Corriere del Ticino CULTURA&SPETTACOLI GIOVEDÌ 19 GENNAIO 2012 31 TEATRO A LOCARNO AVEVA 82 ANNI Paolo Poli, impagabile narcisista Addio a Kaplan, la psicoanalista del «femminile» zxy A ottantadue anni suonati Paolo Poli è un personaggio unico del teatro italiano se non addirittura europeo. Perché se non è l’unico ottuagenario a calcare con regolarità i palcoscenici, è sicuramente il solo a farlo en travesti e, soprattutto, sfoggiando una verve, un’ironia e una presenza scenica che, pur nel suo stile inconfondibilmente retro, ha in sé la freschezza e la spavalderia dei vent’anni. È dunque sempre un piacere rivederlo in scena, anche se i suoi spettacoli ormai da almeno una quindicina d’anni seguono tutti il medesimo cliché, con trame che non sono altro che un pretesto per soddisfare il suo sfrenato e incontenibile narcisismo e la sua voglia di entrare ed uscire a ripetizione dalla scena con splendidi costumi e con pose che si rifanno ora all’iconografia delle femmes fatales, ora alle soubrette da avanspettacolo, ma anche ad eleganti e longilinee figure che sembrano uscite da cataloghi di moda della prima metà del Novecento. Nello spettacolo presentato martedì e ieri sera al Teatro di Locarno e intitolato Il mare, il «pretesto» erano una serie di racconti di Anna Maria Ortese, composti nel lungo arco di tempo che va dagli anni Trenta ai Settanta e tratti dai libri Angelici dolori e Il mare non bagna Napoli: testi per lo più autobiografici, delicati acquerelli di vita quotidiana il più delle volte venati di struggente malinconia e dunque – in teoria – poco in sintonia con i toni brillanti tipici delle produzioni di Poli, ma ai quali la straordinaria capacità affabulativa della première dame del teatro italiano, riesce a dare un tono leggero, talora quasi ironico, senza mai scadere nel macchiettismo o nella parodia. A toccare quel settore ci hanno poi pensato gli sketch che fanno da contorno a vari momenti di prosa pura, tra canzoncine che passano in rassegna l’intero Secolo Breve (da Si fa ma non si dice a Come prima passando attraverso le varie Besame mucho Amor, amor, amor, Mambo italiano, Legata ad un granello di sabbia…), ironici balletti che sbeffeggiano con leggerezza una sessantina d’anni di storia italiana, dall’epopea fascista ai miracolosi anni Sessanta, animati prevalentemente dai quattro «boys» Mauro Barbiero, Fabrizio Casagrande, Alberto Gamberini e, in particolare, Giovanni Siniscalco, abilissimo nel passare dai toni drammatici a quelli scanzonati con un’invidiabile naturalezza. Impeccabile, come sempre, sia la scenografia composta da ricchi fondali di Emanuele Luzzati ispirati prevalentemente alla pittura popolare del Novecento, sia la raffinata costumistica curata da Santuzza Calì. Per non parlare degli immancabili «bis» che hanno visto Paolo Poli cimentarsi nella declamazione di alcune fiabe novelle popolaresche, ovviamente sottolineando in modo ironico e malizioso, i loro tratti più scabrosi e che da sole valevano l’intero prezzo del biglietto. zxy La psicoanalista e scrittrice statunitense Louise Janet Kaplan, studiosa di tematiche legate al femminismo e indagatrice delle piccole perversioni al femminile, è morta in un ospedale di Manhattan all’età di 82 anni in seguito ad un tumore al pancreas. Influente psicoanalista e psicoterapeuta, Kaplan ha ricevuto negli USA il National Book Critics Circle Award per i suoi numerosi libri di successo internazionale, di cui sono stati tradotti in italiano Perversioni femminili. Le tentazioni di Emma Bovary, con cui ha disvelato il mondo intimo delle donne, Voci dal silenzio. La perdita di una persona amata e Falsi idoli. Le culture del feticismo. Allieva e collaboratrice agli inizi della carriera di Margaret Mahler, la psicoanalista nota per le ricerche sullo sviluppo nell’infanzia, Kaplan è autrice di una decina di libri e centinaia di articoli sullo sviluppo dei bambini, degli adolescenti e degli adulti. È stata co-direttrice della rivista di psicoanalisi «American Imago», fondata nel 1939 da Sigmund Freud e Hanns Sachs. La sua notorietà è legata in particolare al libro del 1991 Perversioni femminili, portato al cinema con lo stesso titolo nel 1996 dalla regista Susan Streitfeld con il personaggio principale di Eve interpretato dall’attrice Tilda Swinton. MAURO ROSSI NATA NEL 1987 A PECHINO Yuja Wang è considerata un talento unico nel vasto panorama dei giovani pianisti. L’INTERVISTA zxy YUJA WANG «I giovani musicisti cinesi sono in costante ascesa» La pianista si esibirà sabato sera a Chiasso ALBERTO CIMA zxy La musica classica torna al Cinema Teatro di Chiasso sabato sera alle 20.30. Sul palco il volto fresco e le dita di cristallo di Yuja Wang, talento cinese del pianoforte. Acclamata un decennio fa come «enfant prodige», la Wang conferma, a distanza di anni, le sue straordinarie qualità musicali. La ventiquattrenne pianista è famosa per il suo stile, che amalgama la spontaneità, l’immediatezza e l’immaginazione della giovinezza con la disciplina e la precisione di un’artista matura. L’abbiamo incontrata a pochi giorni dal suo debutto a Chiasso, dove nel suo ricco récital eseguirà pagine di Brahms (Fantasie per pianoforte op. 116), Scriabin (Sonata n. 5), Rachmaninov (Etudes-Tableaux Op. 39 n. 4, 5 e 6 ed Elegia Op. 3 n. 1) , Fauré (Ballata in fa diesis maggiore Op. 19), Debussy (Estampes n. 2 - Soirée dans Grenade), Albeniz (Triana) e Ravel (Alborada del Gracioso). Biglietti alla cassa del Cinema Teatro, tramite Ticket Corner e sul sito www.teatri.ch. Yuja Wang, come si è avvicinata al pianoforte? «I miei genitori, entrambi artisti – mio padre è percussionista e mia madre è una ballerina – mi hanno introdotto nel mondo della musica e hanno pensato che il pianoforte fosse il modo miglio- re per farmelo apprezzare. Si è infatti poi scoperto che amavo suonare questo strumento». Quanti anni aveva quando ha lasciato la Cina per vivere in Nord America? «Quattordici. Ho vissuto quel periodo, a Calgary, con una famiglia che mi ha accolto con amore. Mi sentivo a mio agio, come se fossi una dei loro figli». Fa spesso ritorno in Cina? «Ritorno una o due volte l’anno. Qualche volta uno o entrambi i genitori mi fanno visita a New York e spesso, quando sono in tournée, vengono ad ascoltare i miei concerti». Oggi la Cina ha acquistato un posto preminente nel concertismo europeo. Per quale motivo secondo lei? «C’è un immenso serbatoio di talenti in Cina e un’etica di lavoro che, credo, produce buoni risultati. Inoltre i cinesi vedono la musica classica come un elemento importante per lo sviluppo sano dei propri figli e vogliono che questo succeda. Io sono fra i fortunati che possono essere considerati “in carriera” e questo è ciò che i giovani artisti, provenienti dalla Cina, vorrebbero ottenere. Credo che l’ondata di grandi artisti cinesi sia in costante ascesa. Si profila come un “mercato” enorme». Nel 2006 ha vinto il primo premio per Giovani Artisti Gilmore. Cosa ha significato per lei questo riconoscimento? «Sono stata molto felice, ma nello stesso tempo sorpresa. La vittoria, da un punto di vista economico, mi ha permesso di approfondire i miei studi». Nel marzo 2007 ha sostituito la leggendaria pianista Martha Argerich… «Quell’evento è stato molto importante per me. Ho potuto suonare con la Boston Symphony Orchestra, una cosa rara per un giovane della mia età (allora Yuja aveva vent’anni, ndr.). Sono stata molto fortunata ad avere questa possibilità. Qual è il suo musicista preferito? «Non ho un musicista preferito. Me ne piacciono tanti». Quali sono i pianisti che ama maggiormente? «Ne adoro tantissimi, soprattutto in base al repertorio che eseguono. Potrei tuttavia ricordare Horowitz, Cortot, Cziffra, Arrau, Argerich, Kocsis, Barenboim». E per quanto riguarda i direttori? «Abbado, Pappano, Dutoit, Gatti, Barenboim, Temirkanov, Gergiev, Conlon, Inkanen e molti altri». Cosa le piace fare nel tempo libero? «Uscire con gli amici, andare al cinema, vedere balletti, concerti, opere (che adoro) e leggere molto». VIDEO SU www.cdt.ch/k56878 «CELEBRATING DEBUSSY» Sergey Redkin apre il nuovo ciclo il 29 gennaio zxy Si apre domenica 29 gennaio alle ore 17 all’Auditorio Stelio Molo di Lugano-Besso, la nuova edizione della rassegna concertistica «Celebrating», quest’anno dedicata al compositore francese Claude Debussy, organizzata dall’International Piano Association Switzerland in collaborazione con Rete Due e il Corriere del Ticino. Il ciclo, intitolato «Debussy e la Grande Guerra: distruzione e rinascita», prevede sei récital pianistici fino al prossimo mese di ottobre per i quali i nostri abbonati e i nostri giovani lettori possono approfittare di una serie di vantaggiose promozioni su biglietti e abbonamenti, consultabili sul sito www.cdt.ch/promozioni. Il concerto inaugurale, intitolato «Les salons de Paris et une sonate de guerre», vedrà come protagonista il giovanissimo pianista russo Sergey Redkin, nato nel 1991 ma già vincitore di prestigiosi concorsi internazionali. Redkin eseguirà dapprima alcuni Studi per pianoforte di Debussy dedicati «Alla memoria di Frédéric Chopin» e i Notturni n. 6 e 7 di Gabriel Fauré, per poi proporre nella seconda parte del concerto un altro compositore: Sergej Prokofiev e la sua Sonata n. 8 in si bemolle maggiore op. 84, iniziata nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale. SITUAZIONI, MOMENTI, FIGURE zxy SALVATORE MARIA FARES UN FRATE INDOVINO CHE RESISTE N ell’incrociarsi di auguri e di pronostici di inizio anno, nella girandola di letture astrologiche e previsioni d’ogni genere, ho rivisto sul teleschermo anche il volto gioioso di Frate Indovino, il cui ideatore se ne andò proprio dieci anni fa. Il suo popolarissimo Calendario anche dopo la sua morte appare di anno in anno affidato alla cura di altri. Lasciò rammarico allora la scomparsa del vecchio francescano che accompagnava la scansione dei mesi e delle stagioni con le sue massime, i suoi consigli, i suoi pro memoria, le indicazioni esatte dei tempi solari e lunari, per ricordare i doveri che ogni evento recava, dalla semina al raccolto, dalla fienagione alle potature. Quando Frate Indovino, il cui nome era Padre Mariangelo da Cerqueto, che poi era Padre Angelo Budelli, consegnò alle stampe il suo primo almanacco per il 1946, neanche i suoi confratelli avrebbero immagina- to la vasta risposta popolare che avrebbe raccolto. Le tirature salirono costantemente; avere in casa il calendario era una certezza di consigli saggi e di memorie, di motti francescani e di sorrisi popolari. Era un’opera da parete che attirava la massaia e il professionista, il contadino e l’artigiano. Oggi la sua tiratura è di oltre sei milioni di copie e anche da noi ci sono i fedelissimi. A diffonderla ci sono decine di migliaia di veri e propri volontari che irradiano la comunicazione anche porta a porta. A volte il calendario di Frate Indovino diventa un vero cimelio. Sono tanti quelli che ne conservano gli esemplari ma soprattutto se ne conservano quelli degli anni che sono stati cari o memorabili per eventi di ogni genere. Credo di avere da qualche parte il calendario del mio anno di nascita. Era e resta confortante per tutti vedere apparire di anno in anno quel sorriso giocondo e pacioccone che guar- da come un Papà Natale dalla prima pagina, con il migliore degli auguri. La semplicità è la caratteristica del calendario, come rimane il viso tondo e rubizzo del bianco frate che controlla le cucine degli italiani e di tanta gente della Svizzera italiana. Ogni edizione aveva e ha un’ispirazione, un tema introduttivo che richiama il Sacro, i prodigi del Sacro. E anche per l’ultima edizione avvertono che «il tema di fondo si incardina su un evento prodigioso avvenuto nella città di Genova nel gennaio del 1636» da quando cioè «innumerevoli atti spontanei di devozione popolare sono sbocciati intorno alla figura della Madonna rappresentata dalla polena di un veliero irlandese affondato nella darsena». Il curatore del calendario, Mario Collarini, che ha preso il posto del memorabile Padre Mariangelo, tiene a ricordare che il vecchio almanacco è anche un veicolo di memorie che vogliono ispirare o accarezzare quel desiderio di spiritualità che sempre più prepotentemente affiora nei momenti difficili della vita di ognuno. E la spiritualità è anche nelle piccole storie, negli eventi minori o minimi di realtà anche estranee; ecco quindi il calendario che introduce una storia che percorre settemila chilometri di coste, dove se non trovi gli antri delle Sibille puoi incontrare il segno del Divino. Frate Indovino divulgatore quindi, come dall’inizio, anche se il saio veste un autore diverso dall’ideatore dell’opera, che ora – fra commerciale e pratico – appare in versione da tavolo, come avvertono i suoi confratelli editori. È una compagnia quel calendario, come una vecchia e cara abitudine. Quando lo si depone, di anno in anno, la malinconia viene superata dal nuovo sorriso del frate rubizzo. Quando Padre Mariangelo se ne andò lasciò rammarico e molti temettero per il calendario che riapparve però puntuale per dirci ancora a che ore cambia la luna ma anche per ricordarci dalla parete che è meglio sorridere che piangere anche se «piangere troppo spesso ci tocca» e che «quantunque la vita sia tormento, c’è chi desidera vivere anni cento». Non erano massime da premio Nobel ma nelle annate del calendario c’è la tradizione popolare dei proverbi, quelli dei paremiografi più dotti e quelli più dozzinali, ma tutti autentici. Quello che mi colpì alla morte di Padre Mariangelo fu che a quel protagonista di mezzo secolo di autentica storia del costume nazionale italiano, non dedicarono neanche la prima pagina dei grandi giornali, forse perché la sua saggezza valeva meno delle gambe delle attricette o delle modelle che fanno i calendari che contano e che ho visto allegre e già vincenti ascoltare attentissime gli astrologi di turno che promettevano raccolti di ogni bene. Poi rapida, la barba bianca del Frate sullo sfondo.