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SOMMARIO
2013
Tribunale di Ferrara - Sentenza 5 dicembre 2013 - Usura - Azione giudiziale per l'accertamento
dell'applicazione di un tasso usurario - Onere di allegazione
Tribunale di Rovereto - Sentenza 30 dicembre 2013 - Contratti bancari - Mutuo ipotecario - Tassi moratori
- Usura - Soglia d'usura rilevata e pubblicata - Confrontabilità - Sussistenza
Corte d'Appello di Torino - Sentenza 20 dicembre 2013 - Usura - Istruzioni della Banca d'Italia Funzione
Cassazione Civile - Sentenza 4 dicembre 2013, n. 27118 - Contratti bancari - Stipulati anche prima del 1992
Uso piazza - Nullità ex art. 1346 c.c. - Commissione di massimo scoperto Rapportata all'uso piazza - Nullità
Tribunale Lecce - Sentenza 2 dicembre 2013 - Ricognizione di debito 'titolata' - Confessione Differenze
Cassazione Civile - Sentenza 21 novembre 2013, n. 26133 - Contratti bancari
Tribunale Milano - Sentenza 30 ottobre 2013 - Contratto di mutuo - Ammortamento 'alla francese' Mancanza di univoca indicazione del tasso - Nullità - Sostituzione della clausola nulla Interessi al tasso legale
Tribunale di Napoli - Ordinanza 18 ottobre 2013 - Mutuo - Usura sopravvenuta - Conseguenze Tribunale
di Napoli - Sentenza 10 ottobre 2013 - Fideiussione bancaria: il garante non può opporre eccezioni relative al
rapporto fondamentale
Cassazione Penale - Sentenza 23 settembre 2013, n. 39270 - Accusato di usura, sequestro totale del conto
corrente: da dimostrare, però, la provenienza illecita delle somme
Cassazione Civile - Sentenza 19 settembre 2013, n. 21466 - Conto corrente: nulle le clausole su interessi e
capitalizzazione e saldo finale da ricostruire ab origine
Tribunale di Latina - Sentenza 28 agosto 2013 - È onere della parte dimostrare l'avvenuto superamento
del tasso soglia anche mediante la produzione dei decreti e delle rilevazioni della Banca d'Italia
Corte d'Appello di Milano - Sentenza 22 agosto 2013 - Usura - Istruzioni della Banca d'Italia Forza di legge
- Esclusione
Tribunale di Viterbo - Ordinanza 8 agosto 2013 - Usura contrattuale
Tribunale di Viterbo - Ordinanza 8 agosto 2013 - Usura contrattuale
Tribunale di Viterbo - Ordinanza 8 agosto 2013 - Usura contrattuale
Cassazione Civile - Sentenza 2 agosto 2013, n. 18541 - Contestazione relativa a validità ed efficacia di
pattuizione di interessi ultralegali - Giudizio ordinario di cognizione - Produzione degli estratti conto da parte
della banca - A partire dall'avvio del rapporto
Corte d'Appello di Milano - Sentenza 17 luglio 2013 - Credito al consumo - Cessione del quinto dello
stipendio - Usura - Voci ricomprese - Polizza assicurativa a garanzia del rischio morte, invalidità e perdita di
impiego del debitore - Inclusione - Necessità
Tribunale Nola - Sentenza 2 luglio 2013 - Contratto di conto corrente bancario - Ripetizione di indebito Prova versamenti di carattere solutorio - Necessità - Mancato assolvimento dell'onere della prova a carico del
correntista - Conseguenza - Rettifica del solo sal
Tribunale di Taranto - Sentenza 25 giugno 2013 - Usura - Usura sopravvenuta - Rilevanza Somma eccedente
il tasso soglia - Non debenza
Tribunale di Pescara - Sentenza 24 giugno 2013 - Conto corrente bancario - Azione di ripetizione
dell'indebito - Prescrizione - Prova della natura solutoria dei versamenti - Onere sulla banca
Tribunale Verbania - Sentenza 24 aprile 2013 - Massimo scoperto, conto corrente, credito, banca, clausola,
illiceità
Tribunale Busto Arsizio - Sentenza 12 marzo 2013 - Usura - Tasso usurario - Voci ricomprese Credito al
consumo - Cessione del quinto dello stipendio - Polizza assicurativa a garanzia del rischio morte, invalidità e
perdita di impiego del debitore - Inclusione
Tribunale Macerata - Sentenza 11 marzo 2013 - Usura e commissione di massimo scoperto Tribunale di
Taranto - Ordinanza 11 marzo 2013 - Conto corrente bancario - Nullità di clausole relative all'apertura di
credito - Ripetizione di somme indebitamente versate - Onere della prova a carico del correntista - Costante
variazione del tasso
Corte d'Appello di Lecce - Sentenza 19 febbraio 2013 - Apertura di credito - Ripetizione degli interessi
anatocistici - Prescrizione dell'azione - Valutazione della natura ripristinatoria della provvista - Chiusura del
conto - Necessità
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Corte d'Appello di Venezia - Sentenza 18 febbraio 2013 - Usura - Sanzione contenuta nell'art. 1815, comma
2, c.c. - Conversione del mutuo usurario in mutuo gratuito - Abbandono del presupposto soggettivo dello stato
di bisogno del debitore
Tribunale di Catanzaro - Sentenza 7 febbraio 2013 - Interessi usurari - Sistema di calcolo e accertamento Riferimento al tasso effettivo - Sussiste - art. 1815 c.c.
Cassazione Civile - Sentenza 29 gennaio 2013, n. 2072 - Interessi ultralegali - Pattuizione - Atto scritto Necessità - Regime anteriore alla legge n. 154 del 1992 - Determinazione convenzionale
'per relationem' - Ammissibilità - Requisiti - Univocità
Cassazione Civile - Sentenza 11 gennaio 2013, n. 603 - Usura ed interessi legali
Cassazione Civile - Sentenza 11 gennaio 2013, n. 602 - Usura - Usura sopravvenuta - Rilevanza
- Affermazione - Sostituzione automatica - Misura del tasso soglia
Cassazione Civile - Sentenza 9 gennaio 2013, n. 350 - Credito e risparmio - Contratti bancari Mutuo ipotecario - Soglia antiusura - Interessi moratori - Superamento - Sussiste
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Dettaglio documenti
Tribunale Ferrara, 5 dic 2013 Usura - Azione giudiziale per l'accertamento
dell'applicazione di un tasso usurario - Onere di allegazione
Tribunale di Ferrara
5 dicembre 2013
Usura - Azione giudiziale per l'accertamento dell'applicazione di un tasso usurario - Onere di allegazione.
Mutuo - Ammortamento cd. alla francese - Applicazione illegittima di interessi anatocistici - Illegittimità.
Colui che agendo in un giudizio deduca l'applicazione di un tasso usurario ha l'onere di allegare ed indicare i
modi, i tempi e la misura del superamento del cd. tasso soglia.
Il sistema di ammortamento cd. alla francese può, nel nostro ordinamento, comportare profili di illegittimità
qualora consista nell'applicazione illegittima di interessi anatocistici.
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Anna Ghedini ha pronunciato ex art. 281-sexies c.p.c. la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3187/2013 promossa da:
PI.GE.CO S.r.l. (C.F. 01113430290), con il patrocinio dell'avv. LA BARBERA ROSALIA e dell'avv. BERNI
LUCA (BRNLCU61A13G337B), elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. LA BARBERA
ROSALIA
ATTORE/I
contro
CASSA DI RISPARMIO FERRARA S.p.A. (C.F. 01208710382), con il patrocinio dell'avv. MASCOLI
CATALDO e dell'avv. ***, elettivamente domiciliato in VIA BORGO DEI LEONI, 71/A 44121 FERRARA
presso il difensore avv. MASCOLI CATALDO
CONVENUTO/I
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d'udienza.
IN FATTO ED IN DIRITTO
Parte attrice propone opposizione al precetto notificatole Carife in relazione al contratto di mutuo fondiario
stipulato il 23.12.2008 contestando la ricorrenza del credito e in particolare allegando: la nullità del mutuo per
illiceità della causa, essendo stata utilizzata la somma erogata per ripianare precedenti perdite; la usurarietà dei
tassi applicati.
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Si costituiva la banca contestando le affermazioni attoree.
Rigettata la istanza di sospensiva, la causa perveniva alla decisione.
La opposizione è infondata: il vaglio dei motivi di opposizione è effettuato sulla scorta di quanto allegato in
citazione, atto in cui si cristallizza la domanda, irrilevante ogni ulteriore deduzione successiva ai fini della
individuazione del thema decidendum.
Quanto alla illiceità del mutuo è noto da tempo che il mutuo fondiario ex artt. 38 e ss. TUB non è, diversamente
dal mutuo previsto dalla normativa in vigore nel 1905, un mutuo di scopo. È quindi del tutto irrilevante quale
sia l'utilizzo previsto o comunque effettuato della somma mutuata. Nel caso de quo è indubbio che la somma
sia passata dalla disponibilità della banca a quella del cliente, qual che sia l'utilizzo che questi della somma
abbia fatto: ad esempio quella di ripianare, con uno strumento diverso (con rate diverse, interessi diversi, durata
diversa), una precedente perdita.
Se poi le precedenti perdite o passivi fossero a generate da conti aventi condizioni illecite o comunque invalide
è circostanza estranea al presente giudizio, posto che il credito azionato dalla Banca è quello e solo quello
inerente il mutuo ipotecario.
Quanto alla doglianza inerente il preteso tasso usurario, è onere della parte che allega tale circostanza allegare
ed indicare quali i modi, i tempi e la misura del superamento del tasso cd soglia, diversamente essendo la
relativa difesa solo una allegazione dilatoria: nel caso de quo la cd perizia allegata sub doc. 4 da parte
opponente è costituita da una documentazione standard che solo nella pagina iniziale contiene i dati del mutuo
(erogazione, tasso, durata, etc.), che poi si dilunga su considerazioni generali, e conclude circa la illegittimità
dell'anatocismo (mai allegato in citazione dalla parte con riferimento al mutuo) e soprattutto per la ricorrenza
di un tasso del 8,20 a fronte di un tasso soglia del 9,45. Quanto poi alle considerazioni circa la illegittimità tout
court del meccanismo di ammortamento alla francese, esse non trovano riscontro nella attuale giurisprudenza,
se non con riferimento (e solo certuna giurisprudenza di merito della fine anni 2000) al meccanismo di
anatocismo che ad esso sarebbe connaturato: ma nel caso de quo parte opponente nega la stessa esistenza del
diritto della Banca a procedere a esecuzione forzata e non già contesta la quantificazione del credito.
Attesa la genericità delle contestazioni la richiesta istruttoria di perizia contabile appare meramente esplorativa.
La opposizione va rigettata con condanna al pagamento delle spese.
PQM
Il Tribunale, definitivamente pronunziando, ogni diversa istanza disattesa, rigetta la opposizione a precetto,
dichiara la parte opponente al pagamento in favore dell'opposto delle spese di causa determinate in euro
7.000,00 per compensi oltre IVA e CPA come per legge.
Sentenza resa ex articolo 281-sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti presenti ed allegazione al
verbale.
Tribunale Rovereto, 30 dic 2013 Contratti bancari - Mutuo ipotecario Tassi moratori - Usura - Soglia d'usura rilevata e pubblicata Confrontabilità Sussistenza
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Tribunale di Rovereto
30 dicembre 2013
Contratti bancari - Mutuo ipotecario - Tassi moratori - Usura - Soglia d'usura rilevata e pubblicata
Confrontabilità - Sussistenza
Con ordinanza di sospensione provvisoria esecutorietà ex art. 649 c.p.c. del 30 dicembre 2013 il Tribunale
di
Rovereto, nella persona del giudice dott.ssa Consuelo Pasquali, ha ribadito il principio espresso dalla
Cassazione (n. 350/2013) secondo cui gli interessi moratori devono essere ricompresi nel computo finalizzato
a verificare il superamento del tasso soglia, posto che, ai sensi dell'art. 644 c.p. e dell'art. 1815, comma 2,
c.c.
si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono
promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo.
Oggetto: istanza di sospensione della provvisoria esecutorietà (art. 649 c.p.c.) Il
Giudice designato, dott.ssa Consuelo Pasquali, a scioglimento della riserva assunta
all'udienza del 18/11/2013,
premesso, in linea generale,
che l'istituto dell'esecutorietà del decreto ingiuntivo, pendente il giudizio di opposizione, è disciplinato
dagli artt. 648 e 649 c.p.c., in quanto le due norme disciplinano lo stesso fenomeno;
che i requisiti per la concessione, rispettivamente per la sospensione della provvisoria esecutorietà
sono indicati nell'art. 648, comma 1, c.p.c., con la conseguenza che la valutazione cui è tenuto il giudice ex
art. 649 c.p.c. deve fondarsi sulle stesse basi di quella prevista dall'art. 648 c.p.c.; si tratterà, dunque, di
considerare, in primo luogo ed innanzitutto, se sussista il fumus boni iuris della pretesa attorea e, in secondo
luogo, se vi siano o meno validi motivi di opposizione da parte dell'asserito debitore;
che, pertanto, instaurata l'opposizione, perché la provvisoria esecuzione del decreto concessa ai sensi
dell'art. 642 c.p.c. possa sopravvivere, è necessario che sia stata raggiunta innanzitutto la verosimile prova dei
fatti costitutivi del diritto di credito azionato, in secondo luogo che l'opposizione dell'ingiunto non sia fondata
su prova scritta o di pronta soluzione;
rilevato. in fatto,
che nel presente giudizio la creditrice Cassa Rurale di B*** (d'ora in avanti semplicemente Banca o
Istituto) ha agito per ottenere la restituzione dì quanto ancora dovuto, a fronte dell'inadempimento del debitore
principale *** sulla base di due contratti di mutuo ipotecario, stipulati il primo in data 26/6/2002 per l'importo
capitale di ? 930.000,00 e il secondo il 22/5/2006 per l'importo capitale di ? 245.000,00 (accede, poi, a questa
pretesa nei confronti del debitore principale, quella - diversa in base ai rispettivi titoli - nascente da diversi
contratti di fideiussione sottoscritti da ***),
che l'opposizione si fonda essenzialmente su un unico e assorbente argomento, rappresentato dal fatto
che, in relazione ad entrambi i mutui ipotecari, sarebbero stati pattuiti interessi usurari: nel relativo conteggio
la parte opponente fa rientrare, sulla scorta di quanto statuito nella recente sentenza della Corte di Cassazione
n. 350/2013, anche gli interessi di mora contrattualmente previsti; facendo ciò, in applicazione del criterio
previsto dalla legge n. 108/96 (TAEG - tasso effettivo globale medio, aumentato del 50%, applicabile al
presente caso ratione temporis), comparati i valori dei contratti per cui è causa con quelli di cui alla rilevazione
trimestrale della Banca d'Italia, risulterebbe che il tasso complessivo concordato nel primo contratto sarebbe
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pari a 7,90% (di cui 4,9% convenzionale e 3% di mora) a fronte di un tasso soglia ex legge n. l08/96 di 8,34%,
mentre nel secondo contratto il tasso concordato sarebbe pari a 6,75 a fronte di un tasso soglia di 6,24%;
ritenuto
che in ordine agli interessi applicati dalla Banca sussista effettivamente un dubbio non prontamente
risolvibile: in realtà, dai conteggi effettuati dall'opponente il tasso soglia - considerando solo interessi
convenzionali e moratori - parrebbe senz'altro essere stato sforato nel secondo contratto, mentre nel primo
contratto parrebbe essersi rimasti sotto la soglia, salva l'ulteriore valutazione di tutti gli altri importi - diversi
da imposte e tasse - incamerati dalla Banca in relazione a quel mutuo;
rilevato
che in relazione al capitale mutuato, pari a ? 930.000,00 più ? 245.000.00, dunque. complessivi
?1.175.000.00, non è stata mossa alcuna censura, cosicché, tenuto conto di quanto fino ad oggi effettivamente
pagato dal debitore (indipendentemente dal fatto che la Banca abbia conteggiato i relativi importi in parte a
titolo di capitale e in parte a titolo di interessi), deve ritenersi che, qualora permanga una differenza a questo
titolo, essa vada comunque restituita alla Banca;
che sul punto l'opponente nulla ha dedotto o osservato (nemmeno all'udienza tenutasi il18/11/2013),
mentre la creditrice opposta ha ribadito in comparsa di risposta che gli importi di cui ai due mutui sono stati
effettivamente e interamente versati al sig. L***, il quale avrebbe restituito fino ad oggi - a prescindere dalle
imputazioni effettuate - la somma di ? 446.708,16 relativamente al primo mutuo e la somma di ? 111.849,44
relativamente al secondo mutuo, per un totale ? 558.557,60; residuerebbe, pertanto, a favore della Banca - solo
a titolo di capitale - l'importo di ? 616.442,37 (? 1.175.000,00 - ? 558.557,60), in ordine al quale la Banca
chiede che non venga disposta la sospensiva della provvisoria esecutorietà;
ritenuto, dunque,
che tale richiesta sia fondata, con la conseguenza che ad essa deve darsi accoglimento, lasciando intatta
l'esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto per quanto concerne il capitale, mentre in ordine agli interessi (e
anche alla questione di quali interessi siano stati effettivamente applicati, atteso che in un piano di
ammortamento risulta indicato un tasso inferiore a quello menzionato nel contratto, il che metterebbe in dubbio
il superamento del tasso soglia) sarà l'ulteriore prosieguo del giudizio a consentire di chiarirne definitivamente
la questione della relativa legittimità; tutto ciò premesso e considerato,
sospende parzialmente
la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto, ossia limitatamente alla parte eccedente l'importo
capitale di ? 616.442,37, rinviando all'esito del giudizio la decisione in ordine alla debenza ed eventuale
quantificazione degli interessi e delle spese della fase monitoria.
Si comunichi.
C. Appello Torino, 20 dic 2013 Usura - Istruzioni della Banca d'Italia Funzione
Corte d'Appello di Torino
20 dicembre 2013
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Pres. Grimaldi - Est. Federica La Marca
Usura - Istruzioni della Banca d'Italia - Funzione.
Usura - Istruzioni della Banca d'Italia - Derogabilità alla legge - Esclusione - Precettive per il giudice Esclusione.
Usura - Fissazione del tasso soglia trimestrale - Decreto del Tesoro - Compiti della Banca d'Italia Solo
consultivo.
Le Istruzioni della Banca d'Italia, di cui alla disciplina dell'usura, non sono dettate al fine di come debba essere
conteggiato il TEG, ossia il tasso effettivo globale applicato dalla banca sulla singola operazione con il cliente,
ma sono rivolte alle banche e agli operatori finanziari per rilevare il TEGM, ossia il tasso effettivo globale
medio applicato per operazioni omogenee in un determinato periodo.
Le Istruzioni della Banca d'Italia, di cui alla disciplina dell'usura, non hanno alcuna efficacia precettiva nei
confronti del giudice nell'ambito del suo accertamento del TEG applicato alla singola operazione, né debbono
essere osservate dagli operatori finanziari quando stabiliscono il tasso di interesse di un determinato rapporto;
e ciò sia perché le stesse non sono finalizzate a stabilire il TEG, sia perché sono disposizioni non suscettibili
di derogare alla legge.
Il procedimento per pervenire alla fissazione del tasso soglia trimestrale con D.M. del Tesoro non prevede
l'automatica assunzione dei dati rilevati dalla Banca d'Italia, la quale ha funzione semplicemente consultiva, e
stabilisce pure un "correttivo", come riferito al tasso ufficiale di sconto, per pervenire all'indicazione del tasso
soglia. Non può dunque affermarsi un'automatica equiparazione tra le risultanze delle rilevazioni della Banca
d'Italia e il TEGM, sia dal punto di vista formale, atteso che questo è stabilito con decreto solo "sentita la Banca
d'Italia", sia dal punto di vista sostanziale perché la norma prevede comunque ipotesi di correttivi da apportarsi
dal ministero competente.
Consulta il testo integrale
Cass. Civile n.27118, 4 dic 2013 Contratti bancari - Stipulati anche prima del 1992
Uso piazza - Nullità ex art. 1346 c.c. - Commissione di massimo scoperto Rapportata all'uso piazza - Nullità
Cassazione Civile
30 ottobre - 4 dicembre 2013, n. 27118, Sezione I
Presidente Ceccherini - Relatore Di Amato
Contratti bancari - Stipulati anche prima del 1992 Uso piazza - Nullità ex art. 1346 c.c. Commissione di
massimo scoperto - Rapportata all'uso piazza - Nullità
Anche prima dell'entrata in vigore della legge sulla trasparenza (n. 154/1992), il rinvio contrattuale all'"uso
piazza" risultava nullo per indeterminatezza ex art. 1346 c.c. Perciò, è senz'altro nulla la pattuizione di massimo
scoperto, quale che sia il tempo in cui sia stata stipulata, che rapporta la misura della sua applicazione alle
"condizioni generalmente applicate su piazza nel periodo".
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I Giudici della Suprema Corte hanno stabilito, con la presente sentenza, che è sempre nulla la pattuizione della
commissione di massimo scoperto determinata facendo riferimento alle condizioni generalmente applicate su
piazza nel periodo, indipendentemente dal momento in cui tale pattuizione è stata stipulata.
Il caso di specie: il contenzioso in parola vedeva il correntista impugnare il proprio saldo debitore di conto
corrente per vari motivi di diritto tra i quali la determinazione della CMS facendo riferimento all'uso piazza.
Il Tribunale adito respingeva le richieste attoree ritenendo il rinvio all'uso piazza corretto per la determinazione
della CMS. Decisione questa che veniva confermata anche in sede di Appello, costringendo, quindi il
correntista, a ricorrere alla Suprema Corte.
La decisione della Corte di Cassazione: decisione ribaltata dalla Suprema Corte di Cassazione adita. Gli
Ermellini hanno, infatti, sottolineato l'erroneità della sentenza d'Appello, nella parte in cui ha ritenuto legittima
l'applicazione dell'uso piazza per la determinazione della CMS, riportandosi, quindi, all'orientamento costante
della giurisprudenza sul punto, secondo la quale prima dell'entrata in vigore della L. n. 154/1992 il rinvio
all'uso piazza rendeva nulla l'eventuale pattuizione per indeterminatezza, e dopo la L. n. 154/1992 i contratti
devono indicare il tasso d'interesse ed ogni altro prezzo e condizione praticati e le clausole di rinvio all'uso
piazza sono nulle e si considerano non apposte.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 2 febbraio 2006 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Tribunale
della stessa città in data 23 luglio 2001, riduceva da lire 73.614.389 a lire 58.732.082 la somma dovuta da F.G.
e da G.G. in relazione al saldo debitore del conto corrente intrattenuto dalla prima, dal 27 febbraio 1990 al 9
aprile 1997, presso la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A.
e garantito con fideiussione dal secondo. In particolare, per quanto ancora interessa, la Corte di appello premessa l'esposizione dei motivi di appello e tra essi quello relativo alla domanda di restituzione dei titoli il
cui importo era stato prima accreditato sul conto e poi stornato. ovvero alternativamente di risarcimento dei
danni per la mancata restituzione osservava che: 1) l'applicazione del tasso di interessi dell'11,75%, anziché
del 10,50% come secondo gli appellanti era stato convenuto, doveva ritenersi legittima "atteso che, non
essendovi stata contestazione da parte dei G., è da ritenere che con tale loro comportamento essi accettarono
tacitamente l'applicazione di tale tasso nella suindicata misura, stabilita peraltro dall'art. 4 della L. n. 154/92";
2) la doglianza relativa alla applicazione di commissioni di massimo scoperto non concordate era infondata
poiché il c.t.u. aveva accertato che quelle applicate non si discostavano da quelle generalmente applicate su
piazza nel periodo de quo.
G.F. e G. propongono ricorso per cassazione, deducendo tre motivi. La Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A.
resiste con controricorso illustrato anche con memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell'art. 1284, terzo comma, c.c. nonché il vizio di
motivazione, lamentando che la Corte di appello erroneamente aveva affermato la legittimità del tasso
d'interesse dell'11,75%, senza considerare che, da un lato, l'art. 1284 c.c. prevede la pattuizione scritta degli
interessi in misura superiore a quella legale e che, d'altro canto, tale previsione era confermata dall'art. 4, primo
comma, della Legge n. 152/1992; inoltre, la clausola contrattuale che rinviava la misura degli interessi agli usi
di piazza doveva ritenersi nulla.
Il motivo è inammissibile.
Risulta dalla sentenza impugnata, ed il punto non è stato oggetto di censura, che gli odierni ricorrenti hanno
contestato l'applicazione di un tasso di interesse superiore a quello convenuto, pari al 10,50%. In questa sede,
pertanto, non può trovare ingresso, in quanto nuova, la questione relativa alla nullità di un rinvio agli usi di
piazza, che richiederebbe un non consentito accertamento di fatto.
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Il giudizio deve essere, pertanto, limitato alla legittimità dell'applicazione dell'interesse dell'11,75% anziché
del convenuto 10,50%. In proposito, trovano applicazione le disposizioni dettate dalla Legge n. 154/1992
all'art. 4, secondo comma, ("L'eventuale possibilità di variare in senso sfavorevole al cliente il tasso di
interesse e ogni altro prezzo e condizione deve essere espressamente indicata nel contratto con una
clausola approvata specificamente dal cliente") e all'art. 6, quinto comma, che prevede l'obbligo di
comunicazione al cliente della variazione sfavorevole e la facoltà di quest'ultimo di recedere dal
contratto, nonché, dopo l'abrogazione di dette norme, dalle analoghe disposizioni dettate dagli art. 117,
quinto comma, e 118 del D.Lgs. n. 385/1993.
Sulla inosservanza di tali disposizioni nulla è stato, tuttavia, dedotto dai ricorrenti, che propongono
inammissibilmente soltanto la predetta questione della nullità del rinvio agli usi di piazza.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 1418 e 1283 c.c., lamentando che la Corte
di appello aveva ritenuto legittima l'applicazione delle commissioni di massimo scoperto, pur in mancanza di
una specifica pattuizione, soltanto sul rilievo che le commissioni applicate non si discostavano da quelle
usualmente praticate su piazza nel periodo.
Il motivo è fondato.
Invero, indipendentemente dalla natura assunta nel contratto de quo dalla commissione di massimo scoperto
(accessorio che si aggiunge agli interessi passivi sulle somme utilizzate dal cliente accreditato ovvero
remunerazione dell'obbligo della banca di tenere a disposizione del cliente una determina somma per un
determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo, come oggi è espressamente previsto dall'art.
117-bis del D.Lgs. n. 385/1993, introdotto dal D.L. n. 201/2011 e modificato dal D.L. n. 29/2012) può dirsi
certa l'erroneità del riferimento alle condizioni applicate su piazza. Prima dell'entrata in vigore della Legge n.
154/1992 un eventuale rinvio del contratto all'uso di piazza rendeva l'eventuale pattuizione nulla per
indeterminatezza, come la giurisprudenza ormai consolidata ha ripetutamente affermato con riferimento agli
interessi (e plurimis Cass. 28 marzo 2002, n. 4490; Cass. 18 settembre 2003, n. 13739). Dopo l'entrata in vigore
della Legge n. 154/1992 "i contratti devono indicare il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione
praticati" (art. 4, primo comma) e le clausole contrattuali di rinvio agli usi sono nulle e si considerano non
apposte (art. 4, terzo comma) e si applicano "gli altri prezzi e condizioni resi pubblici" (art. 5, lett. b), secondo
una disciplina ribadita, nella sua formulazione originaria, applicabile ratione temporis, dall'art. 117 del D.Lgs.
n. 385/1993. Ne consegue l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto legittima l'applicazione
delle commissioni su massimo scoperto in quanto le stesse "non si discosta(va)no da quelle generalmente
applicate su piazza nel periodo de quo".
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell'art. 112 c.p.c., lamentando che la Corte di appello
aveva omesso ogni pronuncia sulla loro domanda tesa ad ottenere la restituzione dei titoli il cui importo era
stato prima accreditato e poi stornato dal conto corrente, ovvero alternativamente il risarcimento dei danni.
Il motivo è fondato. Risulta dalla stessa sentenza impugnata (pag. 3) la proposizione della domanda sulla quale
la Corte di appello non si è pronunziata. P.Q.M.
dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso ed accoglie gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione
ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Napoli in diversa
composizione.
Tribunale Lecce, 2 dic 2013 Ricognizione di debito 'titolata' Confessione Differenze
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Tribunale Lecce
2 dicembre 2013
Est. Rossana Giannaccari
Ricognizione di debito "titolata" - Confessione - Differenze.
Ricognizione di debito "titolata" - Confessione - Rapporto riconosciuto - Inesistenza (o nullità) - Prova
Ammissibilità.
Norme antiusura - Irretroattività.
Contratti conclusi prima della legge n. 108/96 - Clausole-interessi - Inefficacia sopravvenuta - Sostituzione
automatica - Ammissibilità.
La ricognizione di debito titolata non può avere mai valore di confessione, trattandosi di istituti differenti,
in quanto se la prima - avendo per oggetto, rapporti giuridici, oppure opinioni o valutazioni - comporta la
presunzione, fino a prova contraria, dell'esistenza (e validità) del rapporto fondamentale, la seconda, invece,
ha per oggetto fatti sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all'altra parte.
Anche nell'ipotesi di ricognizione di debito titolata, il promittente può dimostrare l'inesistenza della causa,
sottesa alla propria ricognizione, così come la sua eventuale nullità, con conseguente invalidità radicale
della ricognizione stessa.
Le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali per superamento del tasso soglia dell'usura non
sono retroattive, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell'art. l, comma 1, d.l.
n. 394 del 2000, convertito con modificazioni dalla l. n. 24 del 2001, norma riconosciuta non in contrasto
con la Costituzione con sentenza n. 29 del 2002 della Corte Costituzionale.
In relazione ai contratti conclusi prima della entrata in vigore della legge n. 108/96, le clausole relative agli
interessi passivi sono sì valide, ma esse, con il sopraggiungere dei successivi tassi-soglia, divengono
illegittime negli effetti, generandosi in tal modo un fenomeno di sostituzione automatica ex art. 1339 c.c. ed
applicandosi da tale momento, in conseguenza, il saggio c.d. di soglia (in luogo del maggiore interesse
contrattuale), limitatamente alla "porzione" di rapporto non ancora esaurita.
Il Tribunale di Lecce, I Sezione Civile, in persona del Giudice Unico dott.ssa Rossana Giannaccari, ha emesso
la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 2003/2003 RG avente ad oggetto: altri contratti tipici ed obbligazioni non rientranti
nelle altre materie;
TRA
P. S.r.l. in persona del legale rappresentante pro-tempore rappresentata e difesa dall'Avv. M. per procura a
margine dell'atto di citazione;
ATTO
RI E
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I. CREDITI S.p.A. in persona del legale rappresentante pro-tempore quale procuratrice di Intesa Mediocredito
S.p.A. rappresentata e difesa dall'Avv. G. del Foro di Bari in virtù di mandato a margine della comparsa di
costituzione
E
M. S.p.A. in persona del suo procuratore speciale rappresentata e difesa dall'Avv. Giancarlo Alberti in virtù di
mandato a margine della comparsa di costituzione
TERZO CHIAMATO IN CAUSA
SVOLGIMENTO DE PROCESSO E CONCLUSIONI DELLE PARTI
Con atto di citazione notificato in data 3.4.2003, la Società P. esponeva quanto segue:
- di aver stipulato con scrittura privata del 31.5.1996 con la Mediocredito del Sud S.p.A. un contrattodi
finanziamento a medio termine, con il quale la Società Mediocredito del Sud, a fronte di una richiesta di lire
1.330.000.000=, concedeva ad essa attrice un finanziamento di lire 818.000.000= per la durata di anni sei
decorrenti dal primo giorno successivo a quello di erogazione, da destinare al miglioramento della propria
struttura finanziaria mediante consolidamento dell'indebitamento a breve nei confronti del sistema bancario;
- che il predetto finanziamento avrebbe beneficiato dell'intervento del Fondo di garanzia di cui alla l.
n. 85/95 ed alla l. n. 341/95, la cui gestione era affidata all'Istituto Bancario San Paolo di Torino
S.p.A.;
che in data 21.10.1996 la Banca Piccolo Credito Popolare Salentino prestava fidejussione in favore
della Società Pro-Sal per un importo globale di lire 981.600.000;
che con missiva del 21.2.2003 la Intesa BCI Gestione Crediti comunicava che l'esposizione debitoria
era pari ad ? 261.143,11 invitando essa attrice all'immediato versamento del suddetto importo;
che il tasso effettivo globale applicato al contratto in esame superava il tasso soglia previsto dalla l. n.
108/96 e, per tale ragione, la P. risultava creditrice della somma di ? 6.714,53;
-
che, in ogni caso, l'art. 4 del contratto contiene una clausola nulla perché il tasso di interesse è
indeterminato e indeterminabile in violazione dell'art. 1284 c.c.; tanto premesso chiedeva accogliersi le
seguenti conclusioni: "
1) - Dichiarare la nullità del patto n. 4 del contratto di finanziamento in questione per le ragioni di cui in
narrativa e, per l'effetto:
a) - accertare e dichiarare che la Società istante è creditrice della Banca convenuta di ?. 6.714,53=;
b) - condannare la Banca convenuta al pagamento, in favore della istante, della suddetta somma di?. 6.714,53=,
oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. 2) - Gradatamente, accertare e dichiarare dovuti sulle somme
maturate gli interessi legali e, per l'effetto, accertare e dichiarare che, alla data del 20.2.2003, il saldo a
debito della Società istante era di ?. 92.863,72=, dando atto che questa ultima offre a borsa aperta, salva
ripetizione, la suddetta somma di euro 92.863,72=. 3) Condannare la Banca convenuta alle spese e
competenze tutte del presente giudizio".
Si costituiva in giudizio la Soc. I. Crediti S.p.A. (già Intesa BCI Gestione Crediti S.p.A.) in qualità di
procuratore di Banca Intesa Mediocredito S.p.A. (già Intesa BCI Mediocredito S.p.A.), chiedendo il rigetto
della domanda. Deduceva in primo luogo che la P. con comunicazioni del 27.3.2002, del 30.12.2002 e del
17.2.2003 aveva riconosciuto il proprio credito; quanto alla natura usuraria degli interessi, contestava che si
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potesse fare riferimento al momento della dazione, ma a quello della pattuizione; infine, escludeva che l'art. 4
del contratto non consentisse di determinare la misura degli interessi. La convenuta spiegava formale domanda
riconvenzionale per il pagamento della complessiva somma di ?. 279.819,82 (di cui ?. 240.981,01 per capitale,
?. 30.283,96 per interessi di mora ed ?. 8.554,85 per spese afferenti al finanziamento) alla data 3.6.2003, oltre
interessi convenzionali di mora sino al soddisfo e chiedeva di essere autorizzato a chiamate in causa il Monte
di Paschi S.p.A., quale successore a titolo universale dell'originario fideiussore, Banca di Credito Salentino,
affinché, accertata la solidale obbligazione della società chiamata, ai sensi dell'art. 1944 c.c., quest'ultima
venisse condannata al pagamento in favore di essa istante di ogni somma dovuta dalla P.. Progettazioni
Salentine S.r.l.
Disposta la chiamata in causa del terzo, si costituiva il Monte Paschi S.p.A., chiedendo, in via preliminare,
dichiararsi inammissibile ed improponibile la chiamata in causa del terzo; in subordine, dichiarava di non
contestare il rapporto di garanzia ma di fare propri gli effetti di un eventuale accoglimento della domanda di
parte attrice.
Poiché, nelle more, la società P. veniva a conoscenza che alla Centrale Rischi era stato segnalato "in
sofferenza" il preteso credito della Banca convenuta, sul presupposto dell'illegittimità della segnalazione, con
atto di citazione del 16.2.2005, la Soc. P. S.r.l. conveniva in giudizio le società I. Crediti S.p.A. e Intesa
Mediocredito S.p.A. per sentir accogliere le seguenti conclusioni: "1) Accertare e dichiarare illegittima la
segnalazione dei rischi effettuata dal Medio Credito del Sud oggi I. Crediti S.p.A. e procuratore della Banca
Intesa Medio credito S.p.A.) e quindi dichiarare legittimo il ricorso ex art. 700 da parte della società P. 2)
Condannare le società convenute al pagamento in favore della società P. della complessiva somma di ?.
1.200.000,00=, a titolo di risarcimento dei danni come specificati in narrativa oltre rivalutazione monetaria
ed interessi legali. 3) Condannare le società convenute al pagamento delle spese e competenze tutte del
presente giudizio e di quelle relativa al procedimento ex art. 700 c.p.c.".
Si costituiva in giudizio la soc. Castello Gestione Crediti S.r.l. nella sua qualità di procuratrice di "I. Crediti
S.p.A." nonché nella sua qualità di procuratrice di "Intesa mediocredito S.p.A.", la quale, in via pregiudiziale
e in rito, chiedeva dichiararsi il difetto di legittimazione passiva della I. Crediti S.p.A. ad essere destinataria
delle domande formulate dalla "P. - Progettazioni Salentine S.r.l., e, quindi rigettarle; nel merito chiedeva il
rigetto delle domande formulate dall'attrice perché infondate, con condanna della stessa la pagamento delle
spese e competenze di lite.
Disposta la riunione tra i due giudizi (n. 2003/03 RG e 766/06 RG), espletata CTU e disposti chiarimenti,
all'udienza del 27.9.2012, precisate le conclusioni, il GI fissava per la discussione orale ex art. 281-quinquies
c.p.c. l'udienza dell'1.10.2013.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Parte attrice ha chiesto dichiararsi la nullità dell'art.4 del contratto di finanziamento concluso con scrittura
privata del 31.5.1996 con la M. S.p.A. in quanto gli interessi pattuiti avrebbero natura usuraria.
La convenuta ha dedotto che la P. con comunicazioni del 27.3.2002 e del 30.12.2002 si era impegnata ad
estinguere il debito attraverso pagamenti rateali (all. 10 e 12 del fascicolo di parte convenuta), in questo modo
riconoscendo il proprio debito con valore confessorio.
La tesi della convenuta non merita accoglimento.
Occorre in primo luogo, operare una corretta distinzione tra le figure giuridiche della ricognizione di debito
titolata e la confessione. La prima (disciplinata dall'art. 1988 c.c.), ha per oggetto, infatti, rapporti giuridici,
oppure opinioni o valutazioni e comporta la presunzione fino a prova contraria del rapporto fondamentale,
mentre la seconda (disciplinata dagli artt. 2730 e segg. c.c.) ha per oggetto fatti sfavorevoli al dichiarante e
favorevoli all'altra parte (Cass. 30 gennaio 1975, n. 363). Partendo da questa distinzione, la giurisprudenza
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giunge, quindi, ad affermare che la promessa di pagamento, anche quando sia titolata, perché contenente
l'indicazione della "causa debendi", non assume per questo natura confessoria. Sicché, anche in tale ipotesi
vige la regola - stabilita dall'ultima parte dell'art. 1988 c.c. - secondo cui il promittente può dimostrare
l'inesistenza della causa e, perciò, la nullità della promessa; mentre le particolari limitazioni di prova poste
dall'art. 2732 c.c. (impossibilità di revocare la confessione non determinata da errore di fatto o da violenza)
per la confessione, potranno trovare applicazione quando, nel contesto dello stesso documento, accanto alla
volontà diretta alla promessa, coesista la dichiarazione di fatti storici dai quali scaturisce il rapporto
fondamentale (Cass. 20 gennaio 1995, n. 629; 19 maggio 1975, n. 1972).
Nel caso in esame, le dichiarazioni della P. di cui alle comunicazioni del 27.3.2002 e del 0.12.2002 riconoscono
l'esistenza del debito ma non possono avere valore confessorio rispetto alla corresponsione di interessi
asseritamente usurari, ovvero avente causa illecita (Cassazione Civile, Sez. III, 16.9.2013, n. 21098). È
evidente che è inefficace la promessa di pagamento o la ricognizione di debito, la cui fonte sia un negozio
nullo.
Tanto premesso si tratta di verificare se la normativa di cui alla l. n. 108/96 si applichi ai contratti conclusi in
epoca anteriore.
Sul punto, l'orientamento più recente della Suprema Corte che questo giudice condivide (Cassazione Civile,
Sez. III, 14 marzo 2013, n. 6550, in senso conforme: Cass. Civ., Sez. III, 22 agosto 2007, n. 17854, Cass. Civ.,
Sez. III, 31 gennaio 2006, n. 2140) ritiene che le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali per
superamento del tasso soglia dell'usura non sono retroattive, come emerge dalla norma di interpretazione
autentica contenuta nell'art. l, comma 1, d.l.
n. 394 del 2000, conv. con modificazioni dalla l. n. 24 del 2001, norma riconosciuta non in contrasto con la
Costituzione con sentenza n. 29 del 2002 della Corte costituzionale. Tuttavia, secondo il giudice di legittimità,
in relazione ai contratti conclusi prima della loro entrata in vigore, il Giudice di legittimità, in forma più
esplicita e positiva, ribadisce il principio per cui sono sì valide le clausole-interessi anteriori alla legge n.
108/96 ma afferma altresì, che esse, con il sopraggiungere dei successivi tassi-soglia, divengono illegittime
negli effetti a partire, naturalmente, dal momento in cui intervengano i medesimi e più bassi tassi usurari,
generandosi in tal modo un fenomeno di sostituzione automatica ex art. 1339 c.c. ed applicandosi da tale
momento, in conseguenza, il saggio di soglia (in luogo del maggiore interesse contrattuale) rispetto alla
porzione di rapporto non ancora esaurita, ad es. in ordine agli interessi moratori ancora dovuti (ex multis Cass.
Civ., Sez III, 22.3.2013, n. 7243).
Le recenti pronunce della Suprema Corte costituiscono l'approdo di un già avviato e pregresso percorso
interpretativo, non rappresentando perciò statuizioni isolate.
In particolare, va osservato che a fronte di un primo orientamento giurisprudenziale (sintetizzabile in SS.UU
n. 18128/2005) che nega l'applicabilità della legge n. 108/96 ai contratti venuti in essere anteriormente, vi è
invece altro cospicuo filone interpretativo che, in sostanza, attraverso varie modulazioni, riconosce invece
l'applicabilità della nuova disciplina anti/usura anche ai negozi stipulati in epoca precedente, in riferimento a
quella porzione di rapporto negoziale ancora in corso che non sia completamente esaurita o conclusa (cfr. Cass.
n. 1126/2000, n. 5286/2000, n. 14899/2000, n. 8442/2002): è vero che tali sentenze - le prime tre - sono
intervenute prima della legge d'interpretazione autentica n. 24/2001 in cui ai fini della commissione del reato
di usura, si è ritenuto rilevante il solo momento della pattuizione o promessa degli interessi e non quello della
loro concreta dazione, ma ciò non toglie che, in base agli ordinari principi dello ius superveniens possano
applicarsi i tassi/soglia rispetto a quelle porzioni del rapporto stesso che siano ancora in corso e che, quindi,
siano suscettibili di ricevere la nuova disciplina imperativa.
Se è vero, infatti che il legislatore, attraverso il l d.l. n. 394/2000 convertito, con modifiche, nella l. n. 24/2001,
sgombrando il campo da ogni dubbio interpretativo ha stabilito che gli interessi si intendono usurari nel
momento in cui "sono promessi o comunque convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento",
con ciò confermando che i contratti stipulati prima della l. n. 108/96 - i cui rapporti ancora pendano - sono
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comunque leciti pur se detti rapporti, nel loro funzionale sviluppo, superino poi i sopravvenuti tassi-soglia,
tuttavia, se il suddetto comma 1° dell'art. 1 della l. n. 24/2001 circoscrive all'usurarietà originaria (promessa o
convenzione contrattuali) la sanzione civile della nullità della clausola-interessi ("Ai fini dell'applicazione ...
dell'art. 1815 ...") - con la ripetuta conseguenza che i negozi stipulati anteriormente alla n. 108/96 siano
geneticamente validi -, tuttavia ciò non esclude, sul diverso e successivo piano esecutivo/funzionale, che la
nuova disciplina possa rilevare sotto profili diversi da quello della illiceità della pattuizione originaria. In
sostanza, se la citata disposizione esclude l'incidenza dei tassi-soglia sulla validità del titolo negoziale, nulla
però dice quanto alla possibile incidenza degli stessi sul derivante rapporto che, a sua volta, soggiace pertanto
alle altre regole del sistema e non a quella sanzionatoria.
Del resto, la ricordata pronuncia della Corte Costituzionale, nel far salvo il citato comma 1° in ordine ai
profili sanzionatoti del contratto, riferisce però, tra l'altro, che restano "evidentemente estranei all'ambito di
applicazione della norma impugnata gli ulteriori istituti e strumenti di tutela del mutuatario, secondo la
generale disciplina codicistica dei rapporti contrattuali".
Ne consegue che, in caso di interessi eccedenti le soglie usurarie relative a contratti conclusi prima dell'entrata
in vigore della l. n. 108/96, gli interessi devono armonizzarsi con le nuove disposizioni di legge.
In particolare, ed in applicazione di siffatti criteri, è valido il contratto stipulato il 31.5.1996, (ante l. n. 108/96)
ma, tuttavia, a decorrere dal 2.4.1997 (data di pubblicazione del primo tasso-soglia), la porzione di rapporto
non ancora esaurita deve da tale momento confrontarsi con le soglie usurarie fissate dalla legge, attraverso il
meccanismo di cui all'art. 1339 c.c.
Tale interpretazione della Suprema Corte trova indiretta ed ulteriore conferma in altre pronunce (Cass. n.
15497/2005 e, più di recente, in Cass. n. 15621/2007) laddove queste affermano che la legge n. 108/96 non si
applica a rapporti "completamente esauriti" prima della sua entrata in vigore: questo significa anche che, a
contrario, ove il rapporto non sia ancora completamente esaurito allora, alla sua porzione ancora corrente,
debbano quindi applicarsi, per tale residua parte, i corrispondenti tassi-soglia.
Tanto premesso in diritto, vanno valutate le risultanze della CTU, le cui conclusioni sono condivise dal
giudicante e non specificamente contestate dalle parti.
Il CTU, ricostruendo il rapporto tra la P. e la Banca Intesa ha preso in considerazione i tassi soglia applicabile
per il contratto di "mutuo" e di "altri finanziamenti alle imprese"; mentre nella prima ipotesi il perito ha
concluso (pag. 5 della CTU) che "i tassi convenuti non superano quelli soglia", nella seconda ipotesi è stato
rilevato il superamento del tasso soglia
A seguito dell'inadempimento della PROSAL, le parti concordavano un piano di rientro, che però non veniva
rispettato. La PROSAL proponeva pertanto la rideterminazione del tasso di interesse di mora ad un tasso annuo
non superiore al 6%. La richiesta veniva accolta dalla BCI Gestione Crediti, subordinandola all'immediato
versamento di quanto dovuto. Poiché la PROSAL non ha versato il debito residuo, appare evidente che gli
interessi, anche moratori, vadano calcolati secondo le norme contrattuali ed entro i limiti del tasso soglia.
Il consulente ha infatti determinato il debito finale in
1)
? 219.831,06 considerando la categoria "altri finanziamenti alle imprese"; il CTU ha accertato che il
TEG non è mai superiore al tasso soglia tempo per tempo vigente;
2)
? 199.824,19 considerando la categoria "mutui"; il TEG calcolato pari a 9,825% supera il tasso soglia
pari all'8,055%
Ad avviso del giudicante, deve farsi al contratto di mutuo, a nulla rilevando la circostanza che il contratto
venne stipulato ai sensi della l. 22.3.1995, n. 85 e della l. 8.8.1995 in forza delle quali la società finanziata
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avrebbe dovuto beneficiare di un contributo sugli interessi, che avrebbe abbattuto del 4,50%. Si tratta infatti
di un beneficio volto a ridurre l'entità degli interessi, che, tuttavia, non incide sullo schema contrattuale.
La Prosal ha chiesto accertarsi, in via subordinata, che, ove i tassi di interesse praticati dalla Banca convenuta
non siano superiori al tasso di soglia previsto dalla legge anti-usura, il patto n. 4 del contratto di finanziamento
è comunque nullo per violazione dell'art. 1284 c.c., che impone di esplicitare in modo esatto ed inequivoco il
tasso di interesse ultralegale concordato dalle parti. Ritiene parte attrice che, nel caso in esame, l'oggetto del
contratto di finanziamento è indeterminato, in quanto non indica il tasso di interesse effettivo, ed anche
indeterminabile ed imprevedibile, in quanto il tasso di interesse dipende esclusivamente dalla iniziativa del
mutuante.
Secondo il contratto di finanziamento: "Ogni rata comprende una quota capitale, come risulta dal piano di
ammortamento allegato sotto la lettera "B" e una quota interessi calcolati nella misura di un punto
percentuale in più del tasso di riferimento nominale annuo per l'industria, variabile semestralmente, in base
ai valori che lo stesso assumerà nei mesi di gennaio e di luglio antecedenti la decorrenza di ogni semestralità.
Detto tasso, con al massimo due decimali e pari al tasso semestrale proporzionale troncato al terzo decimale,
per il periodo di preammortamento tecnico di cui al 2° comma del precedente art. 3 e per la prima
semestralità del periodo di preammortamento di cui al 1° comma del medesimo articolo, viene sin da ora
fissato nella misura del 12,13% nominale annuo, pari al tasso semestrale proporzionale del 6,065%, ottenuto
aggiungendo un punto percentuale al tasso di riferimento per l'industria".
Ritiene il giudicante, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di parte attrice, che il tasso di interessi
possa essere determinato sulla base di parametri certi e prestabiliti, tanto più che il contratto non è stato
predisposto su modulo prestampato ma è stato oggetto di negoziazione tra le parti. Non a caso il CTU, al pari
dei CTP, è stato in grado di determinare puntualmente il tasso annuo di interesse applicabile al rapporto in
esame.
Accertato quindi che la P. è debitrice della Gestione Crediti S.p.A. della somma di ? 199.824,19, va esaminata
la domanda di garanzia proposta dalla convenuta nei confronti del M. S.p.A., successore a titolo universale
dell'originario fideiussore, Banca di Credito Salentino.
Il M. non ha contestato la validità e l'esistenza del rapporto di garanzia ma ha eccepito l'inamissibilità della
domanda riconvenzionale nei confronti del terzo, in quanto la chiamata di terzo deve trovare esclusivo e
necessario fondamento nella domanda attorea. Poiché l'azione introduttiva del giudizio inerisce al rapporto
contrattuale di finanziamento e pone in contestazione la stessa validità ed efficacia dello stesso, sussisterebbe
una diversità sostanziale tra petitum e causa petendi tra la domanda attorea e quella di accertamento
dell'obbligazione di garanzia. Secondo il M., solo ove la chiamata di terzo fosse finalizzata ad accertare, anche
nei confronti del garante, la validità e l'efficacia del contratto di finanziamento, la stessa sarebbe stata
ammissibile, mentre ove la convenuta formuli anche nei confronti del terzo chiamato in causa una domanda di
condanna, essa deve essere ritenuta inammissibile.
L'eccezione non merita accoglimento.
Ritiene il giudicante che l'obbligazione di pagamento in capo alla banca chiamata in causa abbia come
presupposto la validità del contratto di finanziamento, che costituisce il presupposto giuridico per ottenere la
condanna dell'attore e del terzo. Sussiste pertanto una connessione per l'oggetto e per il titolo con la domanda
proposta dalla PROSAL S.r.l., che avrebbe determinato la riunione in caso di proposizione di autonomi giudizi,
al fine di salvaguardare il principio del simultaneus processus.
De resto, l'art. 269 c.p.c. prevede la possibilità del convenuto di chiamare in causa il terzo "al quale ritiene
comune la causa o dal quale pretende di essere garantita", senza che possa escludersi la possibilità di
riconvenzionale proposta dal convenuto nei confronti del terzo, laddove vi sia comunanza di causa ovvero
sussista un rapporto di garanzia.
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Va infine esaminata la domanda della P. S.r.l. (proc. n. 766/2006) volta a dichiarare l'illegittima segnalazione
alla Centrale dei Rischi effettuata dal Medio Credito del Sud oggi I. Crediti S.p.A. e procuratore della Banca
Intesa Medio credito S.p.A. ed al risarcimento dei danni derivanti dall'illegittima segnalazione.
Va in primo luogo dichiarata la carenza di legittimazione passiva della I. Crediti S.p.A., non essendo essa
titolare del credito in contestazione, ma mera procuratrice della Intesa Mediocredito S.p.A., autore della
segnalazione e pertanto unico soggetto legittimato passivo nel presente giudizio.
Nel merito la domanda non è fondata.
Il servizio di centralizzazione dei rischi creditizi gestito dalla Banca d'Italia è disciplinato dalla delibera del
Comitato interministeriale per il credito e il risparmio del 29 marzo 1994 (G.U. 20 aprile 1994, n. 91) e dalle
istruzioni emanate dalla Banca d'Italia in conformità della stessa, trasfuse nella Circolare dell'11.2.1991 e
successivi aggiornamenti.
Tra le cinque categorie di rischi classificati nelle predette istruzioni, quella che qui rileva è la quinta, riferita
alle "sofferenze".
Secondo la Circolare, nella categoria di censimento "sofferenze" va ricondotta l'intera esposizione per cassa
nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni
sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dall'azienda.
Si prescinde, pertanto, dall'esistenza di eventuali garanzie (reali o personali) poste a presidio dei crediti.
L'appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell'intermediario della complessiva situazione
finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest'ultimo nel pagamento
del debito.
Il p. 6 della Circolare in questione prevede tra le varie ipotesi di sospensione della segnalazione delle
sofferenze, la cessazione dello stato di insolvenza o la situazione ad esso equiparabile.
Va poi notato che, nel glossario costituente parte integrante della Circolare in esame, la "sofferenza" è definita
come l'"esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza (anche non accertato
giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di
perdita formulate dall'intermediario e dall'esistenza di eventuali garanzie (reali e personali) poste a presidio
dei crediti" e lo stato d'insolvenza è definito come "incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni
assunte".
Alla luce dei dati normativi, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "la segnalazione di una posizione
in sofferenza presso la centrale rischi della Banca d'Italia, secondo le istruzioni del predetto istituto, lungi
dal poter discendere dalla sola analisi dello specifico o degli specifici rapporti in corso di svolgimento tra
la singola banca segnalante e il cliente, implica una valutazione della complessiva situazione patrimoniale
di questo ultimo, ovvero del debitore di cui alla diagnosi di sofferenza. L'accostamento che tali istruzioni
hanno inteso stabilire tra stato di insolvenza (anche non accertato giudizialmente) e situazione
sostanzialmente equiparabili, inducono a preferire quelle ricostruzioni che, oggettivamente gemmate dalla
piattaforma di cui all'art. 5 l. fall., hanno tuttavia proposto, ai fini della segnalazione, una nozione "levior"
rispetto a quella della insolvenza fallimentare, così da concepire lo stato di insolvenza e le situazioni
equiparabili in termini di valutazione negativa di una situazione patrimoniale apprezzata come deficitaria,
ovvero - in buona sostanza - di grave (e non transitoria) difficoltà economica, senza - cioè - fare necessario
riferimento all'insolvenza intesa quale situazione di incapienza, ovvero di definitiva irrecuperabilità.
Conclusivamente, ciò che rileva è la situazione oggettiva di incapacità finanziaria (incapacità non
transitoria di adempiere alle obbligazioni assunte) mentre nessun rilievo assume la manifestazione di
volontà di non adempimento, se giustificata da una seria contestazione sulla esistenza del titolo del credito
vantato dalla banca" (Cass., Sez. 1^, 12 ottobre 2007, n. 21428; Cassazione Civile, Sez. I, 24 maggio 2010,
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n. 12626). Nel caso in esame, la segnalazione alla Centrale dei Rischi è senza dubbio legittima e costituisce
atto dovuto in quanto dalla documentazione in atti si evince quanto segue:
- il contratto di finanziamento veniva concluso in data 31.5.1996 ed era finalizzato al miglioramento della
struttura finanziaria della P. mediante consolidamento dell'indebitamento a breve nei confronti del sistema
bancario;
- già dal 31.10.1998 la P. risultava inadempiente al pagamento delle rate come contestato dal Mediocredito
con nota del 13.9.1999;
- in data 27.3.2002 la P. era ancora debitrice della somma di ? 322.946,00;
- a fronte del piano di rientro stabilito in data 27.3.2002 da effettuarsi attraverso il versamento di dieci rate
dell'importo di ? 25.820,00 ciascuna la P. versava solo le prime tre rate;
- con missiva del 30.12.2002 la P. rappresentava le proprie difficoltà di cassa, dovute all'inadempimento di un
cliente primario, e proponeva una dilazione fino al febbraio 2013;
- con missiva del 17.1.2003 l'I. Crediti accettava la proposta determinando il credito in ? 269.756,94;- in data
17.1.2003 la P. chiedeva la rideterminazione del debito previo calcolo degli interessi nella misura del 6%;
- in data 21.2.2003 l'I. Crediti rideterminava il credito in ? 261.143,11.
È evidente che la P. non solo ha ammesso l'esistenza di un debito di rilevante importo, ma ha anche riconosciuto
difficoltà di cassa, manifestatesi già dal 1998 e protrattesi fino al 2003. Si trattava di una situazione di difficoltà
economica e finanziaria grave e non transitoria, che hanno legittimato la segnalazione del debito alla Centrale
dei Rischi.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo
P.Q.M.
il Tribunale di Lecce, nella persona del Giudice Unico dott.ssa Rossana Giannaccari, definitivamente
pronunciando sulla domanda proposta dalla P. S.r.l. in persona del legale rappresentante pro-tempore nei
confronti della I. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro-tempore quale procuratrice di I. M. S.p.A. e
del M. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro-tempre, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa,
così provvede:
a) rigetta tutte le domande proposte dalla P. S.r.l.;
b) accoglie per quanto di ragione la domanda riconvenzionale proposta dalla I. S.p.A. in quale procuratrice di
Intesa Mediocredito S.p.A. e per l'effetto condanna la P. S.r.l. ed il M. S.p.A. in solido tra loro al pagamento
in favore della I. S.p.A. della somma di ? 199.824,19 oltre interessi convenzionali di mora nei limiti del
tasso soglia dal 3.6.2003 al soddisfo:
c) condanna la P. S.r.l. ed il M. S.p.A. in solido tra loro al pagamento in favore della I. S.p.A. delle spese di
lite che liquida in complessivi ? 12.000,00 oltre spese forfettarie, Iva e cap come per legge.
Cass. Civile n.26133, 21 nov 2013 Contratti bancari
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Cassazione Civile
10 ottobre - 21 novembre 2013, n. 26133, Sez. I Civile
Presidente Carnevale - Relatore Lamorgese
Contratti bancari
La giurisprudenza della Corte, ha ritenuto che, perché vi sia apertura di credito in conto corrente, è sufficiente
la pattuizione di un obbligo della banca di eseguire operazioni di credito bancario passive, nel qual caso la
predeterminazione del limite massimo della somma accreditabile non costituisce elemento essenziale della
causa del contratto di apertura di credito in conto corrente (Cass. n. 3842 del 1996).
Tale pattuizione trova titolo nello stesso contratto di conto corrente liberamente sottoscritto dal cliente, il quale
è da intendere come un solo negozio di tipo complesso, caratterizzato da unicità di causa ed assistito da
un'apertura di credito di cui postula l'applicazione in via analogica della relativa disciplina, contrassegnata
dall'obbligo per l'accreditato, che utilizzi la somma prelevata, di corrispondere gli interessi nella misura fissata
dal contratto (Cass. n. 9080 del 2002).
Svolgimento del processo
L'opposizione proposta dal sig. N.A. avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da Intesa Gestione Crediti per il
pagamento di L. 102.967.926, quale scoperto di conto corrente (n. 5564887/01/97) al 31 dicembre 1996, è
stato rigettata dal Tribunale di Roma, la cui decisione è stata confermata dalla Corte di appello di Roma con
sentenza 10 gennaio 2006, fatta eccezione per il capo concernente la illegittima capitalizzazione trimestrale
degli interessi, riconosciuti invece su base annuale secondo le modalità pattuite. La Corte ha rigettato sette
degli otto motivi di appello proposti dall'A. e, in particolare, quelli concernenti: la declaratoria di
inammissibilità della sua eccezione di inefficacia probatoria dell'estratto conto prodotto dalla banca, giudicata
nuova perché tardivamente proposta dall'opponente nella memoria di cui all'art. 183, comma 5, c.p.c.;
l'inidoneità contenutistica dell'estratto conto perché privo di indicazioni circa le condizioni contrattuali; la
dedotta mancanza nel contratto di apertura di credito del requisito della forma scritta; la necessità, esclusa dal
tribunale, di stipulare un autonomo contratto di apertura di credito in caso di concessione del fido esistente sul
medesimo, secondo le condizioni del contratto di conto corrente e la prassi bancaria; la legittimità, ritenuta dal
tribunale, del recesso della banca; la esclusione del suo affidamento incolpevole sulla prosecuzione del
rapporto; l'applicazione del tasso degli interessi debitori ultralegali.
Avverso questa sentenza l'A. ricorre per cassazione a mezzo di sette motivi, illustrati da memoria, cui resiste
l'Italfondiario, mandataria di Intesa Sanpaolo.
Motivi della decisione
1.- I primi due motivi riguardano la efficacia probatoria degli estratti conto: nel primo motivo è dedotta la
violazione degli artt. 183 c.p.c., 1832 c.c. e 50 d.lgs. n. 385 del 1993, per avere la sentenza impugnata ritenuto
inammissibile l'eccezione di inefficacia probatoria dell'estratto conto, in quanto proposta solo con la memoria
ex art. 183, comma 5, c.p.c.; nel secondo è dedotta la violazione degli artt. 112, 132, 342 c.p.c., nonché degli
artt. 1832 e 2697 c.c. e 50 d.lgs. n. 385 del 1993, per avere la sentenza impugnata motivato mediante un mero
rinvio recettizio alla sentenza del tribunale che aveva riconosciuto il valore probatorio degli estratti conto e, in
tal modo, ritenuto sussistente il credito della banca, così violando l'obbligo di motivazione della sentenza.
La sentenza impugnata ha condiviso la valutazione espressa dal tribunale in ordine alla completezza dei due
estratti conto prodotti dalla banca in quel giudizio, che riportavano tutte le annotazioni eseguite nel periodo
cui si riferiva il rapporto e i riassunti scalari. Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, è legittima la
motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame, quando il giudice d'appello - come
nella specie - facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le
ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso
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argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto (Cass. n.
2268/2006).
La infondatezza del secondo motivo, riguardante il merito dell'eccezione di inefficacia probatoria degli estratti
conto, determina l'assorbimento del primo, riguardante l'ammissibilità di quella eccezione, giudicata dalla
Corte di appello inammissibile e "in ogni caso infondata nel merito".
2.- Il terzo motivo, formulato per violazione degli artt. 112, 132, 342 c.p.c., 2697 c.c. e 117 d.lgs. n. 385 del
1993, imputa alla sentenza in esame di avere motivato mediante un apodittico rinvio alla sentenza del tribunale,
senza valutare l'insussistenza degli elementi costitutivi (il limite massimo del fido, la misura del tasso di
interesse, ecc.) del contratto di apertura di credito, non confondibile con quello di conto corrente.
Il motivo è infondato. La sentenza impugnata ha precisato che il contratto di conto corrente consentiva al
cliente di usufruire del fido, senza bisogno di un formale ed autonomo contratto di apertura di credito. È
un'affermazione coerente con la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ritenuto che, perché vi sia apertura
di credito in conto corrente, è sufficiente la pattuizione di un obbligo della banca di eseguire operazioni di
credito bancario passive, nel qual caso la predeterminazione del limite massimo della somma accreditabile non
costituisce elemento essenziale della causa del contratto di apertura di credito in conto corrente (Cass. n. 3842
del 1996). Tale pattuizione trova titolo nello stesso contratto di conto corrente liberamente sottoscritto dal
cliente, il quale è da intendere come un solo negozio di tipo complesso, caratterizzato da unicità di causa ed
assistito da un'apertura di credito di cui postula l'applicazione in via analogica della relativa disciplina,
contrassegnata dall'obbligo per l'accreditato, che utilizzi la somma prelevata, di corrispondere gli interessi nella
misura fissata dal contratto (Cass. n. 9080 del 2002).
3.- Il quarto motivo, formulato per violazione degli artt. 132, 339, 342 c.p.c., 1469-bis ss. c.c., imputa alla
sentenza in esame di avere motivato con un semplice rinvio recettizio alla sentenza del tribunale che aveva
riconosciuto la legittimità del recesso della banca.
Il motivo è infondato. La sentenza impugnata, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, ha motivato (con
valutazioni non specificamente censurate) la legittimità del recesso della banca, tenuto conto che l'A. aveva
sconfinato dal fido e aveva subito l'iscrizione di due ipoteche giudiziarie per importi considerevoli.
4.- Il quinto motivo, per violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., deduce l'erroneità della valutazione della corte
di merito che, al fine di escludere l'affidamento incolpevole del correntista, aveva dato rilievo a due lettere dei
mesi di ottobre 1995 e marzo 1996 con cui la banca avrebbe manifestato il suo intendimento di non tollerare
più i suoi ritardi nel rientro dell'esposizione bancaria, quando invece quelle lettere erano state inviate per altri
scopi dall'A. alla banca e non viceversa. Il motivo è infondato. L'errore materiale commesso dalla corte di
merito nel riferimento alle suddette lettere non scalfisce l'ordito motivazionale con cui la corte di appello, con
valutazione adeguata e non specificamente censurata, ha escluso la volontà implicita della banca di ripristinare
il rapporto di fiducia con il cliente, anche tenuto conto che, con lettera del 5 settembre 1995, l'A. fu invitato a
ricondurre, entro il 25 settembre, la propria esposizione debitoria nei limiti dell'affidamento concessogli.
5.- Il sesto motivo, per violazione dell'art. 1284 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 e 5, c.p.c., contesta
l'applicazione del tasso di interessi ultralegali al distinto contratto di apertura di credito.
Il motivo è infondato. Esso, da un lato, introduce in questa sede di legittimità una questione di diritto nuova,
non compresa nel thema decidendum del giudizio di appello, quale fissato dalle richieste delle parti; dall'altro,
si basa su un presupposto (l'autonomia tra conto corrente e apertura di credito) già escluso dalla corte del
merito.
6.- Nel settimo motivo, per violazione degli artt. 132 c.p.c. e 1284 c.c., si chiede la correzione del capo della
sentenza impugnata nella parte in cui la corte del merito, pur avendo ritenuto illegittima la capitalizzazione
trimestrale degli interessi, non aveva disposto la formale revoca del decreto ingiuntivo.
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Il motivo è infondato. La corte del merito ha accertato l'obbligo della banca di ricalcolare gli interessi su base
annuale "con le modalità pattuite" e ha condannato la banca a restituire le somme corrisposte e non dovute dal
ricorrente. Tale statuizione è satisfattiva per il ricorrente, il quale si è limitato a riproporre la infondata
doglianza (v. p. 2) circa l'applicazione all'apertura di credito del tasso di interessi debitori stabilito per il
contratto di conto corrente.
7.- Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 4200,00, di cui Euro 4000,00 per
compensi.
Tribunale Milano, 30 ott 2013 Contratto di mutuo - Ammortamento 'alla
francese' - Mancanza di univoca indicazione del tasso - Nullità Sostituzione della
clausola nulla - Interessi al tasso legale
Tribunale Milano
30 ottobre 2013
Est. Elena Riva Crugnola
Contratto di mutuo - Ammortamento "alla francese" - Mancanza di univoca indicazione del tasso - Nullità
Sostituzione della clausola nulla - Interessi al tasso legale.
Nel contratto di mutuo che prevede un piano di ammortamento "alla francese" sono nulle le clausole
determinative degli interessi che si risolvono in enunciati non danti luogo ad una univoca applicazione ma
richiedenti la necessità di una scelta applicativa tra più alternative possibili, ciascuna delle quali comportante
l'applicazione di tassi di interessi diversi.
Nel contratto di mutuo che prevede un piano di ammortamento "alla francese" sono nulle le clausole di
determinazione degli interessi che non consentono una univoca applicazione perchè non soddisfano il
requisito della determinatezza o determinabilità del loro oggetto, richiesto dalla disciplina dei contratti ex
artt. 1418, 1346 c.c. a pena di nullità.
Nel contratto di mutuo che prevede un piano di ammortamento "alla francese" la nullità della clausola di
determinazione degli interessi non comporta la nullità dell'intero contratto ma la sostituzione di diritto della
clausola nulla con la clausola sostitutiva di cui al terzo comma dell'art. 1284 c.c., per cui gli interessi saranno
dovuti nella misura legale.
Il Tribunale Ordinario di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa B
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. ELENA RIVA CRUGNOLA, ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
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nella causa civile di primo grado iscritta al n. r.g. 13980/2011 promossa da: AE. S.r.l.
(Omissis);
ATTRICE
contro
BANCA DI C. S.p.A. (Omissis);
CONVENUTA
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come segue:
per l'attrice:
"Parte attrice riservato quant'altro, chiede che il Tribunale Ill.mo, causa cognita, voglia accogliere le seguenti
Conclusioni
Ogni avversa istanza, eccezione e deduzione reietta:
a) In relazione al contratto di mutuo n. 006287668/001 di Euro 1.000.000,00 e atto di quietanza rep. 5652 Dr.
Francesco Pianu notaro:
1)
Dichiararsi nulla la clausola di determinazione degli interessi perché posta in violazione degli artt.1346
- 1418 - 1419 c.c., nonché incompatibile con i principi di inderogabilità in tema di determinabilità dell'oggetto
nei contratti formali e/o per violazione degli art. 1283 e 1284 c.c. e/o per violazione dell'art. 1322 c.c.
(Equilibrio e giustizia contrattuale in quanto non meritevole di tutela prevista dall'ordinamento giuridico) e/o
per violazione dell'art. 9, comma 3, legge n. 192/1998 (Divieto di abuso di dipendenza economica),
individuando il saggio di interesse applicabile in sua sostituzione sulle rate scadute e da scadere e per l'effetto
condannare la convenuta a restituire all'attrice la somma di Euro 138.553,96, s.e.od.o., o in quella inferiore o
superiore accertata in corso di causa e ciò a titolo di maggiori somme non dovute corrisposte alla data del
31.12.2010 per rate di ammortamento in scadenza determinando per l'effetto un piano di ammortamento a
tasso legale con quote capitali costanti;
2)
dichiararsi comunque che la convenuta, con la previsione di un piano di ammortamento alla francese,
ha applicato tassi di interesse difformi da quelli pattuiti e per l'effetto, individuato il saggio di interesse
applicabile in sua sostituzione, condannare la convenuta alla restituzione all'attrice della somma di Euro
138.553,96, s.e.od.o., o in quella inferiore o superiore accertata in corso di causa e ciò a titolo di maggiori
somme non dovute corrisposte alla data del 31.12.2010 per rate di ammortamento in scadenza determinando
per l'effetto un piano di ammortamento a tasso legale con quote capitali costanti;
b) In relazione al contratto di mutuo n. 006612022/001 di Euro 500.000,00 Rep. 5653 Dr. Francesco Pianu
notaro:
1)
Dichiararsi nulla la clausola di determinazione degli interessi perché posta in violazione con degli artt.
1346 - 1418 - 1419 c.c., nonché incompatibile con i principi di inderogabilità in tema di determinabilità
dell'oggetto nei contratti formali e/o per violazione degli art. 1283 e 1284 c.c. e/o per violazione dell'art. 1322
c.c. (Equilibrio e giustizia contrattuale in quanto non meritevole di tutela prevista dall'ordinamento giuridico)
e/o per violazione dell'art. 9, comma 3, legge n. 192/1998
(Divieto di abuso di dipendenza economica) individuando il
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saggio di interesse applicabile in sua sostituzione sulle rate scadute e da scadere e per l'effetto condannare
la convenuta a restituire all'attrice la somma di Euro 69.276,96, s.e.od.o., o in quella inferiore o superiore
accertata in corso di causa e ciò a titolo di maggiori somme non dovute corrisposte alla data del 31.12.2010
per rate di ammortamento in scadenza determinando per l'effetto un piano di ammortamento a tasso legale
con quote capitali costanti;
2)
dichiararsi comunque nulla la clausola di determinazione degli interessi siccome disposta
unilateralmente dalla convenuta perché determinata secondo il piano di ammortamento alla francese privo di
pattuizione, individuando il saggio di interesse applicabile in sua sostituzione e per l'effetto condannare la
convenuta alla restituzione all'attrice della somma di Euro 69.276,96, s.e.od.o., o in quella inferiore o superiore
accertata in corso di causa e ciò a titolo di maggiori somme non dovute corrisposte alla data del 31.12.2010
per rate di ammortamento in scadenza determinando per l'effetto un piano di ammortamento a tasso legale con
quote capitali costanti; Sempre ed in ogni caso con vittoria di spese, diritti ed onorari". per la convenuta:
"Voglia il Giudicante, disattesa ogni contraria istanza e deduzione (e dato atto che non si accetta il
contraddittorio su eventuali domande nuove), respingere le domande dell'attrice, col favore per la Banca
concludente delle spese e competenze giudiziali e conseguenti".
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
L'attrice, AE. S.r.l., ha citato in giudizio la BANCA DI C. S.p.A. chiedendo:
1. declaratoria di nullità delle clausole relative alla determinazione degli interessi contenute in due contratti di
mutuo stipulati inter partes rispettivamente il 5.12.2002 per l'importo di euro 1.000.000,00 (con successivo
atto di quietanza del 24.3.2004) ed il 24.3.2004 per l'importo di euro 500.000,00, in particolare rilevando:
. quanto al primo mutuo:
la indeterminatezza del tasso di interesse previsto dalla complessa e contraddittoria formula negoziale
contenuta nell'atto di quietanza, in sostanza prevedente un piano di ammortamento "alla francese" a rate
costanti ma con tasso variabile e con effetti anatocistici;
il comportamento abusivo (anche ai sensi dell'art. 9 legge n. 192/1998) della banca, la quale solo in
sede di quietanza, dopo che era già stata erogata la somma di euro 936.000,00, senza fornire alcuna previa
informazione alla mutuataria, ha sottoposto alla firma dell'attrice la complessa formula negoziale,
unilateralmente predisposta, senza che AE. S.r.l. potesse comprenderne la portata;
. quanto al secondo mutuo, analoghe circostanze;
. quanto ad entrambi i contratti, la concreta applicazione da parte della convenuta di tassi effettivi diversi e
superiori rispetto a quelli risultanti dalle astruse formule negoziali, come indicato da relazione del consulente
dell'attrice;
2. individuazione del tasso applicabile in luogo di quello risultante dalle clausole nulle,
3. con condanna della convenuta alla restituzione di quanto pagato in eccesso fino al 31.12.2010.
La convenuta ha contrastato le domande dell'attrice, rilevando che nel corso del rapporto erano stati
periodicamente comunicati i dati relativi alla composizione delle rate (cfr. docc. da 14 a 38), dai quali
risulterebbe la piana applicazione, senza alcun effetto anatocistico, delle clausole contrattuali, articolate
specificatamente in tutti i loro elementi e quindi da considerare determinate e pienamente valide.
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All'esito del deposito delle memorie ex art. 183, sesto comma, c.p.c., il g.i. ha quindi così provveduto sulle
istanze istruttorie della attrice:
"ritenuto che le prove orali dedotte dall'attrice non paiono riguardare circostanze determinanti ai fini del
decidere;
ritenuta la necessità di procedere a ctu per la verifica - sulla scorta delle cognizioni tecniche proprie dell'esperto
da nominarsi nell'ambito accademico tenuto conto delle questioni matematico
-finanziarie in gioco- della effettiva ricorrenza:
. di elementi di indeterminatezza nelle pattuizioni in materia di tassi controverse,
. nonché, in ogni caso, di effetti anatocistici nei meccanismi di ammortamento applicati dalla banca
convenuta,
. nonché, ancora in ogni caso, di distorsioni applicative delle clausole contrattuali;
mentre l'accertamento tecnico non pare possa estendersi a ulteriori profili di illiceità delle pattuizioni
negoziali non dedotte in citazione;",
nominando quindi CTU la prof. FRANCESCA BECCACECE, chiamata a rispondere al seguente quesito:
"Dica il CTU, esaminati gli atti e i documenti di causa e compiuto ogni accertamento ritenuto utile:
1. se le pattuizioni relative agli interessi di cui ai due contratti di mutuo controversi presentino elementi di
indeterminatezza;
2. se, comunque, tale pattuizioni comportino effetti anatocistici;
3. se, in ogni caso, la concreta applicazione di tali clausole da parte della convenuta abbia comportato
violazione dei parametri negoziali; in caso di risposta affermativa ai quesiti che precedono procedendo poi:
A.
nell'ipotesi di risposta affermativa al quesito sub 1., a determinare un piano di ammortamento a tasso
legale con quote capitali costanti, calcolando altresì la differenza tra l'ammontare dovuto in base a tale piano
e quanto pagato dall'attrice per le rate già corrisposte;
B.
nell'ipotesi di risposta affermativa al quesito sub 2., a indicare se - e con quale metodologia e risultatiil piano di ammortamento sia depurabile dagli effetti anatocistici, in caso di impossibilità procedendo come
sub A.;
C.
nell'ipotesi di risposta affermativa al quesito sub 3., a determinare un piano di ammortamento corretto
secondo i termini negoziali, calcolando altresì la differenza tra l'ammontare dovuto in base a tale piano e
quanto pagato dall'attrice per le rate già corrisposte".
Depositata quindi dalla prof. BECCACECE la sua relazione finale il 19.10.2012, le parti hanno precisato le
conclusioni nel tenore in epigrafe trascritto, riproducente quelle formulate negli atti introduttivi ed hanno svolto
le difese conclusionali.
All'esito di tale contraddittorio reputa il Tribunale che le domande di parte attrice debbano essere accolte.
Al riguardo va rilevato che l'accertamento tecnico disposto ha permesso di ricostruire l'effettiva portata delle
complesse clausole dei due contratti di mutuo in discussione, di per sé peculiari in quanto prevedenti, come
illustrato dall'attrice, un piano di ammortamento c.d. alla francese (vale a dire comportante rate costanti in
ciascuna delle quali la quota di capitale aumenta progressivamente mentre la quota di interessi
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progressivamente decresce) ma caratterizzato anche dalla variabilità, secondo vari parametri, del tasso di
interessi.
Dalla relazione del CTU,
. caratterizzata da significativa accuratezza nella illustrazione dei passaggi del ragionamento matematicofinanziario utilizzato per la risposta al quesito e come tale del tutto condivisibile ad avviso del Tribunale,
neppure essendo stata, del resto, oggetto di specifiche e convincenti critiche scientifiche nelle difese
conclusionali delle parti,
emerge in particolare, quanto alle clausole regolanti il piano di ammortamento relative al primo contratto
(ricavabili oltre che dal contratto di mutuo dal successivo atto di quietanza, cfr. docc. 1 e 2 convenuta), che le
previsioni contrattuali si articolano,
. oltre che in riferimento all'ammontare del mutuo, alla durata di 15 anni ed alla restituzione a mezzo di rate
semestrali posticipate nonché al preammortamento per complessivi euro 936.000,00 ed al tasso nominale
annuo del 3,4% fino al 30.6.2004,
in riferimento ad altri tre elementi complessi specificatamente schematizzati dalla CTU come A1, A2 ed A3 a
pag.11 della relazione, e così riassumibili utilizzando le parole della CTU:
A1 "tale tasso (ovvero il tasso d'interesse del 3,4%) sarà preso a base per il calcolo delle quote di rimborso
del capitale nel caso l'ammortamento inizi prima della scadenza del primo triennio ed anche per il triennio
successivo in caso di prosecuzione a tasso variabile" (cfr. doc. 2 convenuta, capoverso "in primo luogo");
A2 "le semestralità saranno calcolate col sistema dell'ammortamento di un prestito a rate costanti, basato
sulla formula matematico finanziaria, nota nella tecnica finanziaria come "sistema francese" ..." (cfr. doc. 2
convenuta, capoverso "in secondo luogo", punto 1);
A3 il tasso d'interesse è variabile, pari ad un mezzo del tasso nominale annuo EURIBOR a 6 mesi più uno
spread dell'1% (cfr. doc.2 convenuta, capoverso "in primo luogo" punto 1.A),
elementi che, secondo la convincente ricostruzione della CTU, "pur avendo ciascuno significato finanziario
determinato, non sono tra di loro compatibili", sicché, "per costruire un ammortamento che sia in linea con
le condizioni A1, A2 e A3 occorre trascurare e/o modificarne una, mantenendo valide le altre", così
potendosi pervenire, in sostanza, sulla base dello stesso testo negoziale ad almeno tre diverse ipotesi di piani
d'ammortamento per cosi dire "alternativi",
. una delle quali è quella in concreto applicata al rapporto dalla banca convenuta,
- fondata sulla osservanza delle condizioni A1 ed A3 ma non di quella A2 (cfr. relazione pagg. 12/13, ove si
precisa che tale applicazione delle clausole è quella "più naturale" dal punto di vista della interpretazione
finanziaria, ma da un lato si basa su di una delle interpretazioni possibili della condizione contrattuale A1,
dall'altro disattende completamente la condizione negoziale A2),
. mentre le altre due (generanti ciascuna diverse conseguenze rispettivamente sul piano degli effetti solutori
dei pagamenti e degli importi da versarsi dal mutuatario) soddisfano rispettivamente una le condizioni A2 ed
A3 pretermettendo la condizione A1 (cfr. relazione pagg. 13/14) e l'altra le condizioni A1 ed A2
pretermettendo la condizione A3 (cfr. relazione pag. 14).
Le clausole in discussione, dunque, pur apparendo di per sé analitiche come sottolineato dalla convenuta, si
risolvono, da un punto di vista matematico-finanziario, in enunciati non danti luogo ad una univoca
applicazione ma richiedenti la necessità di una scelta applicativa tra più alternative possibili, ciascuna delle
quali comportante l'applicazione di tassi di interessi diversi: il che vale a dire che tali clausole, da un punto di
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vista giuridico, non soddisfano il requisito della determinatezza o determinabilità del loro oggetto, richiesto
dalla disciplina dei contratti ex artt. 1418, 1346 c.c. a pena di nullità, come costantemente affermato, in materia
di mutuo, dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. n. 12276/2010, secondo la quale "affinché
una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell'art. 1284, terzo comma, cod. civ.,
che è norma imperativa, deve avere forma scritta ed un contenuto assolutamente univoco in ordine alla
puntuale specificazione del tasso di interesse").
Né ad inficiare tali conclusioni possono poi valere le considerazioni svolte dalla difesa di parte convenuta in
particolare nella memoria di replica conclusionale:
. sia quanto alla ricavabilità in via interpretativa, dal complesso delle clausole negoziali, di elementi idonei a
correggere l'indeterminatezza matematico-finanziaria delle formule in discussione,
trattandosi di argomento che si scontra con il carattere "assolutamente univoco" richiesto dalla
giurisprudenza in materia di pattuizione di tassi di interessi ultralegali, carattere che nel caso, come
analiticamente indicato dalla CTU, è impossibile ricostruire in riferimento alla terminologia utilizzata nella
parte del negozio deputata;
. sia quanto alla possibilità di mantenimento della previsione negoziale relativa al tasso variabile (pari ad un
mezzo del tasso nominale annuo EURIBOR a 6 mesi più uno spread dell'1%, cfr. supra sub A3) di per sè
chiara,
anche questa argomentazione scontrandosi con le complessive conseguenze della indeterminatezza
delle pattuizioni negoziali, in realtà comportanti, secondo i meccanismi individuati dalla CTU, tre possibilità
applicative diverse, in ciascuna delle quali la diversa combinazione delle tre condizioni negoziali conduce ad
una diversa incidenza dei tassi di interesse complessivamente in gioco e, dunque, in definitiva, ad una
pattuizione non univoca circa la misura complessiva di tali tassi, come emerge in particolare dalla ricostruzione
analitica dei tre diversi piani di ammortamento allegati dalla CTU sub 1, sub 3 e sub 4.
Ad analoga conclusione deve poi pervenirsi anche rispetto alle clausole regolanti il piano di ammortamento
relative al secondo contratto (cfr. doc. 3 convenuta), per le quali pure la CTU ha fornito una analisi del tutto
convincente e condivisibile quanto alla indeterminatezza, in questo caso dovendosi osservare che, essendo
espressamente previste le sole condizioni sopra indicate come A1 ed A3, rimane aperta, da un punto di vista
matematico-finanziario, la questione relativa alle possibili interpretazioni di uno degli elementi della clausola
A1 (cfr. pagg. 15/16 della relazione).
Per quanto fin qui detto, in accoglimento delle relative conclusioni dell'attrice, va dichiarata la nullità per
indeterminatezza delle clausole determinanti il piano di ammortamento dei due contratti di mutuo ai sensi
dell'art. 1419 c.c., dovendosi al riguardo, in assenza di specifica eccezione della convenuta, condividere
l'orientamento di legittimità secondo il quale: "L'estensione all'intero contratto della nullità delle singole
clausole o del singolo patto, secondo la previsione dell'art. 1419 cod. civ., ha carattere eccezionale perché
deroga al principio generale della conservazione del contratto e può essere dichiarata dal giudice solo in
presenza di una eccezione della parte che vi abbia interesse perché senza quella clausola non avrebbe
stipulato il contratto. Ne consegue che la relativa questione non può essere esaminata di ufficio, e, se non
dedotta in appello, non è proponibile per la prima volta nel giudizio di legittimità" (così Cass. n. 1189/2003
nonché Cass. n. 16017/2008).
Quanto poi alla sostituzione delle clausole nulle ai sensi del secondo comma dell'art. 1419 c.c.,
sostituzione da ritenersi domandata dall'attrice con la richiesta formulata nelle conclusioni
soprariportate sub a)1) e sub b)1) di individuazione del "saggio di interesse applicabile in sostituzione sulle
rate scadute e da scadere",
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deve ritenersi applicabile la previsione di cui al terzo comma dell'art. 1284 c.c., secondo la quale "Gli interessi
superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale",
trattandosi di clausola sostitutiva avente portata generale e la cui operatività nel caso di specie, del resto, non
è stata oggetto di alcuna discussione tra le parti neppure a seguito della formulazione da parte del g.i. di
quesito al CTU che la presupponeva: non pare invece al Tribunale applicabile la disciplina sostitutiva ex art.
117 TUB settimo comma, tale disposizione specificando che il tasso sostitutivo ivi previsto riguarda l'ipotesi
di "mancanza" di specifica pattuizione scritta ovvero l'ipotesi di nullità della pattuizione scritta ai sensi del
precedente sesto comma, vale a dire l'ipotesi di pattuizione facente rinvio agli usi ovvero prevedente
condizioni deteriori rispetto a quelle pubblicizzate, casi, tutti, non corrispondenti a quello in esame.
In dipendenza della accertata nullità della clausola e della sostituzione della stessa quanto alla misura degli
interessi con applicazione del tasso legale vanno poi accolte le domande dell'attrice relative alla condanna
della convenuta alla restituzione di quanto dall'attrice versato - in applicazione delle clausole nulle - in
eccesso rispetto a quanto dovuto secondo un piano di ammortamento da ricostruirsi,
. ferme la durata e la cadenza delle rate negozialmente previste,
. con applicazione del tasso legale (sostitutivo di quello indeterminato di cui alle clausole nulle)
. su quote capitali costanti (la nullità delle clausole avendo travolto anche ogni previsione relativa
all'andamento delle quote capitali "alla francese")
. in relazione alle rate scadute fino al 31.12.2010.
La ricostruzione di tali piani è stata effettuata dalla CTU come da allegati alla relazione sub 2 e sub 6, così
evidenziando un differenziale rispettivamente per il primo contratto di euro 138.471,09 (cfr. pag. 10 della
relazione nonché allegato 2) e per il secondo di euro 69.235,52 (cfr. pag.16 della relazione nonché allegato
6): importi dei quali quindi la convenuta va condannata alla restituzione, il rapporto dovendo poi proseguire
anche per le rate successive a quella del 31.12.2010 secondo le modalità di cui ai piani di ammortamento
ricostruiti dal CTU ed allegati sub 2 e sub 6, senza che al riguardo debba disporsi alcuna ulteriore condanna
della convenuta quanto alle restituzione dei versamenti in eccesso relativi alla rate maturate (nelle more del
processo) successivamente al 31.12.2010: restituzione che pare domandata dall'attrice nelle difese
conclusionali (cfr. pagg. 18 e 21 comparsa conclusionale) ma che:
. da un lato non è compresa nelle conclusioni definitive della stessa attrice,
. e d'altro lato va configurata quale obbligazione della banca comunque conseguente alla declaratoria di nullità
parziale di cui alla presente sentenza e in ordine al cui adempimento (nell'avvenuto caso di accoglimento della
domanda di nullità) neppure vi è attuale contestazione.
In dipendenza delle pronunce che precedono va poi ritenuta assorbita ogni altra conclusione dell'attrice e
ogni altra questione discussa tra le parti, e in particolare quelle relative:
. al preteso (dall'attrice) effetto anatocistico, effetto, va qui solo ricordato, che comunque la CTU ha
condivisibilmente escluso discenda di per sé dal piano di ammortamento costruito alla francese nel quale il
maggior ammontare degli interessi da versarsi - rispetto a piani di ammortamento costruiti all'italiana - dipende
non dall'applicazione di interessi composti ma dalla diversa costruzione delle rate (cfr. pagg. 8/9 della
relazione, in particolare nota 4),
. nonché alle pretese (sempre dall'attrice) distorsioni applicative poste in essere dalla banca, distorsioni anche
queste, secondo le condivisibili conclusioni della CTU, non ricostruibili, avendo la banca costantemente
applicato il piano di ammortamento coerente con la sua scelta di una delle possibili letture delle clausole
"polivalenti".
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Le spese di causa seguono la soccombenza della banca e vanno liquidate in euro 558,00 per esborsi nonché,
tenuto conto della natura della controversia e dell'attività difensiva svolta, in euro 12.000,00 per compensi
professionali, oltre iva e cpa sul secondo importo.
Le spese relative allo svolgimento della CTU (come già liquidate dal g.i con provvedimento del 13.11.2012 in
euro 15.000,00) vanno infine poste definitivamente a carico della convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone:
1.
in accoglimento delle relative domande dell'attrice, dichiara la nullità delle clausole dei due contratti
di mutuo inter partes di cui in motivazione relative al saggio di interessi e alla costruzione del piano di
ammortamento e
2.
conseguentemente sostituisce a tali clausole la previsione di interesse legale su quote capitali costanti,
ferma la durata e la cadenza delle rate negozialmente previste, così rideterminando il piano di ammortamento
dei due mutui, anche per il futuro svolgimento del rapporto, secondo lo schema di cui agli allegati 2 e 6 della
relazione depositata il 19.10.2012 dalla CTU prof. FRANCESCA BECCACECE, allegati che vengono a
costituire parte integrante della presente sentenza, e
3.
ancora conseguentemente condanna la convenuta BANCA DI C. S.p.A. alla restituzione in favore
dell'attrice AE. S.r.l. degli importi di euro 138.471,09 e di euro 69.235,52, assorbite dalle pronunce che
precedono tutte le altre conclusioni dell'attrice;
4.
condanna la convenuta alla rifusione in favore dell'attrice delle spese processuali, spese che liquida in
euro 558,00 per esborsi nonché in euro 12.000,00 per compensi professionali, oltre iva e cpa su questi ultimi;
5.
pone le spese relative allo svolgimento della CTU (come già liquidate dal g.i. con provvedimento del
13.11.2012 in euro 15.000,00) definitivamente a carico della convenuta.
Tribunale Napoli, 18 ott 2013 Mutuo - Usura sopravvenuta - Conseguenze
Tribunale di Napoli
18 ottobre 2013, Sezione V Civile
Dott. Antonio Casoria
Mutuo - Usura sopravvenuta - Conseguenze
È da escludere l'applicabilità della disciplina della legge n. 108 del 7 marzo 1996 ai contratti di mutuo stipulati
in precedenza. A seguito del superamento, successivamente all'entrata in vigore di tale legge, dei tassi soglia
antiusura per effetto dell'applicazione delle clausole di determinazione degli interessi, previste in un contratto
validamente stipulato, soccorre l'autorità della Suprema Corte che ha statuito che debba ritenersi operare la
sostituzione automatica dei tassi convenzionali con i tassi soglia applicabili ai diversi periodi.
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Così si è espresso il Tribunale di Napoli, con la presente ordinanza, che ha deciso sull'istanza di sospensione
proposta dal debitore, deducendo di nulla dovere in presenza di interessi usurari sulla base del richiamo all'art.
1815, comma 2, c.c., e alla legge n. 108 del 7 marzo 1996.
Il Tribunale ha rigettato la richiesta, sul presupposto che non può ritenersi applicabile la disciplina della legge
n. 108 del 7 marzo 1996 ai contratti di mutuo stipulati in precedenza, di talché, a seguito del superamento dei
tassi pattuiti, successivamente all'entrata in vigore della richiamata legge deve procedersi alla sostituzione
automatica di questi con i tassi soglia applicabili ai diversi periodi.
Il principio è conforme a quanto statuito - da ultimo - dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 602/2013,
nonché alle prescrizioni dettate in materia dalla Banca di Italia, secondo cui in caso di mutui stipulati prima
dell'entrata in vigore della legge antiusura, per i quali successivamente si è verificato il superamento del tasso
soglia, non si determina l'ipotesi di invalidità sopravvenuta del contratto o di una sua specifica clausola ma
piuttosto una vera e propria inopponibilità al cliente di tassi eccedentari rispetto alla norma imperativa, non
potendo l'ordinamento ammettere il pagamento di interessi in misura superiore al tasso soglia trimestralmente
rilevato, per cui è necessario il relativo adeguamento.
La stessa giurisprudenza di legittimità nel tempo, infatti, ha più volte precisato che "ove il rapporto non sia
ancora esaurito non si può continuare a dare effetto alla clausola . con la quale sono stati pattuiti interessi a un
tasso divenuto superiore a quello soglia" (cfr. Cass., 22 aprile 2000, n. 5286), tuttavia - contrariamente a quanto
ritenuto dal debitore nella fattispecie in esame - non si verifica l'azzeramento del tasso ma l'applicazione del
tasso soglia di volta in volta pattuito.
Tale principio è in grado di assicurare coerenza e ragionevolezza al sistema, così distinguendo gli effetti
dell'usura con riguardo al momento genetico dell'accordo.
(Sentenza tratta da Ex Parte Creditoris)
Il giudice dell'esecuzione
- visti gli atti del procedimento n. 652/1998 proposto da Credito Italiano nei confronti di Tizio e Caia con atto
di pignoramento trascritto il 23 aprile 1998 ai nn. 6921/4856 Conservatoria RR.II. Napoli 1°;
- letto il ricorso in opposizione depositato il 4 ottobre 2013 da Caia;
- sentite le parti nelle udienze fissate;
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
1.
È da escludere l'applicabilità della disciplina della legge 7 marzo 1996, n. 108, dato che il contratto di
mutuo fondiario è stato stipulato il giorno 18 dicembre 1995. L'ipotesi - prospettata in via subordinata - che,
comunque, l'istituto bancario avrebbe approfittato delle condizioni integranti il previgente delitto di usura è
francamente in sé scarsamente credibile e contrasta con la misura degli interessi pattuiti (il 14% annuo
contrattuale e quello di mora ragguagliato al tasso ufficiale di sconto maggiorato di punti 8,50), del tutto
adeguati all'epoca della stipulazione e addirittura inferiori al tasso soglia della sopravvenuta legge n. 108/1996
fino al marzo del 1998 (il tasso di mora indicato era pari a quello contrattuale del 14,00%, mentre il tasso
soglia era del 14,22%). Tale subordinata ipotesi è distante anche da quella formulata nella addotta richiesta di
archiviazione del P.M. imperniata tutta sul possibile superamento dei tassi soglia; ed è infine priva di alcun
supporto probatorio, utile ad assicurarle un apprezzabile fumus.
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2.
Si deve e si può argomentare, dunque, solo in relazione al superamento, successivamente all'entrata in
vigore della legge n. 108 del 1996, dei tassi soglia "antiusura" per effetto dell'applicazione delle clausole di
determinazione degli interessi, previste in un contratto validamente stipulato. Sul punto soccorre l'autorità
della Suprema Corte, che - di recente - con interpretazione delle norme di legge favorevole al debitore - ha
statuito in ordine ai rapporti non esauriti prima dell'entrata in vigore della legge n. 108 del 1996, che, ai sensi
dell'art. 1 di tale legge e degli artt. 1319 e 1419, secondo comma, c.c., debba ritenersi operare la sostituzione
automatica dei tassi convenzionali con i tassi soglia applicabili in relazione ai diversi periodi (Cass. Sez. I, 11
gennaio 2013, n. 602).
Per i rapporti non esauriti gli interessi eccedenti i tassi soglia sono, dunque, purtuttavia dovuti, ma nel limite
di tali tassi.
Orbene, nel caso di specie al fine di negare l'esistenza di un fumus tale da autorizzare la sospensione del
processo di esecuzione, è necessario e sufficiente rilevare che le somme versate, nel corso del processo e a
distanza di molti anni dalle scadenze contrattuali, corrispondono all'incirca al debito in linea capitale, di talché
in nessun modo possono ritenersi coperti gli interessi anche solo semplicemente legali (tanto meno quelli
soglia) e le non irrilevanti spese processuali.
Vero è che un calcolo approssimativo sulla base dei tassi soglia periodicamente rilevati e tenendo conto dei
parziali pagamenti, imputati prima al capitale e poi agli interessi, come per contratto e per legge (art. 1194
c.c.), conduce a valutare l'esistenza ad oggi di una debitoria residua di circa ? 58.000,00, oltre spese.
Le contestazioni in merito alla misura del credito non hanno qui rilievo, potendo e dovendo valutarsi esse nella
competente sede distributiva, senza essere idonee a legittimare l'arresto di una procedura esecutiva
legittimamente fondata.
P.Q.M.
Letti gli artt. 615, 616, 624 c.p.c., a scioglimento della riserva formulata all'udienza dell'8 ottobre 2013,
RIGETTA
-
l'istanza di sospensione del processo proposta da Caia, compensando le spese della fase cautelare;
assegna il termine di mesi tre per l'introduzione del giudizio di merito a mezzo atto di citazione da
notificare alle controparti nel rispetto dei termini a comparire di cui all'art. 163-bis ridotti alla metà e
conseguente iscrizione della causa nel ruolo degli affari contenziosi - rinvia il processo esecutivo per ulteriore
controllo delle attività in corso al 28 gennaio 2014.
C. Appello Napoli, 10 ott 2013 Fideiussione bancaria: il garante non può opporre
eccezioni relative al rapporto fondamentale
Tribunale di Napoli
10 ottobre 2013, n. 11972, Seconda Sezione Civile
Dott. Mario Suriano
Fideiussione bancaria: il garante non può opporre eccezioni relative al rapporto fondamentale
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L'inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento "a prima richiesta e senza eccezioni"
vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (cosiddetto "Garantievertrag"), in
quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione.
Da tale qualificazione discende l'estensione della garanzia anche a clausole invalide, di tal che il garante non
può opporre al creditore la nullità di un patto relativo al rapporto fondamentale, salvo che dipenda da
contrarietà a norme imperative o dall'illiceità della causa.
Con l'espressione dei predetti principi di diritto, il Tribunale di Napoli, in persona del Giudice Unico dott.
Mario Suriano, ha confermato i principi ormai consolidati dalla giurisprudenza in tema di fideiussione
bancaria, qualificata correntemente quale contratto autonomo di garanzia.
Si tratta della presente sentenza, resa all'esito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, proposto dal
fideiussore ingiunto avverso la banca creditrice, nel quale l'opponente aveva dedotto una serie di eccezioni
relative al merito ed all'entità della pretesa creditoria, nonché l'avvenuto superamento del c.d. "tasso soglia"
previsto in tema di usura dalla L. n. 108/1996.
Il Tribunale, superato - previa c.t.u. grafologica - il preliminare disconoscimento, ad opera della opponente,
delle sottoscrizioni del contratto di fideiussione, ha nettamente rigettato ogni domanda, stante la corretta
qualificazione della fideiussione c.d. omnibus quale "contratto autonomo di garanzia".
Il Giudice ha richiamato l'orientamento giurisprudenziale dominante, ad avviso del quale l'inserimento in un
contratto di fideiussione di una clausola di pagamento "a prima richiesta e senza eccezioni" vale di per sé a
qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, spezzandosi così il nesso di accessorietà tra
l'obbligazione garantita e l'obbligazione del garante.
Secondo il richiamato orientamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte "il contratto autonomo di
garanzia (cd. Garantievertrag), espressione dell'autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., ha la funzione di
tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul
debitore principale" e, pertanto, "la causa concreta del contratto autonomo è quella di trasferire da un
soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale,
sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, mentre con la fideiussione, nella quale solamente
ricorre l'elemento dell'accessorietà, è tutelato l'interesse all'esatto adempimento della medesima prestazione
principale" (così Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2010, n. 3947).
Stante la totale autonomia tra le due obbligazioni, il garante non può opporre al creditore la nullità di un patto
relativo al rapporto fondamentale, salvo che dipenda da contrarietà a norme imperative o dall'illiceità della
causa, atteso che l'ordinamento riconosce sì alle parti l'autonomia negoziale (art. 1322 c.c.), ma non contempla
la possibilità che queste, attraverso la stipula di un contratto autonomo di garanzia, mirino ad assicurare
indirettamente un risultato vietato dall'ordinamento medesimo.
Di qui la considerazione circa la possibilità, nel caso di specie, di opporre al creditore il solo eventuale
superamento del c.d. tasso soglia antiusura, circostanza che, sebbene dedotta nell'atto introduttivo, non è
risultata sorretta né da specifiche allegazioni, né dalla produzione dei decreti ministeriali di cui all'art. 2 della
L. n. 108/1996 (che, in quanto atti amministrativi non sono coperti dal principio jura novit curia), né da ulteriori
elementi che potessero valere quale prova della asserita violazione dell'art. 644 c.p.
Ad ulteriore conferma della autonomia del contratto di fideiussione rispetto all'obbligazione garantita, è stata
indicata dal giudice la clausola secondo la quale "la fideiussione si intende estesa a garanzia dell'obbligo di
restituzione delle somme comunque erogate, e ciò anche nell'ipotesi in cui le obbligazioni garantite siano
ritenute invalide".
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Nulla questio, dunque, circa l'impossibilità per il fideiussore di rifiutare il pagamento, neanche per la dedotta
violazione dell'art. 1956 c.c. (Liberazione del fideiussore per obbligazione futura), atteso che il garante è
risultato essere contemporaneamente anche amministratore unico della società debitrice, circostanza che è
valsa ad escludere la mancata conoscenza delle sopravvenute precarie condizioni economiche della correntista.
La pronuncia in esame si pone in esatta continuità con la giurisprudenza del medesimo Tribunale (sentenza del
Tribunale di Napoli, Sezione Terza Civile, Giudice dott. Massimiliano Sacchi, n. 3583 del 14.03.2013).
Il Tribunale di Napoli, II^ Sezione Civile, in composizione monocratica, nella persona del dott. Mario Suriano,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta ai n. 14659/2011 Ruolo Generale Affari Contenziosi Civili, avente ad
Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo, e vertente
TRA
C.V.
OPPONENTE
E
BANCA S.p.A.
OPPOSTA
CONCLUSIONI
Per l'opponente: come da atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo.
Per l'opposta: "... conclude riportandosi a tutto quanto dedotto, chiesto ed eccepito con raccoglimento delle
istanze formulate ed il rigetto di ogni avversa domanda, eccezione e deduzione".
MOTIVI DELLA DECISIONE
Giova premettere che con decreto monitorio n. 1680/2011 emesso da questo Tribunale in data 2/3/2011 è stato
ingiunto alla Alfa S.r.l. e alla signora C.V. il pagamento, in favore della Banca S.p.A., del complessivo importo
di 507.089,42, nonché alla Beta S.p.A. il pagamento del minor importo di 317.813,94, il tutto oltre interessi e
spese del procedimento.
Il pagamento di tali importi è stato preteso dalla banca essendo la Alfa S.r.l. debitrice nei confronti della stessa
per esposizione bancaria relativa al conto corrente ordinario n. (omissis) per un importo di ?. 189.275,48,
nonché per omesso pagamento di finanziamento distinto dal n. (omissis), per un importo pari ad ?. 317.813,94.
Tale debito della Alfa S.r.l. era garantito da fideiussioni rilasciate dalla C.V. e dalla Beta S.p.A., nei cui
confronti - come si è visto - è stato anche richiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo.
Avverso tale provvedimento monitorio è stata promossa opposizione anzitutto dalla signora C.V., e
successivamente, con l'instaurazione di separata controversia, anche dalle altre due società ingiunte.
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Le due liti sono state oggetto di riunione e di successiva separazione essendo intervenuto in corso di lite il
fallimento sia della Alfa S.r.l. sia della Beta S.p.A.
Conseguentemente, resta oggetto di decisione esclusivamente l'opposizione avanzata nei confronti del decreto
ingiuntivo n. 1680/2011 dalla C.V.
Giova, preliminarmente, evidenziare che gli avvocati M.P. e R.F. hanno comunicato, all'udienza del 12/2/2013,
di aver rinunziato al mandato loro conferito dalla C.V.
Tale rinunzia, tuttavia, non produce effetto alcuno, non essendo avvenuta la sostituzione dei difensori (art. 85
c.p.c.).
Nel merito, l'opposizione è infondata.
Anzitutto, va rilevato che pur avendo la C.V. disconosciuto sia la conformità agli originali degli atti di
fideiussione a sua firma apparente, sia le stesse sottoscrizioni apposte in calce a tali atti, non ricorrono dubbi
circa la ricorrenza e la validità del rapporto di garanzia personale instauratosi tra le parti in lite sia con la
fideiussione omnibus del 19/7/2001 sia con la fideiussione specificamente rilasciata in data 18/9/2007 a
garanzia del mutuo chirografario concesso dalla banca alla Alfa S.r.l. in pari data.
La Banca S.p.A. ha, infatti, prodotto in giudizio gli originali delle scritture private e l'accertamento peritale
scaturito a seguito dell'istanza di verificazione di firma presentata dalla Banca S.p.A. dopo il disconoscimento
operato dalla C.V. si è concluso a favore della riconducibilità delle medesime sottoscrizioni all'odierna
opponente.
Con congrua e corretta motivazione, il nominato c.t.u. non ha avuto dubbio nell'affermare che tutti gli scritti
sottoposti al suo esame presentino le caratteristiche identificativi grafiche e grafologiche degli scritti di sicuro
pugno della C.V. e, dunque, tutti eseguiti dalla medesima.
Gli altri motivi di opposizione riguardano il merito del credito vantato dalla banca nei confronti della garantita
Alfa S.r.l. e, in particolar modo, della parte riconducibile allo scoperto di conto corrente.
L'opponente, infatti, si è lamentata di non essere stata posta nelle condizioni di svolgere le proprie difese, non
avendo l'istituto di credito fornito la prova dell'avvenuta comunicazione alla società Alfa S.r.l. degli estratti
del conto corrente in precedenza citato; ha, poi, evidenziato che il prodotto estratto conto certificato conforme
alle scritture contabili aveva valore di prova soltanto nell'ambito della fase monitoria e non anche nella
successiva fase contenziosa di opposizione a decreto ingiuntivo; ha, infine, contestato l'effettiva entità del
credito vantato dalla banca poiché frutto dell'illegittima applicazione di una capitalizzazione trimestrale delle
competenze, della commissione di massimo scoperto, lamentando, infine, l'avvenuto superamento del
cosiddetto "tasso soglia" previsto in tema di usura ex L. n. 108/1996.
Da ultimo, ha eccepito la decadenza della creditrice dal diritto alla garanzia ai sensi dell'art. 1956 c.c..
Sul punto giova, però, evidenziare che nella specie trattasi di garanzia personale da inquadrarsi nell'ambito del
contratto autonomo di garanzia, poiché, secondo la previsione di cui all'art. 7) del contratto in atti, il fideiussore
è tenuto a pagare alla banca, "a semplice richiesta scritta", quanto dovutole (e ciò secondo "le risultanze delle
scritture contabili dell'Azienda di credito"), ed inoltre, come indicato dall'art. 8), la fideiussione si intende
estesa a garanzia dell'obbligo di restituzione delle somme comunque erogate, e ciò anche nell'ipotesi in cui le
obbligazioni garantite siano ritenute invalide.
Come affermato anche da recente condivisibile giurisprudenza di legittimità, l'inserimento in un contratto di
fideiussione di una clausola di pagamento "a prima richiesta e senza eccezioni" vale di per sé a qualificare il
negozio come contratto autonomo di garanzia (cosiddetto "Garantievertrag"), in quanto incompatibile con il
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principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un'evidente discrasia
rispetto all'intero contenuto della convenzione negoziale (così Cass., 27.9.2011, n. 19736; Cass., 19.5.2011, n.
10998; Cass., 28.10.2010, n. 22107).
Detto principio si pone in linea dì continuità con quanto affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte,
secondo le quali il contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), espressione dell'autonomia negoziale
ex art. 1322 c.c., ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento
della prestazione gravante sul debitore principale, che può riguardare anche un fare infungibile (qual è
l'obbligazione dell'appaltatore), contrariamente al contratto del fideiussore, il quale garantisce l'adempimento
della medesima obbligazione principale altrui (attesa l'identità tra prestazione del debitore principale e
prestazione dovuta dal garante); inoltre, la causa concreta del contratto autonomo è quella di trasferire da un
soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia
essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, mentre con la fideiussione, nella quale solamente ricorre
l'elemento dell'accessorietà, è tutelato l'interesse all'esatto adempimento della medesima prestazione
principale. Ne deriva che, mentre Il fideiussore è un "vicario" dei debitore, l'obbligazione del garante autonomo
si pone in via del tutto autonoma rispetto all'obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa
da quella garantita, perché non necessariamente sovrapponibile ad essa e non rivolta all'adempimento del
debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una
somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore (in tal senso,
Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2010, n. 3947).
Nel caso di specie, peraltro, tale qualificazione è ancor di più avvalorata dalla specifica indicazione
dell'estensione della garanzia anche a clausole invalide, rendendo la fideiussione sottoscritta insensibile al
principio di accessorietà rispetto all'obbligazione principale.
In conseguenza di ciò il garante - improntandosi il rapporto tra lo stesso ed il creditore beneficiario a piena
autonomia - non può opporre al creditore la nullità di un patto relativo al rapporto fondamentale, salvo che
dipenda da contrarietà a norme imperative o dall'illiceità della causa e che, attraverso il medesimo contratto
autonomo, si intenda assicurare il risultato vietato dall'ordinamento (vedi Cass., 3.3.2009, n. 5044; cfr. anche
Cass., 7.3.2002, n. 2742).
Orbene, con riferimento alle specifiche doglianze avanzate dalla opponente riguardo la validità delle clausole
in precedenza elencate, l'unica forma di nullità che, ove sussistente, è in grado di condurre ad un risultato
vietato dal nostro ordinamento, è costituita dall'ipotesi dell'addebito a carico della correntista di interessi
usurari, tenuto conto delle seguenti norme: l'art. 644 c.p., che prevede quale reato il caso in cui una parte, si
faccia dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per se o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro
o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, disponendo che la legge stabilisce il limite oltre il quale gli
interessi sono sempre usurari; il D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, convertito nella L. n. 24 del 2001, il
quale stabilisce che "ai fini dell'applicazione dell'art. 644 cod. pen., e dell'art. 1815 c.c., comma 2, si intendono
usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o
comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento"; la L n. 108
del 1996, art. 2, che dispone che il limite oltre il quale gli interessi sono considerati usurari è stabilito con
D.M.; l'art. 1815 c.c., comma 2, il quale dispone che "se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla
e non sono dovuti interessi".
L'evocata nullità della clausola concernente la disciplina degli interessi per contrarietà con una norma penale,
ai sensi dell'art. 1418 c.c., può dunque astrattamente configurarsi come giusto motivo di rifiuto al pagamento
da parte del garante.
Tuttavia, nella specie, non risulta affatto dimostrata la ricorrenza di tale fattispecie.
La stessa eccezione è stata, infatti, promossa in maniera del tutto generica, pur essendo stata l'opponente posta
nelle condizioni di segnalare in maniera specifica il dedotto superamento del tasso soglia stante l'avvenuta
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produzione in giudizio, da parte della Banca degli estratti conto integrali dei rapporti oggetto del ricorso per
ingiunzione.
Inoltre, è stata omessa la produzione dei decreti ministeriali di cui all'art. 2 della L. n. 108/1996.
Trattasi di atti amministrativi, riguardo ai quali non può trovare applicazione il principio jura novit curia di
cui all'art. 113, primo comma, c.p.c., dovendo tale norma essere letta ed applicata, con riferimento all'art.1
delle disposizioni preliminari al codice civile, il quale contiene l'indicazione delle fonti del diritto, le quali non
comprendono gli atti suddetti (vedi Cass., 26.6.2001, n. 8742; Cass. 5.7.1999, n. 6933).
Detta omessa produzione non consente di affrontare allo stato, anche con la nomina di una C.T.U., la questione
concernente l'avvenuto superamento del cd. tasso soglia, con conseguente impossibile valutazione circa la
sussistenza della condotta illecita della banca dedotta in giudizio.
In definitiva, la banca sulla base delle proprie risultanze contabili (cfr. in proposito gli estratti conto integrali
relativi al rapporto di conto corrente intercorso con la Alfa S.r.l.) aveva diritto ad ottenere "a prima richiesta"
il pagamento del saldo da parte del fideiussore ed era onere di quest'ultimo dimostrare che il credito si era
formato in virtù dell'illecita annotazione di interessi usurari.
La C.V. non ha assolto al predetto onere della prova.
D'altro canto appare anche infondata l'eccezione sollevata con riferimento all'art. 1956 c.c. poiché la C.V.,
nella qualità di amministratore unico della Alfa S.r.l. (cfr. sulla camerale in atti) non poteva non essere a
conoscenza delle sopravvenute precarie condizioni economiche della correntista.
L'opposizione va, pertanto, respinta.
Le spese del presente giudizio gravano a carico della parte soccombente, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Tribunale di Napoli così provvede:
a)
rigetta l'opposizione spiegata da C.V., avverso il decreto ingiuntivo n. 1680/2011 emesso da questo
Tribunale in data 2/3/2011 su ricorso della Banca S.p.A.;
b)
condanna C.V. al pagamento, in favore della società opposta, delle spese del presente giudizio,
liquidate nelle somme di ? 2.300,00 per esborsi (ivi comprese le spese di c.t.u. poste provvisoriamente a carico
della Banca S.p.A.), e di ? 15.000,00 per compenso di avvocato, oltre rimborso spese generali, Iva e Cpa come
per legge.
Cass. Penale n.39270, 23 set 2013 Accusato di usura, sequestro totale del conto
corrente: da dimostrare, però, la provenienza illecita delle
somme
Cassazione Penale
23 settembre 2013, n. 39270
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Accusato di usura, sequestro totale del conto corrente: da dimostrare, però, la provenienza illecita delle somme
Di fronte alle accuse di usura nei confronti di un uomo, il conto corrente intestato a quest'ultimo è oggetto di
un "sequestro preventivo d'urgenza".
Nessun dubbio per il Giudice delle indagini preliminari, nessun dubbio per i giudici del Tribunale: il
provvedimento è assolutamente legittimo.
Ma questa visione tranchant viene messa in discussione, nuovamente, dai giudici della Cassazione. Nodi
gordiani "l'assenza di motivazione sulle deduzioni difensive circa l'origine lecita delle somme" e la
"sussistenza del fumus commissi delicti".
Su questi punti va fatta chiarezza - ecco spiegata la decisione di riaffidare nuovamente la materia ai giudici del
Tribunale -, anche tenendo presenti le "giustificazioni offerte dalla difesa" sulle somme "piazzate" nel conto
corrente dell'uomo, somme sproporzionate, secondo l'accusa, "rispetto a reddito dichiarato e attività
lavorativa". A questo proposito, va tenuta in considerazione, però, l'osservazione proposta dai legali dell'uomo:
non si può pretendere che si "assolva alla probatio diabolica di dimostrare la legittimità dell'intero
patrimonio".
Ritenuto in fatto e in diritto
1. Con l'ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di Lecce, quale giudice di riesame in sede di rinvio a seguito
dell'annullamento da parte della Corte di Cassazione della precedente ordinanza emessa dallo stesso
Tribunale in data 12 dicembre 2011, ha nuovamente confermato il provvedimento con cui il G.i.p. del
Tribunale di Lecce, in data 24 novembre 2011, aveva convalidato il sequestro preventivo d'urgenza delle
somme depositate sul conto corrente del Banco di Napoli, filiale di (.), intestato a L.N., indagato del reato
di usura, nonché di alcuni assegni emessi in favore dei figli A. ed E.N..
Il Tribunale, dopo aver premesso che la questione riguardante il fumus delicti debba ritenersi coperta dal
giudicato cautelare per avere la sentenza di annullamento della Cassazione censurato solo la qualificazione del
sequestro e la sussistenza del presupposto della sproporzione in relazione al sequestro finalizzato alla confisca
di cui all'art. 12-sexies legge n. 306/1992, ha ritenuto che nel caso di specie siano sussistenti i presupposti sia
del sequestro preventivo ex art. 321, comma 1,
c.p.p., che del sequestro emesso ai sensi del citato art. 12-sexies. In particolare, ha affermato che le somme
ricevute dal N. a seguito della sua attività usuraria siano "con ogni verosimiglianza ed in mancanza di contraria
allegazione" confluite nel suo conto corrente, per cui può ritenersi il vincolo di pertinenzialità con il reato
ipotizzato; inoltre, sarebbe dimostrato anche il pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato dal
momento che vi è stato un tentativo di dispersione di dette somme attuato attraverso l'emissione di assegni in
favore dei figli. Allo stesso modo sarebbero presenti anche i presupposti per il sequestro ex art. 12-sexies, non
avendo l'indagato giustificato la provenienza del denaro, sproporzionato rispetto al reddito dichiarato e alla
sua attività lavorativa: sul suo conto corrente risultano depositati euro 240.709,76 a fronte di uno stipendio
mensile di euro 1.449,95.
2. Gli avvocati, nell'interesse dell'indagato, hanno proposto ricorso per cassazione.
Con il primo motivo si deduce l'erronea applicazione dell'art. 12-sexies citato, in quanto l'ordinanza impugnata
nel ritenere la sproporzione del denaro depositato sul conto corrente non ha tenuto conto delle giustificazioni
offerte dalla difesa: in particolare, si ribadisce che una parte del denaro (euro 125.000) corrisponde alla somma
ricevuta da F.C. a seguito dell'intervento nella procedura esecutiva a suo carico per un credito che l'indagato
vantava per lavori di falegnameria eseguiti "in nero", pagamento che fu eseguito dal C. dopo aver ottenuto la
somma di euro 309.072 dal Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura.
Sotto un altro profilo si lamenta che il Tribunale non abbia considerato che l'indagato vive con il coniuge,
senza altre persone a carico, che la moglie percepisce una pensione di euro 800 e che è stata titolare per circa
venti anni di una ditta di produzione ed installazione di serramenti in legno e ferro.
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Si tratta di circostanze che, secondo la difesa, avrebbero dovuto condurre a riconoscere la legittimità della
provenienza delle somme di denaro e ad escludere ogni ipotesi di sproporzione tra beni e redditi dell'indagato,
non potendo pretendersi che questi assolva alla probatio diabolica di dimostrare la legittimità dell'intero suo
patrimonio, tenuto conto che la stessa giurisprudenza della Cassazione richiede all'interessato un semplice
onere di allegazione di elementi in grado di vincere la presunzione di illecita accumulazione patrimoniale. In
sostanza, si assume che i giudici del riesame hanno trascurato l'esame del periculum in mora omettendo ogni
analisi seria sulla sproporzione del valore del beni rispetto al reddito e alle attività economiche del N.. n questo
modo, il sequestro disposto avrebbe riguardato i risparmi dell'indagato, mentre si sarebbe potuto limitarlo al
valore degli eventuali interessi o compensi usurari.
Con un distinto motivo si censura l'ordinanza per avere ritenuto sussistenti i presupposti di entrambi i sequestri,
condizionando il diritto della difesa che dovrebbe, da un lato, giustificare l'intero suo patrimonio, dall'altro
lato, dimostrare l'inesistenza di ogni relazione tra il reato e le somme sequestrate.
Infine, si contesta quanto affermato nell'ordinanza in ordine al giudicato cautelare e si assume che anche con
riferimento al sequestro di cui all'art. 321, comma 1, c.p.p. non sia stata dimostrata l'esistenza del fumus oltre
che del periculum.
3.
Il presupposto su cui si fonda l'ordinanza impugnata, secondo cui si sarebbe formato il giudicato
cautelare sul fumus, è errato, in quanto la sentenza della Corte di Cassazione ha pronunciato l'annullamento
del precedente provvedimento mettendo in rilievo l'assenza di motivazione sulle deduzioni difensive circa
l'origine lecita delle somme, ma nulla ha detto in ordine alla sussistenza del fumus commissi delicti,
limitandosi a sottolineare come l'accertamento in ordine a tale presupposto sia del tutto diverso nelle due
tipologie di sequestro, cioè quello funzionale alla confisca ex art. 12-sexles citato e quello di cui all'art. 321,
comma 1, c.p.p.
Il Tribunale, quale giudice di rinvio, ha erroneamente ritenuto che la verifica in ordine alla sussistenza del
fumus fosse coperta dal giudicato cautelare, mentre avrebbe dovuto verificarne in concreto la sussistenza:
invece, ha affermato l'esistenza dei presupposti per entrambe le tipologie dei sequestri in maniera del tutto
apodittica, travisando la motivazione della Corte di Cassazione, che, invece, aveva insistito proprio sulla
necessità di differenziare gli accertamenti rispetto ai due tipi di sequestro, non solo per quanto concerne il
fumus, ma anche in rapporto al periculum.
4.
Pertanto, in accoglimento dell'ultimo motivo proposto nel ricorso e ritenuti assorbiti gli altri, si dispone
l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Lecce. P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Lecce.
Cass. Civile n.21466, 19 set 2013 Conto corrente: nulle le clausole su interessi e
capitalizzazione e saldo finale da ricostruire ab origine
Cassazione Civile
19 settembre 2013, n. 21466, I Sezione
Conto corrente: nulle le clausole su interessi e capitalizzazione e saldo finale da ricostruire ab origine
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Richiesta choc della banca per il correntista: a quest'ultimo, difatti, viene ingiunto, dal Tribunale, "il
pagamento" di quasi 60 milioni di vecchie lire, più "interessi al tasso del 19,25%, con capitalizzazione
trimestrale", tutto ciò "a titolo di saldo debitore del conto corrente da lui intrattenuto" con l'istituto di credito.
Quantum ridotto, poi, seppur di poco, in Corte d'Appello: l'importo da restituire viene fissato a quasi 29 mila
euro. Cifra, questa, frutto della "documentazione acquisita", e relativa "alla ultima fase del rapporto", e della
"applicazione di criteri logico-presuntivi".
Ma questi numeri vengono rimessi seriamente in discussione dai giudici della Corte di Cassazione, i quali
accolgono le rimostranze manifestate dal titolare del conto corrente, rimettendo la vicenda nuovamente
all'esame dell'Appello.
Elemento di rilievo, secondo i giudici, la "dichiarazione di nullità delle clausole del contratto di conto corrente,
che prevedevano la corresponsione degli interessi in misura superiore a quella legale e la capitalizzazione
trimestrale degli interessi".
Partendo da questo dato, bisogna considerare che "una volta esclusa la validità della clausola in base alla quale
sono stati calcolati gli interessi, soltanto la produzione degli estratti conto a partire dalla data di apertura del
conto corrente consente di pervenire, attraverso l'integrale ricostruzione del dare e dell'avere con l'applicazione
del tasso legale, alla determinazione del credito della banca", sempre che essa, aggiungono i giudici, "non
risulti addirittura debitrice, una volta depurato il conto dagli interessi non dovuti".
Quindi, partendo da questo punto fermo, ossia "l'accertamento della nullità delle clausole contrattuali che
pongono a carico del correntista l'obbligo di corrispondere, sugli importi di volta in volta risultanti a suo debito,
gli interessi ad tasso superiore a quello legale, prevedendone la capitalizzazione periodica", è necessario
"procedere alla rideterminazione del saldo finale del conto mediante la ricostruzione dell'intero andamento del
rapporto, sulla base delle condizioni ritenute applicabili e della documentazione contabile", la cui produzione
"è a carico della banca".
Svolgimento del processo
1. - A.N. propose opposizione al decreto emesso il 17 settembre 1997, con cui il Tribunale di Monza gli aveva
ingiunto il pagamento della somma di lire 58.998.782, oltre interessi al tasso del 19,25% con capitalizzazione
trimestrale, a titolo di saldo debitore del conto corrente da lui intrattenuto con la X S.p.A.
A fondamento della domanda, affermò il carattere usurario degl'interessi, contestando anche l'importo richiesto
a titolo di saldo debitore, in quanto risultante dall'applicazione d'interessi ultralegali e della capitalizzazione
trimestrale, non dovuti per difetto di valida convenzione.
1.1. - Il giudizio, dichiarato interrotto a seguito dell'incorporazione della X da parte della Banca Y
S.p.A. (in seguito trasformatasi in K S.p.A.), fu riassunto nei confronti di quest'ultima e della W S.p.A.,
subentrata nel rapporto obbligatorio per effetto della cessione in blocco dei crediti in sofferenza della X.
1.2. - Il Tribunale, dopo aver revocato il decreto ingiuntivo con sentenza non definitiva del 6 settembre 2000,
dichiarando la nullità della clausola relativa alla misura degl'interessi ultralegali ma riconoscendo
l'applicabilità della capitalizzazione trimestrale, con sentenza definitiva del 27 gennaio 2003 determinò
l'importo dovuto in euro 29.075,89, mediante il ricorso ad indici o criteri presuntivi.
2.
- Il gravame proposto dal N. nei confronti della Z S.p.A. (già W) è stato parzialmente accolto dalla
Corte d'Appello di Milano, che con sentenza dell'11 marzo 2006 ha rideterminato l'importo dovuto in euro
28.815,72.
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Premesso, per quanto ancora rileva in questa sede, che il c.t.u. nominato nel giudizio di primo grado aveva
dichiarato di non essere in grado di determinare la somma dovuta, in quanto, nonostante ripetuti rinvii ed un
ordine di esibizione emesso dal Tribunale, non era stata prodotta la documentazione contabile riguardante lo
svolgimento del rapporto, la Corte territoriale ha ritenuto inutile l'espletamento di una nuova consulenza,
osservando che la mera indicazione del saldo, accompagnata da riscontri relativi ai soli trimestri
immediatamente anteriori alla chiusura del conto, non avrebbe consentito la ricostruzione del rapporto. Ciò
posto, ha tuttavia rilevato che l'inadempimento dell'onere della prova, addotto a fondamento del gravame, non
era stato fatto valere con l'opposizione al decreto ingiuntivo, in cui l'attore si era limitato a contestare
l'applicazione degl'interessi ultralegali ed anatocistici, e, ritenuto che la documentazione acquisita consentisse
comunque di determinare l'importo dovuto, in riferimento all'ultima fase del rapporto. ha fatto proprio il
ragionamento seguito dal Tribunale, che aveva ricostruito il credito in base ai dati risultanti dalla predetta
documentazione e mediante l'applicazione di criteri logico-presuntivi in ordine ai quali le parti non avevano
sollevato specifiche contestazioni.
Preso atto, infine, che l'appellante aveva impugnato anche la sentenza non definitiva, limitatamente al
riconoscimento della legittimità della capitalizzazione trimestrale, la Corte ha dichiarato la nullità della relativa
clausola, in quanto fondata su inesistenti usi normativi, ed ha quindi proceduto alla rideterminazione del
credito, sulla base dei medesimi criteri seguiti dal Tribunale, ma introducendo nel calcolo un ulteriore
coefficiente di riduzione del tasso d'interesse.
3.
- Avverso la predetta sentenza il N. propone ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo,
illustrato anche con memoria. Resiste con controricorso il Q S.p.A., in qualità di mandataria della Y, succeduta
per incorporazione alla Z S.p.A.
Motivi della decisione
1.
- Con l'unico motivo d'impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione
dell'art. 2697 c.c., sostenendo che erroneamente la Corte d'Appello ha proceduto alla determinazione
dell'importo dovuto sulla base di criteri logico-presuntivi, muovendo dall'importo richiesto nel procedimento
monitorio, senza tener conto delle contestazioni da lui sollevate e dell'inadempimento dell'onere probatorio da
parte della banca. Osserva infatti che la mancata produzione degli estratti conto dalla data di insorgenza del
rapporto, impedendo di verificare la giustificazione contabile del saldo richiesto e di depurarlo dagli interessi
ultralegali ed anatocistici e dalle commissioni di massimo scoperto, non dovuti, avrebbe dovuto imporre il
rigetto della domanda proposta dalla banca.
1.1. - Il ricorso è fondato.
Nel determinare l'importo dovuto dal ricorrente, alla luce dell'intervenuta dichiarazione di nullità delle clausole
del contratto di conto corrente che prevedevano la corresponsione degli interessi in misura superiore a quella
legale e la capitalizzazione trimestrale degli interessi, la Corte territoriale ha dato atto dell'inutilità della
rinnovazione della c.t.u. espletata in primo grado, in considerazione della mancata produzione della
documentazione contabile relativa allo svolgimento del rapporto, aggiungendo che la mera indicazione del
saldo che il conto presentava alla data di chiusura, accompagnata da riscontri documentali relativi ai soli
trimestri immediatamente anteriori, non avrebbe in alcun modo consentito di ricostruire lo svolgimento del
rapporto. Ciò nonostante, essa ha ritenuto di poter confermare l'accertamento della posizione debitoria
dell'appellante compiuto dal Tribunale sulla base della documentazione prodotta e mediante l'applicazione di
criteri logico-presuntivi, con l'introduzione soltanto di un ulteriore correttivo in diminuzione per effetto della
dichiarazione d'illegittimità della capitalizzazione trimestrale degl'interessi, osservando che l'appellante non
aveva sollevato specifici rilievi in ordine all'intervenuto adempimento dell'onere probatorio da parte della
ricorrente, ma si era limitato a contestare l'applicazione degl'interessi ultralegali anatocistici.
Tale iter argomentativo, oltre a risultare intrinsecamente contraddittorio, in quanto fondato su proposizioni
logicamente incompatibili, costituite rispettivamente dall'impossibilità di procedere alla ricostruzione
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dell'andamento del conto sulla base della documentazione prodotta e dall'assunzione della stessa quale termine
di riferimento per l'accertamento del credito, si pone in contrasto con l'elementare considerazione, fatta propria
da questa Corte, secondo cui, una volta esclusa la validità della clausola in base alla quale sono stati calcolati
gl'interessi, soltanto la produzione degli estratti conto a partire dalla data di apertura del conto corrente consente
di pervenire, attraverso l'integrale ricostruzione del dare e dell'avere con l'applicazione del tasso legale, alla
determinazione del credito della banca, sempre che la stessa non risulti addirittura debitrice, una volta depurato
il conto dagl'interessi non dovuti. Allo stesso risultato non si può pervenire sulla base del saldo registrato alla
data di chiusura del conto e della documentazione relativa all'ultimo periodo del rapporto, dal momento che
quest'ultima non consente di verificare gli importi addebitati nei periodi precedenti per operazioni passive e
quelli relativi agl'interessi, la cui iscrizione nel conto ha condotto alla determinazione dell'importo che
costituisce la base di computo per il periodo successivo (cfr. Cass., Sez. I, 25 novembre 2010, n. 23974; 10
maggio 2007, n. 10692). È irrilevante, a tal fine, che il saldo iniziale risultante dalla documentazione relativa
all'ultimo periodo corrisponda a quello finale riportato negli estratti conto relativi ai periodi precedenti, dei
quali non sia stata dedotta l'avvenuta contestazione da parte del correntista, dal momento che, ai sensi dell'art.
1832 c.c., la mancata contestazione dell'estratto conto e la connessa implicita approvazione delle operazioni in
esso annotate riguardano gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, nonché la verità
contabile, storica e di fato delle operazioni annotate, ma non impediscono la formulazione di censure
concernenti la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. I, 26
maggio 2011, n. 11626; 19 marzo 2007, n. 6514; 18 maggio 2006, n. 11749).
L'accertamento della nullità delle clausole contrattuali che pongono a carico del correntista l'obbligo di
corrispondere, sugl'importi di volta in volta risultanti a suo debito, gl'interessi ad un tasso superiore a quello
legale, prevedendone la capitalizzazione periodica, impone pertanto di procedere alla rideterminazione del
saldo finale del conto mediante la ricostruzione dell'intero andamento del rapporto, sulla base delle condizioni
ritenute applicabili e della documentazione contabile la cui produzione è a carico della banca. Nessun rilievo,
nella specie, può assumere la circostanza che il correntista non avesse sollevato rilievi in ordine alla
documentazione prodotta nel procedimento monitorio, non risultando tale comportamento processuale di per
sé sufficiente a far ritenere provato il credito in presenza delle eccezioni sollevate in ordine alla validità delle
pattuizioni relative agl'interessi e dell'onere probatorio gravante sulla banca creditrice. È noto infatti che
l'emissione del decreto ingiuntivo non determina alcuna inversione nella posizione delle parti, configurandosi
la successiva fase di opposizione come un ordinario giudizio di cognizione, nell'ambito del quale trovano
applicazione le consuete regole di ripartizione dell'onere della prova, con la conseguenza che il ricorrente, pur
assumendo formalmente la posizione di convenuto, riveste la qualità di attore in senso sostanziale, ed è pertanto
tenuto a fornire la piena prova del credito azionato nella fase a cognizione sommaria (cfr. ex plurismis, Cass.,
Sez. VI, 11 marzo 2011, n. 5915; Cass., Sez. III, 3 marzo 2009, n. 5071; 17 novembre 2003, n. 17371).
2.
- La sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d'Appello
di Milano, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Milano, anche per la
liquidazione delle spese processuali.
Tribunale Latina n.19154, 28 ago 2013 È onere della parte dimostrare l'avvenuto
superamento del tasso soglia anche mediante la produzione dei decreti e delle
rilevazioni della Banca d'Italia
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Tribunale di Latina
28 agosto 2013, n. 19154
Dott. Raffaele Miele
È onere della parte dimostrare l'avvenuto superamento del tasso soglia anche mediante la produzione dei
decreti e delle rilevazioni della Banca d'Italia
La parte che deduce la violazione dell'usura bancaria e dunque l'applicazione di tassi superiori a quelli
previsti dalla Legge n. 108/1996, ha l'onere di dimostrare l'avvenuto superamento dello specifico tasso
soglia rilevante, tra l'altro anche mediante la produzione dei decreti e delle rilevazioni della Banca di Italia.
La contestazione in tal senso non può essere generica, e, in mancanza non può essere ammessa alcuna
consulenza tecnica atteso che la stessa non può essere disposta al fine di esonerare la parte dal fornire la
prova di quanto assume violato.
La consulenza tecnica d'ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio ed è quindi legittimamente negata
dal Giudice qualora la parte tende a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni ovvero è diretta a
compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati.
Ove ciò avvenga, la ctu non potrà essere utilizzata in sede di decisione in quanto erroneamente disposta.
Questi sono i principi espressi dal Tribunale di Latina, nella persona del Giudice dott. Raffaele Miele, con la
presente sentenza in una controversia che vedeva contrapposta la banca ed un correntista inadempiente, il
quale, in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, deduceva, tra l'altro, la generica violazione dei tassi
soglia ed il Tribunale, ancor prima di concedere i termini di cui all'art. 184 c.p.c., disponeva la consulenza
tecnica d'ufficio.
Nel corso del processo la causa veniva assegnata ad altro Magistrato, il quale rilevava che parte opponente
non aveva assolto l'onere della prova sullo stesso gravante, atteso che aveva genericamente asserito la
violazione dell'usura senza fornire alcun elemento di prova. Sulla scorta di tali mancanze il Giudice rilevava
che la consulenza tecnica non andava espletata.
In particolare, il Tribunale di Latina ha correttamente evidenziato che la consulenza tecnica d'ufficio non è
mezzo istruttorio in senso proprio e spetta al giudice di merito stabilire se essa è necessaria od opportuna,
fermo restando l'onere probatorio delle parti, e la relativa valutazione, se adeguatamente motivata in relazione
al punto di merito da decidere, non può essere sindacata in sede di legittimità. Legittimamente non è disposta
dal giudice se è richiesta per compiere un'indagine esplorativa sull'esistenza di circostanze, il cui onere di
allegazione è invece a carico delle parti.
Quanto al superamento del tasso usura, precisa l'adito giudicante che, come è noto la determinazione del c.d.
tasso soglia antiusura si effettua sulla base dei tassi rilevati periodicamente dalla Banca d'Italia e recepiti con
decreto trimestrale del Ministro dell'Economia e delle Finanze.
Rileva il Tribunale che parte opponente si è limitata a una contestazione generica rimasta assolutamente non
provata. Va, infatti, evidenziato che, nell'ambito del giudizio, era onere della parte dimostrare l'avvenuto
superamento dello specifico tasso soglia rilevante, tra l'altro mediante la produzione dei decreti e delle
rilevazioni della Banca di Italia.
Per approfondimenti si segnala un'altra decisione che ha affrontato la medesima questione. Si tratta della
sentenza del Tribunale di Ferrara, dott.ssa Anna Ghedini, del 5 dicembre 2013, n. 1223.
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Il Tribunale è giunto, infine, alla conclusione che può ammettersi consulenza contabile in tema di usura
bancaria solo in caso di assolvimento dell'onere dalla prova, giacché, in mancanza, ogni attività del perito va
ritenuta illegittima.
(Sentenza tratta da Ex Parte Creditoris)
Il Tribunale Ordinario di Latina, nella persona del Giudice designato dott. Raffaele Miele, ha emesso la
seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 7044 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2005, trattenuta in
decisione all'udienza del 7/3/2013, con assegnazione dei termini di legge per lo scambio delle comparse
conclusionali e delle memorie di replica, e vertente
TRA
S.G. E C.R.;
OPPONENTI
E
BANCA *** S.P.A.;
OPPOSTA
OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo.
CONCLUSIONI
All'udienza del 7/3/2013 le parti concludevano come da verbale in atti da intendersi integralmente trascritto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
S.G. e C.R. hanno contestato quanto ingiunto loro da BANCA *** S.P.A. con decreto n. 770/05 emesso dal
Tribunale di Latina, deducendo la illegittima gestione dei rapporti di conto corrente da parte dell'Istituto di
Credito e l'avvenuta applicazione di tassi superiori a quelli previsti dalla L. n. 108/1996.
BANCA *** S.P.A. ha resistito all'avversa opposizione e ne ha chiesto il rigetto, sostenendone l'infondatezza.
Ciò premesso in fatto, va ricordato in diritto che, in tema di inadempimento delle obbligazioni da contratto,
secondo le regole di ripartizione dell'onere della prova (1218 c.c. - 2697 c.c.), il creditore che agisce per
l'adempimento di una obbligazione deve soltanto provare la fonte del suo diritto, limitandosi all'allegazione
della circostanza dell'inadempimento, mentre il debitore è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo
della sua pretesa (v. per tutte Cass., S.U., 30/10/2001, n. 13533).
Ebbene la BANCA *** S.P.A., a dimostrazione della consistenza del suo credito, aveva prodotto già in sede
monitoria non solo i certificati ex art. 50 della Legge Bancaria (cosiddetto saldaconto) ma anche i titoli alla
base del credito azionato, vale a direi contratti di conto corrente, le lettere di ricognizione del debito sottoscritte
dagli opponenti e la raccomandata di diffida al rimborso dello scoperto; nel presente giudizio di opposizione
ha integrato tale documentazione con il deposito degli estratti conto ben prima dello spirare dei termini
assegnati ex art. 184 c.p.c., (i suddetti termini scadevano il 30/5/2009 mentre gli estratti conto sono stati
prodotti all'udienza del 22/1/2009: cfr. verbali d'udienza).
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Si deve ricordare che, in tema di prova del credito fornita da un istituto bancario nel giudizio monitorio e nel
successivo giudizio contenzioso di opposizione, va distinto l'estratto di saldaconto dichiarazione unilaterale di
un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture
contabili e da un'attestazione di verità e liquidità del credito dall'ordinario estratto conto - funzionale a
certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall'ultimo saldo, con le condizioni attive e
passive praticate dalla banca - poiché il saldaconto riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per
decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dall'istituto, mentre l'estratto conto, trascorso il debito periodo di
tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente,
idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente (cfr. Cass. Civ.,
Sez. I, 25/02/2002, n. 2751; nello stesso senso Cass. Civ., Sez. I, 20/08/2003, n. 12233).
Va inoltre evidenziato che, nel caso di specie, sono state prodotte anche delle lettere del 27/3/2000 e del
15/11/2000 (le cui sottoscrizioni non sono state disconosciute) nelle quali gli opponenti riconoscevano il debito
maturato fino a quel momento nei confronti della banca, proponendo un piano di rientro.
Occorre rammentare che la ricognizione di debito ha effetto confermativo di un preesistente rapporto
fondamentale; essa ha il solo effetto di esonerare il destinatario della promessa dall'onere di fornire la prova
dell'esistenza del rapporto fondamentale; ove tuttavia i1 debitore dimostri la nullità o l'inesistenza di detto
rapporto. la ricognizione di debito rimane del tutto inefficace, perché priva di causa (cfr. da ultimo Cass. Civ.,
Sez. III, 18/11/2008, n. 27406; nello stesso senso, fra le altre, Cass. n. 11426 del 2002; Cass. n. 8515 del 2003;
Cass. n. 18259 del 2006; Cass. n. 10574 del 2007).
Alla luce dei suddetti principi giurisprudenziali, dai quali non si ha motivo per discostarsi, è quindi evidente
che la documentazione allegata dalla opposta, opportunamente integrata in questa sede con il deposito degli
estratti conto, va certamente ritenuta idonea a provare il credito azionato in monitorio.
Passando all'esame della doglianza relativa alla gestione illegittima dei rapporti di conto corrente, è appena il
caso di rilevare che si è trattato di una contestazione assolutamente generica, rimasta sfornita di qualsiasi
dimostrazione.
Quanto all'asserita applicazione di tassi superiori a quelli previsti dalla L. n. 108/1996, va ricordato che tale
normativa ha introdotto il concetto del tasso soglia (artt. 2 e 3), designato come limite imperativo alla misura
del tasso di interesse convenzionale, superato il quale si configura il fenomeno usurario, con la correlativa
sanzione del novellato art. 1815, corna 2, c.c., secondo cui ''se sono convenuti interessi usurari, la clausola è
nulla e non sono dovuti interessi" (art. 4); in particolare, è usurario il tasso di interesse che, ai sensi dell'art. 2
della normativa citata, supera il tasso medio per la categoria di operazioni in cui il credito è compreso,
aumentato della metà o, più precisamente, il tasso che supera del 50% il
"tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese,
escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari
finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall'Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d'Italia ai sensi degli artt.
106 e 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nel corso del trimestre precedente per operazioni
della stessa natura".
È altrettanto noto che la Legge n. 24/2001 (la cui legittimità costituzionale è stata riconosciuta da Corte Cost.
25/2/2002, n. 29), ha introdotto, con l'art. 1, comma 1, una norma di interpretazione autentica dell'art. 644 c.p.,
sancendo che
"si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono
promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento".
Ciò posto, rileva il Tribunale che parte opponente, anche in questo caso, si è limitata a una contestazione
generica rimasta assolutamente non provata.
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Va infatti evidenziato che, nell'ambito del giudizio, era onere della parte dimostrare l'avvenuto superamento
dello specifico tasso soglia rilevante, tra l'altro mediante la produzione dei decreti e delle rilevazioni della
Banca di Italia.
Ed invero la rilevazione del tasso viene stabilita, periodicamente, con un decreto del Ministro del Tesoro che,
evidentemente, ha natura di provvedimento amministrativo e per questo non può rispetto ad esso trovare
applicazione il principio jura novit curia, stabilito dall'art. 113 del codice di procedura civile, poiché tale norma
deve essere letta e applicata con riferimento all'art. 1 delle disposizioni preliminari al codice civile, che
contiene l'indicazione delle fonti del diritto, non comprendenti gli atti amministrativi (così, ex multis, Cass.,
26 giugno 2001, n. 8742): ebbene nulla a tal riguardo ha prodotto o dimostrato la parte interessata.
Parte opponente non ha, pertanto, assolto l'onere probatorio che su di lei gravava in ordine alla sussistenza di
tali motivi di opposizione e non può essere in ciò alleviata attraverso il ricorso alla consulenza tecnica, posto
che la stessa non può essere disposta al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è
quindi legittimamente negata dal giudice qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie
allegazioni o offerte di prove ovvero a compiere un'indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o
circostanze non provati. essa, infatti, non è mezzo istruttorio in senso proprio e spetta al giudice di merito lo
stabilire se essa è necessaria od opportuna, fermo restando l'onere probatorio delle pani, e la relativa
valutazione, se adeguatamente motivata in relazione al punto di merito da decidere, non può essere sindacata
in sede di legittimità. Legittimamente non è disposta dal giudice se è richiesta per compiere un'indagine
esplorativa sull'esistenza di circostanze, il cui onere di allegazione è invece carico delle parti (così Casa. Civ.,
Sez. 21/07/2003, n. 11317, cfr. da ultimo Cass. Civ., Sez. II, 11/01/2006, n. 212).
Erroneamente, quindi, il precedente Giudicante aveva disposto una consulenza tecnica d'ufficio, peraltro ancor
prima di concedere i termini di cui all'art. 184 c.p.c..
Pertanto, l'applicazione della disposizione di cui all'art. 2697 c.c. quale regola di giudizio per la quale la
mancanza, in seno alle risultanze istruttorie, di elementi idonei all'accertamento della sussistenza dei fatti
costitutivi dell'azione, determina la soccombenza della parte onerata della relativa dimostrazione, comporta il
rigetto della opposizione con conseguente conferma del decreto ingiuntivo.
In considerazione del protrarsi della situazione di fatto per circa 7 anni, sussistono giusti motivi per la
compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale di Latina, definitivamente pronunciando sulla opposizione a decreto ingiuntivo di cui in epigrafe,
ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa, cosi provvede:
1. Rigetta l'opposizione e per l'effetto conferma il decreto ingiuntivo n. 770/2005 emesso dal Tribunale di
Latina;
2. Compensa tra le parti le spese di. giudizio.
C. Appello Milano n.3282, 22 ago 2013 Usura - Istruzioni della Banca d'Italia Forza di legge - Esclusione Usura - Voci del carico economico Polizza assicurativa
a garanzia del mutuo - Inerenza
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Corte d'Appello di Milano
22 agosto 2013, n. 3282
Rel. Dott.ssa Carla Romana Raineri
Usura - Istruzioni della Banca d'Italia - Forza di legge - Esclusione.
Usura - Voci del carico economico - Polizza assicurativa a garanzia del mutuo - Inerenza
La determinazione del tasso ai fini dell'indagine sull'usura deve essere condotta tenendo conto di commissioni,
remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse solo quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del
credito.
In tale prospettiva, deve essere ricompresa, nel calcolo del tasso praticato, anche la polizza assicurativa
finalizzata alla garanzia del rimborso del mutuo, atteso che essa è condizione necessaria per l'erogazione del
credito ed attesa, altresì, la sua natura remunerativa, sia pure in via indiretta, per il mutuante.
Le direttive e le istruzioni della Banca d'Italia, quale organo di vigilanza ed indirizzo delle banche e degli
operatori finanziari, non sono vincolanti per gli organi giurisdizionali, non essendo fonti normative.
In questi termini si è espressa la Corte d'Appello di Milano, con la presente sentenza, ad ulteriore chiarimento
in merito alla valutazione dei criteri per la verifica del superamento del tasso d'interesse usurario.
Il Collegio milanese è stato investito della questione per effetto dell'appello proposto da una società finanziaria
avverso l'ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., con cui il Tribunale di Busto Arsizio - Sezione distaccata Saronno aveva dichiarato la nullità di un contratto di finanziamento, limitatamente alle clausole relative agli interessi,
considerati usurari.
In particolare, ai fini della verifica del superamento del c.d. "tasso soglia" antiusura, il Giudice di prime cure
aveva incluso nei costi del finanziamento anche quello della polizza assicurativa finalizzata alla garanzia del
rimborso del mutuo.
La mutuataria, in quanto solo parzialmente vittoriosa in primo grado - stante la proposizione di analoga
domanda relativa ad altro contratto di finanziamento, non accolta - ha proposto appello incidentale per vedersi
accogliere le domande disattese.
La Corte d'Appello, pronunciandosi sull'appello principale, ha nettamente sancito l'usurarietà del tasso
applicato al contratto di finanziamento, confermando il provvedimento impugnato.
Al fine di valutare il superamento o meno del "tasso soglia" - ha affermato - vanno computate tutte quelle
commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse solo quelle per imposte e tasse, collegate alla
erogazione del credito.
A ben vedere, dunque, anche la polizza assicurativa finalizzata alla garanzia del rimborso del mutuo va
ricompresa nel tasso praticato, atteso che essa è condizione necessaria per l'erogazione del credito ed attesa,
altresì, la sua natura remunerativa, sia pure in via indiretta, per il mutuante.
Chiaro - e fedele - il riferimento al dato letterale di cui all'art. 644, comma 4, del codice penale in materia di
usura, confermato dal rinvio alle pronunce della Cassazione penale sulla medesima questione (Cass. Pen. n.
12028/2010, secondo cui "devono ritenersi rilevanti, ai fini della integrazione della fattispecie dell'usura, tutti
gli oneri che il contraente sopporta in connessione con l'erogazione del credito".
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La Corte ambrosiana ha espressamente negato la vincolatività delle istruzioni e delle direttive impartite dalla
Banca d'Italia per il controllo dell'usurarietà dei tassi, sul presupposto che esse non sono fonti normative ed
anche considerando che le nuove istruzioni, a partire dal 2009, includono anche il costo relativo alle polizze
assicurative nel calcolo ai fini della verifica del superamento del tasso soglia.
Il Collegio ha così disatteso le argomentazioni di parte appellante, rigettando l'impugnazione principale.
L'appello incidentale, invece, rimasto assorbito con riferimento al medesimo capo di sentenza, è stato altresì
rigettato - a conferma della correttezza della decisione del Tribunale - atteso che l'asserita violazione dell'art.
39 D.P.R. n. 180/50, dedotta dalla mutuataria, non può condurre ad una pronuncia di nullità dell'intero
contratto, in quanto attiene ad obblighi di natura comportamentale che possono - al più - giustificare il ristoro
del danno eventualmente patito, mentre non riguarda elementi intrinseci della fattispecie negoziale.
La pronuncia in esame ispira una rimeditazione complessiva sulla disciplina dell'usura, alla luce dei ripetuti
interventi della giurisprudenza al riguardo, nonché delle più recenti istruzioni della Banca d'Italia - rispetto alle
quali comunque la sentenza in esame non appare difforme.
Va rilevato peraltro che queste ultime, pur non vincolanti per il Giudice che, nell'esercizio della propria
funzione, è soggetto soltanto alla legge, costituiscono comunque un punto di riferimento imprescindibile per
l'interpretazione della normativa in materia di usura o, quantomeno, hanno orientato gli interpreti fino alle
ultime trancianti pronunce della Suprema Corte.
Trattasi, infatti, pur sempre di indicazioni provenienti da un soggetto tecnicamente ed istituzionalmente
qualificato ad esprimersi sulla normativa di settore.
(Sentenza tratta da Ex Parte Creditoris)
Consulta il testo integrale
Tribunale Viterbo n.1668, 8 ago 2013 Usura contrattuale
Tribunale di Viterbo
8 agosto 2013, n. 1668
Usura contrattuale
Il Tribunale di Viterbo, con tre ordinanze (la presente, la n. 1570 e la n. 1571) tutte dello scorso 8 agosto, ha
ammesso, in cause aventi ad oggetto dei conti correnti, consulenza tecnica contabile. Il quesito è relativo alla
verifica della esistenza o meno dell'usura pattuita in contratto, pena la gratuità del prestito in applicazione
dell'art. 1815, 2° comma, c.c..
Trattasi della prima volta in Italia che si applica il concetto (già espresso dalla Cassazione con la sentenza n.
350/2013 e per analogia esteso ad ogni obbligazione pecuniaria dalla Corte di Appello di Venezia con la
sentenza n. 342/2013) della sanzione civilistica prevista dall'art. 1815, 2° comma, c.c. che statuisce che nulla
è dovuto sui conti correnti gravati da usura contrattuale.
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Proc. n. 1668 del 2012 RG Il G.O.T.
dr.ssa Angela Calia, sciogliendo la
riserva che precede,
rilevato che i documenti prodotti dalla convenuta ed allegati al fascicolo ai nn. 2 e 3 sono gli stessi di quelli
prodotti dall'attore ed allegati al n. 1 del fascicolo e che non si evidenzia, dunque, nella "contestazionedisconoscimento" una chiara ed univoca volontà della parte contro cui è proposta di impugnare la
sottoscrizione di detti allegati, peraltro incompatibile con le stesse allegazioni dell'attore; quanto alla richiesta
di CTU:
rilevato che nel frontespizio dei contratti nn. 1016174/3 e 1016175/0 stipulati il 6.9.2004 è previsto
espressamente sia il saggio di interesse a credito, sia quello a debito, sia la c.m.s., con condizioni che risultano
accettate dal contraente che ha sottoscritto i contratti;
ritenuto che la capitalizzazione trimestrale degli interessi è legittima ove i contratti bancari siano stati stipulati
in epoca successiva alla delibera CICR entrata in vigore il 22.4.2000, a condizione che rispetti le tre condizioni
essenziali per la validità della pattuizione che sono: 1) approvazione specificamente per iscritto dal cliente, 2)
indicazione del tasso degli interessi effettivo rapportato su base annua, 3) previsione della medesima
periodicità nel conteggio degli interessi attivi e passivi; rilevato che entrambi i contratti rispettano tali
condizioni;
ritenuta accoglibile la richiesta di CTU, la quale: 1) accerti se le condizioni pattuite nei contratti siano state
modificate nel tempo e se la modifica sia stata comunicata al correntista secondo quanto previsto nei contratti
e nel documento di sintesi c in caso negativo proceda al calcolo del dovuto sulla base dei tassi convenzionali
ove al momento quelli applicati fossero maggiori, ovvero ai tassi applicati ove minori di quelli pattuiti; 2)
individui, se gli importi addebitati in c/c siano superiori al tasso soglia, escludendo dal calcolo la c.m.s. sino
al 31.12.2009 e, in caso affermativo, ridetermini il dare e avere tra le parti applicando la sanzione ex art. 1815,
2° comma, c.c. ("nessun interesse è dovuto").
P.Q.M.
Dispone CTU nominando ausiliario, il Dott. LONGHI Maurizio con studio in Viterbo, Via F. Baracca n. 15,
che invita a comparire all'udienza del 27.11.2013 ore 9:30 per il conferimento del seguente incarico: "Proceda
il CTU, previo esame della documentazione contabile agli atti, a: 1) verificare se le condizioni pattuite nei
contratti siano state modificate nel tempo e se la modifica sia stata comunicata al correntista secondo quanto
previsto nelle condizioni generali del contratto e in caso negativo proceda al calcolo del dovuto sulla base dei
tassi convenzionali ove al momento quelli applicati fossero maggiori, ovvero ai tassi applicati ove minori di
quelli pattuiti; 2) individuare, se gli importi addebitati in c/c siano superiori al tasso soglia, escludendo dal
calcolo la c.m.s. sino al 31.12.2009 e, in caso affermativo, ridetermini il dare e avere tra le parti applicando la
sanzione ex art. 1815, 2° comma, c.c. ("nessun interesse è dovuto")".
Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti e al CTU.
Tribunale Viterbo n.1571, 8 ago 2013 Usura contrattuale
Tribunale di Viterbo
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8 agosto 2013, n. 1571
Usura contrattuale
Il Tribunale di Viterbo, con tre ordinanze (la presente, la n. 1570 e la n. 1668) tutte dello scorso 8 agosto, ha
ammesso, in cause aventi ad oggetto dei conti correnti, consulenza tecnica contabile. Il quesito è relativo alla
verifica della esistenza o meno dell'usura pattuita in contratto, pena la gratuità del prestito in applicazione
dell'art. 1815, 2° comma, c.c..
Trattasi della prima volta in Italia che si applica il concetto (già espresso dalla Cassazione con la sentenza n.
350/2013 e per analogia esteso ad ogni obbligazione pecuniaria dalla Corte di Appello di Venezia con la
sentenza n. 342/2013) della sanzione civilistica prevista dall'art. 1815, 2° comma, c.c. che statuisce che nulla
è dovuto sui conti correnti gravati da usura contrattuale.
Proc. n. 1571 del 2012 RO Il G.O.T. dr.ssa Angela
Calia, sciogliendo la riserva che precede, letti gli atti
e valutata la documentazione allegata,
rilevato che nel frontespizio del contratto n. 19166 e nel contratto di apertura di credito entrambi stipulati il
28.6.2007 è previsto espressamente sia il saggio di interesse a credito, sia quello a debito, sia la c.m.s., con
condizioni che risultano accettate dal contraente che ha sottoscritto i contratti;
ritenuto che la capitalizzazione trimestrale degli interessi è legittima ove i contratti bancari siano stati stipulati
in epoca successiva alla delibera CICR entrata in vigore il 22.4.2000, a condizione che rispetti le tre condizioni
essenziali per la validità della pattuizione che sono: 1) approvazione specificamente per iscritto dal cliente, 2)
indicazione del tasso degli interessi effettivo rapportato su base annua, 3) previsione della medesima
periodicità nel conteggio degli interessi attivi e passivi; rilevato che il contratto n. 19166/2007 rispetta tali
condizioni;
ritenuta accoglibile la richiesta di CTU, la quale: 1) accerti se le condizioni pattuite nel c/c ordinario e
nell'apertura di credito siano state modificate nel tempo e se la modifica sia stata comunicata al correntista
secondo quanto previsto nelle condizioni generali del contratto e in caso negativo proceda al calcolo del dovuto
sulla base dei tassi convenzionali ove al momento quelli applicati fossero maggiori, ovvero ai tassi applicati
ove minori di quelli pattuiti; 2) individui, se gli importi addebitati in c/c siano superiori al tasso soglia,
escludendo dal calcolo la c.m.s. sino al 31.12.2009 e, in caso affermativo, ridetermini il dare e avere tra le parti
applicando la sanzione ex art. 1815, 2° comma, c.c., ("nessun interesse è dovuto").
P.Q.M.
Dispone CTU nominando ausiliario, il Dott. TEDESCHI Stefano con studio in Viterbo via Monte San
Valentino n. 2,
che invita a comparire all'udienza del 27.11.2013 ore 10:00 per il conferimento del seguente incarico: "Proceda
il CTU, previo esame della documentazione agli atti, a: 1) verificare se le condizioni pattuite nel c/c ordinario
c nell'apertura di credito siano state modificate nel tempo e se la modifica sia stata comunicata al correntista
secondo quanto previsto nelle condizioni generali del contratto e in caso negativo proceda al calcolo del dovuto
sulla base dei tassi convenzionali ove al momento quelli applicati fossero maggiori, ovvero ai tassi applicati
ove minori di quelli pattuiti; 2) individuare, se gli importi addebitati in c/c siano superiori al tasso soglia,
escludendo dal calcolo la c.m.s. sino al 31.12.2009 e, in caso affermativo, ridetermini il dare e avere tra le parti
applicando la sanzione ex art. 1815, 2° comma, c.c. ("nessun interesse è dovuto").
Documento tratto da Arianna - Normativa Creditizia e Finanziaria
Pag. 48 di 115
Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti e al CTU.
Tribunale Viterbo n.1570, 8 ago 2013 Usura contrattuale
Tribunale di Viterbo
8 agosto 2013, n. 1570
Usura contrattuale
Il Tribunale di Viterbo, con tre ordinanze (la presente, la n. 1571 e la n. 1668) tutte dello scorso 8 agosto, ha
ammesso, in cause aventi ad oggetto dei conti correnti, consulenza tecnica contabile. Il quesito è relativo alla
verifica della esistenza o meno dell'usura pattuita in contratto, pena la gratuità del prestito in applicazione
dell'art. 1815, 2° comma, c.c..
Trattasi della prima volta in Italia che si applica il concetto (già espresso dalla Cassazione con la sentenza n.
350/2013 e per analogia esteso ad ogni obbligazione pecuniaria dalla Corte di Appello di Venezia con la
sentenza n. 342/2013) della sanzione civilistica prevista dall'art. 1815, 2° comma, c.c. che statuisce che nulla
è dovuto sui conti correnti gravati da usura contrattuale.
Proc. n. 1570 del 2012 R.G. Il G.O.T.
dr.ssa Angela Calia, sciogliendo la
riserva che precede,
quanto al disconoscimento degli allegati nn. 225 e 229 della comparsa di costituzione e risposta della Banca
convenuta:
rilevato che il disconoscimento della scrittura privata è soggetto alle modalità e termini di cui agli artt. 214 e
215 c.p.c. e, pertanto, deve avvenire nella prima udienza o risposta successiva alla produzione, mentre nel caso
di specie gli allegati sono stati disconosciuti nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., di talché le copie prodotte
devono intendersi riconosciute tanto nella loro conformità all'originale che all'autenticità della sottoscrizione;
quanto alla richiesta di CTU volta alla determinazione del quantum debeatur:
ritenuta accoglibile al fine di verificare se: 1) la clausola trimestrale di capitalizzazione degli interessi sia stata
applicata sia a quelli creditori che debitori e in caso negativo, predisporre il calcolo escludendo ogni
capitalizzazione sino al 30.6.2000 ed applicando per il periodo successivo la capitalizzazione con identica
periodicità attiva e passiva trimestrale; 2) la c.m.s. sia stata convenuta in forma scritta applicandola solo in
caso affermativo e, altrimenti, escludendola dal calcolo; 3) le condizioni pattuite nei contratti siano state
modificate nel tempo e se la modifica sia stata comunicata al correntista e in quali modalità e in caso negativo
proceda al calcolo del dovuto sulla base dei tassi convenzionali ove al momento quelli applicati fossero
maggiori, ovvero ai tassi applicati ove minori di quelli pattuiti; 4) al momento della pattuizione degli interessi
ovvero nel variarli, sia mai stato superato il tasso soglia, escludendo dal calcolo la c.m.s. sino al 31.12.2009 e,
in caso affermativo, ad applicare la sanzione ex art. 1815, 2° comma, c.c. ("nessun interesse è dovuto").
P.Q.M.
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Dispone CTU nominando ausiliario, la Dott.ssa CONTICIANA Giovanna con studio in Viterbo via
Cardarelli n. 6,
che invita a comparire all'udienza del 27.11.2013 ore 10:30 per il conferimento del seguente incarico: "Proceda
il CTU, previo esame della documentazione contabile prodotta agli atti, a: 1) verificare se la clausola
trimestrale di capitalizzazione degli interessi sia stata applicata sia a quelli creditori che debitori e in caso
negativo, predisporre il calcolo escludendo ogni capitalizzazione sino al 30.6.2000 ed applicando per il periodo
successivo la capitalizzazione con identica periodicità attiva e passiva trimestrale; 2) verificare se la c.m.s. sia
stata convenuta in forma scritta applicandola solo in caso affermativo e, altrimenti, escludendola dal calcolo;
3) verificare se le condizioni pattuite nei contratti siano state modificate nel tempo e se la modifica sia stata
comunicata al correntista e in quali modalità e in caso negativo proceda al calcolo del dovuto sulla base dei
tassi convenzionali ove al momento quelli applicati fossero maggiori, ovvero ai tassi applicati ove minori di
quelli pattuiti; 4) accertare se al momento della pattuizione degli interessi ovvero nel variarli, sia mai stato
superato il tasso soglia, escludendo dal calcolo la c.m.s. sino al 31.12.2009 e, in caso affermativo, ad applicare
la sanzione ex art. 1815, 2° comma, c.c. ("nessun interesse è dovuto").
Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti e al CTU.
Cass. Civile n.18541, 2 ago 2013 Contestazione relativa a validità ed efficacia di
pattuizione di interessi ultralegali - Giudizio ordinario di cognizione - Produzione
degli estratti conto da parte della banca - A partire dall'avvio del rapporto
Cassazione Civile
2 agosto 2013, n. 18541
Pres. Carnevale - Est. Maria Acierno
Contestazione relativa a validità ed efficacia di pattuizione di interessi ultralegali - Giudizio ordinario di
cognizione - Produzione degli estratti conto da parte della banca - A partire dall'avvio del rapporto - Anche
oltre il decennio.
Obbligo di conservazione decennale delle scritture contabili - Illegittimità costituzionale degli artt. 2220 cod.
civ. e 50 T.U.B. in relazione agli artt. 3 e 4 Cost. - Manifesta infondatezza della questione.
Superata la fase monitoria, in cui è possibile produrre solo gli estratti conto relativi all'ultima fase di
movimentazione del conto ai sensi dell'art. 50 T.U.B., nel successivo giudizio a cognizione piena ove sia
contestata per mancanza di requisiti di legge la pattuizione degli interessi legali - la banca è tenuta a produrre
gli estratti conto a partire dall'apertura del conto anche oltre il decennio, perché non si può confondere l'obbligo
di conservazione della documentazione contabile con l'onere di fornire prova in giudizio del proprio credito.
La produzione di estratti conto per una frazione temporale unilateralmente individuata dalla banca è
radicalmente inidonea ad assolvere l'onere probatorio che sta a suo carico.
L'obbligo di conservazione delle scritture contabili di cui all'art. 2220 cod. civ. costituisce uno strumento di
tutela per i terzi estranei all'attività imprenditoriale, che risulta volto a garantire l'accesso, la conoscibilità e la
trasparenza delle attività di impresa. Pertanto, la previsione della durata decennale di tale obbligo non può
essere interpretata come una limitazione legale dell'onere probatorio posto a carico di chi è tenuto a dare la
prova integrale del proprio credito. È dunque manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità
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costituzionale dell'art. 2220 cod. civ., come correlato all'art. 50 T.U.B., dovendosi ribadire la radicale diversità
delle esigenze probatorie della fase monitoria da quelle del giudizio a cognizione piena.
La Corte Suprema di Cassazione, R.G. n. 15044/2006, Prima Sezione Civile, composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. CORRADO CARNEVALE - Presidente Dott. CARLO PICCININNI - Consigliere Dott.
ANDREA SCALDAFERRI Consigliere
Dott. MARIA ACIERNO - Rel. Consigliere
Dott. GUIDO MERCOLINO - Consigliere ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 15044/2006 proposto da:
J.V. (c.f./p.i. ***), nella qualità di mandataria di *** S.p.A. (già Banca *** S.p.A., già *** S.p.A., quest'ultimo
già conferitario della ***), quest'ultima a sua volta mandataria di *** S.p.A., in persona dei legali
rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, Via ***, presso l'avvocato ***, che la
rappresenta e difende unitamente all'avvocato ***, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente contro
*** (c.f. ***).
*** (c.f. ***)
elettivamente domiciliati in ROMA, Via ***, presso l'avvocato ***, che li rappresenta e difende, giusta procura
a margine del controricorso;
- controricorrenti avverso la sentenza n. 185/2006 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 12/1/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9/4/2013 dal consigliere Dott. MARIA
ACIERNO;
udito, per la ricorrente, l 'Avvocato *** con delega ***, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l'inammissibilità, in subordine al rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata, confermando la pronuncia di primo grado, la Corte d'Appello di Roma ha accolto
l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta da *** e *** avverso il decreto loro notificato in qualità
rispettivamente di debitore principale e fideiussore della S.p.A. *** (attualmente *** S.p.A.) per l'importo di
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Lire 89.419.249. A sostegno dell'opposizione era stato dedotto, in primo grado, che la somma richiesta era
nettamente superiore a quella dovuta, non solo perché uno dei due saldi passivi era stato pagato ma anche
perché era stata illegittimamente praticata la capitalizzazione trimestrale degli interessi e l'applicazione di un
tasso superiore a quello stabilito dalla l. n. 108 del 1996. Veniva, infine, rilevato che, in violazione del principio
di buona fede, era stato immotivatamente revocato il fido, concesso solo poco tempo prima. A seguito
dell'accoglimento dell'opposizione da parte del Tribunale, fondata sull'insufficienza probatoria dei saldaconti
certificati prodotti dall'istituto bancario a sostegno del credito azionato, nel giudizio a cognizione piena a fronte
delle contestazioni degli opponenti, sull'appello della banca, la Corte territoriale ha affermato per quel che
ancora interessa:
a)
che gli opponenti nel corso del giudizio di primo grado avevano contestato l'entità del credito anche
in ordine all'illegittima capitalizzazione degli interessi passivi da reputarsi mera argomentazione difensiva,
pacificamente prospettabile senza incorrere in preclusioni;
b)
che l'istituto bancario nel primo grado del giudizio aveva prodotto esclusivamente certificati
disaldaconto e non estratti conto;
c)
che il giudice di primo grado aveva condivisibilmente ritenuto tali documenti inidonei a sostenere la
prova nel giudizio a cognizione piena, non potendo reputarsi sufficiente la certificazione del dato finale da
parte dei dirigenti della banca;
d)
non era applicabile l'invocato art. 2710 cod. civ. non versandosi nella specie in "rapporti inerenti
all'esercizio dell'impresa";
e)
gli estratti conto prodotti nel secondo grado dovevano ritenersi irrilevanti perché temporalmente
riferibili al periodo successivo al 30/6/1993, riportando come dato iniziale saldaconti passivi non verificabili.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione *** S.p.A. affidandosi ad un unico articolato motivo
di ricorso. Hanno resistito con controricorso il *** e la ***
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo di ricorso viene censurata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1832, 1857, 2220
cod. civ., e 119 del d.lgs. n. 385 del 1993, nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata per non
aver correttamente valutato la produzione nel giudizio d'appello degli estratti dei due conti correnti oggetto di
causa. In primo luogo la banca ricorrente ha rilevato la tempestività della produzione, dal momento che nella
fattispecie non si applicano le preclusioni previste dall'art. 345 cod. proc. civ. nella formulazione vigente dopo
l'entrata in vigore della l. n. 353 del 1990, essendo il giudizio stato introdotto prima del 30/4/1995. In secondo
luogo viene rilevato che gli estratti conto costituiscono la puntuale rappresentazione contabile delle operazioni
intercorse tra le parti in un periodo predeterminato e la loro non contestazione, nel termine di sessanta giorni
dal ricevimento periodico, ne sancisce l'approvazione. Pertanto deve reputarsi incontestabile sia la
movimentazione debitoria e creditoria che il saldo in essi contenuto in quanto mai oggetto di rilievi da parte
del cliente. Ne consegue che tale documentazione può essere disattesa solo in presenza di circostanziate e
dettagliate contestazioni della parte debitrice. Deve aggiungersi che l'estratto conto costituisce prova anche nei
confronti del fideiussore. In ordine al difetto di rilevanza, sollevato dalla Corte d'Appello, la parte ricorrente
evidenzia che la banca non era tenuta a fornire gli estratti conto fin dall'inizio del rapporto dal momento che il
cliente era stato messo in grado di valutare la legittimità della pretesa della banca mediante l'invio periodico
degli stessi. Deve, pertanto, escludersi che fosse tenuta a tale produzione in giudizio dal momento che, ai sensi
dell'art. 1832 cod. civ., nelle controversie banca cliente possono venire in considerazione soltanto le poste che
non siano coperte dalla tacita approvazione del conto. Peraltro la controparte dopo aver esaminato la
documentazione prodotta non aveva sollevato rilievi né in ordine al saldo iniziale né in ordine a quello finale.
Infine l'art. 119 del T.U.B. riconosce al cliente il diritto di richiedere a proprie spese soltanto gli estratti conto
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degli ultimi dieci anni mentre l'art. 2220 cod. civ. sancisce il principio secondo il quale le scritture contabili
devono essere conservate per dieci anni, potendo successivamente essere distrutte.
Qualora il motivo non fosse accolto viene infine sollevata eccezione d'illegittimità costituzionale degli artt.
2220 cod. civ. e 50 T.U.B. con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. Se si condivide l'assunto della Corte d'Appello,
secondo il quale gli estratti conto depositati nel giudizio di secondo grado sarebbero irrilevanti perché non
provato lo svolgimento del rapporto fin dal suo sorgere, ne dovrebbe conseguire l'illegittimità delle norme che
prescrivono la distruzione dei documenti contabili dopo dieci anni. Sarebbe infatti singolare da un lato
permettere la distruzione delle scritture contabili più vecchie di un decennio e dall'altro non riconoscere agli
estratti conto quella efficacia probatoria atta a dimostrare quale fosse l'ammontare del saldo in epoca anteriore
al decennio.
Occorre preliminarmente osservare che nella sentenza impugnata non viene censurata l'ammissibilità, sotto il
profilo della tempestività, della produzione degli estratti conto relativi ai conti correnti dai quali è stato desunto
il credito azionato in via monitoria. La Corte d'Appello ne ha ritenuto l'insufficienza probatoria per non essere
stata messa in grado di ricostruire attraverso di essi i rapporti di dare avere dai quali è sorto il credito contestato.
Al riguardo deve rilevarsi che l'operatività sanante dell'art. 1832 cod. civ., come affermato nel fermo
orientamento di questa Corte, riguarda gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, nonché
la verità contabile, storica e di fatto delle operazioni annotate, ma non impedisce la formulazione di censure
concernenti la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti (tra le più recenti, Cass., n. 11626 del
2011). Nella specie, la contestazione relativa all'illegittima applicazione degli interessi anatocistici, costituisce
una censura relativa alla validità delle condizioni contrattuali stabilite dall'istituto bancario e sottoscritte dal
cliente idonea ad alterare, nonostante la correttezza contabile delle annotazioni eseguite sul conto, il risultato
finale. Al riguardo è stato affermato con orientamento costante dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., n.
17679 del 2009; n. 23974 del 2010) che la mancata contestazione degli estratti conto inviati al cliente dalla
banca, oggetto di tacita approvazione in difetto di contestazione ai sensi dell'art. 1832 cod. civ., non vale a
superare la nullità della clausola relativa agli interessi ultralegali, perché l'unilaterale comunicazione del tasso
d'interesse non può supplire al difetto originario di valido accordo scritto in deroga alle condizioni di legge,
richiesto dall'art. 1284 cod. civ. Ne consegue che superata la fase monitoria, nella quale possono essere prodotti
gli estratti conto relativi all' ultima fase di movimentazione del conto, ai sensi del citato art. 50 del T.U.B.
attualmente vigente, nel successivo giudizio a cognizione piena, una volta che sia stata contestata, per
mancanza dei requisiti di legge, la pattuizione degli interessi ultralegali la banca è tenuta a produrre gli estratti
conto a partire dall'apertura del conto, anche oltre il decennio "perché non si può confondere l'onere di
conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito". (Cass., n. 23974 del
2010). La contestazione relativa all'illegittima capitalizzazione degli interessi, determina, alla luce del
consolidato orientamento di questa Corte (S.U., n. 21095 del 2004), la necessità di verificare fin dall'inizio
del rapporto e nei limiti dell'applicabilità della prescrizione (S.U., n. 24418 del 2010), ove eccepita, l'esistenza
e l'applicazione della previsione negoziale invalida. La produzione degli estratti conto relativi ad una frazione
temporale unilateralmente individuata dalla banca nella fase più recente di operatività del rapporto, è
radicalmente inidonea ad assolvere all'onus probandi posto a carico di essa. La norma contenuta nell'art. 2220
cod. civ., secondo la quale le scritture contabili devono essere conservate per dieci anni dall'ultima
registrazione costituisce uno strumento di tutela per i terzi estranei all'attività imprenditoriale volto a garantire
l'accesso, la conoscibilità e la trasparenza delle attività d'impresa. Così definita (Cass., n. 1842 del 2011) la
ratio legis dell'art. 2220 cod. civ., la previsione di un così ampio lasso temporale di operatività dell'obbligo di
conservazione dei documenti contabili, non può essere interpretata come una limitazione legale dell'onlus
probandi posto a carico di chi è tenuto, conformemente ai creditori non imprenditori, a fornire la prova integrale
del proprio credito, non potendo sottrarsi a tale onere, nel giudizio a cognizione piena, quando le contestazioni
del debitore riguardano l'intera durata del rapporto.
Pertanto deve concludersi per la manifesta infondatezza della adombrata eccezione d'illegittimità
costituzionale dell' art. 2220 cod. civ., correlato all'art. 50 T.U. n. 385 del 1993, dovendosi ribadire la radicale
diversità tra le esigenze probatorie (di natura sommaria, o fondate sulla fede privilegiata attribuita ad alcuni
documenti unilateralmente provenienti dal creditore, cfr. Cass., n. 9695 del 2011) della fase monitoria da quelle
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del giudizio a cognizione piena, ove occorre dimostrare l'esistenza e l'entità del proprio credito mediante la
puntuale applicazione dell'art. 2697 cod. civ.
Al rigetto del ricorso segue l'applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese di lite del
presente procedimento.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento liquidate in ?
2500 per compensi ed ? 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.
C. Appello Milano n.3283, 17 lug 2013 Credito al consumo - Cessione del quinto
dello stipendio - Usura - Voci ricomprese - Polizza assicurativa a garanzia del
rischio morte, invalidità e perdita di impiego del debitore Inclusione - Necessità
Corte d'Appello di Milano
17 luglio 2013, n. 3283
Credito al consumo - Cessione del quinto dello stipendio - Usura - Voci ricomprese - Polizza assicurativa a
garanzia del rischio morte, invalidità e perdita di impiego del debitore - Inclusione Necessità.
La determinazione del tasso ai fini dell'indagine sulla usura deve essere condotta tenendo conto di commissioni,
remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse solo quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del
credito. In tale prospettiva deve essere ricompresa, nel calcolo del tasso praticato, anche la polizza assicurativa
finalizzata alla garanzia del rimborso del mutuo.
Le direttive e le istruzioni della Banca d'Italia, quale organo di vigilanza ed indirizzo delle banche e degli
operatori finanziari, non sono vincolanti per gli organi giurisdizionali, non essendo fonti normative.
Consulta il testo integrale
Tribunale Nola, 2 lug 2013 Contratto di conto corrente bancario Ripetizione di
indebito - Prova versamenti di carattere solutorio Necessità - Mancato
assolvimento dell'onere della prova a carico del correntista - Conseguenza Rettifica del solo sal
Tribunale di Nola
2 luglio 2013
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Contratto di conto corrente bancario - Ripetizione di indebito - Prova versamenti di carattere solutorio Necessità - Mancato assolvimento dell'onere della prova a carico del correntista Conseguenza - Rettifica del
solo saldo passivo
Il correntista che voglia esigere la ripetizione dell'indebito adducendo l'illegittimità degli addebiti di interessi,
commissioni di massimo scoperto e valute può farlo solo con riferimento a versamenti di carattere solutorio
ed ha l'onere di fornire la prova che tali pagamenti siano effettivamente avvenuti, il che accade con la chiusura
dell'apertura di credito o del conto corrente e con la corresponsione alla Banca dell'eventuale saldo debitore.
Diversamente, qualora non si fornisca tale prova, il correntista non può chiedere la ripetizione dell'indebito ma
solo la rettifica del saldo.
Consulta il testo integrale
Tribunale Taranto, 25 giu 2013 Usura - Usura sopravvenuta - Rilevanza Somma
eccedente il tasso soglia - Non debenza
Tribunale di Taranto
25 giugno 2013
Est. Casavola
Usura - Usura sopravvenuta - Rilevanza - Somma eccedente il tasso soglia - Non debenza.
L'inapplicabilità della sanzione civile di cui all'art. 1815, comma 2, c.c. all'ipotesi di interessi usurari
sopravvenuti non esclude che gli interessi, che superino il tasso soglia, sia comunque usurari e che per ciò
siano indebiti per la parte appunto eccedente il detto tasso soglia.
Consulta il testo integrale
Tribunale Pescara, 24 giu 2013 Conto corrente bancario - Azione di ripetizione
dell'indebito - Prescrizione - Prova della natura solutoria dei versamenti - Onere
sulla banca
Tribunale di Pescara
24 giugno 2013
Conto corrente bancario - Azione di ripetizione dell'indebito - Prescrizione - Prova della natura solutoria dei
versamenti - Onere sulla banca.
Conto corrente bancario - Approvazione del conto - Incontestabilità del fatto cui si riferisce l'annotazione Affermazione - Decadenza dal diritto di opporre eccezioni di nullità o inefficacia delle clausole giustificatrici
dei versamenti annotati - Esclusione - Decadenza dall'azione di ripetizione dell'indebito - Esclusione.
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Conto corrente bancario - Date valuta - Mancata regolamentazione pattizia - Riferimento a date valuta effettive.
Usura - Applicazione della legge n. 108/1996 ai contratti stipulati prima della sua entrata in vigore Esclusione
- Rilevanza dell'usura sopravvenuta - Esclusione.
Al fine di eccepire l'intervenuta prescrizione di un'azione di ripetizione dell'indebito relativa a un rapporto di
conto corrente, l'istituto bancario ha l'onere di fornire elementi probatori diretti a dimostrare che i relativi
versamenti siano da considerare solutori, circostanza che fa decorrere la prescrizione del diritto dal momento
in cui essi sono effettuati.
L'approvazione del conto ex art. 1832 c.c. (applicabile al conto corrente bancario in forza del richiamo operato
dall'art. 1857 c.c.) rende incontestabili, qualora non siano impugnate, i fatti documentati dalle annotazioni, ma
non comporta la decadenza da eventuali eccezioni relative alla validità ed efficacia delle clausole contrattuali
che giustificano i versamenti cui le annotazioni si riferiscono, né dalla conseguente azione di ripetizione delle
somme percepite dalla banca.
La mancata regolamentazione pattizia del calcolo delle valute comporta che nel rapporto tra le parti si debba
tenere conto solo della valuta effettiva - che fa riferimento alla data del giorno in cui la banca acquista o perde
la disponibilità delle somme versate o prelevate - e non di altra, derivante dall'"aggiustamento" delle date ad
opera dell'istituto bancario.
La verifica della conformità degli interessi applicati al meccanismo del tasso soglia, introdotto dalla legge n.
108/1996, non può essere condotta sui contratti stipulati anteriormente all'entrata un vigore di questa, così
come chiarito dall'art. 1, decreto legge n. 394/2000.
Il Tribunale Ordinario di Pescara, in composizione monocratica in persona della dott.ssa Chiara Serafini ha
emesso la seguente
SENTENZA NON DEFINITIVA
nella causa civile di primo grado iscritta al ruolo generale affari contenziosi al n. 5259/2010, riservata in
decisione all'udienza del 16.1.2013, vedente
TRA
DE
VINCENTIIS
PIERINO;
TIBERI ANNA MARIA;
elettivamente domiciliati in Montesilvano, al corso Umberto n. 168, presso lo studio dell'avv. Gabriella Ruperti
e dell'avv. Giuseppe Cuppone, che li rappresentano e difendono giusta procura a margine dell'atto di citazione;
- attori E
la BANCA CARIPE S.p.A. in persona del legale rappresentante p.t.;
elettivamente domiciliata in Pescara, alla via Campobasso n. 18, presso lo studio dell'avv. Alessandra
Cappuccini, che la rappresenta e difende giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta;
- convenuta OGGETTO: contratti bancari.
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CONCLUSIONI: all'udienza del 16.1.2013 i procuratori delle parti hanno concluso come da verbale.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
l. De Vincentiis Pierino e Tiberi Anna Maria, titolari del conto corrente n. 114419 acceso presso la filiale di
Città S. Angelo della Banca Caripe S.p.A., hanno convenuto in giudizio l'istituto di credito chiedendo accertarsi
la nullità parziale del contratto e, per l'effetto, l'illegittima applicazione di interessi ultralegali, anatocistici e
usurari, di commissioni di massimo scoperto, di giorni valuta, di spese e oneri; gli attori hanno chiesto
accertarsi "l'esatto dare-avere tra le parti del rapporto sulla base della riclassificazione contabile del
medesimo", condannarsi la banca alla restituzione delle somme indebitamente percepite e al risarcimento dei
danni subiti, anche ai sensi dell'art. 96 c.p.c.
La Banca Caripe S.p.A. ha eccepito la prescrizione e, in ogni caso, la decadenza degli attori dall'azione
proposta, ai sensi dell'art. 1832 c.c., e ha chiesto, nel merito, il rigetto delle domande proposte in quanto
infondate.
2. Va preliminarmente rigettata l'eccezione di prescrizione proposta dall'istituto di credito.
L'attrice ha chiesto dichiararsi la nullità delle clausole del contratto di conte corrente concluso con la Banca
Caripe S.p.A. e ha chiesto condannarsi la convenuta alla restituzione delle somme indebitamente percepite.
Va osservato, in via generale, che la domanda di ripetizione delle somme percepite dalla banca a titolo di
anatocismo e di interessi ultralegali non è soggetta al termine di prescrizione breve previsto dal n. 4, dell'art.
2948, c.c., bensì, trattandosi di azione mirata a conseguire la restituzione di interessi indebitamente corrisposti,
ex art. 2033 c.c. (e non di azione diretta ad ottenere il pagamento di interessi non accreditati), al termine
ordinario decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c.
La tipologia di domanda (rideterminazione del saldo previa eliminazione delle poste addebitate sulla base di
clausole nulle e non contestazione di singoli rapporti giuridici che abbiano dato luogo a ben individuate poste
contabili) comporta che il momento iniziale del termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme
addebitate dalla banca sul conto corrente decorra dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un
contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti
esecutivi, sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i erediti e i debiti delle
parti tra loro, con conseguente esigibilità da parte dell'istituto di credito (Cass., n. 2262/1984).
Tale assunto ha trovato piena conferma nei principi espressi dalle Sezioni Unite, della Corte di Cassazione,
con la sentenza n. 24418 del 2010, per la quale il termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme
trattenute dalla banca indebitamente a titolo di interessi, in ipotesi di apertura di credito in conto corrente,
decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario, sicché solo con la chiusura
del conto si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro.
Non può, pertanto, ipotizzarsi, anteriormente, il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione
a meno che non sia intervenuto un atto giuridico, definibile come pagamento, che l'attore pretende essere
indebito, perché prima di quello non è configurabile alcun diritto di ripetizione;
in particolare: "Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili
situazioni si preferisce dire "scoperto") cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o
quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento. Non è così,
viceversa, in lutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento
concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può
ancora continuare a godere" (così Sezioni Unite, n. 24418/2010).
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La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l'eccezione di prescrizione, in quanto eccezione in senso stretto,
deve fondarsi su fatti allegati dalla parte, quand'anche suscettibili di diversa qualificazione da parte del giudice.
Ne consegue che il debitore, ove eccepisca la prescrizione del credito, ha l'onere di allegare e provare il fatto
che, permettendo l'esercizio del diritto, determina l'inizio della decorrenza del termine ai sensi dell'art. 2935
c.c. "restando escluso che il giudice possa accogliere l'eccezione sulla base di un fatto diverso, conosciuto
attraverso un documento prodotto ad altri fini da diversa parte in causa" (Cass., n. 16326/2009). L'eccezione
di prescrizione costituisce eccezione in senso proprio, e come tale deve essere sollevata dalla parte, alla quale
soltanto spetta di specificare i fatti che ne costituiscono il fondamento, ivi compresa la data di inizio del decorso
del termine prescrizionale (Cass., n. 3578/2004; cfr. altresì Cass., n. 4468/2004).
Se è vero che elemento costitutivo dell'eccezione di prescrizione è l'inerzia del titolare del diritto, sicché è
sufficiente, ai fini della compiuta articolazione dell'eccezione, che il convenuto deduca detta inerzia e la
volontà di profittare dell'effetto estintivo che deriva dal suo protrarsi (per il tempo determinato d'ufficio dal
giudice in base alla legge), tuttavia è necessario che tale elemento costitutivo sia a sua volta specificato
mediante l'indicazione del momento iniziale dell'inerzia. Tale principio rileva particolarmente nel caso in cui
si discuta di prescrizione del diritto agli interessi, la cui caratteristica di maturare con il decorso del tempo fa
sì che il dato cronologico concorra ad individuare lo stesso oggetto del diritto, che si assume coperto dalla
prescrizione (Cass., n. 21321/2005).
La giurisprudenza di merito, in materia di apertura di credito, ha quindi affermato che l'istituto bancario, al
fine di eccepire l'intervenuta prescrizione dell'azione di indebito, ha l'onere di fornire elementi probatori diretti
a dimostrare che i relativi versamenti siano da considerare solutori, circostanza che deve essere eccepita e
provata dalla banca convenuta in giudizio (Tribunale di Taranto, 28.6.2012; cfr. altresì Tribunale di
Campobasso, 22.4.2012 e Tribunale di Novara, 1.10.2012 per il quale è onere della banca, che eccepisce
l'intervenuta prescrizione dell'azione di ripetizione di indebiti versamenti in conto, dimostrare che tali
versamenti siano intervenuti extrafido).
Nel caso di specie, con il contratto concluso il 12.12.1997 ,le parti hanno espressamente pattuito il tasso di
interesse debitore "per apertura di credito a revoca" e "per apertura di credito temporanea".
Tale tasso di interesse è stato poi concretamente applicato dalla banca al rapporto di conto corrente, sulle
somme utilizzate dal correntista (cfr., ad esempio, l'estratto conto del primo trimestre del 2008).
Non v'è nessuna specifica allegazione in ordine al momento in cui il passivo maturato dal correntista avrebbe
concretamente superato i limiti dell'affidamento accordato.
La banca non ha quindi allegato il diverso termine di decorrenza della prescrizione e, in particolare, l'effettiva
sussistenza di pagamenti per i quali sarebbe decorso il termine prescrizionale.
Segnatamente era onere della banca indicare i versamenti solutori (ove esistenti) eseguiti dal correntista
avrebbe concretamente superato i limiti dell'affidamento accordato.
La banca non ha quindi allegato il diverso termine di decorrenza della prescrizione e, in particolare, l'effettiva
sussistenza di pagamenti per i quali sarebbe decorso il termine prescrizionale.
Segnatamente era onere della banca indicare i versamenti solutori (ove esistenti) eseguiti dal correntista nel
corso del rapporto, uniche rimesse in relazione alle quali (e per la sola quota eccedente i limiti
dell'affidamento), tenuto conto dei principi di diritto sopra esposti, può ritenersi che il termine prescrizionale
sia decorso prima della chiusura del conto.
L'eccezione di prescrizione deve pertanto essere rigettata.
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3. Dalle argomentazioni che precedono deriva, tuttavia, altresì il rigetto della domanda di ripetizione delle
somme illegittimamente addebitate sul conto corrente.
Secondo la stessa prospettazione degli attori (cfr. pag. 6 della memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c.) il
conto corrente per cui è causa è tuttora attivo e presentava, alla data della proposizione della domanda, un
saldo passivo per il correntista pari ad euro 50.468,93 (cfr. al riguardo gli estratti conto in atti).
Va quindi preliminarmente osservato che, anche qualora la tesi difensiva degli attori, per la quale la banca
avrebbe illegittimamente addebitato sul conto corrente la somma complessiva di euro 60.524,36 (cfr. sul punto
le risultanze della consulenza tecnica di parte), trovasse, all'esito della consulenza tecnica d'ufficio, che sarà
disposta nella prosecuzione del giudizio, integrale conferma, la ricostruzione del rapporto di conto corrente
comporterebbe, principalmente, l'abbattimento del saldo debitore.
Vanno tuttavia altresì richiamati i principi di diritto espressi, al riguardo, dalle Sezioni Unite, della Corte di
Cassazione, con la citata sentenza n. 24418/2010.
Affinché possa sorgere il diritto alla ripetizione di un pagamento indebitamente eseguito, tale pagamento deve
esistere ed essere ben individuabile.
La mora annotazione in conto di una determinata posta comporta un incremento del debito del correntista, o
una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma non si risolve automaticamente in un pagamento,
perché non vi corrisponde necessariamente una attività solutoria in favore della banca.
Sin dal momento dell'annotazione, avvedutosi dell'illegittimità dell'addebito in conto, il correntista potrà
naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, per
ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso.
E potrà farlo, se al conto accede un'apertura di credito bancario, allo scopo di recuperare una maggiore
disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli.
Ma non può agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto
luogo.
Occorre pertanto aver riguardo - ha chiarito la Corte di Cassazione - alla natura ed al funzionamento del
contratto di apertura di eredito bancario, che in conto corrente è regolata.
Come si evince dal disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., l'apertura di credito si attua mediante la messa a
disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro che il cliente può utilizzare anche in più riprese e
della quale, per l'intera durata del rapporto, può ripristinare in tutto o in parte la disponibilità eseguendo
versamenti che gli consentiranno poi eventuali ulteriori prelevamenti entro il limite complessivo del credito
accordatogli.
Se, pendente l'apertura di credito, il correntista non si sia avvalso della facoltà di effettuare versamenti, pare
indiscutibile che non vi sia alcun pagamento da parte sua, prima del momento in cui, chiuso il rapporto, egli
provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato.
In tal caso, qualora la restituzione abbia ecceduto il dovuto a causa del computo di interessi in misura non
consentita, l'eventuale azione di ripetizione d'indebito non potrà che essere esercitata in un momento
successivo alla chiusura del conto.
Qualora, invece, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti ma
anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter
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formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno
spostamento patrimoniale in favore della banca.
Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si
preferisce dire "scoperto") cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i
versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento.
Non è così, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite
dell'affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatoti della provvista della quale il
correntista può ancora continuare a godere.
Un versamento eseguito dai cliente su un conto il cui passivo non abbia superato il limite dell'affidamento
concesso dalla banca con l'apertura di credito non ha né lo scopo né l'effetto di soddisfare la pretesa della banca
medesima di vedersi restituire le somme date a mutuo (credito che, in quel momento, non sarebbe scaduto né
esigibile), bensì quello di riespandere la misura dell'affidamento utilizzabile nuovamente in futuro dal
correntista.
Non è, dunque, un pagamento, perché non soddisfa il creditore ma amplia (o ripristina) la facoltà
d'indebitamento del correntista; e la circostanza che, in quel momento, il saldo passivo del conto sia influenzato
da interessi illegittimamente fin lì computati si traduce in un'indebita limitazione di tale facoltà di maggior
indebitamento, ma non nel pagamento anticipato di interessi.
Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di
apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel
computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente
all'atto della chiusura del conto.
Nella specie gli attori non hanno allegato di aver eseguito sul conto corrente rimesse aventi natura solutoria (in
relazione alle quali, se compiute antecedentemente al decennio dal primo atto interruttivo della prescrizione,
sarebbe peraltro decorso il termine prescrizionale) né tantomeno hanno provveduto ad individuare con
esattezza tali versamenti, per i quali, nonostante la mancata chiusura del conto, l'azione di ripetizione avrebbe
potuto essere immediatamente proposta dal correntista.
Di contro, gli attori hanno espressamente dedotto che: "I pagamenti, che hanno periodicamente effettuato i
correntisti (odierni attori) hanno natura meramente ripristinatoria per effetto dell'utilizzo ciclico della linea di
credito" (così pag. 1 delle memorie di replica).
In difetto di allegazione e prova della sussistenza di rimesse che non abbiano natura meramente ripristinatoria
della provvista, in applicazione dei principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la
domanda di ripetizione deve essere rigettata.
4.
L'istituto di credito ha poi dedotto che la mancata impugnazione da parte degli attori degli estratti
conto periodicamente inviati precluderebbe la contestazione degli addebiti effettuati sul conto corrente.
Va al riguardo osservato che l'approvazione del conto ex art. 1832 c.c. (applicabile al conto corrente bancario
in forza del richiamo operato dall'art. 1857 c.c.) rende incontestabili le relative annotazioni, derivanti dalla
mancata impugnazione, nella loro realtà effettuale, ma non comporta la decadenza da eventuali eccezioni
relative alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori (contratto ed altre pattuizioni) da cui dette annotazioni
derivano (cfr. ex multis, Cass., n. 11626/2011; Cass., n. 3574/2011; Cass., n. 6514/2007; Cass., n. 11749/2006;
Cass., n. 10376/2006) e dalla conseguente azione di ripetizione delle somme indebitamente percepite dalla
banca.
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L'approvazione del conto non impedisce pertanto la proposizione di censure concernenti la validità e l'efficacia
del rapporto di conto corrente e, pertanto, che le singole registrazioni sono conseguenza di un negozio nullo,
annullabile, inefficace, o comunque di una situazione illecita (così in motivazione Cass., n. 11626/2011), quale,
in ipotesi, l'addebito sul conto di somme non contemplate dal contratto e pertanto in difetto di consenso del
correntista.
5.
Nel merito gli attori hanno, innanzitutto, eccepito la nullità della clausola di determinazione degli
interessi ultralegali mediante il mero rinvio al c.d. "uso piazza" (cfr. l'art. 7 del contratto di conto corrente
concluso dalle parti il 3.9.1991).
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4490/2002 ha chiarito che, nel regime anteriore alla entrata in vigore
della disciplina dettata dalla legge sulla trasparenza bancaria 17.2.1992, n. 154, poi trasfusa nel testo unico
1.9.1993, n. 385, le clausole che regolano l'applicazione di interessi passivi per la clientela in misura superiore
a quella legale devono essere caratterizzate dalla sufficiente univocità.
Per i contratti stipulati in epoca anteriore alla legge n. 154/1992, ma ancora in vigore, non essendo applicabile
la nuova normativa, la validità della clausola relativa agli interessi deve infatti essere valutata esclusivamente
in base all'art. 1284, comma 3, c.c.
Non è quindi necessario che "i contratti indichino il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati",
alla stregua del disposto dell'art. 117 del T.U., essendo condizionata la validità della pattuizione contenente la
determinazione degli interessi unicamente al rispetto del requisito della forma scritta e alla fissazione di un
saggio di interesse determinabile e controllabile in base a criteri oggettivamente indicati.
Qualora la clausola sia nulla, i tassi debitori applicabili, anche per il periodo successivo all'entrata in vigore
della legge n. 154/1992, non possono superare la misura legale.
Quanto, in particolare, alla validità della clausola di determinazione del tasso d'interesse con riferimento agli
usi su piazza, va richiamato il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale la
clausola in parola è nulla in quanto, perché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai
sensi dell'art. 1284 c.c., comma 3, che è norma imperativa, la stessa deve avere un contenuto assolutamente
univoco e contenere la puntuale specificazione del tasso di interesse;
ove il tasso convenuto sia variabile, è idoneo ai fini della sua precisa individuazione il riferimento a parametri
fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti generici riferimenti,
dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro
pattuizione (cfr. ex multis, Cass., n. 17679/2009; Cass., n. 2317/2007; Cass., n. 4095/2005).
Il riferimento del contratto alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito su piazza deve pertanto
ritenersi del tutto generico e, conseguentemente, non idoneo a costituire valida pattuizione degli interessi
ultralegali.
Va altresì osservato che la mancata impugnazione degli estratti conto, oggetto di tacita approvazione in difetto
di contestazione, ex art. 1832 c.c., non vale a superare la nullità della clausola relativa agli interessi, perché
l'unilaterale comunicazione del tasso d'interesse non può supplire al difetto originario di valido accordo scritto
richiesto dall'art. 1284 c.c. (Cass., n. 17679/2009) né può essere considerata equipollente ad un nuovo accordo
in ordine alla determinazione degli interessi.
Al riguardo non può neppure essere valorizzato l'omesso esercizio da parte del cliente del diritto di recesso
previsto dall'art. 118 T.U. n. 385/1993, da intendersi quale accettazione tacita del tasso debitore, considerato
peraltro che una nuova pattuizione sugli interessi dovrebbe rivestire la forma prescritta dall'art. 117 T.U. n.
385/1993.
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Conclusivamente deve essere dichiarata la nullità dell'art. 7 del contratto di conto corrente concluso dalle parti
il 3.9.1991 nella parte in cui determina gli interessi ultralegali applicati al rapporto mediante il mero rinvio
"alle condizioni praticate usualmente dalle Aziende di credito sulla piazza".
Le parti, tuttavia, hanno provveduto ad una nuova regolamentazione delle condizioni economiche applicate al
rapporto di conto corrente con contratto del 12.12.1997 (determinando in maniera puntuale il saggio di
interesse - cfr. all. 1 fascicolo della convenuta).
Nella rielaborazione del rapporto di conto corrente, che sarà disposta nella prosecuzione del giudizio, dovrà
pertanto applicarsi il tasso di interesse legale sino al 12.12.1997 e, successivamente, il tasso di interesse
convenzionale, nonché le successive modificazioni, comunicate al correntista con le modalità stabilite dall'art.
16 del contratto del 12.12.1997 (il quale rinvia al disposto dell'art. 118 del D.Lgs. n. 385/1993).
6. Gli attori hanno eccepito l'illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi applicati al rapporto.
La doglianza è fondata nei termini che seguono.
Al riguardo appare sufficiente ripercorrere brevemente le fasi del noto dibattito dottrinario e giurisprudenziale
in materia, prendendo le mosse dall'intervento della Suprema Corte con le note sentenze del 1999 (in
particolare Cass., n. 2374/1999 che ha chiarito: "Tanto più nel caso di contratti stipulati dopo l'entrata in vigore
della disposizione di cui all'art. 4 della legge 17.2.1992 (trasfusa poi nel T.U. delle leggi in materia bancaria e
creditizia di cui al D.Lgs. 1.9.1993, n. 385) che vieta le clausole contrattuali di rinvio agli usi, si rivela nulla la
previsione contenuta nei contratti di conto corrente bancario, avente ad oggetto la capitalizzazione trimestrale
degli interessi dovuti dal cliente, giacché essa si basa su di un mero uso negoziale e non su di una vera e propria
norma consuetudinaria ed interviene anteriormente alla scadenza degli interessi", nonché Cass., n. 309/1999)
con le quali è stata riconosciuta la natura negoziale e non normativa degli usi bancari in tema di capitalizzazione
trimestrale degli interessi dovuti dal cliente e, quindi, la nullità delle relative clausole apposte nei contratti di
conto corrente.
L'arresto della giurisprudenza di legittimità ha reso necessario l'intervento del legislatore che con l'art. 25 del
D.Lgs. 4.8.1999 n. 342 ha introdotto il secondo ed il terzo comma dell'art. 120 T.U.B. conferendo al CICR il
compito di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni
poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto
corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori
sia creditori.
A seguito dell'entrata in vigore della delibera CICR del 9.2.2000 deve essere considerata valida la pattuizione
di capitalizzazione di interessi purché l'addebito e l'accredito avvengano a tassi e con periodicità
contrattualmente stabiliti e sempre che nell'ambito dello stesso conto corrente sia prevista la stessa periodicità
nel conteggio degli interessi creditori e debitori.
Con riferimento agli effetti della declaratoria di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale, è
necessario stabilire se, nella riliquidazione del saldo di conto corrente, l'interesse debba essere capitalizzato
con diversa scadenza (semestrale o annuale), ovvero debba computarsi sul capitale puro.
Secondo una prima opinione giurisprudenziale sarebbe applicabile la cadenza annuale di capitalizzazione, in
conformità alla cadenza temporale degli interessi ex art. 1284, comma 1, c.c. ("il saggio degli interessi legali
è determinato (...) in ragione di anno"), che sarebbe applicata dalle banche a favore della clientela ed anche
contemplata dalla delibera del CICR.
Secondo l'impostazione preferibile, di contro, in conseguenza della nullità della clausola, contenuta in un
contratto di conto corrente bancario, con cui si prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal
cliente, non sussiste un diritto della banca all'anatocismo semestrale o annuale, non sussistendo alcuna
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possibilità di sostituzione legale o inserzione automatica di clausole che dispongano una capitalizzazione degli
interessi passivi con una diversa periodicità.
Deve ribadirsi, in particolare, che il ricorso all'applicazione analogica di altre disposizioni, previste in materia
di chiusura di conto o di saggio di interessi, non è invocabile nel caso di specie.
L'art. 1831 c.c., che prevede la chiusura semestrale del contratto di conto corrente ordinario, non applicabile al
conto corrente bancario, sia in ragione del tenore letterale dell'art. 1857 c.c., che non richiama l'art. 1831 c.c.
per il conto corrente bancario, sia in considerazione della profonda diversità di struttura tra il conto corrente
bancario - che prevede l'esigibilità a vista del saldo ex art. 1852 c.c. - e il conto corrente ordinario, che prevede
l'inesigibilità delle prestazioni ex art. 1823 c.c.
Il conto corrente ordinario è infatti un contratto con durata limitata alla periodicità stabilita convenzionalmente
fra le parti; scaduto il termine, il contratto ha esaurito la sua normale operatività e si conclude con la richiesta
di pagamento da parte di colui che alla chiusura del conto risulta avere una posizione a credito.
Il conto corrente bancario, invece, è un contratto di durata, in cui il rapporto non si rinnova ad ogni chiusura
di conto; la chiusura, cioè, non è prodromica al saldo ed alla conclusione del contratto, ma è una mera
operazione contabile che non è richiesta dal tipo negoziale (tanto da non essere prevista nelle norme che
regolano i conti correnti bancari).
Va poi osservato che l'art. 1284 c.c. disciplina il saggio degli interessi, cioè l'entità del tasso e la decorrenza
degli interessi legali, non derogando in alcun modo all'art. 1283 c.c., che è l'unica norma che stabilisce le
condizioni per la produzione degli interessi sugli interessi (anatocistici) e della quale indubbia è la natura
imperativa (contrariamente all'art. 1284 c.c., la cui natura dispositiva giustifica la derogabilità con la
pattuizione di interessi convenzionali ).
Tale impostazione ha peraltro trovato riscontro nella sentenza delle Sezioni Unite, della Corte di Cassazione,
n. 24418/2010, per la quale, dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per
contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 c.c., gli interessi a debito del correntista debbono
essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna.
In conclusione, nella specie, deve ritenersi che alla nullità della clausola di capitalizzazione degli interessi e
delle commissioni di massimo scoperto (cfr. l'art. 7 del contratto del 3.9.1991 che prevede la capitalizzazione
annuale degli interessi creditori e la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, mentre nel successivo
contratto del 12.12.1997 non risulta espressamente indicata la periodicità della capitalizzazione), non consegua
alcuna capitalizzazione, sino all'eventuale adeguamento della banca alle disposizioni di cui alla delibera CICR.
7. Gli attori hanno poi eccepito l'illegittima applicazione da parte della banca di commissioni di massimo
scoperto, in difetto di valida giustificazione causale, rappresentando le c.m.s. un addebito ulteriore rispetto agli
interessi passivi convenzionalmente pattuiti, e, in ogni caso, in difetto di pattuizione scritta.
A fronte dell'acceso dibattito della giurisprudenza di merito in ordine alla validità, sotto il profilo causale, delle
pattuizione contrattuali che contemplano le c.m.s., la Corte di Cassazione ha chiarito che le commissioni
possono essere assimilate, per un verso ad un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi, come potrebbe
inferirsi dall'essere conteggiate, nella prassi bancaria, in una misura percentuale dell'esposizione debitoria
massima raggiunta e, quindi, sulle somme effettivamente utilizzate nel periodo considerato, solitamente
trimestrale, come per gli interessi passivi e, per altro verso, a un onere remunerativo dell'obbligo della banca
di tenere a disposizione dell'accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo,
indipendentemente dal suo utilizzo (Cass., n. 11772/2002).
In sintesi, la c.m.s. può avere una natura assimilabile a quella degli interessi passivi oppure costituire un
corrispettivo autonomo rispetto agli interessi.
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La Corte di Cassazione, in un altro intervento sulla questione, ha ritenuto che la c.m.s. abbia la funzione di
"remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del correntista
indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma" e, quindi, ne ha definitivamente avallato la
validità sotto il profilo causale (Cass., n. 870/2006, in motivazione).
Successivamente la materia è stata investita da due interventi legislativi, che hanno ribadito la validità delle
commissioni di massimo scoperto, disciplinandone presupposti e modalità applicative.
Il primo intervento è costituito dal decreto legge 29.11.2008, n. 185, convertito in legge 28.1.2009, n. 2 e, il
secondo, dal decreto legge 1.7.2009, n. 78, convertito in legge 3.8.2009, n. 102.
In particolare le nuove disposizioni hanno previsto la validità della c.m.s. nell'accezione più limitata,
individuata dalla stessa normativa, ma, nel contempo, hanno previsto un'altra commissione, denominata
"corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme", che di fatto sembra integrare la stessa
c.m.s. nella più ampia accezione conosciuta in precedenza.
L'obbligazione del cliente di corrispondere alla banca un ulteriore compenso per l'apertura di credito, oltre alla
misura degli interessi pattuiti, può quindi essere considerata sorretta da causa lecita, in quanto, appunto,
remunerazione conciata all'obbligo, a carico della banca, di tenere sempre a disposizione del cliente il massimo
importo affidato, o in quanto conciata al rischio crescente che la banca assume, in proporzione all'ammontare
massimo dell'utilizzo concreto di detto credito da parte del cliente.
Va quindi ritenuta la validità delle c.m.s. sia qualora siano conteggiate sull'intera somma messa a disposizione
da parte della banca, sia qualora siano calcolate sull'ammontare massimo dello scoperto concretamente
utilizzato.
Conclusivamente, deve ritenersi la validità, sotto il profilo causale, delle clausole che contemplano le
commissioni di massimo scoperto, in quanto correlate ad un servizio che, ancorché previsto nel contratto, è
estraneo alla causa delle operazioni ordinariamente regolate in conto corrente.
L'altro profilo di legittimità della c.m.s. attiene alle modalità della sua pattuizione, in termini di determinatezza
o determinabilità, ai sensi dell'art. 1346 c.c.
Vale, infatti, anche per la commissione di massimo scoperto la questione della determinatezza o determinabilità
dell'oggetto, per cui in assenza di univoci criteri di determinazione del suo importo, la relativa pattuizione va
ritenuta nulla, con diritto del correntista alla ripetizione di quanto indebitamente versato. Invero, al pari di ogni
altra pattuizione contrattuale detta commissione, deve essere determinata o, almeno determinabile al momento
in cui il contratto è stato concluso.
Nella specie il contratto concluso dalle parti il 3.9.1991 non reca alcuna regolamentazione delle commissioni
di massimo scoperto che, di contro, sono espressamente previste, unitamente a spese e oneri accessori, dal
contratto del 12.12.1997.
Secondo la tesi degli opponenti la previsione contrattuale sarebbe nulla, oltre che per difetto di causa
(contestazione che, alla luce delle superiori considerazioni, non può trovare accoglimento) anche in quanto
mancherebbe ogni indicazione sulle modalità di calcolo delle c.m.s. e in particolare in ordine al lasso temporale
rilevante ai fini della loro liquidazione.
L'assunto risulta smentito dalla documentazione in atti, dalla quale emerge espressamente la pattuizione di
"commissioni di massimo scoperto trimestrali", e pertanto la previsione di una commissione applicata
trimestralmente sul massimo scoperto evidenziato dal conto.
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Conclusivamente, il rapporto deve pertanto essere epurato esclusivamente dagli oneri e le c.m.s. non
espressamente pattuiti tra le parti.
8. Gli attori hanno poi sollevato la questione dell'illegittimità dell'addebito delle c.d. "valute fittizie".
La giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., n. 2545/72) ha in passato ritenuto, in via generale, che debba essere
considerata soltanto la "data" di ciascuna operazione e non già la "valuta", posto che, ai sensi dell'art. 1852
c.c., il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito dal conto.
In ossequio a tale orientamento giurisprudenziale si è quindi sostenuto che, per quanto riguarda i prelevamenti,
si deve riportare la valuta corrispondente al giorno del pagamento dell'assegno, ovvero del giorno in cui la
banca perde effettivamente la disponibilità del denaro; mentre, per quanto riguarda i versamenti, si riporta la
valuta corrispondente al giorno in cui la banca acquista effettivamente la disponibilità del denaro (sul punto,
si vedano Cass., n. 3507/1989; Cass., n. 13143/2002).
La materia è stata, in parte, disciplinata dall'art. 120 del D.Lgs. n. 385/1993 in base al quale gli interessi sui
versamenti presso una banca di denaro, di assegni circolari emessi dalla stessa banca e di assegni bancari tratti
sulla stessa succursale presso la quale viene effettuato il versamento sono conteggiati con la valuta del giorno
in cui è effettuato il versamento e sono dovuti fino a quello del prelevamento.
In generale, deve quindi ritenersi che lat mancata regolamentazione pattizia del calcolo delle valute comporta
che nel rapporto dare avere operante tra le parti si debba tenere conto solo della valuta effettiva - che fa
riferimento alla data del giorno in cui la banca acquista o perde la disponibilità giuridica delle somme versate
o prelevate - e non di quella fittizia - che risulta dall'aggiunta o dalla sottrazione di un certo numero di giorni
alla valuta effettiva.
L'applicazione di interessi per valute, fittiziamente appostate, deve pertanto ritenersi indebito se operato in
difetto di specifica pattuizione scritta al riguardo e, in ogni caso, in violazione del disposto dell'art. 120 D.Lgs.
n. 385/1993.
Il rapporto di conto corrente per cui è causa deve pertanto essere ricostruito escludendo le valute fittizie
applicate dalla banca in difetto di espressa pattuizione.
Con riferimento alla domanda attrice di nullità ed inefficacia degli addebiti effettuati dalla banca sul conto
corrente, per contrarietà al disposto di cui alla legge n. 108/1996, limitatamente agli interessi eccedenti il c.d.
tasso soglia nel periodo di riferimento, va rilevato che i criteri fissati dalla legge 7.3.1996, n. 108 per la
determinazione del carattere usurario degli interessi non trovano applicazione con riguardo alle pattuizioni
anteriori all'entrata in vigore della stessa legge, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta
nell'art. 1, comma 1, decreto legge 29.12.2000, n. 394 (conv., con modificazioni, nella legge 28.2.2001, n. 24;
cfr. ex multis n. 13868/2002; Cass., n. 17813/2002; Cass., n. 4380/2003).
La verifica dell'eventuale superamento del tasso soglia va pertanto limitata ai soli interessi applicati in forza
del contratto stipulato dalle parti il 12.12.1997, successivamente all'entrata in vigore della legge n. 108/1996.
10. Gli attori hanno chiesto ordinarsi alla banca l'esibizione, ai sensi dell'art. 119 T.U.B. e dell'art. 210 c.p.c.,
di "tutti gli estratti conto, delle ricevute di versamento, delle schede della banca e di quanto altro inerente al
contratto di apertura di credito impugnato, nonché di un completo rendiconto" (così pag. 10 dell'atto di
citazione).
L'istanza non può trovare accoglimento.
Va preliminarmente osservato che l'obbligo della banca di conservare la documentazione afferente il rapporto
di conto corrente non si estende oltre il decennio antecedente alla richiesta di esibizione da parte correntista,
ai sensi dell'art. 119 T.U. n. 385/1993.
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L'ordine di esibizione di documenti previsto dall'art. 210 c.p.c. deve, in ogni caso, riguardare documenti che
siano specificamente indicati dalla parte che ne abbia fatto istanza e che risultino indispensabili al fine della
prova dei fatti controversi; non può quindi in alcun caso supplire al mancato assolvimento dell'onere della
prova a carico della parte istante (Cass., n. 10043/2004), trattandosi di strumento istruttorio residuale
utilizzabile soltanto quando la prova del fatto non sia acquisibile "aliunde", e l'iniziativa non presenti finalità
esplorative, ravvisabili allorquando neppure la parte istante deduca elementi sulla effettiva esistenza del
documento e del suo contenuto per verificarne la rilevanza nel giudizio (Cass., n. 23120/2010)
L'ordine di esibizione può quindi essere impartito ad una delle parti del processo con esclusivo riguardo ad atti
"la cui acquisizione al processo sia necessaria" ovvero "concernenti la controversia", e, quindi, ai soli atti o
documenti specificamente individuati o individuabili, dei quali sia noto, o almeno assertivamente indicato, un
preciso contenuto, influente per la decisione della causa (Cass., n. 13072/2003)
In ossequio a tali principi, tenuto conto del disposto dell'art. 94 disp. att. c.p.c., si è ritenuto che difetti del
requisito della specificità la generica istanza di esibizione di tutti i documenti contabili relativi ad un esercizio
finanziario, formulata dalla parte convenuta in una causa di revocazione fallimentare ex art. 67, comma 1,
legge fallimentare, al fine di dimostrare l'inesistenza dello stato di insolvenza (Cass., n. 9514/1999).
Nella specie, il generico riferimento a tutta la documentazione in originale inerente il rapporto bancario per cui
vi è causa difetta del requisito della sufficiente specificità, tenuto peraltro conto del limite temporale fissato
dall'art. 119 T.U. n. 385/1993 all'obbligo di conservazione della documentazione imposto all'istituto di credito,
della corposa produzione documentale già in atti e della conseguente mancata indicazione dei documenti
effettivamente indispensabili ai fini della decisione e non versati in atti.
11. Gli attori hanno proposto domanda di accertamento del saldo del conto corrente, alla luce delle rettifiche
contabili sopra evidenziate.
La causa deve pertanto essere rimessa sul ruolo istruttorio, come da separata ordinanza, per essere
adeguatamente istruita mediante l'espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio.
La statuizione sulle ulteriori domande proposte e sulla regolamentazione delle spese di lite è riservata alla
sentenza definitiva.
P.Q.M.
Il Tribunale di Pescara in composizione monocratica, non definitivamente pronunciando sulle domande
proposte da De Vincentiis Pierino e da Tiberi Anna Maria nei confronti della Banca Caripe S.p.A., rigetta
l'eccezione di prescrizione;
dichiara la nullità del contratto di conto corrente n. 114419 concluso tra la Banca Caripe S.p.A., De Vincentiis
Pierino e Tiberi Anna Maria limitatamente alle clausole aventi ad oggetto l'applicazione di interessi ultralegali
mediante il rinvio al c.d. uso piazza e la capitalizzazione degli interessi;
dichiara l'illegittimità degli addebiti effettuati dalla banca sul conto corrente di cui al capo che precede a titolo
di commissioni di massimo scoperto, valute, interessi ultralegali, anatocistici, usurari nei limiti e per le causali
di cui in motivazione;
rigetta la domanda di ripetizione proposta dagli attori; dispone la rimessione della causa sul
ruolo istruttorio come da separata ordinanza; riserva la regolamentazione delle spese di lite
alla sentenza definitiva.
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Tribunale Verbania, 24 apr 2013 Massimo scoperto, conto corrente, credito,
banca, clausola, illiceità
Tribunale Verbania
24 aprile 2013
Massimo scoperto, conto corrente, credito, banca, clausola, illiceità
Il Tribunale di Verbania, in composizione monocratica, in persona del dott. Claudio Michelucci ha pronunciato
la seguente: Sentenza nella causa iscritta al n. 570/2011 R.G. promossa da:
M. Emilio, titolare della ditta individuale M. EMILIO ARTE E A. (p.iva ***) con sede in *** Via *** 118,
rappresentato e difeso dall'avv. Antonio TANZA del foro di Lecce e dall'avv. Celestino BROCCA del foro di
Verbania in forza di procura speciale a margine dell'atto di citazione ed elettivamente domiciliato presso lo
studio dell'avv. BROCCA in Verbania Via G. Parisio 6
ATTORE
CONTRO VENETO BANCA S.c.p.a. (giàÌ€ VENETO BANCA HOLDING S.c.p.a.) (p. iva 00208740266), con
sede in Montebelluna Piazza G.B. Dell'Armi 1 in persona del procuratore speciale dott. Stefano SION,
rappresentata e difesa dall'avv. Massimo MALVESTIO, dall'avv. Antonella LILLO del foro di Treviso e
dall'avv. Sergio NAPOLETANO del foro di Verbania in forza di procura a margine della comparsa di
costituzione e risposta ed elettivamente domiciliata in Verbania Corso Cobianchi 19 presso Studio avv. Sergio
NAPOLETANO
CONVENUTA
Conclusioni delle parti Parte attrice "Voglia l'On.le Tribunale adito, respinta ogni altra istanza, in accoglimento
della domanda:
- ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1284 c.c., 1346, 2697 e
1418 comma 2, nonché dell'art. 8 della legge n. 64 del 1986, dell'art. 7, comma 3, delle condizioni generali
del contratto di apertura di credito e di conto corrente n. 0105990 e collegati, intestato a M. Emilio Arte e
A. ed acceso presso la Banca Popolare di Intra S.c.r.l. - Agenzia di Gravellona (VB), nonché del c/c n.
0105995 e collegati, intestato a M. Emilio Arte eA. ed acceso presso la Banca Popolare di Intra S.c.r.l. Agenzia di Gravellona (VB), oggetto del rapporto tra le parti del presente giudizio, relativa alla
determinazione degli interessi debitori con riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle Aziende di
credito sulla piazza, e per l'effetto, DICHIARARE la inefficacia degli addebiti in c/c per interessi ultralegali
applicati nel corso dell'intero rapporto e l'applicazione in via dispositiva, ai sensi dell'art. 1284, comma 3,
c.c., degli interessi al saggio legale tempo per tempo vigente;
- ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1283, 2697 e 1418 c.c.,
dell'art. 7, commi 2 e 3, delle condizioni generali del contratto apertura di credito e di conto corrente n.
0105990 e n. 0105995, oggetto del rapporto tra le parti del presente giudizio, relativa alla capitalizzazione
trimestrale di interessi, competenze, spese ed oneri applicata nel corso dell'intero rapporto e, per l'effetto,
DICHIARARE la inefficacia di ogni e qualsivoglia capitalizzazione di interessi al rapporto in esame;
- ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1325 e 1418, degli addebiti
in c/c per non convenute commissioni sul massimo scoperto trimestrale; comunque prive di causa negoziale;
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- ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ed inefficacia, per violazione degli artt. 1284, 1346, 2697 e1418
c.c., degli addebiti di interessi ultralegali applicati nel corso dell'intero rapporto sulla differenza in giorni banca tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta; nonché per
mancanza di valida giustificazione causale;
- ACCERTARE e DICHIARARE, per l'effetto l'esatto dare-avere tra le parti in base ai risultati del ricalcolo
effettuato in sede di CTU;
- DETERMINARE il Tasso Effettivo Globale (T.E.G.) dell'indicato rapporto bancario;
- ACCERTARE e DICHIARARE, previo accertamento del Tasso effettivo globale, la nullità e l'inefficacia di
ogni e qualsivoglia pretesa della convenuta banca per interessi, spese, commissioni, e competenze per
contrarietà al disposto di cui alla legge 7 marzo 1996, n. 108, perché eccedente il c.d. tasso soglia nel periodo
trimestrale di riferimento, con l'effetto, ai sensi degli artt. 1339 e 1419
c.c., della applicazione del tasso legale senza capitalizzazione;
- DETERMINARE, nell'ipotesi di apercredito ancora in esser, il saldo ricalcolato alla data dell'accertamento
peritale (come da CTU) CONDANNANDO la banca ad attenersi per il proseguo del rapporto alle nullità
parziali rilevate; mentre DETERMINARE e CONDANNARE, nell'ipotesi di revoca o di chiusura
dell'apercredito, la convenuta banca alla restituzione della somme illegittimamente addebitate e/o riscosse,
oltre agli interessi legali creditori e maggior danno (derivante dalla mancata utilizzazione del maggior
credito cfr. SSUU sentenza 18 luglio 2008, n. 19499), in favore dell'odierna istante dalla data della
contrattuale maturazione in estratto conto sino all'effettivo soddisfo, calcolando sui saldi creditori del
correntista la capitalizzazione annuale; CONDANNARE in ogni caso la parte soccombente al pagamento
delle spese e competenze di giudizio in favore dei sottoscritti procuratori antistatari, nonché spese di CTU.
Parte convenuta
IN VIA PRELIMINARE DI RITO
- accertarsi e dichiararsi, per i motivi dedotti in atti, la nullità dell'atto di citazione ai sensi dell'art. 163 c.p.c.,
nn. 3 e 4;
- accertarsi e dichiararsi, per i motivi dedotti in atti, la carenza di interesse ad agire della M. Emilio Arte e
A. in ordine alle domande fatte valere in giudizio nei confronti di Veneto Banca S.c.p.a.
NEL MERITO In via principale
Rigettarsi le domande proposte dall'attrice in quanto prescritte e comunque infondate per tutti i motivi
esposti in atti;
In via subordinata
Nella denegata ipotesi in cui l'intestato Tribunale ritenesse nulla la capitalizzazione trimestrale degli interessi
passivi, accertato che la Banca ha provveduto ad adeguarsi alla nuova normativa in materia di anatocismo
di cui alla Delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000, dichiararsi:
- legittima, quantomeno a far data dal 1° luglio 2000, la capitalizzazione trimestrale degli interessi;
- per il periodo antecedente l'adeguamento alla Delibera C.I.C.R., e quindi per il periodo antecedente al 30
giugno 2000, la legittimità della capitalizzazione semestrale o quanto meno annuale degli interessi passivi;
con ogni conseguenza in ordine all'eventuale calcolo dell'importo chiesto in restituzione dalla M. Emilio
Arte e A..
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IN OGNI CASO
Con vittoria di spese, diritti ed onorari di lite.
IN VIA ISTRUTTORIA
La Banca, oltre a far proprie e a ribadire in questa sede tutte le osservazioni svolte nel corso delle operazioni
peritali dal proprio C.T.P. dott. Bruno Mesirca, insiste affinché il Giudice - previa revoca della nomina del
dott. Alberto Scruzzi quale C.T.U. nel presente giudizio e designazione di un nuovo C.T.U. per tutti i motivi
dedotti nell'istanza di ricusazione in data 23.03.2012 proposta dalla convenuta - in forza di quanto dedotto ed
eccepito dalla Banca in atti, Voglia disporre un'integrazione della C.T.U. in particolare per quantificare gli
asseriti illeciti addebiti effettuati dalla
Banca tenendo conto: - della prescrizione secondo quanto previsto dalla sentenza della Corte di Cassazione,
SS.UU., n. 24418/2010; - di quanto addebitato a titolo di C.M.S. in quanto contrattualmente pattuita. La Banca
chiede inoltre che l'eventuale disponenda integrazione della C.T.U.: - non abbia ad oggetto il c/c n. 0105990
dato che, con riferimento a detto rapporto e come già rilevato in corso di causa, deve ritenersi interamente
prescritto ogni diritto fatto valere in giudizio dall'attrice, essendo stato il conto estinto in data 29.01.1998. I
c/c nn. 0105990 e 0105995 non possono essere ritenuti un unicum ma devono essere considerati e trattati
come due distinti e separati rapporti intercorsi tra la Banca e la M. Emilio Arte e A..
Motivi in fatto e in diritto della decisione
Con atto di citazione, ritualmente notificato, l'impresa individuale M. EMILIO ARTE E A. conveniva in
giudizio la Veneto Banca S.p.A. allegando di avere intrattenuto intrattenuto con la Banca Popolare di Intra
S.c.r.l. - Agenzia di Gravellona (ora Veneto Banca) un rapporto bancario consistente in apertura di credito con
affidamento mediante scopertura su c/c n. 0105990 per il periodo 1985 al 1998, oltre i secondari confluenti c/c
n. *** e c/c n. ***, nonché il c/c ordinario n. 0105995, intestato a M. Emilio per il periodo 1993 - 2003, e
lamentando, in relazione ai predetti rapporti, l'illegittima capitalizzazione trimestrale da parte della banca degli
interessi passivi in violazione dell'art. 1283 c.c., l'applicazione di interessi ultralegali non pattuiti per iscritto,
in misura anche oltre soglia usura, la scorretta antergazione e postergazione delle valute nonché l'illegittima
applicazione di commissioni di massimo scoperto, competenze e spese. Chiedeva, pertanto, che previa
riliquidazione del saldo finale del rapporto sulla base delle eccezioni e delle contestazioni proposte, la
convenuta fosse condannata al pagamento in favore di M. EMILIO delle somme indebitamente percepite, oltre
interessi e maggior danno.
Si costituiva in giudizio la VENETO BANCA S.c.p.a. eccependo, in via pregiudiziale, l'improcedibilità
dell'azione ai sensi dell'art. 5 d.lgs. n. 28/2010, la nullità dell'atto di citazione per indeterminatezza dei fatti
posti a fondamento della domanda, e, in via preliminare, la carenza di interesse della ditta attrice poiché la
corresponsione delle somme, nell'assunto attoreo, illegittimamente percepite dalla Banca integrerebbe
adempimento di un'obbligazione naturale nonché la prescrizione delle pretese creditorie fatte valere dalla
società attrice; nel merito, sosteneva la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal
correntista, ovvero, in subordine, la necessità di applicare quantomeno la capitalizzazione semestrale o almeno
annuale, ferma in ogni caso la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi almeno a
partire dal 30.6.2000, successivamente al d.lgs. n. 342/1999 e alla delibera CICR 9.2.2000, avendo la banca
rispettato le condizioni da questa prescritte; osservava ancora come i tassi di interessi e le commissioni fossero
stati validamente pattuiti e quindi correttamente applicati. Riteneva infondata e indimostrata la richiesta di
accertamento di interessi pretesi in misura eccedente il tasso soglia di cui alla legge n. 108/1996.
All'udienza di prima comparizione il procuratore di parte attrice dava atto che era stato avviato il procedimento
di mediazione obbligatorio ex d.lgs. n. 28/2010 e il Giudice, rilevato che lo stesso non si era ancora concluso,
rinviava a nuova udienza ai sensi dell'art. 5 della predetta legge. Esaurita la procedura di conciliazione
obbligatoria, depositate le memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., la causa veniva istruita mediante espletamento
di CTU affidata al dott. Alberto SCRUZZI, nei confronti del quale la Banca presentava istanza di ricusazione,
rigettata come da ordinanza 30.3.2012; quindi all'udienza dell'8.1.2013, sulle conclusioni delle parti riportate
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in epigrafe, il giudice tratteneva la causa a sentenza previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per
il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
Preliminarmente deve essere respinta l'eccezione pregiudiziale di nullità dell'atto di citazione sollevata ex artt.
164 - 163 n. 3-4 c.p.c. dalla banca convenuta in quanto parte attrice ha indicato espressamente gli estremi dei
conti corrente bancari sui quali allega essere stati applicati gli interessi anatocistici e le altre voci, riportate
specificamente, asseritamente non dovute nonché la durata del rapporto; la convenuta, pertanto, in possesso
delle convenzioni e degli estratti conto, è stata posta in condizione di comprendere l'oggetto della pretesa e di
apprestare adeguate difese; l'indicazione da parte del correntista dei titoli dai quali trae origine la sua pretesa
consente, infatti, di soddisfare le esigenze difensive sottese alla norma di cui all'art. 163, comma 4, c.p.c.
Parimenti priva di fondamento è l'eccezione di carenza di interesse ad agire della M. ARTE E A., fondata sulla
constatazione che il correntista ha per lunghissimo tempo corrisposto somme a titolo di interessi ultralegali
non pattuiti per iscritto, a titolo di interessi anatocistici non dovuti, nonché a qualsiasi altro titolo oggetto delle
domande avversarie, senza alcuna contestazione, pur avendo ricevuto gli estratti di conto corrente con
annotazione di tutti gli addebiti eseguiti: tale condotta, per un verso, dovrebbe essere qualificata secondo la
convenuta come adempimento di un'obbligazione naturale non soggetto a ripetizione ex art. 2034 c.c., per altro
verso, varrebbe quale rinuncia tacita da parte del correntista all'azione di ripetizione.
Sotto il primo aspetto, deve osservarsi che le somme oggetto di contestazione nel presente giudizio non sono
state oggetto di un pagamento spontaneo, e quindi, adempimento di una obbligazione naturale ex art. 2034
c.c., bensì il frutto di un conteggio eseguito dalla banca di sua esclusiva iniziativa e senza alcuna autorizzazione
del correntista, difettando, così, la volontà di pagamento, la spontaneità ed il dovere morale o sociale richiesti
dalla citata norma.
Sotto il secondo profilo, è sufficiente osservare che la volontà tacita di rinunziare ad un diritto si può desumere
soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli la sua univoca volontà di non avvalersi del
diritto stesso, laddove l'inerzia o il ritardo nell'esercizio del diritto non costituiscono elementi sufficienti, di
per sè, a dedurne la volontà di rinunciare del titolare, potendo essere frutto di ignoranza, di temporaneo
impedimento o di altra causa, e spiegano rilevanza soltanto ai fini della prescrizione estintiva. Ne consegue
che il solo ritardo nell'esercizio del diritto, per quanto imputabile al titolare dello stesso, non può costituire
motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 15.3.2004, n. 5240). Si aggiunga,
per quanto attiene alla mancata impugnazione delle risultanze degli estratti conto che, nel contratto di conto
corrente, l'incontestabilità delle risultanze del conto conseguente all'approvazione tacita dell'estratto conto, a
norma dell'art. 1832, c.c., si riferisce agli accrediti ed agli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, ma
non impedisce la contestazione della validità e dell'efficacia dei rapporti obbligatori da cui essi derivino, né
l'approvazione o la mancata impugnazione del conto comportano che il debito fondato su di un negozio nullo,
annullabile, od inefficace resti definitivamente incontestabile tra le medesime parti.
Ancora, non appare fondata l'eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca né con riferimento al c/c 0105990
né al c/c 0105995. Anzitutto deve ritenersi ormai dato acquisito che l'azione di ripetizione di indebito, proposta
dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità delle clausole negoziali poste a base del conto, è soggetta
all'ordinaria prescrizione decennale (cfr. Cass. SS.UU. n. 14418/2010).
Deve quindi precisarsi che detto termine decennale di prescrizione decorre dalla data di cessazione del
rapporto. Con orientamento di gran lunga maggioritario, infatti, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato
che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito decorre dalla chiusura definitiva del rapporto,
considerata la natura unitaria del contratto di conto corrente bancario, il quale dà luogo ad un unico rapporto
giuridico, ancorché articolato in una pluralità di atti esecutivi: la serie successiva di versamenti e prelievi,
accreditamenti e addebiti, comporterebbe soltanto variazioni quantitative del titolo originario costituito tra
banca e cliente; soltanto con la chiusura del conto si stabilirebbero in via definitiva i crediti e i debiti delle parti
e le somme trattenute indebitamente dall'istituto di credito potrebbero essere oggetto di ripetizione (vd. Cass.
n. 10127/2005 e giurisprudenza ivi richiamata).
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La Suprema Corte di Cassazione con pronuncia resa a Sezioni Unite (n. 24418/2010) ha sostanzialmente
confermato questa conclusione aggiungendo peraltro che, quando nell'ambito del rapporto in questione è stato
eseguito un atto giuridico definibile come pagamento (consistente nell'esecuzione di una prestazione da parte
di un soggetto, con conseguente spostamento patrimoniale a favore di altro soggetto), e il solvens ne contesti
la legittimità assumendo la carenza di una idonea causa giustificativa e perciò agendo per la ripetizione
dell'indebito, la prescrizione decorre dalla data in cui il pagamento indebito è stato eseguito. Ma ciò soltanto
qualora si sia in presenza di un atto con efficacia solutoria, cioè per l'appunto di un pagamento, vale a dire di
un versamento eseguito su un conto passivo ("scoperto"), cui non accede alcuna apertura di credito a favore
del correntista, oppure di un versamento destinato a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento
(cosiddetto extra fido). In definitiva, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto
abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, il termine di prescrizione dell'azione di ripetizione
decorre dalla data in cui è stato estinto il conto corrente in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Solo
da tale momento sussiste infatti un pagamento indebito.
Nel caso di specie, non solo la banca non ha neppure allegato che vi siano stati, in corso di rapporto, versamenti
solutori nel senso prospettato né li ha specificati così non adempiendo al proprio onere probatorio sotto tale
profilo ma il CTU ha comunque accertato e concluso che tutte le rimesse effettuate sul c/c 10599/5 hanno
avuto chiaramente funzione ripristinatoria, in quanto la ditta attrice in nessuno dei periodi oggetto della
rielaborazione ha mai oltrepassato il limite dell'affidamento risultante dai documenti prodotti in giudizio,
ovvero lire 350.000.000. Non ha più rilievo alcuno il richiamo all'art. 2, comma 61, d.l. n. 225/2010 (c.d.
milleproroghe) che, nel porre una norma di natura interpretativa dell'art. 2935 c.c., prevedeva che "In ordine
alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la
prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione
stessa" e che "In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto legge" in quanto la Corte costituzionale con sentenza n. 78/2012
ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, sicché resta superato anche ogni problema relativo
all'interpretazione da dare alla suddetta disposizione.
Ora, nel caso di specie la banca convenuta osserva che, in ogni caso, l'azione di ripetizione delle somme
indebitamente corrisposte con riferimento al c/c *** sarebbe, anche a seguire i principi sopra esposti (per
quanto non condivisi dalla convenuta), prescritta, poiché detto conto è stato (pacificamente) estinto in data
29.1.1998.
Deve però osservarsi che altrettanto pacificamente il saldo di tale conto corrente è stato, al momento
dell'estinzione, "girocontato" sull'altro conto corrente oggetto di causa n. 0105995, come d'altronde accertato
dallo stesso CTU. Quest'ultimo conto corrente non può pertanto considerarsi autonomo proprio in forza
dell'intervenuta imputazione di somme provenienti dal precedente conto corrente.
Da tale imputazione di somme discende, invece, che deve ritenersi sussistere un collegamento giuridico e
quindi una continuità tra i due rapporti stipulati tra le parti, con l'ulteriore conseguenza che il termine iniziale
di prescrizione va calcolato dalla data di chiusura del suddetto c/c *** avvenuta il 24.7.2003.
L'eccezione di prescrizione deve essere pertanto rigettata. Venendo alla disamina del merito, fondata risulta,
invece, anzitutto, la doglianza di parte attrice circa l'illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi
passivi (sino al 30.6.2000) pacificamente applicata ai rapporti de quibus ed effettivamente riscontrata dal CTU.
La norma dell'art. 1283 c.c. è ritenuta pacificamente di carattere imperativo e di natura eccezionale nella parte
in cui ammette la possibilità che gli interessi scaduti possano produrre ulteriori interessi nella sola ipotesi di
interessi dovuti per almeno un semestre e sempre che vi sia stata una formulazione di domanda giudiziale
ovvero per effetto di una convenzione successiva alla scadenza degli interessi stessi. Tale norma può essere
derogata da usi contrari ma deve trattarsi di veri e propri usi normativi e non di semplici usi negoziali (art.
1340 c.c.) o intepretativi (art. 1368 c.c.) consistendo l'uso normativo nella ripetizione generale, uniforme,
costante e pubblica di un determinato comportamento accompagnato dalla convinzione che si tratti di
comportamento giuridicamente obbligatorio in quanto conforme a norma che già esiste o che si ritiene debba
far parte dell'ordinamento giuridico (opino iuris ac necessitatis). Quanto ai contratti bancari, la giurisprudenza
ormai consolidata della Suprema Corte di Cassazione, con riferimento ai contratti di conto corrente di
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corrispondenza stipulati in data anteriore al 22 aprile 2000, ritiene del tutto illegittimo l'anatocismo trimestrale
degli interessi debitori applicato dagli istituti di credito (v. Cass., S.U., n. 21095/2004 e Cass. n. 10127/2005)
in quanto fondato su un uso negoziale contrariamente a quanto previsto dall'art. 1283 c.c.
In particolare, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 21095/2004 hanno
definitivamente chiarito che deve escludersi l'esistenza di un uso normativo legittimante l'anatocismo
trimestrale nei rapporti bancari, idoneo a derogare al precetto di cui all'art. 1283 c.c. che prevede il generale
divieto di anatocismo e cioè della produzione di interessi sugli interessi; le clausole anatocistiche stipulate fino
all'entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma 2 del del d.lgs. n. 342/1999 sono, quindi, da
considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell'art. 1283, cod. civ., perché basate su un uso negoziale,
anziché su un uso normativo, mancando di quest'ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella
consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione
che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o
che si reputa debba fare parte dell'ordinamento giuridico ("opinio juris ac necessitatis"). Infatti, va escluso che
detto requisito soggettivo sia venuto meno soltanto a seguito delle decisioni della Corte di cassazione che, a
partire dal 1999, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno ritenuto la nullità delle
clausole in esame, perché non fondate su di un uso normativo, dato che la funzione della giurisprudenza è
meramente ricognitiva dell'esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e,
conseguentemente, in presenza di una ricognizione, anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel
ritenerne l'esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poiché, diversamente, si determinerebbe
la consolidazione "medio tempore" di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che,
erroneamente presupponendola, l'avrebbero creata.
Deve ritenersi, invece, attualmente ammissibile la capitalizzazione degli interessi pattuita mediante apposite
clausole contenute nei contratti bancari in forza della delibera CICR 9.2.2000; l'art. 120 TUB come modificato
dall'art. 25 del d.lgs. n. 342/99, ha infatti attribuito al CICR il potere di stabilire le modalità ed i criteri per la
produzione degli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria.
La disciplina introdotta dal CICR vale peraltro anche per i contratti stipulati in precedenza a decorrere dal
1.7.2000 purché risultino rispettate le disposizioni contenute nella delibera entro il 30.6.2000. In relazione al
caso di specie, dunque, va accertata e dichiarata la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli
interessi passivi sino al 30.6.2000; depurato il conto corrente degli addebiti derivanti dall'illegittima
applicazione di interessi anatocistici su base trimestrale, non può essere riconosciuta alcuna capitalizzazione
in quanto si tratterebbe pur sempre di una forma di anatocismo vietato dalla legge (art. 1283 c.c.) in assenza
di usi normativi che legittimino tale conclusione (cfr. Cass. SS.UU. n. 24418/2010).
Rispettate le condizioni prescritte dalla delibera CICR 9.2.2000 (con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale
29.6.2000 e con la comunicazione al cliente in calce all'estratto conto del 31.10.2000 delle nuove condizioni
contrattuali e a fronte di condizioni non peggiorative di quelle precedentemente applicate) appare ammissibile
la capitalizzazione trimestrale degli interessi successiva al 1.7.2000. Sempre con riferimento al suddetto
rapporto, quanto alla lamentata applicazione di interessi ultralegali, la Banca non ha prodotto idonea
documentazione attestante la loro determinazione per iscritto con riferimento al c/c 10559/0 e dunque, posto
che la giurisprudenza in ossequio al disposto dell'art. 1284 c.c. è ormai granitica nell'affermare che - in tema
di interessi nei contratti bancari - la relativa convenzione è nulla quando il relativo tasso risulti non
determinabile e non controllabile in base ai criteri in detta convenzione oggettivamente indicati, opera tra le
parti nel caso di specie la sostituzione della clausola difforme da una norma imperativa con il dettato della
norma imperativa medesima ex art. 1419 c.c.
Gli interessi perciò sono stati calcolati dal c.t.u. nella misura del tasso legale ex art. 1284 c.c. fino all’8.7.1992;
successivamente con l'entrata in vigore della legge n. 154 del 17.02.1992, gli interessi sono stati calcolati con
il criterio stabilito dall'art. 117, n. 7, d.lgs. n. 385/93, ovvero con il così detto "tasso bot" (cfr. pag. 8 e 9 della
relazione peritale).
Corretto appare il criterio interpretativo per cui il tasso sostitutivo indicato dall'art. 117, comma 7, lettera a) è
stato applicato nella misura nominale minima dei Bot per le operazioni in favore della Banca e nella misura
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nominale massima dei bot per le operazioni a favore del cliente in ragione della natura eminentemente
sanzionatoria, a carico della Banca, della norma medesima.
Per quanto concerne invece il c/c *** il CTU ha dato atto di avere fatto applicazione del tasso di interesse
contrattualmente previsto come risultante dalla documentazione versata in atti (doc. 6 parte convenuta)
validamente pattuito per iscritto. La dedotta violazione della legge n. 108/196 è risultata, invece, del tutto
indimostrata considerando l'assoluta genericità della contestazione con cui gli opponenti non hanno fatto
riferimento né al periodo
in cui sarebbe stato superato il "tetto soglia" del tasso degli interessi debitori applicati al rapporto, né al tasso
applicato effettivamente, né alla categoria di operazioni presa a riferimento per la valutazione di usurarietà.
L'attrice contesta ancora l'illegittima applicazione della clausola di commissione di massimo scoperto. Come
è noto, la c.m.s. è stata diversamente definita o individuata - limitandosi alle due accezioni principali e più
diffuse - come il corrispettivo per la semplice messa a disposizione da parte della banca di una somma, a
prescindere dal suo concreto utilizzo, oppure come la remunerazione per il rischio cui la banca è sottoposta
nel concedere al correntista affidato l'utilizzo di una determinata somma, a volta oltre il limite dello stesso
affidamento. Il termine commissione di massimo scoperto non è quindi riconducibile ad un'unica fattispecie
giuridica, sicché l'onere di determinatezza della previsione contrattuale delle c.m.s. deve essere valutato con
particolare rigore, dovendosi esigere, se non una sua definizione contrattuale, per lo meno la specifica
indicazione di tutti gli elementi che concorrono a determinarla (percentuale, base di calcolo, criteri e periodicità
di addebito), in assenza dei quali non può nemmeno ravvisarsi un vero e proprio accordo delle parti su tale
pattuizione accessoria, non potendosi ritenere che il cliente abbia potuto prestare un consenso consapevole,
rendendosi conto dell'effettivo contenuto giuridico della clausola e, soprattutto, del suo "peso" economico; in
mancanza di ciò l'addebito delle commissioni di massimo scoperto si traduce in una imposizione unilaterale
della banca che non trova legittimazione in una valida pattuizione consensuale.
Ebbene venendo al caso di specie le commissioni di massimo scoperto vanno escluse, in ogni caso, perché la
banca non ha provato la specifica pattuizione per iscritto della commissione stessa né degli elementi che
concorrono a determinarla sulla dei principi sopra espressi; il calcolo del saldo del rapporto bancario de quo è
stato, di ragione, epurato dei relativi effetti.
Egualmente nei documenti contrattuali versati in atti dalla convenuta non risultano indicate le spese di
gestione/chiusura del conto che, nel ricalcolo, pertanto devono essere azzerate. Venendo alla rideterminazione
del saldo del rapporto di conto corrente ritiene il Tribunale che debba farsi riferimento ai risultati della CTU
(con la precisazione che segue), avuto riguardo alla correttezza dei conteggi effettuati, e perché formulati nel
rispetto dei principi sopra esposti, in quanto basata:
sull'esclusione di qualunque forma di capitalizzazione degli interessi in ottemperanza al disposto
dell'art. 1283 dalla data di apertura del conto al 30.6.2000 - sulla capitalizzazione trimestrale in base alla
delibera CICR 9.2.2000, dal 1.7.2000 alla chiusura del conto
sull'eliminazione degli interessi ultralegali non pattuiti e sull'applicazione dei tassi ex art. 117 TUB
con riferimento al c/c 10599/0 e con applicazione dei tassi di interessi contrattualmente pattuiti con riferimento
al c/c 10599/5 - sull'eliminazione della commissione di massimo scoperto e delle spese di gestione/tenuta
conto non validamente pattuite
Alla luce di tali risultati, dato atto che il saldo del c/c *** come ricalcolato è stato girato sul conto corrente
10599/5 come avvenuto in effetti nel corso del rapporto bancario, il saldo di quest'ultimo conto corrente deve
essere rideterminato in ? 180.603,90 a credito del correntista alla data del 30.6.2003.
Non è stato possibile per il CTU, sulla base della documentazione a disposizione, effettuare conteggi per il
periodo successivo sino alla chiusura del conto (24.7.2003 - doc. 12 parte convenuta), sicché per tale periodo,
spettando l'onere della prova all'attore, non sono stati ricalcolati interessi né si è proceduto a depurare il conto
da spese periodiche.
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Il saldo finale documentato dalla banca a tale data è pari a ? 239,64 a debito del correntista. In definitiva,
recepito il conteggio effettuato dal CTU e tenuto conto del saldo finale dichiarato dalla Banca, la convenuta
deve essere condannata al pagamento di ? 180.363,45 (pari alla differenza del saldo ricalcolato dal CTU e il
saldo finale indicato dalla banca) oltre interessi decorrenti dalla data della domanda al saldo. Le spese di causa
seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo (dovendosi includere tra le spese anche i costi di
CTP sostenuti dall'attrice). Le spese di CTU sono definitivamente poste a carico di parte convenuta.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 570/2011 RG ogni altra istanza, deduzione ed
eccezione disattesa - in accoglimento della domanda proposta da M. Emilio titolare della ditta
individuale M. EMILIO ARTE E A., ricalcolato il saldo effettivo dei conti corrente *** e ***
intercorrenti tra M. EMILIO ARTE E A. e la Banca Popolare di Intra scrl, alla data di estinzione del
conto *** (sul quale risulta essere stata girato il saldo di chiusura del conto ***) 24.7.2003, con esclusione
della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi sino al 30.6.2000, nonché degli interessi
ultralegali non pattuiti relativamente al c/c ***, delle commissioni di massimo scoperto e delle spese di
tenuta conto, condanna la VENETO BANCA S.c.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore,
a pagare a favore dell'attore la somma di ? 180.363,45, oltre interessi legali dalla data della domanda al
saldo.
Condanna la convenuta a rifondere a favore di parte attrice le spese di lite che liquida in ?
12.200 per competenze e ? 2.223,21 per spese, oltre accessori come per legge.
Pone definitivamente le spese di CTU, come già liquidate in corso di causa, a carico della convenuta.
Tribunale Busto Arsizio, 12 mar 2013 Usura - Tasso usurario - Voci ricomprese
- Credito al consumo - Cessione del quinto dello stipendio Polizza assicurativa a
garanzia del rischio morte, invalidità e perdita di impiego del debitore Inclusione
Tribunale Busto Arsizio
12 marzo 2013
Est. Annarita D'Elia
Usura - Tasso usurario - Voci ricomprese - Credito al consumo - Cessione del quinto dello stipendio - Polizza
assicurativa a garanzia del rischio morte, invalidità e perdita di impiego del debitore Inclusione - Necessità.
Usura - Banca d'Italia - Funzione meramente tecnico-statistica dell'intervento.
Secondo il chiaro tenore letterale dell'art. 644, comma 3, c.p., sono rilevanti, ai fini della determinazione del
tasso soglia di cui alla normativa sull'usura, tutti gli oneri che l'utente sopporti in connessione con l'uso del
credito. Tra tali oneri rientra anche il costo della polizza assicurativa a garanzia del rischio morte, invalidità e
perdita di impiego del mutuatario obbligatoria ex art. 54 D.P.R. n. 180/1950 per ottenere un prestito con
cessione del quinto dello stipendio.
In relazione all'individuazione dell'elemento oggettivo del reato di usura, la Banca d'Italia assolve alla limitata
funzione di fornire dati statistici al Ministero del Tesoro. È evidente dunque che le opinioni della Banca d'Italia
non vincolano il giudice nell'interpretazione della legge.
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Il Tribunale di Busto Arsizio, in composizione monocratica dott. Annarita D'Elia, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 514/12 R.G., avente ad oggetto restituzione, promossa da Mirolli Roberto, con l 'avv.
M. Farinelli
ATTORE
contro
Finecobank S.p.A. e Unicredit S.p.A., in persona dei ll.rr. p.t. con l'avv. S. Garavaglia
CONVENUTE
Ragioni in fatto e in diritto della decisione
All'esito della discussione orale nel corso dell'odierna udienza e sulle conclusioni precisate come da verbale
che precede, Il Giudice, visto l'art. 281-sexies c.p.c.,
OSSERVA
Mirolli Roberto ha convenuto in giudizio la Finecobank S.p.A. e Unicredit S.p.A., in persona dei ll.rr. p.t., per
sentir dichiarare che il contratto di mutuo concluso con la Finecobank n. 226535 e sottoscritto il 23.07.2007
contenesse la pattuizione di interessi usurai e che dette clausole fossero nulle, e quindi condannarle alla
restituzione delle somme in eccedenza versate rispetto alla somma netta erogata di ? 14.827,26. Precisava
l'attore che il contratto di mutuo prevedeva il rimborso, tramite la cessione del quinto dello stipendio della
complessiva somma di ? 32.400 - a fronte della minor somma effettivamente erogata - per la presenza di una
polizza assicurativa a garanzia del rimborso del mutuo, di tal che il TAEG relativo al prestito de quo
ammontava di fatto a 19,77%, mentre al momento della conclusione del contratto il tasso soglia usuraio di
riferimento era di 15,24%, dovendosi all'uopo computare anche le spese di assicurazione.
Instauratosi il contraddittorio, si costituivano le convenute ed eccepivano in via preliminare il difetto di
legittimazione passiva della Finecobank, avendo questa ceduto tutto il proprio compendio aziendale alla
Unicredit con contratto del 27.06.2008, e nel merito chiedevano il rigetto totale dell'avversa domanda,
deducendo la legittimità del proprio operato, atteso che la polizza assicurativa costituiva un obbligo di legge
ex art. 54 T.U. n. 180/1950 ed avendo computato le spese secondo le indicazioni della Banca d'Italia.
La causa veniva istruita con C.T.U..
Preliminarmente deve essere rigettata l'eccezione preliminare sollevata dalle convenute in ordine alla
mancanza di legittimazione passiva della Finecobank.
Nel caso in esame risulta pacifico come la Finecobank, con atto di scissione parziale per notar Sormani del
27.06.2008, abbia trasferito alla Unicredit Consumer Financing Bank S.p.A. il proprio ramo di azienda
costituito dal business cessione del quinto, contenente peraltro una clausola con sostanziale liberatoria da parte
della Finecobank per tutte le future azioni giudiziarie relativa.
È stata configurata così una scissione parziale ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 2506 ss. c.c. e 57 D.Lgs.
n. 385/93, di tal che detta clausola di esonero o di limitazione di responsabilità non può ritenersi legittima ed
opponibile al Mirolli, violando il disposto degli artt. 2506-quater, 3° comma, c.c. e 2506-bis, 3° comma, c.c.,
dettati proprio a tutela del rischio del frazionamento della garanzia patrimoniale derivanti dalle operazioni di
scissione parziale di società. La ratio della normativa in esame si ravvisa nell'intento di evitare che vengano
realizzate operazioni di scissione cedendo passività a società meno solide ovvero sottostimando
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artificiosamente il patrimonio trasferito per una limitazione di responsabilità, cosicché la responsabilità stessa
tra la società scissa e la società acquirente è definita come solidale.
Da tanto ne consegue che entrambe le convenute hanno piena legittimazione a contraddire nel presente
giudizio.
L'attore, peraltro, ha anche dedotto di aver citato in giudizio la Finecobnak ai sensi e per gli effetti di cui al
combinato disposto degli artt. 2049 c.c. e 1228 c.c. in ragione del preteso fatto delittuoso commesso dai
dipendenti, avendo nell'esercizio delle proprie incombenze, concluso per conto dell'istituto convenuto un
accordo usurario (in conformità alla giurisprudenza della Suprema Corte che reputa che "in tema di
responsabilità del debitore per fatto degli ausiliari, l'art. 1228 c.c. disposizione con cui è stata estesa all'ambito
contrattuale la disciplina contenuta negli artt. 2048 e 2049 c.c. - postula, per la sua concreta applicabilità,
l'esistenza di un danno causato dal fatto dell'ausiliario, l'esistenza di un rapporto tra ausiliario e committente
(cd. rapporto di preposizione), l'esistenza, infine, di una relazione di causalità (rectius, di occasionalità
necessaria) tra il danno e l'esercizio delle incombenze dell'ausiliario ..." così Cass. n. 6756/2001, Cass. n.
6033/2008, Cass. n. 9027/2009).
Passando al merito della vertenza, deve rilevarsi come la domanda attorea di restituzione delle somme versate
in eccesso rispetto a quanto erogato a titolo di mutuo da Finecobank, sul presupposto dell'applicazione di una
clausola di credito usurario, sia fondata, e, quindi debba essere accolta.
Il nocciolo della vertenza in esame è valutare se nella determinazione del tasso soglia rilevante ai fini
dell'applicazione della normativa anti usura vada o meno ricompreso il costo della polizza assicurativa,
stipulata dall'attore al momento dell'erogazione del mutuo da parte della Finecobank, a garanzia del rimborso
del prestito in caso di perdita di impiego, morte o invalidità.
Non risulta affatto contestato nel caso concreto che il contratto concluso si configura quale mutuo contro
cessione del quinto dello stipendio, con l'ordine incondizionato e irrevocabile - per la durata di 10 anni - al
datore dí lavoro del mutuatario di pagare il quinto dello stipendio direttamente all'istituto mutuante, con la
garanzia di una polizza assicurativa idonea a recuperare il credito in caso di mancato pagamento.
Dato per assodato quanto sopra, il C.T.U. ha provveduto a verificare l'entità dei tassi applicati, dopo aver
ricostruito nel dettaglio il piano di finanziamento, e ha concluso ritenendo che il TAEG, ove non vengano
computate le spese per l'assicurazione, è pari a 14,31% e, pertanto, inferiore al tasso soglia stabilito al 15,24%
dal D.M. Economia e Finanza del 20.06.2007; ove vengano invece incluse dette spese, il TAEG è pari al
19,76%, e pertanto superiore al predetto tasso soglia (cfr. pag. 20 della relazione dep. in cancelleria
l'11.12.2012).
Appare necessario valutare in limine litis se nella determinazione del tasso soglia di cui alla normativa
sull'usura debba ricomprendersi anche la polizza assicurativa finalizzata alla garanzia del rimborso puntuale
del mutuo, stante la nullità di tale pattuizione ove la si ritenga da computare ai fini del calcolo del TAEG.
Senza voler ripercorrere tutto il complesso iter dottrinario e giurisprudenziale sulla struttura del reato di usura
deve solo rilevarsi ai nostri fini come sia indubbio non solo che l'art. 644 c.p. detti perentorie indicazioni sul
calcolo del tasso soglia che devono essere rispettate con conseguente violazione della legge, ma anche che
l'art. 2 Legge n. 108/96 prevede che il Ministero del Tesoro, sentiti la Banca d'Italia e l'Ufficio Italiano Cambi,
rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio comprensivo di commissioni, remunerazioni a qualsiasi
titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e
dagli intermediari finanziari. Ed infatti, la ratio sottesa alla normativa sull'usura è volta ad impedire che
celatamente si possa realizzare una "usura lecita".
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Così configurato l'art. 644 c.p. acquista la struttura di una norma penale parzialmente in bianco, dovendosi
integrare necessariamente la fattispecie astratta con l'intervento delle valutazioni del predetto Ministero, ma
non di certo della Banca d'Italia.
Ne deriva che ai fini della determinazione del tasso di interesse usurario si deve tenere conto di commissioni,
remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse solo quelle per imposte e tasse, collegate all'erogazione del
credito (e quindi anche la polizza assicurativa per cui è causa, quale costo inevitabile per la concessione del
mutuo, che altrimenti non viene erogato dall'istituto finanziatore), sicché devono ritenersi rilevanti, ai fini della
determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che il contraente sopporta in connessione con
l'erogazione del credito (v. in questo senso Cass. Pen., Sez. II, n. 12028/2010 e Cass. Pen., Sez. II, n.
28743/2010).
E tutto ciò indipendentemente dalle valutazioni della Banca d'Italia, da considerarsi quali mere istruzioni di
carattere tecnico e come tali di certo non vincolanti (si veda da ultimo Cass. Pen., Sez. II, 19.12.2011, n. 46669,
che ha statuito non solo che "ai fini della determinazione del tasso dl interesse usurario, deve tenersi conto
anche delle commissioni bancarie, delle remunerazioni richieste a qualsiasi titolo e delle spese, ad esclusione
di quelle per imposte e tasse collegate all'erogazione del credito", ma anche che "... le circolari o direttive della
Banca d'Italia, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari
sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia, neppure quale mezzo di interpretazione ..."). Da tanto ne consegue
anche la totale irrilevanza del cambiamento di indirizzo delle istruzioni da parte della Banca d''Italia e
sicuramente la mancanza di carattere vincolante delle stesse, avendo la funzione di fornire meri dati statistici
al Ministero competente.
Difatti, la Banca d'Italia, quale mero organo di vigilanza e di indirizzo per le banche e gli operatori finanziari,
in un primo momento (istruzioni in vigore al momento della stipulazione del contratto di cui trattasi) aveva
stabilito che gli oneri derivanti dalle polizze assicurative (come quelle stipulate dall'attore) non dovessero
essere incluse nel calcolo ai fini della verifica del superamento del tasso soglia; le nuove istruzioni della Banca
d'Italia (a partire dall'agosto 2009), invece, includono anche il costo relativo a detta polizza quali oneri connessi
all'erogazione del credito rilevanti ai fini del superamento del tasso soglia.
Ebbene, da tanto deve concludersi che le banche, non contemplando nel calcolo del TAEG tutte le spese
collegate all'erogazione del credito, commettono un illecito, o ve venga superato detto tasso soglia.
Né può trovare valida giustificazione da parte della banca l'essersi conformata alle direttive della Banca d'Italia,
non avendo, come sopra detto, questa funzione normativa ovvero poteri di intervento sulle metodologie di
calcolo o sulla valutazione delle poste da inserire nella determinazione del TAEG ai fini dell'art. 644 c.p.
Logico corollario di quanto sopra esposto è che il tasso soglia applicato nel contratto di mutuo per cui è causa,
pari a 19,76%, deve ritenersi superiore al tasso soglia di riferimento (al 15,24%), e pertanto, va dichiarata la
nullità della relativa clausola del contratto di mutuo per contrarietà a norme imperative (art. 644 c.p.).
Alla declaratoria di nullità parziale del contratto di mutuo stipulato tra le parti, consegue necessariamente, in
applicazione della normativa sulla ripetizione di indebito, la condanna delle parti convenute, in via solidale tra
loro, a restituire all'attore tutto quanto ricevuto oltre il capitale mutuato.
Logico corollario di quanto sopra esposto, pertanto, è la condanna di Finecobansk S.p.A., e Unicredit S.p.A.
in persona dei ll.rr. p.t., in solido tra loro, a restituire al Mirolli le somme in eccedenza versate rispetto alla
somma netta erogata di ? 14.827,26. Su dette somme matureranno gli interessi legali dal momento della
maturazione all'effettivo soddisfo.
Decisa la causa ut supra, tutte le ulteriori istanze, richieste e deduzioni delle parti devono ritenersi assorbite
ovvero rigettate.
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In considerazione della complessità delle questioni giuridiche trattate e della mancanza di un consolidato
orientamento giurisprudenziale sull'argomento si ritiene giusto procedere ad una compensazione complessiva
delle spese di giudizio. Le spese, invece, di C.T.U. graveranno sulle parti convenute, in via solidale.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Mirolli Roberto contro Finecobank S.p.A.
e Unicredit S.p.A., in persona dei ll.rr. p.t., ogni ulteriore domanda, eccezione o istanza disattesa, così decide:
1. accoglie la domanda dell'attore, e per l'effetto,
2. condanna Finecobank S.p.A. e Unicredit S.p.A., in persona dei ll.rr. p.t., in solido tra loro, alla restituzione
al Mirolli delle somme in eccedenza versate rispetto alla somma netta erogata di ? 14.827,26, oltre interessi
legali dalla domanda al soddisfo;
3. compensa integralmente le spese di giudizio tra le parti. Le spese di C.T.U. gravano in via solidale sulle
società convenute.
La presente sentenza si intende pubblicata con la lettura datane in udienza.
Tribunale Macerata n.334, 11 mar 2013 Usura e commissione di massimo
scoperto
Tribunale Macerata
13 febbraio - 11 marzo 2013, n. 334
Giudice Pietro Merletti
Usura e commissione di massimo scoperto
La presente sentenza del Tribunale di Macerata, analizza alcune delle problematiche tipiche del contenzioso
promosso dai clienti delle banche al fine di ottenere la restituzione delle competenze abusivamente addebitate
dall'istituto di credito, unica parte nel rapporto bancario che "tiene il conto".
Nello specifico, viene affrontato il problema della c.d. usura da CMS, ben nota alla S.C., Sezione Penale, ma
poco valorizzata nei procedimenti civili.
Sulla poca difendibilità, sul piano della trasparenza, delle CMS, basti riportare le parole del Presidente
DRAGHI:
"Abbiamo già in passato richiamato l'attenzione sulla commissione di massimo scoperto, un istituto poco
difendibile sul piano della trasparenza. Va sostituita, dove la natura del rapporto di credito lo richieda, con
una commissione commisurata alla dimensione del fido accordato, come avviene in altri Paesi. Una simile
innovazione richiede un complesso adattamento della prassi delle banche. Essa però dovrebbe essere avviata
con decisione, proponendo il cambiamento ai nuovi clienti, anche per evitare il rischio che la questione sia
risolta con gli strumenti operativi della legge".
(Considerazioni Finali del Governatore della Banca d'Italia DRAGHI all'assemblea Ordinaria dei Partecipanti,
in Roma, 31 maggio 2008)
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Per quanto riguarda la CMS è necessario distinguere tra il periodo anteriore all'entrata in vigore del decreto
legge n. 185/2008 e quelli successivi.
Relativamente al primo periodo è evidente la mancanza di una definizione univoca della CMS con la
conseguente differente applicazione della stessa nelle differenti banche.
In particolare, se si prende per buona la definizione della CMS operata dalla Banca d'Italia, secondo cui la
CMS costituisce il corrispettivo della banca a fronte dell'onere di tenere a disposizione del cliente una
determinata somma nell'ambito di un contratto di affidamento, si deve rilevare che la CMS è applicabile solo
alla commissione di affidamento e non certo alla commissione sullo scoperto, dato che si parla di scoperto
(extrafido) solo fuori dei limiti dell'affidamento.
Ma ipotizzando l'applicazione della CMS alla commissione di affidamento, va rilevato come, per consolidata
prassi bancaria, la CMS è sempre stata applicata non sulla parte di fido inutilizzata, bensì, al contrario, sul
massimo importo utilizzato intra fido. Le clausole relative alla CMS, presenti nei contratti bancari, si limitano
genericamente ad indicare la percentuale di commissione di massimo scoperto applicata al conto, senza
specificare su quali importi e per quali periodi venga applicata (cfr. Tribunale di Verbania, Dott. Claudio
Michelucci, sentenza n. 257 del 24 aprile 2013).
Quanto detto comporta l'invalidità di detta clausola ai sensi dell'art. 1346 c.c., in quanto un contratto per essere
valido richiede che l'oggetto sia determinato o determinabile.
Infine, se si accede ad una definizione della clausola di massimo scoperto conforme al suo nome, cioè come
commissione sullo scoperto, allora la clausola suddetta dovrebbe ritenersi illegittima per essere priva di valida
causa negoziale, in quanto onere aggiuntivo agli interessi passivi che la banca già percepisce su quella somma
per effetto dell'utilizzo da parte del cliente. Trattandosi di onere calcolato in percentuale, avrebbe una natura
non dissimile da quella dell'interesse e quindi si tratterebbe di un onere occulto che si va a sommare all'interesse
pattuito, remunerando due volte lo stesso servizio.
Gli interventi normativi successivi al decreto legge n. 185/2008 si sono rivelati, ancora una volta, un pasticcio
di difficile comprensione e foriero di maggiori dubbi rispetto al passato.
Soprattutto le nuove disposizioni sembrano tradire la volontà del legislatore di portare la commissione di
massimo scoperto in via di estinzione, sostituendola con strumenti più trasparenti.
Al contrario, si è generata tanta incertezza a causa dei vari interventi normativi susseguitisi in breve tempo,
così giungendo alla confusa situazione attuale, dovuta alla presenza di numerose contraddizioni all'interno
dello stesso articolo di legge, che favorisce una moltiplicazione degli oneri, spesso di difficile comprensione
circa gli effetti pratici, a carico del correntista.
La CMS, poi, costituisce per la banca un guadagno e non certo un costo e, pertanto, va inserita nel computo
del calcolo dell'usura: tanto è stato pacificamente ammesso dalla stessa Banca d'Italia con la famosa Circolare
del 2 dicembre 2005, alla quale indirettamente la CTU resa dal Tribunale di Macerata fa riferimento.
La questione non è di poco conto: infatti, già in detta circolare della Banca d'Italia le CMS erano trattate, seppur
come una voce a sé stante, come entità sottoposta al calcolo dell'usura e stante anche la qualificazione
soggettiva degli organi bancari e la disponibilità di strumenti di verifica da parte degli istituti di credito non
si può non tener conto anche a livello soggettivo delle conseguenze in campo penale.
Quindi: interessi ultralegali, CMS, spese per operazione, spese fisse di chiusura, spese assicurative, spese
revisione fido, giorni di perdita di valuta sulle operazioni di prelevamento e di versamento, interessi
anatocistici calcolati su detti oneri e riferiti a singoli trimestri (peraltro illegali), costituiscono il costo effettivo
sopportato dal cliente per il credito e rientrano tutte nel calcolo dell'usura, civile e penale.
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Ritenuto in fatto
La società .omissis. aveva acceso il 3 marzo 1995 il rapporto di conto corrente bancario n .omissis.
negli anni successivi erano stati aperti svariati conti anticipi ed erano state effettuate anche numerose
operazioni di anticipi in valuta estera i cui oneri erano confluiti del conto corrente predetto. Tale conto era
stato trasformato nel numero .omissis. ed era stato trasferito nella filiale Macerata 2 Piediripa. Il conto era
ancora acceso ed operativo al momento della notifica dell'atto di citazione. Esponeva che dal 3 marzo 1995
fino alla notifica del citazione da cui sorgeva la presente causa la società attrice aveva intrattenuto con l'istituto
di credito convenuto un rapporto dì conto corrente di corrispondenza. L'attrice aveva sempre effettuato su tale
conto bancario operazioni correlate alla propria attività commerciale. Successivamente all'inizio del
sopraccitato rapporto di conto corrente bancario, alla società attrice era stato concesso dalla banca anche
un'apertura di credito sotto forma di finanziamenti in valuta estera ed anticipi salvo buon fine. La società attrice
aveva così iniziato ad operare avvalendosi degli affidamenti. In seguito all'Istituto bancario aveva
progressivamente variato nel corso degli anni l'importo del credito messo a disposizione della società stessa.
Nel corso degli anni il tasso di interesse nominale applicato era variato in maniera del tutto arbitraria, senza
nessun riferimento all'andamento del tasso ufficiale di sconto e in danno della attrice; inoltre fino al secondo
trimestre del 2006 l'Istituto di credito aveva effettuato sul conto corrente bancario intestato all'attrice la
capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi dovuti dalla correntista. Oltre a ciò, erano stati addebitati a
calzaturificio ulteriori oneri, assolutamente non dovuti ed ingiustificati, a titolo di commissione di massimo
scoperto ed altre competenze come, ad esempio, le spese di tenuta del conto e le valute. Per oltre 10 anni la
società attrice, aveva usufruito dell'apertura di credito e degli affidamenti connessi al suddetto rapporto di
conto corrente pagando competenze elevatissime. Nella situazione di scarsa liquidità, determinata anche dai
tassi esosi richiesti dalla banca, la società, non avendo da subito la forza economica di chiudere il conto, non
aveva comunque potuto fare altro che profondere ogni sforzo per far fronte alle richieste dell'istituto di credito
ma non potendo, nel contempo, impiegare maggiori risorse economiche per incrementare la propria attività
commerciale. Denunciava le norme bancarie uniformi come accordi di cartello. Chiedeva la nullità delle
clausole che imponevano interessi usurari e commissioni non dovute e quindi la restituzione del denaro
indebitamente percepito dalla banca. La Banca si costituiva affermando che l'andamento del conto corrente
era stato del tutto regolare; comunque eccepiva il decorso della prescrizione, riferite a somme versate
precedentemente al decennio decorrente dalla notifica della citazione introduttiva. Contestava la richiesta di
risarcimento del danno. Veniva condotta istruttoria con consulenza tecnica e prova per testi; ed all'esito,
precisate le conclusioni e concessi termini per le memorie conclusionali, la causa veniva spedita a sentenza e
trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
Si ritiene di dover aderire ai metodo del Consulente tecnico, per vero criticato da entrambe le parti, secondo il
quale la commissione di massimo scoperto e le spese fisse accessorie vanno in ogni caso inserite nei calcoli
usurari, ma vanno calcolate con formule separate rispetto a quella del calcolo degli interessi, a meno che l'entità
di tali voci sia talmente sproporzionata rispetto alla prestazione effettuata dall'operatore finanziario da far
ritenere che lo stesso operatore abbia volutamente maggiorato le stesse voci per realizzare ulteriori interessi
passivi, mascherandoli al fine di eludere la normativa antiusura; in tal caso le voci accessorie vanno sommate
agli interessi passivi, diventandone parte integrante. Quanto alla sottoscrizione della .omissis., è stato reperito
il documento denominato benestare di apertura del conto corrente .omissis. con le norme che ne regolavano
l'utilizzo, e all'art. 7 di tali nonne si legge che i rapporti di dare ed avere vengono chiusi contabilmente alla
fine di ogni trimestre solare e con le medesime scadenze periodiche vengono liquidati e capitalizzati gli
interessi creditori e debitori, al netto delle ritenute fiscali ove applicabili; tale documento è privo di data, ma
risale ai primi giorni di aprile 2001, quando è stato sostituito il conto .omissis. con il conto .omissis.. Il conto
era ancora attivo al momento della citazione, per cui non si vede, alla luce dell'intervento chiarificatore della
Corte Costituzionale con sentenza 5 aprile 2012, n 78, con cui espressamente si afferma che le ripetizioni di
indebito oggettivo spesso diventano chiare solo all'atto della chiusura del conto, quale tipo di prescrizione
possa essere invocato nel caso di specie. Per quanto attiene la conoscibilità del variare delle condizioni, con
pubblicità effettuata attraverso gli estratti conto, si ritiene che, in difetto di specificazione del perché di volta
in volta venissero operate tali variazioni, le stesse non potessero legittimamente essere effettuate dalla Banca;
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per cui, tenuto conto che dopo il 2000 la banca ha legittimamente operato la capitalizzazione, ma ha
indebitamente addebitato spese che venivano fatte conoscere al correntista tramite il meccanismo dell'estratto
conto ma non erano state preventivamente approvate per iscritto; e comunque con un tipo di pubblicità su cui
non veniva sufficientemente attirata l'attenzione dei correntista, il quale in caso di modifica sfavorevole ha
sempre un periodo di tempo per disdire il proprio conto, o comunque non approvare tali modifiche se introdotte
senza giustificazione ed unilateralmente, si prende il conteggio 5 c del Ctu (non il 5 d per comodità di calcolo)
e lo si addiziona di tutte le spese globalmente emerse dal prospetto 2 a (sempre illegittime perché non si è mai
trovato il contratto originario firmato; poco importa che il funzionario rammenta che è stato firmato con il
sistema della carta copiativa, che è quello che normalmente succede; la banca non ha alcuna giustificazione
per non essersi tenutali documento originario del 95 da cui sono partiti i rapporti, e quindi tutte le condizioni,
tra .omissis. e Banca di Roma). Ne deriva che la Banca dovrà restituire al correntista la somma indebitamente
percetta pari ad euro 123.156,42, al correntista dovute per indebito superamento dei tassi soglia, indebita
applicazione delle commissioni di massimo scoperto, ed indebita applicazione di spese che non sono mai state
preventivamente approvate dal correntista, di cui non è mai stato prodotto il documento originario da lui
sottoscritto. Trattandosi di ripetizione di indebito, le somme come determinate saranno dovute con interessi in
misura legale dalla data della notifica della citazione al saldo effettivo.
Ciò ribadendo che il sistema di capitalizzazione dopo il 2000 prevedendo pari periodi tra interessi attivi e
passivi è sostanzialmente corretto. Si prende atto che ulteriori richieste di risarcimento danno non sono
state riproposte nelle conclusioni, e comunque in merito ad esse non è stata formulata alcuna prova, per cui
devono ritenersi in fatto abbandonate. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie per quanto di ragione la domanda proposta da .omissis. contro Banca di Roma Spa ora
Unicredit spa e condanna la convenuta Unicredit S.p.A. a pagare alla .omissis. la complessiva somma di
euro 123.156,42, oltre interessi, in misura legale, dalla data della citazione della domanda al saldo
effettivo. Condanna la convenuta Unicredit S.p.A. alla rifusione delle spese di costituzione e
rappresentanza in favore di .omissis. che liquida in complessivi euro 9.000,00 per compensi, oltre spese
di ctu come liquidate, spese di ctp come fatturate, altri esborsi documentati, ed accessori di legge.
Tribunale Taranto, 11 mar 2013 Conto corrente bancario - Nullità di clausole
relative all'apertura di credito - Ripetizione di somme indebitamente versate Onere della prova a carico del correntista Costante variazione del tasso
Tribunale di Taranto
11 marzo 2013
Conto corrente bancario - Nullità di clausole relative all'apertura di credito - Ripetizione di somme
indebitamente versate - Onere della prova a carico del correntista - Costante variazione del tasso - Prova
indiretta del rinvio al cosiddetto uso piazza - Eventuale pattuizione scritta del primo tasso di interesse
Mancanza di pattuizione per le variazioni successive.
Se è vero che dove sia il correntista ad agire per la ripetizione di somme indebitamente versate per effetto
della nullità di alcune clausole che accedono all'apertura di credito sul conto corrente, su di lui grava l'onere
di provare, ai sensi dell'art. 2697 c.c., il fondamento della domanda e quindi la ricorrenza della asserita nullità
ovvero la mancata pattuizione per iscritto del tasso d'interesse passivo ultralegale e delle forme di
remunerazione aggiuntiva di credito elargito dalla banca, è anche vero che, qualora dagli estratti conto
prodotti emerga che il tasso praticato dalla banca abbia subito costantemente variazioni nel corso del
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rapporto, può ritenersi raggiunta la prova che al momento della stipula del contratto fosse stato fatto un rinvio
al cosiddetto uso piazza. Inoltre, anche a voler considerare che il tasso ultralegale sia stato pattuito per iscritto
ai sensi dell'art. 1284 c.c., la circostanza che nel corso del rapporto sia variato costantemente comporta che
il primo tasso pattuito non fosse più vincolante per le parti, con la conseguenza che l'onere di dimostrare la
pattuizione scritta della modifica contrattuale del tasso originariamente pattuito per iscritto o per il periodo
successivo all'entrata in vigore del testo unico bancario finisce con il gravare sulla banca creditrice.
Tribunale di Taranto - II Sezione, in composizione monocratica, dott. Claudio Casarano, ha pronunziato la
seguente
ORDINANZA ex art. 186-quater
nella causa civile iscritta al n. 4853 R.G. anno 2006 Affari Civili Contenziosi promossa da:
Diego V. - rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe De Giorgio;
CONTRO
Banca A. S.p.A., in persona del legale rappresentante - subentrata per incorporazione alla Banca A. S.p.A.
rappresentata e difesa dall'avv. Francesco De Palma;
OGGETTO: "Contratti bancari ."
Conclusioni: le parti rassegnavano quelle in atti e qui da intendersi riportate.
IL FONDAMENTO DELLA DOMANDA
Il sig. Diego V. con atto di citazione regolarmente notificato nei confronti della Banca A. S.p.A., affermava di
aver stipulato, con la Banca Popolare Jonica, agenzia di Massafra, un'apertura di credito in conto corrente
(contraddistinto dal n. 101604-45), con affidamento mediante scopertura.
Il rapporto aveva avuto inizio in data 26-4-1989 e si era estinto in data 11-6-1996 con saldo zero.
L'istante contestava la validità del contratto sotto diversi profili e chiedeva quindi la condanna della banca
alla restituzione di quanto indebitamente percepito, per effetto dell'applicazione di clausole da considerarsi
nulle.
Lamentava in primo luogo l'applicazione di corrispettivi, quali interessi, spese, valute e commissioni di
massimo scoperto non pattuiti per iscritto; in secondo luogo, ex art. 1283 c.c., la vietata capitalizzazione
trimestrale sulle somme risultanti a debito.
L'istante chiedeva quindi che fosse quantificato, con apposita Ctu, l'ammontare delle somme indebitamente
pagate; con la conseguente pronunzia di condanna alla loro restituzione.
LA DIFESA DELLA BANCA E L'ISTRUTTORIA
La banca sosteneva che i tassi, e le altre forme di remunerazione della concessione del credito all'istante,
fossero stati in realtà pattuiti per iscritto.
Ricordava poi che gravava sull'attore in ripetizione l'onere di dimostrare l'asserita nullità della pattuizione di
interesse ultralegale, per mancanza della forma scritta.
L'istruttoria s'incentrava sulla Ctu, chiarimenti ed un suo supplemento.
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L'istante infatti rinunziava alla richiesta di emanazione ex art. 210 c.p.c. di ordine di esibizione del contratto
che fondava il rapporto di conto corrente dedotto in giudizio, dal momento che la difesa della banca
dichiarava che si era provveduto alla sua distruzione, in quanto erano trascorsi più dei dieci anni prescritti
per la sua obbligatoria conservazione.
All'udienza del 17-1-2013 la causa veniva riservata per la eventuale emissione dell'ordinanza ex art. 186quater c.p.c., con la concessione del termine di giorni 30 per note.
LA DIMOSTRAZIONE DELLA MANCATA PATTUIZIONE SCRITTA DELLE CONDIZIONI E LE
ALTRE QUESTIONI
È vero, come sostiene la difesa convenuta, che quando è il correntista ad agire per la ripetizione di somme
indebitamente versate, per effetto in particolare della nullità di alcune clausole che accedono all'apertura di
credito su conto corrente, grava su di lui l'onere di provare, ex art. 2697 c.c., il fondamento della domanda e
quindi la ricorrenza dell'asserita nullità: la mancata pattuizione per iscritto del tasso d'interesse passivo
ultralegale e delle forme di remunerazione aggiuntiva del credito elargito dalla banca.
Ragion per cui quando il cliente della banca non riesce ad ottenere copia del contratto dalla banca, anche ex
art. 210 c.p.c., dovrebbe seguire il rigetto della domanda di ripetizione per la mancata dimostrazione della
nullità in parola.
Tuttavia non considera la difesa convenuta che dagli estratti - conto prodotti è emerso che il tasso praticato
dalla banca variava costantemente nel corso del rapporto e quindi può ritenersi che in realtà indirettamente
sia stata raggiunta la prova che al momento della stipula del contratto fosse stato fatto un rinvio al c.d. uso
piazza, come peraltro solitamente avveniva nel periodo in cui risulta stipulato il contratto; pratica poco
commendevole, che poi giustificava la normativa più stringente adottata con la legge sulla trasparenza
bancaria e con il testo unico bancario.
Peraltro anche a voler considerare che un tasso ultralegale fisso ex art. 1284, 2° comma, c.c., a carico del
cliente correntista, fosse stato pattuito per iscritto, la circostanza che nel corso del rapporto sia variato
costantemente implica che il primo non fosse più vincolante per le parti; e l'onere allora di dimostrare la
pattuizione scritta della modifica contrattuale del tasso originariamente pattuito per iscritto - o per il periodo
successivo all'entrata in vigore del Testo Unico Bancario la pattuizione scritta della clausola autorizzativa
dello ius variandi in materia - finisce con il gravare sulla banca creditrice (arg. dal combinato disposto ex
art. 1284, 2° comma - 2697, 2° comma, c.c.).
In materia di forma scritta prescritta dalla legge per il potere di variare, unilateralmente e sfavorevolmente
per il cliente, il tasso convenuto ha avuto occasione di pronunziarsi la S.C. (29-5-2012, n. 8548):
"In tema di contratti bancari, secondo quanto previsto dagli artt. 6 e 4 l. n. 154 del 1992 e 118 d.lgs. n. 385 del
1993, in ipotesi di variazioni delle condizioni contrattuali in senso sfavorevole per il cliente, l'obbligo di
comunicazione al cliente medesimo sussiste per la banca solamente se ed in quanto essa abbia esercitato il
diritto, contrattualmente previsto, di variare unilateralmente, ed in senso sfavorevole alla controparte, talune
condizioni del contratto medesimo.".
Stessa conclusione per le altre forme di remunerazione aggiuntiva del credito applicate dalla banca, quali le
commissioni di massimo scoperto, le spese e le valute.
Pacifica poi la ricorrenza della nullità dell'applicazione di interessi anatocistici e la sanzione rappresentata
dal mancato riconoscimento di ogni forma di capitalizzazione.
Dunque va accolta la domanda di ripetizione e condannata la banca convenuta al pagamento di euro
83.671,35 (vedi supplemento di Ctu e l'ipotesi 2), oltre interessi dalla notifica della citazione, dovendosi
escludere la malafede della banca (art. 2033 c.c.).
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Le spese del giudizio seguono la soccombenza della banca resistente e si liquidano come da dispositivo,
tenuto conto anche dell'effettiva attività svolta.
P.T.M.
Condanna la Banca A. S.p.A. al pagamento in favore del sig. Diego V. della somma di euro 83.671,35, oltre
interessi dal 6-9-2006;
Condanna la predetta banca al pagamento delle spese processuali sopportate dall'attrice, che si liquidano, in
favore del suo difensore anticipante, in euro 656,12, compreso l'acconto di euro 300,00 versato al Ctu (il
residuo lo pone a carico della banca), ed euro 4.500,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge.
Titolo esecutivo per legge.
C. Appello Lecce n.173, 19 feb 2013 Apertura di credito - Ripetizione degli
interessi anatocistici - Prescrizione dell'azione - Valutazione della natura
ripristinatoria della provvista - Chiusura del conto - Necessità
Corte d'Appello di Lecce
19 febbraio 2013, n. 173
Apertura di credito - Ripetizione degli interessi anatocistici - Prescrizione dell'azione - Valutazione della natura
ripristinatoria della provvista - Chiusura del conto - Necessità.
Apertura di credito - Ripetizione dell'indebito - Allegazione e dimostrazione del fatto costitutivo dell'eccezione
di prescrizione - Necessità - Decorrenza dalla data di chiusura del conto.
Qualora il contratto di apertura di credito sia ancora in corso, non è possibile distinguere, ai fini della
decorrenza della prescrizione decennale per la ripetizione degli interessi anatocistici, se i versamenti del
correntista abbiano avuto o meno solo funzione ripristinatoria della provvista.
In tema di prescrizione del diritto alla ripetizione delle somme indebitamente versate sul conto corrente in
presenza di apertura di credito, qualora la banca non alleghi e dia dimostrazione del fatto costitutivo
dell'eccezione di prescrizione, questa decorre dalla data di chiusura del conto.
La Corte di Appello di Lecce - Sezione Seconda Civile - composta dai Signori:
1) Dott. Giovanni BUQUICCHIO - Presidente
2) Dott. Cinzia MONDATORE – Consigliere
3) Dott. C. INVITTO - Consigliere estensore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 865 del Ruolo Generale delle cause dell'anno
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2010, trattata e passata in decisione all'udienza collegiale del 30 Ottobre 2012
TRA
***
-APPELLANTE
E
***
-APPELLATA ED APPELLANTE INCIDENTALEAll'udienza di precisazione delle conclusioni, i procuratori delle parti hanno così concluso:
I PROCURATORI DELL'APPELLANTE
Voglia l'ecc.ma Corte di appello di Lecce, in integrale riforma dell'impugnata sentenza, rigettare la domanda
attrice, con la condanna dell'appellato alle spese e competenze dei due gradi di giudizio;
I PROCURATORI DELL'APPELLATA E DELL'APPELLANTE INCIDENTALE:
Voglia l'ecc.ma Corte d'Appello di Lecce, così provvedere:
a) Rigettare integralmente l'appello principale proposto dall'appellante e in accoglimento dell'appello
incidentale:
1) Riformare la sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di dichiarare a nullità delle c.m.s. per mancata
pattuizione ed indeterminatezza/indeterminabilità e per l'effetto dichiararla ai sensi degli artt. 1418 e 1346
c.c. procedendo all'espunzione delle stesse dal ricalcalo.
2) Riformare la sentenza impugnata nella parte in cui omette di statuire sulla domanda di rilevamento dei TEG,
rideterminandolo previo calcolo di tutte, le commissioni, le remunerazioni e spese qualsiasi titolo applicate,
nonché le c.m.s. e, per l'effetto, accertare il superamento del tasso soglia disponendo l'eliminazione di ogni
interesse debitore.
3) Riformare la sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di dichiarare la nullità delle spese di tenuta
conto/forfetarie per mancata pattuizione e, per l'effetto, dichiararla ai sensi degli artt. 1418 e 1346 c.c.
procedendo all'espunzione delle stesse dal ricalcolo.
4) Rideterminare il saldo in estratto conto relativamente a tutti i rapporti della *** S.r.l. sulla base delle censure
mosse nel presente gravame e, per l'effetto, liquidarne gli importi a favore della prefata società condannando
l'istituto di credito.
5) Condannare la *** al pagamento di tutte le spese, diritti ed onorari di detto grado di giudizio.
6) In via istruttoria si chiede disporre nuova C.T.U.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 17.2.2005 la società *** in persona del l.r. evocava in giudizio dinanzi
al Tribunale di Lecce, la ***, esponendo di aver intrattenuto con detto Istituto un rapporto di apertura di credito
in c/c, distinto dal n. 124, acceso nel 1991 ed ancora in corso; che a detto rapporto erano stati applicati interessi
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eccessivi, "quasi di natura usuraria" e comunque arbitrariamente determinati, con illegittima applicazione della
capitalizzazione trimestrale anatocistica; inoltre che indebita era l'applicazione della c.m.s. e di spese connesse
al calcolo dei giorni di valuta "fittizia" delle operazioni. Aggiungeva che per effetto dell'indebita locupletazione
di commissioni e di remunerazioni per spese non dovute e conteggio di valuta fittizia, il TAEG (tasso effettivo
medio globale) sarebbe risultato superiore al cd. "tasso soglia", non conseguente nullità della pattuizione
relativa agli interessi, sicché invocava la verifica del tasso effettivo applicato dalla banca per l'accertamento
del superamento del cd. "tasso soglia".
Chiedeva, pertanto, al Tribunale, previa declaratoria della nullità delle predette clausole, di accertare il reale
saldo fra le parti, alla stregua della normativa in materia, con condanna dell'Istituto convenuto al pagamento
delle eventuali somme indebitamente riscosse, oltre interessi maturati.
Instaurato il contraddittorio, la *** contestava sotto ogni profilo la fondatezza della domanda, negando di aver
applicato interessi senza pattuizione scritta, deducendo invece l'esistenza di un accordo scritto sugli interessi
perfettamente valido e legittimo; sostenendo, ancora, la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli
interessi ed invocando, infine, l'intervenuta prescrizione decennale del diritto alla ripetizione delle somme
asseritamente non dovute; concludeva, quindi, per il rigetto della domanda attrice.
Depositata varia documentazione - ivi inclusa la copia del contratto di c/c in esame - ed espletata c.t.u. tecnico
contabile, l'adito Tribunale, in composizione monocratica, con sentenza n. 278/2010, dell'1.10.2010 dep. il
4.10.2010, dichiarava la nullità parziale dei moduli contrattuali in esame, perché al rapporto de quo era stato
applicato un tasso di interesse arbitrariamente determinato, con riferimento all'"uso piazza", in difetto quindi
di valida pattuizione sul punto, con l'illegittima capitalizzazione trimestrale anatocistica, con l'applicazione
della c.m.s. trimestrale e di valute fittizie, non pattuite; e per l'effetto condannava la Banca convenuta al
pagamento in favore della società attrice della somma di ? 411.331,57, oltre interessi legali sui detti importi
dalla domanda al soddisfo; la rifusione delle spese processuali era definita secondo soccombenza.
Riteneva, infatti, il Tribunale che l'eccezione di prescrizione fosse infondata, perché il rapporto era ancora in
corso, sicché il dies a quo per il decorso del termine decennale - coincidente con la chiusura del conto - non si
era ancora verificato. La capitalizzazione trimestrale degli interessi applicata alla banca, era nulla, sicché il
tribunale operava il conteggio per il calcolo di quanto spettante al correntista senza considerare alcuna
capitalizzazione (cd. capitalizzazione semplice). Anche la clausola relativa alla c.m.s. era ritenuta nulla dal
Tribunale, perchè assolutamente indeterminata, e come tale, si risolveva in un maggior aggravio di oneri per
il correntista; parimenti nulla era anche la clausola relativa al calcolo dei giorni di valuta, non effettuato in base
al giorno di ogni singola operazione, bensì in base a conteggio di valute fittizie; infine, anche la clausola
relativa alle spese forfettarie era considerata nulla ex art. 1346 c.c., dal primo giudice per indeterminatezza
della relativa pattuizione. Operato, quindi, un conteggio del dare-avere, sulla base di tali criteri forniti dal
giudicante, il Tribunale riconosceva al correntista le maggiori somme, come indicate dal c.t.u. in applicazione
dei suindicati orientamenti.
Avverso tale sentenza, con atto di citazione del 5.11.2010, la *** proponeva anche appello incidentale,
chiedendo la riforma dell'impugnata sentenza, per i motivi che saranno esposti in prosieguo.
L'appellante *** S.r.l., costituitasi in giudizio, eccepiva l'infondatezza del gravame e proponeva anche appello
incidentale, chiedendo la riforma dell'impugnata sentenza, per i motivi che saranno esposti in prosieguo,
concludendo di conseguenza.
Sulle conclusioni precisate dai difensori delle parti, come in epigrafe, all'udienza collegiale del 30.10.2012, la
causa era trattenuta in decisione, previa concessione dei termini per il deposito della comparsa conclusionale
e della memoria di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
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L'appello proposto è infondato.
Con il primo motivo di gravame l'appellante deduce l'erroneità della sentenza di prime cure per aver disatteso
l'eccezione di prescrizione dedotta dalla banca, sul presupposto che il dies a quo era da ancorarsi alla chiusura
del conto, sicché nelle specie, non essendo intervenuta la chisura, per essere il conto ancora in corso, alcuna
prescrizione si sarebbe maturata. Assume, invece, l'appellante che la prescrizione debba decorrere non già dalla
chiusura del rapporto, bensì da quando si è verificato l'indebito e quindi dalla data dei singoli pagamenti non
dovuti, che si inseriscono nel rapporto stesso.
L'appellata società deduce, tuttavia, per la prima volta in questa sede, l'inammissibilità dell'eccezione di
prescrizione, proposta in prime cure dalla banca; per essere stata tardivamente sollevata dalla convenuta in
prime cure oltre il termine di decadenza di 20 gg. prima della prima udienza.
Rileva preliminarmente la Corte che l'eccezione di decadenza, in cui è incorsa la banca, è ammissibile e
fondata.
Ed invero, giova ricordare che le eccezioni, vietate in appello, ai sensi dell'art. 345, comma 2, c.p.c., sono
soltanto quelle in senso proprio, ovvero quelle "non rilevabili d'ufficio", e non, indiscriminatamente, tutte le
difese, comunque svolte, dalle parti per resistere alle pretese o alle eccezioni di controparte, potendo i fatti su
cui esse si basano e risultanti dalle acquisizioni processuali essere rilevati d'ufficio dal giudice alla stregua
delle eccezioni "in senso lato" o "improprie".
"Le nuove eccezioni vietate in appello, ai sensi dell'art. 345, comma 2, c.p.c., sono soltanto quelle in senso
proprio, ovvero non rilevabili d'ufficio, e non, indiscriminatamente, tutte le difese, comunque svolte dalle parti
per resistere alle pretese o alle eccezioni di controparte, potendo i fatti su cui esse si basano e risultanti dalle
acquisizioni processuali essere rilevati di ufficio dal giudice alla stregua delle eccezioni in senso lato o
improprie." (Cass., 30.1.2012, n. 1303; Cass., 19.5.2011, n. 11015).
Pacifico è invece, che l'eccezione di prescrizione, ai sensi degli artt. 166, 167 e 171, comma 2, c.p.c., vada
proposta dal convenuto almeno 20 gg. prima dell'udienza fissata per la prima comparizione delle parti (art. 163
c.p.c.) - dall'attore nell'atto di citazione, pena la loro decadenza.
La detta decadenza, è rilevabile d'ufficio, atteso che il regime delle preclusioni nel rito civile è posto non solo
a tutela dell'interesse di parte, ma anche dell'interesse pubblico al corretto, celere e concentrato andamento del
processo civile, con la conseguenza che le relative violazioni devono essere considerate pregiudizievoli di un
interesse generale e rilevate d'ufficio dal g.o., anche in presenza di acquiescenza della parte legittimata a
dolersene.
Consegue l'ammissibilità della eccezione di decadenza proposta in questa sede.
Tale eccezione è viepiù fondata, posto che la banca in prime cure ebbe effettivamente a costituirsi direttamente
alla prima udienza e non già fino a 20 gg. prima di detta udienza, di tal che era incorsa in prime cure nella
decadenza dal proporre l'eccezione di prescrizione del diritto del correntista alla ripetizione di somme,
indebitamente trattenute dalla banca. Tale decadenza erroneamente non è stata rilevata ex officio dal Tribunale
in prime cure e tanto legittima da sollevare a siffatta eccezione in questa sede, onde ottenere la declaratoria di
decadenza della banca in ordine alla eccepita prescrizione.
La doglianza è comunque infondata anche nel merito, sol che si consideri come le SS.UU. con sentenza n.
24418/2010, nel definire la questione afferente la decorrenza della prescrizione del diritto alla ripetizione in
materia hanno precisato che "Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato
in conto corrente, il correntista agisca per far dichiarare la nullità della clausola che preveda la corresponsione
di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di
prescrizione decennale, cui tale azione di ripetizione è soggetta decorrere, qualora i versamenti eseguiti dal
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correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in
cui sia stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti siano stati registrati, perchè il
contratto di conto corrente bancario collega le varie operazioni sostituendo ai pagamenti e alle riscossioni, gli
accreditamenti e gli addebitamenti sul conto, attraverso una registrazione contabile continuativa delle diverse
operazioni, non attraverso una compensazione, in senso tecnico, come modalità di estinzione delle obbligazioni
né attraverso pagamenti in senso tecnico".
Qualora, dunque, dopo la cessazione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente,
il correntista agisca per far dichiarare la nullità della clausola, che prevede la corresponsione di interessi
anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione
decennale, cui tale azione di ripetizione è soggetta, decorre ove i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza
del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data di estinzione del saldo di
chiusura del conto, in cui sono stati registrati gli interessi non dovuti.
Nella specie tale principio non può trovare applicazione, posto che il contratto non è cessato, ma è ancora in
corso, di tal ché principio non può distinguersi, ai fini della decorrenza della prescrizione decennale per la
ripetizione degli interessi anatocistici, se i versamenti del correntista abbiano avuto solo funzione
ripristinatoria della provvista, o meno, onde ancorare alla dalla data di estinzione del saldo di chiusura conto,
piuttosto che alla data del singolo versamento, il momento in cui far iniziare a decorrere la prescrizione.
Va aggiunto poi che, se la banca non allega e non prova i1 fatto costitutivo dell'eccezione di prescrizione (ossia
nella specie la finalizzazione del versamento da parte del correntista ad una funzione diversa da quella
ripristinatoria della provvista), la prescrizione va fatta decorrere dalla chiusura conto, senza che possano essere
riaperte in favore della Banca le preclusioni processuali eventualmente già verificatesi.
Alla luce di tali considerazioni l'eccezione di prescrizione va disattesa, confermando la pronuncia adottata dal
Tribunale in prime cure.
Il motivo in esame, tale ragione è infondato, va quindi disatteso.
Al secondo motivo di censura la banca appellante deduce il vizio della sentenza gravata, in relazione alla
applicazione della cd. "capitalizzazione semplice" ed assume, che, contrariamente a quanto ritenuto dal
Tribunale, la nullità della clausola, che prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi, non rendeva
inapplicabile al rapporto qualsiasi forma di capitalizzazione degli interessi dovendo, invece, correttamente
applicarsi al rapporto la cd. "capitalizzazione annuale".
L'assunto non ha pregio.
In ordine alla questione relativa disciplina applicabile al rapporto bancario per effetto della rilevata nullità della
clausola di capitalizzazione trimestrale ex art. 1419 c.c., e per la sostituzione di tale clausola, rileva la Corte
che, a norma dell'art. 1283 c.c., gli interessi scaduti possono ulteriori interessi nella sola ipotesi di interessi
dovuti da almeno sei mesi, subordinatamente alla proposizione di domanda giudiziale - che ne determina la
decorrenza - ovvero al perfezionamento di una convenzione successiva alla scadenza degli interessi stessi. La
stessa disposizione fa comunque salvi gli usi contrari, ma deve trattarsi di veri e propri usi normativi e non di
semplici usi negoziali e interpretativi: pacificamente trattasi di disposizione di carattere imperativo e di natura
eccezionale, volta a consentire al debitore di conoscere al momento della stipulazione della convenzione
anatocistica l'entità del suo debito.
Orbene, secondo l'inseguimento dominante, dal quale non v'è ragione di discostarsi, "la clausola di un contratto
bancario, che preveda la capitalizzazione bimestrale degli interessi dovuti dal cliente, deve reputarsi nulla, in
quanto si basa su un uso negoziale (ex art. 1340 c.c.) e non su un uso normativo (ex art. 1 e 8 dalle preleggi al
c.c.) basa su un uso negoziale (ex art. 1340 c.c.) come esige l'art. 1283 c.c., laddove prevede che l'anatoscismo
(salve le ipotesi della domanda giudiziale e della convenzione successiva alla scadenza degli interessi) non
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possa ammettersi "in mancanza di usi contrari". L'inserimento della clausola del contratto, in conformità alle
cosiddette norme bancarie uniformi, predisposte dall'A.B.I. non esclude la suddetta nullità, poiché a tali norme
deve riconoscersi soltanto il carattere di usi negoziali non quello di usi normativi" (cfr. Cass., 11.11.1999, n.
12507; Cass., SS.UU., 4.11.2004, n. 21).
Inoltre, la S.C. ha avuto modo di puntualizzare che l'uso normativo non può ritenersi formato per opera della
stessa giurisprudenza. Infatti, "anche in materia di usi normativi, così come con riguardo a norme di condotta
poste da fonti-atto di rango primario, la funzione assolta dalla giurisprudenza, nel contesto di sillogismi
decisori, non può essere altra che quella ricognitiva, dell'esistenza e dell'effettiva portata, e non dunque anche
una funzione creativa, della regola stessa. Discende come logico ed obbligato corollario da questa
incontestabile premessa che, in presenza di una ricognizione, pur reiterata nel tempo, che si dimostri poi però
erronea nel presupporre l'esistenza di una regola in realtà insussistente, la ricognizione correttiva debba avere
una portata naturaliter retroattiva, conseguendone altrimenti la consolidazione medio tempore di una regola
che troverebbe la sua fonte esclusiva nella sentenza che, erroneamente presupponendola, l'avrebbero con ciò
stesso creata" (così Cass., SS.UU., 4.11.2004, n. 21).
In conclusione, l'esclusione dell'esistenza di un uso normativo contrario comporta la nullità della clausola, per
l'evidente ragione che questa, prescrivendo la capitalizzazione trimestrale degli interessi, viene a porsi in
contrasto con l'art. 1283 c.c.
Una volte ritenuta la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale ex art. 1419 c.c., - nella sostituzione
di tale clausola si pone il problema della concreta rideterminazione in corso di causa del rapporto bancario
sulla base delle norme ritenute inderogabili.
In pratica, nel momento in cui si assume che la previsione di una capitalizzazione degli interessi non può
essere anteriore alla scadenza degli stessi interessi, si pone il problema di verificare che la capitalizzazione,
comunque inserita in tutti i contratti bancari, sia inoperante in quanto tale (perché prevede un termine di tre
mesi, inferiore a quello di sei mesi indicato dall'art. 1283 c.c.) determinando in sede di ricostruzione del
rapporto in favore della banca il mero comput degli interessi semplici o possa consentire un diverso
meccanismo di capitalizzazione semestrale o annuale.
Afferma l'appellante che l'uso della capitalizzazione annuale avrebbe tutti i presupposti per ritenersi legittimo
ai sensi dell'art. 1283 c.c., anche alla luce della simmetria nel conteggio degli interessi in favore del cliente,
con un parallelismo fra capitalizzazione attiva e passiva.
Tale assunto non è, però, condivisibile.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare il principio che alla nullità della clausola di capitalizzazione
trimestrale degli interessi passivi su conto corrente bancario non consegue un diritto della banca all'anatocismo
semestrale o annuale, non sussistendo alcuna possibilità di sostituzione legale o inserzione automatica di
clausole che dispongano una capitalizzazione degli interessi passivi con una diversa periodicità (cfr. anche
Trib. Roma, 12.1.2007; Trib. Torino, 5.10.2007; Trib. Cagliari, 5.4.2006).
Ed infine, recentemente le SS.UU. della Cassazione, con la sentenza n. 24418 del 2010, risolvendo la questione,
controversa sia in dottrina sia in giurisprudenza relativa all'inapplicabilità o meno al rapporto di qualsiasi forma
di capitalizzazione degli interessi, hanno affermato - fra gli altri - il principio che, in sede di ricostruzione del
rapporto vada esclusa ogni forma di capitalizzazione degli interessi debitori, non essendo configurabile un uso
normativa neppure rispetto alla capitalizzazione annuale degli interessi debitori, mentre è legittima la
capitalizzazione annuale di quelli favorevoli al cliente (art. 7 NBU).
Le SS.UU. della Suprema Corte di Cassazione Civile, SS.UU., 23.11-2.12.2010 n. 24418 così recitano
"dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale per contrasto con il divieto di
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anatocismo stabilito dall'art. 1283 c.c. ... gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza
operare capitalizzazione alcuna".
Alla luce di tali considerazioni la decisione adottata dal primo giudice, che ha ritenuto inapplicabile al rapporto
qualsiasi forma di capitalizzazione degli interessi, è corretta e va confermata anche alla luce della ricordata
pronuncia delle SS.UU., che, se pure successiva alla gravata sentenza, ha accolto l'orientamento di merito già
seguito da questa Corte.
La censura è dunque è priva di pregio.
Parimenti infondata è anche la doglianza relativa alla pattuizione delle c.m.s. e della valuta.
Deduce l'appellante che erroneamente il Tribunale avrebbe rimosso totalmente dal conteggio del dovuto tutte
le spese, gli addebiti per c.m.s. ed il calcolo della valute, effettuato non in base al giorno di ogni singola
operazione, posto che sussisterebbe, a detta della banca un implicito riconoscimento legislativo della legittimità
di tali voci di spese.
Rileva, in contrario la Corte che la documentazione prodotta già in prime cure, contenente le condizioni
contrattuali fra le parti, ivi inclusa la previsione della c.m.s., sottoscritte dal legale rappresentante della società
correntista e dalla banca medesima, rende infondata la censura mossa sul punto dall'appellante, dovendo
condividersi, invece, l'assunto del Tribunale, che ha, invece, escluso l'applicazione delle c.m.s., della valuta
fittizia e delle altre spese al rapporto, poiché non oggetto di apposita convenzione scritta fra le parti, (nel
contratto si fa richiamo alle condizioni generali), ovvero perché caratterizzata la singola pattuizione da
indeterminatezza. È ovvio che la mancata previsione di una, regolamentazione contrattuale specifica sul punto
rende il relativo conteggio, nei modi operati dalla banca, affetto da nullità, per non essere stata alcuna
pattuizione espressamente prevista nel contratto per iscritto. Tanto ha comportato un ulteriore aggravio di
interessi rispetto a quelli convenzionalmente stabiliti per l'utilizzo del conto corrente.
Ulteriore aspetto è poi legato all'indeterminatezza dei criteri per l'applicazione di tali voci di spesa periodica,
che si risolve in un ulteriore profilo di invalidità della pattuizione per indeterminatezza dell'oggetto.
Corretta appare pertanto ed immune da censure, sul punto, la soluzione adottata dal Tribunale in prime cure,
essendo ovvio che le c.m.s., così come i giorni di valuta fittizia e le spese, non vadano conteggiati, in difetto
di apposita convenzione.
Discende da quanto esposto il rigetto del gravame principale e la conferma in parte de qua della gravata
sentenza.
Esaminando invece l'appello incidentale, proposto ritualmente nell'atto di costituzione dalla *** S.r.l., lo stesso
è infondato.
Ed invero, al primo e terzo motivo di appello incidentale, che appare opportuno trattare congiuntamente, perché
concernono doglianze perfettamente sovrapponibili, la deducente lamenta la erroneità della gravata sentenza
perché a) "pur statuendo sulla nullità assoluta delle c.m.s. per mancanza di causa ed indeterminabilità ha
omesso di dichiararne la nullità anche per mancata pattuizione nei moduli contrattuali"; b) pur correttamente
statuendo sulla nullità per indeterminatezza ed indeterminabilità delle spese forfettarie tenuta conto, ha tuttavia
omesso di dichiararne la nullità anche per mancata pattuizione nei moduli contrattuali". Assume la deducente
che la sentenza di prime cure - pur in presenza di apposita domanda in tal senso da parte dell'attore in primo
grado - non avrebbe dichiarato espressamente la nullità delle pattuizioni relative alle c.m.s. e alle spese
forfettarie, anche per mancata pattuizione nei moduli contrattuali, pur non avendole effettivamente considerate
ai fini del conteggio, perché pattuizioni indeterminate e tali da comportare un indebito ulteriore aggravio di
interessi corrispettivi a carico del correntista.
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In disparte il rilevo che la impugnata sentenza contenga, invece, espressamente, nel dispositivo, la declaratoria
di nullità, fra le altre, anche delle clausole in esente, formulata in maniera onnicomprensiva, non limitata solo
ad alcuni aspetti, sicché - con evidente richiamo a quanto indicato in parte motivazionale, - la declaratoria di
nullità dev'essere intesa comprensiva anche del vizio, derivante dalla omessa pattuizione, comunque, il motivo,
va disatteso, perché lo stesso non solo è dedotto in maniera assolutamente generica, ma anche perché difetta
in capo alla parte appellante un interesse apprezzabile a censurare l'ipotizzata omissione della pronuncia, tenuto
conto che dichiarate le clausole contrattuali nulle anche sotto un solo profilo comunque la declaratoria di nullità
renderebbe del tutto improduttive di ogni effetto le pattuizioni contrattuali in esame, con assorbimento di ogni
ulteriore aspetto di invalidità, pure dedotto e non valutato.
Alla luce di tanto difetta l'interesse in capo alla appellante incidentale alla invocata riforma della sentenza, che
la vede sul punto vittoriosa, perché satisfattiva di ogni pretesa.
Ove poi la censura sia stata introdotta, per ottenere un a nuova e diversa quantificazione del credito del
correntista, da conteggiarsi alla luce delle omissioni motivazionali di cui si è detto, la stessa è infondata.
Rileva, invero, la Corte che il Tribunale ha comunque correttamente statuito in sentenza sulla nullità della
clausola contrattuale riguardante le c.m.s., i giorni di valuta e le spese forfettarie di tenuta del conto, per
indeterminatezza delle stesse. Il c.t.u. poi ha operato il conteggio correttamente attenendosi alle indicazioni del
giudicante e alle previsioni contrattuali, espungendo quelle voci non dovute, sicché la tesi prospettata dalla
*** in questa sede, che cioè il consulente non abbia provveduto allo storno anche di tali ulteriori addebiti non
solo è dedotta in maniera assolutamente generica, ma non corrisponde a verità, posto che il c.t.u. ha eliminato
comunque dal conteggio del dovuto tutte le voci non previste, né determinate in contratto, fra cui rientrano
anche le c.m.s. e le spese di tenuta del conto, di cui si parla e tanto a prescindere dalle declaratoria di nullità
anche per mancata pattuizione nei moduli contrattuali.
Giova ricordare che il c.t.u. in prime cure ha evidenziato come il contratto, sorto il 24.7.1991 non prevedesse
nulla per c.m.s., spese e valute, così come per tasso di interesse creditore, mentre l'interesse debitore era fissato
al 19%, anche se in concreto sarebbe stato applicato dalla banca un tasso inferiore. Successivamente sarebbe
intervenuta una pattuizione del 16.7.1996 e solo non 2002 (11.9.2002) sarebbero state pubblicizzate le nuove
condizioni relative alle c.m.s.: alla luce di tanto il c.t.u. ha effettato il conteggio tenendo correttamente conto
di tutte queste pattuizioni, come così evidenziate.
La censura è pertanto, oltre che inammissibile per difetto di interesse, comunque, per quanto già detto
infondata.
I motivi di gravame all'esame della Corte vanno, pertanto, disattesi.
Con il secondo motivo di gravame incidentale, l'appellante si duole, invece, del fatto che il Tribunale abbia
escluso la usurarietà dei tassi di interesse, avendo omesso ogni indagine tecnica sul punto.
Assume la *** S.r.l. che il tasso applicato dalla banca, anche se era stato concordato per iscritto, sarebbe stato
in concreto - stante l'applicazione di ulteriori aggravi dei tassi, in conseguenza del conteggio di c.m.s., valute
e spese non dovute - superiore alla soglia stabilita dalla legge, sicché era da ritenersi "usurario" e quindi
avrebbe dovuto essere sostituito dal tasso determinato in base alle norme del T.U.B., in tal senso integrandosi
ex art. 1339 c.c. il regolamento negoziale, non potendo essere le ragioni della società correntista soddisfatte
solo dal mancato computo di dette voci dal conteggio. Evidenzia, quindi, l'appellante che sarebbe dovuto essere
demandato al c.t.u., anche una indagine sul punto.
La censura è infondata.
Rileva, invero, la Corte, che il rapporto bancario che ne occupa è sorto nel 1991, quindi in epoca anteriore alla
L. n. 108/96, che pertanto non può trovare applicazione nella specie.
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A seguito dell'entrata in vigore della L. n. 108 del 1996, che ha introdotto i criteri per la individuazione della
soglia oltre la quale gli interessi devono considerarsi usurari e che ha previsto la nullità delle clausole che un
tale tasso prevedono, la giurisprudenza si è attestata nel senso della sua operatività anche per i contratti stipulati
anteriormente, limitatamente però agli effetti "ancora in corso", vale a dire agli interessi non ancora maturati
(Cass., n. 14899/2000; Cass., n. 1226/2000; Cass., n. 5286/2000).
Successivamente è intervenuto però, il D.L. 29.12.2000, n. 394, convertito con modificazioni nella L.
28.2.2001, n. 24, il quale con una norma di interpretazione autentica, ha previsto che "ai fini dell'applicazione
dell'art. 644 c.p. e dell'art. 1815 c.c., comma 2, si intendano usurari gli interessi che superano il limite stabilito
dalla legge al momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo,
indipendentemente dal momento del loro pagamento". Tale norma ha superato peraltro il vaglio della Corte
Costituzionale che ne ha dichiarato la legittimità costituzionale con sentenza n. 14-25.2.2002, n. 29.
Pertanto, in base a tale nuova disciplina, sono venute meno le condizioni per paralizzare la operatività delle
clausole stipulate prima dell'entrata in vigore della L. n. 108 del 1996, l'art. 1 e che abbiano determinato il
saggio degli interessi in misura usuraria in relazione ai criteri stabiliti da detta disposizione (in tal senso Cass.,
n. 13868/2002).
Nell'ipotesi in esame il rapporto di c/c è stato stipulato in data 24.7.1991, in epoca precedente alla L. n. 108
del 1996, con conseguente inoperatività "ratione temporis" di tale disciplina, che impone di far riferimento al
momento in cui gli interessi sono promessi o convenuti.
"I criteri fissati dalla L. 7.3.1996, n. 108, per la determinazione del carattere usurario, degli interessi non
trovano applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori all'entrata in vigore della stessa legge, come emerge
dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell'art. 1, comma 1, D.L. n. 39.12.2000, n. 394 (conv., con
mod., nella L. 28.12.2001, n. 24)" (Cass. Civ., Sez. 1, 19.3.2007, n. 6514).
Nel medesimo senso, si pone la giurisprudenza di legittimità. (cfr. Cass., 25.3.2003, n. 4380; Cass., 24.9.2002,
n. 13868, alle quali adde Cass., 22.7.2005, n. 15497 e Cass., 4.4.2003, n. 5324) secondo cui la disciplina
relativa ai tassi di interesse sui mutui introdotta dalla L. 7.3.1996, n. 108, recante disposizioni in materia di
usura - e quindi anche quella dettata dall'art. 1 D.L. 29.12.2000, n. 394, conv. in L. 28.2.2001, n. 24, di
interpretazione autentica della precedente - non può essere applicata a rapporti completamente esauriti prima
della sua entrata in vigore, senza che rilevi, in senso contrario, la pendenza di una controversia sulle
obbligazioni derivanti dal contratto e rimaste inadempiute, le quali non implicano che il rapporto contrattuale
sia ancora in atto, ma solo che la sua conclusione ha lasciato in capo alle parti, o ad una di esse, delle ragioni
di credito.
Giova ricordare, inoltre, che la L. 28.2.2001, n. 24, di conversione del D.L. 29.12.2000, n. 394, di
interpretazione autentica della L. 7.3.1996, n. 108, che ha fissato la valutazione della natura usuraia del tassi
d'interesse al momento della convenzione e non a quello della dazione, non si applica solo ai rapporti di mutuo
ma a tutte le fattispecie negoziali che possano contenere la pattuizione d'interessi usurari, salvo che il rapporto
contrattuale non si sia esaurito anteriormente alla data di entrata in vigore della L. 7.3.1996, n. 108, senza che
rilevi la pendenza successiva di una controversia riguardante le ragioni di credito di una delle parti, dovendo
trovare applicazione, in tale fattispecie, l'ordinaria disciplina della successione delle leggi nel tempo. (da ultimo
Cass. Civ., Sez. I, 12.7.2007, n. 15621).
E, comunque, rileva la Corte, che gli esiti della c.t.u. svolta nel corso del giudizio di primo grado escludono
che il tasso di interesse applicato al rapporto in questione abbia mai superato il limite del cd. "tasso soglia",
posto che non è stato evidenziato dal consulente alcun superamento di detto limite.
Il motivo di censura va disatteso.
L'appello incidentale va, quindi, integralmente rigettato.
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Tutte le altre questioni restano assorbite.
La parziale reciproca soccombenza impone di compensare per metà fra le parti le spese di questo giudizio,
anche alla luce della peculiarità della questione di diritto affrontata e dei recentissimi arresti giurisprudenziali
interventi in materia, ponendosene la restante parte a carico della banca soccombente in base all'esito
complessivo della lite.
Le spese, poi, sono liquidate come in dispositivo, in applicazione dei nuovi parametri introdotti con D.M.
20.7.2012, n. 140 che - anche se sopravvenuto in corso di causa - si applica anche ai giudizio pendenti, giusta
art. 42 del D.M. citato che fissa come parametro di riferimento temporale per l'applicazione della tariffa il
momento (dinamico), in cui il giudice deve liquidare il compenso. "L'art. 41, infatti, deve essere letto nel senso
che i nuovi parametri debbano trovare applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un
momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad
un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché
tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore
le tariffe professionali abrogate." (Cass., SS.UU., sentenza 12.10.2012, n. 17405, e Cass., SS.UU., sentenza
12.10.2012 n. 17406).
P.Q.M.
La Corte,
definitivamente pronunciando sull'appello proposto da *** in persona del l.r., con atto di citazione notificato
il 5.11.2010, nei confronti di ***, avverso la sentenza del Tribunale di Lecce n. 278/2010 del 1.10.2010 dep.
il 4.10.2010, nonché pronunciando sull'appello incidentale proposto da ***, così provvede:
1. Rigetta l'appello principale, nei limiti e per le ragioni di cui in motivazione;
2. Rigetta, altresì, rappello incidentale;
3. Conferma integralmente l'appellata sentenza;
4. Condanna, inoltre, l'appellante *** alla rifusione in favore di ***, della metà delle spese del presente grado,
che in difetto di specifica, si liquidano in complessivi ? 10.740,00 per compensi, oltre I.V.A. C.A.P. come
per legge, compensandole nel resto fra le parti.
C. Appello Venezia n.342, 18 feb 2013 Usura - Sanzione contenuta nell'art. 1815,
comma 2, c.c. - Conversione del mutuo usurario in mutuo gratuito - Abbandono
del presupposto soggettivo dello stato di bisogno del debitore
Corte d'Appello di Venezia
18 febbraio 2013, n. 342
Usura anche per gli interessi moratori
Usura - Sanzione contenuta nell'art. 1815, comma 2, c.c. - Conversione del mutuo usurario in mutuo gratuito
Abbandono del presupposto soggettivo dello stato di bisogno del debitore - Limite oggettivo della soglia di
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usura - Applicazione a qualunque somma dovuta a titolo di interesse legale, convenzionale, corrispettivo o
moratorio
L'art. 1815, comma 2, c.c., esprime un principio giuridico valido per tutte le obbligazioni pecuniarie e, a
seguito della revisione legislativa operata dall'art. 4 della legge 7 marzo 1996, n. 108 e dalla legge 28 febbraio
2001, n. 24 - di conversione del decreto legge 29 dicembre 2000, n. 394 - esso prevede la conversione forzosa
del mutuo usurario in mutuo gratuito, in ossequio all'esigenza di maggiore tutela del debitore e ad una visione
unitaria della fattispecie, connotata dall'abbandono del presupposto soggettivo dello stato di bisogno del
debitore, a favore del limite oggettivo costituito dalla soglia di cui all'art. 2, comma 4, della citata legge n.
108 del 1996 (tasso medio risultante dall'ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, relativa alla
categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà). La sanzione così stabilita
dell'abbattimento del tasso di interesse applicabile si applica a qualunque somma dovuta a titolo di interesse
legale o convenzionale, agli interessi corrispettivi ed anche a quelli moratori, con la sola esclusione del caso
in cui i rapporti contrattuali che hanno dato luogo alla applicazione degli interessi siano già esauriti alla data
dell'entrata in vigore della legge n. 108/1996.
La Corte d'Appello di Venezia, Sezione Terza Civile, riunita in Camera di Consiglio in persona di:
Dott. Giuseppe SILVESTRE - Presidente
Dott.ssa Antonella ZAMPOLLI - Consigliere Relatore
Dott. Giuseppe DE ROSA - Consigliere ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa promossa in appello con citazione notificata il 4-8-2006
da:
*** col proc. dom. in Venezia-Mestre avv. Franco Zambelli e col
patrocinio dell'avv. Luca Dalle Mule del Foro di Belluno per
mandato a margine dell'atto di citazione in appello
appellante
contro:
*** col proc. dom. in Venezia avv. Maddalena Pognici e col patrocinio dell'avv. Davide
Moretto del Foro di Bologna per mandato a margine della comparsa di costituzione di
nuovi difensori in appello
appellata
Oggetto: riforma della sentenza *** del Tribunale di Belluno - Sezione Distaccata di Pieve di Cadore In punto:
opposizione a D. Ing. *** Causa trattata all'udienza del 27-2-2012.
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CONCLUSIONI:
I procuratori dell'appellante hanno così concluso:
Nel merito:
in riforma dell'appellata sentenza del Tribunale di Belluno, Sezione Distaccata di Pieve di Cadore, ***
depositata il ***, voglia l'Ecc.ma Corte d'Appello di Venezia:
in via principale riformare la sentenza di primo grado nella parte in cui essa ha ritenuto non applicabile agli
interessi moratori la previsione normativa di cui all'art. 1815, comma 2, c.c., per cui
"se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi";
sempre in via principale riformare la sentenza di primo grado nella parte in cui essa ha condannato l'opponente
al pagamento - in aggiunta della somma capitale - di un'ulteriore somma a titolo di interessi, sia alla luce
dell'ultrapetizione e dell'errore di diritto in cui è incorso il giudice di primo grado nel riconoscere gli interessi
dalla data della costituzione in mora, sia per la ragione assorbente della volontà legislativa di escludere
qualunque compenso a titolo d'interessi al mutuante usurario, quand'anche dalla data della domanda giudiziale.
In ogni caso riformare il capo relativo alla compensazione delle spese di primo grado, disponendo che il
relativo carico gravi in tutto o in parte su parte opposta.
Con condanna alla rifusione di spese, diritti ed onorari del presente grado di giudizio.
I procuratori dell'appellata hanno così concluso:
Nel merito: respingersi le domande formulate dall'appellante, in quanto infondate in fatto ed in diritto, per le
ragioni sopra esposte.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari, oltre ad rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. *** non notificata, il Tribunale di Belluno - Sezione Distaccata di Pieve di Cadore,
definitivamente pronunciando nella causa promossa da *** nei confronti della *** intesa ad ottenere la revoca
del decreto ingiuntivo n. ***, notificatogli il ***, per il pagamento di Lit 26.468.459 (Lit 16.108.000 per sorte
capitale e Lit 10.360.459 per interessi di mora), declaratoria di inefficacia delle clausole asseritamente
vessatorie contenute nel contratto di finanziamento risalente al 20-7-1996, applicazione degli interessi di soglia
imposti alla banca per i finanziamenti personali e accertamento della minore entità del proprio debito, detratti
gli acconti versati per complessive Lit 8.216.650 accoglieva parzialmente le domande proposte dall'opponente,
compensava interamente le spese e competenze di lite, poneva a carico della Banca spese e onorari del
nominato Consulente Tecnico Ufficio.
Contro la sentenza - pronunciata nel contraddittorio tra le parti, rigettata l'istanza di provvisoria esecuzione del
decreto ingiuntivo opposto, all'esito di un'istruttoria comprensiva di acquisizione documentale e testimoniale
nonché dell'espletamento di Consulenza Tecnica d'Ufficio (CTU) contabile - ha proposto tempestivamente
appello *** per le ragioni che saranno partitamente esaminate nella parte motiva di questa sentenza, e la banca
appellata - *** - si è costituita per chiedere la reiezione dell'istanza preliminare di sospensione dell'efficacia
esecutiva della sentenza ex art. 283 c.p.c. e la conferma della sentenza impugnata, con vittoria di spese per
entrambi i gradi del giudizio.
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Respinta con ordinanza collegiale del 15-1-2007 l'istanza di sospensiva, senza ulteriore istruttoria, la causa è
stata trattenuta in decisione, dalla scadenza dei termini di legge, sulle epigrafate conclusioni delle parti,
dimesse all'udienza collegiale del giorno 27-2-2012.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Per una compiuta conoscenza dello svolgimento del processo di primo grado e delle rispettive domande,
eccezioni e deduzioni delle parti, si fa testuale rinvio alla relativa esposizione riassuntiva, contenuta nella
sentenza impugnata, che appare esauriente, non risulta da, rettificare e può considerarsi già nota.
Con la sentenza impugnata il primo Giudice, qualificato il contratto come finanziamento concesso a privato e
quindi applicato - nel ricorrente rapporto tra consumatore e professionista - l'art. 1469-bis c.c., ha ritenuto
comprovata la natura vessatoria delle clausole (nn. 3h, 3i) che definivano nel 36% annuo (3% x 12 mensilità)
la misura degli interessi di mora, ha negato la ricorrenza dei presupposti (decadenza dal beneficio del termine,
risoluzione per inadempimento del finanziato) applicativi della clausola penale (ivi, n. di 3j) che imponeva il
pagamento di una ulteriore percentuale del 10% sulle rate a scadere, ha accolto la domanda della Banca di
condanna dell'opponente al pagamento del dovuto per capitale (Lit 19.299.900) e interessi al tasso legale,
detratto il comprovato pagamento di un solo versamento di Lit 5 milioni, non imputabile ex art. 1194 c.c. anche
agli interessi di mora e alla penale (data l'inefficacia/inapplicabilità delle relative clausole), ha così definito il
debito residuo in complessivi Lit 14.299.900/? 7.385,30, ha applicato gli interessi al tasso legale escludendo
l'esonero di cui al 2 comma, dell'art. 1815, c.c., limitato al caso di previsione di interessi compensativi al tasso
usurario, ha negato il risarcimento del non comprovato maggior danno derivante dalla svalutazione monetaria
e compensato le spese e competenze di lite in ragione della reciproca parziale soccombenza, ponendo ad
esclusivo carico della Banca le spese e gli onorari del nominato CTU.
Deduce l'appellante *** a sostegno dell'impugnazione, che il Tribunale avrebbe erroneamente:
1)
ritenuto che non operasse per interessi di mora l'esclusione disposta dal 2 comma, dell'art. 1815,c.c. fissata a presidio sanzionatorio della normativa di tutela di cui alla legge 7-3-1996, n. 108 - e quindi
erroneamente aggiunto alla sorte capita le gli interessi legali, che invece non spettavano a qualsivoglia titolo
nella ricorrente pattuizione di interessi a tasso usurario, atteso il disposto legislativo (cfr.: legge n. 24/2001, di
interpretazione autentica della legge n. 108/1996, e d.l. n. 394/2000, laddove si qualificano usurari gli interessi
che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui si sono promessi o comunque convenuti, a
qualunque titolo, a prescindere dal momento del loro pagamento) e la stessa circolare ABI del 5-1-2001,
2)
riconosciuto il credito per interessi legali, ultra petita, d un alla data della messa in mora, laddove la
stessa creditrice opposta, con la precisazione delle conclusioni, aveva chiesto gli interessi solamente dalla data
della domanda,
3)
compensato integralmente le spese e competenze di Fte, malgrado il credito azionato fosse molto
maggiore rispetto alla condanna e tanto più alla luce dell'ulteriore riduzione da apportare con l'esclusione degli
interessi legali, in accoglimento dell'appello.
- 1) Il primo motivo di appello è fondato e va accolto, con la conseguente riforma parziale della sentenza
impugnata.
L'art. 1815, comma 2, c.c., esprime un principio giuridico valido per tutte le obbligazioni pecuniarie e a seguito
della revisione legislativa operata dall'art. 4 della legge 7-3-1996, n. 108 e dalla legge 28-2-2001, n. 24 - di
conversione del d.l. 29-12-2000, n. 394 - esso prevede la conversione forzosa del mutuo usurario in mutuo
gratuito, in ossequio all'esigenza di maggiore tutela del debitore e ad una visione unitaria della fattispecie,
connotata dall'abbandono del presupposto soggettivo dello stato di bisogno del debitore, a favore del limite
oggettivo della "soglia" di cui all'art. 2, 4 comma, della stessa legge n. 108/1996 (tasso medie risultante
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dall'ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, relativa alla categoria di operazione in cui il credito
è compreso, aumentato della metà).
Diversamente da quanto dedotto nella motivazione della sentenza impugnata, la sanzione così stabilita
dell'abbattimento del tasso di interesse applicabile si applica a qualunque somma fosse dovuta a titolo di
interesse, legale o convenzionale, sia agli interessi corrispettivi che agli interessi moratori, con la sola
esclusione del caso in cui i rapporti contrattuali presupposti dall'applicazione degli interessi fossero già esauriti
alla data dell'entrata in vigore della legge n. 108/96 (cfr.: Cass. Civ., n. 5324/2003).
Con l'entrata in vigore del d.l. 29-12-2000, n. 394, di interpretazione autentica della legge n. 108/96 - convertito
nella legge 28-2-2001, n. 24, a sua volta intervenuta a fugare i dubbi di incostituzionalità della novella (sent.
Corte Cost., 25-2-2002, n. 29) - si dispose che "... ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p. è dell'art. 1815,
comma 2, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui
essi sono stati promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro
pagamento", di guisa che "... la natura usuraria dei tassi di interesse va determinata con riferimento al momento
della convenzione e non a quello della dazione..." (Cass. Civ., nn. 13477/2010, 11632/2010).
Il parametro-limite fissato dal menzionato art. 2 della l. n. 108/96 va quindi applicalo alla convenzione di
finanziamento in questione, risalente al 2007-1996 - a prescindere dalla data della sua rilevazione nella prima
Gazzetta Ufficiale utile a tal fine, che integra retroattivamente il rinvio della norma - ed evidenzia la natura
usuraria degli interessi di mora allora pattuiti.
Pur escludendo l'utilizzazione della perizia penale come fonte di convincimento - nel ricorrente caso di
allegazione di alcuni brani della stessa con la comparsa conclusionale, a contraddittorio "esaurito" - è infatti
documentato e verificato dal CTU (cfr. pagg. 7/10) della relazione 23-9-2005 in atti, Fasc. d'ufficio I grado) il
superamento della soglia fissata per il finanziamento personale, fino quasi a raddoppiare il debito restitutorio,
in evidente violazione dei limiti stabiliti dalla legge (tasso effettivo globale/TEG come rilevato trimestralmente
dal Ministero del Tesoro in relazione ad una classificazione di operazioni per categorie omogenee, moltiplicato
per due terzi).
In accoglimento del primo motivo di gravame, la sentenza impugnata va quindi riformata nella parte in cui
condanna l'odierno appellante anche al pagamento degli interessi di legge maturati e maturandi dalla
costituzione in mora (8-1-1999), con la limitazione della condanna al pagamento della sola sorte capitale di ?
7.385,30.
2) La seconda doglianza, relativa alla risalenza cronologica del termine iniziale per la maturazione
degli interessi, resta ovviamente assorbita dall'accoglimento del primo motivo di gravame.
3) Il primo Giudice aveva ragionevolmente considerato, quale giusto motivo per compensare
integralmente tra le parti le spese e competenze di lite, l'impasse determinatosi nei rapporti tra le parti - sfociato
a forza nella necessità di ricorrere all'autorità giudiziaria - per effetto, da un lato, della esorbitante pretesa della
banca finanziatrice e, dall'altro lato, del minimo e iniziale pagamento di una sola rata, da parte del
debitore/mutuato.
Con questa decisione finale - tenuto conto dell'aumentato grado di soccombenza della società appellata, rispetto
al pur riconosciuto suo credito restitutorio - si ritiene ricorrano giusti motivi per compensare per la metà le
spese e competenze di lite relative ad entrambi i gradi del giudizio e per porre a carico della S.p.A. appellata
la residua metà (corrispondente all'aumento del credito effettivo, rapportato ai pretesi ma negati interessi di
mora), sì come liquidata in dispositivo. La Corte,
P.Q.M.
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definitivamente decidendo nella causa civile di appello iscritta al n. *** R.G., e promossa da *** nei confronti
della ***, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede:
1)
accoglie l'interposto appello e per l'effetto - in parziale riforma della impugnata sentenza n. *** in data
*** del Tribunale di Belluno - Sezione Distaccata di Pieve di Cadore, che per il resto conferma condanna ***
a pagare alla *** la somma di ? 7.385,30,
2)
compensa per la metà fra le parti le spese e competenze di lite relative ad entrambi i gradi del giudizio
e pone a carico della *** sì come in giudizio rappresentata - la residua metà che liquida, per tale quota, in
complessivi ? 1.890,00 per il giudizio di primo grado - di cui ? 650,00 per diritti, ? 1.100,00 per gli onorari e
il resto per spese borsuali - e in complessivi ? 2.070,00 per questo grado di appello - di cui ? 700,00 per diritti,
? 1.250,00 per gli onorari e il resto per spese borsuali - oltre alle spese generali e agli oneri di legge.
Tribunale Catanzaro, 7 feb 2013 interessi usurari - Sistema di calcolo e
accertamento - Riferimento al tasso effettivo - Sussiste (art. 1815 c.c.)
Tribunale di Catanzaro
7 febbraio 2013 Est.
Tallaro
Interessi usurari - Sistema di calcolo e accertamento - Riferimento al tasso effettivo - Sussiste (art. 1815 c.c.)
L'interesse usurario va calcolato facendo riferimento alla formula:
(Omissis)
Fatto e diritto
1. La Banca di Credito Cooperativo della T proponeva ricorso per decreto ingiuntivo nei confronti di A S.r.l.,
AG, FG e SG.
A sostegno della propria pretesa deduceva che in data 11 agosto 1998 aveva stipulato con la A S.r.l. un contratto
di conto corrente bancario. Nel 2006, la società correntista aveva ottenuto un credito di ? 300.000,00, di cui ?
150.000,00 per fido su conto corrente, ? 150.000,00 per anticipo su fatture. Il credito era stato garantito dalle
fidejussioni prestate, sino alla concorrenza di ? 180.000,00, da AG, FG e SG.
Il 4 febbraio 2008, tuttavia, l'istituto di credito ricorrente aveva deciso di revocare l'affidamento in conto
corrente, in considerazione dell'irregolare andamento dello stesso, dell'esposizione oltre il limite del fido, delle
segnalazioni ricevute nell'ambito del sistema bancario, che indicava la società correntista tra le c.d. sofferenze
di sistema.
Chiedeva, dunque, l'emissione del richiesto provvedimento monitorio nei confronti del creditore principale e
dei fideiussori per l'importo di ? 158.442,28, pari allo scoperto di conto corrente in data 30 maggio 2008,
maggiorato di successivi interessi.
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2.
Gli ingiunti proponevano opposizione, sollevando una pluralità di questioni. Si costituiva e insisteva
nella fondatezza della propria pretesa la banca opposta, la quale sollevava pure - in via preliminare - l'eccezione
di inammissibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo.
3.
Occorre esaminare, in primo luogo, l'eccezione preliminare sollevata dalla Banca di Credito
Cooperativa della T S.c.a r.l., la quale deduce che, poiché l'opponente ha assegnato all'opposto un termine a
comparire inferiore a novanta giorni, avrebbe dovuto iscrivere a ruolo la causa nel termine di cinque giorni.
Invece, perfezionatasi la notifica in data 6 dicembre 2008, la causa risulta iscritta a ruolo il 12 dicembre 2008,
cosicché l'opposizione deve ritenersi improcedibile.
L'eccezione, cui l'opponente ha replicato negando la propria volontà di abbreviare i termini ai sensi dell'art.
645 c.p.c., è infondata sul piano fattuale. L'esame del fascicolo di parte opponente, infatti, consente di
riscontrare come l'atto di citazione in opposizione, portato alla notifica il 3 dicembre 2008, sia stato
effettivamente notificato il 9 dicembre 2008 (cfr. avviso di ricevimento allegato all'atto notificato), cosicché
l'opposizione è stata iscritta a ruolo il terzo giorno successivo alla notificazione.
4.1.
Lamentano gli opponenti che il decreto ingiuntivo opposto sia stato emesso in violazione degli
artt. 633, 634 c.p.c. e 50 d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385. Infatti, in sede monitoria l'istituto di credito
avrebbe prodotto dei semplici estratti conto, non muniti della certificazione prevista dal citato articolo
del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, e quindi non idonei a dare prova scritta
del credito.
L'eccezione è fondata: gli estratti conto prodotti dalla banca con il ricorso per decreto ingiuntivo non hanno la
certificazione che, ai sensi dell'art. 50 d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, consente alle banche di ottenere il
decreto ingiuntivo. Né è stato prodotto un documento contabile che consenta l'emissione del provvedimento
monitorio ai sensi degli artt. 633 e 634 c.p.c.
Il decreto ingiuntivo, perciò, deve essere revocato.
4.2.
Come correttamente ha argomentato l'istituto di credito, però, l'opposizione a decreto
ingiuntivo, anche quando è proposta allo scopo di sostenere la illegittimità del ricorso alla procedura
sommaria, instaura comunque un giudizio di merito sul credito vantato e fatto valere dal ricorrente
con la richiesta - che assume veste di domanda - del decreto di ingiunzione, ed il relativo giudizio,
anche quando il decreto sia revocato sul presupposto che non poteva essere concesso, si conclude con
una pronuncia di merito sulla dedotta pretesa (per tutte, Cass. Civ., Sez. III, 10 settembre 2009, n.
19560).
Occorre verificare, quindi, se la pretesa creditoria fatta valere dall'istituto di credito con il ricorso per decreto
ingiuntivo sia o meno fondata.
5.
Assumono gli opponenti che il decreto ingiuntivo sarebbe nullo perché ottenuto sulla base di un
contratto che prevede l'applicazione di interessi usurari.
In particolare, si deduce la nullità della fidejussione prestata AG, FG e SG. invalidità che deriverebbe dalla
pattuizione, nel contratto di conto corrente affidato cui la garanzia è accessoria, di interessi usurari. Essa
determinerebbe la nullità del contratto di conto corrente per illiceità della causa, che si comunicherebbe anche
alle garanzie prestate.
Non vi è chi non veda come la questione dell'usurarietà degli interessi pattuiti in contratto sia sollevata
mediante l'uso di concetti giuridici impropri (vi è, se non altro, la confusione tra nullità del rapporto negoziale
e nullità del provvedimento giurisdizionale).
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Tuttavia, la questione della nullità di un contratto (o di una sua clausola) è rilevabile d'ufficio (si veda Cass.
Civ., Sez. Un., 4 settembre 2012, n. 14828), onde il tema appare meritevole di approfondimento, che
effettivamente è stato espletato anche a mezzo di apposita consulenza tecnica d'ufficio.
5.1.
L'art. 1815 c.c. stabilisce, con riferimento al contratto di mutuo, che se sono convenuti interessi
usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi.
La disposizione, pur dettata con specifico riferimento al contratto di mutuo, è in realtà espressione di un
principio generale, per cui la violazione della norma imperativa, dettata a tutela di un pubblico interesse, che
vieta e punisce penalmente la pattuizione di interessi usurari determina la nullità della clausola, con la
conseguenza che nessun interesse è dovuto dal debitore (si vedano, a titolo d'esempio, Cass. Civ., Sez. I, 22
aprile 2000, n. 5286 e Cass. Civ., Sez. III, 13 giugno 2002, n. 8442, che ritengono applicabile la norma anche
ai contratti di conto corrente bancario).
5.2.
L'art. 644 c.p., nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla l. 7 marzo 1996, n. 108,
attribuisce alla legge il compito di stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Per
la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a
qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.
A proposito, l'art. 2 l. 7 marzo 1996, n. 108, stabilisce che il Ministro dell'Economia rileva trimestralmente il
tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse
quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari,
nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione,
corretti in ragione delle eventuali variazioni del tasso ufficiale di sconto successive al trimestre di riferimento,
sono pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale.
Il limite previsto dal terzo comma dell'art. 644 del c.p., oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito
nel tasso medio risultante dall'ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale relativamente alla
categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà.
L'art. 8, comma 5, lettera d), d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla l. 12 luglio 2011,
n. 106, ha modificato tale ultima previsione, cosicché oggi il tasso soglia corrisponde al tasso medio aumentato
di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il limite e il
tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali.
5.3. Il d.l. dicembre 2000, n. 394, convertito con modificazioni dalla l. 28 febbraio 2001, n. 24, dal canto suo,
stabilisce che ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p. e dell'art. 1815, comma II, del c.c., si intendono usurari
gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque
convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.
Quindi, vi è usura quando gli interessi pattuiti - maggiorati delle commissioni, delle remunerazioni a qualsiasi
titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito - superino il limite
che la legge stabiliva al momento della pattuizione.
Corollario di tale previsione è che, qualora la clausola che prevede gli interessi sia stata pattuita prima che l'art.
8, comma 5, lettera d), d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla l. 12 luglio 2011, n. 106,
modificasse l'art. 2 l. 7 marzo 1996, n. 108, per valutare l'eventuale usurarietà degli stessi occorre verificare
quale fosse il tasso-soglia al momento della stipula, tasso soglia identificato nel tasso medio aumentato della
metà, secondo la formulazione legislativa all'epoca in vigore (peraltro, sulla non retroattività della modifica
normativa, cfr. Cass. Pen., Sez. II, 23 novembre 2011 - 19 dicembre 2011, n. 46669, P.G. in proc. De Masi e
altri).
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5.4. Il contratto di conto corrente oggetto del contendere è stato stipulato l'11 agosto 1998, cosicché il tasso di
usurarietà deve essere valutato a quel momento ed è pari, in base alle indicazioni del consulente tecnico
d'ufficio non contestate da alcuno, al 16,61% (confronta la tav. 1 alla pag. 19 della relazione di consulenza
tecnica d'ufficio e la successiva tav. 2 a pag. 21).
A tale tasso soglia debbono essere confrontati i tassi di interesse effettivamente praticati dalla banca,
ricordandosi che, ai fini della valutazione dell'eventuale carattere usuraio del tasso effettivo globale di interesse
praticato da un istituto di credito, deve tenersi conto anche della commissione di massimo scoperto praticata
sulle operazioni di finanziamento per le quali l'utilizzo del credito avviene in modo variabile (Cass. Pen., Sez.
II, 19 febbraio 2010 - 26 marzo 2010, n. 12028, imp. P.C., Caletti e altri; Cass. Pen., Sez. II, 14 maggio 2010
- 22 luglio 2010, n. 28743, imp. Orsini; Cass. Pen., Sez. II, 23 novembre 2011 - 19 dicembre 2011, n. 46669,
P.G. in proc. De Masi e altri). Ciò indipendentemente da cosa disponessero le istruzioni della Banca d'Italia
circa la rilevazione dei tassi medi praticati.
5.5. L'istituto di credito opposto contesta, per il tramite del proprio consulente tecnico di parte e del proprio
difensore, il metodo adoperato dal consulente tecnico d'ufficio per calcolare il tasso di S.c.a r.l.
L'ausiliario del giudice, in realtà, ha adoperato due diverse formule.
La prima è la formula di calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale), e cioè quell'indicatore di costo
del finanziamento che gli operatori creditizi debbono comunicare al consumatore quando si tratti di erogargli
un credito al consumo (artt. 121 ss. d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385). Essa è rappresentata dalla seguente
equazione:
La seconda formula adoperata dal consulente tecnico d'ufficio è quella adottata dalla Banca d'Italia nelle
istruzioni fornite nel 2009 agli operatori creditizi per il calcolo del TEG (tasso effettivo globale), e cioè quel
dato su cui elaborare il tasso soglia di usurarietà. La formula in questione è indicata dalla seguente equazione:
Negli oneri su base annua sono ricomprese le spese connesse all'erogazione del credito e la commissione di
massimo scoperto.
Il consulente tecnico di parte opposta, dal canto suo, ritiene che la formula da applicare nel caso di specie
debba essere quella adottata dalla Banca d'Italia nelle istruzioni per il calcolo del TEG fornite nel 2006 agli
operatori finanziari, opportunamente modificata allo scopo di tener conto della commissione di massimo
scoperto, in precedenza ignorata nella rilevazione del TEG. La formula è rappresentata dalla seguente
equazione:
5.6. Prima di esprimere una preferenza tra le varie formule indicate dai consulenti intervenuti nel processo,
occorre dar conto di una sagace eccezione mossa dalla difesa dell'istituto di credito opposto nella comparsa
conclusionale.
Si osserva che le istruzioni della Banca d'Italia sulla rilevazione del TEG e perfino i decreti ministeriali di
rilevazione del tasso effettivo praticato nell'ultimo trimestre, da cui ricavare il tasso soglia, hanno natura di atti
amministrativi, cosicché sarebbe inapplicabile il principio jura novit curia, di cui all'art. 113 c.p.c., che va
coordinato con l'art. 1 delle disp. prel. c.c., il quale non comprende detti atti nelle fonti del diritto (così Cass.
Civ., Sez. III, 26 giugno 2001, n. 8742).
Di conseguenza, in questa sede non si potrebbe tener in alcun conto i dati emergenti da tali atti amministrativi,
in quanto non prodotti dalle parti.
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Questo giudicante non può che riconoscere la fondatezza della ricostruzione giuridica richiamata dalla Banca
di Credito Cooperativo T S.c.a r.l., negando valore normativo e ai decreti ministeriali di individuazione del
tasso medio globale e ancor più alle istruzioni emanate dalla Banca d'Italia per il rilievo statistico dello stesso.
Tuttavia, non si può negare che i vari metodi di calcolo del costo complessivo di un finanziamento e il valore
soglia di usurarietà per trimestre rappresentino sapere tecnico-ragioneristico, per accedere al quale è stata
ritualmente disposta consulenza tecnica d'ufficio. Ed è stato proprio l'ausiliario del giudice, nel contraddittorio
con il consulente della parte, ad introdurre le nozioni di cui si sta discorrendo, dalle quali non si può dunque
prescindere.
Contrariamente opinando, si dovrebbe poi coerentemente affermare che nella causa in cui venga disposta una
consulenza tecnica medico-legale non si possano tenere in considerazione le nozioni scientifiche cui faccia
riferimento il consulente, se non siano state prodotte le pubblicazioni scientifiche - certamente non aventi
valore normativo - che tali nozioni riportino.
Ed allora, non può dubitarsi che nell'odierna controversia il giudicante possa adoperare e le formule di calcolo
del tasso effettivo globale, su cui si sono a lungo confrontati il consulente tecnico d'ufficio e quello di parte, e
il dato relativo al tasso soglia di usurarietà.
5.7. Tornando alla verifica della formula da adoperare per calcolare il tasso in concreto applicato al conto
corrente di A S.r.l. dalla Banca di Credito Cooperativo T S.c.a r.l., pare da escludere la prima formula di
calcolo, creata non già per verificare quale sia il tasso effettivo globale praticato dagli istituti di credito onde
individuare il tasso soglia di usurarietà, ma allo scopo di indicare al consumatore che intenda accedere al
credito al consumo il costo totale del credito, espresso in percentuale annua dell'importo totale del credito (art.
121, comma 1, lett. m), d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385).
La seconda e la terza formula, poi, si distinguono perché l'una tiene conto dell'incidenza delle spese
considerandole su base annuale, la seconda le calcola invece su base trimestrale.
Orbene, se la regola generale è che il tasso di interesse si misuri in un valore percentuale in ragione annua (art.
1284 c.c.), questo giudicante non riesce a comprendere per quale ragione l'incidenza delle spese sul tasso
effettivo globale debba essere computato su base trimestrale.
D'altro canto, la stessa Banca d'Italia, nell'elaborare una formula ragionieristica finalizzata a calcolare il tasso
effettivo globale tenendo conto, al contrario di quanto accadeva nel passato, della commissione di massimo
scoperto, ha disposto che si tenga conto delle spese misurate in un valore percentuale su base annua e ha
sintetizzato tale regola nella formula che nuovamente si riporta:
In questa sede, dunque, il rispetto del tasso soglia di usurarietà verrà vagliato facendo ricorso a tale formula.
5.8. Il consulente tecnico di parte opposta pone un problema di omogeneità tra il calcolo del tasso effettivo
globale praticato nel caso di specie dalla Banca di Credito Cooperativo T S.c.a r.l. (calcolo operato oggi, con
una formula elaborata nel 2009 dalla Banca d'Italia, tenendo conto della commissione di massimo scoperto) e
il tasso effettivo globale praticato dagli istituti di credito individuato con decreto ministeriale nel 1998, sulla
base di rilevazioni statistiche che adoperavano una formula ragionieristica diversa e non tenevano conto della
commissione di massimo scoperto.
La problematica segnalata non è banale, e affonda le sue radici nel fatto che le istruzioni della Banca d'Italia,
in cui si prevedeva che la commissione di massimo scoperto non dovesse essere valutata ai fini della
determinazione del tasso effettivo globale degli interessi, si traducevano "in un aggiramento della norma
penale che impone alla legge di stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari" (Cass. Pen.,
Sez. II, 23 novembre 2011 - 19 dicembre 2011, n. 46669, P.G. in proc. De Masi e altri).
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Tuttavia, a ben guardare anche la formula suggerita dal medesimo consulente tecnico di parte pecca di non
omogeneità: anch'essa tiene conto della commissione di massimo scoperto, che invece era stata ignorata ai fini
della rilevazione statistica del tasso effettivo globale praticato dagli istituti di credito nel trimestre di
riferimento.
In ogni caso, appare sufficiente richiamare quanto affermato dalla Suprema Corte, peraltro in un ambito quello penale - caratterizzato da forti presidi a garanzia dell'imputato: "Le circolari e le istruzioni della Banca
d'Italia non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi e nella ipotesi in cui gli istituti bancari si
conformino ad una erronea interpretazione fornita dalla Banca d'Italia in una circolare, non può essere
esclusa la sussistenza dell'illecito. Le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno
efficacia vincolante per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia, neppure quale mezzo
di interpretazione, trattandosi di questione nota nell'ambiente del commercio che non presenta in sé
particolari difficoltà, stante anche la qualificazione soggettiva degli organi bancari e la disponibilità di
strumenti di verifica da parte degli istituti di credito" (Cass. Pen., Sez. II, 23 novembre 2011 - 19 dicembre
2011, n. 46669, P.G. in proc. De Masi e altri).
5.9. Individuata la formula corretta per calcolare il tasso di interesse effettivo globale praticato dall'istituto di
credito opposto, deve affermarsi che esso ha sconfinato il tasso soglia di usurarietà del 16,61% per lunghi
periodi (III e IV trimestre del 2000; I, II, III, IV trimestre del 2001, II, III, IV trimestre 2002; I, II, III, IV
trimestre 2003; IV trimestre 2004).
Alla stregua dell'art. 1815 c.c., deve dunque accertarsi la nullità (relativa) di tutte le pattuizioni che, stabilendo
il tasso di interesse, la misura della commissione di massimo scoperto, l'importo delle spese, hanno avuto come
effetto quello di determinare una remunerazione usuraria del capitale messo dalla Banca di Credito
Cooperativo T S.c.a r.l. a disposizione di A S.r.l.
Il rapporto di dare-avere tra le parti deve quindi essere rideterminato senza applicazione di interessi debitori e
ulteriori oneri.
Il calcolo è stato effettuato dal nominato consulente tecnico d'ufficio e determina un credito per la banca
opposta di ? 47.540,47.
5.10. La circostanza che, all'esito del computo effettuato, risulti un credito a favore dell'istituto di credito
opposto, esclude che questo abbia incassato indebitamente somme di denaro.
Benché, dunque, gli opponenti abbiano, nell'atto di citazione, domandato la condanna della Banca di Credito
Cooperativo T S.c.a r.l. alla restituzione delle somme di denaro indebitamente riscosse da A S.r.l., l'azione
riconvenzionale spiegata risulta palesemente infondata, e quindi meritevole di rigetto.
6. Rimangono assorbite le questioni pur sollevate dagli opponenti in ordine alla determinazione del tasso di
interessi e all'applicazione della capitalizzazione degli interessi passivi scaduti, atteso che l'applicazione di
interessi è stata in toto esclusa.
7.1. Come già anticipato, gli opponenti lamentano anche la nullità della fidejussione prestata da AG, FG e SG..
La nullità deriverebbe dalla pattuizione, nel contratto di conto corrente affidato cui la garanzia è accessoria, di
interessi usurari. Essa determinerebbe la nullità del contratto di conto corrente per illiceità della causa, che si
comunicherebbe anche alle garanzie prestate.
La tesi è priva di fondamento: l'ordinamento appresta, come visto all'art. 1815 c.c., una specifica sanzione nel
caso di clausola che preveda interessi usurari: la nullità (parziale) della singola pattuizione, onde non sono
dovuti interessi a remunerazione della messa a disposizione dei capitali.
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Nel resto, il contratto di conto corrente rimane valido ed efficace, come valide ed efficaci permangono le
garanzie ad esso accessorie.
7.2. Si deduce, a motivo di opposizione, che AG, FG e SG. non avrebbero manifestato espressamente la loro
volontà di costituirsi garanti del debiti di A S.r.l. e che non sarebbe stato determinato un importo massimo alle
garanzie prestate.
Tali doglianze sono prive di riscontro fattuale, posto che l'esame delle lettere di fidejussione prodotte in sede
monitoria dalla Banca di Credito Cooperativo T S.c.a r.l. consente di riscontrare e la manifestazione della
volontà di garantire il debito del correntista, e la limitazione della responsabilità ad ? 180.000,00.
7.3. A motivo di opposizione si allega anche che i moduli mediante i quali sono state prestate le garanzie siano
stati sottoscritti in bianco e siano stati compilati solo in un secondo momento.
Di tali deduzioni, però, non vi è alcuna dimostrazione, onde va disattesa la connessa eccezione di invalidità
del contratto.
7.4. Gli opponenti deducono che l'istituto di credito opposto, revocando ex abrupto il fido concesso ad A S.r.l.,
avrebbe violato il principio di buona fede. Ciò comporterebbe la nullità del contratto (così nelle conclusioni
dell'atto di opposizione) e la responsabilità risarcitoria della banca.
Orbene, da un lato si osserva che la violazione delle regole di condotta non può comportare l'invalidità del
contratto da cui tali obblighi derivano (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724).
Dall'altro lato, si rileva che gli opponenti non hanno allegato quali pregiudizi siano derivati dalla revoca del
fido, cosicché la domanda risarcitoria proposta non può che trovare rigetto.
8.
In conclusione, revocato il decreto ingiuntivo opposto, A S.r.l., AG, FG e SG, debbono essere
condannati, in solido tra di loro, al pagamento, in favore della Banca di Credito Cooperativo della T S.c.a r.l.,
di ? 47.540,47.
Le domande riconvenzionali proposte dagli opponenti vanno, invece, rigettate.
9.
Quanto alle spese di lite, si rileva che vi è soccombenza reciproca. Infatti, il decreto ingiuntivo opposto
è stato emesso in difetto dei requisiti prescritti dalla legge, ma la pretesa creditoria dell'istituto di credito era
fondata, per quanto parzialmente.
Ciò giustifica la compensazione delle spese di lite.
A tale statuizione fanno eccezione le spese di consulenza tecnica d'ufficio che, liquidate come da decreto del
21 giugno 2011, vanno poste a carico della Banca di Credito Cooperativo della T S.c.a r.l.
Ed infatti, la necessità di espletamento delle operazioni di consulenza deriva dall'applicazione, da parte
dell'istituto di credito, di interessi usurari.
10. La circostanza che sia emersa l'applicazione di interessi in misura superiore al tasso soglia di usurarietà
impone la trasmissione di copia degli atti alla Procura della Repubblica presso questo Tribunale per le
determinazioni di competenza.
P.Q.M.
Il Tribunale di Catanzaro,
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condanna A S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, AG, FG e SG., in solido tra
di loro, al pagamento, in favore di Banca di Credito Cooperativo della T S.c.a r.l., in persona del suo legale
rappresentante pro tempore, della somma di di ? 47.540,47
compensa tra le parti le spese e competenze di giudizio, fatta eccezione per le spese di consulenza
tecnica d'ufficio che, liquidate come da decreto del 21 giugno 2011, vanno posta a carico della Banca di Credito
Cooperativo della T S.c.a r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore;
dispone la trasmissione di copia degli atti del presente giudizio alla Procura della Repubblica presso
questo Tribunale.
Cass. Civile n.2072, 29 gen 2013 Interessi ultralegali - Pattuizione - Atto scritto Necessità - Regime anteriore alla legge n. 154 del 1992 Determinazione convenzionale 'per relationem' - Ammissibilità - Requisiti Univocità
Cassazione Civile
29 gennaio 2013, n. 2072, Sez. III
Pres. Petti - Est. Giuseppina Luciana Barreca
Interessi ultralegali - Pattuizione - Atto scritto - Necessità - Regime anteriore alla legge n. 154 del 1992 Determinazione convenzionale "per relationem" - Ammissibilità - Requisiti - Univocità Riferimento al tasso
vigente, alla data di stipulazione del contratto, per il tipo di operazione di credito agrario che ne è oggetto Ammissibilità - Condizioni
Interessi - Anatocismo - Contratti di mutuo agrario di miglioramento di cui alla legge 5 luglio 1928, n. 1760 Anatocismo - Limitazioni di cui all'art. 1283 cod. civ. - Applicabilità - Usi normativi, anteriori al 1942, che
consentissero l'anatocismo oltre i limiti poi previsti da tale norma - Insussistenza Conseguenze
In tema di contratti di mutuo, affinché una convenzione relativa agli interessi ultralegali sia validamente
stipulata ai sensi dell'art. 1284, terzo comma, cod. civ., che è norma imperativa, deve avere forma scritta e
contenere l'indicazione della percentuale del tasso di interesse in ragione di un periodo predeterminato; tale
condizione - che, nel regime anteriore all'entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 154, può ritenersi
soddisfatta anche "per relationem", attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché
obbiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse - si realizza
anche quando il tasso di interesse è desumibile dal contratto, senza alcun margine di incertezza o di
discrezionalità in capo all'istituto mutuante, perché individuato "per relationem" mediante rinvio al tasso
vigente, alla data di stipulazione del contratto medesimo, per il tipo di operazione di credito agrario che ne è
oggetto, effettuata dalla sezione agraria di quel determinato istituto mutuante.
In tema di mutuo agrario di miglioramento disciplinato dalla legge 5 luglio 1928, n. 1760, e con riferimento al
calcolo degli interessi di mora, devono ritenersi applicabili le limitazioni previste dall'art. 1283 cod. civ., non
rilevando, in senso opposto, l'esistenza di un uso bancario contrario a quanto disposto dalla norma predetta e
non essendo l'anatocismo previsto dalla legislazione di settore, in deroga all'art. 1283 cod. civ.; poiché con
riguardo al suddetto mutuo non è dato rinvenire, in epoca anteriore al 1942, alcun uso che consentisse
l'anatocismo oltre i limiti poi previsti dall'art. 1283 cod. civ., sono illegittime tanto le pattuizioni, quanto i
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comportamenti - ancorché non tradotti in patti - che si risolvano in un'accettazione reciproca, ovvero in una
unilaterale imposizione, di una disciplina diversa da quella legale.
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Cass. Civile n.603, 11 gen 2013 Usura ed interessi legali
Cassazione Civile
11 gennaio 2013, n. 603, Sez. I Civile
Pres. Fioretti - Est. Dogliotti
Usura ed interessi legali
Con riferimento a fattispecie anteriore alla L. n. 108 del 1996 (disciplina "anti-usura"), in mancanza di una
previsione di retroattività, la pattuizione di interessi ultralegali non è viziata da nullità, essendo consentito
alle parti di determinare un tasso di interesse superiore a quello legale, purché ciò avvenga in forma scritta.
L'illiceità si ravvisa soltanto ove sussistano gli estremi del reato di usura ex art. 644 c.p.: vantaggio usurario,
stato di bisogno del soggetto passivo, approfittamento di tale stato da parte dell'autore del reato. Valide,
dunque, le predette clausole contrattuali, è esclusa l'automatica sostituzione del tasso originariamente
determinato con quello legale. Al contrario, qualora si tratti di rapporti non esauriti al momento dell'entrata
in vigore della L. n. 108 (con la previsione di interessi moratori fino al soddisfo), va richiamato l'art. 1 L. n.
108 del 1996 che ha previsto la fissazione di tassi soglia (successivamente determinati da decreti ministeriali),
al di sopra dei quali, gli interessi corrispettivi e moratori, ulteriormente maturati, vanno considerati usurari
(al riguardo) e dunque automaticamente sostituiti, anche ai sensi degli artt. 1419, secondo comma e 1319
c.c., circa l'inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi periodi, dai tassi soglia.
Ritenuto in fatto
Con atto di citazione in data 22 ottobre 1996, W.G.M.U. proponeva opposizione avverso decreto ingiuntivo,
emesso dal Presidente del Tribunale di Roma in data 11/06/1996 ed integrato in data
10/07/1996, con cui egli era stato condannato a pagare alla Banca Nazionale del Lavoro la somma di lire
650.450.206, oltre interessi.
Costituitasi, la Banca chiedeva rigettarsi l'opposizione.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 1819/1999 rigettava la domanda.
Avverso la predetta sentenza proponeva appello il W.G..
Si costituiva la Banca, che chiedeva il rigetto dell'appello.
La Corte d'Appello di Roma, con sentenza 26/01-13/09/2005, accoglieva parzialmente l'appello, revocava il
decreto ingiuntivo e condannava l'appellante al pagamento della somma di Euro. 529.660, oltre interessi.
Ricorre per cassazione il W.G.. Resiste, con controricorso, e propone ricorso incidentale la Banca Nazionale
del Lavoro S.p.A..
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Resiste con controricorso al ricorso incidentale il W.G.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente principale lamenta violazione dell'art. 1283 c.c. nonché vizio di
motivazione in punto capitalizzazione degli interessi passivi.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 1815, 1284, 1339 e 1419 c.c., e della L. 7
marzo 1996, n. 108, nonché vizio di motivazione, in ordine alla applicazione del tasso soglia in sostituzione
dei tassi usurari e alla mancata applicazione del tasso legale.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione, circa l'omesso esame delle contestazioni
sollevate sulla consulenza tecnica e l'acritica adesione ad essa.
Con il primo motivo del ricorso incidentale, la Banca Nazionale del Lavoro lamenta violazione degli artt.
183, 189, 342, 345 c.p.c. essendo stata sollevata la questione dell'anatocismo, per la prima volta soltanto in
comparsa conclusionale di appello. Con il secondo, violazione degli artt. 1418 e 1815 c.c., della L. n.
108/1996 e del D.L. n. 394 del 2000, circa l'illegittimità della pattuizione concernente gli interessi
convenzionali anteriormente alla L. n. 108 del 1996.
Per ragioni sistematiche va innanzi tutto esaminato il primo motivo del ricorso incidentale, che va rigettato
in quanto infondato.
Non sussiste, nella specie, alcuna preclusione del giudice di appello ad esaminare la questione relativa
all'anatocismo. La stessa Corte di merito, con motivazione adeguata e non illogica, precisa che già in atto di
opposizione si affermava che l'estratto conto bancario non indicava la misura dell'addebito degli interessi e
la loro decorrenza: si trattava, all'evidenza, di una generale contestazione degli interessi. Senza contare che
la questione dell'anatocismo, secondo giurisprudenza consolidata (per tutte, Cass. n. 6518/2011) può essere
considerata anche d'ufficio.
Quanto al primo motivo del ricorso principale, va precisato che la Corte di Appello esclude, nella specie,
l'esistenza di anatocismo: non vi sarebbero illegittime forme di capitalizzazione degli interessi, trattandosi di
contratto di finanziamento, nel quale la restituzione di singole rate di mutuo costituirebbe l'adempimento di
una unica obbligazione, determinata fin dall'inizio sia nel capitale che negli interessi, secondo il piano di
ammortamento contrattualmente stabilito. L'argomentazione non ha pregio: a nulla rileva l'eventuale
"ammortamento" comprendente capitale ed interessi. In qualsiasi contratto di mutuo o finanziamento, è
sempre possibile distinguere capitale ed interessi corrispettivi. Il divieto di produzione di interessi su interessi
è fissato dall'art. 1283 c.c., ai sensi del quale è ammesso soltanto dal giorno della domanda giudiziale o per
l'effetto di convenzione posteriore alla scadenza degli interessi stessi (sempre che si tratti di interessi dovuti
almeno per sei mesi) salvo usi contrari (ma dovrà trattarsi di usi normativi, e non negoziali o interpretativi).
Il motivo è dunque fondato e va accolto. Quanto al secondo motivo, va precisato che giurisprudenza ormai
consolidata (da ultimo Cass. n. 25182 del 2010) precisa che, con riferimento a fattispecie anteriore (come
pacificamente - nel caso che ci occupa) alla L. n. 108 del 1996 (disciplina "anti-usura"), in mancanza di una
previsione di retroattività, la pattuizione di interessi ultralegali non è viziata da nullità, essendo consentito
alle parti di determinare un tasso di interesse superiore a quello legale, purché ciò avvenga in forma scritta:
l'illiceità si ravvisa soltanto ove sussistano gli estremi del reato di usura ex art. 644 c.p.: vantaggio usurario,
stato di bisogno del soggetto passivo, approfittamento di tale stato da parte dell'autore del reato. Valide
dunque le predette clausole contrattuali, è esclusa l'automatica sostituzione del tasso originariamente
determinato con quello legale. Al contrario, trattandosi di rapporti non esauriti al momento dell'entrata in
vigore della L. n. 108 (con la previsione di interessi moratori fino al soddisfo), va richiamato l'art. 1 L. n. 108
del 1996 che ha previsto la fissazione di tassi soglia (successivamente determinati da decreti ministeriali), al
di sopra dei quali, gli interessi corrispettivi e moratori, ulteriormente maturati, vanno considerati usurari (al
riguardo, Cass. n. 5324 del 2003) e dunque automaticamente sostituiti, anche ai sensi degli artt. 1419,
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secondo comma e 1319 c.c., circa l'inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi periodi, dai tassi
soglia.
Il motivo va dunque rigettato in quanto infondato. Per ragioni sistematiche, va esaminato il secondo motivo
del ricorso incidentale, anch'esso relativo agli interessi usurari.
Il motivo va dichiarato inammissibile in quanto non coglie il senso dell'argomentazione censurata. Non
afferma la sentenza impugnata la nullità delle pattuizioni anteriori alla L. n. 108 del 1996, ma ne precisa
correttamente l'illegittimità degli effetti, relativamente ai rapporti non ancora esauriti, con sostituzione
automatica del tasso divenuto usurario con il tasso soglia, di cui all'art. 1 predetta legge (e successivi decreti
ministeriali).
Quanto al terzo motivo del ricorso principale esso consiste sostanzialmente in una critica all'operato ed ai
conteggi del CTU, in parte circostanziata, in parte generica, a fronte di una motivazione adeguata,
particolarmente analitica e non illogica della sentenza impugnata: in essa si precisa che il CTU, sulla base
della documentazione prodotta, con ragionamento immune da errori e vizi logici ha accertato che la Banca
ha applicato interessi moratori superiori a quanto pattuito nonché al tasso - soglia di cui alla L. n. 108/1996,
e ha effettuato i relativi conteggi, che vengono ampiamente richiamati. Il motivo va pertanto rigettato in
quanto infondato. Conclusivamente va accolto il primo motivo del ricorso principale, rigettati gli altri,
nonché il ricorso incidentale, cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in
diversa composizione, che si atterrà a quanto sopra indicato e pure si pronuncerà sulle spese del presente
giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale; rigetta gli altri nonché il ricorso incidentale; cassa
la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.
Cass. Civile n.602, 11 gen 2013 Usura - Usura sopravvenuta - Rilevanza
Affermazione - Sostituzione automatica - Misura del tasso soglia
Cassazione Civile
11 gennaio 2013, n. 602
Usura - Usura sopravvenuta - Rilevanza - Affermazione - Sostituzione automatica - Misura del tasso soglia.
Trattandosi di rapporti non esauriti al momento dell'entrata in vigore della L. n. 108/1996, va richiamato l'art.
1 di detta legge che ha previsto la fissazione di tassi soglia e affermare che, ove vengano superate le misure
consentite, gli interessi corrispettivi e moratori ulteriormente maturati vanno considerati usurari e dunque
automaticamente sostituiti, anche ai sensi degli artt. 1419, comma 2, e 1339, circa l'inserzione automatica di
clausole, in relazione ai diversi periodi, dai tassi soglia.
La Corte Suprema di Cassazione, Prima Sezione Civile, composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI - Presidente Dott. GIUSEPPE MARIA BERRUTI - Consigliere -
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Dott. SERGIO DI AMATO - Consigliere Dott. MASSIMO DOGLIOTTI - Rel. Consigliere
Dott. ANTONIO DIDIONE - Consigliere ha
pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3093-2006 proposto da:
BANCO D S.p.A. (C.F./P.IVA ***), precedentemente incorporato con atto di fusione alla Banca ***
(ridenominata C S.p.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA FONTANELLA BORGHESE 72, presso l'avvocato VOLTAGGIO ANTONIO, che lo
rappresenta e difende unitamente all'avvocato CARUSO ANTONINO, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente contro
O G, P O, C s.s.;
- intimati sul ricorso 7638-2006 proposto da:
O G (C.F. ***), P O (C.F. ***), C s.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliati in ROMA, PIAZZA ADRIANA 20, presso l'avvocato ANTONELLO LO CONTE, rappresentati
e difesi dall'avvocato SCARAVALLI FABIO, giusta procura a margine del controricorso e ricorso
incidentale;
- controricorrenti e ricorrenti incidentali contro
Banco D S.p.A. (C.F./P. IVA ***), precedentemente incorporato con atto di fusione alla Banca ***
(ridenominata C S.p.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA FONTANELLA BORGHESE 72, presso l'avvocato VOLTAGGIO ANTONIO, che lo
rappresenta e difende unitamente all'avvocato CARUSO ANTONINO, giusta procura a margine del ricorso
principale;
- controricorrente al ricorso incidentale avverso la sentenza n. 292/2005 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 4/2/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/11/2012 dal Consigliere Dott. MASSIMO
DOGLIOTTI;
udito, per il ricorrente, l'avvocato PAOLO VOLTAGGIO, con delega, che ha chiesto l'accoglimento del
ricorso principale, rigetto del ricorso incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per
il rigetto di entrambi i ricorsi.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto ingiuntivo, emesso in data 11/10/1991, il Presidente del Tribunale di Milano intimava alla
società semplice "C" di O G e P O, e gli stessi soci in via tra loro solidale, di pagare al Banco *** S.p.A. la
somma di lire 89.383.223, oltre interessi, quale saldo debitorio di conto corrente, nonché all'O e alla P di
pagare l'importo di lire 63.502.725, oltre interessi, relativo ad altro conto corrente.
Proponevano ritualmente opposizione al provvedimento monitorio la P e l'O (quest'ultimo anche quale
amministratore della società) assumendo l'erroneità dei conteggi presentati e la mancata pattuizione di
interessi ultralegali.
Costituitasi, la Banca chiedeva rigettarsi l'opposizione.
Il Tribunale di Milano, con sentenza depositata in data 15/12/1994, rigettava le domande.
Avverso la predetta sentenza proponevano appello O e P, nonché la società semplice "C". Si costituiva la
Banca, che chiedeva il rigetto dell'appello.
La Corte d'Appello di Milano, con sentenza 15/12/2004 - 4/2/2005, rigettava l'appello.
Proponevano ricorso per cassazione gli appellanti.
Resisteva con controricorso la Banca.
Questa Corte, con sentenza in data 11/11/1999, n. 12507, accoglieva parzialmente il ricorso, con rinvio alla
Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione.
Con atti di citazione rispettivamente notificati in data 12/12/2000 e 15/12/2000, entrambe le parti
provvedevano ad instaurare giudizio di riassunzione. I relativi giudizi venivano riuniti. Veniva disposta ed
espletata CTU contabile.
Con sentenza in data 15/12/2004 - 4/2/2005, la Corte d'Appello di Milano revocava il decreto ingiuntivo,
condannava "C s.s." a pagare ? 75.618,46, nonché O e P a pagare ? 34.499,84, tutti con interessi legali dalla
notificazione del decreto ingiuntivo al soddisfo.
Ricorre per cassazione il Banco *** S.p.A.
Resistono, con controricorso e propongono ricorso incidentale l'O e la P e "C" s.s..
Resiste con controricorso al ricorso incidentale la Banca.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente principale chiede dichiararsi la nullità della sentenza per violazione degli
artt. 383 e 384 c.p.c., in quanto il giudice del rinvio avrebbe pronunciato al di là dei limiti fissati da questa
Corte. Con il secondo, lamenta la violazione dell'art. 324 c.p.c., sussistendo giudicato parziale. Con il terzo
motivo, la ricorrente lamenta violazione degli artt. 1283 e 1284 c.c., nonché vizio di motivazione, in punto
di capitalizzazione degli interessi. Con il quarto, violazione dell'art. 1283 c.c., in punto di capitalizzazione
degli interessi per il periodo successivo alla domanda giudiziale.
Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta violazione del principio di retroattività della legge, in relazione
all'applicazione della disciplina "anti-usura", introdotta dalla L. 7/3/1996, n. 108, a fattispecie antecedente.
Con il sesto, vizio di motivazione in punto di applicazione del tasso legale degli interessi in luogo di quello
convenzionale.
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Con un unico motivo, i ricorrenti incidentali lamentano vizio di motivazione della sentenza impugnata, che
avrebbe riconosciuto gli interessi legali dalla notifica del decreto ingiuntivo su somme capitali, già
maggiorate di interessi.
Vanno innanzi tutto considerati contenuto e limiti del rinvio disposto da questa Corte.
Nella predetta sentenza, si precisa che non sono nulle le clausole di determinazione del saggio di interesse
superiore a quello legale: l'obbligo della forma scritta è rispettato, (art. 1284, comma 3°, c.c.) e l'indicazione
numerica del tasso da praticare rende quest'ultimo predeterminato. Nulle invece le clausole che prevedono
la capitalizzazione trimestrale degli interessi, dando luogo a anatocismo, vietato dall'art. 1283 c.c., che
ammette la produzione di interessi su interessi (scaduti) soltanto dal giorno della domanda giudiziale o per
effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza (sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei
mesi) salvo usi contrari (ma dovrà trattarsi di usi normativi, e non negoziali o interpretativi). Aggiunge questa
Corte che il giudice del rinvio pure esaminerà l'incidenza nella fattispecie concreta della sopravvenuta L. n.
108, già indicata.
La ricorrente sostiene che il divieto della capitalizzazione trimestrale degli interessi non escluderebbe altre
capitalizzazioni, e segnatamente quella annuale. Al contrario, come è evidente, nella predetta sentenza,
questa Corte tratta di capitalizzazione trimestrale perché questa era oggetto di dibattito, ma dal contesto
motivazionale, emerge con chiarezza l'affermazione del divieto di ogni capitalizzazione di interessi su
interessi, ai sensi dell'art. 1283 c.c. (salvo, come si diceva, in caso di domanda giudiziale o convenzione
posteriore alla scadenza di essi).
Bene ha fatto dunque il giudice del rinvio ad escludere qualsiasi capitalizzazione (annuale, semestrale,
trimestrale ecc.), conformemente alle indicazioni del giudice remittente, e secondo orientamento
giurisprudenziale che si è andato consolidando negli anni (tra le altre, Cass., S.U., n. 24418/2010; Cass., n.
9695/2011).
Quanto alla richiesta della Banca di capitalizzazione degli interessi, anche con riferimento al periodo
successivo all'emissione del decreto ingiuntivo (ciò che, ai sensi del predetto art. 1283 c.c. sarebbe
consentito), il relativo motivo è da ritenersi inammissibile, in quanto del tutto generico e non autosufficiente:
non è dato infatti comprendere se ed in che misura tale capitalizzazione sia stata ammessa, dopo il decreto
ingiuntivo, ovvero totalmente esclusa (è assai significativo al riguardo, come si vedrà, che il ricorso
incidentale censuri, all'opposto, la capitalizzazione degli interessi asseritamente effettuata dopo il decreto
ingiuntivo).
La ricorrente principale lamenta altresì che il giudice del rinvio, in applicazione della L. n. 108 del 1996,
abbia dichiarato nulle le clausole dei contratti di conto corrente che determinavano un tasso di interesse
superiore a quello legale, e sostituito, appunto, il tasso praticato con quello legale.
La censura è fondata.
Come si è detto, questa Corte, nella sentenza di rinvio aveva escluso la nullità delle clausole contrattuali
determinanti un interesse superiore a quello legale. Tale profilo dunque non poteva costituire oggetto di
delibazione da parte del giudice del rinvio, e doveva ritenersi coperto da giudicato parziale.
È vero peraltro, come si è detto, che questa Corte, sollecitava il giudice del rinvio a verificare l'incidenza
nella fattispecie concreta della L. n. 108 del 1996. Va peraltro precisato che, pur seguendo tale differente
percorso logico, si perviene, come si vedrà, al medesimo risultato di validità delle clausole contrattuali in
questione.
Giurisprudenza ormai consolidata (da ultimo, Cass., n. 25182 del 2010) precisa che, con riferimento a
fattispecie anteriore (come - pacificamente - nel caso che ci occupa) alla L. n. 108 del 1996, in mancanza di
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una previsione di retroattività, la pattuizione di interessi ultralegali non è viziata da nullità, essendo consentito
alle parti di determinare un tasso di interesse superiore a quello legale, purché ciò avvenga in forma scritta;
l'illiceità si ravvisa soltanto ove sussistano gli estremi del reato di usura ex art. 644 c.p.: vantaggio usurario,
stato di bisogno del soggetto passivo, approfittamento di tale stato da parte dell'autore del reato.
Valide dunque le predette clausole contrattuali, è esclusa l'automatica sostituzione del tasso originariamente
determinato con quello legale, come invece disposto dal giudice del rinvio.
Al contrario, come sembra suggerire lo stesso ricorrente principale, trattandosi di rapporti non esauriti al
momento dell'entrata in vigore della L. n. 108 (con la previsione di interessi moratori fino al soddisfo), va
richiamato l'art. 1 L. n. 108 del 1996 che ha previsto la fissazione di tassi soglia (successivamente determinati
da decreti ministeriali); al di sopra dei quali, gli interessi corrispettivi e moratori ulteriormente maturati vanno
considerati usurari (al riguardo, Cass., n. 5324 del 2003) e dunque automaticamente sostituiti, anche ai sensi
degli artt. 1419, 2° comma, e 1339, c.c., circa l'inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi
periodi, dai tassi soglia.
Va pertanto accolto nei termini suindicati il ricorso principale.
Quanto al ricorso incidentale, si afferma che il giudice del rinvio ha bensì escluso ogni forma di anatocismo,
ma poi, sulla base delle risultanze della CTU, ha determinato gli interessi dalla notifica del decreto ingiuntivo
su somme capitali già maggiorate di interessi. Non si avvedono peraltro i ricorrenti incidentali che la
capitalizzazione, successiva alla domanda giudiziale, è l'unica ipotesi unitamente alla convenzione posteriore
alla scadenza degli interessi stessi, esclusa dal generale divieto di anatocismo.
Va pertanto rigettato il ricorso incidentale.
Accolto dunque, entro i limiti suindicati il ricorso principale, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio
alla Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione, che si atterrà a quanto sopra indicato e pure si
pronuncerà sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale nei termini di cui in motivazione; rigetta quello incidentale; cassa la
sentenza impugnata e rinvia, anche per le *** spese, alla *** Corte d'Appello di Milano in diversa
composizione.
Cass. Civile n.350, 9 gen 2013 Credito e risparmio - Contratti bancari Mutuo
ipotecario - Soglia antiusura - Interessi moratori - Superamento Sussiste
Cassazione Civile
9 gennaio 2013, n. 350, Sez. Prima Civile
Presidente Carnevale - Relatore Didone
Credito e risparmio - Contratti bancari - Mutuo ipotecario - Soglia antiusura - Interessi moratori Superamento
- Sussiste
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Ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 c.c. e dell'art. 644 c.p., si considerano usurari gli interessi che superano
il limite stabilito nella legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, e
quindi anche a titolo d'interessi moratori.
Una donna conviene in giudizio un Istituto di credito con cui ha contratto un mutuo per l'acquisto prima casa,
deducendo che gli interessi praticati dall'Istituto sarebbero usurai. Il Tribunale di Napoli ha rigettato la
domanda volta a sentir accertare l'illegittimità della misura degli interessi stabiliti nel contratto di mutuo, in
relazione alla rata di euro 20.052,48 richiesta dalla banca, sulla base della considerazione che, ai sensi dell'art.
2 della legge n. 108/96, per la determinazione degli interessi usurari i tassi effettivi globali medi rilevati dal
Ministero del Tesoro ai sensi della legge citata devono essere aumentati della metà. La Corte di appello ha
confermato la decisione di primo grado evidenziando che i motivi posti a base dell'appello erano aspecifici
rispetto alla motivazione della decisione del Tribunale.
L'appellante si era limitata a invocare apoditticamente la natura usuraria degli interessi pattuiti senza contestare
i parametri adottati dal primo giudice per valutare la fondatezza della domanda e senza indicare, in concreto,
le ragioni di fatto e di diritto idonee a ribaltare la decisione impugnata. La maggiorazione del 3% prevista per
il caso di mora non poteva essere presa in considerazione, stante la sua diversa natura, nella determinazione
del tasso usurario. Avverso la pronuncia di appello, la donna ha promosso ricorso per Cassazione, accolto in
parte dalla Suprema Corte.
La ricorrente ha dedotto che l'interesse pattuito, inizialmente fisso e poi variabile, era del 10.5%, in contrasto
con quanto è previsto dal D.M. 27 marzo 1998 che indica il tasso praticabile per il mutuo nella misura
dell'8.29%. Tale tasso dovrebbe ritenersi usurario a norma dell'art. 1, comma 4, della legge n. 108/96, a
maggior ragione ove si consideri che era stato richiesto per l'acquisto di un bene primario quale la casa di
abitazione e che dovrebbe tenersi conto della prevista maggiorazione di 3 punti in caso di mora. La censura
nella parte in cui ripete l'assunto, già correttamente disatteso dalla Corte di merito, secondo cui la natura
usuraria discenderebbe dalla finalità del mutuo, contratto per l'acquisto della propria casa, è infondata in
quanto, ai sensi del nuovo testo dell'art. 644, comma 3, c.p. sono usurari gli interessi che superano il limite
stabilito dalla legge ovvero "gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che,
avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano
sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all'opera di mediazione, quando chi
li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria". A tale scopo, non è sufficiente
dedurre che il mutuo è stato stipulato per l'acquisto di un'abitazione. Sempre con riguardo alla censura sul tasso
usurario, la stessa è fondata perché dalla trascrizione dell'atto di appello risulta che parte ricorrente aveva
specificamente censurato il calcolo del tasso pattuito in raffronto con il tasso soglia, senza tenere conto della
maggiorazione di tre punti a titolo di mora, laddove, invece, ai fini dell'applicazione dell'art. 644 del codice
penale e dell'art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il
limite stabilito dalla legge nel momento in cui gli stessi sono promessi o convenuti, a qualsiasi titolo, quindi
anche a titolo di interessi moratori. Il riferimento, contenuto nell'art. 1, comma 1, del decreto-legge n.
394/2000, agli interessi a qualsiasi titolo convenuti rende plausibile l'assunto, del resto fatto proprio anche dal
giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori.
Ritenuto in fatto e in diritto
1.- I.D. ha convenuto in giudizio la S.p.A. I. B. lamentando che il tasso applicato al contratto di mutuo con
garanzia ipotecaria stipulato il 19.9.1996 per l'acquisto della propria casa era da considerare usurario. Il
Tribunale di Napoli ha rigettato la domanda volta a sentir accertare l'illegittimità della misura degli interessi
stabiliti nel contratto di mutuo, in relazione alla rata di euro 20.052,48 richiesta con lettera del 6.11.2001, sulla
base della considerazione che, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 108/96, per la determinazione degli interessi
usurari i tassi effettivi globali medi rilevati dal Ministero del Tesoro ai sensi della citata legge devono essere
aumentati della metà. Considerato che il D.M. 27.03.1998 emesso dal Ministero del Tesoro, prevedeva per la
categoria dei mutui il tasso dell'8.29%, ha quindi, escluso che il tasso contrattualmente fissato potesse essere
ritenuto usurario.
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La Corte di appello, con la sentenza impugnata, ha confermato la decisione di primo grado evidenziando che
i motivi posti a base dell'appello erano aspecifici rispetto alla motivazione della decisione del Tribunale.
L'appellante si era limitato ad invocare apoditticamente la natura usuraria degli interessi pattuiti senza
contestare i parametri adottati dal primo giudice per valutare la fondatezza della domanda e senza indicare, in
concreto, le ragioni di fatto e di diritto idonee a ribaltare la decisione impugnata. Privi di rilevanza erano i
riferimenti allo scopo per cui era stato stipulato il mutuo. Infine, la maggiorazione del 3% prevista per il caso
di mora non poteva essere presa in considerazione, data la sua diversa natura, nella determinazione del tasso
usurario. Da ultimo, ha ritenuto che le richieste istruttorie di ordinare ex art. 210 c.p.c. l'esibizione del carteggio
intercorso tra le parti e di ctu contabile che quantificasse le differenze incassate in eccedenza dalla Banca
fossero inammissibili per la loro genericità e per il carattere meramente esplorativo nonché prive di attinenza
con i motivi posti a base del gravame.
Inammissibili erano le deduzioni per la prima volta proposte nella comparsa conclusionale ove I.D.
cercava di sopperire alle carenze del gravame, indicando, per la prima volta, i tassi, a suo dire applicati (e non
quelli pattuiti rilevanti ai fini dell'azione proposta) ed il tasso soglia che riteneva superato.
I motivi, sul punto, non erano specifici.
2.- Contro la sentenza di appello parte attrice ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi con i
quali denuncia 1) vizio di motivazione e 2) violazione dell'art. 1421 c.c.
Resiste con controricorso la S.p.A. I quale procuratore della S.r.l. C F in luogo della S.p.A. I. Gestione Crediti
quale procuratore di Banca I. nonché quale procuratore della S.p.A. I. Gestione Crediti quale procuratore di
Banca I.
3.1.- Il primo motivo, sub a), contiene riferimenti alla nullità della clausola determinativa degli interessi (con
riferimento al tasso ABI) che risulta si proposta in primo grado ma, sebbene implicitamente disattesa dal
Tribunale, non risulta specificamente (ma neppure genericamente) riproposta in appello (v. trascrizione
dell'atto di appello alle pagg. 3 e 4 del ricorso).
Si che la relativa censura è inammissibile.
Il profilo della censura relativo all'anatocismo - che neppure è menzionato nella sentenza impugnata - risulta
dedotto in appello "in considerazione del fatto che con il piano di ammortamento la Banca ha di fatto applicato
l'anatocismo vietato dalla legge" (v. trascrizione in ricorso, pag. 4).
Nel motivo di ricorso, invece, parte ricorrente lamenta che la banca "pretende interessi sugli interessi
infrannuali come emerge dalle quietanze esibite".
Trattasi di censura affatto nuova - oltre che generica - come tale inammissibile.
3.2.- Quanto al profilo sub b) (usurarietà dei tassi) va rilevato che parte ricorrente deduce che l'interesse pattuito
(inizialmente fisso e poi variabile) era del 10.5%, in contrasto con quanto è previsto dal D.M. 27.03.1998 che
indica il tasso praticabile per il mutuo nella misura dell'8.29%.
Tale tasso dovrebbe ritenersi usurario a norma dell'art. 1, comma 4, della legge n. 108/96 tanto più ove si
consideri che fu richiesto per l'acquisto di un bene primario quale la casa di abitazione e che dovrebbe tenersi
conto della prevista maggiorazione di 3 punti in caso di mora.
La censura sub b), nella parte in cui ripete l'assunto - già correttamente disatteso dalla Corte di merito - secondo
cui la natura usuraria discenderebbe dalla finalità del mutuo, contratto per l'acquisto della propria casa, è
infondata in quanto, ai sensi del nuovo testo dell'art. 644, comma 3, c.p. sono usurari gli interessi che superano
il limite stabilito dalla legge ovvero "gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi
che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano
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comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all'opera di mediazione,
quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria".
E, a tale scopo, non è sufficiente dedurre che il mutuo è stato stipulato per l'acquisto di un'abitazione.
La stessa censura (sub b), invece, è fondata in relazione al tasso usurario perché dalla trascrizione dell'atto di
appello risulta che parte ricorrente aveva specificamente censurato il calcolo del tasso pattuito in raffronto con
il tasso soglia senza tenere conto della maggiorazione di tre punti a titolo di mora, laddove, invece, ai fini
dell'applicazione dell'art. 644 del codice penale e dell'art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono
usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o
comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori (Corte Cost. 25 febbraio
2002, n. 29: "il riferimento, contenuto nell'art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi a
qualunque titolo convenuti rende plausibile - senza necessità di specifica motivazione - l'assunto, del resto
fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi
moratori"; Cass., n. 5324/2003).
3.3.- Sulla censura sub c) (relativa al mancato accoglimento di istanze istruttorie) va ricordato che "il
provvedimento di cui all'art. 210 cod. proc. civ. è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente
apprezzamento del giudice di merito, che non è tenuto ad indicare le ragioni per le quali ritiene di avvalersi, o
no, del relativo potere, il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione,
neppure sotto il profilo del difetto di motivazione" (Sez. 2, Sentenza n. 22196 del 29.10.2010). Peraltro,
l'esibizione a norma dell'art. 210 cod. proc. civ. non può essere ordinata allorché l'istante avrebbe potuto di
propria iniziativa acquisire la documentazione in questione (Sez. 1, Sentenza n. 149 del 10.01.2003), come
nella concreta fattispecie. Il ricorrente, poi, nulla deduce in ordine alla decisività di tale mezzo istruttorio,
anche in considerazione di ciò, che la domanda era limitata alla rata richiesta con lettera del 6.11.2001 e il cui
importo risulta determinato in Euro 20.052,48, in relazione alla quale soltanto erano state formulate le
conclusioni in primo grado e in appello ("la non debenza dell'importo reclamato dalla banca").
4.- Quanto al secondo motivo, la censura è infondata, posto che, pur trattandosi di questione (di diritto)
rilevabile d'ufficio (nullità della convenzione di interessi usurari), gli elementi in fatto sui quali la questione
era fondata e, dunque, l'indicazione del tasso applicato contenuta (soltanto) nella comparsa conclusionale non
poteva che essere ritenuta tardiva, tenuto conto della necessità che i motivi di appello, ex art. 342 c.p.c., siano
specifici e che con la comparsa conclusionale non possono essere dedotte nuove circostanze di fatto che non
siano state già dedotte con l'atto di appello.
È vero, infatti, che la deduzione della nullità delle clausole che prevedono un tasso d'interesse usurario è
rilevabile anche d'ufficio, non integrando gli estremi di un'eccezione in senso stretto, bensì una mera difesa,
che può essere avanzata anche in appello, nonché formulata in comparsa conclusionale, ma ciò a condizione
che "sia fondata su elementi già acquisiti al giudizio" (Sez. 1, Sentenza n. 21080 del 28.10.2005).
5.- Infine, quanto alle difese della banca e alla reiterazione della questione di nullità dell'atto di citazione, va
rilevato che non risulta impugnata con ricorso incidentale l'affermazione della sentenza della corte di merito
(che la resistente ritiene erronea) circa la necessità di riproposizione della questione stessa con appello
incidentale e la conseguente inammissibilità dell'eccezione. Si che sul punto si è formato il giudicato interno.
Da ultimo, quanto all'asserita carenza di interesse ad agire dell'attrice in ordine alla proposta domanda di
accertamento negativo, è appena il caso di evidenziare che l'interesse è sorto dalla richiesta rivolta dalla banca
alla mutuataria. Richiesta che si assume relativa a somme non dovute, previa declaratoria di nullità della
pattuizione di interessi che si assumono usurari.
6.- La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla censura accolta (determinazione del tasso
soglia comprensivo della maggiorazione per la mora) con rinvio alla Corte di appello di Napoli in diversa
composizione per nuovo esame e per il regolamento delle spese.
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P.Q.M.
La Corte rigetta il secondo motivo di ricorso, accoglie il primo nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza
impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia per nuovo esame e per il regolamento delle spese alla Corte
di appello di Napoli in diversa composizione.
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