioni, anche in ambiente acquatico, che
non introduca fattori di rischio aggiuntivi, ottimizzi le
capacità residue e, ove possibile, permetta al medico di
decidere una riduzione della terapia farmacologica;
• saper valutare i risultati ottenuti.
Le competenze specifiche e caratterizzanti di un laureato
magistrale di questa classe riguardano primariamente, i
benefici e i rischi della pratica delle attività motorie in
soggetti di diversa età, genere, condizione psico-fisica,
abilità psico-motorie, e il livello di rischio legato a esiti
cronici di varie malattie.
Inoltre, possiede le conoscenze relative agli adattamenti
delle funzioni vitali dell’organismo umano in risposta alle
pratiche di attività fisica, in relazione al genere, età, stato
di salute o condizione clinica di ciascun soggetto ed è in
grado di eseguire test di valutazione dell’esercizio fisico
post-riabilitativo, in termini di modalità, protocolli, misurazioni fisiologiche e risultati attesi, specifici per differenti popolazioni, inclusi soggetti con patologie cardiovascolari, polmonari, metaboliche e di altra natura in fase stabilizzata dal punto di vista clinico e riabilitativo, in bambini e anziani. Possiede, infine, le conoscenze relative alle
modificazioni funzionali e alle controindicazioni assolute
e relative ai test di esercizio, e il riconoscimento di soggetti che necessitano della supervisione sanitaria durante
test di esercizio sottomassimale e massimale, nonché di
soggetti che richiedono una valutazione sanitaria prima
di impegnarsi in un programma motorio. Possiede la
conoscenza dei fattori di rischio per soggetti con patologie cardiovascolari, polmonari, metaboliche e d’altra
natura, e la comprensione degli indicatori prognostici per
soggetti ad alto rischio; nonché la conoscenza degli
effetti di tali malattie sulla prestazione fisica e la salute
58
del soggetto durante i test e la pratica dell’esercizio fisico e le condizioni tecniche e i sintomi clinici che impongono l’arresto di un test di esercizio.
Conclusioni
Il ruolo del laureato in Scienze Motorio si è affinato negli
ultimi anni e continua a delinearsi sempre più specificamente, nella forte e unanime convinzione del suo potenziale e insostituibile ruolo anche in ambito sanitario. Una
approfondita conoscenza degli svariati aspetti fisiologici
dell’organismo e delle multiple condizioni patologiche
che possono riguardarlo, sono alla base della definizione
di una figura professionale in grado di lavorare e collaborare in un team multidisciplinare dedicato al trattamento
di un soggetto con patologie croniche, come il diabete
mellito.
Call to action
• Delineare il ruolo potenzialmente sostenibile in ambito
sanitario dai laureati in scienze motorie, implementando la loro integrazione nei team multidisciplinari di
trattamento di varie patologie croniche
• Stimolare rapporti di collaborazione tra medici (diabetologi e specialisti in medicina dello sport) e laureati in
scienze motorie, per un’ottimale prescrizione e applicazione di efficaci programmi terapeutici
Vilberto Stocchi
Presidente Conferenza Nazionale Presidi
delle Facoltà di Scienze Motorie
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Il ruolo dell’infermiere
Premessa
Oggi, più che mai, siamo portati a credere che l’attività
fisica faccia bene a tutte le età e che dovrebbe essere praticata per tutta la vita. Nei bambini e adolescenti, la pratica di attività fisica contribuisce ad un armonico sviluppo
della muscolatura, migliora la coordinazione, sviluppa il
senso di aggregazione, favorisce l’interazione con i coetanei ed insegna a mettersi in gioco, rispettando le regole.
Nell’adulto sano e ancor più in presenza di patologie croniche (come il diabete) il mantenimento e/o il ripristino di
un buono stato di salute è garantito da uno stile di vita
corretto. Nelle persone con diabete, è bene proporre
l’attività motoria come strumento terapeutico ed invitare
a praticarla, anche se molto spesso sentiamo rispondere:
…”non sono capace”… “non ho tempo”…
E’ importante che chiunque, soprattutto chi ha il diabete,
ritorni a credere nelle proprie capacità; perché certamente, come affermava Publio Siro nel 1° sec. d.c. “Nessuno
sa quanto è capace di fare prima di averci provato”.
Situazione attuale
E’ ormai ampiamente dimostrato che la pratica regolare
di attività fisica migliora il senso di benessere psico-fisico.
Nelle persone con diabete i vantaggi legati ad uno stile
di vita attivo sono ancor più evidenti: oltre ai benefici
metabolici, l’attività fisica aiuta a mantenere il sistema
muscolo-scheletrico in buono stato, a conservare una
buona coordinazione ed un buon equilibrio e certamente migliora lo stato emotivo e di tensione, molto spesso
messi a dura prova dalla convivenza con questa patologia cronica. Le persone con diabete devono avere una
particolare cura di sé e quando iniziano a praticare attivi-
tà fisica, dovrebbero essere accuratamente informate;
tutti i professionisti che si relazionano col paziente nella
gestione della sua patologia, dovrebbero aiutarlo nella
comprensione e nella gestione dell’argomento “attività
fisica e diabete”.
L’infermiere in particolare dovrà sottolineare l’importanza:
• del tipo di attività fisica da intraprendere (TIPO). Ci
sono sport che possono essere più rischiosi di altri per
il grado di impegno fisico richiesto e per il fatto di essere praticati in ambienti poco “protetti “ (immersioni
subacquee, paracadutismo, volo con deltaplano, alpinismo estremo, lotta libera, rugby, automobilismo e
motociclismo). In questi casi l’insorgenza di una crisi
ipoglicemica è più pericolosa che in circostanze normali e può essere rischiosa per la propria vita. Gli sport da
consigliare sono quelli che impongono un impegno
moderato, che il nostro corpo è capace di tollerare:
golf, nuoto, ciclismo, bocce, danza, tennis o anche più
semplicemente una bella camminata a piedi…ma a
passo veloce!
Non bisogna comunque dimenticare che il diabete, di
per sé, non preclude nessuna strada. Ci sono atleti diabetici che affrontano imprese sportive estreme grazie
al loro ottimo controllo metabolico e ad un attento e
frequente monitoraggio glicemico. Marco Peruffo è
una di queste persone; il 3 ottobre del 2002 ha conquistato la vetta del Cho Oyu alta ben 8201 m. La sua
autodisciplina ed il rigoroso controllo delle proprie
condizioni fisiche sono state indispensabili per non
mettere a rischio la propria vita.
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• del tempo da dedicare all’attività fisica (DURATA)
• del controllo delle glicemie in relazione alla pratica di
attività fisica (AUTOCONTROLLO GLICEMICO).
La persona che segue una terapia insulinica, dovrà essere accuratamente informata:
• sulle variazioni della sensibilità all’insulina legate
all’esercizio fisico (dopo aver effettuato attività fisica
c’è un aumento della sensibilità all’insulina che tende a
favorire il ripristino dei depositi di glicogeno; questo
fenomeno dura dalle 6 alle 12 ore dopo l’attività, ma
può persistere anche fino a 24-36 ore).
• sul modificato assorbimento dell’insulina dai siti di iniezione (è bene evitare le parti del corpo coinvolte direttamente nei movimenti, anche dopo la seduta;
l’aumento della temperatura dell’ambiente dove viene
praticata l’attività fisica, così come la consueta doccia
calda al termine degli esercizi, aumentano
l’assorbimento dell’insulina iniettata con rischio di ipoglicemia, mentre lavorare in ambiente freddo ne riduce
l’assorbimento con rischio di iperglicemie).
• sul timing dell’esercizio fisico ed il livello di insulinizzazione (per evitare le ipoglicemie è bene effettuare attività fisica dopo almeno 2-3 ore dall’iniezione di analogo rapido e, se si usa ancora l’insulina Regolare, dopo
almeno 4-5 ore dall’iniezione. L’orario migliore per
l’attività fisica è il primo mattino, la tarda mattinata o il
tardo pomeriggio; evitare quindi gli orari immediatamente post prandiali ).
• sulla relazione tra il trend glicemico delle ore precedenti l’attività fisica, lo schema insulinico adottato e la
risposta glicemica abituale e personale alla attività
fisica.
In particolare, la persona con diabete insulino-dipendente (DM tipo 1) secondo il “POSITION STATEMENT”
dell’American Diabetes Association, dovrebbe:
- evitare di effettuare attività fisica se la glicemia è
> a 250 mg/dl ed è presente chetonuria
- fare attività con estrema cautela se la glicemia >
300 mg/dl, in assenza di chetonuria
- introdurre una quota extra di carboidrati se livelli
<100 mg/dl
Sarebbe opportuno controllare la glicemia capillare
costantemente 60’, 30’ e 10’ prima dell’esercizio e se si
evidenziasse una glicemia “in discesa”, sarebbe opportuno sospendere momentaneamente l’esercizio ed assumere carboidrati a rapido assorbimento. Se si rilevasse un
valore > 300 e in rapida salita, anche in assenza di chetoni, sarebbe indicato sospendere momentaneamente
l’esercizio e praticare una piccola dose di insulina regolare o di analogo.
Infine è bene sempre consigliare un opportuno equipaggiamento:
• scarpe comode ed adatte all’attività fisica praticata
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Call to action
• Stimolare l’infermiere nell’ambito del team diabetologico, nel suo potenziale ruolo di educatore
• Preparare e istruire gli infermieri perché diventino
capaci di progettare efficacemente il percorso educativo del paziente con diabete: informare, istruire e collaborare attivamente con il paziente nella gestione “diabete-vita quotidiana”, sono azioni determinanti per
migliorare la partecipazione attiva del paziente nel suo
piano terapeutico
Angela Ghidelli
Past-president OSDI
• calzini di cotone senza cuciture per evitare lesioni cutanee
• borraccia dell’acqua per mantenere una buona idratazione
• cappellino per il sole/pioggia
• carboidrati a lento/rapido assorbimento per l’eventuale
necessità di correggere la glicemia
• glucometro completo
Conclusioni
Nel team diabetologico il ruolo dell’infermiere è essenziale nel progettare e mettere in atto un efficace percorso
educativo da proporre alla persona con diabete, che
abbia la finalità di rendere il paziente capace, prima di
autocontrollarsi e poi di autogestirsi. La creazione di un
rapporto di fiducia e di collaborazione fra paziente e
infermiere, basato su un reciproco scambio di informazioni, consentirà al paziente di partecipare attivamente
alla gestione terapeutica della sua condizione.
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Il ruolo dell’intervento psicologico nell’obesità e nel diabete di tipo II
Premessa
L’obesità ed il diabete comportano seri rischi non solo per
la salute, aumentando la probabilità di una mortalità precoce ma, da un punto di vista psicologico, anche per la
qualità della vita, per la bassa stima di sé, per maggiori
sintomi depressivi, disturbi somatici e per maggiori difficoltà psicosociali associate al peso ed alla discriminazione (Tyler et al., 2007; Anderson et al., 2001; Zeller &
Modi, 2006; Must et al., 1999). Ricerche hanno messo in
luce che l’obesità non è necessariamente legata a tratti
psicopatologici, ma che i ripetuti fallimenti nei tentativi di
perdere del peso e le difficoltà a livello delle relazioni
interpersonali legate all’eccesso ponderale possano incidere significativamente sull’autostima delle persone;
inoltre, il tipo di forma dell’obesità varia a seconda della
struttura di personalità del soggetto (Molinari,
Ragazzoni, Morosin, 1997).
Sono, infatti, generalmente meno conosciuti i rischi psicopatologici che possono essere presenti insieme all’obesità ed al diabete, area di ricerca in crescita negli ultimi
decenni (Ma & Xiao, 2010). La depressione, in particolare, è uno dei disturbi più frequenti e, come l’obesità e il
diabete, contribuisce sostanzialmente alla morbilità ed
alla mortalità (Chapman et al., 2005). L’obesità e la
depressione hanno in comune non solo le complicazione
per la salute, quali i disturbi cardiovascolari ed il diabete,
ma vi sono prove empiriche di effetti sinergici negativi
sulla qualità della vita e sulla risposta al trattamento
quando i due disturbi coesistono (Ladwig et al., 2006;
Werrij et al. 2006; Gariepy et al., 2010). Sulla stessa linea
sono gli studi su soggetti diabetici: una meta-analisi su
42 ricerche ha dimostrato che l’11,4% dei pazienti con
diabete risponde anche ai criteri di comorbilità con la
depressione maggiore ed il 31% ha significativi sintomi
depressivi (Anderson et al., 2001). Le ricerche hanno
confermato che pazienti con diabete e depressione
hanno una peggiore adesione ai trattamenti con conseguenti peggiori esiti clinici (Gonzalez et al. 2007). Le
ricerche hanno dunque messo in luce una forte associazione tra aspetti psicologici, obesità e/o diabete, e risposta al trattamento. Inoltre, come evidenziano Bosello e
Cuzzolaro “..il disegno di una dieta è un intervento che
non sarebbe inesatto definire psicoterapeutico perché è
62
diretto a modificare durevolmente abitudini, tradizioni,
stili di vita, processi mentali, equilibri familiari e sociali,
cioè fenomeni ed economie di ordine psichico” (Bosello
et al., 2006, pag. 107), configurandosi quindi come un
intervento che, quando è ben attuato, coinvolge inevitabilmente fattori psicologici, di tipo affettivo e cognitivo.
Un elemento essenziale per l’efficacia dell’intervento
sullo stile di vita è la motivazione al cambiamento del
paziente. Molti pazienti, infatti, portano spesso con sé
una lunga storia di tentativi di dimagrire attuati facendo
ricorso a diete alimentari restrittive con conseguenti vissuti di fallimento; affinché l’intervento possa incidere
sullo stile di vita, in cui la perdita di peso si configura più
come una conseguenza che come un obiettivo primario,
è indispensabile il coinvolgimento attivo del paziente nel
trattamento, un lavoro sulle motivazioni al cambiamento
ed una maggiore responsabilizzazione rispetto all’agognato cambiamento ponderale, troppo spesso delegato
ad un agente esterno che dovrebbe intervenire quasi
magicamente.
Situazione attuale
Come evidenziato dai dati di ricerca e dalle linee-guida
più recenti, la modalità di intervento che il centro
C.U.R.I.A.MO. (Centro Universitario di Ricerca
Interdipartimentale sull’Attività Motoria) adotta nel trattamento riabilitativo dell’obesità e del diabete di tipo II è
un team approach multidisciplinare, che prevede la presenza e l’integrazione del lavoro di differenti figure professionali. Tale modello di intervento è in linea con una
lettura dell’eziopatogenesi del disagio e della patologia
come bio-psico-sociale, in cui interagiscono cioè fattori
biologici, psicologici e ambientali. All’interno del lavoro di
equipe, ai fini dell’efficacia intervento, sono necessari una
integrazione delle differenti competenze e una chiarezza
dei differenti ruoli e confini professionali.
Si illustrano di seguito le specifiche modalità di intervento psicologico-clinico all’interno del più ampio progetto
del C.U.R.I.A.MO. Date le diversità delle caratteristiche
psicologiche e di intervento presenti nelle diverse fasi del
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ciclo di vita, l’intervento psicologico all’interno del Centro
distingue due modalità di intervento per l’età adulta e per
l’età evolutiva, che saranno di seguito riportate.
L’intervento psicologico in età adulta prevede
un’articolazione del lavoro in due fasi:
– colloquio psico-motivazionale e di valutazione del
rischio psicopatologico: previsto nella fase iniziale della presa in carico del paziente, è volto a promuovere la
partecipazione attiva del paziente al percorso; obiettivo primario è dunque la messa a fuoco della compliance terapeutica e delle motivazioni al cambiamento
attraverso anche la comprensione delle aspettative di
successo rispetto al percorso riabilitativo (Molinari &
Riva, 2004). Il colloquio psico-motivazionale costituisce
inoltre una fase iniziale di assessment che si propone
di individuare i pazienti maggiormente a rischio di
drop-out, avvalendosi anche di test psicologici. Gli
strumenti psicometrici diretti utilizzati, sono volti ad
indagare le seguenti aree:
• questionari specifici per i disturbi del comportamento alimentare
• questionari di valutazione psico-patologica
• questionari per la valutazione della qualità della vita
• questionari per la valutazione dell’immagine del
corpo
• questionari per la valutazione della qualità della
relazione con altri significativi
– Counselling psicologico: per i soggetti a rischio individuati nel colloquio, e per coloro che ne fanno richiesta,
è previsto un lavoro di counselling psicologico, che può
essere svolto sia in setting individuale sia gruppale
Possiamo brevemente sintetizzare gli obiettivi dell’intervento psicologico all’interno del Centro C.U.R.I.A.M.O in:
– assessment psicologico attraverso i dati clinici del colloquio ed i questionari psicologici
– individuazione dei pazienti obesi maggiormente vulnerabili sul piano psicologico e/o psicopatologico
– aumento della compliance terapeutica, attraverso
l’esplorazione delle motivazioni al cambiamento
– verifica dell’efficacia del più ampio intervento multidisciplinare attraverso i follow-up periodici
– eventuale Counselling psicologico
Tabella 1. Strumenti per gli adulti
Strumenti
Breve descrizione
BUT - Body Uneasiness Test
Valutazione psicometrica del disagio relativo all’immagine del proprio corpo
(Cuzzolaro et al., 2000)
EDI-3 – Eating Disorder
Inventory
Rilevazione clinica della sintomatologia
associata ai disturbi alimentari (Garner,
2004)
BES - Binge Eating Scale
Diretto alla valutazione del comportamento alimentare e, in particolare, del
sintomo abbuffate compulsive (Gormally
et al., 1982)
SCL-90, R - Symptom Check
List – Revised
Valuta il grado e la qualità della sofferenza psicologica attraverso la misura sia
degli aspetti sintomatologici specifici sia
di quelli riguardanti la valutazione globale dello stato psicopatologico del paziente (Derogatis, 1983).
CES-D - Center for
Epidemiologic Studies
Depression Scale
Strumento epidemiologico relativo alla
depressione, particolarmente adatto per
valutare i sintomi depressivi in pazienti
affetti da disturbi somatici (Locke &
Putman, 1981)
STAI – 1 e 2 - State-Trait
Anxiety Inventory
Finalizzato alla rilevazione e misurazione
dell'ansia sia per finalità di tipo psicodiagnostico, sia per verificare l'efficacia e i
benefici della psicoterapia (Spielberger et
al., 1989)
MCMI-III - Millon Clinical
Multiaxial Inventory-III
Finalizzato alla valutazione della personalità, permette un inquadramento diagnostico rispetto all'Asse II del DSM-IV.
Fornisce inoltre indicazioni su stili di personalità particolarmente rigidi e disadattivi, misura alcune sindromi cliniche
dell'Asse I e l’eventuale presenza di sindromi cliniche particolarmente invalidanti o gravi (Millon, 1996)
SF-36 – Short Form of Health
Survey Questionnaire (SF-36)
Valuta il livello di attività e la sensazione
di benessere della persona (Ware, 1993)
CISS - Coping Inventory for
Stressful Situations
Misura aspetti multidimensionali del
coping (Endler & Parker, 1990)
RAQ - Reciprocal Attachment
Questionnaire
Rileva i modelli di attaccamento con altri
significativi presenti almeno negli ultimi 6
mesi (West & Sheldon-Keller, 1992).
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L’intervento in età evolutiva si differenzia dall’intervento
in età adulta per un insieme di fattori. Come riportato in
letteratura, anche per l’età evolutiva il modello etiopatogenetico multifattoriale, in cui interagiscono fattori biologici, psicologici e sociali, è quello più adatto per comprendere l’insorgenza dell’obesità. Per quanto riguarda
l’età evolutiva, l’approccio del C.U.R.I.A.M.O. parte dal
presupposto dell’esistenza di differenti dinamiche sottostanti all’obesità nelle differenti età dello sviluppo: infanzia, preadolescenza e adolescenza. Da una analisi della
letteratura (Molinari, 2005) si riconosce infatti come per
l’obesità infantile occorra un’attenzione maggiormente
centrata sui fattori di rischio (es.: relazione madre-bambino), aspetti familiari e conseguenze psicosociali, mentre per l’obesità adolescenziale prevalentemente sulle
caratteristiche di personalità e dell’immagine del corpo.
Nell’età adolescenziale, quando non è presente una precedente storia di sovrappeso infantile, sono in primo
piano i significati psicologici, emotivi e cognitivi, connessi ai cambiamenti corporei legati all’avviarsi di un processo di individuazione dal contesto familiare. Assumono un
ruolo più centrale le dinamiche individuali del ragazzo/a
obeso. L’importanza del ruolo della famiglia sul sovrappeso dei figli è emerso anche in un recente studio metaanalitico, che si è posto l’obiettivo di analizzare le ricerche riguardanti gli interventi sullo stile di vita in età evolutiva al fine di ottenere fruttuose indicazioni che costituissero un ponte tra la ricerca e la clinica (Kitzmann et
al., 2010). Dallo studio meta-analitico, che ha esaminato
ricerche pubblicate tra il 1965 ed il 2004, sono emersi
dati incoraggianti sull’efficacia e sull’efficienza degli
interventi sullo stile di vita in soggetti in sovrappeso in
età evolutiva; in particolare, è emerso come gli esiti siano
migliori nei programmi che prevedono un attivo coinvolgimento dei genitori.
Alla luce di quanto riportato, all’interno del più ampio
progetto del C.U.R.I.A.M.O., l’intervento psicologico in
età evolutiva prevede il coinvolgimento dei genitori, ed è
così articolato:
– colloqui psico-motivazionali e valutativi sul rischio psicopatologico:
1. colloquio con il minore: volto alla comprensione
del vissuto soggettivo dell’obesità e ad una storicizza64
zione del sintomo nella vita del soggetto, accanto alla
comprensione del ruolo del minore nella richiesta di
aiuto al Centro e della sua motivazione al cambiamento. Vengono inoltre compilati questionari adeguati
all’età che riguardano la personalità e le tematiche
specifiche della disturbo;
2. colloquio con i genitori: accanto alla raccolta di
dati anamnestici utili per la comprensione della natura del sovrappeso nel figlio (es. età di insorgenza; relazione con il cibo dall’infanzia; eventuali eventi stressanti e variazioni repentine di peso), il colloquio è finalizzato ad un coinvolgimento attivo dei genitori nell’intervento sullo stile di vita, affinché tale intervento non
si configuri come una delega dei genitori ad altri, ma
come un’occasione di condivisione e collaborazione.
Accanto al colloquio clinico, vengono utilizzati strumenti diagnostici volti a comprendere le caratteristiche delle relazioni familiari;
3. Colloquio congiunto genitori e figlio: volto alla
condivisione di alcune tematiche emerse nei colloqui
precedenti pertinenti la partecipazione al progetto del
C.U.R.I.A.M.O. e, principalmente, atto a fondare una
compliance terapeutica che permetta ai membri della
famiglia di sentirsi agenti attivi nel progetto di cambiamento dello stile di vita.
– Counselling psicologico: per i minori e famiglie a
rischio e per coloro che ne fanno richiesta è previsto
un lavoro di counselling psicologico.
Tabella 2. Strumenti per i genitori
Strumenti
Breve descrizione
FAM-III GENERAL SCALE
Misura i punti di forza e di debolezza
familiari, (Skinner, Steinhauer & SantaBarbara, 1984)
RAQ - Reciprocal Attachment
Questionnaire
Rileva i modelli di attaccamento con altri
significativi presenti almeno negli ultimi 6
mesi (West & Sheldon-Keller, 1992).
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Tabella 3. Strumenti per l’età evolutiva
Strumenti
Breve descrizione
EDI-3 – Eating Disorder
Inventory
Rilevazione clinica della sintomatologia
associata ai disturbi alimentari (Garner,
2004)
BUT - Body Uneasiness Test
Valutazione psicometrica del disagio relativo all’immagine del proprio corpo
(Cuzzolaro et al., 2000)
SCL-90, R - Symptom Check
List – Revised
Valuta il grado e la qualità della sofferenza psicologica attraverso la misura sia
degli aspetti sintomatologici specifici sia
di quelli riguardanti la valutazione globale dello stato psicopatologico del paziente (Derogatis, 1983).
L’obesità è oggi una malattia cronica da prevenire e curare attraverso il ricorso al lavoro di équipe ed il coinvolgimento attivo del paziente.
Il paziente deve essere posto al centro del progetto di
cambiamento del suo stile di vita, mediante il suo coinvolgimento attivo nella presa in carico del problema in
un’ottica di collaborazione con l’equipe degli esperti
Uno stile di vita non salutare è il prodotto di una molteplicità di fattori in larga parte mediati dai fattori personali (ICF) del funzionamento di ciascun paziente.
Call to action
• Ai fini dell’efficacia dell’intervento sull’obesità e sul
diabete è fondamentale adottare un modello multidimensionale, che preveda la presenza e l’integrazione
del lavoro di differenti figure professionali
FAM-III GENERAL SCALE
Misura i punti di forza e di debolezza
familiari (Skinner, Steinhauer & SantaBarbara, 1984)
FAM-III SELF - REPORT
Rileva come la persona valuta il proprio
funzionamento all’interno della famiglia
(Skinner, Steinhauer & Santa-Barbara,
1984)
• Affinché l’intervento possa incidere sullo stile di vita, è
indispensabile il coinvolgimento attivo del paziente nel
trattamento attraverso un lavoro sulle motivazioni al
cambiamento
RAQ - Reciprocal Attachment
Questionnaire
Rileva i modelli di attaccamento con altri
significativi presenti almeno negli ultimi 6
mesi (West & Sheldon-Keller, 1992).
• Negli interventi sull’età evolutiva, accanto al lavoro sul
bambino/ragazzo è importante anche il coinvolgimento del contesto familiare, che costituisce lo scenario
all’interno del quale l’obesità si è sviluppata
Conclusioni
Le cause maggiormente note dell’obesità e del sovrappeso sono frequentemente espressione di uno stile di vita
non corretto, che comporta stress, un’alimentazione sregolata e una ridotta attività fisica
Anche nel nostro paese l’obesità è in costante crescita, gli
obesi sono circa il 10% della popolazione adulta ed il
15% di quella infantile con una notevole rilevanza clinica
e sociale. Ciò comporta una questione sanitaria difficile,
alla luce dei fattori etiopatogenetici coinvolti: genetici,
biologici, ambientali, cognitivi, affettivi, relazionali e comportamentali) e delle gravi complicanze ad essa associate
(Carrubba, 2004).
• È importante tenere conto dell’associazione tra aspetti
psicologici e obesità e/o diabete anche per una buona
risposta al trattamento
• L’utilizzo di strumenti psicometrici permette di valutare
non solo le caratteristiche dei pazienti obesi e/o diabetici, ma anche di progettare un intervento calibrato sui
reali bisogni degli utenti
• L’utilizzo di strumenti consente di verificare l’efficacia
dell’intervento attuato insieme al paziente
Claudia Mazzeschi*, Chiara Pazzagli*,
Loredana Laghezza* e Dalila Battistini**
*Dipartimento di Scienze Umane e della Formazione
**C.U.R.I.A.M.O
Università di Perugia
65
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Pagina 66
Bibliografia:
1. Anderson RJ, Freedland KE, Clouse RE, Lustman PJ. The
prevalence of comorbid depression in adults with diabetes:
a meta-analysis. Diabetes Care. 2001 Jun; 24(6):1069-78.
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L'educazione terapeutica e la motivazione
L'educazione terapeutica nella gestione del diabete e dell'obesità
Premessa
Alcuni anni fa, coerenti con l’approccio razionalistico che
ha informato la nostra stessa educazione, ci siamo avvicinati all’educazione dei pazienti (ETP) fornendo fatti,
spiegazioni e addestramento, convinti di indurre così le
persone con diabete e/o obesità ad adottare le nuove
abitudini richieste per un trattamento efficace della loro
condizione. Oggi siamo ben consapevoli che adottare
uno stile di vita salutare – come mangiare meno e
meglio, o svolgere attività fisica quotidiana – dipende più
dalla motivazione interna al cambiamento che non dalle
competenze acquisite. Questa consapevolezza ha portato a una rivoluzione nell’ETP, con la motivazione e l’autodeterminazione dei pazienti poste ormai in primo piano,
e le informazioni e la pratica – pur sempre indispensabili
– offerti “a richiesta” piuttosto che “imposti”.
Situazione attuale
Come evidenziato in una recente revisione della letteratura (1), l’ETP ha adottato numerosi modelli basati sulla
scienza del comportamento per comprendere e facilitare
il cambiamento, come: il modello trans-teorico degli
stadi del cambiamento, il colloquio motivazionale, la
terapia cognitivo-comportamentale, l’approccio umanistico nella relazione d’aiuto, l’empowerment… Benché
molto diversi quanto a interventi suggeriti – che possono
variare dal totalmente non-direttivo al molto direttivo –
questi modelli hanno in comune alcuni aspetti: tutti riconoscono che la motivazione può solo venire dall’interno
del paziente e aspirano all’auto-determinazione di obiettivi e strategie; tutti raccomandano empatia, accettazione, un atteggiamento non-giudicante, e il non-uso di
discussioni o etichette da parte del personale sanitario;
tutti pongono alla base l’ascolto del paziente.
La nostra analisi, necessariamente parziale, dei risultati
pubblicati ha messo in evidenza luci e ombre degli
approcci più in voga. La terapia cognitivo-comportamentale, largamente usata negli ultimi venti anni nel trattamento dell’obesità, ha dato risultati più soddisfacenti nel
breve che nel medio-lungo periodo, con efficacia provata soltanto nella bulimia nervosa. Un rinforzo della sua
efficacia si è avuto in un caso con adolescenti obesi
affiancandole “l’avventura-terapia”, e in un altro caso
facendo seguire a 10 settimane di programma cognitivocomportamentale 10 settimane di contatto telefonico
quindicinale. Il modello trans-teorico degli stadi del cambiamento, tanto largamente accettato, è stato recentemente criticato per i suoi limiti concettuali ed empirici,
per mancanza di capacità predittiva e per l’assenza di
legami teorici con il colloquio motivazionale, che invece,
da parte sua, mostra forte compatibilità concettuale e
similitudini procedurali con la terapia cognitivo-comportamentale.
Gli interventi comportamentali sugli stili di vita appaiono
oggi i più promettenti. Rientrano in questo quadro alcuni progetti realizzati da diabetologi e pazienti insieme,
come “Io-muovo-la-mia-vita” e “Un passo dopo l’altro…
da un mare all’altro”, il progetto IDES e il progetto
Romeo (descritti in altre parti del Barometro), nonché lo
studio ICAN e il trial Look AHEAD, ancora in corso ma di
cui sono stati pubblicati gli ottimi risultati a 1 anno. Di
fatto al momento, la maggiore sfida è costituita dal mantenimento del calo ponderale, e gli studi che hanno
affrontato l’argomento hanno dato risultati variabili, da
modesti/transitori a soddisfacenti, per lo più grazie a un
follow-up pro-attivo.
Fino a pochi anni fa gli effetti reciproci fra qualità di vita
e calo ponderale sono stati poco studiati, con risultati
dubbi. Uno studio recente sul trattamento dell’obesità ha
mostrato un effetto positivo del calo ponderale sulla qualità di vita e sull’auto-stima, ma non l’effetto reciproco.
Come in altri campi della medicina, un approccio umanistico è stato auspicato anche nel campo dell’ETP e in particolare dell’educazione alimentare. L’approccio narrativo-autobiografico (descritto in altra parte del Barometro)
è stato da noi introdotto nell’ETP dal 2003 (2). La sua
integrazione con la tradizionale educazione all’autogestione del diabete nei campi-scuola per adolescenti ha
portato per molti a un aumento di auto-efficacia, maturità, accettazione della malattia e responsabilità nell’auto-gestione: tutti fattori contribuenti per definizione a
una migliore qualità di vita. L’introduzione dell’approccio
narrativo-autobiografico nell’ETP rappresenta un’at67
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tuazione concreta del modello bio-psico-sociale di cura
della cronicità, suggerendo che la complessità della
malattia può essere gestita grazie all’integrazione dello
sguardo narrativo con lo sguardo biomedico. L’ascolto
attento, empatico del paziente è alla base dell’attuale
approccio di cura centrato sul paziente. La scrittura di sé,
in quanto metodo facilmente esportabile e riproducibile
per favorire l’auto-espressione dei pazienti e la loro reciproca consapevolezza, appare come un mezzo particolarmente appropriato per realizzare una vera cura centrata sul paziente. Infatti essa pone la scrittura del paziente
“al centro” e questa diviene veicolo e contenitore della
relazione di cura, permettendo al curante di avvicinare in
sicurezza l’espressione di sentimenti anche dolorosi. Di
fatto l’approccio autobiografico può aiutare ogni individuo a dare un senso alla malattia, favorendo la motivazione interna al cambiamento.
Conclusioni
Per una cura efficace di diabete e obesità sono necessari
cambiamenti negli stili di vita del paziente, che
l’educazione terapeutica ha il compito di facilitare. Per
questo oggi la motivazione e l’auto-determinazione dei
pazienti hanno acquisito un ruolo di primo piano
nell’ETP. Per facilitare il cambiamento, gli operatori sanitari possono adottare numerosi approcci che, pur nella
loro diversità, concordano nel raccomandare empatia,
accettazione, un atteggiamento non-giudicante, e il nonuso di discussioni o etichette da parte del personale sanitario; tutti pongono alla base l’ascolto del paziente.
L’introduzione dell’approccio narrativo-autobiografico
nell’ETP rappresenta un’attuazione concreta del modello
bio-psico-sociale di cura della cronicità, suggerendo che
la complessità della malattia può essere gestita grazie
all’integrazione dello sguardo narrativo con lo sguardo
biomedico.
Call to action
• Per curare efficacemente le persone con diabete o obesità, gli operatori sanitari devono acquisire competenze relazionali mediante una formazione specifica
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• Le strutture sanitarie devono fornire i tempi e gli spazi
organizzativi per un’ETP strutturata, fondata su
un’approccio bio-psico-sociale alla malattia cronica
• L’approccio narrativo-autobiografico realizzato in
gruppo è un metodo efficace ed efficiente per la formazione, così dei pazienti, come del personale sanitario
Aldo Maldonato
Dipartimento delle Scienze Cliniche,
Università La Sapienza di Roma
Bibliografia
1. Maldonato A, Piana N, Bloise D, et Al. Optimizing patient
education for people with obesity: Possible use of the autobiographical approach. Patient Educ Couns 2010; 79: 287290.
2. Piana N, Maldonato A, Bloise D, et Al. The narrative-autobiographical approach in the group education of adolescents
with diabetes: A qualitative research on its effects. Patient
Educ Couns 2010, 80: 56-63.
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Pagina 69
Il Counseling Individuale
Premessa
Dal latino consulere cioè riflettere, provvedere, il counseling è una forma di consulenza il cui scopo terapeutico è
quello di sostenere l’individuo nella decisione, favorendo
una visione realistica di sé, delle proprie risorse e dei propri limiti, e infine dell’ambiente in cui si trova ad interagire.
Alla base di ogni forma di consulenza opera una relazione tra due o più termini, che si avvalgono della comunicazione, ovvero del rendere comune un qualcosa. Tale
comunicazione assume una valenza stra-ordinaria se di
fondo connotata da una capacità empatica, ovvero un
assetto recettivo di “colui che provvede” (il counselor) in
grado di sentire ciò che è nell’altro, oltre il proprio sè, pur
mantenendo la sua identità.
Situazione Attuale
Il paziente affetto da malattia cronica si confronta con un
cambiamento incisivo e permanente del suo stile di vita,
che inevitabilmente viene rivisto, ridefinito, ripensato.
Il counselor, in questo tipo di situazioni, può avere un
impatto decisivo sul vissuto da parte del paziente di una
situazione implicante nuove difficoltà e nuovi modi di
gestirle.
In un diabete di tipo 2, il paziente si misura con una
nuova situazione metabolica, che richiede la necessità di
cambiare uno stile di vita che probabilmente ha contribuito all’insorgere della patologia. La sedentarietà deve
essere messa in discussione davanti ad un corpo malato,
ed è sempre grazie ad un proporre valido del counselor
che una consapevolezza può essere acquisita.
Il provvedere ad uno stile di vita più attivo nel paziente
con diabete è reso possibile dal colloquio motivazionale
e da strategie volte a rendere il cambiamento duraturo
nel tempo. Il colloquio motivazionale si focalizza su moti
interiori fondamentali per il cambiamento del paziente:
- la presa di coscienza della situazione e dei vantaggi provenienti da una costante attività fisica, quindi un bilancio decisionale positivo che viene fatto in seguito ad
una valutazione dei pro e dei contro pensata attivamente dal paziente;
- la percezione dell’autoefficacia, quindi di un sentimen-
to di fiducia verso le risorse interne ed esterne disponibili al paziente. A tal fine risulta utile porre specifici
obiettivi di allenamento, alla portata del paziente, che
fungono da stimolo al miglioramento e da rinforzo
positivo;
- la ricerca del piacere come tendenza costante dell’essere umano. E’ attraverso esperienze anche gratificanti
che si accetta e si prosegue il cambiamento;
- promuovere situazioni che sostengano la persona
anche nei momenti di difficoltà, come ad esempio le
attività di gruppo dove si instaurano dinamiche di
appartenenza, di interdipendenza e di coesione. E’
importante, inoltre, che anche il gruppo-famiglia sia di
supporto nel cambiamento dell’individuo che attraversa una difficoltà;
- analizzare il livello di consapevolezza, ovvero quanto è
profondo il suo sapere di voler modificare una situazione altrimenti rischiosa, e quanto è forte e realistica le
percezione dei rischi;
- indagare la presenza/assenza di impedimenti, quindi
calarsi nella quotidianità della persona e capire quanto
ciò che è stato fino ad ora discusso trovi tempi e spazi
proponibili;
- favorire una compilazione scritta di adempimenti e
mancanze, tramite un diario che giochi da “testimone”
di un progetto.
Conclusioni
E’ importante assicurarsi che ogni momento motivazionale sia stato completamente assorbito e metabolizzato.
Diventa quindi indispensabile sostenere con altri colloqui
distanziati nel tempo la persona ed il suo vissuto, in
modo da rafforzare quanto già condiviso, e ridurre il
rischio di eventuali abbandoni del progetto.
Il counseling individuale può essere anche una prima fase
di intervento, che prosegue poi con una interazione di
gruppo, dove il counselor permette e facilita una rete di
relazioni aventi come obiettivo quello di far emergere e
di condividere una comune situazione di difficoltà, e di
consolidare la disponibilità al cambiamento.
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Call to action
Tabella 2. Obiettivi del counseling per l’attività fisica
• Affrontare un problema complesso richiede un intervento strutturato in diverse fasi. E’ necessario pertanto che vengano promossi modelli di intervento multidisciplinari, all’interno dei quali sia presente e adeguatamente valorizzato l’aspetto del counseling. Risulta
inoltre fondamentale favorire la formazione di figure
professionali che abbiano competenze specifiche di
counseling, ma che possano conoscere a sufficienza
anche gli altri aspetti dell’intervento, in modo da
garantire una complementarietà di più discipline applicate ad un’unica persona, tale da non rendere frammentario lo stato di necessità del paziente
Trasmettere al paziente l’importanza terapeutica che riveste la pratica dell’esercizio fisico;
Promuovere la fiducia del paziente sulla propria capacità di praticare
l’attività fisica;
Dare consigli pratici sul tipo di attività;
Facilitare l’individuazione di possibili compagni;
Capire se il paziente è cosciente dei benefici derivanti dalla pratica
dell’attività fisica;
Capire se esistono per il paziente impedimenti maggiori alla pratica
dell’attività fisica;
Chiedere la compilazione di un diario dell’attività fisica.
Tabella 1. Principali fattori che condizionano la pratica
dell’attivita fisica
Autostima
confidenza nella propria capacità di praticare
l’attività fisica
Piacere
derivante dalla pratica dell’attività fisica
Supporto
da parte di familiari, conoscenti e coetanei
Consapevolezza
dei benefici derivanti dalla pratica dell’attività
fisica
Assenza
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d’impedimenti maggiori alla pratica dell’attività
fisica
Dalila Battistini
C.U.R.I.A.Mo
Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale
Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia
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Il Counseling di gruppo
ROMEO: Ripensare l’Organizzazione
per Migliorare l’Educazione e gli Outcome.
Un nuovo modello clinico-educativo
ed assistenziale
Premessa
Il diabete è una malattia cronica che richiede, da parte
della persona che ne è affetta, l’acquisizione di nuove
condotte di salute e modifiche dello stile di vita. Si tratta
di attivare percorsi di apprendimento e cambiamento
affinché la persona con diabete possa ricostruire un personale benessere psicofisico pur in presenza di una malattia. Al contempo sono necessari nuovi modelli assistenziali in grado di offrire un’assistenza sanitaria continua ed
interventi di educazione ripetuti per prevenire le complicanze acute e ridurre il rischio di complicanze a lungo termine.
L’educazione diventa la chiave di volta, il ponte che può
unire le esigenze della singola persona a quelle cliniche
per un corretto trattamento: si tratta di mettere a punto
nuovi modelli di assistenza pensati per la persona che
deve apprendere ad adattarsi ad una malattia cronica
(Figura 1).
Situazione attuale
Nel 1996 è stato sviluppato e sperimentato un modello
clinico-pedagogico, “Group Care” (1,2) che prevede visite di educazione terapeutica per gruppi, con approccio di
tipo sistemico in alternativa alla tradizionale visita diabetologica individuale. Si è costruito un percorso clinicoeducativo ed assistenziale che si è dimostrato capace di
stabilizzare il compenso metabolico, migliorare la qualità
di vita e l’acquisizione di nuove condotte di salute.
Il percorso educativo utilizza un programma, descritto
all’interno di un manuale, che affronta argomenti importanti per la gestione del diabete: come individuare una
corretta alimentazione, come svolgere l’attività fisica,
come aver cura di sé in presenza del diabete, le complicanze e cosa fare per evitarle.
Gli argomenti sono trattati con metodologie di tipo interattivo; le persone con diabete sono coinvolte in un percorso di problem solving, lavori a piccoli gruppi, discussioni guidate, role playing. La persona viene aiutata a trovare le proprie personali soluzioni e l’esperienza diventa veicolo di formazione.
I piccoli gruppi sono gestiti da operatori formati al lavoro
di équipe, con capacità relazionali e di empatia sviluppate mediante formazione personale e supervisione pedagogica. Il lavoro attualmente si svolge all’interno del
Laboratorio di Pedagogia Clinica del Dipartimento di
Medicina Interna dell’Università di Torino (Figura 2).
Figura 1. Il materiale utilizzato nelle sedute della Group
Care è stato scritto insieme alle persone con diabete, utilizzando una terminologia semplice e immdediata
Figura 2. Laboratorio di Pedagogia Clinica. La strttura è
inserita nell’ambulatorio di diabetologia e ogni anno
sono svolte 1500-1800 visite
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Sulla base di queste considerazioni e dei risultati ottenuti
nel nostro centro con il modello della Group Care e dell’interesse dimostrato da alcuni Servizi di Diabetologia, è
stato pensato e sperimentato il trasferimento del metodo
di assistenza per gruppi, a 12 strutture diabetologiche italiane che si erano dichiarate disponibili a partecipare ad
uno studio multicentrico . Il progetto, denominato
ROMEO, acronimo di “Ripensare l’Organizzazione per
Migliorare l’Educazione e gli Outcome”, iniziato nel
dicembre ’99 e terminato nell’agosto del 2007, ha definito un percorso di trasferibilità e riproducibilità del modello della Group Care (2). Degli 815 pazienti arruolati nello
studio, 421 sono stati seguiti mediante Group Care e 394
mediante visite tradizionali. Al termine dello studio si è
dimostrato che i soli pazienti seguiti mediante la Group
Care migliorano il loro compenso metabolico, il colesterolo e i trigliceridi insieme alle conoscenze, qualità di vita
e capacità di gestire la malattia.
Figura 3. Elenco degli sperimentatori coinvolti nel progetto ROMEO
E. Ansaldi, F. Malvicino, M. Battezzati, P. Maresca, C. Cappa,
C. Palenzona, G. Rosti, Alessandria
L. Gentile, G. De Corrado, M Fernicola, R. Gambaudo, E Molina,
T.Miroglio, S. Poggio, E. Repetti, F. Rosso, P Viglione, Asti
G. Morone, F. Travaglino, Biella
A. Chiambretti, M Albertone, A. Birocco, MP Maritano,
E. Mularoni, R. Fornengo, D. Rolfo, Chivasso
S. Gamba, Ospedale Maria Vittoria, Torino
L. Mormile, P. De Murtas, AM. Ingaramo, A. Marchesini,
Ospedale Mauriziano,Torino
E. Orsi, F. Albani, L Giarratana, Milano
G. Corigliano, I.Vaccarella, Napoli
M. Patella, M Masin, G Sartore, R. Toniatto, R. Valentini,
A. Barison, D. Fedele, Padova
V. Miselli, P. Accorsi, U.Pagliani, Scandiano-Reggio Emilia
L. Tonutti, C. Boscariol, M. Armellini, R. Lesa, C Sartori,
C.Noacco, C.Taboga, Udine
L. Richiardi, S. Borla, AM. Ingaramo, Ospedale Valdese, Torino
Figura 4. Pazienti a Target nello studio ROMEO. Le barre in rosso equivalgono ai pazienti seguiti mediante Group Care,
in Blu quelli seguiti con approccio tradizionale
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Conclusioni
Bibliografia
Il progetto ROMEO è uno studio che ha fatto dell’intervento educativo, inserito nell’attività routinaria delle diabetologie, il punto di forza per favorire il cambiamento
nella persona. ROMEO, oltre ad essere uno studio clinico
e randomizzato, rappresenta il desiderio e l’entusiasmo di
molti operatori che cercano di individuare metodologie e
programmi assistenziali capaci di rispondere in modo
innovativo, sfruttando meglio le risorse disponibili, alle
molte esigenze dei cittadini con diabete.
1. M Trento, P Passera, E Borgo, M Tomalino, M Bajardi, F
Cavallo, M Porta. A 5-year randomized controlled study of
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Diabetes Care, 27, 670-675, 2004.
2. Trento M and ROMEO investigators. Romeo: Rethink
Oragnization To Improve Education And Outcomes. A
Multicentre Randomized Trial Of LIfestile Intervention By
Group Care To manage Type 2 Diabetes. Diabetes Care. 33,
745-747, 2010.
Call to action
• Le malattie croniche richiedono una organizzazione
dell’assistenza capace di aiutare le persone a migliorare aspetti clinici e qualità di vita
• Interventi educativi strutturati e inseriti nella routine clinica migliorano il compenso metabolico delle persone
con diabete
• La formazione degli operatori è essenziale per fornire
una adeguata assistenza alle persone con malattie croniche
Marina Trento
Psicopedagogista
Laboratorio di Pedagogia Clinica,
Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Torino
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L'autobiografia narrativa per la motivazione al cambiamento
Premessa
Situazione attuale
E’ ormai noto come il diabete e l’obesità siano malattie
dal forte impatto non solo fisico ma anche psicologico,
che richiedono alla persona coinvolta un cambiamento:
nello stile di vita, nelle abitudini quotidiane, nel modo di
affrontare e gestire la malattia, nella propria progettualità futura.
L’insorgenza della malattia, la sua essenza cronica, la
necessità di diventare da subito attori esperti della sua
gestione e del cambiamento, sono tutti fattori che generano, soprattutto all’inizio, grandi sofferenze e stress
emotivi che difficilmente trovano uno spazio per essere
elaborati e superati all’interno delle strutture istituzionalmente preposte alla cura. Se da decenni ormai, si parla di
educazione terapeutica come di un supporto pratico e
concreto per istruire i pazienti nella gestione e nella cura
della loro malattia, poco o niente è stato fatto fino a oggi
per aiutare e sostenere queste stesse persone nell’elaborazione interiore dei propri vissuti e delle emozioni legate alla malattia. Curare diabete e obesità significa anche
ascoltare i profondi disagi esistenziali che queste malattie portano con sé e che spesso diventano difficoltà e
resistenza al cambiamento e alla cura. E’ ormai noto
infatti, come nella gestione di una malattia cronica sia
altrettanto fondamentale prendersi cura dei significati e
dei vissuti soggettivi che la persona attribuisce alla sua
condizione e alla sua storia, e che proprio questa dimensione soggettiva influenzi e condizioni le modalità individuali di cambiamento e cura da cui dipende l’andamento
stesso della malattia.
Alla luce di queste considerazioni, negli ultimi anni la
narrazione e la scrittura di sé - quali strumenti pedagogici afferenti all’approccio narrativo-autobiografico – sono
entrati a pieno titolo nell’ambito dell’educazione terapeutica del paziente (1) proprio per offrire alle persone
uno spazio dove raccontare ed esprimere idee, opinioni,
emozioni, difficoltà legati alla propria storia di vita con il
diabete e/o l’obesità. In tal modo le narrazioni legate alla
malattia - che per lungo tempo restano dentro come
nodi critici, blocchi emotivi, pesi da portarsi addosso -,
possono trovare libertà d’espressione al di là di pregiudizi e discriminazioni, alleviando così la sofferenza e trasformando in nuove parole e nuovi racconti, la percezione e i significati che la persona attribuisce alla propria
storia.
Da un anno, presso il centro C.U.R.I.A.M.O. di Perugia
(Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale
Attività Motoria), grazie all’approccio narrativo-autobiografico i pazienti possono raccontare la loro esperienza e
aiutare anche noi operatori a capire meglio che cosa si
provi ad avere il diabete e/o essere obesi ed i disagi, le
sofferenze, le privazioni, le paure, che spesso non trovano ascolto e comprensione e che rappresentano la chiave da cui ripartire per aprirsi al cambiamento e a nuove
progettualità di sé.
Gli ostacoli al cambiamento e alla cura di sé:
l’incostanza - i dolori fisici - la poca fiducia in me - la poca
tenacia - la pigrizia - gli impegni di lavoro e della famiglia il rapporto ossessivo con il cibo - la passività - la poca autostima - l’essere debole
Il mio rapporto con l’attività fisica è:
zero - pessimo - conflittuale - di sacrificio - saltuario - ho
incominciato ad avere il fiatone facendo le scale - nei periodi oscuri vengo meno alla volontà - incubo ma non perché
non mi piace, anzi, vorrei farne e farne molta, ma non ce
la faccio. Faccio fatica a salire le scale, a correre con mio
figlio, forse con qualche chilo in meno sarebbe un piacere
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Parole e pensieri per l’obesità:
una condanna - una maledizione - un’ingiustizia sociale –
diversità - una colpa che non sento mia - difficile inserimento nei modelli della società di oggi - non trovarti a tuo agio
con te stesso – inadeguatezza - non sentirsi bene con gli
altri - guardare sempre se chi sta vicino è grasso o magro una malattia anche se non è considerata tale: chi è malato
è compreso, chi è obeso è deriso - è sempre stata per me
motivo di vergogna verso me stesso e verso gli altri - handicap fisico - effetto di una tossicodipendenza - mancanza
di carattere - una cosa che fa stare male dentro e fuori fatica e impedimento ai lavori quotidiani - un essermi
lasciata andare - un essermi dimenticata lo specchio - non
volersi bene un nemico da combattere per rinascere in un corpo nuovo
- difficile rapporto con il cibo - essere obesi vuol dire non
essere accettati da questa società fondata solo sull’immagine- rinuncia a uscire per paura di gente che ride - condiziona tutta la mia vita, le mie giornate, i miei interessi –
caos – disarmonia - un dolore sottile che ti pervade e ti
opacizza la vita - distruzione fisica, morale del proprio
corpo
Parole e pensieri per il diabete:
La fatica di ricordarsi di fare gli stick – disagio per i farmaci - l’emarginazione degli amici seduti a tavola con me - la
riflessione davanti a qualsiasi alimento - eseguire gli esami
per la glicemia durante la giornata quando sono fuori - fare
l’insulina - dover cambiare stile di vita - dover continuamente tenere la glicemia sotto controllo - pensare continuamente alle conseguenze - una malattia subdola - sentirsi diverso - paura delle complicanze - paura di morire - è
un pensiero fisso, un’ossessione - rinuncia a vivere serenamente - fine della libertà - privazione - depressione nel rapporto con gli altri -rinuncia ai piaceri della vita
Il rapporto con il mio corpo:
Il mio corpo non mi piace, ho grossi problemi nel muovermi con scioltezza, quando mi sento osservata mi sento giudicata – mi vedo terribilmente grassa e brutta – evito di
guardarmi allo specchio – odio, odio puro! Non lo amo e
mi rende più triste di quanto lo sia giornalmente guardarmi allo specchio. Ho vergogna di farmi vedere da altre persone – pessimo, ma non faccio nulla per cambiare, completa apatia – disordinato. Mi appartiene lo so, io lo guardo da
lontano come se non fosse mio e invece vivo dentro di lui
- Non esiste, mi guardo allo specchio giusto per pettinarmi.
La mia anima, i miei sentimenti, quella che sono io nel profondo è lontana anni luce dal mio corpo ma nessuno guarda dentro (tranne chi mi ama) e in mezzo alla gente vorrei
sparire
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Conclusioni
L’educazione del paziente alla gestione e alla cura della
sua malattia cronica non può prescindere dalla presa in
carico del vissuto psico-emotivo che la convivenza con la
cronicità comporta. La medicina e la tecnologia oggi ci
hanno messo a disposizione i mezzi migliori per garantire a una persona affetta da cronicità le migliori cure possibili, così come un futuro sereno. Ma ciò spesso non
basta a far sì che la persona si prenda cura di sé e si apra
al cambiamento del proprio stile di vita. E questa resistenza spesso è la conseguenza di un mondo emotivo
che accompagna l’esperienza della malattia fatto di dolore, disagio, negazione, vergogna, rabbia, incomprensione, solitudine. Emozioni che diventano barriere alla cura,
ostacolo al cambiamento.
A fronte di questo profondo disagio – fisico e psichico –
la narrazione e la scrittura di sé rappresentano validi strumenti di cura che valorizzano la storia di vita del paziente, l’incontro e lo scambio di esperienze e vissuti, la possibilità di riconoscersi nelle storie degli altri grazie a un
ascolto e un sostegno reciproco.
Il “gruppo” rappresenta il contesto privilegiato per
accompagnare la persona al racconto e alla scoperta di
sé, attraverso un movimento che da individuale e intimo
si apre alla coralità di un’esperienza e alla solidarietà
umana. E per capire, alla fine, che anche nella malattia
non si è mai soli e cambiare si può, a qualsiasi età e in
qualsiasi momento della propria vita.
Call to action
• Stimolare la coscienza collettiva sulla necessità di cambiare gli attuali modelli di cura della malattia cronica,
già riconosciuti insufficienti e inadeguati
• Investire maggiori risorse (spazi, mezzi finanziari, personale formato adeguatamente) nell’educazione terapeutica dei pazienti
• Implementare la diffusione di pratiche educative che
prevedano veri e propri spazi di supporto psico-pedagogico alla persona, a integrazione di momenti tecnici
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e informativi, cosicché i paradigmi scientifico e umanistico possano dialogare e cooperare per far fronte alla
complessità della malattia
Natalia Piana
C.U.R.I.A.Mo
Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività
Motoria, Università degli studi di Peugia
Bibliografia
1. N. Piana, A. Maldonato, D. Bloise, L. Carboni, G. Careddu, E.
Fraticelli, L. Mereu, G. Romani, “The narrative-autobiographical approach in the group education of adolescents with
diabetes: a qualitative research on its effects, Patient
Education and Counseling 2010, 80: 56-63.
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Modelli avanzati per l'uso dell'esercizio fisico
in diabetologia
Il C.U.R.I.A.MO.
Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività Motoria
Premessa
Il 6 luglio 2009 è stato siglato dai rappresentanti della
Regione Umbria e dell’Universita’ degli Studi di Perugia
(Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale
Attivita’ Motoria, C.U.R.I.A.MO.) un protocollo d’intesa
per la prevenzione del Diabete Mellito, dell’obesità e dell’ipertensione. L’articolo 2 del Protocollo d’Intesa stabilisce gli obiettivi del progetto C.U.R.I.A.MO:
1. Sviluppare programmi multisettoriali per contrastare
gli stili di vita non salutari (cattiva alimentazione, il
bere smoderatamente, il fumare, il non praticare attività motoria) che costituiscono fattori di rischio per
sviluppare malattie cardiovascolari e il diabete di tipo
2 o per enfatizzarne gli effetti negativi nel caso in cui
già si soffra di queste patologie;
2. Promuovere una cultura della prevenzione del diabete
mellito, dell’obesità, dell’ipertensione, delle vasculopatie arteriosclerotiche, dell’osteoporosi e dei processi associati all’invecchiamento, suggerendo i comportamenti più adeguati per un sano stile di vita, al fine di
evitare il ricorso a rimedi farmacologici e prevenire
l’insorgenza delle patologie o contenerne gli effetti;
3. Divulgare e diffondere i risultati della ricerca affinché
possa realizzarsi una crescita continua delle conoscenze anche al fine di attivare offerte formative finalizzate all’efficacia degli interventi di prevenzione nel contrastare l’insorgere delle patologie o nel contenerne
gli effetti;
4. Introdurre nei percorsi di diagnosi, di cura e di riabilitazione, specifici protocolli comportamentali basati
sulle prove di efficacia e efficienza dei risultati scientifici della presente ricerca, atti a ridurre i fattori di
rischio legati a stili di vita non salutari.
Situazione attuale
Il C.U.R.I.A.MO. ha definito un innovativo percorso multidisciplinare per la modifica dello stile di vita delle persone con obesità e diabete di tipo 2 (Figura 1, Tabella 2). Il
modello del C.U.R.I.A.MO. è stato disegnato per cercare
- con una serie di passaggi curati da figure professionali diverse e complementari - di fare allo stesso tempo una
valutazione clinica della patologia e promuovere i complessi aspetti psicologici che portano le persone sedentarie alla scelta di uno stile di vita salutare.
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Il percorso di modifica dello stile di vita del CURIAMO
Figura professionale
Obiettivo clinico
Obiettivo psicologico
Diabetologo
Stato patologia e complicanze
Autoconsapevolezza
Dietista
Correzione errori alimentari
Autoconsapevolezza
Specialista medicina sport
Valutazione forma fisica
Autoconsapevolezza
Psicologo
Motivazione al cambiamento
Bilancio decisionale
Laureato Scienze Motorie
Miglioramento forma fisica con sedute
in palestra
Autoefficacia, piacere
Pedagogista ed infermiere
educatore terapeutico
Formazione di gruppi di pazienti e figure
di pazienti leader
Dinamica positiva del gruppo
Organizzatore di attività all’aperto
e istruttore di Nordic Walking
Miglioramento forma fisica
con camminate all’aperto
Dinamica positiva di gruppo e ambiente
Tutte le figure insieme
Camminate in gruppo di 1-2 settimane
con mete stimolanti
Dinamica positiva di gruppo, ambiente e sfida
Diabetologo, specialista medicina
dello sport e, se necessario, altre
figure professionali
Visite di controllo a 3,6 e poi ogni
12 mesi con rivalutazione della terapia
e dello stato di patologia e di forma fisica
Rinforzo per l’adesione a lungo termine
Il percorso del paziente comincia con lo specialista di
patologia perché il paziente si aspetta la cura. Il diabetologo con il paziente esamina lo stato della patologia, le
eventuali complicanze, il rischio cardiovascolare ed aiuta
il paziente a capire quali sono le cause del diabete e quali
possono essere le soluzioni (presa di coscienza del possibile beneficio in termini di salute e benessere psicofisico
del cambiamento di stile di vita).
La dietista con il paziente esamina le abitudini alimentari, identifica gli errori alimentari e collabora con il paziente al quale, tramite tecniche di problem solving, sono
richieste strategie correttive, sostenibili a lungo termine
(presa di coscienza degli errori nutrizionali e della possibilità di miglioramento dell’alimentazione). Sono inoltre
organizzate 6 sessioni di educazione alimentare e del
laboratorio del gusto per piccoli gruppi, condotte da due
dietiste.
Il medico specialista in medicina dello sport mediante il
test al lattato con carichi crescenti su treadmill sub-mas78
simali valuta lo stato di forma fisica del soggetto e sottolinea il rapporto tra capacità aerobica e spettanza di vita.
Il paziente ha l’occasione di prendere coscienza del suo
stato di forma fisica e di visualizzare un possibile miglioramento grazie all’allenamento.
Lo psicologo aiuta il paziente nel processo di accettazione della patologia, nell’individuarne le cause e gli eventuali effetti emotivi e relazionali, favorendo uno spostamento decisionale del paziente verso uno stile di vita più
salutare in cui l’attività fisica e l’attenzione alla dieta non
sono delle costrizioni, ma scelte consapevoli e positive
che migliorano autostima e qualità di vita. I pazienti con
disturbi del comportamento alimentare sono indirizzati a
12 incontri di gruppo a termine, esperenziale mediano,
condotti da uno psicoterapeuta.
Il laureato in scienze motorie assiste il paziente nel suo
iniziale processo di cambiamento facendogli percepire il
piacere dell’attività motoria, di riscoprire il movimento e,
soprattutto, promuovendo la sensazione di autoefficacia
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del paziente e la visione delle nuove possibilità di cura e
di miglioramento fisico offerte dal cambiamento.
La pedagogista interviene dopo le prime sedute in palestra aggregando i pazienti in gruppi di 12-18 partecipanti nei quali, attraverso l’autobiografia narrativa, vengono
esteriorizzati i vissuti di patologia, descritti gli effetti e le
aspettative del cambiamento e promosso, sulla scia delle
dinamiche di gruppo, il prosieguo dell’attività fisica
anche dopo la fine delle sessioni in palestra.
L’operatore turistico eco ambientale raccoglie il lavoro
fatto dalle altre figure professionali aggiungendo il valore dello stimolo ambientale agli altri stimoli positivi intrinseci all’attività fisica di gruppo e promuove periodici
incontri per assicurare l’adesione a lungo termine al cambiamento.
Il percorso di cambiamento verso uno stile di vita salutare così organizzato è efficace se le figure professionali
preposte sono sensibili, attente e collaborano tra loro.
Per questo vengono tenute riunioni settimanali tra tutti
gli operatori per verificare in itinere la funzionalità dell’intervento e migliorarne l’efficacia.
Ad oggi, abbiamo a disposizione i risultati dell’intervento
di modifica dello stile di vita in 79 pazienti con diabete
tipo 2 e in 225 pazienti con obesità. L’analisi dei dati del
diabete di tipo 2 dimostra significativi benefici dell’intervento a distanza di 3 mesi dall’inizio. Si sono registrati
significative riduzioni della massa grassa (2,3 kg), della
pressione arteriosa (sistolica -15 mmHg, diastolica -7
mmHg) e l’incremento di 0,6 kg della massa muscolare,
una significativa riduzione della glicemia basale (30
mg%) e dell’emoglobina glicosilata (-0,75 %). Si è ridotto il rischio cardiovascolare ed è migliorata la capacità
aerobica, ad indicare una riduzione del rischio di morte
da tutte le cause.
Inoltre, i tests psicometrici dimostrano un netto miglioramento del tono dell’umore, dell’autostima e della qualità di vita.
Tutti i miglioramenti sopra elencati si sono associati con
una riduzione della spesa per farmaci e delle DDD (daily
defined doses) dei farmaci usati per la terapia del-diabete e dell’ipertensione.
Infine, il CURIAMO ha organizzato una serie di iniziative
per promuovere una cultura della prevenzione del diabete mellito, obesità, ipertensione e vasculopatie arteriosclerotiche e favorire comportamenti più adeguati per un
sano stile di vita e per divulgare e diffondere i risultati
della ricerca.
Conclusioni
Il CURIAMO rappresenta un vero e proprio laboratorio
sperimentale per identificare le strategie più efficaci di
miglioramento dello stile di vita delle persone con diabete e obesità. L’esperienza del modello di intervento nel
primo anno di attività, è particolarmente positiva per gli
operatori coinvolti e per i pazienti che sono stati trattati.
Si intravede dai risultati preliminari una nuova via terapeutica che oltre a migliorare lo stato di salute e la qua79
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lità della vita delle persone con diabete può comportare
significativi risparmi per i costi del SSN.
Una richiesta comune dei pazienti che terminano la fase
intensiva dell’intervento, a cui il CURIAMO non può
attualmente rispondere, è quella di poter continuare
l’esercizio terapia in ambiente supervisionato e in modo
strutturato.
Call to action
• È necessario produrre dati economici in termini di
costo/beneficio e costo/utilità dell’intervento che
potranno essere utilizzati dai decisori politici per valutare l’opportunità di istituire nel territorio dei centri
multidisciplinari sullo stile di vita
• È necessario un coordinamento tra il centro multidisciplinare ed il territorio per dare una continuità all’azione intensiva di modifica dello stile di vita. Una utilizzazione ottimale degli spazi nelle palestre pubbliche con
laureati di scienze motorie qualificati e consulenze
nutrizionali e psicologiche esterne potrebbe essere un
percorso da sperimentare
• È necessario verificare a lungo termine gli effetti dell’intervento di modifica dello stile di vita sulle persone con
diabete mellito di tipo 2
Pierpaolo De Feo
C.U.R.I.A.MO.
Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale
Attività Motoria, Università degli Studi di Perugia
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Il CRAMD
Centro Studi e Ricerche per l’Attività Motoria nel Diabete
Premessa
Il Centro Studi e Ricerche per l’Attività Motoria nel
Diabete nasce a Catania nell’aprile 2002 in seguito alla
necessità di individuare strumenti e giuste sinergie fra
metabolismo, medicina dello sport e scienze motorie. Il
suo obiettivo primario è il corretto studio dell’Attività
Fisica nel Diabete e nell’Obesità come strumento indispensabile di terapia, per l’identificazione di percorsi idonei di avviamento all’attività motoria per persone con diabete o obese.
Il primo atto è stata la convenzione fra il CRAMD ed il
Cus Catania, passaggio importante e significativo come
base operativa iniziale per l’accesso dei diabetici all’attività motoria. La professionalità e l’accoglienza in un
ambiente istituzionalmente giovane, sono stati così elemento di attrazione per l’accesso dei “ragazzi” con diabete ed obesità agli attrezzatissimi impianti sportivi che il
Cus Catania, ha messo a disposizione (palestre, sala
attrezzi, piste, ambulatori, aule, attrezzature varie) insieme al know-how tecnico-sportivo per i diabetici, i team
diabetologici e i tecnici.
Situazione attuale
Al CRAMD ogni giorno Diabetici di tipo 1 e di tipo 2 curano il wellness metabolico con sedute di allenamento specifiche sotto la direzione di medici diabetologi e dello
sport, psicologi e laureati in Scienze Motorie appositamente formati. Tutto ciò grazie all’avviamento di un piano
di sviluppo che ha coinvolto medici, tecnici e diabetici.
Attività per i medici
Numerose le iniziative per gli specialisti del settore con
Convegni di aggiornamento e corsi pratici (Corsi
Nazionali avanzati su Diabete e Attività fisica ospitati nel
prestigioso Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana
di Erice, Meeting Internazionale su Diabete e Attività
Fisica, Corsi pratici per Specialisti di diabetologia e per
Medici di Medicina Generale)
Attività per i tecnici
Sono di routine Corsi annuali per Laureati in Scienze
Motorie in collaborazione con l’omonimo Corso di Laurea
dell’Università di Catania (regolarmente accreditati),
Seminari scientifici e Corsi di aggiornamento che formano giovani esperti di movimento e metabolismo.
Attività per i diabetici
Attività interne al Cus Catania
L’accesso dei diabetici agli impianti del Cus Catania è ottimizzato attraverso una modulistica distribuita in tutte le
strutture sanitarie che permette di raccogliere informazioni su diabetici e obesi. Vengono costituiti così gruppi
omogenei in base ad età, tipo di diabete, terapia ed eventuali complicanze presenti. Al primo incontro si stabilisce
un piano di lavoro che ha la durata di tre mesi, al termine
dei quali viene rilasciata una certificazione sulle attività
svolte (a firma di medici, specialisti del movimento e psicologi) che ogni diabetico consegna poi alla struttura specialistica di riferimento. In relazione ai risultati ottenuti e
all’adesione al trattamento viene eventualmente deciso
un periodo di lavoro di ulteriori tre mesi o un follow-up a
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Conclusioni
Il Centro Studi e Ricerche per l’Attività Motoria nel
Diabete, consolidandosi sempre di più nel territorio, rappresenta oggi un punto di riferimento importante per il
diabetico e l’obeso, con un modello facilmente esportabile e un’occasione di lavoro per le svariate figure professionali specifiche coinvolte. I prossimi obiettivi che il
CRAMD intende raggiungere riguardano il miglioramento della logistica. Ogni persona con diabete e/obesità che
volesse intraprendere un percorso di attività fisica potrà
recarsi nella struttura più vicina o più comoda, avendo la
certezza di trovare personale tecnico qualificato e specificatamente formato.
6-8 mesi con successivo intervento di sostegno o di rafforzamento. Tutte le persone con diabete, dopo attenta
analisi dei requisiti metabolici, fisici ed individuali e con
strategie mirate (counseling individuale e di gruppo) iniziano così un percorso d’accesso personalizzato.
Attività esterne al Cus Catania
Riguardano attività per diabetici di tipo 1 (Diabtrek: scalata alla vetta dell’Etna, Madonietrek: lungo i sentieri
montuosi delle Madonie) e diabetici di tipo 2 (percorsi di
fitwalking nelle splendide pinete dell’Etna e weekend formativi a mare). Inoltre il CRAMD ha concordato specifiche intese con piscine pubbliche e private già convenzionate con il Cus Catania per chi preferisce le attività di
acqua.
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Call to action
• L’esperienza positiva del CRAMD indica l’opportunità
di istituire collaborazioni attive tra centri diabetologici
e strutture sportive
• Aumentare le attività formative ed educazionali sull’impiego ottimale dell’esercizio fisico per la terapia e
prevenzione del diabete, coinvolgendo psicologi e laureati in scienze motorie
Maurizio Di Mauro
Presidente CRAMD
Centro Studi e Ricerche per l’Attività Motoria nel Diabete
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L'attività sportiva
Il ruolo dell'attività sportiva
Premessa
Numerosissime pubblicazioni scientifiche evidenziano
come il principale fattore di rischio di morte sia proprio la
ridotta capacità di esercizio, mostrando in alcuni casi che
l’incremento di un solo MET (un MET è l’unità di misura
del metabolismo e, convenzionalmente, corrisponde al
consumo di Ossigeno di 3,5 ml per kilogrammo di peso
corporeo per minuto [3,5 mlO2(kg*min)-1]) diminuisca
del 17% il rischio di mortalità in un gruppo di oltre 7000
donne (Gulati, Circulation, 2003).
L’attività fisica è da considerarsi quella medicina capace di
far guarire o di proteggere da alcune malattie, ma
dovrebbe essere svolta sotto controllo medico, sia per la
prescrizione di quella ideale che per la definizione del suo
dosaggio. Concetto indiscutibile quando si fa riferimento
a popolazioni in condizioni patologiche, in cui l’attività
sportiva va intesa proprio come sport-terapia, ma appropriato e facilmente intuibile anche quando si affrontano
condizioni fisiologiche: ad un bambino piccolo, verrà
proposta una attività sportiva rivolta al miglioramento del
suo sviluppo psico-fisico e non un’attività di sollevamento pesi!
Situazione attuale
Ma qual è, secondo le più recenti evidenze scientifiche, il
minimo di attività fisica necessaria per preservare e
migliorare la salute? Dal punto di vista calorico questo
potrebbe essere quantificato in una attività motoria che
comporti un dispendio energetico compreso tra 1000 e
2000 calorie a settimana; dal punto di vista pratico significa seguire un allenamento aerobico tre-cinque volte a
settimana di intensità moderata, per circa 30-60 minuti a
cui associare un allenamento muscolare semplice ed esercizi quotidiani di stretching.
L’allenamento aerobico deve svolgersi ad una intensità
che sia tra il 55-60 e l’80% del proprio massimale (inteso
come massimo consumo d’Ossigeno). Nel piano settimanale di lavoro, all’allenamento aerobico si dovrebbero
associare delle sedute di allenamento con piccoli pesi o
contro piccole resistenze, un allenamento cioè che agisce
maggiormente sulla periferia (ovvero sui muscoli) senza
indurre carichi troppo alti che potrebbero determinare
sovraccarichi funzionali ed essere quindi controindicati in
alcune patologie (ad esempio nell’ipertensione arteriosa).
Infine, ma non di minore importanza, andrebbe inserito
quotidianamente un esercizio di allungamento delle principali articolazioni (spalla, bacino e colonna) per contrastare la comune esperienza della perdita di flessibilità articolare, legata all’invecchiamento.
Quando la pratica sportiva è di tipo agonistico, non dobbiamo dimenticare che oltre agli effetti positivi legati alla
pratica dell’attività motoria, si vengono a creare condizioni e situazioni che pongono importanti sfide alla persona
(soprattutto se in presenza di condizioni patologiche
come il diabete) e ai professionisti che lo seguono. Se la
situazione ideale per il diabetologo è quella in cui il consumo di glucosio avviene ogni giorno in orari, quantità e
modalità prevedibili, come accade regolarmente con
l’assunzione di glucosio ai pasti principali e come è possibile realizzare se si svolgono attività ludiche, assai meno
“ideale” può essere quello che avviene con la pratica
agonistica. Gli orari degli incontri possono differire molto
anche da un giorno all’altro; gli allenamenti possono
essere diversamente intensificati in funzione della sua
programmazione; la partecipazione reale all’incontro (in
campo o in panchina) può essere decisa all’ultimo
momento.
Per affrontare queste situazioni sarebbe necessario avere
un paziente ‘modello’, ma non basterebbe! Occorre un
lavoro di gruppo che sappia affrontare, avvalendosi se
possibile dell’aiuto di un medico specialista in Medicina
dello Sport, l’entità dello sforzo, la misura in cui questo
sarà ‘finanziato’ dai tessuti muscolari attraverso carboidrati o acidi grassi liberi (generalmente il ricorso ai grassi
è inversamente proporzionale all’intensità). Un impegno
che si aggiunge alla necessità di calibrare con cura sia
l’equilibrio glicemico precedente all’attività sportiva, sia
quello nelle ore seguenti (in cui la ricostituzione delle
riserve di glucosio provoca una tendenziale ipoglicemia).
Non vi sono ad oggi impedimenti normativi o legali alla
pratica di attività fisica da parte della persona con diabete. Riprendendo la legge del 16 marzo 1987 n°115, la
malattia diabetica priva di complicanze invalidanti non
costituisce motivo ostativo al rilascio del certificato di idoneità fisica per la iscrizione nelle scuole di ogni ordine e
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grado, per lo svolgimento di attività sportive a carattere
non agonistico e per l’accesso ai posti di lavoro pubblico
e privato, salvo i casi per i quali si richiedano specifici, particolari requisiti attitudinali. Il comma 2 della legge precisa inoltre che, in caso di attività sportive agonistiche, il
certificato deve essere rilasciato previa presentazione di
una certificazione del medico diabetologo curante che
attesti lo stato di malattia diabetica compensata nonché
la condizione ottimale di autocontrollo e di terapia da
parte del soggetto diabetico.
Conclusioni
In generale, ed indipendentemente dalla tipologia del
soggetto, l’attività fisica è:
– capace di ridurre il rischio di incidente cardiovascolare
(infarto, ictus, ecc.) per il suo effetto diretto sul cuore
e sui vasi ma anche per il suo effetto indiretto su TUTTI i fattori di rischio cardiovascolare (riduce la pressione arteriosa a riposo, aiuta nel dimagrimento corporeo, aumenta il livello di colesterolo HDL, ecc);
– il più potente farmaco nel contrastare la sindrome
metabolica;
– essenziale nell’aumentare la tolleranza e l’utilizzo del
glucosio, riducendo il rischio di diabete di tipo 2 e
migliorando il trattamento con insulina, nel diabete di
tipo 1. Una seduta isolata di esercizio fisico può migliorare la captazione del glucosio anche per 16 ore; alcune settimane di allenamenti migliorano del 30% e per
lungo tempo la captazione insulino mediata.
In condizioni fisiologiche e soprattutto in presenza di
patologie metaboliche come il diabete, lo strumento attività motoria-sportiva può essere estremamente utile ed
efficace nel mantenere una condizione di benessere psico-fisico e nell’ottimizzazione della gestione terapeutica
di una patologia, senza dimenticare l’impatto positivo
che esso può avere sulla sfera psichica ed emotiva dell’atleta.
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Call to action
• Favorire una equilibrata attività sportiva per le persone
con diabete aumentando l’interazione tra specialisti in
medicina dello sport e diabetologi. L’obiettivo ideale è
il conseguimento di buoni risultati sportivi associato al
miglioramento del controllo glico-metabolico e dell’equilibrio psichico dell’atleta con diabete
Marcello Faina
Direttore dell’Istituto di Scienza dello Sport del Comitato
Olimpico Nazionale Italiano
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“SPORT E DIABETE: l'esperienza italiana e l'ANIAD”
Premessa
Il mondo dello sport e del diabete ha, in Italia, alcune
peculiarita’ ed originalita’ che non si riscontrano in altri
paesi. Dal 1991 esiste la Associazione Nazionale Italiana
Atleti Diabetici (ANIAD ONLUS) , unica fra le 220 associazioni aderenti all’IDF ad occuparsi esclusivamente della
diffusione dello sport, della formazione e sostegno degli
atleti con diabete, della promozione della salute attraverso l’attività’ fisica nelle persone con diabete.
Situazione attuale
L’ANIAD nasce da una precedente esperienza spontanea
regionale e ha avuto il merito di aggregare numerosi giovani che praticavano diverse discipline a buon livello fin
dagli anni ‘80, quasi sempre con il “fai da te” e spesso
“nascondendosi” rispetto al mondo ufficiale della diabetologia di allora, non sempre incline ad accettare e sostenere tali persone.
L’associazione ha creato in questi anni un network di opinioni ed attività fra gli atleti con diabete, contribuendo a
diffonderne la cultura, imponendo l’immagine dello sportivo diabetico consapevole, attento, capace di valutare
sempre il rapporto rischio beneficio e quindi modello da
seguire. Questo network di atleti diabetici, alcuni dei quali abili anche nel comunicare in modo corretto e convincente, è stato in questi venti anni di vita dell’A.N.I.A.D.,
in grado di promuovere la diffusione della cultura dello
sport fra i diabetologi e gli operatori sanitari ed ha contribuito a far maturare nel mondo della diabetologia la convinzione che bisognasse valorizzare l’attività fisica quale
importante mezzo di crescita e formazione della persona
con diabete oltre che di mantenimento della salute acquisendone le opportune conoscenze e metodologie applicative.
Dall’associazione, in modo talvolta organizzato talvolta
spontaneo, sono gemmati molti altri gruppi con particolare interesse per specifiche attività sportive quali, ad
esempio, l’A.D.I.Q. (Alpinisti Diabetici in Quota), esperti
di alta montagna che hanno conquistato numerose vette
anche superiori ad 8000 metri in Asia, Africa e SudAmerica. Il loro impegno sociale si esprime annualmente
nella organizzazione di una iniziativa, il“DiabTrek”, uno
stage di trekking di mezza montagna destinato a bambini con diabete tipo 1 e guidati oltre che da diabetologi
dagli stessi alpinisti con diabete. Questo rappresenta un
modello di comunicazione educativa eccellente e un
esempio di come il diabetico guida possa essere egli stesso promotore di salute nella comunità.
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Altri gruppi da ricordare sono il gruppo della squadra
nazionale di Basket e la squadra di calcio dell’A.N.I.A.D.
Entrambe più volte impegnate in incontri anche a livello
nazionale, hanno contribuito alla diffusione delle conoscenze di questa malattia e al miglioramento dell’immagine della persona con diabete, esibendosi spesso in
occasione delle manifestazioni a corollario della Giornata
Mondiale del Diabete. Il Gruppo Ciclismo & Diabete
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annovera alcune centinaia di aderenti ed organizza escursioni di fondo in Italia ed in Europa per promuovere le
conoscenze sul diabete nei media e aumentare le conoscenze personali degli aderenti sulla fisio-patologia dello
sport, sulla gestione dell’alimentazione e dell’insulina in
occasione degli incontri culturali che sempre si legano
all’evento sportivo.Il Gruppo Diabete No-Limits impegnato nel podismo di fondo (mezze maratone e maratone),
ed è dotato di un sito assai vivace ed interattivo dove
atleti con diabete discutono e condividonostrategie terapeutiche e comportamentali adottate durante tali gare.
Completano il quadro il Gruppo di Velisti e il neonato
gruppo in seno ad A.N.I.A.D dei praticanti il “Triathlon”.
Oltre a queste aggregazioni che rappresentano un bell’esempio di lavoro di gruppo, vanno segnate alcuni giovani che talora, attraverso un percorso complesso e talvolta doloroso di accettazione della propria malattia e
ricerca di un diabetologo che potesse sostenere le proprie
aspirazioni, hanno raggiunto obiettivi importanti e
mediaticamente rilevanti, contribuendo a proporre e a
diffondere questa immagine positiva di vitalità e benessere, educazione terapeutica e consapevole convivenza con
il diabete.
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Mi piace citare in particolare Monica Priore, prima donna
in Italia con diabete ad aver attraversato a nuoto lo
Stretto di Messina e Mauro Talini, maratoneta su due ruote protagonista di tantissime imprese di fondo (Tour dei
Santuari Europei, Capo Nord, Gerusalemme) che di
recente ha percorso circa 10.000 km in Sud-America raggiungendo la Terra del Fuoco per sostenere il bellissimo
progetto di solidarietà “Una bici mille speranze”, in collaborazione con la comunità di Padre Kolbe che raccoglie
fondi per la costruzione di una scuola per i bambini poveri di una favelas di San Paolo del Brasile.
Conclusioni
La pratica responsabile dello sport, oltre ai ben noti effetti benefici sul sistema cardiovascolare, obbliga ad effettuare un’autocontrollo glicemico costante e “ragionato”,
richiede una costante attenzione alle proprie scelte alimentari e una valutazione previsionale del dispendio
energetico e quindi del fabbisogno glicidico compensatorio; in altre parole, allena a gestire il diabete nel migliore
dei modi, in condizioni talvolta “estreme”, rappresentando una palestra di autogestione straordinaria anche nella
vita quotidiana.
La pratica regolare dell’attività sportiva in persone con
diabete sviluppa inoltre quelle caratteristiche tipiche dello sport come la lealtà, la disponibilità ad aiutare gli altri
e la valutazione del rapporto rischio-beneficio che sono
estremamente formativi nel processo di accettazione della malattia cronica ed, unitamente alle soddisfazioni sportive e alla costante percezione di una mantenuta condizione di salute, migliorano significativamente la qualità di
vita.
In questi venti anni di vita, l’A.N.I.A.D ha raggiunto
migliaia di giovani con diabete, ha partecipato a, ed ha
organizzato, centinaia di iniziative sportive, talora in collaborazione con altre associazioni, enti ed istituzioni, ed è
costantemente impegnata in questo processo virtuoso, i
cui attori fondamentali sono gli stessi atleti con diabete.
Rappresenta un mondo variegato “in movimento”, un
valore aggiunto nel panorama diabetologico italiano ed
un modello pedagogico “a piramide rovesciata” in cui gli
stimoli alla crescita culturale e sportiva nascono proprio
dalla e cioe’ dagli stessi atleti con diabete che ne sono i
destinatari per “contagiare” spesso gli stessi operatori
sanitari e le istituzioni.
Call to action
• Formare in modo strutturato, aderendo a progetti italiani e al progetto IDF, atleti diabetici che diventino
testimoni e diffusori della cultura di una sana attivita
fisica nel mondo della diabetologia
• Realizzare sul territorio il protocollo di cooperazione
già approvato dalla giunta del CONI per avvalersi del
reciproco know-how nel sostenere atleti con diabete
ed alfabetizzare alla conoscenza di essi istruttori di
educazione fisica ed allenatori
• Contribuire al recepimento e alla diffusione del manifesto dei diritti della persona con diabete in particolare
il capitolo che riguarda l’attivita fisica sul territorio della
regione Campania
Gerardo Corigliano
Responsabile Centro Diabetologico AID Napoli
Presidente ANIAD
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La Triade Terapeutica:
“Attività Motoria, Alimentazione e Farmaci”
b) Il ruolo dell'Educazione Alimentare
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L’alimentazione nella cura del Diabete
Premessa
La terapia nutrizionale del diabete mellito, associata ad
un regolare esercizio fisico ed eventualmente ad una idonea terapia farmacologica, è fondamentale per ottenere
un controllo metabolico ottimale e ridurre il rischio di sviluppo delle complicanze macro e microangiopatiche, nel
paziente diabetico sia tipo 1 che 2. Un intervento nutrizionale adeguato contribuisce al raggiungimento degli
obiettivi glicemici e migliora il profilo di rischio cardiovascolare, in quanto in grado di controllare anche le altre
alterazioni metaboliche frequentemente associate al diabete, quali insulino-resistenza, dislipidemia, ipertensione
arteriosa.
il 10 ed il 20 % delle calorie totali giornaliere, con
l’indicazione di non superare un apporto proteico di
0.8 g/kg di peso corporeo nei pazienti con diabete tipo
1 e nefropatia;
5) riduzione dell’apporto di sale (< 6 g al giorno);
6) moderato apporto di alcool (1 bicchiere nella donna e
2 nell’uomo al giorno) in assenza di controindicazioni
specifiche come ipertrigliceridemia, obesità e gravidanza.
L’implementazione pratica di queste raccomandazioni,
riassunte nella Tabella 1, non è affatto facile e necessita di
strumenti idonei. A tal proposito, i risultati ottenuti dallo
studio LOOK-AHEAD nei pazienti diabetici (3), così come
quelli ottenuti negli studi di prevenzione del diabete negli
Situazione attuale
Le linee guida per una corretta alimentazione del paziente diabetico (1,2) si basano su alcuni principi fondamentali quali:
1) mantenimento del peso corporeo per i pazienti normopeso o moderata riduzione ponderale, del 5-10 %,
per i pazienti in sovrappeso od obesi, necessaria anche
per il miglioramento della sensibilità insulinica la cui
alterazione è alla base del diabete tipo 2 e delle malattie cardiovascolari;
2) riduzione dell’apporto dei grassi saturi e dei grassi
trans al di sotto del 10% dell’apporto calorico totale
della dieta (o anche del 8 % in caso di elevati livelli di
colesterolo LDL) con preferenza, invece, degli acidi
grassi insaturi, in particolare dei monoinsaturi (che
dovrebbero costituire il 10-20 % dell’ apporto calorico
totale);
3) quota di carboidrati compresa tra il 45% ed il 60%
dell’energia totale, purchè derivi prevalentemente da
alimenti ricchi in fibre (cereali integrali, legumi, verdura e frutta) e/o a basso indice glicemico (pasta, riso
parboiled etc.). Il consumo di alimenti ricchi in fibre,
oltre ad avere effetti positivi metabolici (sul controllo
glicemico, sui livelli di colesterolo LDL) e sulla pressione arteriosa, ha anche il vantaggio di aumentare il senso di sazietà, facilitando nei soggetti obesi l’adesione
alla dieta ipocalorica;
4) quota proteica, sia di origine animale che vegetale, tra
Tabella 1. Raccomandazioni per la terapia nutrizionale
del diabete
Peso corporeo e
bilancio energetico
Per gli individui in sovrappeso od obesi, riduzione
dell’apporto calorico ed aumento del dispendio energetico, al fine di ottenere un accettabile decremento
ponderale (5-10% del peso)
Proteine
10-20% ET. DM tipo 1 con nefropatia: 0.8g/kg peso
ideale/die
Grassi saturi + trans
<10% ET, se colesterolo LDL elevato <8%
Grassi monoinsaturi cis 10-20% ET
Grassi Polinsaturi n-3
2-3 porzioni di pesce la settimana e vegetali ricchi in
n-3
Colesterolo
<300 mg/die
Carboidrati
45-60% ET in basa alle caratteristiche metaboliche
dei pazienti. Preferire alimenti a basso indice glicemico e/o ricchi in fibre
Indice Glicemico
Alimenti ricchi in carboidrati con basso indice glicemico dovrebbero essere preferiti quando le altre
caratteristiche nutrizionali sono appropriate
Fibre
40g/die (20g/1000 kcal) prevalentemente idrosolubili. Effetti benefici anche con quantità minori (più
accettabili). Tra i cereali, preferire quelli integrali e ricchi in fibre
Sale
Alcol
≤ 6g/die
Accettabile un consumo moderato: fino a 10 g nelle
donne e 20 g negli uomini (in assenza di altre patologie associate)
ET: energia totale giornaliera.
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individui a rischio (4), mostrano chiaramente che obiettivi importanti possono essere raggiunti solo tramite programmi intensivi di educazione effettuati da team multidisciplinari. Nello studio condotto nei pazienti diabetici, il
gruppo di pazienti assegnato all’“intensive care” nutrizionale (incontri individuali e di gruppo con medici, dietisti, psicologi, infermieri, preparatori atletici) ha ottenuto
una riduzione significativa del peso corporeo, un miglioramento del controllo glicemico e dei lipidi, una riduzione significativa della pressione arteriosa (Tabella 2). A
questi effetti favorevoli si è inoltre aggiunta una riduzione significativa dell’utilizzo dei farmaci, sia per il controllo del diabete che delle altre patologie ad esso associate,
con una conseguente diminuzione dei costi sanitari.
Tabella 2. Miglioramento del controllo glicemico, della
pressione arteriosa e dei lipidi plasmatici dopo un anno
di terapia nutrizionale intensiva (TNI) o standard (TNS) in
pazienti con diabete tipo 2
TNI
TNS
p value
-0.64±0.02
-0.14±0.02
<0.001
Pressione arteriosa
sistolica (mmHg)
-6.8±0.4
-2.8±0.3
<0.001
Pressione arteriosa
diastolica (mmHg)
-3.0±0.2
-1.8±0.2
<0.001
Colesterolo LDL
(mg/dl)
-5.2±0.6
-5.7±0.6
0.49
Colesterolo HDL
(mg/dl)
3.4±0.2
1.4±0.1
<0.001
-30.3±2.0
-14.6±1.8
<0.001
HbAIC (%)
Trigliceridi
(mg/dl)
mandazioni nutrizionali, uno per il paziente diabetico tipo
1 ed uno per quello con diabete tipo 2 (5,6), in cui viene
descritto un programma intensivo di educazione nutrizionale, standardizzato nella metodologia e nei contenuti,
che può essere utilizzato nella comune pratica clinica ed
anche nelle strutture in cui non sono presenti le specifiche figure professionali. Tale programma, basato su 6
incontri di gruppo (8-10 pazienti) in cui vengono trattati
diversi argomenti (riportati nelle tabelle 3 e 4) e su una
didattica completamente interattiva, è stato già utilizzato
Tabella 3. Argomenti del programma di educazione
nutrizionale nei soggetti con diabete tipo 2
1° Sessione
Bilancio energetico e peso corporeo: come si diventa
obesi/sovrappeso e perché perdere peso
2° Sessione
Bilancio energetico e peso corporeo: come perdere
peso incrementando il dispendio energetico
3° Sessione
Bilancio energetico e peso corporeo: come perdere
peso riducendo l’intake energetico della dieta
4° Sessione
Grassi: quantità e qualità
5° Sessione
Carboidrati: quantità e qualità
6° Sessione
Proteine, Sale, Alcol e modelli alimentari
Tabella 4. Argomenti del programma di educazione
nutrizionale nei soggetti con diabete tipo 1
1° Sessione
Bilancio energetico e peso corporeo: come si diventa
obesi e perché perdere peso
The Look AHEAD Research Group, Diabetes Care 2007
2° Sessione
Carboidrati: identificare gli alimenti ricchi in carboidrati, a basso indice glicemico e/o ricchi in fibre
La messa in pratica di programmi intensivi di educazione,
considerando la complessità, l’impegno di personale con
competenze specifiche e i costi di realizzazione, si scontra
ad oggi con un certo scetticismo nei confronti della reale
possibilità di inserirli nella comune pratica clinica. Proprio
per superare alcune di queste criticità, abbiamo recentemente prodotto 2 Manuali per l'attuazione delle racco-
3° Sessione
Carboidrati: come identificare i carboidrati presenti
negli alimenti e frazionarli nell’arco della giornata
4° Sessione
Carboidrati: come mantenere costante la quota dei
carboidrati della dieta
5° Sessione
Grassi: quantità e qualità
6° Sessione
Proteine, Sale, Alcol e modelli alimentari
Con riduzione significativa dell’uso dei farmaci
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in alcuni centri diabetologici italiani nell’ambito di uno
studio pilota, e ha dato risultati confortanti sia per la riduzione ponderale che per il controllo glicemico e degli altri
fattori di rischio cardiovascolare (7).
Conclusioni
L’importanza della terapia nutrizionale nel trattamento
del paziente diabetico si basa su solide evidenze scientifiche e la dieta da raccomandare al paziente diabetico non
è sostanzialmente diversa da quella da raccomandare alla
popolazione generale per la prevenzione dell’aterosclerosi. Essa si basa infatti sui principi di una sana alimentazione che valgono anche per la popolazione in generale; tali
principi devono essere adattati alla malattia di base e alle
esigenze del singolo paziente trovando, di volta in volta,
gli strumenti più adatti per una reale motivazione al cambiamento, unica possibilità per modificare in maniera
duratura il proprio stile di vita.
Call to action
• Effettuazione di corsi di educazione nutrizionale, standardizzati per metodologia, a livello degli ambulatori
per il trattamento del diabete
• Preparazione di messaggi nutrizionali adeguati per la
prevenzione ed il trattamento delle malattie cronicodegenerative e loro implementazione
• Effettuazione di corsi di educazione nutrizionale a
diversi livelli, scuole, ristorazione collettiva etc
• Effettuazione di menù adeguati a livello della ristorazione scolastica, aziendale, ospedaliera, dei ristoranti e
dei fast-foods
Bibliografia
1. Mann JI, De Leeuw I, Hermansen K, Karamanos B, Karlström
B, Katsilambros N,Riccardi G, Rivellese AA, Rizkalla S, Slama
G, Toeller M, Uusitupa M, Vessby B; Diabetes and Nutrition
Study Group (DNSG) of the European Association. Evidencebased nutritional approaches to the treatment and prevention of diabetes mellitus.Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2004
Dec;14(6):373-94.
2. Raccomandazioni nutrizionali basate sull’evidenza per la
terapia e la prevenzione del diabete mellito” del Diabetes
Nutrition Study Group (DNSG) dell’ European Association for
the Study of Diabetes (EASD). Il Diabete; 2005; 4:173-196
3. The Look AHEAD Research Group. Reduction in weight and
cardiovascular disease risk factors in individuals with type 2
diabetes. Diabetes Care 2007, 30: 1374-1383.
4. C.L. Gillies et al. “Pharmacological and lifestyle interventions
to prevent or delay type 2 diabetes in people with impaired
glucose tolerance: systematic review and meta-analysis”.
BMJ 10, 2007 : 299-334.
5. Rivellese AA, Bruttomesso D, De Natale C, Giacco A, Giacco
R, Giordano C, Pacioni D, Riccardi G, Saldalamacchia G, Tia
VN, Tomelini M, Trento M, Vitacolonna E. Incontri di educazione alimentare per l’implementazione delle raccomandazioni nutrizionali (pazienti diabetici tipo 2). Abbott
Diabetes Care.
6. Rivellese AA, Bruttomesso D, De Natale C, Giacco A, Giacco
R, Giordano C, Pacioni D, Riccardi G, Saldalamacchia G, Tia
VN, Tomelini M, Trento M, Vitacolonna E. Incontri di educazione alimentare per l’implementazione delle raccomandazioni nutrizionali (pazienti diabetici tipo 1). Abbott
Diabetes Care.
7. De Natale C e Rivellese A.A. a nome del Gruppo Educandia
Implementazione delle raccomandazioninutrizionali nei diabetici tipo 2 Il Giornale di AMD 2009,12:71-75.
Angela Rivellese
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
dell’Università Federico II di Napoli
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L’alimentazione nella cura dell’obesità
Premessa
L’alimentazione si delinea come lo strumento primario
per l’educazione finalizzata alla prevenzione e cura delle
malattie e, quindi, alla promozione ed al mantenimento
di un ottimale stato di salute.
Il miglioramento delle condizioni socio-economiche ha
purtroppo sconvolto discutibilmente le abitudini alimentari, facendo aumentare il trend delle patologie sociali,
caratterizzanti il nostro secolo ed in continuo aumento,
obesità in primis, senza più distinguo tra sessi, razze, classi sociali, fasce d’età.
L’obesità è una patologia cronica, complessa, multifattoriale, conseguente a fattori genetici o ambientali o dall’interazione di essi. Ma se c’è ampia intesa nel considerare
sovrappeso ed obesità come fattori in grado di compromettere lo stato di salute, molto più discusso è il loro trattamento.
La certezza è che falliti gli atteggiamenti proibizionistici
basati su dicktat e restrizioni, la terapia nutrizionale, non
tenendo in alcun conto l’aspetto pluridimensionale del
cibo e dell’atto di alimentarsi, è stata surclassata dall’educazione alimentare.
L’educazione alimentare, secondo la definizione proposta
dall’OMS e dalla FAO, è il processo informativo ed educativo per mezzo del quale si persegue il generale miglioramento dello stato di nutrizione degli individui, attraverso
la promozione di adeguate abitudini alimentari, l’eliminazione dei comportamenti alimentari non soddisfacenti, l’utilizzazione di manipolazioni più igieniche dei cibi
ed un uso efficiente delle risorse commestibili.
Situazione attuale
L’intervento dietoterapico, nelle persone sovrappeso e
obese mira a far acquisire o riacquisire abitudini alimentari sane e piacevoli e favorisce il raggiungimento e il
mantenimento di un appropriato controllo metabolico,
glucidico, lipidico e pressorio, e previene o ritarda lo sviluppo di altre patologie croniche associate (Tabella 1)1,2.
In studi effettuati in soggetti in sovrappeso od obesi, è
stato dimostrato come nel breve periodo il calo ponderale ed il controllo dei fattori di rischio cardiovascolari non
siano diversamente influenzati da diete a basso contenu92
Tabella 1. Obiettivi clinici nel trattamento del sovrappeso
e obesità
to glucidico o lipidico3. È necessario agire però con cautela nei soggetti che seguono diete a basso contenuto di
carboidrati, considerando che sono disponibili solo dati
nel breve periodo4. Analogamente, anche l’approccio
alternativo di diete a basso contenuto lipidico, non ha
ancora prodotto efficacia nel lungo termine5, anche se
tali diete facilitano il raggiungimento di un bilancio energetico negativo, e riducono ulteriormente il rischio cardiovascolare6.
Le persone obese devono ricevere, preferibilmente da un
medico nutrizionista o da un dietista esperto nel trattamento nutrizionale dell’obesità ed inserito nel team multidisciplinare, una terapia nutrizionale individualizzata
e basata sull’approccio educativo, al fine di raggiungere
obiettivi terapeutici che tengano in considerazione
le esigenze personali e la motivazione al cambiamento
(Tabella 2)7.
Nei soggetti in sovrappeso o con obesità, è necessario un
miglioramento qualitativo e quantitativo dell’alimentazione per ridurre l’introito calorico e indurre il calo ponderale. Tali graduali acquisizioni di modifica dello stile di vita,
insieme a strategie derivate dalla terapia cognitivo-comportamentale, sono le chiavi per mantenere a lungo ter-
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Tabella 2 e 4. La terapia integrata nutrizionale e comportamentale
mine i risultati ottenuti. Si dovrebbero, tramite un counseling nutrizionale specifico, fornire gli elementi di conoscenza utili a poter scegliere gli alimenti in modo consapevole e soprattutto, a costruire un piano alimentare
quotidiano bilanciato e piacevole (Tabella 4). A conferma
di ciò trials clinici hanno dimostrato che la combinazione
della terapia comportamentale con la moderata riduzione dell’apporto calorico (300-500 kcal/ die) ed il modesto
incremento del dispendio energetico (200- 300 kcal/die)
permettono un lento, progressivo, ma più efficace calo
ponderale (0,45-0,90 kg/settimana), rispetto a programmi che utilizzano una sola delle modalità descritte8.
Un’alimentazione equilibrata dal punto di vista quantitativo e qualitativo può incidere sulla riduzione del peso
corporeo del 8% in media e contribuire a ridurre il grasso
addominale nell’arco di sei mesi circa, caratterizzando la
perdita di peso a carico della massa grassa per il 75% e
del 25% di quella magra, con migliori conseguenti risultati di mantenimento.
Un’alimentazione naturalmente ricca in fibre vegetali, o a
basso contenuto di grassi, o di carboidrati, può essere efficace nel determinare un calo ponderale nel breve periodo9,
ma l’obiettivo del mantenimento a lungo termine è raggiungibile solo attraverso l’educazione ad una dieta ricca di
fibre provenienti da ortaggi, frutta, cereali non raffinati,
povera di grassi di origine animale e di zuccheri addiziona-
Tabella 3. Raccomandazioni per la terapia nutrizionale
dell’obesità
ti, come quella mediterranea, caratterizzata anche da alimenti capaci di indurre elevato senso di sazietà.
Da un punto di vista qualitativo, la scelta di alimenti a basso indice glicemico può rendere più efficace il trattamento influendo in modo positivo sull’andamento del peso,
della composizione corporea e dell’assetto lipidico10.
Occorre porre attenzione anche al consumo di alcool,
poiché fornisce calorie non necessarie, aumentando
l’introito energetico senza fornire i nutrienti essenziali,
tanto che il suo eccessivo consumo è risultato associato
all’obesità, sia in studi epidemiologici che sperimentali.
Una moderata introduzione di alcool, fino a 10 g/die nelle donne e 20 g/die negli uomini, potrebbe essere accettabile, fuorché nelle condizioni in cui è sempre sconsigliato, come in gravidanza e in caso di ipertrigliceridemia e
pancreatite11 (Tabella 3).
Conclusioni
Il trattamento nutrizionale dell’obesità è ancora oggetto di
numerosi studi che non hanno dato esito a lungo termine,
ma si è concordi sulla necessità di interventi integrati che
permettano il mantenimento ed il sostegno al paziente nel
lungo periodo, lavorando su obiettivi personali, realistici, e
mantenendo elevata la motivazione al cambiamento. Per
quanto riguarda l’alimentazione, oltre alla raccomandazione ad un adeguato controllo delle porzioni, qualitativa93
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mente si deve far riferimento alle linee guida per una sana
alimentazione nella popolazione italiana.
L’obiettivo principale, nel tempo, è quello di acquisire il
metodo migliore per poter ottimizzare la propria dieta
giornaliera, rispetto alla gestione del peso e alla propria
condizione di salute.
Call to action
Vista la complessità del trattamento delle patologie croniche come l’obesità e ancora la scarsa letteratura scientifica in merito, sono da tenere in considerazione due aspetti di fondamentale importanza:
• La effettuazione di trias clinici con follow-up a lungo
termine per la definizione di protocolli nutrizionali condivisi che promuovano abitudini e comportamenti alimentari salubri, non dettati dalle mode del momento,
utilizzando anche metodiche innovative (es. Nutri Plate
– Figura 1)
Figura 1. Nutri Plate è un piatto suddiviso in aree colorate, che rappresentano nei diversi spazi le tipologie di cibo
– e grosso modo le quantità – che dovrebbero essere previste ad ogni pasto, in modo da mangiare in modo corretto senza trascurare nessun nutriente.
• La necessità di una formazione specifica sul corretto
utilizzo del counseling nutrizionale e dell’educazione
terapeutica di gruppo e del singolo, condividendo il
lavoro e gli obiettivi in team multidisciplinari e multidimensionali
Daniela Capezzali, Chiara Perrone
Coordinatore degli insegnamenti tecnico-pratici e di Tirocini/
Tutor di tirocinio, Corso di Laurea in Dietistica
Università degli Studi di Perugia
94
Bibliografia
1. American Diabetes Association. Nutrition Recommendations
and Interventions for Diabetes - 2006. A Position Statement
of the American Diabetes Association. Diabetes Care
2008;31(Suppl 1):S61-S78.
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http://www.infodiabetes.it
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consequences of treatments for obesity and implications for
health improvement. Health Technol Assess. 2004
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4. Davis NJ, Tomuta N, Schechter C, Isasi CR, Segal-Isaacson CJ,
Stein D, Zonszein J, Wylie-Rosett J. Comparative Study of the
Effects of a 1‑Year Dietary Intervention of a LowCarbohydrate Diet Versus a Low-Fat Diet on Weight and
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Broom J, Jung RT, Smith WC. What interventions should we
add to weight reducing diets in adults with obesity? A systematic review of randomized controlled trials of adding drug
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Database of Systematic Reviews: reviews 2010 issue 3.
9. Klein S. Clinical trial experience with fat-restricted vs. carbohydrate-restricted weight-loss diets. Obes Res. 2004 Nov;12
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10.Thomas D., elliott EJ, Baur L. Low glyceamic index or low glyceamic load dotes for overweight and obesity. Cochrane
Database of Systematic Reviews: reviews 2009 issue 1.
11. American Dietetics Association Dietary Guidelines 2010.
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La Triade Terapeutica:
“Attività Motoria, Alimentazione e Farmaci”
c) Il ruolo della Terapia Farmacologica
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Inerzia terapeutica e memoria metabolica
Premessa
Una delle principali (se non la principale) cause che spiegano perché una elevata percentuale di soggetti con diabete mellito ancor oggi non raggiunge gli obiettivi desiderati in termini di compenso metabolico, è rappresentata dal fenomeno della “inerzia terapeutica”. Con questo
termine si intende comunemente l’atteggiamento del
medico che, pur consapevole del mancato raggiungimento degli obiettivi del trattamento di una determinata
patologia, evita di adottare misure idonee (1). Questo
atteggiamento può nascere da varie motivazioni, quali
poca convinzione sui reali vantaggi derivanti dal raggiungimento degli obiettivi, scarsa fiducia negli strumenti
disponibili per l’intervento o nella reale volontà del
paziente di utilizzarli a fronte dei sacrifici richiesti, ecc. Il
fenomeno dell’inerzia terapeutica coinvolge pressoché
tutte le patologie croniche ed è evidente anche nella
gestione del diabete mellito di tipo 2, sia nelle fasi precoci della malattia, quando cioè l’assenza di sintomi clinici
e la modesta entità del rialzo glicemico possono creare,
non solo nel paziente ma anche nel medico, la falsa
impressione di una condizione di scarsa importanza clinica, sia nelle fasi più tardive e in particolare quando si verifica il fallimento secondario degli ipoglicemizzanti orali.
Situazione attuale
Quasi tutti i soggetti con diabete di tipo 2, dopo un
periodo più o meno lungo di malattia, vanno incontro ad
un progressivo incremento dei valori glicemici nonostante utilizzino al meglio i farmaci orali, per un progressivo
esaurimento della residua capacità di produrre insulina
da parte del pancreas (2). Questa evenienza impone il
ricorso alla terapia insulinica iniettiva, evento che è molto
spesso visto come “una iattura” dal paziente, ma talora
anche dal medico, non sempre preparato nei confronti
delle obiettive difficoltà associate a questa terapia. Da
qui la tendenza a dilazionare nel tempo il passaggio alla
nuova terapia, su pressione del paziente e nella più o
meno recondita speranza/illusione che qualcosa nel frattempo cambi (“starò più attento alla dieta” è la tipica
giustificazione spesso fornita e prontamente accettata).
Le conseguenze di questo atteggiamento remissivo sono,
96
inevitabilmente, un periodo più o meno prolungato di
cattivo controllo della glicemia, con tutte le conseguenze
in termini di danni indotti da una glicemia elevata per
molto tempo su vasi, cuore, rene, retina, nervi, ecc.
Il problema dell’inerzia terapeutica assume oggi ulteriore
gravità alla luce delle evidenze che dimostrano che essa
penalizza soprattutto i soggetti con diabete alla diagnosi o nei primi anni della malattia, facendo perder loro il
beneficio della cosiddetta “memoria metabolica”. E’ già
noto da alcuni anni, sulla base dei risultati dello studio
DCCT, che i soggetti con diabete di tipo 1 che raggiungono sin dall’esordio della malattia un buon compenso
glicemico, anche a distanza di molti anni vanno meno
incontro alle complicanze croniche della malattia rispetto
a chi raggiunge questi risultati tardivamente (3). La stessa cosa è stata di recente dimostrata anche per il diabete di tipo 2, grazie ai dati del follow-up dello studio
UKPDS: i pazienti in trattamento intensivo sin dalla diagnosi di diabete, dopo 20 anni avevano meno complicanze microangiopatiche e cardiovascolari di chi all’inizio
praticava una terapia meno aggressiva ed aveva dunque
glicemia peggiore, anche se successivamente il suo compenso migliorava (4). Queste evidenze dimostrano che
l’impegno, da parte del paziente ma anche del medico,
Rappresentazione schematica dell’onere glicemico evitabile, passando da un atteggiamento inerte (o cauto) ad
uno proattivo (o aggressivo) (da: Ref. 2)
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per un buon controllo del diabete sin da subito dopo la
diagnosi pagherà i suoi frutti non solo nel breve ma
anche nel medio e nel lungo termine e ancor di più
dimostrano quanto sia sbagliato, soprattutto in questo
periodo iniziale della malattia, assumere un atteggiamento inerte.
Conclusioni
Cosa è possibile fare per risolvere il problema dell’inerzia
terapeutica? Certamente va migliorato il livello di preparazione dei medici nella gestione delle malattie croniche,
sia nella fase universitaria sia - soprattutto - in quella
post-universitaria, con aggiornamenti periodici sulle indicazioni delle linee-guida in merito agli obiettivi terapeutici e agli strumenti migliori per raggiungerli. Andrebbero
anche messi a disposizione dei sanitari strumenti di valutazione periodica della propria “performance” cioè dei
risultati ottenuti: più concretamente, potrebbero essere
inseriti nella pratica clinica dei “promemoria”, che possono assumere la forma di segnali di allerta computerizzati
nel caso di valori anomali (come una HbA1c sopra il target), oppure liste su cui spuntare gli interventi consigliati
per determinate situazioni cliniche o, ancora, semplici
fogli con gli elementi essenziali delle linee-guida e chiare
indicazioni su come e quando intervenire (2). Esistono
numerose evidenze che dimostrano che questi semplici
strumenti sono in grado di modificare un atteggiamento
“cauto” verso uno “proattivo” e quindi di ridurre il
danno conseguente all’inerzia terapeutica.
Bibliografia
1. Philips LS, et al: Clinical Inertia. Ann Intern Med 135: 825834, 2001.
2. Gruppo di Lavoro Intersocietario Associazione Medici
Diabetologi e Società Italiana di Diabetologia: Il fallimento
secondario degli ipoglicemizzanti orali nel diabete mellito
tipo 2: inquadramento fisiopatologico e approccio terapeutico. Il Diabete 20:57-81, 2008.
3. The Diabetes Control and Complications Trial/Epidemiology
of Diabetes Interventions and Complications (DCCT/EDIC)
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Cardiovascular Disease in Patients with Type 1 Diabetes. N.
Engl J Med 353: 26-43, 2005.
4. Holman RR, et al: 10-Year Follow-up of Intensive Glucose
Control in Type 2 Diabetes. N. Engl J Med 359: 1-12, 2008.
Call to action
• Attuare la diagnosi precoce del diabete tipo 2
• Attuare strumenti di verifica periodica dei risultati ottenuti in termini di compenso metabolico
• Coinvolgere la medicina generale nella gestione del
fallimento degli ipoglicemizzanti orali
Domenico Cucinotta
Dipartimento di Medicina Interna,
Università di Messina
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Nuovi farmaci
Premessa
Ad oggi, la diffusione del diabete nel mondo ha assunto
caratteristiche epidemiche. I pazienti con diabete tipo 2,
che rappresentano la maggior parte della popolazione
diabetica, sono caratterizzati da un aumentato rischio di
complicanze croniche e di morbilità e mortalità cardiovascolare. Un accurato trattamento dovrebbe quindi avere
come primo obiettivo la riduzione del rischio della complicanza cronica in funzione non solo del controllo glicemico, ma anche del ruolo di sovrappeso ed obesità (sempre più diffusi non solo in età adulta ma anche in età
pediatrica), della complessità dei meccanismi fisiopatologici del diabete e della rivisitazione degli algoritmi di trattamento e dei loro obiettivi terapeutici in base ai risultati dei più recenti studi di intervento nel diabete tipo 2.
Situazione attuale
Negli ultimi venti anni sono stati compiuti numerosi progressi nella comprensione della fisiopatologia del diabete tipo 2. Dall’ormai storico “triumvirato” caratterizzato
dal difetto beta-cellulare, insulino-resistenza ed aumentata produzione epatica di glucosio, si è giunti alla identificazione di almeno altri cinque meccanismi coinvolti
nello sviluppo e nella progressione della malattia e a
carico di altrettanti apparati: il tessuto adiposo, l’apparato gastrointestinale, l’alfa-cellula, il rene ed il sistema
nervoso centrale. I nuovi farmaci, quindi, sono stati e
saranno sviluppati con l’intento di correggere una o più
di queste alterazioni.
La scoperta dei recettori PPARs, fattori di trascrizione
genica capaci di regolare il metabolismo glucidico e lipidico, ha portato alla sintesi di agonisti noti come tiazolidinedioni (rosiglitazone e pioglitazone). Mediante
l’attivazione dei recettori PPAR-γ, essi esercitano una precipua azione sul tessuto adiposo, modificando il metabolismo lipidico e quindi quello glucidico per effetto di un
miglioramento della sensibilità. Dati pre-clinici e clinici
suggeriscono, inoltre, un effetto protettivo sulla funzione
beta-cellulare. Di contro, il trattamento con questi farmaci si associa ad un aumento del peso corporeo con una
ridistribuzione del tessuto adiposo a favore di quello
metabolicamente meno dannoso (tessuto adiposo sotto98
cutaneo). Oggetto di discussione rimane il possibile effetto sul sistema cardiovascolare. Un aumento del rischio di
insufficienza cardiaca è stato segnalato, mentre dubbio è
l’effetto di protezione vascolare che sembra più chiaro
per quanto riguarda il pioglitazone. I tiazolidinedioni
hanno un effetto specifico sui recettori PPAR-γ, mentre
un effetto specifico sui recettori PPAR-α è precipuo dei
fibrati. L’attivazione di PPAR-α aumenta l’ossidazione
degli acidi grassi a livello epatico e cardiaco con conseguente riduzione di VLDL e trigliceridi circolanti e miglioramento della sensibilità insulinica periferica. La ricerca
farmacologica si è quindi indirizzata sulla produzione di
molecole con azione agonista sinergica su PPARα/γ, i glitazar. Lo sviluppo di questi farmaci è stato rallentato da
poco chiari effetti cardiovascolari, anche se la ricerca ha
recentemente illustrato nuove potenzialità.
La novità principale in campo farmacologico degli ultimi
anni è certamente rappresentata dalla introduzione di
farmaci attivi sul sistema incretinico (analoghi del GLP-1
ed inibitori dell’enzima DPP-4). Questi farmaci sono disegnati per aumentare la disponibilità nel sistema di GLP-1,
un ormone normalmente secreto dall’intestino in concomitanza con l’assunzione di un pasto. Questo ormone ha
un potente effetto sulla secrezione di insulina ma viene
degradato nel giro di 1-2 minuti per effetto dell’enzima
dipeptidil-peptidasi-4. Al fine di aumentare la disponibilità dell’ormone a fini terapeutici, la molecola del GLP-1 è
stata manipolata per renderla resistente all’effetto dell’enzima (agonisti del recettore del GLP-1) o inibendo
l’enzima stesso (inibitori DPP-4). L’impiego di questi farmaci migliora la prima e la seconda fase della secrezione
insulinica riducendo anche la secrezione di glucagone
senza alterarne la risposta all’ipoglicemia. L’agonista del
recettore del GLP-1 svolge inoltre una riduzione dello
svuotamento gastrico, induzione della sazietà e discreto
calo ponderale. Attualmente, buoni risultati sono stati
ottenuti grazie all’Exenatide in doppia somministrazione,
mentre è da poco disponibile l’analogo del GLP-1
Liraglutide, dotato di più lunga emivita e quindi impiegabile con una sola somministrazione al giorno. I livelli più
costanti di GLP-1 ottenuti con liraglutide si traducono
anche in un maggiore effetto sulla glicemia a digiuno ed
una minore incidenza di nausea e vomito. Su questa strada di somministrazioni più diradate e nell’ottica di acqui-
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sire una maggiore aderenza alla terapia, sono in fase di
sviluppo analoghi del GLP-1 con somministrazione settimanale, bi-settimanale e, addirittura, mensile. Se queste
sono le più recenti acquisizioni della farmacopea nel
campo del trattamento del diabete, ed in particolare del
diabete tipo 2, il futuro appare ancora più ricco, con
molecole sempre progettate per correggere le specifiche
alterazioni responsabili dell'iperglicemia cronica. In quest’ottica, nuovi farmaci in grado di agire su tappe enzimatiche responsabili di delicati processi, come quelli che
governano la secrezione di insulina e l’azione di farmaci
iperglicemizzanti come il glucagone, sono in fase di attiva esplorazione. Ma la nuova classe di farmaci prossimi
venturi sembra essere quella che annovera gli inibitori del
GLUT-2 (Dapagliflozin, Sergliflozin etc.). Questo trasportatore è responsabile del riassorbimento del 90% del glucosio filtrato a livello del rene. La conseguente perdita
dell’eccesso di glucosio nelle urine oltre a ridurre i livelli
di glicemia sembra poter favorire il calo ponderale ed i
valori pressori.
Conclusioni
In definitiva, il diabete tipo 2 sta emergendo come una
patologia complessa, caratterizzata dalla coesistenza di
molteplici fattori patogenetici, ognuno dei quali può
essere un potenziale obiettivo farmacologico. A tutt'oggi è però improbabile che si possa identificare un unico
farmaco in grado di controllare non solo le alterazioni
della glicemia, ma anche le frequenti alterazioni metaboliche ed emodinamiche che si accumulano nel paziente
diabetico. Il trattamento farmacologico, se vuole essere
efficace, non può che basarsi su un attento uso combinato di più farmaci. Di certo, quale che sia il farmaco e/o
la combinazione di farmaci impiegati, la loro efficacia
sarà tanto maggiore ed il loro impiego tanto più sicuro
nella misura in cui essi non saranno la sola forma di trattamento. Il trattamento farmacologico deve infatti inserirsi in un programma terapeutico che veda sempre, alla
base, l’adozione di uno stile di vita salubre caratterizzato
dalla attenzione dietetica e dalla regolare attività fisica:
una norma che, diabetici e non diabetici, tutti dovrebbero seguire.
Farmaci tradizionali, nuovi e futuri per il trattamento del
diabete tipo 2
Call to action
• Promuovere attività formative e di aggiornamento del
personale medico sull’uso ottimale dei farmaci per la
cura del diabete
• Favorire gli studi sulle interazioni tra esercizio fisico e
farmaci usati per la cura del diabete
• Favorire gli studi di farmaco economia sugli effetti dell’esercizio fisico sull’assunzione dei farmaci usati per la
cura del diabete
Giuseppe Daniele, Stefano Del Prato
Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Sezione di
Malattie del Metabolismo e Diabetologia, Università di Pisa.
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Ipoglicemie e qualità della vita
Premessa
Le complicanze a lungo termine del diabete sono responsabili di un drammatico impatto sulla qualità di vita. Il
miglioramento del controllo metabolico rappresenta una
delle strategie più importanti per prevenire o ritardare lo
sviluppo di tali complicanze, come chiaramente dimostrato dallo studio DCCT per il diabete di tipo 1 e dall’UKPDS
per il diabete di tipo 2 (1,2). Tuttavia, gli sforzi terapeutici necessari a mantenere i valori di emoglobina glicata
entro i target raccomandati portano in molti casi ad un
aumentato rischio di ipoglicemie, soprattutto quando si
utilizzano farmaci secretagoghi o insulina.
Sebbene le ipoglicemie siano spesso considerate dai
medici un prezzo necessario da pagare al fine di raggiungere un adeguato controllo metabolico ed evitare le complicanze a lungo termine, esse rappresentano per il
paziente un’esperienza particolarmente stressante, che
può condizionare in modo importante la qualità di vita e
l’adesione alla terapia e agli stili di vita raccomandati.
Situazione Attuale
Il verificarsi di episodi di ipoglicemia ha un impatto negativo su molti aspetti della vita quotidiana, quali l’attività
lavorativa, la vita sociale, la guida, la pratica sportiva, le
attività del tempo libero, il sonno. Come conseguenza,
diversi studi hanno documentato che le persone che hanno avuto esperienza di ipoglicemie, specie se severe, tendono a riportare una peggiore qualità di vita e maggiori
preoccupazioni legate alla malattia. Ad esempio, in uno
studio italiano su 2.500 persone con diabete di tipo 2, la
frequenza percepita di episodi di ipoglicemia rappresentava un predittore indipendente di minore benessere
mentale e di peggiore percezione complessiva del proprio
stato di salute (3). Analogamente, uno studio canadese
ha documentato come la severità delle ipoglicemie abbia
un impatto su tutte le dimensioni di benessere fisico, psicologico e di funzionalità sociale esplorate con il questionario SF-36 (4). In un’altra inchiesta condotta negli Stati
Uniti fra pazienti trattati con ipoglicemizzanti orali, coloro che riferivano precedenti episodi di ipoglicemia riferivano maggiori limitazioni per quanto riguarda la mobilità
100
e le attività abituali, maggiori livelli di dolore/fastidi e più
alti livelli di ansia e depressione (5). Nell’ambito dello studio UKPDS, le persone con diabete di tipo 2 che avevano
avuto più di due episodi di ipoglicemia durante lo studio
presentavano più spesso problemi di affaticamento, tensione, depressione e rabbia, e risultavano più preoccupate per la loro vita in generale e per il loro diabete, quando confrontate con persone che non avevano avuto alcun
episodio di ipoglicemia (6). L’impatto negativo delle ipoglicemie è stato evidenziato anche in uno studio condotto in sette paesi europei (7). In questo studio, i pazienti
tendevano a riportare una qualità di vita tanto più bassa,
quanto più severi erano i sintomi di ipoglicemia riferiti.
Inoltre, i soggetti che avevano avuto ipoglicemie riferivano più spesso tremori, sudorazioni, fatica eccessiva, sonnolenza, difficoltà a concentrarsi, vertigini, senso di fame,
astenia e mal di testa.
L’esperienza di una ipoglicemia, specie se severa, rappresenta un evento traumatico per il paziente, generando
ansia e paure di successivi episodi, con un impatto negativo sulla qualità di vita (8). E’ stato evidenziato come le persone in trattamento per il diabete, specie se con insulina,
tendono ad essere più preoccupate per le ipoglicemie che
per le complicanze a lungo termine della malattia (9). Tale
preoccupazione è spesso responsabile di scarsa adesione
alle terapie (mancata assunzione del farmaco per evitare
l’ipoglicemia) o di comportamenti errati di compensazione (assunzione di cibi o bevande zuccherate per mantenere la glicemia a valori di sicurezza), determinando di fatto
un peggior controllo metabolico (10). In un’indagine fra
pazienti con diabete di tipo 1 e di tipo 2 trattati con insulina, circa un terzo degli intervistati dichiarava di avere
maggiore paura delle ipoglicemie dopo avere avuto un
episodio lieve/moderato, mentre fra quelli che avevano
avuto un episodio severo, due terzi dei soggetti con T1DM
e oltre l’80% di quelli con T2DM dichiaravano di avere più
paura (11). L’atteggiamento più frequente dopo un episodio di ipoglicemia era rappresentato da una riduzione di
propria iniziativa della dose di insulina.
Comportamenti compensatori errati sono molto frequenti fra gli adolescenti e i giovani adulti (12), ma anche fra i
genitori di bambini affetti da diabete (13), rendendo particolarmente difficile il raggiungimento dei target terapeutici stabiliti nelle fasce di età più giovani.
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La scelta di regimi terapeutici che riducono il rischio di
ipoglicemie può contribuire a ridurre i livelli di ansia e preoccupazione legati alla terapia. Ad esempio, nello studio
EQuality1, condotto in Italia su 1341 persone con diabete di tipo 1, il trattamento con microinfusore era associato a minori paure delle ipoglicemie ad una maggiore soddisfazione per il trattamento (14). Tuttavia, anche all’interno del gruppo di 470 pazienti trattati con microinfusore, l’esperienza nell’ultimo anno di più di un episodio di
ipoglicemia di associava ad un rischio doppio di peggiore
qualità di vita, valutata con il Daily Burden and
Restrictions score (15).
La paura o l’esperienza di ipoglicemie è risultata anche
associata a minore soddisfazione per il trattamento, a sua
volta responsabile di scarsa adesione alle raccomandazioni mediche. In un’indagine via internet condotta negli
Stati Uniti fra le persone in terapia con ipoglicemizzanti
orali, i sintomi dell’ipoglicemia rappresentavano il più frequente problema di tollerabilità del trattamento riferito
dagli intervistati ed era associato ad un significativo
aumento della probabilità di non aderire alla terapia (16).
In un’altra indagine via web, sempre fra soggetti in trattamento con ipoglicemizzanti orali, i pazienti che riferivano sintomi di ipoglicemia presentavano una peggiore
qualità di vita, una minore soddisfazione per il trattamento e maggiori preoccupazioni riguardo future ipoglicemie
(17). Analoghi risultati sono stati ottenuti nello studio
condotto in sette paesi europei precedentemente citato
(7): i pazienti che presentavano sintomi di ipoglicemia
mostravano minore soddisfazione per il trattamento e
riferivano più spesso barriere alla terapia, quali poca sicurezza riguardo le istruzioni ricevute, incapacità ad attenersi al piano terapeutico stabilito, maggiore fastidio per
gli effetti collaterali della terapia.
a lungo termine può essere compromessa dall’impatto
dell’assistenza sulla qualità di vita a breve termine.
Quest’ultima può essere migliorata grazie ad una maggiore attenzione agli aspetti rilevanti per il paziente e ad
una maggiore cura nel minimizzare gli effetti collaterali
dei trattamenti, oltre ad una migliore comunicazione e ad
un più attivo coinvolgimento della persona con diabete
nella gestione della malattia. La scelta di terapie che minimizzano il rischio di ipoglicemie, soprattutto nelle categorie di pazienti più vulnerabili, può pertanto rappresentare
un importante aspetto per garantire una maggiore accettabilità del trattamento ed una maggiore adesione, con
un risvolto positivo sulla qualità di vita e il rischio di complicanze a lungo termine.
Call to action
• Coinvolgere attivamente il paziente nelle scelte terapeutiche, ponendo una maggiore attenzione sugli
aspetti considerati più rilevanti dal paziente stesso, al
fine di migliorare l’accettabilità e l’adesione al trattamento
• Istruire i pazienti, in un processo di apprendimento attivo, a regolare la terapia ipoglicemizzante seguita,
anche sulla base dello stile di vita seguito: scelte alimentari e attività fisica svolta
Antonio Nicolucci
Dipartimento di Farmacologia Clinica ed Epidemiologia,
Consorzio Mario Negri Sud
Conclusioni
Il riconoscimento della qualità della vita come importante
mediatore fra decisioni cliniche e risultati è un passo fondamentale per migliorare l’assistenza nelle condizioni
croniche, delle quali il diabete rappresenta un caso
modello. Infatti, l’efficacia degli interventi volti a ridurre le
complicanze del diabete e a migliorare la qualità della vita
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Bibliografia
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Pagina 103
3. Le Strategie
Istituzionali e le
Iniziative Italiane
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Le strategie europee
Premessa
Se negli ultimi 40 anni, i paesi industrializzati, europei ed
extra-europei, hanno compiuto notevoli progressi nella
gestione delle malattie infettive-trasmissibili, ottenendo
una significativa riduzione della loro diffusione e della
mortalità, una nuova entità nosologica si è rapidamente
diffusa in tutto il mondo, arrivando a rappresentare una
vera emergenza sanitaria: si tratta delle “malattie non
trasmissibili” (MNT) o Non Communicable Diseases
(NCDs) - malattie cardiovascolari, tumori, malattie respiratorie croniche e diabete – ad oggi la principale causa di
morte prematura e di disabilità, nella maggior parte dei
paesi, sviluppati e in via di sviluppo.
Nella regione europea dell’OMS, le NCDs si confermano
la principale causa di morte; l’invecchiamento della popolazione, la globalizzazione degli scambi commerciali e di
marketing, la rapida urbanizzazione non pianificata, sono
responsabili dell’esplosione della diffusione di queste
patologie. Nel 2004 sono stati circa 8,1 milioni (pari
all’86% del numero totale) i decessi legati alle malattie
non trasmissibili; 1,5 milioni si sono verificati prima dei 60
anni di età e di questi, circa 1,1 milioni nei paesi a basso
e medio reddito. In assenza di adeguate e immediate
misure difensive, nel 2015 le NMCDs saranno la causa di
8,6 milioni di morti.
Numerose evidenze scientifiche dimostrano come queste
patologie siano ampiamente prevenibili e meglio gestibili
attraverso efficaci interventi rivolti al controllo di quattro
comuni e modificabili fattori di rischio: uso di tabacco, alimentazione scorretta, sedentarietà e consumo nocivo di
alcol.
Situazione attuale
Oggi tutti i paesi europei sono chiamati a proporre nuove
politiche e/o rafforzare gli attuali piani, per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili, come parte integrante del loro piano di sviluppo di salute nazionale e delle varie politiche pubbliche. Tutto ciò partendo da
due concetti fondamentali, la cui importanza è unanimamente riconosciuta.
Le malattie non trasmissibili sono una minaccia per
lo sviluppo e la sicurezza di tutti i paesi europei. Le
104
NCDs sono ormai divenute un carattere identificativo dello stato di sviluppo di ogni paese; nei paesi orientali della
regione europea dell’OMS, in cui gli ambienti sociali, economici e fisici sono definiti da una popolazione a basso e
medio reddito, si realizza una minore protezione dai rischi
causa delle NCDs e delle loro conseguenze, rispetto alla
parte occidentale della regione europea, in cui le popolazioni tendono a essere più protette da migliori condizioni
di vita e di lavoro e da interventi efficaci. Questo si traduce in un’ampia differenza nello stato di salute e nella distribuzione e incidenza sociale di malattie non trasmissibili,
tra i 53 paesi dell’Europa. Nei paesi più sviluppati, inoltre,
i recenti cambiamenti demografici e il conseguente invecchiamento della popolazione, hanno comunque determinato un’imponente esigenza di gestire le malattie non trasmissibili e la disabilità ad esse correlata, un peso economico crescente e una sfida capitale per i sistemi sanitari e
sociali, che devono necessariamente essere ricalibrati per
resistere alla crescente domanda di bisogni sanitari.
Le politiche nazionali riguardanti settori diversi da
quello sanitario, hanno un grosso peso nella gestione delle NCDs, perché interferiscono sui fattori di
rischio alla base dell’epidemica diffusione delle
malattie non trasmissibili e delle morti precoci.
Quasi il 60% della diffusione delle NCDs in Europa è
determinato da sette principali fattori di rischio: ipertensione, tabacco, alcol, colesterolo alto, sovrappeso, consumo insufficiente di frutta e verdura e inattività fisica.
L’inattività fisica, in particolare, insieme alle abitudini alimentari, rappresenta un’importante fattore causale nella
diffusione sia delle malattie non trasmissibili che dell’obesità. La reintroduzione dei livelli adeguati di attività fisica
costituisce ad oggi una grande sfida che non può essere
affrontata attraverso interventi tradizionali di promozione
della salute, ma richiede un approccio multisettoriale, con
politiche di intervento che controllino vari aspetti della
vita quotidiana. E’ essenziale il coinvolgimento dei diversi
settori del sistema sociale di ogni paese (l’agricoltura, il
commercio, la finanza, la fiscalità, la produzione alimentare, la produzione farmaceutica, l’industria, l’istruzione,
i trasporti e lo sviluppo urbano) e di tutti gli ambiti (lavorativo, scolastico e domestico), per controllare fattori di
rischio come la sedentarietà, il sovrappeso e l’obesità.
Negli ultimi anni i fautori delle politiche pubbliche nei
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paesi Europei hanno posto la prevenzione e il controllo
delle malattie non trasmissibili in prima linea fra gli sforzi
compiuti per migliorare la stato di salute delle popolazioni. Nel 2006 il Comitato Regionale per l’Europa
dell’OMS, ha adottato la Strategia europea per la
prevenzione e il controllo delle malattie croniche,
come potenziale modalità di intervento. A tal fine, il 31%
per cento degli Stati membri della regione europea
dell’OMS ha istituito un’unità - o un dipartimento - nell’ambito del Ministero della Salute, dedicato alle malattie
croniche, mentre il 28% sta realizzando un documento
politico, approvato a livello nazionale, per la prevenzione
e il controllo di malattie non trasmissibili. La strategia
europea per la prevenzione e il controllo delle NCDs
affonda le sue radici nella Strategia globale per la prevenzione e il controllo delle malattie croniche,
approvata dalla World Health Assembly nel 2000, che
ha focalizzato l’attenzione su quattro tipi di malattie croniche (malattie cardiovascolari, tumori, malattie respiratorie croniche e diabete) e quattro importanti fattori di
rischio (uso del tabacco, abuso di alcool, alimentazione
scorretta e sedentarietà), per meglio evidenziare le cause
più comuni di malattia e le possibili sinergie in materia di
prevenzione e di controllo. L’Assemblea Mondiale della
Sanità ha approvato la ‘Strategia globale su dieta,
attività fisica e salute’ a Maggio 2004 e nel 2008 ha
deliberato il Piano d’azione per la strategia globale per la
prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili
(Action Plan for the Global Strategy for the Prevention
and Control of NCDs). Allo stesso modo, a Maggio 2010
è approvata all’unanimità dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite la risoluzione, che sottolinea la necessità di un’azione concertata al fine di affrontare, gestire e
limitare le quattro malattie più importanti non trasmissibili e i fattori di rischio comuni ad esse legati. Ed è già stato fissato per settembre 2011, a New York, un meeting
(“High-level Meeting of the United Nations General
Assembly on the prevention and control of noncommunicable Diseases”), a cui parteciperanno i Capi di Stato e di
governo e che avrà come obiettivo quello di rafforzare le
azioni, a livello nazionale e globale, per fronteggiare
l’impatto socio-economico delle malattie non trasmissibili attraverso oculati approcci multisettoriali.
In conformità con il Piano d’azione per la strategia globa105
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le per la prevenzione e il controllo delle NMCDs, le politiche proposte dai paesi europei dovrebbero comprendere
e prevedere i tre seguenti aspetti:
1. Lo sviluppo di una programmazione nazionale,
multisettoriale, per la prevenzione e il controllo
delle NCDs. Questo include (i) l’istituzione di un sistema ad alto livello (nazionale e multisettoriale) atto a
pianificare, guidare, controllare e valutare la promulgazione di una politica nazionale che coinvolga effettivamente vari settori, oltre a quello sanitario; (ii) lo sviluppo e l’attuazione di una politica globale e di un piano per la prevenzione e il controllo delle NCDs e per la
riduzione dei fattori di rischio modificabili; (iii) una
legislazione, nonché politiche fiscali e di altro tipo, che
sia efficace nel ridurre i fattori di rischio modificabili e
i loro determinanti.
2. L’integrazione, nel piano sanitario nazionale,
della prevenzione e del controllo delle NCDs.
Questo include (i) l’istituzione di un’unità NCDs all’interno del Ministero della Sanità con organico adeguato e sufficientemente finanziato; (ii) la programmazione di una sorveglianza di alta qualità e di un sistema
di monitoraggio e (iii) l’integrazione, basata sull’evideza, di interventi di prevenzione primaria e secondaria
nel sistema sanitario, con particolare enfasi sulle cure
primarie.
3. Il rafforzamento dei sistemi sanitari, capaci così di
rispondere più efficacemente ed equamente ai bisogni sanitari delle persone affette da malattie non trasmissibili. È necessario pertanto (i) assicurare che
l’infrastruttura del sistema sanitario, sia nel settore
pubblico che privato, abbia gli elementi necessari per
la gestione e la cura delle malattie croniche, (ii) attuare e monitorare modalità di screening per l’individuazione precoce di patologie come: cancro al seno
e al collo dell’utero, ipertensione e altri fattori di
rischio cardiovascolare, (iii) aiutare le persone affette
da NCDs a gestire le proprie condizioni, ottimizzando
la loro educazione, gli incentivi e gli strumenti rivolti
all’autogestione e alla cura (iv) sviluppare meccanismi
di finanziamento della sanità, sostenibili, al fine di
ridurre le disuguaglianze nell’accesso a cure sanitarie.
106
Conclusioni
Nei paesi dell’Unione Europea, soprattutto nei paesi
orientali, una persona su cinque fa poca o nessuna attività fisica e i due terzi della popolazione adulta non raggiungono i livelli raccomandati di attività, capaci di preservare lo stato di salute. Si stima che l’inattività fisica priverà in media ogni anno gli europei di oltre 5 milioni di
giorni di vita sana, incrementando in maniera esponenziale la diffusione di patologie croniche non trasmissibili.
Tra gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio dei paesi industrializzati e in via di sviluppo, deve emergere in maniera
imponente il controllo della diffusione di stili di vita scorretti e lo sforzo nel limitare l’espansione epidemica delle
NCDs.
Call to action
• Porre in opera piani di azione e politiche nazionali,
regionali e locali, volte alla diffusione di stili di vita corretti, basati sull’evidenza scientifica della loro efficacia
e su una sostenibilità economica
• Introdurre politiche specifiche a supporto dell’attività
fisica, in grado di rendere la pratica di attività motoria
facilmente accessibile, culturalmente accettabile,
attraente e conveniente per tutti
Pierpaolo De Feo, Cristina Fatone
C.U.R.I.A.Mo
Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale Attività
Motoria, Università degli studi di Peugia
Bibliografia
Discussion Paper. Regional High-level Consultation in the
European Region on them Prevention and Control of
Noncommunicable Diseases Hosted in Oslo by the
Government of Norway 25-26 November 2010.
Resolution adopted by the General Assembly. 24/265
Prevention and control of non-comunicable diseases.
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Le strategie del Ministero della Salute
Premessa
Numerose evidenze epidemiologiche dimostrano come
l’adozione di uno stile di vita più sano e l’esercizio fisico
siano importanti. La pratica di un’attività fisica costante
può rappresentare un importantissimo strumento, in
tutte le età della vita, di prevenzione di molte patologie,
ma anche una precisa strategia di intervento nei confronti di persone colpite da svariate malattie. Sono state
documentate significative relazioni positive fra regolare
attività fisica aerobica e riduzione della patologia cardiovascolare, del diabete, dell’obesità, miglioramento dello
stato cognitivo, dell’umore e della “sensazione di benessere” in generale, riduzione del rischio di osteoporosi e di
alcune neoplasie, in particolare del colon e della mammella.
Per favorire l’adozione di uno stile di vita attivo, è necessario adottare modalità assistenziali nuove, che richiedono interventi che coinvolgono i servizi sanitari e sociali, la
famiglia, la scuola, il mondo del lavoro ed una maggiore
responsabilizzazione di tutti gli interlocutori, compreso il
cittadino.
Situazione attuale
Le strategie europee rafforzano la necessità di avviare
urgentemente un’azione mirata di lotta contro il diabete,
al fine di far fronte alla crescente incidenza e prevalenza
di questa malattia, nonché all’aumento dei costi diretti e
indiretti che ne derivano, valorizzando le azioni tese ad
un approccio globale, dando particolare risalto ad una
politica coerente e universale in materia di stile di vita e
attività fisica.
Considerando che gli interventi strutturati sulla promozione dell’esercizio fisico rappresentano una necessità
nelle strategie per migliorare la salute delle persone, è
necessario individuare quei modelli che possano facilmente essere organizzati a livello locale, basati sulla
conoscenza degli aspetti fisiopatologici e genetici, che
agiscono insieme all’ambiente, condizionando i risultati.
Naturalmente, nell’organizzazione è necessario tenere
conto della struttura del nostro sistema sanitario e della
cultura della nostra popolazione, considerando che un
regolare esercizio fisico può sì migliorare il controllo delle
malattie croniche e dismetaboliche, ma le risposte sono
spesso variabili da individuo ad individuo.
I Piani Sanitari Nazionali tengono conto di alcune considerazioni importanti:
1. il diabete è una malattia cronica;
2. il diabete è una patologia cui va riconosciuto carattere di particolare rilievo sociale e che incide significatamene sulla spesa sanitaria;
3. migliorare l’assistenza al diabetico significa determinare un aumento dell’aspettativa di vita e un miglioramento della qualità della stessa;
e sottolineano l’importanza dell’adozione di uno stile di
vita adeguato e dell’attività fisica.
Il Piano Sanitario Nazionale 2006-2008 ha posto particolare attenzione all’importanza dell’attività fisica, non
solo come efficace strumento di prevenzione delle patologie croniche (tra cui il diabete), ma anche per ridurre le
complicanze e migliorare la qualità di vita delle persone.
Il documento riporta che, al fine di favorire l’attività fisica, è necessario individuare, a livello regionale e locale, le
modalità, le strutture e le opportunità offerte dal territorio per praticare attività fisica, secondo alcuni obiettivi:
• attivare programmi di formazione per il personale
dedicato, sui diversi contenuti e le diverse metodologie
per la promozione della attività fisica;
• favorire la diffusione di interventi di contrasto della
sedentarietà e di promozione di stili di vita attivi, sulla
popolazione in generale e su gruppi a rischio, utilizzando le metodologie dotate di maggiore efficacia;
• aumentare la forza e la coerenza dei messaggi informativi/formativi al fine di coinvolgere un numero sempre maggiore di persone in una regolare attività fisica;
• promuovere cultura e legislazione, al fine di modificare l’ambiente urbano in senso favorevole alla pratica
della attività fisica, di migliorare l’accessibilità “carfree” a luoghi e servizi, di aumentare la sicurezza percepita nelle strade, di contrastare l’ambiente costruito
che induce sedentarietà.
Il 25 marzo 2009, la Conferenza Stato-Regioni ha approvato l’Accordo per la realizzazione degli obiettivi prioritari di Piano per l’anno 2009. Tra gli obiettivi di Piano va
ricordato quello riguardante gli effetti positivi, solidamente documentati, dell’attività fisica; l’Accordo riporta:
“nonostante le solidissime evidenze scientifiche, il tema
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della promozione dell’attività fisica nella popolazione
generale e della “prescrizione dell’attività fisica” per le
persone a rischio più elevato, resta una delle aree di
intervento più sottovalutate in seno al Sistema Sanitario
Nazionale; è pertanto necessario sviluppare sperimentazioni relative all’introduzione di tale pratica in aree del
Paese in cui esistono condizioni favorevoli per avviare tale
percorso, sottoponendo i risultati raggiunti ad una rigorosa valutazione di efficacia e di costo-efficacia in vista di
un’eventuale estensione di tali programmi”.
Va inoltre ricordato il Programma interministeriale
“Guadagnare Salute” che partendo dall’importanza di
fattori di rischio, quali alimentazione, fumo, alcool,
sedentarietà, identifica 4 aree settoriali, tra cui quella
della promozione dell’attività fisica (relativo al fattore di
rischio “sedentarietà”).
Per rendere operative le strategie individuate è stata prevista, inoltre, la firma dei protocolli d’intesa tra Istituzioni
Ministeriali e organizzazioni del sindacato, delle imprese e
dell’Associazionismo. Questi accordi hanno l’obiettivo di
“determinare nella popolazione e nel singolo individuo
un profondo cambiamento di mentalità, attraverso iniziative pratiche finalizzate a far adottare modifiche nello stile
di vita. Essi evidenziano la necessità che le strategie prevedano azioni che coinvolgano diversi interlocutori,
tenendo presente che per agire sui fattori ambientali e sui
determinanti socio economici delle malattie croniche,
sono necessarie alleanze tra forze diverse; molti degli
interventi per contrastare i fattori di rischio e promuovere
la salute, sono esterni alla capacità di intervento del SSN”.
Conclusioni
Possiamo sicuramente affermare che il “Barometro su
diabete e attività fisica” si inserisce correttamente nella
prospettiva di una modifica culturale e operativa del
Sistema Sanitario Italiano, con la finalità di incrementare nella persona il bisogno di adottare e mantenere
comportamenti capaci di influenzare positivamente il
suo stato di salute e la malattia, inquadrandosi correttamente sia nel contesto internazionale, che in quello
nazionale.
108
Call to action
• Attivare programmi di formazione per la promozione
della attività fisica
• Favorire la diffusione di interventi di contrasto della
sedentarietà e di promozione di stili di vita
• Promuovere cultura e legislazione, in senso favorevole
alla pratica della attività fisica
• Aumentare la forza e la coerenza dei messaggi informativi/formativi al fine di coinvolgere un numero sempre maggiore di persone in una regolare attività fisica
Paola Pisanti
Direzione Generale della Programmazione
Ministero della Salute
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I progetti in Italia
La salute cammina in città
Premessa
Un progetto fondato sulle più recenti evidenze
scientifiche. La comunità scientifica non ha più nessun
dubbio: la pratica costante di attività fisica è strettamente correlata con lo stato di salute generale. Per mantenere un buono stato di salute le persone sane dovrebbero
accumulare almeno 150 minuti a settimana di attività
fisica, eseguita ad intensità moderata; ciò significa fare
una camminata a passo svelto per 20 minuti al giorno. E’
stato ben documentato come il passaggio dallo stato di
sedentarietà a quello di ‘moderatamente attivo’ consenta di ottenere numerosi benefici per lo stato di salute
generale. E cosa dovrebbero fare i soggetti con patologie
croniche? E coloro i quali sono invece già moderatamente attivi? Le raccomandazioni generali vanno ovviamente
e opportunamente modificate in base alle diverse caratteristiche soggettive e alle diverse categorie di persone. E
chi meglio del medico può indirizzare il cittadino, suggerendo la giusta ‘dose’ di esercizio fisico? Il progetto ‘La
Salute Cammina in Città’ è un innovativo sistema che
dà al medico la possibilità di ‘prescrivere’ in maniera rapida e precisa la giusta dose di attività fisica e di controllare i progressi; e stimola il cittadino a diventare più attivo
e consapevole dei benefici che questo può comportare.
Ma l’utilità del percorso va ben oltre l’efficacia fisiologica: è un modo responsabile ed eco-sostenibile di promuovere l’attività fisica. Il progetto ‘La Salute Cammina
in Città’ è un’iniziativa volta a rendere facile, prescrivibile e controllabile la pratica di attività/esercizio fisico.
ta). Il percorso blu invece può essere più intenso (perché
prevede più dislivelli) e consigliato solo a soggetti con un
livello di forma fisica, o con caratteristiche cliniche, particolari.
E’ l’ambiente che diventa palestra. Per fare attività
fisica in maniera corretta ed efficace, l’ambiente stesso
può diventare ‘l’attrezzo ideale’. Camminare è la forma
di attività fisica più naturale ed accessibile e notevoli
sono i benefici che si possono trarre dal semplice ricominciare a camminare in maniera regolare. Per il progetto ‘La Salute Cammina in Città’ l’ambiente viene
attentamente studiato e in parte modificato, per fornire
una serie di percorsi che consentano di svolgere in
maniera sicura la corretta ‘dose’ di attività fisica. Sarà il
medico di base che consiglierà al proprio assistito quale
percorso eseguire, quante volte la settimana e a che
andatura. Ogni percorso ha delle caratteristiche ben precise: lunghezza, livello di difficoltà, qualità fisica maggiormente sollecitata (resistenza, equilibrio etc.); il medico è informato delle richieste fisiche e metaboliche di
ogni percorso e sa consigliare al suo assistito il percorso
più appropriato.
Il progetto
L’idea di base è quella di creare nel territorio una serie di
percorsi che siano ben caratterizzati per quanto riguarda
il loro impegno metabolico. Così caratterizzati, i percorsi
possono essere identificati da colori (come nel caso delle
piste da sci), che rappresentano la loro ‘difficoltà’ (volume e intensità) e, a loro volta, ‘dosi’ definite di attività
fisica. Fare il percorso ‘verde’ in venti minuti tre volte la
settimana ad esempio, può consentire di raggiungere la
dose minima di attività fisica consigliata dalle più recenti
linee guida, perché l’impegno metabolico previsto equivale a 7,8 METs/h settimana (la ‘dose minima consiglia109
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Conclusioni
Incoraggiare la popolazione ad essere fisicamente attiva
presenta numerosi vantaggi che travalicano la salute
stessa e possono avere implicazioni sociali, ambientali ed
economiche. La promozione dell’attività fisica quindi,
è parte integrante e fondamentale dell’impegno degli
amministratori pubblici, le cui decisioni devono essere
prese sulla base delle migliori evidenze e degli esempi
disponibili. Per questo è necessario un approccio integrato: basato su solide basi scientifiche, ma con enfasi sul
tessuto sociale della comunità e una grande attenzione
all’ambiente. La salvaguardia dell’ambiente, che è
uno dei doveri dell’uomo dotato di rispetto per il pianeta e per le future generazioni, si esercita attraverso azioni responsabili e anche l’esercizio fisico può essere fatto
in maniera responsabile e naturale. Il territorio offre spazi
ed occasioni per potersi muovere in maniera naturale,
efficace, sana e piacevole. Senza rinchiudersi in spazi
angusti l’ambiente può essere opportunamente strutturato per farci muovere, star bene, vivere meglio. Salute
ed ambiente insomma, costituiscono un binomio
vincente.
Call to action
• Stimolare le amministrazioni comunali sensibili alla
promozione eco-sostenibile dell’attività fisica per la
popolazione
• Creare una task force interdisciplinare, costituita da
medici dello sport, laureati in scienze motorie, diabetologi e medici di base con l’obiettivo di poter ‘mettere a terra’ il progetto in varie parti d’Italia
• Valutare l’impatto clinico ed economico dei singoli progetti mediante studi disegnati ad hoc
Silvano Zanuso
Prof. a contratto presso il corso di Laurea in Scienze e
Tecniche dell’Attività Motoria Preventiva e Adattata,
Università di Padova.
Responsabile Dipartimento Scientifico di Technogym
110
Bibliografia
Lee IM, Ewing R, Sesso HD. The built environment and
physical activity levels: the Harvard Alumni Health Study.
Am J Prev Med. 2009 Oct;37(4):293-8.
Lee IM, Buchner DM. The importance of walking to
public health.
Med Sci Sports Exerc. 2008 Jul;40(7 Suppl):S512-8.
Review.
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Pagina 111
Città per camminare
Premessa
Il diabete rappresenta una malattia metabolica fortemente influenzata da stili di vita poco corretti, in modo particolare da un’accentuata sedentarietà, condizione che
trova spesso giustificazione nelle poche occasioni per
muoversi offerte dalla città in cui si vive. Un miglior utilizzo degli spazi cittadini e una migliore organizzazione
della loro viabilità, rappresentano un esempio chiaro e
diretto di ciò che si potrebbe fare a favore della salute
pubblica con il minimo sforzo.
“Città per Camminare” è un progetto ideato per incrementare le opportunità di promozione dell’attività fisica
da svolgere in città, sviluppare una mobilità sostenibile e
per rafforzare le iniziative che tutelino la qualità della vita
dei cittadini e la salute pubblica. Un modo nuovo ed
intelligente di leggere e preparare la città, perché diventi
strumento a disposizione delle persone e non viceversa.
Città per Camminare vuole quindi sintetizzare e realizzare in modo ideale il concetto di “andare a piedi”, quale
sistema per conoscere, amare ed apprezzare il territorio
e, soprattutto, quale forma di civiltà, di qualità di vita, di
politica ambientale, turistica, urbanistica e della salute. In
questo senso, le città che hanno – o vogliono abbracciare – questa idea del camminare, tutelano i propri cittadini con una politica sociale e salutistica improntata al
miglioramento dello stile di vita e della qualità di vita di
tutti.
Il progetto sperimentato in Piemonte in questi anni – visibile anche attraverso il citato sito – ha coinvolto a tutt’oggi 41 città aderenti e oltre 60 percorsi ideati per
poter fruire del territorio in piena armonia con esso, al
passo di un cammino che permetta di osservare e vivere
la città e/o gli spazi che la circondano, con uno sguardo
nuovo. I numeri indicati sono in divenire; le adesioni non
sono terminate e arrivano continue richieste di adesione
dai comuni piemontesi.
Il progetto
Il progetto “Città per camminare” ha la finalità di rendere la città “a misura d’uomo”, perché possa essere vissuta “a piedi” e divenire così patrimonio culturale anche
per chi si occupa e crede, nell’importanza della prevenzione, come fattore determinante lo stato di salute e la
qualità di vita di una società.
Il progetto nasce nell’ambito dello sviluppo del “fitwalking”, disciplina rappresentata dal cammino di tipo sportivo, strettamente legata al mondo della salute, e parte
in Piemonte come area test. L’idea è molto semplice e
vuole offrire alle amministrazioni cittadine uno strumento da utilizzare per perseguire molteplici finalità in diversi ambiti: salute, sport, mobilità sostenibile, organizzazione urbana, ma anche turismo e promozione artistica, storica e culturale. A legare il tutto l’idea della “rete” che
inserisca le città aderenti al progetto in un sito –
www.cittapercamminare.org – che diviene strumento di
promozione e divulgazione delle iniziative realizzate.
Naturalmente, perché una città venga accettata ed inserita nel progetto, deve possedere parametri organizzativi
e realizzativi minimi che permettano di garantire la presenza e lo sviluppo di luoghi e situazioni favorenti “il
camminare”.
Conclusioni
Rimettere la persona al centro del “sistema città”, promuovendo azioni, aree e iniziative che stimolino la pratica del cammino, l’utilizzo di un’attività motoria di base
o pratiche di tipo più sportivo, è l’obiettivo prioritario ed
ambizioso che il progetto “Città per Camminare” si è
posto. Nella regione Piemonte, le amministrazioni locali
hanno risposto allo stimolo offerto, credendo nel progetto e sostenendo la realizzazione e la gestione del sito
specifico; un segnale importante che permette di replicare e lanciare l’idea su scala nazionale. In questa direzione sta già lavorando la Scuola del Cammino di Saluzzo
che, nello sviluppo della disciplina del fitwalking, ha
posto particolare attenzione al ruolo determinante che le
città possono avere nel contribuire ad una crescita culturale della proposta motorio-sportiva quale strumento
essenziale di miglioramento dello stile di vita e della qualità di vita delle persone.
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Call to action
• Spronare l’uso dell’ambiente offerto da ogni realtà cittadina, come strumento valido e non costoso, capace
di influenzare positivamente lo stato di salute e la qualità di vita di una società
• Diffondere le iniziative regionali già note per la loro
efficacia, funzionalità e sostenibilità, nel territorio
nazionale
• Sensibilizzare le amministrazioni località sulla possibilità di rendere ogni città “a misura d’uomo”, perché
possa essere vissuta anche “a piedi”
Maurizio Damilano
Campione Olimpico
112
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Un passo dopo l’altro… ...da un mare all’altro
Premessa
Uno degli aspetti caratterizzanti la motivazione alla pratica dell’esercizio fisico a lungo termine è il raggiungimento di un traguardo difficile, che per questo richiede
un costante allenamento ed uno stato di buona forma
fisica. Il concetto della “sfida”, o di provare a se stessi
che con la determinazione è possibile ottenere risultati
prima impensati, sta alla base dei sacrifici e degli allenamenti di tanti atleti che partecipano a competizioni sportive amatoriali. Lo stesso concetto vale per tante persone
che riscoprono l’esercizio fisico e le potenzialità del proprio corpo dopo anni di sedentarietà e che hanno neces-
sità di aumentare la propria autostima, dimostrando a se
stessi che possono mettersi in gioco e avere successo.
Il progetto
In funzione di queste considerazioni nasce il progetto
“Un passo dopo l’altro….da un mare all’altro” che ha
l’obiettivo primario di servire da stimolo per l’adesione
costante alla pratica motoria, attraverso un allenamento
progressivo che metta il partecipante in condizione di
camminare per diversi giorni consecutivi per distanze di
30-35 km al giorno. Altri obiettivi del progetto sono:
Patrocinio: SIO, SID, AMD, Regione dell’Umbria, Province
di Ancona, Macerata, Perugia, Siena, Grosseto, Comuni di
Assisi e Corciano
Supporto non condizionato di: BMS-Astra Zeneca, Novo Nordisk, Roche Diagnostici
Testimonial: Campione Olimpico Maurizio Damilano
Un progetto del C.U.R.I.A.MO., Università di Perugia
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migliorare lo stato di forma fisica e mentale dei partecipanti che, dopo aver completato il percorso difficilmente
ritornano alle abitudini sedentarie del passato, e valorizzare il rapporto fisiologico tra uomo e ambiente riscoprendo il piacere di camminare in un verde scenario
naturale che accresce il senso di benessere interiore.
Infine, il progetto ha anche una valenza turistica, perché
promuove un modo di viaggiare ecosostenibile e la riscoperta di luoghi del territorio non valorizzati dai tradizionali circuiti turistici.
Il progetto “Un passo dopo l’altro….da un mare all’altro”
è una coast-to-coast italiana e consiste nell’attraversare a
piedi l’Italia centrale partendo dal mare Adriatico o dal
Tirreno per coprire la distanza di circa 390 km tra Ancona
114
Circonferenza Vita
cm
kg
Peso corporeo
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Pressione arteriosa sistolica
kg
mm hg
Massa grassa
e Talamone. Il progetto è rivolto a pazienti affetti da obesità e/o diabete mellito che nella preparazione e durante
i 14 giorni della traversata sono seguiti da personale
medico, infermieri, dietiste e laureati in scienze motorie.
La prima edizione si è svolta dal 30 aprile al 13 maggio
2010, mentre la seconda edizione si è realizzata nelle
prime due settimane di maggio 2011.
Hanno partecipato complessivamente 76 persone, con
un’età media di circa 56 anni. Tutti i partecipanti hanno
tratto benefici da questa lunga traversata di 14 giorni e
li porteranno sicuramente dentro come un ricordo di
un’esperienza unica, dello spirito e del corpo. Il cammino
è stato anche verso uno stato di salute migliore; in tutti i
partecipanti, indipendentemente dall’indice di massa
corporea, è emersa una riduzione significativa di: peso
corporeo (kg), circonferenza vita (cm), massa grassa (kg),
mm hg
Pressione arteriosa diastolica
kg
Massa muscolare
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Benefici per ogni Km percorso
PARAMETRO
BMI < 25
BMI 25-30
BMI > 30
Peso corporeo
BMI
Circonferenza
vita
Massa grassa
Massa magra
Massa
muscolare
Total body
water
PA sistolica
-0,13%
-0,05%
-0,33%
-0,12%
-0,50%
-0,19%
-0,44%
-0,47%
+0,35%
-0,43%
-0,48%
+0,05%
-0,81%
-0,85%
+0,35%
+0,33%
+0,17%
+0,34%
+0,26%
-0,91%
-1,43%
+0,11%
-1,89%
-1,61%
+0,11%
-1,23%
-3,39%
PA diastolica
pressione arteriosa sistolica e diastolica (mmHg). Si è evidenziata inoltre, un aumento di: massa magra (kg),
massa muscolare (kg) e TBW (total body water, espresso
in litri). Nelle figure vengono illustrati i benefici ottenuti
dalle persone che hanno partecipato alla coast-tocoast,
“divise” in base al peso corporeo: normale (BMI meno di
25 kg/m2), sovrappeso (BMI 25-30) o obeso (BMI sopra
30).
La Tabella, infine, permette di calcolare a chiunque i
benefici che può attendersi da una camminata a tappe,
116
per ciascun km percorso. I risultati positivi sono stati ottenuti anche grazie ad un’introduzione corretta di cibo,
tale da consentire l’attività motoria, ma anche un bilancio energetico negativo di circa 1000 kcal al giorno. In
sostanza, trascorrendo 14 giorni senza dubbio piacevoli,
siamo riusciti a creare diversi equilibri: nel gruppo, nella
patologia e soprattutto nell’autoconsapevolezza di essere parte rispettosa di un ecosistema.
Conclusioni
Quanto di positivo è stato sperimentato sarà riproposto
ogni anno, nella speranza che tanto di ambizioso quanto di reale sia alla portata di molti. La partecipazione sarà
allargata a 100 pazienti più personale di supporto. Per
ulteriori informazioni e per i consigli per l’allenamento,
consultare il sito web www.unipg.it/curiamo.
Call to action
• Utilizzare le attrattive del nostro territorio per promuovere nuove vie di salute e turismo ecosostenibile
• Pubblicizzare e finanziare le iniziative e le attività turistiche che promuovono una sana alimentazione e
l’attività fisica come mezzo di spostamento
Pierpaolo De Feo
C.U.R.I.A.MO.
Centro Universitario di Ricerca Interdipartimentale
Attività Motoria, Università degli studi di Perugia
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Conclusioni
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Il diabete e le patologie croniche non-trasmissibili (NCDs,
non-communicable diseases) possono essere prevenute
sia utilizzando delle strategie di intervento sulla popolazione che strategie mirate a coloro che hanno un elevato
rischio. Le due modalità di approccio possono essere applicate parallelamente per ottenere il massimo dell’efficacia
in termini di prevenzione.
Il barometro su attività fisica e diabete in Italia ha riportato lo stato dell’arte e le iniziative attuate e in corso di sperimentazione nel nostro paese. Molto c’è da fare per promuovere seriamente l’attività fisica e contrastare la sedentarietà e, in questo campo, è giusto condividere il lavoro
fatto da altre nazioni che hanno sistemi organizzativi più
avanzati nel settore degli stili di vita. Un documento integralmente condivisibile che propone le modalità ottimali
per organizzare un efficace intervento sulla popolazione di
promozione dell’attività fisica è la “Toronto Charter for
Physical Activity: A Global Call to Action”, pubblicato nel
maggio 2010 a cura del Global Advocacy Council for
Physical Activity e della International Society for Physical
Activity and Health. Il documento è in linea con i principi
dettati dalla Organizzazione Mondiale della Sanità in due
documenti “Global Strategy on Diet, Physical Activity and
Health”, del 2004 e “Non-Communicable Disease Action
Plan” del 2008.
Secondo il documento di Toronto, per aumentare l’attività
fisica e ridurre la sedentarietà, paesi e organizzazioni
dovrebbero impegnarsi a:
1. Adottare strategie basate sull’evidenza, con l’obiettivo
di coinvolgere l’intera popolazione e i sottogruppi che
incontrano le maggiori difficoltà;
2. Condividere un approccio volto a garantire equità
sociale sulla salute e a ridurre le disuguaglianze e le
disparità di accesso all’attività fisica;
3. Identificare le determinanti ambientali, sociali ed individuali che promuovono l’inattività fisica;
4. Attuare azioni sostenibili in partnership a livello nazionale, regionale e locale e in più settori, che abbiano un
maggiore e un più efficace impatto;
5. Sostenere le attività volte a promuovere ricerca, pratica, valutazione e sorveglianza nel settore dell’attività
fisica;
118
6. Utilizzare un approccio che guardi tutte le fasi della
vita, per affrontare le necessità di bambini, famiglie,
adulti e anziani;
7. Promuovere presso i decisori politici e istituzionali e la
comunità in generale, un aumento dell’impegno politico e delle risorse destinate all’attività fisica;
8. Garantire la sensibilità culturale e adattare le strategie
per soddisfare le esigenze di diverse realtà e contesti
locali;
9. Facilitare scelte personali salutari, rendendo la scelta di
essere fisicamente attivi quella più facile.
Il documento di Toronto analizza nello specifico le azioni
che possono essere intraprese per implementare una politica nazionale e per redigere un piano d’azione nazionale.
In Italia, non abbiamo un piano nazionale nel settore, ma
esistono in Europa esempi di interventi strutturali pianificati a livello nazionale. Per la prevenzione del diabete, un
modello particolarmente interessante che si basa sui risultati del Finnish Diabetes Prevention Study (DPS) e sull’esperienza del North Karelia Project, il primo programma
di intervento su una comunità per le malattie cardiovascolari, è stato prodotto dalla Finlandia ed è il Finnish national 10-year diabetes program, DEHKO (Development
Programme for the Prevention and Care of Diabetes 20002010). Questo programma coniuga la strategia di intervento sulla popolazione con quella di intervento mirato ai
soggetti ad alto rischio e i risultati preliminari dell’intervento ne dimostrano sia la fattibilità che l’efficacia. Esistono
pertanto, strategie valide per migliorare lo stile di vita della popolazione con un intervento pianificato a livello
nazionale e vanno attentamente considerate anche nel
nostro paese.
Il secondo punto della “Toronto Charter for Physical
Activity” riguarda i suggerimenti volti a implementare le
politiche che supportano l’attività fisica. Esempi di politiche di sostegno e regolamenti proposti, sono:
• Politica nazionale chiara e ben definita, con precisi
obiettivi volti ad aumentare la pratica di attività fisica
(sia di quanto che da quando). Tutti i settori possono
condividere obiettivi comuni e identificare specificamente il loro contributo;
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• Politiche di pianificazione urbana e rurale e linee
guida di progettazione per favorire gli spostamenti a
piedi, in bicicletta, il trasporto pubblico, lo sport e la
ricreazione, con una particolare attenzione all’accesso
equo e alla sicurezza;
• Politiche economiche (sovvenzioni, incentivi, imposte
e detrazioni fiscali) per sostenere la partecipazione
all’attività fisica o per ridurre gli ostacoli alla pratica di
attività fisica (per esempio, incentivi fiscali per l’acquisto
di attrezzature o per l’iscrizione in palestre);
• Politiche rivolte agli ambienti di lavoro, che supportino infrastrutture e programmi per l’attività fisica e promuovano il trasporto attivo (per recarsi e tornare dal
lavoro);
• Politiche in campo scolastico, che supportino corsi di
educazione fisica di alta qualità e obbligatori, che favoriscano il recarsi attivamente a scuola, l’attività fisica
durante l’orario scolastico e ambienti scolastici sani;
• Politiche per lo sport e tempo libero e sistemi di
finanziamento che diano maggiore importanza alla
partecipazione di tutti i membri della comunità;
• Politiche che coinvolgano i media, al fine di promuovere l’attività fisica. Per esempio, “Report Cards” o relazioni della società civile, in merito all’attuazione di azioni intraprese per l’attività fisica e per accrescere il senso
di responsabilità comune;
• Politiche di comunicazione di massa e campagne di
marketing sociale per aumentare nella comunità e nelle parti interessate, le azioni a sostegno dell’attività fisica.
Infine, la “Toronto Charter for Physical Activity” riassume
le strategie per orientare i servizi e i finanziamenti verso
una prioritaria promozione dell’attività fisica, e i suggerimenti per sviluppare partnerships per azioni efficaci. Il
documento integrale può essere consultato nel sito web:
http://www.globalpa.org.uk.
In linea con le iniziative internazionali e quelle promosse
dalla Organizzazione Mondiale della Sanità e, in particolare, dalla NCD Alliance, è stata istituita nel nostro Paese
l’Italian Wellness Alliance. Questa associazione nasce
come un gruppo di opinione, operativo a livello nazionale, finalizzato a promuovere sani stili di vita per ridurre la
diffusione delle Non-Communicable Diseases (NCD: diabete, malattie cardiovascolari, cancro e malattie respiratorie croniche). Su questo tema vi è un crescente interesse,
sia da parte della WHO che del Word Economic Forum, a
causa del crescente negativo impatto sul sistema economico e sulla qualità della vita delle NCD, nei paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo. Il 19 e 20 Settembre 2011
si tiene a New York un Summit delle Nazioni Unite sulle
strategie ottimali per prevenire le NCD, in risposta alla
risoluzione votata all’unanimità dall’Assemblea Generale
delle Nazioni unite del 13 maggio del 2010. La Italian
Wellness Alliance vuole contribuire a far crescere nel
nostro paese la cultura della prevenzione delle NCDs,
attraverso interventi mirati a livello nazionale e locale, a
promuovere sani stili di vita. L’Alliance si è strutturata in un
Direttivo (Figura 1) e in una gruppo di circa 100 soci fondatori. La prima riunione del consiglio direttivo della Italian
Wellness Alliance è fissata per il giorno 12 settembre presso la sala della XII Commissione Igiene e Sanità del Senato
della Repubblica. Successivamente il consiglio direttivo
della Italian Wellness Alliance si riunirà periodicamente
presso sedi Istituzionali, con lo scopo di individuare strategie realizzabili ed eventuali sinergie, con le varie organizzazioni della società civile, che possano avere un impatto
positivo sugli stili di vita e sul benessere della popolazione
italiana. Le scelte del direttivo saranno vagliate e condivise dal comitato costitutivo, che comprende i presidenti
delle Società Scientifiche interessate alla prevenzione delle NCD, esperti in Scienze Motorie, Giornalisti e operatori
istituzionali e del settore privato. Un primo obiettivo della
Italian Wellness Alliance sarà quello della presentazione
alle Istituzioni e ai media dell’iniziativa e la partecipazione
al FORUM sulle NCD, promosso dall’International
Diabetes Federation dal 4 all’8 Dicembre p.v. a Dubai.
Il Barometro su Diabete e Attività Fisica in Italia si integra
con le future iniziative della Italian Wellness Alliance e ci
proponiamo, dopo la prima edizione del 2007 e questa
del 2011, di pubblicare nel 2015 una terza edizione del
Barometro su Diabete e Attività Fisica in Italia, che aggiorni gli operatori del settore sulla auspicabile crescita delle
iniziative e delle applicazioni cliniche dell’uso dell’esercizio fisico, come strumento di prevenzione e cura del diabete.
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Sitografia
http://www.globalpa.org.uk.
http://ncdalliance.org/
ITALIAN WELLNESS
Figura 1. Consiglio Direttivo Italian Wellness Alliance
Presidenti Onorari
Sen. Antonio Tomassini
On. Rocco Crimi
Prof. Francesco Bistoni
Prof. Renato Lauro
Presidente
Prof. Pierpaolo De Feo
Alliance
Presidente della Commissione Igiene e Sanitàdel Senato
Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega allo Sport
Rettore Università degli Studi di Perugia
Rettore Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Presidente dell’Italian Barometer
Diabetes Observatory
DIRETTORE DEL C.U.R.I.A.MO. (Centro Universitario Ricerca Interdipartimentale Attività
Motoria, Università di Perugia)
Board
Prof. Giuseppe Ambrosio
Prof. Michele Carruba
Dott. Massimo Cherubini
Dott. Paolo Di Caro
Prevention of Cardiovascular Disease Committee, AmericanCollege of Cardiology
Past President commissione ministeriale "Alimentazione, stili di vita e salute”
Public Affairs Association, Consigliere Nazionale Ordine dei Giornalisti
Direttore Agenzia Nazionale per i Giovani (ANG) del Governo Italiano e della Commissione Europea.
Dott. Claudio Cricelli
Presidente Società Italiana di Medicina Generale (SIMG)
Dott. Roberto Messina
Presidente Federanziani
Dott.ssa Edea Perata
Associazione Parlamentare per la tutela e la promozione del diritto alla prevenzione
Prof. Fabio Pigozzi
Presidente della Federazione Internazionale di Medicina dello Sport (FIMS)
Dott.ssa Paola Pisanti
Responsabile NCD, Ministero della Salute, Presidente della Commissione Nazionale
Diabete
Prof. Carlo Riccardi
Past President Società Italiana di Farmacologia (SIF)
Prof. Gabriele Riccardi
Presidente Società Italiana di Diabetologia (SID)
Prof. Walter Ricciardi
Direttore dell'Osservatorio Nazionale per la Salute nelle Regioni Italiane
Dott. Federico Serra
Presidente della O.N.G. “Sport senza Frontiere” e DG dell’Italian Barometer Diabetes
Observatory
Prof. Federico Spandonaro Facoltà di Economia di Roma Tor Vergata, coordinatore scientifico del Rapporto annuale
sulla Sanità del CEIS
Prof. Vilberto Stocchi
Presidente della Conferenza Nazionale dei Presidi del Corso di Laurea in Scienze Motorie
e Sportive
Dott.ssa Ketty Vaccaro
Responsabile Welfare e Salute della Fondazione Censis
Segretario scientifico
Dott.ssa Cristina Fatone
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C.U.R.I.A.MO., Via G. Bambagioni, 19 – 06126 Perugia
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Italian barometer of diabetes and physical activity