IL PROGETTO E IL MONDO INTERMEDIO ARCHITETTURA E POLITICA SILVANO TAGLIAGAMBE 22 MARZO 2007 1 LOGICA DELLA POLITICA VS. LOGICA DELL’UTOPIA Bacone e Tommaso Moro, l’isola come non luogo, o luogo felice, Utopia o Eutopia più che Utopia, emblema della liberazione dal passato e dal luogo, dallo stesso concetto di storia, che Utopia non intende criticare o interrogare, ma negare. Massimo Cacciari:”Utopia vuole essere un ab-solutum: la sua idea è quella di un radicale e irreversibile scioglimento da tutte le vicende, i conflitti, le tradizioni della terraferma, e cioè di una ‘liberazione dalla storia’, perché è dalla sua storia che ne vengono le leggi, sempre inquiete, sempre in contraddizione. La forma dell’Utopia implica dunque un totale sradicamento. Utopia non può avere nessuna posizione sulla storia che non sia negarne il senso. 2 LOGICA DELLA POLITICA VS. LOGICA DELL’UTOPIA Utopia: nelle diverse forme ed espressioni in cui si presenta è presente il dono delle lingue, ma mai la figura del traduttore. E questo è sintomatico, in quanto solo a partire dai problemi della traduzione può essere pensato un “umanesimo” all’interno di una situazione di pluralità che non riduca la dignità delle varie voci differenti sotto una tolleranza che rischia di risolversi in assimilazione. Una logica della traduzione può quindi proporsi come rovesciamento della logica di Utopia. 3 LOGICA DELLA POLITICA VS. LOGICA DELL’UTOPIA Walter Benjamin: in un saggio dal titolo Il compito del traduttore, incluso nella sua traduzione dei Tableaux Parisiens di Baudelaire, invita i traduttori a prendere sul serio e a valorizzare il loro mestiere non violentando le altre lingue nella propria e non rendendo la traduzione una cosa “omogenea e vuota”, ma facendosi abitare davvero dai vari linguaggi e rispettandone le differenze per non “comprimere” la molteplicità e la complessità. Benjamin ci dà così un’indicazione e una traccia da seguire preziosa, in quanto ci invita a considerare la traduzione non come luogo, spazio definito e concreto, ma come non luogo, come un nulla che prende forma. 4 BENJAMIN: IL COMPITO DEL TRADUTTORE La funzione della traducibilità dell’opera consiste nel ricordare la complementarità delle singole lingue sollecitando i parlanti a completare, per così dire, la propria lingua, varcandone i confini oppure accettando gli sconfinamenti proposti da altri (nelle traduzioni ‘difficili’) per quello che sono: atti necessari alla vita della stessa lingua. 5 RUDOLF PANNWITZ CITATO DA BENJAMIN: “Le nostre versioni, anche le migliori, partono da un falso principio, in quanto si propongono di germanizzare l’indiano, il greco, l’inglese, invece di indianizzare, grecizzare, inglesizzare il tedesco. Esse hanno un rispetto molto maggiore per gli usi della propria lingua che per lo spirito dell’opera straniera. L’errore fondamentale del traduttore è di attenersi alla stadio contingente della propria lingua invece di lasciarla potentemente scuotere e sommovere dalla lingua straniera. Egli deve, specie quando traduce da una lingua molto remota, risalire agli ultimi elementi della lingua stessa, dove parola, immagine e suono si confondono: egli deve allargare e approfondire la propria lingua mediante la lingua straniera”. 6 BENJAMIN: IL COMPITO DEL TRADUTTORE Il compito del traduttore “consiste nel trovare quell’atteggiamento verso la lingua in cui si traduce, che possa ridestare, in essa, l’eco dell’originale”. Il traduttore, nei fatti, dovrebbe stare in mezzo, nella condizione di inbetweeness, come suggerisce la Scuola Canadese della traduzione, o collocarsi in ciò che Homi Bhabha ha definito come “Third Space”, spazio terzo. 7 LOGICA DELLA POLITICA VS. LOGICA DELL’UTOPIA Gli abitanti di Utopia credono di essere i portatori dell’unica scienza possibile ed efficace, dell’unica via per comprendere il mondo e i suoi enigmi. Per questo sono orientati all’assimilazione delle altre culture, piuttosto che alla loro effettiva comprensione. Utopia, di conseguenza, è l’espressione di un tentativo di imporre una visione del mondo e di colonizzare le altre culture. Il contrario della politica nella sua accezione più alta e nobile. Il nesso tra Architettura e Politica si può, di conseguenza, costruire a partire da un’idea della città come espressione delle diverse voci che vi abitano, come luogo di comunicazione e di dialogo, di incontro/scontro da cui riuscire a trarre una convergenza, un’unità, per rendere possibile una philia, un’amicizia che renda possibile la convivenza. 8 Mutamento nel modello di comunicazione Retroazione Modelli di comunicazione 9 Il modello linguistico di Jakobson Contesto Messaggio Mittente Destinatario Canale Codice Radio TV, … 10 Mc Luhan Contesto Messaggio Mittente Destinatario Canale Codice Mc Luhan The message is the medium 11 Soluzione della patologia comunicativa: la ridondanza Contesto Messaggio Mittente Destinatario Canale Codice Ridondanza 12 Mutamento di modello linguistico Condivisione Mittente e Destinatario pur condividendo il codice: Intersoggettività Non condividono Contesto Messaggio Mittente Destinatario Canale • • • Gli obiettivi di fondo Il modo di usare il codice il senso da assegnare alle parole Codice 13 Juri Lotman Codici creativi Kolmogorov 14 Juri Lotman Codici creativi La comunicazione è un lavoro di Kolmogorov traduzione e non di trasferimento 15 Juri Lotman La comunicazione è un lavoro di traduzione Dalla lingua dell’IO Alla lingua del TU 16 Juri Lotman I 4 soggetti implicati IO Modello del TU TU Modello dell’IO 17 Juri Lotman I 4 soggetti implicati IO Modello del TU TU Modello dell’IO La comunicazione dell’IO si basa sul modello che si è fatto del TU 18 Juri Lotman I 4 soggetti implicati IO Modello del TU TU Modello dell’IO La comprensione del TU si basa sul modello che si è fatto dell’IO 19 Juri Lotman IO TU contesto Necessita’ di un contesto comune 20 Juri Lotman IO TU contesto Comunicazione banale 21 Juri Lotman TU IO Contesto comune Comunicazione banale 22 Juri Lotman TU IO Contesto comune Comunicazione banale 23 Juri Lotman TU IO Contesto comune Comunicazione interessante 24 Modellizzare : per tentativi ed errori IO Si può solo ipotizzare TU 25 Comunicazione iniziale IO TU 26 Comunicazione è un farsi… TU IO Diventare buoni traduttori sulla base dello scambio comunicativo 27 LO “SPAZIO DEL MALINTESO”/1 Lo spazio interposto tra due individualità, il luogo dell’estraneità, viene chiamato da Franco La Cecla “il malinteso”, in quanto è qui che avvengono qui gli scontri e le tensioni (ma anche l’incontro e il dialogo”). “Il malinteso è il confine che prende forma”, proprio perché è in virtù della sua presenza che si definiscono le culture, le diversità, i diversi modi di vedere il mondo. Nello spazio dell’incontro/scontro il malinteso diviene occasione e luogo di traduzione dei linguaggi, una sorta di compromesso per cercare di raggiungere un’intesa. “Il malinteso assolve ad una funzione sociale: è la società stessa; essa imbottisce lo spazio tra gli individui dell’ovatta, dei piumini, delle menzogne ammortizzanti”. 28 LO “SPAZIO DEL MALINTESO”/2 La Cecla mostra come il malinteso e l’incomprensione tra le culture siano stati, storicamente, una risorsa per incontri duraturi e fecondi. Non è per nulla detto, infatti, che l’incontro tra le culture possa avvenire solo in conformità ad una comune valutazione delle situazioni di vita. Anzi, i fraintendimenti, i malintesi (anche se non in tutte le loro forme) possono diventare "lo spazio in cui le culture si spiegano e si confrontano, scoprendosi diverse. Il malinteso è il confine che prende una forma. Diventa una zona neutra, un terrain-vague, dove le identità, le identità reciproche si possono attestare, restando separate appunto da un malinteso".Nel malinteso, nel fraintendimento, potremmo dire, facciamo esperienza dell’alterità dell’altro. 29 LO “SPAZIO DEL MALINTESO”/3 Il malinteso può pertanto divenire una buffer-zone, una zona cuscinetto in cui sperimentare delle forme semplificate e superficiali di "incontro". Avremo quindi i "giochi di faccia", la messa in scena di vere e proprie maschere culturali, di clichè e stereotipi, che spesso, sottolinea La Cecla, non sono altro che ciò che una cultura è disposta a concedere di sé agli altri, a "dare ad intendere" agli altri per gestire le "relazioni" da posizione di vantaggio o solamente per poter "essere lasciata in pace". In tal modo il malinteso (beninteso) può diventare uno strumento per evitare conflitti irreparabili, oppure (qualora questi ultimi si diano) può essere un modo di "dare tempo al tempo" per "raffreddarli" e, a volte, per guarirli. 30 Differenza tra simbolo e segno Rivisitando Jung Significante Segno relazione stretta Significato Principio di trasparenza del segno Simbolo 31 Differenza tra simbolo e segno Rivisitando Jung Significante Segno Significato Principio di trasparenza del segno : relazione stretta Significante Simbolo Allude , esibisce la presenza senza sapere specificarne la natura Pregnanza Significato 32 Storia del Romanzo Bachtin Simbolo La mancanza di trasparenza stimola l’attività psichica E’ UNA SFIDA PER LA PSICHE Attiva una trasformazione interna ( che non succede in presenza di un semplice segno ) 33 Lo spazio intermedio è alla base della comunicazione interessante e creativa Comunicazione IO Spazio TU intermedio 34 LO SPAZIO INTERMEDIO COME BASE DELLA COMUNICAZIONE Con il passaggio dal modello della comunicazione classico, quello di Jakobson, a quello alternativo proposto da Lotman il baricentro del processo comunicativo si sposta dalla centralità del messaggio e dai soggetti che sono coinvolti nel processo medesimo (mittente e destinatario) verso lo spazio intermedio tra questi ultimi, che può essere più o meno pieno, in caso di presenza di uno sfondo condiviso, che funge da terreno di intersezione tra i rispettivi codici, o del tutto vuoto, in caso di reciproca estraneità di questi ultimi. 35 LO SPAZIO INTERMEDIO COME BASE DELLA COMUNICAZIONE Questo spazio vuoto non è però un semplice nulla, una semplice assenza o mancanza, il non-ente che cancella l'ente, ma il luogo proprio della comunicazione, cioè un nulla che eccita e stimola quest’ultima e da cui scaturisce la sua stessa possibilità. 36 LA TESSERA HOSPITALIS Tessera hospitalis di T. Manlius QuickTime™ e un decompressore TIFF (Non compresso) sono necessari per visualizzare quest'immagine. QuickTime™ e un decompressore TIFF (Non compresso) sono necessari per visualizzare quest'immagine. 37 LA TESSERA HOSPITALIS È uno specifico oggetto spezzato in due parti: ciascuna metà è un «symbolon», l’intero riunito è la totalità, la completezza; e può essere un coccio, un vaso, un sigillo o qualsiasi altra cosa. «Symbolon» deriva da «synballo», che vuol dire «mettere insieme»; quindi il simbolo è una delle due parti, una metà del tutto, che ha bisogno dell’altra metà e deve essere messa insieme a quest’ultima per ricreare l’unità e far scattare il riconoscimento, e quindi la comunicazione. Il contrario di «symbolon», sempre in linguaggio arcaico greco, è «diabolon», da «diaballo», che significa «separare, dividere», e indica la tessera falsificata, cioè quella metà che non combacia, ed è quindi truccata, è il falso che non crea unità. 38 IL SIMBOLO E LA LINEA DIVISORIA Il “simbolo”, quindi, indica ciò che non vale solo per il suo contenuto, ma per la possibilità di essere esibito. Esso consente di riconoscere l’altro, pur senza conoscerlo personalmente: e questo suo potere di riconoscimento, e quindi il suo significato, non sta in alcuna delle due metà materiali in cui è stato originariamente spezzato, né nelle persone che le possiedono, ma nella linea divisoria che è il risultato della loro separazione e in cui risiede la possibilità della conferma o meno del perfetto combaciare di queste due metà. La linea divisoria, sotto il profilo materiale, è un nulla, ma un nulla che non è semplice assenza, ma ciò in cui risiede appunto la funzione simbolica, che coincide con il suo stesso esserci e accadere. Questa linea rinvia originariamente a se medesima, e conferisce significato sia alla presenza della realtà del designato (l’oggetto materiale, ciascuna delle due metà del sigillo spezzato in due), sia alla presenza delle intenzioni designative di chi ne è portatore (il soggetto che lo conserva come pegno dell’ospitalità data o ricevuta e può così perennemente ricordare chi l'aveva ospitato, o viceversa colui che era stato da lui ospitato, guardando il suo frammento e pensando alla parte mancante di esso). 39 LA LINEA DIVISORIA COME LUOGO DELLA COMUNICAZIONE Allo stesso modo, anche quando i due protagonisti del processo comunicativo non hanno ancora uno sfondo condiviso che funga da spazio d’intersezione dei loro codici e delle loro memorie, vengono a trovarsi, per il fatto stesso di porsi in un’attitudine comunicativa, in una situazione di coappartenenza distanziata al medesimo processo, che fa sì che lo spazio che li separa (lo spazio intermedio) cominci, nello stesso tempo, a metterli in relazione reciproca e quindi a unirli. Pertanto questo spazio, che separa e unisce nello stesso tempo, anzi costituisce la divisione che perciò unifica, è la matrice, il luogo originario e lo spazio privilegiato della comunicazione, che trova, di conseguenza, la sua collocazione più appropriata proprio nello spazio intermedio, nel confine che inizialmente separa ed è linea di demarcazione, poi, via via, prende forma e diventa “spazio cuscinetto” a due facce, una rivolta verso il mittente, e l’altra verso il destinatario. 40 Lo spazio intermedio è alla base della comunicazione interessante e creativa Comunicazione VUOTO IO TU INTERCAPEDINE LINEA DIVISORIA 41 La comunicazione e il dialogo trasformano lo spazio intermedio vuoto in spazio condiviso. Comunicazione IO Spazio TU condiviso 42 Condivisione e comunicazione condivisione Crescita progressiva di comunicazione e condivisione comunicazione 43 Hofstadter: gli “strani anelli” come nodo cruciale della coscienza Sono convinto che la spiegazione dei fenomeni “emergenti” nel cervello, come la coscienza, sia basata su qualche tipo di “strano anello”: un’interazione tra livelli in cui il livello più alto torna indietro fino a raggiungere il livello più basso e lo influenza, mentre allo stesso tempo viene determinato da esso. C’è una risonanza tra i diversi livelli che si autorafforza. 44 Inversione del rapporto tra gruppo e comunicazione Gruppo Comunicazione 45 GLOCALE: “VIVERE NELLA PROPRIA TERRA Per diventare “mondo intermedio” tra globale e locale il glocale va assunto nel suo significato più originario e autentico. Il termine ‘glocale’ deriva infatti dall’inglese ‘glocal’, che l’Oxford Dictionary of New Words definisce come “una delle parole-chiave più importanti dell’inizio degli anni ‘90”. Trattasi di un’espressione molto legata al “micro-marketing”, in quanto trova utilizzo nell’invenzione di tradizioni di consumo, ma è la tradizione agricola giapponese e l’utilizzo del termine nel campo del business (glocale da “dochaku”, ossia “vivere nella propria terra”). Esso fa dunque riferimento al principio in agricoltura di adattare una tecnica alle condizioni locali, che è stato fatto proprio dai manager nipponici, diventando “avere una visione globale adatta alle condizioni locali”. 46 IL CONFLITTO ALLA BASE DEL GLOCALE Ogni cultura è un mondo, una costellazione di simboli e di valori da analizzare innanzitutto iuxta propria principia, senza poter fare appello a parametri subculturali neutrali. Il conflitto è dunque inevitabile, in quanto espressione di una incommensurabilità (e quindi di una intraducibilità, almeno nell’immediato), di valori, obiettivi, presupposti che però non deve indurre alla resa ed essere classificata come “incomparabilità” insuperabile. Le culture prima di entrare in contatto, superando il vuoto che le divide, e di cominciare a costruire piano piano, attraverso questa prima forma di prossimità, un rapporto di reciproca comunicazione, pur in assenza di un metro unico di valutazione, nei loro rapporti, vanno inevitabilmente incontro al fraintendimento e al malinteso. 47 INCOMMENSURABILITÀ NON SIGNIFICA INCOMPONIBILITÀ Altrettanto assodato, però, come ha mostrato Kuhn, in polemica con Feyerabend, nel caso dell’incommensurabilità delle teorie scientifiche, è che l’assenza di un linguaggio neutrale o di un metro unico di valutazione delle culture non debba necessariamente equivalere a una loro incomparabilità e incomponibilità. Anzi: proprio realtà o cosmi culturali rispondenti a “metriche” diverse sono talora capaci, come non si stanca di evidenziare Lotman, di dar luogo a composizioni creative ben più durevoli di tante forme simboliche presuntivamente omogenee. 48 UNIVERSALISMO DELLA DIFFERENZA La scommessa è quella di costruire una nuova sfera pubblica intermedia tra globale e locale diventando “buoni ascoltatori e traduttori” e acquisendo la capacità di maneggiare con competenza non solo i codici e i linguaggi dei segni, ma anche le dimensioni simboliche ed emotive che mostrano di contenere dei significati, anche se non sono in grado di esprimerli compiutamente attraverso l’argomentazione. Le culture, infatti, vivono e sono animate da quella che oggi viene sempre più frequentemente chiamata “intelligenza multipla”, fatta di un mix, con percentuali variabili dall’una all’altra, di aspetti cognitivi ed emotivi e proprio per questo contemplano sempre, chi più chi meno, la presenza attiva elementi simbolici. 49 UNIVERSALISMO DELLA DIFFERENZA Ecco in che senso va inteso il contributo che, alla definizione di un’identità di questo tipo, in grado di far tesoro delle differenze, anziché aspirare a cancellarle, può essere fornito dal riferimento all’idea di “somiglianza di famiglia”, di tipo dinamico e processuale di Wittgenstein, nell’ambito della quale il possesso di tratti distintivi comuni a tutti i componenti non è una condicio sine qua non per l’appartenenza a un soggetto collettivo e per l’identificazione non problematica di quest’ultimo, Ed ecco, altresì, il significato profondo del passaggio dall’idea di “intelligenza collettiva” a quella di “intelligenza connettiva”, intesa come un patchwork, risultato di un paziente lavoro di legame e cucitura di parti che, pur mantenendo ciascuna le sue caratteristiche specifiche, riescono pur tuttavia a dar luogo a un motivo finale dotato di armonia e di una sua configurazione unitaria. 50 Dall’intersoggettività all’intelligenza connettiva Approccio B Omogeneità di fondo di premesse valori e obiettivi Approccio A Approccio C Procedure e strumenti linguistici Creazione di uno sfondo condiviso Assenso 51 Dall’intersoggettività all’intelligenza connettiva T.Winograd F. Flores • Non esiste un punto di vista assoluto da cui effettuare osservazioni e descrizioni indipendenti dal linguaggio Cultura A Dominio cognitivo A Cultura B Dominio cognitivo B Cultura C Dominio cognitivo C • Il linguaggio NON è uno strumento neutro Il Linguaggio è una modellizzazione del comportamento di orientamento reciproco Dominio di condotta (consensuale) Cooperazione Interazione Rigenerazione 52 Dall’intersoggettività all’intelligenza connettiva Heidegger Vedere Il mio mondo Il mio vivere Guardare Dare senso alle cose Il senso dipende in modo essenziale dal contesto 53 Dall’intersoggettività all’intelligenza connettiva Cultura B Cultura A Contesto Sfondo di assunzioni Sfondo comune di comprensione Gli oggetti del discorso vengono disvelati, esibiti,e mostrati e diventano comunicabili solo dopo essere divenuti parte di uno sfondo comune di comprensione 54 Dall’intersoggettività all’intelligenza connettiva Un’espressione è un atto linguistico che ha conseguenze per i partecipanti, conduce ad azioni immediate e impegni per un’azione futura Il Linguaggio come atti significativi : • • • • Atti Atti Atti Atti direttivi (ordini) commissivi (promesse) dichiarativi (matrimonio) espressivi (chiedere scusa) Rete di impegni reciproci Né falsi nè veri J.L. Austin J.R. Searle 55 Dall’intersoggettività all’intelligenza connettiva Soggetti individuali Il ruolo chiave dei soggetti collettivi (comunità, organizzazioni, associazioni) Rete di impegni reciproci •Presa delle decisioni •Pre-orientamento di possibilità (azioni possibili e occultamento di altre) Derrik De Kerckhove: Intelligenza connettiva 56 Dall’intersoggettività all’intelligenza connettiva Intelligenza connettiva Intelligenza collettiva • • • • Intelligenza connettiva Questa è la mente, questo è il mentale, un contesto e uno spazio condiviso I singoli partecipano con la loro identità individuale Conoscenza non come un fenomeno isolato ma distribuito Nuova disposizione (sintotica, solidaristica e relazionale) Nuovo modo di concepire, rappresentare e costruire la conoscenza 57 UNIVERSALISMO DELLA DIFFERENZA Sapersi collocare nel confine tra mondi semiotici differenti e valutare, proprio in quanto ci si pone in questa posizione di transito, i conflitti tra le parti che si trovano dall’uno e dall’altro lato rispetto a questa linea di demarcazione, senza cercare di “addolcirne” o addirittura occultarne la natura e la profondità, ma cercando di operare affinché questa linea di demarcazione si trasformi in interfaccia e faccia prendere forma e struttura al confine medesimo, è l’unica risorsa di cui possiamo realisticamente disporre per uscire dalla duplice morsa della omologazione forzata, per un verso, e del conflitto perenne e senza sbocchi tra civiltà, par l’altro. 58 IL CONFINE CHE PRENDE FORMA KUHN: “Ciò che coloro che sono coinvolti in una rottura della comunicazione hanno allora trovato è, ovviamente, un modo per tradurre le reciproche teorie nel proprio linguaggio e contemporaneamente di descrivere il mondo cui si applicano tali teorie e tali linguaggi. Se non ci fossero almeno dei passi preliminare in questa direzione, non ci sarebbe alcun processo da descrivere, almeno in via di tentativo, come scelta tra teorie. La conversione arbitraria (sebbene io metta in dubbio l’esistenza di una cosa siffatta in ogni aspetto della vita) sarebbe allora tutto ciò che era ivi coinvolto. Va notato, però, che la possibilità di una traduzione non rende inappropriato il termine ‘conversione’. Poiché manca un linguaggio neutrale, la scelta di una nuova teoria consiste nella decisione di adottare un diverso linguaggio nativo e di impiegarlo in un mondo che sarà, corrispondentemente, diverso”. 59 IL MONDO INTERMEDIO 60 IL MONDO INTERMEDIO Florenskij: Quando si entra in questa dimensione “ciò che è invisibile e misterioso è percepito dalla contemplazione sensibile; rivestito dall’empirico, esso si dispone secondo le linee proprie dell’invisibile. Entrando nella sfera del culto, il sensibile vive e s’intreccia non già secondo dei legami a esso immanenti, ma secondo altri, diventando parte di un’altra struttura, una struttura trascendente, che ha leggi proprie e sue particolari connessioni. La realtà sensibile è progressivamente attirata verso altri nessi, inconsueti e inconcepibili, verso relazioni inattese e, da quel momento in poi, è come sostenuta da altre forze: staccandosi dalle sfere dell’attrazione terrestre cessa di essere terrena e soltanto sensibile. 61 IL MONDO INTERMEDIO Nel culto ortodosso l’icona, vera e propria “teologia in immagine” che, come la parola, veicola la tradizione della chiesa, ha, al pari della parola medesima, una valenza liturgica, totalizzate e testimoniale. In esso “la parola e l’immagine sono legate da una compenetrazione che è un dato di fatto della loro struttura interiore, che va considerata … anche dal punto di vista teorico”. L’icona, è il confine in cui il mondo visibile e quello invisibile si sfiorano senza confondersi, “debole frontiera di quaggiù e baluardo di lassù”: essa è “porta regale”, attraverso la quale l’invisibile viene incontro a chi contempla, finestra che lascia entrare la luce, lo spazio d’oro che rende presente l’eterno. Pertanto “ogni icona è una rivelazione”, grazie alla quale possiamo spiccare un salto dal visibile all’invisibile. 62 IL MONDO INTERMEDIO Nella liturgia ortodossa Parola (slovo) Icona (ikona) e Musica (salmi cantati, cheruvim) sono realtà intimamente legate nel senso di una profonda corrispondenza incentrata sull’immagine o rappresentazione. Entrambe sono orientate verso l’alto, verso il mondo spirituale, verso l’armonia celeste, verso l’assoluto: icona ‘finestra sull’assoluto’, parola ‘finestra sull’assoluto’. L’icona delle grandi feste completa i testi liturgici e durante la liturgia cantata il prete mette l’icona su un leggio. La vista e l’udito sono, così, uniti: l’orecchio vede e l’occhio ode. L’icona va ascoltata perché vi si manifesti la parola. L’immagine dell’icona e il suono della parola sono potenziati dalle note musicali che ne sostanziano l’esperienza in una totale sinestesia. 63 IL MONDO INTERMEDIO Questa idea di “spazio intermedio”, Pavel Florenskij, è stata sviluppata da Pavel Florenskij sviluppata in particolare in un’opera dal titolo Magicnost’ slova (Il valore magico della parola), scritta nel 1920, nella quale egli parla dell’esigenza, per l’uomo che voglia abitare in modo autentico il mondo, di riuscire ad attivare una funzione “mediatrice” tra il mondo esterno e quello interno e a innescare una capacità transitiva dall’uno all’altro. Per conseguire questi obiettivi lo strumento più efficace di cui l’uomo possa disporre è il simbolo, in virtù del fatto che esso si presenta come “un’entità anfibia, che vive sia nell’uno, sia nell’altro, e intesse specifiche relazioni tra questo e quel mondo”. A giudizio di Florenskij, il simbolo è un’unità binomica, l’unità nella diversità, in cui realtà concreta e mistero invisibile, finito e infinito, significante e significato, ma anche soggetto conoscente e oggetto indagato si trovano sinergicamente fusi, ma non confusi. 64 IL MONDO INTERMEDIO Per Florenskij la struttura del simbolo è inscindibile dalla presenza dello skacok, della zona intermedia, cioè, dove dovrebbe realizzarsi la concettualizzazione del mistero dell'invisibile. Il riferimento a questa “zona” costituisce una delle questioni più problematiche, perché difficilmente definibile con gli strumenti razionali a nostra disposizione. Ciò nondimeno si tratta di un'entità essenziale per l'interazione tra le due dimensioni, apparentemente inconciliabili, dell'esistenza dell'uomo, quella visibile e quella invisibile, l’esperienza quotidiana e l’insopprimibile tendenza a un “al di là”, a qualcosa di “ulteriore”, rispetto a questa. 65 IL MONDO INTERMEDIO L’idea di “mondo intermedio” scaturisce dalla convinzione che il dominio dell’esperienza, nel suo insieme, acquisti un significato e un valore tanto più profondi quanto più si raccorda al mondo invisibile, traendo da esso forza, alimento e stimoli continui. Tra interno ed esterno, tra soggetto e oggetto, tra terreno e ultraterreno, tra realtà e illusione c’è dunque un processo dinamico di continua interazione caratterizzato da un elevato livello di flessibilità e di scambio interattivo, in virtù del quale il gioco degli opposti, non separa, ma integra. I ruoli, le funzioni si ribaltano di continuo e si donano reciprocamente senso. Si ha così un esplicito distacco dall’usuale modalità di pensiero accentrato sulla sostanza, al quale subentra l’idea che, come modalità primitiva ed equipollente del reale, vada assunta 66 la relazione. IL MONDO INTERMEDIO Attraverso l’esempio del culto, in questo caso, Florenskij evidenzia quindi come la tensione antinomica tra il visibile e l’invisibile dia luogo a un mondo intermedio che acquista, via via, forma, struttura e configurazione autonome. E’ essenziale che questa autonomia venga preservata e che la tensione originaria tra le due dimensioni che l’hanno generata non venga mai spenta e occultata. Proprio per questo il rapporto tra i due mondi non può essere posto in termini di “trasparenza” assoluta dell’uno rispetto all’altro. Florenskij non si stanca di sottolineare e ribadire questo aspetto, tant’è vero che il suo saggio Ikonostas è imperniato sull’idea del valore reale di separazione, di diaframma, che ha l’iconostasi nella chiesa ortodossa e sulla maggiore aderenza e significatività, proprio per evidenziare questo stacco, dell’opacità dorata del piano dell’icona rispetto al vetro trasparente della «finestra» prospettica rinascimentale. A sua volta, però, questo stacco non deve essere enfatizzato e tradursi in una idea di incommensurabilità e di contrapposizione così radicale da impedire qualsiasi tentativo di dare avvio a un processo comunicativo tra i due termini dell’antinomia, altrimenti perderebbe qualsiasi senso l’idea stessa di mondo intermedio e verrebbe mortificato e spento sin dall’inizio lo sforzo 67 di edificarlo. LA “RELAZIONE INTEFACCIALE” TRA GLOBALE E LOCALE Il tradizionale termine medio tra globale e locale dell’ordine internazionale moderno era costituito dallo Stato-nazione e dalla struttura che finora lo sorreggeva: l’isomorfismo tra popolo, territorio e sovranità. Questo anello ormai tende a “saltare” e a rivelarsi sempre più impari alla sua funzione nello scenario globale perché i singoli Stati sovrani risultano troppo piccoli per far fronte alle sfide del mercato globale e troppo grandi per controllare la proliferazione delle tematiche, delle rivendicazioni e dei conflitti indotti dai vari localismi. 68 LA “RELAZIONE INTEFACCIALE” TRA GLOBALE E LOCALE Per uscire dalla duplice morsa della globalizzazione e della localizzazione occorre ricostituire quello che Hannah Arendt in Vita activa chiama lo “spazio infra”, sottolineando che “pubblico è il mondo comune, l’infra, le cose e gli uomini”. A suo giudizio la crisi della politica ha a che vedere proprio con la distruzione di questo spazio tra gli uomini, quell’infra da cui originano leggi e costituzioni. Il singolo, nel suo isolamento, non è mai libero e la libertà, pertanto, trae sempre origine dall’infra che si crea soltanto dove si radunano molte persone e che può sussistere soltanto finché esse rimangono insieme; così, nel mondo greco, essa era limitata spazialmente dalle mura delle città, coincideva con la polis al di fuori della quale non era possibile essere uomini politici. Per questo “l’infra è ciò che è autenticamente storico-politico ; non è l’uomo a essere uno zoon politikon, o a essere storico, ma gli uomini, nella misura in cui si muovono nell’ambito che sta tra di loro”. 69 LO “SPAZIO INFRA” 70 LA CITTÀ COME “SPAZIO INFRA” La città può legittimamente candidarsi ad assumere questa funzione di “spazio infra” a condizione che si torni ad attribuire la debita attenzione, allo scopo di riuscire a dar ragione delle sue dinamiche interne, alle comunità urbane come processi funzionali, come gruppi eterogenei di persone che comunicano attraverso lo spazio, come invitava a fare già nel 1964 Melvyn Webber, che parlava proprio a questo proposito della necessità di passare dai discorsi sulle città a quelli sulle "sfere urbane". 71 LA CITTÀ COME “SPAZIO INFRA” La concettualizzazione, prima ancora che l’edificazione, della città del futuro deve partire da questo spazio intermedio, misurarsi e fare i conti con esso. Oggi questo spazio rischia di essere, e di fatto è sempre più, “spazio del malinteso”, del fraintendimento, dello scontro tra soggetti individuali e collettivi, ma esso può divenire anche una risorsa per incontri duraturi e fecondi. Non è per nulla detto, né si può dare per scontato, infatti, che l’incontro tra le culture possa avvenire solo in conformità ad una comune valutazione delle situazioni di vita, a uno sfondo comune disponibile. Anzi, i conflitti, i fraintendimenti, i malintesi (anche se non in tutte le loro forme), possono diventare lo spazio in cui le culture si spiegano e si confrontano, scoprendosi diverse. 72 LA CITTÀ COME “SPAZIO INFRA” In questo caso lo spazio intermedio assume la forma e la funzione di una zona neutra, un terrain-vague, dove le identità reciproche si possono attestare, restando separate ma cominciando a fare esperienza, ciascuna, dell’alterità dell’altra. Questo “spazio del malinteso” comincia così a divenire una buffer-zone, una zona cuscinetto in cui sperimentare delle forme semplificate e superficiali di "incontro", per evitare conflitti irreparabili, oppure (qualora questi ultimi si diano) può essere un modo di “dare tempo al tempo” per “raffreddarli” e, a volte, per guarirli. 73 LA CITTÀ COME LUOGO DI “TRASCODIFICA” DELL’INFORMAZIONE Accettare la sfida dell’integrazione delle differenze, anziché puntare tutto sulla loro emarginazione, significa accettare che la città viva (e soffra) di contrapposizioni tra esigenze, domande, funzioni, interessi che si pongono come antitetici e mutuamente esclusivi. La scommessa insita in questa sfida è la fiducia nella capacità, da parte della città sociale, di mediare e trovare via via nuovi equilibri, diventando luogo di “«trascodifica» dell’informazione. 74 LA CITTÀ COME LUOGO DI “TRASCODIFICA” DELL’INFORMAZIONE La trascodifica è il presupposto necessario della coesione, cioè del raggiungimento di quel valore che parte dal riconoscimento del fatto che la città è costruita di differenze, economiche e culturali, di specificità residenziali e occupazionali, di tempi variabili e spesso sovrapposti e intrecciati; è piena anche di patologie sociali diversificate, di mali cronici, di livore, di ostilità fra gruppi costretti a interagire in spazi necessariamente condivisi. In questo quadro puntare alla coesione significa comprendere che le differenze possono evolvere verso una polarizzazione tra incompatibili, o essere curate e valorizzate come risorsa della città plurale, che può garantire a tutti quanto basta e- se ancora non vi riesce- si impegna a ricucire i bordi lacerati, a recuperare i margini, a riconnettere costantemente centro e periferia”. Eccolo il “confine che prende forma” e si materializza in un lavoro continuo di ricucitura dei bordi. 75 LA CITTÀ COME LUOGO DI “TRASCODIFICA” DELL’INFORMAZIONE Acquisire, a livello locale, questo funzione di trascodifica dell’informazione e di sua convergenza verso un pacchetto di premesse, di valori e di obiettivi in grado di diventare i cardini di uno sfondo condiviso circa il suo sviluppo futuro significa, per la città, predisporsi e attrezzarsi, attraverso un approccio integrato al governo delle relazioni complesse che intercorrono al suo interno tra dinamiche economiche, sociali, culturali e ambientali, ad affrontare le problematiche di posizionamento strategico nel contesto dell’economia mondiale. Significa, altresì, per la città, acquistare un nuovo modo di vedersi e di vedere il mondo, in cui i problemi non sono causati da eventi isolati, ma da interdipendenze sistemiche che occorre riconoscere per costruire una architettura organizzativa fondata su valori e idee guida condivisi. 76 LA CITTÀ COME MONDO INTERMEDIO Accanto (e al di là) degli aspetti per i quali la città è orientata verso il globale e deve, necessariamente, guardare a esso, occorre tornare a prendere in seria considerazione la sua matrice di civitas, legata al luogo, alla sua specifica conformazione e organizzazione, alla sua storia, alla sua cultura, alle sue tradizioni, ai suoi obiettivi e valori, e capace, proprio per questo, di riacquistare il senso della collettività. Ecco perché e in che senso la città può essere definita, rispetto alla tensione tra globale e locale, come un mondo intermedio, che deve riuscire a cogliere le istanze e le esigenze dell’uno e a tradurle nel linguaggio e nella cultura dell’altro e viceversa. 77 LA CITTÀ COME MONDO INTERMEDIO Una simile prospettiva è non solo incoraggiata, ma resa in qualche modo obbligata dalla dinamica, impressionante e ormai inarrestabile, dei fenomeni di urbanizzazione. Nel 1950, infatti, soltanto il 30% della popolazione mondiale abitava nelle aree urbane per un totale di circa 700 milioni di persone. Oggi questa cifra è quasi raddoppiata, raggiungendo 3 miliardi di individui. Si prevede che nel 2030 circa il 60% della popolazione mondiale sarà distribuita su più di 1100 metropoli, per una media di circa 4 milioni di persone per città. Forti di questa espansione, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, e sempre più consapevoli del ruolo determinante che esse assumono nei processi di globalizzazione, le città hanno intrapreso molte iniziative per affermare il loro ruolo nel mondo e sviluppare legami reciproci intensi e duraturi, attraverso la costituzione di reti di raccordo reciproco, come il GLOBAL FORUM. 78 LA CITTÀ COME MONDO DI CONFINE Con il crescere dei flussi migratori, tutte le principali metropoli occidentali, quale più, quale meno, sono diventate territori di confine tra mondi diversi. In Lombardia, ad esempio, secondo dati ISMU, nel 2003 vi erano circa 60-65 mila africani subsahariani (di cui 24.000 senegalesi e 9.000 ghanesi), di questi il 35% risultava concentrato nel polo milanese mentre se ne osservavano forti nuclei nelle province di Bergamo (17,8%) e di Brescia (23,1%). Questi migranti vivono e agiscono contemporaneamente in due spazi, quello del territorio dal quale provengono e quello nel quale dono insediati. Ai fini del clima interno della città, della sua coesione, dell’atmosfera che vi si respira è decisiva la relazione che si viene a instaurare tra questi due mondi. 79 LA CITTÀ COME MONDO DI CONFINE Far diventare la città, al proprio interno, “mondo intermedio” significa fare in modo che gli immigrati divengano una sorta di “ambasciatori informali” dei loro paesi, messi in condizione di creare rapporti economici e sociali tra la loro terra di provenienza e quella di destinazione e di stimolare e facilitare prima il dialogo, e poi, auspicabilmente, la contaminazione e l’ibridazione tra culture. 80 LA CITTÀ COME MONDO DI CONFINE Fare della città un mondo intermedio tra le culture e i popoli significa utilizzare la glocalizzazione e il transnazionalismo come occasioni di interrelazioni crescenti tra territori specifici che esigono nuove regolazioni e azioni politiche non solo per far fronte agli inevitabili aspetti negativi di questa situazione (ad esempio relativamente alla lotta contro le organizzazioni criminali che trafficano con gli esseri umani), ma anche per disporsi, mentalmente e culturalmente, a utlizzare le opportunità di sviluppo che vengono dai migranti, i quali possono non solo da attori della crescita economica dei paesi che li ospitano, ma anche come promotori e facilitatori dell’integrazione trans- locale tra paese di destino e di partenza e dei rapporti di cooperazione con le loro città e villaggi di origine. 81 LA CITTÀ COME MONDO DI CONFINE Un patto, un partenariato tra città e migranti “qui e là”, translocale, potrebbe rappresentare un atto politico innovativo per la costruzione di uno sviluppo condiviso. Ma ciò, oltre alla definizione di una nuova politica di co-sviluppo a più livelli, esige un ripensamento del ruolo e della funzione delle città e, conseguentemente, del loro assetto e della loro organizzazione interna. Ed è questo il problema cruciale da affrontare se si vuole assicurare alle città un futuro migliore di quello che attualmente si sta profilando. 82 GRAZIE DELL’ATTENZIONE! 83