Materiali didattici: ANALISI
E PREVISIONI
NEI MERCATI FINANZIARI
(Prof. Giovanni Verga)
2014-2015parte
dispensa n.1
a.a. 2011-2012:a.aPrima
IL FUNZIONAMENTO DEI MERCATI
-a01. Ruolo e funzionamento dei mercati finanziari
-a02. Equilibrio e efficienza dei mercati
-a03. I tassi corporate
-a04. Tassi a lunga nella zona Euro e negli USA
-a05. Aspettative e comunicati della Banca Centrale
-a06. Il mercato del future sull'Euribor e la politica della BCE
-a07. Bolle e mode (Camerer)
-a08. La caduta dei prezzi azionari di fine millennio
-a09. Bolle finanziarie e psicologia umana
-a10. Effetto delle aspettative eterogenee per il comportamento dei mercati
-a11. La politica non tradizionale della BCE
-a12. La comunicazione della BCE in tempo di crisi
-a13. La politica della BCE: un’analisi in retrospettiva
-a14. La Fed: quantitative easing and exit strategy
-a15. Il credito nell'area Euro
-a16. La crisi greca
a-17. Evoluzione della crisi greca e le innovazioni istituzionali della CE
a-18. La politica monetaria di BCE e Fed nel 2011 e 2012
a-19. Le obbligazioni corporate emesse nella zona-Euro: un approfondimento
2 - Equilibrio
Appunti sull’efficienza
mercati
finanziari
- a02.
e efficienzadei
dei
mercati
Introduzione
Si consideri un investimento effettuato in un orizzonte di breve periodo. Il caso più semplice è
quello in cui l’investimento inizia in t e termina in t+1.
Una delle principali variabili che determina la convenienza dell’investimento è il suo rendimento
definito da:
Pt+1+ Dt+1 - Pt
Pt+1+ Dt+1
rt     - 1
Pt
Pt
dove:
rt è il rendimento di un investimento effettuato in t e terminante in t+1 (di durata pari a 1);
Pt è il prezzo (noto) in t dell’attività.
Pt+1 è il prezzo dell’attività in t+1
Dt+1 è il ―dividendo‖ relativo al periodo t e che si suppone sia erogato nell’istante t+1. Con questa
espressione si intende qualunque entrata che il possessore dell’attività riceve nel periodo il
conseguenza del suo possesso dell’attività (es. cedola, dividendo, ....; ovviamente potrebbe anche
essere nullo.
Sfortunatamente il valore esatto del rendimento sarà noto solo in t+1 dal momento che in t può
mancare l’esatta conoscenza di due importanti elementi (Pt+1 e Dt+1), il cui valore sarà noto soltanto
in t+1.
Vi possono essere infatti 3 casi:
- In t è noto sia Pt+1 che Dt+1: è il caso per es. di un BoT che scadrà fra un mese. In questo caso si
conosce sin d’ora l’esatto valore sia di Pt+1 (il valore di rimborso) che di Dt+1 (che nel caso dei
BoT è nullo)
- In t è conosciuto Dt+1 ma non Pt+1: è il caso per es. di un BTP decennale che si desidera
acquistare oggi e detenere per un mese. In questo caso si conosce sin d’ora l’esatto valore di
Dt+1 mentre il prezzo che il titolo avrà fra un mese (Dt+1) sarà noto solo fra un mese.
- In t non è conosciuto né Dt+1 né Pt+1: è il caso per es. di un’azione in cui si sa che sarà pagato un
dividendo fra t e t+1 il cui importo, però, non è ancora stato deliberato.
Qui verrà considerato il terzo caso, il più complicato (vedi figura)
rt
Pt
t
Et[Pt+1+ Dt+1]
Et[rt]
valori noti in t
(momento della decisione)
Pt+1+ Dt+1
t+1
valori noti in t+1
(momento delle verifica)
1
In quest’ultimo caso l’investitore deve decidere in t il suo comportamento in base al rendimento rt
che, però, sarà noto solo il +1. L’unica soluzione che gli rimane è quella quindi di basarsi sulle sue
aspettative (o ―valore atteso‖ o ―stima‖) del rendimento che è legato alle sue aspettative di Pt+1 e
Dt+1.
Et[Pt+1+ Dt+1 - Pt ]
Et[Pt+1+ Dt+1 ]
Et[rt]     - 1
Pt
Pt
E’ chiaro che in questo modo l’investitore deve affrontare un rischio perché il rendimento effettivo
può differire da quello atteso, e che questo rischio sarà tanto maggiore quanto maggiore è l’errore
che può commettere e questa possibilità di sbagliare è ovviamente tanto maggiore quando maggiore
è la difficoltà di prevedere il rendimento. Ciò è legato al tipo di attività e all’abilità dell’investitore
nell’ effettuare le sue previsioni.
2 a - Prezzi e rendimenti di equilibrio
Sia Aktd =Akt(Ekt[rt], rx) = k + k Ekt[rt] - k rx lo stock desiderato (domanda) dell’attività A da parte
di un generico soggetto k, dove con Ekt[rt] si intende il rendimento atteso in t da parte del soggetto k
e con rx il rendimento (per semplicità supposto ―certo‖) di una generica attività alternativa. Per
semplicità si suppone che la relazione sia lineare, e l’ipotesi base è che k > 0, -k < 0 (più alto è il
rendimento atteso dell’attività A, più l’attività è conveniente e maggiore lo stock domandato, più
alto è il rendimento dell’attività alternativa, meno l’attività A è conveniente e più bassa è la sua
domanda).1
Il mercato è in equilibrio quando la domanda aggregata, data dalla somma delle domande
individuali, è pari allo stock A esistente:
1)
k Aktd = k k+ k k Ekt[rt] - k k rx = A.
portando a sinistra il termine k k Ekt[rt] e a destra tutti gli altri si ha:
k k Ekt[rt] = A - k k + k k rx
e, dividendo tutti i termini per k k :
2)
k k Ekt[rt]
A - k k + k k rx
 = 
k k
k k
Il termine di sinistra non è altro che la media ponderata (con pesi dai coefficienti k) dei rendimenti
attesi dai singoli soggetti k. Questo valore non è altro che ciò che comunemente viene chiamato
La scelta di relazioni lineari è semplicemente dovuta a motivi di comodità matematica. Il coefficiente k l’aumento di
domanda che si ha quando il rendimento atteso aumenta di 1 punto; k misura la diminuzione della domanda che si ha
quanto il rendimento alternativo aumenta di un punto; k (che normalmente è negativo) misura la domanda che si ha in
presenza di rendimenti nulli (un valore negativo indica normalmente che, per essere acquistata, l’attività deve un
rendimento superiore a un certo valore minimo). Il coefficiente k rappresenta quindi una sorta di ―indice di
gradimento‖ dell’attività in esame.
1
2
―aspettative del mercato‖ o ―rendimento atteso dal mercato‖ che, solo in caso di aspettative
omogenee coincide col rendimento atteso dai singoli. Posto per semplicità
3)
k k Ekt[rt]
Et[rt]   ,
k k
il ―rendimento atteso di equilibrio del mercato‖ è:
4)
A
k k
k k rx
Et[rt] =  -  +  = r*t
k k
 k k
k k
(dove per semplicità con r*t si intende il rendimento di equilibrio dato dall’espressione sopra
indicata)
A parità di condizioni il rendimento atteso di equilibrio r*t sarà tanto maggiore quanto maggiore è il
rendimento alternativo rx e quanto maggiore è lo stock A di attività. Esso è invece decrescente al
crescere della media degli k. che, come indicato nella nota, rappresenta una sorta di indice di
gradimento u dell’attività:
4’)
r*t = R(rx , A, u )
(+) (+) (-)
graficamente:
_
Et[rt]
effetto di
un aumento
di rx
D’
D = k Akt
d
r*t
A
Per arrivare ai prezzi di equilibrio si possono combinare questi risultati con la definizione di
rendimento atteso.
Partendo dalla definizione di rendimento atteso del soggetto k,
5)
Ekt[Pt+1 + Dt+1]
Ekt[rt]   - 1
Pt
Si moltiplicano per k tutti i termini dell’identità:
3
k Ekt[Pt+1 + Dt+1]
6)
k Ekt[rt]   - k
Pt
Eseguendo le sommatorie rispetto a k e dividendo per k k , si ha:
7)
k k Ekt[rt]
k k Ekt[Pt+1 + Dt+1]
1
    - k k / k k
k k
k k
Pt
Ma il termine di sinistra non è altro cheEt[rt], la media ponderata dei rendimenti attesi; il primo
termine di destra, k k Ekt[Pt + Dt ] / k k, a sua volta, non è altro che la media ponderata dei prezzi
e dei dividendi attesi dai singoli operatori, e che può essere anche chiamata ―prezzi e dividendi
attesi dal mercato‖ e che, in analogia al rendimento, può essere indicata con Et[Pt+1 + Dt+1], :
8)
Et[Pt+1 + Dt+1] 
k k Ekt[Pt+1 + Dt+1]

k k
Sostituendo la (8) e la (4) nella (7) si ha:
9)
1
Et[rt] Et[Pt+1 + Dt+1]  - 1
Pt
E, risolvendo per Pt :
10)
Et[Pt+1 + Dt+1]
Pt  
1 +Et[rt]
Ponendo a questo punto nella (10) il rendimento di equilibrio r*t dato dalla (4), sia ha il
corrispondente prezzo di equilibrio P*t :
11)
Et[Pt+1 + Dt+1]
P*t = 
1 + r*t
Esso è tanto maggiore quanto maggiore sono il prezzo e il dividendo atteso dal mercatoEt[Pt + Dt],
e tanto minore quanto più è elevato il rendimento atteso di equilibrio:
11’)
P*t = F(Et[Pt+1 + Dt+1], r*t ) = F(Et[Pt+1 + Dt+1], rx , A, u )
(+)
(-)
(+)
(-) (-) (+)
Dato il prezzo di mercato Pt+1, il rendimento atteso dai singoli soggetti k varia ovviamente al variare
delle sue aspettative sui prezzi e i dividendi futuri:
4
12)
Ekt[Pt+1 + Dt+1]
Ekt[Pt+1 + Dt+1]
Ekt[rt]   - 1 = (1 + r*t)  - 1 
Pt
Et[Pt+1 + Dt+1]
Ekt[Pt+1 + Dt+1]
 r*t + 
Et[Pt+1 + Dt+1]
Esso è tanto maggiore quanto maggiore è il rendimento atteso di equilibrio del mercato Et[rt] = r*t
e quanto più ottimiste sono le aspettative su prezzi e dividendi futuri del soggetto k rispetto alle
aspettative medie del mercato.
Il modello può essere migliorato tenendo conto che la domanda è legata anche al prezzo e non solo
al rendimento atteso (al crescere del prezzo aumenta automaticamente anche la quota di ricchezza
investita nell’attività A, così che è probabile che l’individuo k voglia disfarsi di parte di queste
attività), ma i risultati non mutano molto dal punto di vista qualitativo e il problema viene quindi
ignorato.
________________________________________________________________________________
Da tutte le relazioni prima presentate emerge chiaramente che, nel caso in cui il prezzo di mercato si
aggiusti immediatamente a mutamenti della domanda, le variazioni del prezzo possono essere
dovute esclusivamente a:
-
variazioni del rendimento di equilibrio (dovute per esempio a variazioni del rendimento di
attività concorrenziali)
- variazioni delle aspettative del mercato (cioè delle aspettative medie dei singoli soggetti che
compongono il mercato) sui prezzi e/o sui dividendi.
(non vi possono essere invece movimenti dei prezzi dovuti a lenti aggiustamenti verso l’equilibrio,
cioè da una posizione di disequilibrio a una di equilibrio).
Esempio:
Sia l’attività A un’azione USA. Si supponga che al tempo t il mercato americano non si aspetti
nessun intervento da parte della Fed. Improvvisamente in t il mercato cambia idea e si attenda che al
tempo t+H la Fed abbasserà i tassi di un punto. Supponiamo che la riduzione dei tassi della Fed
implichi un miglioramento delle aspettative sull’economia (quindi un aumento dei prezzi futuri
attesi e del dividendo) e una riduzione dei rendimenti dei titoli a reddito fisso. Facciamo 3 casi: al
tempo t+H la Fed (a) abbassa i tassi di mezzo punto; (b) abbassa i tassi di 1 punto; (c) abbassa i
tassi di 1,5 punti. Qual è l’andamento nel tempo del rendimento di equilibrio e del prezzo?
Sotto le ipotesi fatte, al tempo t gli operatori si aspettano per il tempo t+H un rendimento di
equilibrio più basso e, contemporaneamente, un miglioramento delle aspettative sulla redditività
futura del titolo: questi due fenomeni fanno sì che in t, dopo la modifica delle loro previsioni, gli
operatori si attendano per t+H un prezzo più alto che in precedenza. Questo aumento del prezzo
atteso determina un aumento immediato del prezzo di equilibrio: in t, cioè, i prezzi salgono ancor
prima del presunto intervento della Banca Centrale.
Nel tempo t+H, immediatamente prima dell’intervento della FED, il prezzo sarà già allineato al
livello che assumerà appena dopo il previsto intervento. Che consegue che, nel caso la Banca operi
l’attesa riduzione di un punto, il prezzo non subirà più modifiche. Se invece la riduzione del tasso
5
fosse più alta del previsto, il prezzo si aggiusterebbe immediatamente verso l’alto perché, dopo
l’intervento, la valutazione degli operatori si baserebbe sulla ―vera‖ decisione della Fed che è
risultata diversa da quella attesa. Il prezzo, invece, si aggiusterebbe verso il basso qualora la
risoluzione del tasso fosse inferiore al previsto.
2 b - l’efficienza informativa
L’ipotesi di efficienza informativa richiede due condizioni:
a) Il mercato è sempre in equilibrio;
b) Gli investitori sfruttano le informazioni disponibili nel modo più efficiente possibile, così da
arrivare a previsioni dei rendimenti futuri il più possibile precise.
Qui ci occupiamo del secondo punto introducendo alcune annotazioni che completano quanto già
riportato nel libro di testo.
Detto t l’insieme delle loro informazioni in t, l’ipotesi (b), per essere valida, richiede, che le
aspettative (stime) siano corrette ed efficienti nel senso ―econometrico‖ del termine. Esse, cioè,
devono essere le ―migliori possibili‖ intendendo con questo che non deve esistere alcuna
informazione aggiuntiva Xt che permetta di spiegare parte dell’andamento futuro effettivo non
prevedibile in base all’insieme di informazioni t .
Detta Et[rt  t] la stima (valore atteso) del rendimento futuro effettuata dal mercato utilizzando
l’insieme di informazioni t , l’errore (ex post) t commesso nella valutazione del rendimento
effettivo rt è dato da:
1)
t  rt -Et[rt  t]
Si supponga ora che, tramite l’osservazione di un’ulteriore informazione2 Xt , l’individuo n-esimo si
abbia una stima del rendimento futuro Eh [rt  t Xt ] più precisa di quella del mercato. Ciò
significa che l’errore t commesso dal soggetto n è diverso da quella del mercato ed è pari a:
2)
t  rt - Ent [rt  t Xt ] ,
con
3)
4)
t  t – (Xt ) , ovvero
t  (Xt ) + t ,
il che significa che il soggetto n, grazie all’utilizzo dell’informazione X, è in grado di spiegare la
parte (Xt ) dell’errore t che invece il mercato non sa spiegare ritiene quindi di natura totalmente
casuale.
Ovviamente, X, anziché un’informazione aggiuntiva, potrebbe semplicemente essere un’informazione sfruttata male
dagli altri soggetti.
2
6
In questo caso, però, la stima di n sarebbe migliore di quella del mercato, la cui stima non sarebbe
quindi efficiente.
Una verifica empirica dell’efficienza del mercato consiste quindi nel verificare se una tale
informazione Xt esiste.
Uno dei principali tipi di analisi è il seguente (per altre tecniche si veda il libro di testo a p. 219 e
segg.).
Partendo dall’ipotesi che il mercato sia sempre in equilibrio (e che l’investimento di n sia
abbastanza ―piccolo‖ da non influenzare l’equilibrio del mercato), il rendimento di equilibrio rte
(vedere la formula 4 del paragrafo Prezzi e rendimenti di equilibrio della presente dispensa),
rifletterebbe le domande dei primi n-1 soggetti economici, il cui preso è quello prevalente. Questo
rendimento di equilibrio corrisponderebbe però (vedere sempre la formula 4 del paragrafo Prezzi e
rendimenti di equilibrio) al valore atteso di questi (n-1) soggetti, che nelle loro stime non utilizzano
l’informazione X. Ne consegue che:
_
4)
Et [rt  t] = r*t
e la (1) diventa:
5)
t = rt – r*t
ovvero:
5’)
rt = r*t + t
Sostituendo la (3) nella (5) si ottiene
(6)
rt = r*t + (Xt ) + t
Ma, se il mercato è efficiente (dal punto di vista informativo), non dev’essere possibile che il
soggetto n sia in grado di calcolare delle stime migliori di quelle del mercato, e pertanto la
componente (Xt ) deve’essere nulla:
(7) efficienza informativa  (Xt ) = 0
Per stabilire se il mercato è o non è efficiente rispetto a una certa informazione occorre quindi
verificare se parte dell’errore t è sistematicamente spiegabile dalla componente (Xt ) dovuta
all’utilizzo dell’informazione Xt. Per fare questo basta stimare la relazione
8)
8’)
rt = r*t + (Xt ) + t ovvero:
rt – r*t = (Xt ) + t
E condizione necessaria affinché il mercato sia efficiente è che tale componente (Xt ) non esista,
cioè che il suo contributo alla stima del rendimento rt sia ―nullo‖. In termini econometrici, pertanto,
eseguita la regressione
9)
9’)
rt = r*t + (Xt ) ovvero:
rt – r*t = (Xt ) ,
7
il coefficiente di (Xt ) non dev’essere significativo o, comunque, il suo contributo all’ R2 della
regressione dev’essere trascurabile.
Ovviamente questo test di efficienza è soltanto un test ―relativo‖ perché, per essere completo,
dovrebbe essere eseguito per tutte le possibili informazioni {Xt, Yt, …. Zt}il che è, ovviamente, è
impossibile. Nel caso, comunque, che si considerino contemporaneamente due informazioni Xt, e
Yt, le (9) e (9’) andrebbero ovviamente sostituite dalle
10)
10’)
rt = r*t + (Xt, Yt,)
rt – r*t = (Xt, Yt,)
Un problema che s’incontra in questo tipo di analisi è che il valore del rendimento atteso di
equilibrio r*t non è noto. Utilizzando dati di breve-brevissimo periodo (giornalieri, settimanali,
mensili), questo problema non è però molto rilevante perchè che le oscillazioni del rendimento di
equilibrio sono trascurabili rispetto a quelle dei rendimenti effettivi. In questo caso, quindi, il
rendimento di equilibrio può essere approssimato da una costante, oppure da una costante + il
rendimento a breve ovviamente quest’ultimo espresso in ragioni giornaliere, settimanali o mensili.
Nel caso di efficienza informativa, il prezzo corrisponde sempre a quel valore che dà a tutti gli
investitori un rendimento pari a quello di equilibrio r*t . Questo è ovviamente vero sia per chi
utilizza in modo efficiente tutte le informazioni disponibili sia per chi non utilizza alcuna
informazione (valore atteso incondizionato): è chiaro, però, che chi non utilizza alcuna
informazione non ha alcuna informazione nemmeno sul rendimento di equilibrio e quindi è soggetto
a un rischio aggiuntivo rispetto agli altri investitori,
2 c - VALORE INTRINSECO (O VALORE FONDAMENTALE) DI UN'ATTIVITA'R
L’EFFICIENZA VALUTATIVA
Si definisce valore intrinseco o valore fondamentale di un'attività il valore attuale dei flussi futuri
attesi cui dà diritto il possesso dell'attività:
1)
Et[Dt+1]
Et[Dt+2]
Et[Dt+3]
Et[Dt+4]
Vt = ———— + ———— + ———— + ———— + …..
(1 + rt)
(1 + rt)2
(1 + rt)3
(1 + rt)4
Dove r è il rendimento di equilibrio (a lunga). Si dice che nel mercato c'è efficienza valutativa
quando il prezzo Pt di mercato dell'attività corrisponde al suo valore Vt , nell'ipotesi che le stime
delle future entrate siano calcolate in modo efficiente utilizzando tutte le informazioni disponibili.
Se vale la condizione di efficienza informativa, per gli operatori interessati al lungo periodo il
prezzo corrisponde al valore atuale delle entrate future scontate al rendimenti di equilibrio di lungo
periodo. Questa condizione è particolarmente rilevante per l’emittente che è in grado di collocare
ogni unità di attività emessa al prezzo Vt = Vt pagando un ―interesse‖ (in generale un ―rendimento‖:
è per lui il ―costo‖ dell’emissione) pari a quello di equilibrio. In questo modo, uguagliando la
produttività marginale del capitale (alcuni la chiamano produttività marginale dell’investimento!!)
al rendimento (=costo dell’emissione) effettua un ammontare d’investimento otimale in termine di
benessere collettivo (su questo si veda le lezioni di economia del primo e del secondo anno).
8
Una questione importante riguarda il legame tra efficienze informativa e valutativa. E' possibile che
il mercato sia efficiente in un senso ma non nell'altro? E in quali condizioni questo può avvenire?
Si supponga per semplicità che il rendimento atteso di equilibrio sia costante nel tempo e pari a r*,
così che non ci sia differenza tra tassi di equilibrio a breve e a lunga (questa ipotesi può essere
lasciata cadere senza conseguenza, solo la dimostrazione diventa un po' più complicata).
Detto Pt il prezzo di mercato nell'ipotesi di validità dell'efficienza informativa si vuole stabilire se e
in quali condizioni esso risulta diverso da Vt , cioè in quali condizioni l’uguaglianza
2)
Pt+i  Vt+i + bt+i (i = 1,2,3, ….)
ha un bt+i >, < o = 0
Partendo dalla formula del prezzo nel caso di efficienza informativa,
3)
Et[Pt+1 + Dt+1]
Pt = ———————
(1 + r*)
si sostituisca Vt+i + bt+i a Pt+i
4)
Et[Vt+1 + bt+1 + Dt+1]
Vt + bt = —————————
(1 + r*)
Riordinando i termini a destra dell'uguale si può scrivere:
5)
Et[bt+1]
Et[Dt+1]
Et[Vt+i]
Vt + bt = ———— + ———— + ————
(1 + r*)
(1 + r*)
(1 + r*)
Ma, dalla (1),
6)
Et+1[Dt+2] Et+1[Dt+3] Et+1[Dt+4]
Vt+1 = ———— + ———— + ———— + …..
(1 + r*)
(1 + r*)2
(1 + r*)3
Il cui valore atteso in t è:
7)
Et[Et+1(Dt+2)]
Et[Et+1(Dt+3)]
Et[Et+1(Dt+4)]
Et (Vt+1) = —————— + —————— + —————— + …..
(1 + r*)
(1 + r*)2
(1 + r*)3
Tenendo presente che il valore atteso di una valore atteso è il valore atteso, la (7) può anche essere
scritta:
7')
Et[Dt+2]
Et[Dt+3]
Et[Dt+4]
Et (Vt+1) = ———— + ———— + ———— + …..
(1 + r*)
(1 + r*)2
(1 + r*)3
9
che, posta nella (5) dà:
8)
Et[bt+1]
Et[Dt+1]
Et[Dt+2]
Et[Dt+3]
Et[Dt+4]
Vt + bt = ———— + ———— + ———— + ———— + ———— + ….
(1 + r*)
(1 + r*)
(1 + r*)2
(1 + r*)3
(1 + r*)4
Che, tenendo di nuovo presente la (1), si riduce a:
9)
Et[bt+1]
Vt + bt = ———— + Vt
(1 + r*)
da cui:
10)
Et[bt+1]
bt = ————
(1 + r*)
ovvero:
11)
Et[bt+1] = (1 + r*) bt
e, per iterazione:
11)
Et[bt+n] = (1 + r*)n bt
Quest'ultima relazione rappresenta la condizione che la serie bt+1 , bt+2 , …, bt+n … deve soddisfare
affinché vi sia efficienza informativa ma non valutativa. Ovviamente può essere bt+i = 0 e in questo
caso valgono contemporaneamente le due efficienze: è ovvio che la presenza di efficienza
valutativa implica la presenza di efficienza informativa, ma non viceversa.
La formula (11) ci dice anche che, se c'è efficienza informativa, un'attività può essere
sopravvalutata rispetto al suo valore fondamentale se e solo se il mercato si aspetta che può
rimanere sopravvalutata anche in futuro.
Un caso particolare di bolla potrebbe essere il seguente:
Una bolla può assumere solo due valori: o zero o uno (e un solo) valore positivo. La probabilità che
una bolla esistente in t continui ad esistere in t+1 è q (di conseguenza sarà 1-q la probabilità che una
bolla esistente in t sia estinta in t+1).
Si supponga di essere in t. Il valore della bolla in t+1, bt+1, sarà una variabile casuale che può
assumere dure valori, Bt+1 con probabilità q e 0 con probabilità (1-q):
bt+1 =
0 (1-q)
Bt+1 q
il cui valore medio Et[bt+1] = 0 (1-q) + Bt+1 q = q Bt+1:
Dalla (11) sia ha quindi che
12)
Et[bt+1]= (1 + r*) bt
10
13)
14)
q Bt+1 = (1 + r*) bt
Bt+1
= bt (1 + r*) /q
Se la bolla dovesse esistere ancora in t+1, il suo valore sarebbe Bt+1 = bt (1 + r*) /q. Analogamente,
se dovesse esistere ancore in t+1 il suo valore sarebbe bt (1 + r*)n /qn.
In altri termini, la probabilità p che la bolla scoppi tra t+i e t+i+1 (e che per semplicità supponiamo
costante) ci garantisce che prima o poi essa cesserà di esistere (scoppio) ma, nel frattempo, finché
essa permane, il suo valore deve potere proseguire senza alcun limite di ammontare e di tempo (v.
figura)
Dopo lo scoppio della bolla il prezzo torna al fondamentale. Si noti che, spesso, allo scoppio della
bolla (specialmente se prolungata) il fondamentale si trova a un livello più basso di quello pre-bolla.
Per es., durante la bolla l’elevato prezzo dell’attività ne potrebbe incentivare la ―produzione‖ con la
conseguenza che all’esaurirsi della bolla il suo stock è superiore a quello iniziale e l’aumento
dell’offerta fa salire il rendimento di equilibrio, con effetto depressivo sui prezzi.
prezzo
fondamentale
Un esempio di (probabile) bolla. L’andamento dell’indice S&P ind. 500
nel biennio 2006-2007
360
320
la caduta del prezzo (-20,5%)
è avvenuta in pochi minuti il
19 ott. 1987 (―lunedì nero‖)
280
240
200
1986:01 1986:07 1987:01 1987:07 1988:01 1988:07
Come si individua la presenza di una bolla?
Premesso che individuare la presenza di una bolla non è agevole perché non è sempre distinguibile
da altre irregolarità dei prezzi si possono dare alcune indicazioni:
1) Confrontare il prezzo con una stima del fondamentale (questo ovviamente richiede la
conoscenza di una stima del fondamentale). Quando il prezzo è ―vicino‖ alla stima la
differenza può essere prodotta dal fatto che la nostra stima del fondamentale rappresenta la
nostra stima che può differire dalla stima media del mercato. Quando la differenza è molto
11
elevata con un prezzo nettamente superiore alla stima del fondamentale occorre guardare
all’evoluzione del prezzo. Se il prezzo sale velocemente e poi crolla il fenomeno potrebbe
essere dovuto alla presenza (e successivo scoppio) di una bolla. Ovviamente quest’analisi va
completata con un’analisi storico-istituzionale di quanto avvenuto nel periodo (per es. la
caduta del prezzo potrebbe essere dovuta allo scoppio improvviso di una guerra o simile –
es. la caduta improvvisa del prezzi di borsa dell’11 set. 2001, a un mutamento inatteso
dell’imposizione fiscale, etc.). Una formula approssimata del fondamentale nel caso di
azioni è data da: Vt = DtN/(rt* – gtN), dove DtN è il dividendo ―normale‖ in t (depurato per
l’effetto di eventuali fenomeni transitori), rt* è il rendimento di equilibrio e gtN è la stima in
t della crescita normale dei dividendi. Questa formula è spesso sostituita dalla sua
equivalente espressa in termini di utili; Vt = UtN/(rt* – gtNU), dove UtN è l’utile ―normale‖
in t e gtNU è la stima in t della crescita normale degli utili ―naturali‖ (= al netto dell’effetto
dell’ autofinanziamento)
2) Se non è disponibile una stima del fondamentale il procedimento precedente non è
ovviamente utilizzabile. L’unica soluzione (che è tutt’altro che affidabile) consiste nel
verificare se il movimento dei prezzi è coerente con quello previsto da una bolla: un rapido
incremento seguito da un crollo. Ne consegue che l’andamento del prezzo di un’attività
soggetta a bolle dovrebbe presentare queste caratteristiche: (a) i giorni in cui il prezzo è
salito devono essere più numerosi dei giorni in cui il prezzo è sceso, (b) devono essere più
numerosi i periodi in cui il prezzo è salito ininterrottamente (es. 5 giorni di + + + + +) dei
periodi un cui è sceso ininterrottamente (es. 5 giorni di - - - - -); (c) le più grosse variazioni
assolute devono essere di segno negativo. Ci sono poi dei test basati sulla volatilità
(introdotti per la prima volta da Shiller, che comunque qui non consideriamo).
12
61
- a03. I tassi corporate
2.2 - LE OBBLIGAZIONI DELLE IMPRESE E I LORO RENDIMENTI *
Negli ultimi anni si é avuto un forte sviluppo delle nuove emissioni
obbligazionarie sul mercato europeo e del mercato secondario degli stessi titoli.
Gli stimoli sulla domanda e sull'offerta, e quindi il significativo aumento delle
dimensioni del mercato, sono derivati, per quanto riguarda gli investitori, dal
basso livello dei rendimenti dei titoli di Stato che si é determinato in
corrispondenza alla nascita dell'euro e, per quanto riguarda le imprese, dai
vantaggi che il ricorso al mercato possiede rispetto al credito bancario. Gli spread
tra i rendimenti di mercato dei titoli corporate e i rendimenti delle attività
considerate "sicure" sono sensibili all'andamento dell'economia, del mercato
azionario e dei rendimenti delle altre attività finanziarie, interne ed estere;
risentono inoltre in modo rilevante del rating assegnato alle emissioni. L'influenza
del rating risulta persino più forte di quella che dovrebbe risultare dalla sola
considerazione delle probabilità di insolvenza, un risultato sul quale non vi è
ancora un completo accordo tra gli studiosi.
1.
Sviluppo e crescita del mercato
Le emissioni obbligazionarie effettuate da imprese industriali ed istituzioni
finanziarie hanno mostrato una crescita consistente specie negli anni 1999-2002,
non solo nel nostro paese, ma in tutte le principali economie industriali, in un
contesto congiunturale caratterizzato (almeno a partire dal 2000) da una brusca
correzione al ribasso dei corsi azionari e da una fase di ristagno dell’economia. A
partire dalla fine degli anni Novanta, infatti, le maggiori imprese non finanziarie
italiane hanno profondamente mutato la composizione e la struttura dei loro debiti
finanziari, aumentando notevolmente il ricorso all’emissione di titoli
obbligazionari. A livello aggregato, il peso delle obbligazioni rispetto agli altri
debiti finanziari dei principali gruppi industriali quotati è passato dal 25% circa
nel 1998 a quasi il 70% nel 2002. In termini assoluti, le obbligazioni in bilancio
(valutate al nominale) sono passate, fra il 1998 e il 2002, da 18 a 65 miliardi di
euro (che equivale a un tasso di crescita medio annuo del 38% circa), mentre gli
altri debiti finanziari (essenzialmente debiti a breve e medio-lungo termine nei
*
A cura di G. Verga, G. Barone e D. Zucchelli.
62
confronti delle banche) sono passati da 72 a 96 miliardi di euro (che equivale
invece a un tasso di crescita dell’8% circa)1. A partire dal 1998 pertanto i
principali gruppi industriali quotati hanno spesso preferito emettere obbligazioni
per raccogliere nuovo capitale di debito, piuttosto che aumentare il ricorso al
sistema bancario.
I motivi della crescita. Anche se recentemente le emissioni sono state
rallentate da una serie di crisi aziendali e scandali finanziari, le aspettative sono di
una consistente ripresa. I fattori che nel passato hanno sostenuto il ricorso al
mercato obbligazionario sono infatti diversi e una parte di essi può ancora
determinare un ulteriore sviluppo del mercati delle obbligazioni corporate.
In primo luogo vi è l’avvento dell’euro. L’adozione della moneta unica ha
sostenuto indirettamente le emissioni corporate sia perché, ad essa, si è
accompagnato un periodo di bassi tassi d’interesse sui titoli di Stato determinato,
tra l’altro, anche dalle regole di disciplina fiscale fissata dal trattato di Maastricht.
Il passaggio all’euro inoltre ha prodotto effetti rilevanti sulle tecniche gestionali
degli investitori istituzionali. Innanzitutto la moneta unica ha allentato i requisiti
di bilanciamento delle attività e passività valutarie prescritti a molti di tali
investitori (i quali in precedenza mostravano una forte concentrazione dei
portafogli nelle rispettive valute nazionali). Le imprese di assicurazione e i fondi
pensione, in particolare, hanno potuto beneficiare dell’eliminazione del rischio di
cambio e hanno potuto disporre, senza rischi valutari, dell’alternativa
rappresentata dalle obbligazioni emesse da imprese dell’intera zona-Euro, con una
maggiore diversificazione per emittente, settore e zona geografica. La riduzione
dei tassi nell’area euro ha incentivato gli investitori a ricercare opportunità che
offrissero un rendimento maggiore di quello dei titoli di Stato, come appunto i
corporate bond (FIG. 3.1). Tale tendenza è testimoniata altresì dal progressivo
allargamento del mercato verso i prestiti con minore emessi da emittenti high
yield.
L’utilizzo dei titoli obbligazionari si è dimostrato competitivo anche nei
confronti dei prestiti bancari. Il prestito obbligazionario mostra innanzitutto una
“duttilità” maggiore del finanziamento bancario a lungo termine, nel senso che
non richiede il collegamento a uno specifico progetto d’investimento; può essere
1
Cfr. Relazione Consob per l’anno 2003, p. 30.
63
emesso senza prestazione di quelle garanzie reali che sono ancora spesso richieste
dalle banche per i finanziamenti a medio-lungo termine.
Inoltre le obbligazioni sono state utilizzate, specie nel 1999, per finanziare
le numerose operazioni di fusione e acquisizione attuate nel corso degli ultimi
anni in tutti i principali paesi ed anche cross-border, soprattutto nel settore delle
telecomunicazioni.
FIG. 3.1 – Rendimento dei titoli di Stato a 5-10 anni e
spread dei rendimenti corporate di diverso rating
(dati mensili, gennaio 1999-maggio 2004)
6
5
4
tasso 5-10 anni
spread AAA
spread AA
spread A
spread BBB
3
2
1
1999
2000
2001
2002
2003
2004
Fonte: BCE, MSCI e Bloomberg, nostre elaborazioni.
Lo strumento obbligazionario si è rivelato adatto anche per le imprese che
si trovano in particolari fasi del ciclo di vita, come nel caso delle start up o dei
management buy out. Allo stesso modo, numerosi buy back sono stati finanziati
dalle imprese con debito anziché con risorse interne. L’emissione obbligazionaria
può costituire infine un utile strumento per società che intendono ricorrere ad una
futura cessione di quote o alla quotazione di borsa – come l’andamento del 1999,
anno di forte crescita del mercato borsistico, ha dimostrato – perché consente
all’impresa di sondare l’interesse del pubblico e del mondo finanziario anche fuori
della propria tradizionale area territoriale.
Per quanto riguarda l’Italia va segnalato che le obbligazioni mostrano
ancora un ruolo limitato nel finanziamento delle imprese, soprattutto se si fa un
confronto con le imprese anglosassoni. Le ragioni di fondo sono rappresentate
essenzialmente dalla dimensione media degli emittenti, da un lato, e
dall’atteggiamento degli investitori istituzionali dall’altro. Questi ultimi infatti
64
considerano quasi esclusivamente emissioni con rating “investment grade”
(superiori a BBB-) e di dimensioni di almeno 300 milioni euro. Poche, anche se in
numero crescente, sono le imprese italiane che finora hanno chiesto il rating, e
comunque la maggioranza delle imprese che potrebbero ricorrere al mercato
obbligazionario otterrebbe il rating “speculative grade” soprattutto a causa delle
loro dimensioni limitate. Inoltre, le emissioni inferiori ai 300 milioni di euro sono
di fatto ignorate dagli investitori istituzionali per la loro scarsa liquidità.
2.
I sottoscrittori e i collocamenti
La ripartizione delle quote finali destinate agli investitori istituzionali (che
in genere assorbono la parte prevalente), alle banche ed agli operatori retail varia
sensibilmente da un’emissione all’altra. La scelta di collocare le emissioni presso
investitori istituzionali (in Italia generalmente a condizioni peggiori rispetto al
collocamento presso il retail) risponde ad una strategia di intervento complessa,
che considera vari elementi oltre al prezzo: il maggior grado di visibilità
(dell’emittente ma anche dell’intermediario), la possibilità di aumentare la
dimensione, nonché la maggiore facilità a ricorrere ad ulteriori emissioni. Il
ricorso agli investitori retail è imposto nel caso di operazioni not rated, cioè prive
della valutazione di merito di credito.
Sul peso che possono assumere rispettivamente gli investitori istituzionali
ed i sottoscrittori retail, in misura peraltro variabile nel tempo, incidono vari
fattori.
E’ da segnalare anzitutto che sussistono notevoli differenze tra il mercato
anglosassone, nel quale gran parte dell’intermediazione finanziaria passa
attraverso gli intermediari, e quello dell’Europa continentale, nel quale per contro
l’intervento diretto dei sottoscrittori retail è più consistente.
Particolare rilevanza assume anche la name recognition della società
emittente, alla quale il mercato retail è in genere molto più sensibile.
Difficilmente società meno note o in fase di avvio dell’attività possono essere
collocate con successo fra il pubblico, mentre gli investitori istituzionali sono più
sensibili ai fondamentali economici della società. Anche a questo proposito
emerge la diversità con il mercato azionario che, con le numerose IPO degli ultimi
anni a condizioni di prezzo particolarmente elevate, ha invece rivelato una
notevole propensione al rischio dei sottoscrittori.
65
Negli obiettivi perseguiti e quindi nei requisiti richiesti, nonché nel
comportamento assunto dagli investitori istituzionali e retail, si riscontrano dei
tratti distintivi che incidono sulla struttura e sull’organizzazione dell’emissione.
Per alcuni versi si può cioè dire che le emissioni si autoindirizzano agli uni o agli
altri, in tutto o in parte. Gli investitori istituzionali mostrano innanzitutto una netta
preferenza alla sottoscrizione di emissioni di tipo internazionale o Eurobond e di
ammontare adeguato per garantire la successiva liquidità del titolo (attualmente
circa 300 milioni di euro), con rating esplicito emesso da primarie Agenzie
internazionali.
Gli emittenti che si rivolgono ad emittenti istituzionali valutano
positivamente la possibilità di confrontarsi con investitori di primario livello,
nonché di creare un benchmark, ovvero un titolo di riferimento per le
negoziazioni sul successivo mercato secondario con un positivo ritorno di
immagine.
Le controparti istituzionali, per contro, intervengono nella strutturazione
dell’operazione e nella determinazione dello spread, che essi legano in primo
luogo al rating. Ne deriva una maggior sensibilità del prezzo del titolo
all’andamento e alle aspettative del mercato. Dal punto di vista dell’intermediario
finanziario la presenza di investitori istituzionali può comportare un maggior
impegno di sostegno sul mercato secondario, ma l’elevato ammontare e il numero
comunque ristretto di controparti consentono di semplificare il processo di
vendita.
Con riferimento alle norme di tutela del sottoscrittore e di trasparenza, è
evidente che gli investitori istituzionali richiedono l’osservanza di disposizioni
meno stringenti rispetto a collocamenti presso operatori retail.
I collocamenti retail. I punti di forza delle emissioni riservate agli
investitori istituzionali rappresentano, di norma, punti di debolezza per le
emissioni al dettaglio e viceversa. Il collocamento di obbligazioni in emissione
presso gli investitori retail – che richiede al managing group una capillare rete di
relazioni con altre banche minori e medie operanti sul territorio nazionale – rende
più semplice l’intervento successivo da parte dell’intermediario per l’eventuale
stabilizzazione del titolo, di grande importanza per l’emittente, grazie ad un
comportamento da “cassettista” in genere assunto dagli investitori al dettaglio.
66
Il grado di concentrazione del sistema bancario ed il grado di
specializzazione delle singole categorie di intermediari incidono sui rapporti e
quindi sul ruolo svolto dal manager del consorzio di collocamento. Mentre in
paesi come l’Italia è di fatto fondamentale la partecipazione ad un gruppo
bancario comprendente una banca commerciale, nei paesi anglosassoni le
investment banks collocano i titoli in emissione in gran parte presso gli investitori
istituzionali (appartenenti anch’essi comunque spesso allo stesso gruppo).
Nel nostro paese, l’intermediario specializzato lead manager si appoggia
solitamente alla banca commerciale capogruppo, avvalendosi però anche di altre
banche, in genere di medie dimensioni, locali, ben radicate sul territorio che
distribuiscono a loro volta i titoli sottoscritti presso il pubblico. La capacità
distributiva è un elemento molto importante nella decisione se inserire o meno una
banca nel sindacato di collocamento.
Il bacino di collocamento anche per gli operatori nazionali può estendersi
ai paesi esteri, essenzialmente europei. In forte crescita sono risultate le
operazioni di sottoscrizione cross border.
Più recentemente ed in misura crescente, sebbene ancora limitata, vengono
effettuate emissioni tramite Internet, con l’utilizzo di particolari circuiti elettronici
d’asta (primary auction).
A fronte di una minore capacità di assorbimento dei volumi in emissione
rispetto ad un deal istituzionale, un’emissione destinata agli investitori privati
consente di norma all’emittente di spuntare un costo della raccolta inferiore e se
necessario di rinviare la richiesta del rating ad un momento successivo, più
favorevole per le condizioni di mercato o per la situazione finanziaria/economica
della società.
Con riferimento al costo della raccolta infatti un deal destinato al mercato
retail può essere prezzato a condizioni più favorevoli per l’emittente, per la minor
forza contrattuale delle controparti. I deals istituzionali per contro comportano in
genere un premio a fronte di una maggiore capacità di assorbimento, ma come già
detto risentono in misura maggiore dell’andamento del mercato e delle
caratteristiche dell’emissione.
Il collocamento presso piccoli investitori privati è gradito dalle imprese
emittenti che intendono ampliare la base dei sottoscrittori e diffondere la propria
immagine fra i consumatori. Talvolta esse colgono nel contatto con la base al
67
dettaglio anche un ampliamento delle possibilità di collocamento dei propri
prodotti non finanziari.
Talvolta, quando l’emissione ottiene il consenso del mercato in termini di
combinazione prezzo/liquidità si possono avere casi di oversubscription. Tuttavia,
la conoscenza del mercato dell’intermediario lo mette in grado di valutare, prima
del lancio, la ricettività del mercato stesso e quindi di calibrare l’entità
dell’emissione. I casi di eccesso di domanda sono quindi limitati a particolari
periodi di euforia del mercato, che non rappresentano però la norma.
3.
Analisi dei rischi, rating e mercato secondario
Le procedure di esame dei rischi associati all’emissione, sono analoghe a
quelle seguite nella concessione di linee di credito per l’erogazione di prestiti. A
parità dio tutti gli elementi, in considerazione della più facile liquidabilità, un
titolo riceverà un minore grado di rischio rispetto a un prestito.
E’ interessante rilevare i diversi obiettivi perseguiti dalla credit analysis
rispetto all’equity research. Mentre la prima valuta la capacità dell’impresa di
sostenere il pagamento periodico degli interessi ed il rimborso del capitale alla
scadenza, l’equity research pone particolare attenzione al grado di
capitalizzazione e al rendimento del capitale investito, esaminando la capacità
dell’impresa di creare valore e la loro valutazione di mercato. Lo stesso evento
può essere valutato diversamente nell’ottica dell’obbligazionista e dell’azionista:
si pensi ad esempio alle operazioni di buy back, effettuate con particolare
frequenza negli ultimi anni, che spesso comportano un deterioramento della
capacità di credito dell’impresa ma sono volte a sostenere la valutazione
borsistica.
Nelle loro valutazioni, i credit analysts tendono a sottolineare in primo
luogo i fattori di stabilità che garantiscono il mantenimento della situazione
finanziaria e patrimoniale, a fronte di una sostanziale invarianza del rischio
assunto. Alla base di tali valutazioni vi è attualmente - dopo l’avvento dell’euro e
la diminuzione delle emissioni pubbliche - la curva swap (e quindi gli swap
spread definiti dalla differenza fra il rendimento dei government bond benchmark
68
e i tassi swap euro). Le curve a cui il lead manager fa solitamente riferimento2 nel
prezzare l’emissione sono infatti la curva dei titoli governativi, in particolare i
titoli di stato tedeschi e francesi ovvero i titoli più liquidi. Più frequentemente, i
maggiori prenditori sul mercato internazionale (le agenzie governative americane,
BEI, KFW, ecc.) utilizzano la curva swap dell’Euro, che ha il vantaggio di essere
unica e di facile definizione.
Per ottenere il prezzo del titolo, al prezzo di riferimento del benchmark
viene poi aggiunto il credit spread, definito in base alla valutazione di un insieme
di fattori fra i quali in particolare il profilo di rischio/rendimento dell’emittente e
le specifiche caratteristiche dell’emissione. È evidente poi che sullo spread dei
titoli obbligazionari incidono sensibilmente anche la domanda e l’offerta.
Quest’ultima può avere un impatto sugli spread persino superiore rispetto al
manifestarsi di particolari situazioni di crisi in un determinato settore.
Il rating. Il “merito di credito” o rating assegnato da primarie agenzie –
Standard&Poors, Moody’s e meno frequentemente Fitch – è divenuto un elemento
imprescindibile nelle euroemissioni, poiché ritenuto un requisito essenziale dagli
investitori istituzionali.
Il rating – che può essere richiesto con riferimento alla società emittente o
alla singola emissione3 – rappresenta come noto uno strumento di trasparenza e
tende a superare le asimmetrie informative fra emittenti ed investitori. Esso
costituisce una valutazione sintetica del grado di solidità e affidabilità della
società emittente di titoli obbligazionari. Il giudizio prende in considerazione
valutazioni sulla capitalizzazione, sui rischi, sulle strategie e sul management
dell’emittente esaminato. In funzione della capacità di ripagare il debito, le
Le variazioni nell’offerta relativa di titoli negoziabili pubblici e privati non hanno più consentito
di fare riferimento ad un’offerta costante e altamente liquida di titoli a rischio zero fungenti da
parametro di base nel processo di determinazione del prezzo in termini di tasso d’interesse futuro e
nella gestione dei rischi di mercato e di credito. Si è reso necessario pertanto ricercare titoli idonei
alla funzione di benchmark, ampiamente accettati come tali; promuovere un’offerta di tali titoli
che assicuri una sufficiente copertura della curva dei rendimenti; creare strumenti di sostegno quali
pronti contro termine e futures, nonché adottare tecniche di gestione dei rischi di mercato e di
credito appropriate ai titoli di riferimento prescelti. La competizione fra emittenti per stabilire
nuovi benchmarks a vari livelli di qualità creditizia ha già preso avvio, come mostra il crescente
numero di emissioni di grandissimo ammontare negli ultimi anni.
3
I rating possono differire poichè sulla valutazione delle singole emissioni e tranches incidono le
caratteristiche tecniche quali la scadenza, la presenza di garanzie, la natura senior o l’eventuale
subordinazione.
2
69
agenzie di rating classificano le società in investment grade (società con un livello
di affidabilità da eccellente a buono) e in speculative grade (società che essendo
più vulnerabili ad incertezze e maggiore esposizione a condizioni avverse
presentano un rischio di default da medio ad elevato). Alla classificazione per
merito di credito si aggiungono le considerazioni relative alle variazioni delle
dinamiche societarie (che vengono sintetizzate nell’outlook positivo, stabile o
negativo).
Il numero di investitori potenzialmente interessati alla sottoscrizione
aumenta notevolmente in presenza del rating, che è considerato una forma di
garanzia di qualità dell’emissione. Il rating facilita l’accesso al mercato ed il
collocamento dei titoli, aumentando la visibilità della società e consentendo di
conseguenza una più ampia diffusione ai titoli in emissione. Quel che in passato
soleva essere un mercato riservato ai mutuatari con rating AA o superiore ha
potuto assorbire un più ampio ventaglio di prestiti: negli ultimi anni infatti è
aumentata la quota delle emissioni dotate di rating, fra le quali in particolare
quelle con rating meno elevato. Le emissioni con merito di credito
rappresentavano l’81% nel 1999 ed il 56% nell’anno successivo, mentre negli
anni precedenti si aggiravano attorno al 20%. Tra le emissioni dotate di rating la
quota di quelle con la valutazione più elevata (AAA o Aaa) si è gradualmente
ridotta dal 44% al 13% fra il 1995 ed il 1999 per poi risalire leggermente nel
2000, al 25%. Negli altri paesi dell’area dell’euro queste quote sono risultate
molto più stabili, attorno al 30%.
Una quota molto consistente delle obbligazioni italiane, almeno in termini
di numero di prestiti, è però priva di rating (circa il 40%, ma meno del 20% in
termini di controvalore)4. Tale fenomeno si riscontra comunque anche in altri
paesi dell’area dell’euro, quali la Francia e la Germania, che pure contano un
numero elevato di imprese senza rating che hanno collocato obbligazioni.
Il mercato secondario. Nel maggio 2003 la Consob ha assoggettato i
sistemi di scambi organizzati (SSO) a obblighi di segnalazione più stringenti sui
prodotti negoziati, sul volume delle transazioni e sui meccanismi di formazione
dei prezzi5. I dati rilevati segnalano un mutamento della propensione al rischio
4
5
Cfr. Relazione Consob per l’anno 2003, p. 29.
L. Cardia, Incontro annuale con il mercato finanziario, Relazione Consob, 7 giugno 2004, p. 16.
70
delle famiglie italiane e una diversificazione internazionale del loro portafoglio,
confermando l’accresciuta competizione fra prodotti finanziari e tra emittenti per
attrarre il risparmio che si forma nel nostro Paese.
I dati relativi ad oltre 300 SSO rivelano un fenomeno di proporzioni
significative: nel primo trimestre del 2004 sono stati scambiati titoli per circa 22
miliardi di euro. Sono stati negoziati oltre 15.000 titoli obbligazionari diversi,
soprattutto emessi da banche, per un controvalore di circa 12,5 miliardi di euro; di
questi, 4,4 miliardi di euro erano relativi a obbligazioni societarie. Nello stesso
periodo il controvalore complessivo degli scambi obbligazionari sui mercati
regolamentati è stato pari a circa 3,7 miliardi di euro. I titoli obbligazionari, ma
anche altri prodotti finanziari, per loro natura tendono a essere negoziati su
sistemi diversi dai mercati regolamentati, essenzialmente perché difettanto di una
sufficiente liquidità; tendono ad essere collocati attraverso canali diversi
dall’offerta pubblica6.
3.
Alcune proprietà dei rendimenti dei titoli corporate
Una delle caratteristiche peculiari delle obbligazioni corporate è il rischio
di insolvenza che accompagna sempre il possesso di questi titoli e rende aleatorio
il pagamento degli interessi e il rimborso del capitale alla scadenza. Ovviamente il
rischio d’insolvenza esiste anche per i titoli di Stato, ma in molto casi (USA,
Germania, Inghilterra, ecc.) il rischio di mancato pagamento è talmente basso da
essere considerato praticamente nullo; lo stesso per quanto riguarda gli swaps. Nel
caso delle obbligazioni emesse delle imprese, invece, questo rischio non può mai
essere sottovalutato, specialmente per i titoli a più lunga scadenza, e questo ne
influenza il rendimento. D’altra parte il rischio di insolvenza varia da impresa a
impresa e nel tempo.
Il rendimento delle obbligazioni corporate
Si consideri un’attività che scade dopo un anno di valor nominale 100, e sia i il
rendimento di equilibrio delle attività a un anno prive di rischio. Si supponga che esista
una certa probabilità di insolvenza q e che, in caso d’insolvenza, l’emittente rimborsi la
Il binomio “offerta pubblica-mercato regolamentato” è tipico in realtà solo degli strumenti
azionari.
6
71
quota f del valor nominale (detta anche “recovery rate”), cioè la somma 100f.
In questo caso il valore di rimborso Kt+1 diventa una variabile casuale che può assumere
il valore 100 con probabilità (1-q) (= l’impresa non è insolvente) o valore 100f con
probabilità q. Il valor atteso del valore di rimborso K sarà quindi dato da:
(1)
Et[K t+1] = 100(1-q) + 100qf
In caso di investitori “neutrali” rispetto al rischio i insolvenza di questa particolare
impresa (per es. perché hanno portafogli molto diversificati e sono indifferenti rispetto
alla forma della distribuzione), il prezzo del titolo corrisponderà al valore attuale di
Et [K t+1] scontato al tasso di rendimento i:
2)
P = E t[K t+1]/(1+i) = (1-q)100/(1+i) + qf100/(1+i) = 100(1-q+qf)/(1+i)
Per rendimento (nominale) i* di un’obbligazione si intende quel rendimento che si
avrebbe in caso di “non insolvenza” acquistando il titolo al prezzo P. Poiché il valor
attuale di 100 disponibile con certezza fra un anno scontato al tasso i* è 100/(1+i*), il
tasso i* è ricavabile dalla relazione
3)
P = 100/(1+i*)
Che, utilizzando il risultato della (2) diventa:
4)
100(1-q+qf)/(1+i) = 100/(1+i*)
che, risolta per i*, dà:
5)
i* = (1+i)/(1-q+qf) - 1 = (1+i)/[1-q(1-f)]-1 (i* crescere al crescere di q, al
diminuire di f e all’aumentare di i)
E il differenziale (spread) S fra i rendimenti (nominali) dell’obbligazione “corporate” e
del titolo privo di rischio sarà:
6)
S = (1+i)/[1-q(1-f)] -1 - i = (1+i) {1/[1-q(1-f)] -1} = (1+i) q(1-f) / [1-q(1-f)]
Lo spread cresce al crescere del rischio di insolvenza q, al diminuire del recovery rate f,
e all’aumentare del tasso i.
La formula può essere facilmente generalizzata per le scadenze oltre l’anno
Che il rischio vari da impresa ad impresa è assolutamente ovvio: imprese
diverse operano in settori diversi, producono beni diversi in diversi mercati,
diverse sono le capacità dei manager, le strutture finanziarie differiscono tra
azienda e azienda, ecc. Un altro motivo di questa variabilità del rischio da impresa
ad impresa risiede nel fatto che, a parità di condizioni, il “danno” che il possessore
di titoli corporate subisce da un’insolvenza dipende da quanto riesce poi a farsi
rimborsare (percentuale di recupero o recovery rate) e questo, oltre a dipendere
dalle caratteristiche proprie dell’impresa, dipende anche dalla tipologia delle
emissioni (secured, unsecured e subordinato).
72
FIG. 3.2 – Tasso di default e recovery rate (dati europei) e
spread dei rendimenti corporate divisi per rating
(dati mensili, gennaio1999-maggio 2004)
12
10
300
Deafault rate
AAA
AA
A
BBB
45
250
40
200
35
150
30
100
25
50
20
0
15
300
Recovery rate (subordinate)
AAA
AA
A
BBB
250
200
8
150
6
4
2
1999
2000
2001
2002
2003
2004
1999
100
50
0
2000
2001
2002
2003
2004
Fonte: MSCI, Bloomberg, Moody’s e Datastream; nostre elaborazioni.
Note: per il tasso di default e il recovery rate = medie mobili di 12 mesi;
spread: obbligazioni con scadenza 2-3 anni, scala a destra in punti base.
Lo spread tra i rendimenti delle obbligazioni corporate e quelli dei titoli di
Stato, se ed in quanto rappresenta un compenso per il rischio di perdite da
insolvenza, può variare nel tempo sia per l’evoluzione delle condizioni delle
singole imprese, sia per l’evolversi della situazione economica nel suo complesso.
Se l’economia va bene, il rischio di tutte le obbligazioni corporate si riduce perché
diminuiscono le probabilità di insolvenza, aumentano i recovery rate attesi,
migliorano la “qualità” delle imprese e delle emissioni (le agenzie di rating
tendono a rivedere verso l’alto i loro giudizi), ecc., con la conseguenza che si
riducono gli spread fra i rendimenti dei titoli emessi dalle imprese e quelli degli
investimenti finanziari privi di rischio (FIG. 3.2. e 3.3). Ed è ovvio che tale
riduzione risulterà superiore per gli spread relativi ai titoli delle imprese con più
basso rating, per le quali la probabilità di insolvenza è relativamente elevata e i
cui rendimenti sono quindi più sensibili all’andamento dell’economia che le
allontana o le avvicina alla soglia di default.
73
FIG. 3.3 – Crescita attesa del PIL, variazioni nei rating di
Moody’s (saldo) e spread delle obbligazioni di rating A
(dati trimestrali, I trimestre 2000-II trimestre 2004)
5
crescita attesa PIL
Moody's upgrade - downgrade
120
crescita attesa PIL
spread obbligazioni A
100
0
3.5
80
-5
60
3.0
-10
2.5
3.5
40
3.0
-15
2.0
-20
20
2.5
2.0
1.5
1.5
1.0
1.0
2000
2001
2002
2003
2004
2000
2001
2002
2003
2004
Fonte: MSCI, Bloomberg, Moody’s e Datastream; nostre elaborazioni
Note: modifiche del rating = medie mobili di 12 mesi della percentuale
del saldo (upgrade-downgrade) sul totale dei rating in essere;
spread: obbligazioni con scadenza 2-3 anni, scala a destra in punti base.
D’altra parte – in analogia ai titoli di Stato e alle azioni, i cui prezzi e
rendimenti nei vari paesi tendono a muoversi insieme come conseguenza degli
arbitraggi internazionali e dell’integrazione tra le diverse economie – anche gli
spread delle obbligazioni corporate della zona-Euro sono legati a quelli esteri, in
particolare agli USA (FIG. 3.4).
FIG. 3.4 – Andamento degli spread in Europa e USA
(dati mensili, gennaio 1999-maggio 2004)
400
300
200
1000
spread BAA USA
spread BBB zona-Euro
1999
2000
2001
2002
2003
2004
Fonte: MSCI, Bloomberg e Fed; nostre elaborazioni;
Note: per gli USA titoli a lunga, zona-Euro a 5-7 anni.
74
L’interrelazione tra i rendimenti corporate, i rendimenti delle attività prive
di rischio, quelli delle altre attività a loro alternative e i mutamenti delle
aspettative sul rischio di deafult vale anche nel breve periodo. In particolare, nella
zona-Euro è possibile stimare una relazione del tutto simile a quella normalmente
usata per gli Stati Uniti e che viene derivata dalla relazione di equilibrio tra i
prezzi delle obbligazioni corporate e le sue principali determinanti.
Dall’analisi, i cui risultati sono sintetizzati nella TAB. 3.1.7, risulta che le
variazioni degli spread dei rendimenti delle obbligazioni corporate sono:
- positivamente correlate alla variazione dei rendimenti dei titoli di Stato di
pari scadenza; tutti i coefficienti della riga (1) della TAB. 3.1 sono positivi, per
tutte tutte le scadenze e per tutti i livelli di rating.
- inversamente correlate alle variazioni della pendenza della curva dei tassi
(la differenza tra il tasso a lunga e il tasso ad un anno); tutti i coefficienti della
riga (2) sono negativi;
- inversamente correlate alle variazioni percentuali del prezzo delle azioni;
tutti i coefficienti della riga (3) sono negativi;
- positivamente correlate alla variazione della volatilità delle azioni; tutti i
coefficienti della riga (4) sono positivi.
E’ da osservare anche che i coefficienti risultano più elevati per le
emissioni con rating più basso e con scadenza più lontana. Le variazioni degli
spread, come già accennato in precedenza, sono più sensibili al variare delle
condizioni economiche delle imprese.
7
I motivi economici alla base di queste relazioni sono, secondo gli economisti che hanno
utilizzato questi modelli, i seguenti: (1) Un aumento del prezzo delle azioni indica un
miglioramento dello stato di salute delle imprese, con la conseguente riduzione del rischio di
default e quindi dello spread; inoltre, un aumento del prezzo delle azioni ne rende meno
conveniente l’acquisto determinando un aumento della domanda di obbligazioni corporate, con la
conseguenza di ridurne il rendimento e quindi lo spread rispetto alle altre obbligazioni. (2) Un
aumento della differenza fra i tassi a lunga e a breve indica un’aspettativa di aumento dei tassi a
breve e, quindi, l’aspettativa di un miglioramento dell’economia. (3) Un aumento della volatilità
dei prezzi azionari segnala un aumento dell’incertezza e quindi del rischio. A differenza di altri
studi, in quest’analisi non abbiamo rilevato un legame inverso tra variazioni dello spread dei titoli
corporate e variazioni dei rendimenti delle attività “sicure” di pari durata, legame che emerge
invece nel caso degli Stati Uniti.
75
TAB. 3.1 – Coefficienti di regressione della “variazione degli spread delle
obbligazioni corporate” rispetto alle variazioni di quattro variabili economiche
esplicative (dati mensili di variazioni trimestrali; gen. 1999-mag. 2004)
AAA
2-3 anni
AA
A
BBB
AAA
5-7 anni
AA
A
BBB
oltre 10 anni
AAA AA
A
(1)
5,8
7,3
(4,0)
21,1
7,6
8,2
(7,1)
23,4
8,4
8,9
(9,3)
(2)
-6,4
-10,2
-12,7
-32,5
-13,6
-16,3
-26,5
-27,2
-11,9
-13,8
-23,2
(3)
-11,6
-17,0
-46,7 -157,8
-15,5
-22,4
-26,4 -106,9
-6,9
-25,2
-44,8
(4)
11,6
33,0 144,5 299,0
12,2
23,9 132,1 105,3 (11,9) (25,7)
46,4
Riga (1) rendimenti titoli di stato di pari scadenza;
Riga (2) differenziale tra i rendimenti titoli di Stato e il tasso a 1 anno;
Riga (3) prezzi delle azioni;
Riga (4) volatilità prezzi delle azioni.
Fonte dei dati: MSCI, Bloomberg e BCE e nostre elaborazioni.
4.
Rating e spread: un puzzle (parzialmente) irrisolto?
Il giudizio di merito concesso dalle agenzie di rating dovrebbe apparire
collegato alla percentuale delle insolvenze e al recovery rate di ciascuna
categoria. Dovrebbe anche risultare che i rendimenti delle obbligazioni emesse da
imprese con rating migliore hanno uno spread più basso. Entrambe queste
asserzioni sono soddisfatte sia dai dati europei che americani (per l’Europa si
vedano la TAB. 3.2 e la FIG. 3.5).
TAB. 3.2 – Probabilità di default e recovery rate
per scadenza e rating
Rating
AAA
AA
A
BBB
BB
B
CCC
1a
0,02
0,02
0,03
0,07
1,32
5,58
18,60
Anni alla scadenza
2a
5a
10 a
15 a
0,05
0,24
0,97
2,32
0,07
0,48
1,94
4,14
0,10
0,65
2,67
5,53
0,26
1,69
5,49
9,38
3,53 10,76 19,15 23,97
11,07 21,76 29,09 32,75
27,59 38,94 45,91 49,17
20 a
4,24
6,77
8,66
12,87
27,32
35,49
51,40
Recovery
rate (%)
88,34
59,59
60,63
49,42
39,05
37,54
38,02
Fonte: Creditmetrics e nostre elaborazioni per le probabilità,
Altman e Kishore per il recovery rate.
76
FIG. 3.5 – Andamento degli spread medi sulle obbligazioni
corporate europee, rating e loro volatilità
(media periodo; gennaio 2002-maggio 2004)
200
200
spread (in bp)
spread (in pb)
150
150
2-3 anni
5-7 anni
oltre 10 anni
2-3
5-7
oltre 10 anni
100
100
50
50
rating
0
volatilità dello spread (SE)
0
AAA
AA
A
BBB
0
20
40
60
80
Fonte: MSCI, Bloomberg, e Fed; nostre elaborazioni.
Se da un punto di vista qualitativo il comportamento dei tassi corporate
sembra quindi in accordo con la teoria, vi sono però dei problemi di natura
quantitativa che fanno supporre che la teoria economica tradizionale trascuri
qualche aspetto della formazione degli spread delle obbligazioni divise per classi
di rating.
La teoria tradizionale suggerisce infatti una formula che, in un mercato di
investitori con portafogli molto diversificati e/o neutrali rispetto al rischio,
dovrebbe legare il prezzo del titolo alla probabilità di default e al recovery rate
(vedi riquadro precedente).8 Utilizzando i dati disponibili si possono quindi
calcolare, per ogni categoria di rating, gli spread teorici e controllare se, almeno
come ordine di grandezza, essi corrispondono a quelli effettivi. Ebbene, in tutte le
analisi fatte sia per gli USA che per l’Europa i livelli degli spread effettivi
8
Nel caso semplificato di uno zero-coupon scadente fra un anno, detta q la probabilità di default, f
il recovery rate, r* e P* rispettivamente il pezzo e il rendimento dell’obbligazione corporate, r il
rendimento di un titolo privo di rischio a scadenza annuale, il prezzo P* dell’obbligazione
corporate dovrebbe corrispondere al valore attuale di 100(1-q)+fq, cioè [100(1-q)+fq]/(1+r). Da
questa relazione si può ricavare r* e quindi lo spread r*-r. La formula può essere poi facilmente
generalizzata a tutti i diversi casi che interessano. A un risultato simile a questo si arriva
utilizzando l’approccio di Black e Sholes: Merton ha infatti dimostrato che il valore del titolo
corporate corrisponde alla differenza tra il valore di un titolo privo di rischio di pari importo
nominale e di un’opzione put europea scritta sulle attività dell’impresa, con strike price L ed
esercitabile in t+1. Nel nostro esempio, infatti, il valore alla scadenza del titolo è dato dal minore
tra 100 e il valore pro quota dell’impresa che, in caso d’insolvenza, è pari a 100f.
77
risultano sistematicamente superiori a quelli teorici, specialmente per certe classi
di rating (FIG.3.6).
FIG 3.6 - Spread effettivo e sua stima approssimata in base alla probabilità di
insolvenza e recovery rate
1000
effettivo
stima approssimata
800
600
400
200
0
AAA
AA
A
BBB
BB
B
CCC
Dati europei, media ultimi 10 anni
Le spiegazioni date al fenomeno sono diverse. Secondo alcuni si
tratterebbe di un problema di liquidità: al peggiorare del rating scende anche la
liquidità dei titoli (misurata dal differenziale denaro-lettera o calcolata con altri
artifici). Secondo altri si tratterebbe invece di un “premio” sul rendimento, del
tipo di quello delle azioni. In equilibrio le azioni rendono di più delle obbligazioni
e quindi anche gli spread delle obbligazioni corporate, i cui rendimenti,
specialmente per le emissioni di rating non elevato, si muovono in sintonia con
quelli delle azioni, devono in parte godere di questo premio. In effetti, esiste
anche un legame diretto fra lo spread e la sua volatilità (FIG. 3.4). Altri ancora
suggeriscono invece un effetto fiscale dovuto alla tassazione delle cedole.
Ulteriori giustificazioni del fenomeno potrebbero essere trovate in una
parziale segmentazione dei mercati corporate a seconda del rating, con una
preferenza per i rating più elevati (che tra l’altro sono gli unici ammessi da alcuni
investitori), oppure ancora a una sottovalutazione delle probabilità di default,
78
normalmente misurate dalla percentuali passate delle insolvenze, rispetto a quelle
effettivamente “percepite” dagli investitori. In ogni caso, comunque, anche con i
nostri dati l’applicazione della formula di equilibrio allo spread dei rendimenti
delle obbligazioni corporate con rating da AAA a BBB sottovaluta nettamente i
veri valori. Per esempio, per le A di scadenza a 2-3 anni, la probabilità storica di
default è di circa 0,20% mentre, per far quadrare i calcoli, dovrebbe essere di circa
l’1%, una percentuale molto elevata rispetto ai suoi valori storici.
Le differenze tra spread effettivi e spread teorici che si presentano in un
mercato, per molti versi assai sofisticato, rimangono quindi come un puzzle che
necessita di ulteriori approfondimenti.
Va comunque osservato che se, si considerano il valore più probabile
(moda) e la perdita corrispondente all’1% di probabilità (una misura del rischio)
calcolate per i singoli titoli di diverso rating (FIG.3.7), si trova che per i rating
peggiori le perdite possono essere particolarmente elevate anche dopo un solo
anno.
FIG 3.6 – Rendimento annuo più probabile e perdita corrispondente all’1%
di probabilità per alcune classi di rating (dati europei, ns. elaborazione)
C-CCC
rendimenti
20
BBB
BB
B
0
-20
-40
MODA
MIN all'1%
-60
Ciò mostra come il possesso di un unico titolo possa risultare molto rischioso e
come il “fai da te” potrebbe risultare deleterio nel caso degli investimenti in
obbligazioni corporate.
A.18 – Le obbligazioni corporate emeses nella zona-Euro: un
approfindimento
Le obbligazioni corporate:
un approfondimento
The relevance of liquidity and country risk on
euro-denominated bonds
GINO GALDOLFI
Full professor of Banking and Finance
Università degli Studi di Parma Via Kennedy, 6 - 43100 PARMA,
ITALY
[email protected]
GIOVANNI VERGA
Full professor of Economics and Financial Markets
Università degli Studi di Parma - Via Kennedy, 6 - 43100 PARMA,
ITALY
[email protected]
MANOU MONTEUX
Risk Management Department - Risk Analysis and Pricing Models
Intesa San Paolo London Branch Risk Management Unit
90, Queen Street, London EC4N 1SA
[email protected]
MARIA CRISTINA ARCURI
Ph.D. of Tor Vergata University, Rome
Università degli Studi di Parma Via Kennedy, 6 - 43100 PARMA,
ITALY
[email protected]
Abstract
A debated issue in recent years is how liquidity and risk influence asset values. This
issue has become particularly relevant for the bond market since the start of the
financial crisis. At the same time the default risk in corporate bond market has
increased to new historical peaks in those euro-countries suffering from sovereign
debt crisis. This paper investigates the main determinants of corporate euro-bond
yields, in particular the liquidity and the risk related to the country of a issuer. A
sample of 1762 corporate euro-country bonds, selected from a “universe” of more
than 2959 euro-denominated bonds, was analyzed for the period May 2005 –
January 2012.
We found that both liquidity and risk exert a crucial impact on bond yields to
maturity. It also turned out that the market yield of corporate bonds issued in the
main European countries is, other things being equal, strongly influenced by the risk
of the corresponding sovereign bonds. Such findings have interesting operating
implications, regarding both market activity and valuation.
Keywords: bid-ask spread, bond, credit spread, liquidity risk
JEL CLASSIFICATION: E58, G21, E43, C13
1. Introduction
Bond markets play an important role in financial systems (Zainudin
and Board, 2008). The liquidity of corporate bond market and its
impact on the value of the related assets have been frequently studied
in the finance literature (Amihud and Mendelson, 1986; ,Boudoukh,
and Whitelaw, 1993; Brennan and Subrahmanyam, 1996; ,Chordia et
al., 2001, 2000; Vayanos, 1998) . The term “liquidity” generally refers
to the ability to buy or sell large volumes of assets promptly, at low
cost and with little price impact. This issue has become particularly
relevant since financial crisis started in 2007 and asset prices has been
influenced by liquidity shocks. Even the European Central Bank had
to establish the entity of this liquidity risk factor: “Unsecured
interbank money market rates such as the Euribor increate strongly
with the start of the financial market turbulences in August 2007.
There is clear evidence that these rates reached levels that cannot be
explained alone by higher credit risk” (Eisenschmidt and Tapking,
2009).
Some papers, as Jacoby et al., 2000, , show how liquidity impacts
financial market prices. Many researches (e.g. Benston and Hagerman,
1974; Datar et al. (1998); Stoll, 1978) focus on the equity market and
identify, among the source of liquidity, trading activity, volatility and
prices; Amihud (2002) find that liquidity predicts expected returns in
time-series, while Pastor and Stambaugh (2003) observe a cross
section relationship between expected stock returns and liquidity risk.
Other studies (Campbell and Ammer, 1993; Fleming et al., 1998; Ho
and Stoll, 1983; O’Hara and Oldfield, 1986) found that liquidity in
stock and bond markets covaries.
Our paper investigates the effect of liquidity and risk premium on
corporate bond yield rates during the period May 2005-January 2012.
The dependent variable is the spread between the yield to maturity of
bonds and their corresponding risk-free yield. This choice is due to the
relevance such spread has taken since the European sovereign debt
crisis started.
Consistently with the previous literature (e.g. Amihud and Mendelson,
1991; Crabbe and Turner, 1995; Gebhardt et al., 2005), we have
considered not only the default risk measures (including rating and
corporate bond CDS), but also both direct and indirect measures of
liquidity. Our paper provides some innovative contribution to the
current literature: (i) we analyze the European corporate bond market,
while usually empirical papers concern the U.S. market; (ii) our
analysis, based on a panel data technique, employs many measures of
liquidity as well as default risk; (iii) we investigate how much the
bond yield is influenced by the country where securities are issued;
(iv) we also compared the corporate bond yields in two important
periods: the European sovereign debt crisis as and the previous
worldwide financial crisis; in particular, the former was studied in
great details and also the bonds issued by the banking and nonbanking corporate sector were compared.
The structure of this paper is as follows. In the next section we discuss
how our paper is related to the existing literature on liquidity and risk
in bond markets. Section 3 describes the dataset; section 4 introduced
out model; section 4 discusses the empirical findings. Finally, section
5 presents some conclusions.
…….
omissis
4 The model
The dependent variable used in our analysis is the spread (henceforth:
SPREAD) between the bond yield to maturity (R) and its
corresponding risk-free yield (RF). For every bond its corresponding
risk-free yield was determined on the basis of the Eurirs (euro interest
swaps) of the same maturity adjusted for the presence of coupons.
This risk-free yield (henceforth RF) was approximated by solving the
following equation with respect to iF for every day and bond:
n
n
C/(1+iFt)h+d + 100/(1+iFt)n+d = C/(1+iEurirsh+d,t)h+d + 100/(1+iEurirsn+d,t)n+d
h=0
h=0
(where c is the coupon, h+d the time to maturity expressed in years h
+ days/365.25, iEurirsh+g is the interpolation between Eurirs interest
rates with maturities h and h+1).
Previous literature focused on the spread analysis also use, as
dependent variable, the corporate bond return. de Jong and Driessen
(2005) estimated the excess corporate bond return with respect to the
market, including the exposure to changes in the liquidity factors.
Chen et al. (2005) calculated the unobserved “true” bond return for a
certain bond and day that investors would bid given zero liquidity
costs. Ericsson and Renault (2006) considered the yield spread that is
the difference in corporate bond yields and identical liquid risk free
securities. They decompose the spread on the illiquid bond into three
components: the first one is a “pure” liquidity spread, the second
concerns the interaction between liquidity and credit risk and the third
component measures the default risk of the firm in a perfectly liquid
setting. Bao et al. (2011) analyzed the implications of bond illiquidity
considering the bond yield spread, in term of difference between the
corporate bond yield and the Treasury bond yield of the same
maturity. Houweling et al. (2005) investigated the effects of liquidity
risk by constructing time series of portfolio yields for each liquidity
measure they considered in the analysis.
As suggested by most authors, we included in our model all the main
bond characteristics representing the direct and indirect measures of
risk and liquidity usually employed in the literature (plus the
corresponding CDS). These variables are listed in TAB.1 (in brackets
the symbol used in this paper):
TAB. 1 – Measure of liquidity and default risk used in this paper
Liquidity measures
Default risk measures
Direct measures
Direct measures
Bid-ask spread (BIDASK) (-)
Rating (RATING) (+)
Zero-transaction days (%)
(IDLEDAYS) (-)
Bond CDS (BONDCDS) (+)
Indirect measures
Indirect measures
Issued amount (AMOUNT) (+)
term structure slope (SLOPE) (-)
Risk-free yield (RF) (-)
Years to Maturity (MATURITY) (-) (+)
Coupon (COUPON) (+) (-)
Price volatility (VOLATILITY) (-) (+)
The signs in round brackets refer to the influence any variable has on liquidity and
default risk respectively. Variable related to both liquidity and default risk are
located in the centre of the table: in this case the former sign refers to liquidity
The meaning of the direct liquidity measures (Bid-ask spread
[BIDASK] and the percentage of the zero-transaction days
[IDLEDAYS]) is obvious. Unfortunately, the trading volume (another
direct measure of liquidity: Fisher, 1959), was not available to us.
Among its indirect measures, the issued amount (AMOUNT) could be
a proxy of liquidity because large issues should trade more often;
moreover, Crabbe and Turner (1995) state that large issues may have
lower information costs and therefore a lower yield due to a low
illiquidity premium. Some empirical studies employed coupon
(COUPON) as a bond liquidity measure, even if the results are
conflicting: Amihud and Mendelson (1991) found a significant
negative effect, whereas other contributions noted an insignificant
positive coefficient. The maturity (MATURITY) is also considered a
bond liquidity measure: the older is a bond (and therefore a residual
maturity is short), the less trading takes places and the less its liquidity
is (Sarig and Warga, 1989). Moreover Schultz (2001) found that the
new issues usually trade more than the old ones. The price volatility
(VOLATILITY) was estimated by a GARCH(2,2) applied to the
logarithm changes of an approximation of daily prices. It measures the
price uncertainty and is therefore negatively related to liquidity; it is
instead usually positively correlated to the default risk: actually, some
researchers, among them Shulman et al. (1993) found a significant
positive effect on bond spreads.
The direct measures of the default risk we considered, i.e. rating
[RATING] and CDS [BONDCDS]) are absolutely intuitive. The
relevance of rating was already found in the literature (e.g. Gabbi and
Sironi, 2005)). In the present paper we turned the rating into a
numerical scale coming from 1 (AAA) to 10 (BBB3) and our variable
RATING is therefore positively related to risk. We used both rating
and bond CDS as default risk measures because CDS market is often
thin and may not represent the actual risk properly. On the other hand,
the rating is only changed from time to time (and often with some
delay); it is moreover a qualitative and not a quantitative judgment.
Given the nature of our dependent variable, we did not include the
credit factor defined by Fama and French (1993) among our regressors
since its most relevant components are always included among our
dependent variables. We however included the slope (SLOPE) of the
free-interest rate curve (10-year Eurirs yield minus 1-year Eurirs
yield) as a further indirect measure of risk: the higher the slope the
lower the weight given to the bond face value to be paid at maturity
(i.e. the value more sensible to a possible default). For the same
reason, also the corresponding risk-free yield of a bond (RF) and its
coupon (COUPON) may exert a negative impact on risk and were
included between its indirect components (the higher the coupons the
higher the weight of the nearest payments to the owner). The default
risk is instead positively correlated to a bond residual maturity
(MATURITY).
On the base of the influence the variable considered in our regressions
have on liquidity and risk, it is possible to establish their expected
signs in an equation explaining the spread (SPREAD=R-RF) between
the bond yield to maturity and its corresponding risk-free yield:
BIDASK (+), IDLEDAYS (-), AMOUNT (-), RATING (+),
BONDCDS) (+), VOLATILITY (+), (SLOPE) (-), MATURITY (+),
RF (-) COUPON (-);
The econometric tool used in this paper is the OLS panel data; the
software employed is Eviews 7.2.
Coming back to the literature, many empirical methodologies emerge.
Fama and French (1993) used a time series regression. Other studies
preferred a panel regression (e.g. Bao et al. (2011). A vector
autoregressive model for liquidity, volatility, returns in bond and stock
market was considered in Chordia et al. (2005). They found that a
shock to quoted spreads in bond or stock market affects the spreads in
both markets. Chen et al. (2007) examined if there is a bond-specific
liquidity effects on the yield spread by using three separate liquidity
measures: the bid-ask spread, the liquidity proxy of zero returns and a
liquidity estimator based on Lesmond et al. (1999). They found that
liquidity is a key element in yield spreads because it explains almost
half of the cross-sectional variation in yield spread levels and almost
twice the cross-sectional variation in yield spread changes referable to
credit rating effects.
Other authors analyzed liquidity risk of bond market by using other
econometric tools. A linear multifactor asset pricing model was
employed in de Jong and Driessen (2005): corporate bond returns are
explained from their exposure to market risk and liquidity risk factor.
A standard linear APT-style model is used in Downing C. et al. (2005)
and turned out that liquidity is an important risk factor in bond returns,
while Nashikkar et al., (2008) investigated the possibility for the
unexplained portion of the corporate bond yield spreads to be a
premium for liquidity, and for this purpose a measure called latent
liquidity was considered. In Jacoby et al., (2000) a liquidity-adjusted
capital asset pricing model was employed to examine the impact of
different source of risk on corporate bond prices.
Formattato
5. Empirical results
Formattato
A preliminary unit root test applied to the corporate bond yields as
well their corresponding risk-free yields, suggested that both variables
contain a unit root (both under the null hypothesis of common as well
individual unit root process).
For this reason we introduces in our panel analysis an error correction
model of the type
 SPREADt = a0 +  SPREADt-1 + a1 RFt + b1 RFt-1 + ...... (where 
< 0)
(where, as already defined, SPREAD  R – RF)
Our first results are reported in TAB.2 (For reason of space, not all
empirical results quoted in this section are entirely reported here).
The whole period considered in our analysis is May 2005–January
2012, but also the two following sub-periods were considered
explicitly: August 2007 – April 2010 and May 2010 - January 2012.
The former corresponds to the worldwide financial crisis, while the
latter coincides with the present so-called Eurozone sovereign debt
crisis: the latter, in particular, received much attention for its
relevance. In order to estimate the relevance of the issuer country on
bond yields, dummies for the main euro countries (Austria, Belgium,
Finland, France, Greece, Ireland, Italy, Portugal and Spain) were
introduced in the model (there is no dummy for Germany that is taken
as benchmark).
From TAB. 2 some important results emerge immediately. First of all,
the lagged dependent variable SPREADt-1 has a negative coefficient,
confirming that SPREAD=R-RF always tends to its equilibrium value.
Secondly, independently from the period examined, numerous
explanatory variable, i.e. BIDASK, RATING, BONDCDS,
VOLATILITY, SLOPE and RF (not surprisingly the ones considered
more relevant in the literature) are always significant and of the right
sign: an entire set of variables, related to both liquidity and risk, have
therefore to be taken into account in order to explain corporate yield
movements as well their equilibria. The others explanatory variables,
on the other hand, i.e. IDLEDAYS, Log(AMOUNT),
MATURITY/365.25 and COUPON, are sometimes un-significant
(especially during the last period considered); moreover
Log(AMOUNT) is always of the wrong sign: positive instead of
negative.
Another important result is that the “country effect” (measured by the
country-dummy coefficients) appears very strong during the period of
sovereign debt crises, and only in that period. In particular, the
coefficients of the dummy variables of the so-called PIIGS countries
are positive, significant and high. Moreover their values are is strongly
related to the corresponding treasury bond CDS. In other terms, other
things been equal, the corporate bond spread SPREAD was higher in
Formattato
Formattato
the countries where the public debt crisis was deeper (in the order:
Greece, Portugal, Ireland, Spain and Italy).
Table 2 – Panel estimation of the corporate yield spread (SPREAD)
Period
Independent variables 2/05/2005- 3/05/2010- 1/08/2007- 2/05/2005
31/01/2012 31/01/2012 30/04/2010 31/07/2007
Constant
-0.1062
-0.2166
-0.2531 -0.1131**
"Austria"
0.0104
0.0151
0.0094
0.0147**
"Belgium"
0.0120
0.0328
-0.0067
-0.0135
"Finland"
0.0204
0.0233
0.0437* -0.0276***
"France"
0.0144*** 0.0241*** 0.0154* -0.0133***
"Greece"
0.1796*** 0.5179***
0.0029
-0.0038
"Ireland"
0.0817*** 0.1167*** 0.0998*** 0.0404***
"Italy"
0.0497*** 0.0804*** 0.0316*** 0.0141***
"Portugal"
0.1500*** 0.2566*** 0.0742*** 0.0424***
"Spain"
0.0521*** 0.0759***
0.0177
-0.0037
BIDASKt-1
0.0054*** 0.0092*** 0.0039*** 0.0849***
IDLEDAYS
0.1849***
0.0352
0.5016***
0.0017
Log(AMOUNT)
0.0116***
0.0092
0.0209** 0.0068***
RATING
0.0119*** 0.0092*** 0.0232*** 0.0159***
BONDCDSt-1/1000
0.0035*** 0.0013** 0.0073*** -0.0003
MATURITY/365.25
0.0029*** -0.0005 0.0055*** 0.0117***
COUPON
-0.0015
0.0005
0.0001 -0.0136***
100*VOLATILITYt-1 0.1455*** 0.1682*** 0.2077*** -0.1757***
10*SLOPE
-0.0089*** -0.0036*** -0.0122*** -0.0030***
SPREADt-1
-0.0063*** -0.0055*** -0.0093*** -0.0161***
RFt-1
-0.0051*** -0.0012* -0.0080*** -0.0019***
-0.3467*** -0.3640*** -0.3132*** -0.5192***
(RF)
0.0516*** -0.0828*** 0.0953*** 0.0807***
(RFt-1)
-0.2214***
-0.1136*** -0.2398*** -0.2212***
(Rt-1)
0.0275***
-0.0475*** 0.0202*** 0.4078***
(BISASK)
0.0486*** 0.0908*** 0.0396*** -0.1745***
(BONDCDS)/1000
100*(VOLATILITY) 0.9600*** 0.6650*** 1.4098*** -0.3099***
Adjusted R-squared
0.0777
0.0461
0.0946
0.6295
Durbin-Watson stat
2.0073
1.9909
2.0183
2.4231
Included observations
1762
473
718
587
after ADJ
(***/**/* = significant as 1%, 5%, 10% respectively); country dummies
refer to the corresponding bond issuer country; dependent variable:
SPREAD  R – RF; daily data
Formattato
Formattato
Formattato
Formattato
Formattato
Formattato
Formattato
Formattato
Formattato
Formattato
Formattato
A comparison between the country effect and the country CDS is
reported in FIG.1. The link between the two variables during the
public debt crisis (3/05/2010-31/01/2012) is apparent. During the
previous financial crisis, instead, both the country effects and the
value of sovereign CDS were small, even for the PIIGS countries.
Figure 1 – Country effect on corporate bond spread and sovereign
bond CDS
2,000
Formattato
3/05/2010-31/01/2012
1/08/2007-30/04/2010
Greece
Sovereign bond CDS
1,600
1,200
800
Ireland
400
Portugal
Spain
Italy
country dummies
0
-20
0
20
40
60
80
100
Spread
Since all dummy-countries variables are closely related to their
sovereign CDS values, we replicated the second equation of TAB.2 by
replacing every dummy-countries with its corresponding series of
sovereign CDS (more precisely their spread with the Germany CDS).
Such variables (henceforth COUNTRYCDS), that were found to be of
I(1) type, were firstly introduced in our equation with coefficients
different for every country. However, since the estimated coefficients
looked fairly homogeneous between all countries, we estimated again
our equation under the hypothesis that the coefficients of all sovereign
CDS were the same.
Table 3 – Panel estimation of the corporate yield spread: further results
Formattato
all corporate bonds
non
banking
all
maturity
all
all
Independent variables
maturities > 3 yrs maturities maturities sector
Constant
-0.3516** -0.1837
-0.1096 -0.3002** -0.1965
"Austria"
0.0262
"Belgium"
0.0417
"Finland"
0.0278
"France"
0.0265***
"Greece"
0.6334***
"Ireland"
0.1130***
"Italy"
0.0873***
"Portugal"
0.2337***
"Spain"
0.0894***
COUNTRYCDSt-1 0.3979*** 0.4685***
0.5035*** 0.4823***
(COUNTRYCDS) 11.4594*** 9.2400***
11.3026*** 8.1500***
8.8210*** 7.4812***
(COUNTRYCDSt-1) 8.8760*** 8.5281***
dummy “banks”
0.0629* 0.0976***
"Austria"
-0.0648* -0.0783**
"Belgium"
-0.0439** -0.0728
"France"
0.0376** 0.0584**
"Ireland"
0.5140*** 0.5550***
"Italy"
0.0017
0.0027
"Portugal"
0.2508*** 0.3110***
"Spain"
0.0491* 0.0597**
BIDASKt-1
0.0094*** 0.0053*** 0.0076*** -0.0014 0.0114***
IDLEDAYS
0.0918
0.0914
0.1449* 0.4483** 0.4163***
Log(AMOUNT)
0.0121*
0.0045
0.0019 0.0869*** -0.0014
RATING
0.0151*** 0.0197*** 0.0168*** 0.0499*** 0.0273***
BONDCDSt-1/1000 0.0019*** 0.0028*** -0.0002
-0.0017 0.0059***
MATURITY/365.25
0.0016
0.0005
0.0012
-0.0071 0.0057***
COUPON
-0.0014
0.0038
0.0044*
0.0076
0.0029
100*VOLATILITYt-1 0.1655*** 0.2260*** 0.1859*** 0.1228*** 0.2117***
10*SLOPE
0.0010
-0.0006 -0.0062*** -0.0007
0.0010
SPREADt-1
-0.0067*** -0.0087*** -0.0072*** -0.0092*** -0.0104***
RFt-1
-0.0023*** -0.0036*** -0.0010
0.0031 -0.0033***
(RF)
-0.3096*** -0.3137*** -0.3625*** -0.3049*** -0.2877***
(RFt-1)
-0.0191*** 0.0168*** -0.0826*** -0.0726*** 0.0168***
(Rt-1)
-0.1237*** -0.1648*** -0.1132*** -0.0263*** -0.1754***
-0.0481*** -0.1081*** -0.0483*** -0.0396*** -0.0537***
(BISASK)
(BONDCDS)/1000 0.0388*** 0.1748*** 0.0893*** 1.1690*** -0.0148
100*(VOLATILITY) 0.6683*** 0.7035*** 0.6731*** -0.1027 0.8352***
the corresponding country dummies of the bond issuer; dependent variable:
SPREAD  R – RF; daily data 1/05/2010 – 31/02/2012
Formattato
Formattato
Formattato
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Formattato
Formattato
Formattato
Formattato
Formattato
Formattato
Formattato
Formattato
Formattato
Formattato
Results are reported in TAB.3 for the case of the sovereign crisis
period. The Adjusted R-squared improved compared with its
corresponding value reported in TAB.2, while all other coefficients
remained almost the same.
They confirm that the differences between the corporate yields spread
of different countries are related to the risk of the corresponding
sovereign bonds (similar results are obtained also if the spread
between the various sovereign bonds and the Germany bund yield are
employed instead of CDS). In order to check if this effect is stronger
in case of long residual maturity, we estimated the same equation
limited to bonds of more than 3 year maturity (second column of
TAB.3), but no strong difference emerged.
A further analysis was devoted to a comparison between the yields of
bonds issued by banks and the other corporate bonds. The hypothesis
was that bond yields, should be more sensitive to their corresponding
country sovereign yields since banks usually maintain a large amount
of their country sovereign debt in their portfolio.
Results are in column (3) and (4) of TAB.3. They were obtained by
adding to the previous equations a dummy variable for every country
considered (no dummies appears for Finland and Greece as no bank
bonds were available for them). It emerged that the spread, coeteris
paribus, are significantly higher for banks, apart from Belgiun and
Italy (in the latter country the bank activity is strongly supervised by
the Bank of Italy). The spread, moreover, is higher were the banking
system had to face face more difficulties (Ireland in particular). The
last equation of TAB.3 reports the estimation obtained for the nonbanking sector. Since the number of its bonds is high, the coefficient
are not very far from the ones of the first equation.
Formattato
5. Conclusions
In this paper the yields to maturity of corporate bonds issued in the
euro-countries are analyzed by means of a panel data econometric
device. The period considered was May 2005-January 2010 (daily
data), but particular attention was devoted to the recent Eurozone
sovereign debt crisis (May 2010-January 2010). The results show that
Formattato
liquidity factors must be taken in account along with default risk
indicators; the explanatory variables that turned out more significant
are in fact: bid-ask spread, price volatility, rating, bond CDS, risk-free
term structure slope, risk-free rate. Another important variable usually
explaining the bond spread is the percentage of non-traded days, while
the amount issued has the wrong sign. During the sovereign debt
crisis, the country where corporate bonds have been issued (and their
sovereign bonds CDS) has an enormous impact on corporate bond
yields. This impact seems to be stronger for bonds issued by the
banking sector, even there are differences among the countries
considered (very strong for Ireland, but unsignificant for Belgium and
Italy). These phenomena create obviously difficulties for the eurocountries facing public debt problems. The bond yield is high both in
the sovereign and the corporate sector: as a consequence, the cost of
financing becomes higher in countries with restrictive public policies.
Many aspect of the euro-denominated bond market deserves however
to be further investigated. Among them: (i) the difference between
euro-denominated bond yields issued in euro-countries and in the rest
of the world; (ii) the economic reason for the strong link between
countries and corporate yields; (iii) the influence of ECB monetary
policy on corporate and treasury bonds; (iv) the interrelation between
bonds and other market during the crises; (v) the operating
implications, regarding market activity and valuation, as well the best
monetary policy strategy given what emerged in our analysis.
Formattato
79
CALCOLO DELLE MATRICI DI TRANSIZIONE DEL RATING PER LE
SCADENZE SUPERIORI ALL’ANNO
Tab.A1 – matrice di transizione annuale (fonte Riskmetrics)
C1
C2
C3
C4
C5
C6
C7
C8
a:
da:
AAA
AA
A BBB
B BBB C-CCC
D
AAA
R1
87.73 10.93 0.45 0.63 0.12 0.10
0.02
0.02
R2 AA
0.84 88.22 7.47 2.16 1.11 0.13
0.05
0.02
A
R3
0.27 1.59 89.04 7.40 1.48 0.13
0.06
0.03
R4 BBB
1.84 1.89 5.00 84.21 6.51 0.32
0.16
0.07
BB
R5
0.08 2.91 3.29 5.53 74.68 8.05
4.14
1.32
B
R6
0.21 0.36 9.25 8.29 2.31 63.87 10.13
5.58
C-CCC
R7
0.06 0.25 1.85 2.06 12.34 24.86 39.98
18.6
D
R8
0
0
0
0
0
0
0 100.00
La precedente matrice dà la probabiità che un’impresa con un certo rating X nell’anno t abbia un
certo rating Y nell’anno successivo t+1. Come si nota dalla tabella, la probabilità maggiore è che
il rating non cambi (caselle sulla diagonale), ma esiste comunque una certa probabilità che il
rating migliore (upgrading) o che peggiori (downgrading). Si noti, comunque, che se un impresa
andasse in default (D), rimarrebbe per sempre in quella posizione.
E’ quindi importante anche conoscere la probabilità che in’impresa con un certo rating X
raggiunga un certo rating Y dopo 2 anni. Anche se un’impresa con un buon rating difficilmente
entrerà in default nel giro di un anno, la sua situazione economica potrebbe progressivamente
peggiorare ed essere degradata a un rating più basso dal quale sarebbe poi relativamente più facile
passare all’insolvenza.
Si supponga per semplicità che esistano solo tre rating X, Y e D (default). La matrice delle
transizioni tre t e t+1 sarebbe:
┌
┐
│QXX QXY QXD│
│QYX QYY QYD│
│0
0
1
│
└
┘
Dove QXY è la probabilità che un’impresa con rating x (primo indice) passo entro 1 anno al
rating y.
Si consideri ora il quadrato della matrice, cioè il prodotto della matrice con se stessa:
┌
┐┌
┐ ┌
_
┐
│QXX QXY QXD││QXX QXY QXD│ │ QXX2 + QXY·QYX + 0
etc. etc.│
│QYX QYY QYD││QYX QYY QYD│=│ QYX·QXX + QYY·QYX + 0 etc. etc.│
│0
0
1 ││ 0
0
1 │ │
0
0 1 │
└
┘└
┘ └
_
┘
Quando un’impresa che parte con rating X in t si trova ad avere lo stesso rating in t+1?
Vi sono potenzialmente tre casi:
a) L’impresa resta in X sia in t+1 che in t+1: la probabilità di questo evento è QXX2
b) L’impresa passa da X in t a Y in t+1 (con prob. QXY), poi, partendo da Y in t+1, ritorna ad X
80
in t+1 (con prob. QYX): la probabilità di questo duplice passaggio è QXY·QYX
c) L’impresa che in t è in X fa default in t+1, poi, partendo da una situazione di default in t+1
ritorna in X in t+1. Questo passaggio però è impossibile (probabilità zero) perché il default è
irreversibile.
La probabilità che un’impresa in X in t si trovi in X anche in t+1 è quindi data dalla somma di
queste tre probailità:
QXX2 + QXY·QYX + 0
Ma questa probabilità corrisponde esattamente al primo elemento della matrice quadrata.
Si verifica facilmente che lo stesso ragionamento si applica agli altri elementi: ogni elemento
corrisponde alla probabilità che un’impresa con un certo rating in t si trovi in un certo rating in
t+2, cioè dopo due anni.
Passando al cubo della matrice si trovano le probabilità relative a uno spazio di tre anni, ect.
ISTRUZIONI DA ESEGUIRE COL PROGRAMMA E-views:
@ Istruzione per la creazione di matrici (il metodo più semplice)
1) Introdurre delle variabili Qaaa, Qaa, etc. ciascuna corrispondente a una colonna della
matrice di transizione dei rating e immettere i dati
Data Qaaa Qaa Qa Qbbb Qbb Qzb Qccc Qdefaultx
2) Creare un gruppo formato da quelle variabili es:
• smpl 1 8 @ (perché ogni colonna ha 8 elementi)
• group probabilita Qaaa Qaa Qa Qbbb Qbb Qzb Qccc Qdefaultx
3) Convertire il gruppo in una matrice:
• matrix transition=@convert(probabilita)
4) Eseguire i quadrati, i cubi, etc. dellla matrice:
•
•
•
•
matrix transition2=transitionx*transition/100
matrix transition3=transition2x*transition/100
matrix transition4=transition3x*transition/100
Ecc.
TAB. A.2 - Matrice di transizione a 10 anni ricavata elevando alla decima
potenza la matrice annuale:
C1
da:
AAA
R1 AAA 29.22
R2 AA
4.39
A
R3
3.63
BBB
R4
6.27
R5 BB
2.72
B
R6
2.78
R7 C-CCC 1.83
D
R8
0
C2
AA
36.94
34.83
10.77
12.99
10.45
7.00
5.40
0
C3
C4
C5
C6
C7
C8
a (dopo 10 anni):
A BBB
B BBB C-CCC
D
17.74 9.70 3.85 1.12
0.44
0.97
31.52 17.43 6.98 2.06
0.82
1.93
43.16 26.32 9.50 2.79
1.13
2.66
24.46 31.22 13.11 4.61
1.82
5.49
22.31 20.93 13.93 7.64
2.84 19.14
23.40 20.30 9.35 5.92
2.13 29.09
16.28 14.73 8.27 5.55
1.99 45.90
0
0
0
0
0 100.00
81
TAB. A.2 – Probabilità di fallimento (ultima colonna delle varie matrici di
tranziozione)
entro 1 anno entro 10 anni
rating
D
D
R1 AAA
0.02
0.97
R2 AA
0.02
1.93
A
R3
0.03
2.66
R4 BBB
0.07
5.49
R5 BB
1.32
19.14
B
R6
5.58
29.09
C-CCC
R7
18.6
45.90
D
R8
100.00
100.00
3
2.1 - IL-LEGAME
I TASSI
A zona
LUNGA
DELLA
ZONA-EURO
E
a04. TassiTRA
a lunga
nella
Euro
e negli
USA
DEGLI USA
Una caratteristica dei tassi della zona-Euro e degli Stati Uniti è che mentre i
tassi a breve seguono l’andamento dei rispettivi tassi ufficiali (il Repo per l’euro e
il Fed fund per gli USA), i tassi a lunga delle due zone presentano movimenti
analoghi e slegati dall’andamento dei tassi ufficiali (v. Figure).
FIG.1 – Tassi a breve nella zona-Euro e negli USA
e andamento dei tassi ufficiali
7
7
Repo
Tasso mensile zona-Euro
Fed Funds
Tasso mensile Usa
6
5
5
4
4
3
3
2
2
1
1
0
Repo
Tasso decennale zona-Euro
Fed funds
Tasso decennale americano
6
0
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
Questo particolare comportamento dei tassi a lunga può essere spiegato
utilizzando i concetti sul comportamento dei mercati efficienti: il mercato è
sempre in equilibrio, sfrutta in modo corretto tutte le informazioni disponibili in
equibrio i rendimenti di attività simili tendono ad uguagliarsi.
In un mercato “perfetto”, senza costi di transazioni, investimenti simili devono
essere perfettamente equivalenti.
Un’alternativa equivalente all’acquisto in t di un titolo con scadenza N quindi
l’ acquisto in t di un titolo a scadenza 1 e contemporaneamente di N-1 futures sui
tassi1 a consegna in t+1, t+2, ... t+N e di durata unitaria. In entrambi i casi, in t, è
noto con certezza il rendimento complessivo che si otterrà in t+N (per semplicità
non consideriamo problemi di insolvenza) e quindi i due rendimenti complessivi
devono coincidere.
1
Si veda 1 - Lezione del 9-11-2005 (futures sull'Euribor) presente nella sezione Lucidi e
diapositive delle lezioni della pagina internet del corso Economia Monetaria (Istituzioni)
4
Utilizzando per semplicità la formula dell’interesse semplice e indicando con
RN,t il rendimento in t dell’attività a scadenza N, con Rt il rendimento dell’attività a
scadenza unitaria e con Ft+K il tasso d’interesse sui futures acquistati in t con
consegna in t+K e di scadenza unitaria, dev’essere:
1.
N RN,t = (Rt + Ft+1 + Ft+2 + ... + Ft+N -1 + Ft+ N )
ovvero:
2.
RN,t = (Rt + Ft+1 + Ft+2 + ... + Ft+N -1 + Ft+ N ) / N
E’ quindi partire dalla spiegazione del tasso Rt e dei tassi dei futures per
spiegare il comportamento dei tassi a lunga. Una volta spiegate queste variabili,
infatti, il rendimento dei tassi a lunga lo si ottiene facendo la media del tasso
dell’attività a breve (a scadenza 1) e dei tassi sui futures. Poiché siamo interessati
al legame tra i tassi europei ed americni, ai nostro simoli dobbiamo aggiungere un
elemento (rispettivamente € o $ per indicare la valuta in cui l’attività è
denominata).
Sia allora F€,t+K il rendimento di un interest rate future in euro fissato in t e
relativo a un’operazione di vita unitaria e differita a t+K. Se sono valide le solite
condizioni di arbitraggio e di efficienza dei mercati, il rendimento del future sarà
legato ai quelli delle sue principali alternative. Nel caso in esame, esse sono lo
spot in euro e il future in dollari. Un’alternativa all’accensione in t di un contratto
future in euro con esecuzione in t+K è infatti un’operazione spot, pure in euro, da
rinviare però a t+K.
Indicando con R€,t+K il futuro rendimento di questa operazione, l’arbitraggio
instaurerà un legame tra il suo valore atteso E[R€,t+K ] e il rendimento del contratto
future. La seconda alternativa è l’accensione in t di un contratto interest rate
future, sempre con esecuzione differita in t+K, ma espressa in dollari. In questo
caso, il rendimento da comparare al future in euro sarà il rendimento F$,t+K del
future in dollari meno la rivalutazione attesa dell’euro, cioè la futura crescita
attesa E[Ct+K] del cambio euro/dollaro fra t+K e t+K+1.
Nella realtà, però, nessuna delle due operazioni è perfettamente assimilabile al
future in euro per la presenza del rischio che entrambe le alternative hanno a
causa dell’incertezza sulle previsioni. Nel primo caso l’incertezza è dovuta al fatto
che il futuro tasso spot sull’euro non è noto in t; nel secondo caso, invece,
l’incertezza è dovuta alla possibile variazione del cambio.
5
Si può quindi sostenere che il rendimento dell’interest rate future in euro sarà
legato ad entrambi i rendimenti attesi alternativi, e più precisamente a qualcosa di
simile a una media ponderata, con pesi dati rispettivamente da (1-qK) e qK, cioè:
3.
F€,t+K  (1-qK) E[R€,t+K ] + qK (F$,t+K - E[Ct+K])
Tenendo presente che il cambio segue una sorta di random walk, si può
realisticamente ipotizzare che la variazione del cambio fra t+K e t+K+1 sia
totalmente aleatoria e che quindi il suo valore atteso sia vicino allo zero (in t è
praticamente impossibile stabilire come si muoverà il cambio tra t+K e t+K+1).
La relazione precedente può così essere semplificata in:
F€,t+K  (1-qK) E[R€,t+K ] + qK F$,t+K
Tra le due possibilità alternative, quella il cui rendimento influenza
maggiormente il valore del rendimento F€,t+K sarà ovviamente quella con le
caratteristiche “più simili” al future sui tassi in euro. Dato che la caratteristica che
differenzia quest’ultimo dalle altre due operazioni è la presenza del rischio, il
rendimento che avrà peso più elevato sarà quello dell’alternativa con rischio
minore.
Poiché si può ritenere che l’errore commesso nel prevedere i tassi spot sia
tanto maggiore quanto più lontana è la data K alla quale si riferisce l’operazione,
mentre l’incertezza sulla futura variazione del cambio è sostanzialmente
indipendente da K (cioè da quanto la data è lontana - e questo risultato è
automatico nel caso del random walk), ne deriva il che il peso q cresce al crescere
di K. Ne risulta che per K basso (diciamo sotto i 12 mesi) il rendimento
dell’interest rate future sui tassi in euro è soprattutto condizionato dall’aspettativa
sullo spot in euro; per K elevato (diciamo sopra i 5 anni), il rendimento del future
in euro è soprattutto condizionato dal corrispondente future in dollari. D’altra
parte, un’ulteriore differenza tra K basso e K alto riguarda anche la stessa
formazione delle aspettative E[R€,t+K] sullo spot. Per valori di K bassi, è
relativamente facile stimare il futuro livello dei tassi a breve, così che l’aspettativa
riflette con qualche approssimazione il loro effettivo andamento, ovvero, dato il
forte legame tra il tasso a breve (quello a 1 mese) e il tasso di policy, il futuro
andamento del Repo, il quale dipende dalle condizioni dell’economia e dal suo
attuale livello. Nel breve periodo, infatti, il futuro livello del Repo è fortemente
condizionato dal suo valore in t (Repot): il tasso ufficiale, infatti, presenta delle
6
caratteristiche che richiamamo alla mente le variabili “integrate di prim’ordine”: i
sui movimenti avvengono sempre intorno al suo ultimo livello.
Per K elevato, invece, è impossibile per gli operatori eseguire stime
sufficientemente precise del futuro valore del tasso a breve spot e/o del Repo.
L’aspettativa R* si baserà, quindi, non sullo stato corrente dell’economia e
sull’attuale livelo del Repo (tre 5-10 anni può succedere di tutto!!!), ma sulle
aspettative di lungo perriodo dell’inflazione (e quindi indirettamente sulla
credibilità della banca centrale) e della crescita economica. Tale valore R* risulta
quindi indipendentemente dall’attuale politica monetaria del momento, rispetto
alla quale si comporta come se fosse una costante.
Tenendo conto di questo, in caso di K molto basso il valore del peso qK presente
nella relazione (3)
F€,t+K  (1-qK) E[Repot+K ] + qK F$,t+K
tende ad essere vicino a zero. La relazione può così essere approssimata in
4.
F€,t+K  E[Repot+K ]  E[Repot]  E[Repot]
Per K elevato (diciamo oltre 5 anni), invece, non solo qK è elevato, ma anche
l’aspettative sul Repo diventa pari a R* che è indipendente dal suo attuale livello:
5.
F€,t+K  (1-qK ) R* + qK F$,t+K (con qK non molto lontano a 1)
= costante + qK F$,t+K
Ne derivano due fenomeni:
a) Il rendimento dei futures sui tassi a breve europei relativi ai K bassi è
legato al Repo, il rendimento dei futures relativi ai K alti è legato ai tassi
americani (v. Fig.2, dove il rendimento dei futures è stato posto uguale al
tasso implicito 2).
b) Il rendimento dei titoli di scadenza K, che è una media dei rendimento a
breve spot e dei futures (cfr. eq.2) è legato soprattutto al Repo se K è
basso, invece, per K elevato risulterà soprattutto legato alla media dei
futures dei tassi americani – e quindi al tasso a lunga americano – se K è
alto.
2
Per l’equivalenza tra futures e tassi impliciti si veda 1 - Lezione del 9-11-2005 (futures
sull'Euribor) presente nella sezione Lucidi e diapositive delle lezioni della pagina internet del
corso Economia Monetaria (Istituzioni).
7
FIG.1 – Repo e tassi sui futures della zona euro e USA relativi a K elevato
(compreso fra 7 e 10 anni)
7
6
5
4
3
Repo
Tasso implicito 7-10 anni (zona-Euro)
Tasso implcito 7-10 anni (USA)
2
1
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
1
- a05. Aspettative e comunicati della Banca Centrale
4 – Informazioni al pubblico e efficienza e omogeneità delle aspettative: il
caso delle conferenze stampa ufficiali della BCE
Il caso qui presentato analizza l’effetto che i comunicati stampa della BCE hanno
sulle aspettative degli operatori riguardo il valore futuro del tasso ufficiale
europeo (il Repo). L’ipotesi è che i mercati siano efficienti e i prezzi e i
rendimenti di equilibrio si riflettano tutte le informazioni disponibili agli operatori
utilizzate in modo corretto. La Banca Centrale influenza le aspettative del mercato
rilasciando informazioni sul grado di rischio per la stabilità dei prezzi e quindi sul
loro futuro andamento.
1. La teoria - Dal nov. 2002 il valore del Repo è fissato nella prima riunione
mensile del Consiglio direttivo della BCE ed esso ha validità dalla successiva
operazione di “rifinanziamento principale”.
D’altra parte dev’esserci un legame fra l’Euribor e il Repo, dal momento che
entrambi i mercati servono di finanziamento a breve per le banche: relative
operazioni risultano essere stretti sostituti e i relativi rendimenti devono risultare
“allineati”.
La teoria delle aspettative ci dice che, a prescindere dal premio di liquidità, etc.,
nell’istante t, il rendimento dell’Euribor a scadenza N mesi corrisponderà, in
equilibrio, a:1
1) RNt = (R1t+Et[R1t+ 1Mese] +Et[R1t+ 2Mesi] + Et[R1t+ 3Mesi] ...+ Et[R1t+ (N-1)Mesi] )/ N
(dove R1 è il rendimento mensile)
Nel giorno successivo la riunione del Consiglio direttivo, gli operatori sanno però
che il Repo rimarrà inalterato per 1 mese e, successivamente, potrà essere
modificato solo nella prima riunione di ogni mese.
In quel giorno deve quindi valere le seguente relazioni:
2) R1t = Repot + h
(dove h, approssimabile con una costante, è una sorta di differenziale “tecnico” tra
i costi di indebitarsi presso la BCE e sul mercato ed è dell’ordine di 0,10 punti)
da cui:
3) Et[R1t+ h Mesi] = Et[Repot+ h Mesi] + h
ovvero :
4) Et[Repot+ h Mesi] = Et[R1t+ h Mesi] – h
1
Qui per semplicità si suppone che il premio di liquidità sia nullo.
Bozza del 12/02/10 alle ore 18.34
2
Sostituendo la (3) nella (1) di arriva a :
5)
RNt = (R1t+Et[Repot+ 1Mese] +Et[Repot+ 2Mesi] + Et[Repot+ 3Mesi] ...
+ Et[Repot+ (N-1)Mesi] )/ N + h
il cui significato è che la Banca Centrale può influenzare e tassi a scadenza oltre il
brevissimo termine semplicemente influenzando le aspettative del mercato sul
futuro valore del Repo. Ne consegue che i tassi di mercato tendono ad anticipare i
movimenti del tasso ufficiale.
Queste relazioni possono essere utilizzate anche in senso inverso a quanto fatto
sinora: dall’andamneto dei tassi per scadenza, e in particolare dai loro
corrispondenti tassi impliciti, si possono ricavare le aspettative del mercato sul
futuro valore del Repo.
Infatti, poiché la serie dei tassi impliciti di RN, definiti da:2
6)
It, 1 Mese  2 R2t - R1t
6’)
It, 2 Mesi  3 R3t - 2 R2t
6”)
It, 3 Mesi  4 R4t - 3 R3t
…….
fornisce indicazioni sulle aspettative dell’Euribor (si veda la teoria delle
aspettative per le struttura per scadenza dei tassi d’interesse), la stessa serie
fornirà anche aspettative sul Repo:
7)
Et[Repot+ 1 Mese] = Et[R1t+ h Mesi] – h  It, 1 Mese – h  2 R2t - R1t– h
7’)
Et[Repot+ 2 Mesi] = Et[R1t+ h Mesi] – h  It, 2 Mesi – h  3 R3t - 2 R2t– h
7’’) Et[Repot+ 3 Mesi] = Et[R1t+ h Mesi] – h  It, 3 Mesi – h  4 R4t - 3 R3t– h
……
Tutte queste formule possono essere faclmente gereralizzate per i giorni t diversi
da quelli sucessivi alle riunioni del Consiglio Direttivo.
2. Dichiarazioni ufficiali e aspettative del mercato. - Negli Stati Uniti, il 18
gennaio scorso [=2004], il vertice della Fed, pur non modificando i tassi
d’interesse, ha tolto dal comunicato ufficiale il suo precedente riferimento a una
politica accomodante “per un tempo considerevole”. E’ bastato questo, cioè
l’eliminazione dell’espressione “per un tempo favorevole” per far scendere
2
I tassi impliciti sono stati oggetti di materia di studio nel corso di Economia Monetaria
(Istituzione).
3
immediatamente Wall Street (-1,33% il Dow Jones e -1,83% il Nasdaq) e risalire
il dollaro (cfr. Il Sole 24Ore, 19-1-2004, p.1)”. Più recentemente, nel mese di
febbraio, alcune parole pronunciate da Greenspan hanno determinato l’effetto
opposto.
Episodi di questo genere sono ormai diventati comuni. L’uso delle parole
che gli esponenti delle banche centrali fanno o non fanno nei loro discorsi
ufficiali, e/o che appaiono o non appaiono nei documenti, possono produrre effetti
di politica monetaria anche in assenza di decisioni sui tassi ufficiali. Data la
rilevanza che i messaggi ufficiali hanno sulle aspettative dei mercati, e quindi
sull’andamento dei tassi e delle altre grandezze economiche che risentono di
queste aspettative, le espressioni verbali contenute nelle dichiarazioni ufficiali
sono ormai diventate un ulteriore strumento di politica monetaria, da aggiungere a
quello più tradizionale della manovra dei tassi di policy.
L’efficacia di questo ulteriore “strumento” di politica economica (che
Svensson, un esperto dell’Europarlamento, ha battezzato open mouth operations)
dipende, ovviamente, da tante condizioni. La prima è che la banca centrale sia
credibile e, per esserlo, anche trasparente. La seconda è che il “messaggio” sia
efficace e comprensibile. Ma per esserlo occorre che il “cuore” del messaggio sia
altamente “ritualizzato”, cioè espresso in una forma che cambia poco nel tempo, e
che le espressioni e le parole chiave siano poche e standardizzate.
Questo sembra ormai essere anche il caso della BCE. L’impostazione delle
dichiarazioni ufficiali è sempre la stessa e le parole che racchiudono il giudizio di
sintesi della Banca sono poche, standardizzate, e più o meno sempre le stesse.
Inoltre, soprattutto nella prima metà del 2003, sono state inoltre numerose le
risposte date dal Presidente a quesiti sull’interpretazione del “linguaggio” della
BCE (cfr. la sezione Questions and Answers delle varie Conferenze).3
Il problema della rilevanza informativa dei principali discorsi del
Presidente della Banca Centrale Europea è già stato affrontato in un Osservatorio
Monetario dello scorso anno (2003/1, p. 75-86). La metodologia utilizzata
consisteva nella costruzione di un “indicatore” (che andava da -3 a +3) del
pericolo inflazionistico/deflazionistico percepito dalla BCE, il quale era costruito
in base alle parole chiave che si trovano nei giudizi di sintesi delle Conferenze
Molte risposte sono state dedicate a chiarire il significato dell’aggettivo “appropriate”! Si noti
che sinora non si rileva alcuna differenza tra la forma (e le parole) delle dichiarazioni di Tichet e
quelle di Duisenberg.
3
Bozza del 12/02/10 alle ore 18.34
4
Stampa del Presidente e degli altri principali documenti. Nel fare questo ci si
avvaleva, per quanto possibile, di una tabella di corrispondenza che legava le
espressioni utilizzate dalla Banca alla nostra misura qualitativa dell’intensità del
pericolo inflazionistico/deflazionistico. Negli ultimi mesi questa tabella è stata
leggermente modificata per far coincidere il giudizio “appropriate” al livello zero
di pericolo (TAB. 3.2), ma per il resto è rimasta sostanzialmente inalterata. Si è
così continuato a costruire, dopo ogni prima riunione mensile del Consiglio
Direttivo, il nostro indice sul pericolo per la stabilità dei prezzi. Tale indice si è
già dimostrato utile come variabile esplicativa per le previsioni di breve periodo
dell’andamento del tasso ufficiale.4
Negli ultimi mesi, però, sono apparsi diversi lavori che si occupano
dell’effetto che le dichiarazioni della Fed hanno sulle aspettative del mercato
amaricano, e il cui risultato è che le dichiarazioni ufficiali esercitano un’influenza
significativa sulle aspettative.5
Diventa quindi interessante stabilire se anche nella zona-Euro accade lo
stesso, visto che anche le dichiarazioni ufficiali della BCE hanno tutte le proprietà
formali e sostanziali per potere essere dotate di un certo contenuto informativo
Le aspettative del mercato considerate nella nostra analisi riguardano le
variazioni attese del rendimento mensile dell’Euribor, stimate dalla differenza tra i
vari tassi impliciti e il rendimento dell’Euribor a un mese.
4
G.Verga-G.Campanini (2004), The Main Economic Variables and the Behaviour of ECB, sito
internet http://www.econ-pol.unisi.it/wfq/PaperSiena/Campanini-Verga.pdf
5
Per. es. G. Urga e D.G.Barberman (2004), General-to-specific modeling of the impact of news on
Fed funds futures' implicit interest rates, http://www.econ-pol.unisi.it/wfq/PaperSiena/BrabermanUrga.pdf, G.Verga e C. Rosa (2004), Is ECB communication effective?,
http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=621641
5
TAB 3.2 – Espressioni contenute nelle dichiarazioni ufficiali e nostra
misura del grado di rischio per la stabilità dei prezzi
Grado di
rischio
Dichiarazioni ufficiali: le principali espressioni chiave
Imperative that upward pressure to be contained. – Essential short-term movements
of inflation do not become protracted and translate into second round effects. - [We
assure that] price stability in the euro area will be maintained - [We assure that]
ECB will] take appropriate action if and when required - Risks [to price stability] are
upward (upside) - The risks to price stability are confirmed - Vigilant (vigilance). Alert. - Assessed continuously. - Close monitored. – Continuous close attention -
+3
Both confident and vigilant - Good however vigilant - Downward risks have receded
further. -
+2
The downside risks have disappeared - Somewhat less favourable – Upward
pressure remain contained - rather balanced - Mixed signals. - Uncertainty. - [Price
perspectives are] less satisfactory but further evidence is needed -
+1
Appropriate – Favourable – Compatible – Consistent - In line – Balanced - No
strong pressures either upward or downward - Absence of significant pressures
either upwards or downwards -
0
Upward risks to price stability have diminished [even if not fully disappeared]. Improvement [in inflation risks]. - Inflationary pressures have further diminished
(or: are lower) - Favourable, but there are some [downside] risks - Appropriate but
remain downside risks - Balanced but monitor closely all [downside] factors –
Interest rates are low by historical standards helping against downside risks -
-1
Consistent, but carefully monitor all [downside] risks to economic growth - Monitor
carefully all [downside] factors relevant to economic growth - Mownside risks are
still relevant - Economic slowdown is still cause for concern - Downside risks are
not vanished -
-2
[Strong] downside risks for economic activity - Monitor closely the downside risks
to economic growth.
-3
.
Un primo risultato, che confronta la variazione attesa dell’Euribor col
nostro indice costruito in base al contenuto delle Conferenze Stampa del
Presidente, è sintetizzato dalla FIG. 3.7.
Il grafico si riferisce al periodo gen. 2002-feb. 2004. Nella figura sono
riportate le aspettative del giorno successivo alla Conferenza Stampa e, per
rendere più preciso il confronto, sono stati considerati solo quei casi in cui il Repo
non è stato modificato.
Bozza del 12/02/10 alle ore 18.34
6
FIG. 3.7 – Aspettative sulle variazioni a 2 mesi dell’Euribor
e nostro indicatore delle dichiarazioni ufficiali
(periodo: gen. 2000 - feb. 2004)
3
2
1
0
-1
-2
-3
2000
2003
2004
pericolo inflazionistico/deflazionistico
variazione attesa dell'Euribor
Fonte: Treasury Management Database (si veda il sito Internet all’indirizzo
http://www.tmpages.com/tmp55.htm), Conferenze Stampa del Presidente, e con
nostre elaborazioni;
Nota: Per rendere più semplice il confronto la scale delle variabili è stata
normalizzata; l’aspettative è stata misurata dalla differenza fra il tasso implicito e
il rendimento corrente.
Dalla figura emerge un fortissimo parallelismo tra l’andamento delle due
variabili: tra le attese degli operatori sulla variazione dell’Euribor e la nostra
misura dell’opinione della BCE sul rischio per la stabilità dei prezzi c’è
effettivamente un notevole legame.
Ovviamente questo, di per sé, non assicura che la Banca, tramite le sue
dichiarazioni, abbia effettivamente influenzato le aspettative del mercato: il
risultato della FIG. 3.7 ne è solo una precondizione.
Il parallelismo tra le due variabili potrebbe infatti non essere riconducibile
a un fenomeno di causa ed effetto (dichiarazioni BCE → aspettative mercato), ma
di semplice corrispondenza. Mercato e BCE hanno infatti a disposizione
informazioni economiche simili, e le aspettative degli operatori e della BCE
potrebbero risultare simili solo per questo motivo (dichiarazioni BCE ← variabili
economiche → aspettative mercato).
Per avere la certezza che le dichiarazioni ufficiali influenzino
effettivamente le aspettative del mercato occorrerebbe, pertanto, conoscere quali
sarebbero le aspettative del mercato in assenza dei comunicati ufficiali, e poi
procedere al confronto.
7
Un modo per cercare di aggirare il problema consiste nell’osservare come
mutano le aspettative tra il giorno precedente e quello successivo le Conferenze
Stampa. Per facilità di comparazione sono state considerate solo le riunioni in cui
il Repo è stato lasciato inalterato. Poiché è plausibile che la principale
informazione che raggiunge sistematicamente il mercato tra questi due giorni sia
proprio il contenuto della dichiarazione ufficiale, si possono mettere in diretta
relazione le variazioni delle aspettative con le Conferenze Stampa.6
Un esempio del risultato che si ottiene è rappresentato nella FIG. 3.8, in
cui come modifica delle aspettative si è presa la variazione della differenza fra il
tasso implicito a 2/3 mesi e il rendimento del’Euribor mensile.
Variazione delle aspettative a 2-3 mesi
FIG. 3.8 – Mutamento delle attese sulle variazioni dell’Euribor e
dichiarazioni ufficiali (periodo: gen. 2000 - feb. 2004)
.08
.04
.00
-.04
-.08
-.12
-.12
-.08
-.04
.00
.04
.08
Effetto netto delle Conferenze Stampa
Il risultato sembra coerente con quanto già dedotto da alcuni autori per il
caso della Fed: anche la Banca Centrale Europea ha un certo potere sulle
Ovviamente questo procedimento si basa necessariamente sull’assunto che la nostra variabile che
sintetizza le dichiarazioni ufficiali sia una buona approssimazione dell’interpretazione che ne dà il
mercato! In ogni caso, la verifica consiste in una regressione in cui entrano: la modifica della
variazione attesa dell’Euribor, l’aspettativa del giorno precedente la riunione del Consiglio
Direttivo, la nuova indicazione del grado di rischio contenuta nella Conferenza Stampa del
Presidente e l’indicazione che risultava dall’ultima dichiarazione Ufficiale. Nonostante la brevità
della serie e l’arbitrarietà insita in questo procedimento (la nostra variabile è solo
un’approssimazione dell’interpretazione che il mercato dà ai documenti ufficiali), il legame risulta
altamente significativo. [cfr. G. Verga-G.Campanini (2004), ididem]
6
Bozza del 12/02/10 alle ore 18.34
8
aspettative a breve del mercato. Le sue dichiarazioni ufficiali possono quindi
contribuire a stabilizzare o modificare le aspettative, facilitando la politica
monetaria e consentendo di diradare i veri e propri interventi sui tassi ufficiali.
Il parere della BCE:
Transparency and effective communication: ECB’s Opinion
In a special section of its Monthly Bulletin (Nov. 2002), ECB presented
its own opinion on both transparency and effective communication.
While the long run influence of expectations described by ECB is the
typical one of the economic literature, its opinions about the short term
relevance of expectations deserves some attention. It was in fact the first time
that ECB faced this problem systematically.
After reminding that “near-term horizons money market interest rates
mainly reflect market expectations about the near term path of monetary
policy”, ECB sustained that the relevance of such expectations is due to the
fact that central banks directly control only very short-term interest rates: both
the level of the money market interest rates of other maturities (1-12 months,
say) and the premia for uncertainty they incorporate are also significant for the
transmission of monetary policy, but they are strongly influenced by short term
expectations. What the bank stressed is that money interest rates move in the
right direction, and in advance with respect to monetary policy moves if and
only if the public anticipates monetary policy decisions correctly. It follows
that (i) “a correct interpretation by the market of the monetary policy decisions
taken by the central bank reduces the volatility of interest rates”, and (ii) “a
good understanding of monetary policy allows private agents to better manage
and hedge their risks, which may contribute to reducing market uncertainty
and enhancing economic welfare (ECB, 2002, p.62)”.
For those reasons transparency itself is an important component of the
monetary policy framework, since it helps the public to anticipate CB moves
correctly, and therefore to reduce uncertainty and volatility in financial
markets. On the other hand, an important component of transparency is an
effective and efficient communication process: unfortunately, as ECB
suggests, “it is difficult to provide a completely exhaustive and understandable
description of all elements and aspects relevant to the decision-making process
while, at the same time, being clear. Rather, a balance has to be struck between
the different and partly conflicting dimensions of transparency, in particular
openness and clarity”: “it is important that both the central bank and the public
share a common framework and language, and this requires that the central
bank organises and presents the information available in a structured manner”
(ECB, 2002, p.60).
9
Transparency, however, cannot arrive to the point that “central banks
should provide precise indications of their future policy intentions as well as
their current policy stance” because, “owing to general uncertainty about
present and future developments in the state of the economy, any central bank
must always remain in a position to reconsider its assessment when
circumstances change” (ECB, 2002, p.60)”.
The solution the ECB suggests to face these two conflicting goals of (i)
being “perfect transparent” (5), and of (ii) keeping to itself the freedom to adapt
its short run policy, is that “statements about future policy plans can only be of
a general and conditional nature.” (ECB, 2000, p.63).
_____
(5) On 10 May 2001, the Governing Council decided to lower the key ECB interest rates by 25
basis points. This move, totally unexpected by the market (in its previous meeting the
President had spoke about “important inflation pressures”), was heavily criticized both by
financial operators and economists. Someone, during the President’s Press Conference,
complained that “you have been saying for a long time that you want to prepare the markets
for your actions in monetary policy. The markets did not expect your cut at all”, and some
other suggested that the Bank “could have waited a little more just in order to make the
decision expected”. Strongest critics came from de la Dehesa (2002). He wrote that “Markets
do not mind surprises but do not like “cheating”, and that such a “decision has been an
important mistake regarding credibility and, even more, regarding communication.” In his
opinion “Mr Dusenberg ... has announced a restrictive stance with great emphasis and then the
ECB Council has done the opposite. This is a clear case of what economists call “dynamic
inconsistency”, the markets asks for both “rules and consistency” and they seem to get back
neither of the two.
Bozza del 12/02/10 alle ore 18.34
57
- a06. Il mercato del future sull'Euribor e la politica della BCE
APPENDICE A.1
Il mercato del future sull’Euribor1
I mercati di quotazione del future sull’Euribor
a 3 mesi
Da quando l’Euro è diventata la moneta unica
dei principali paesi europei sono nati nuovi
mercati monetari-finanziari, come l’Euribor2 e
l’Eonia (Euro OverNight Index Average). Ad
essi si sono aggiunti i relativi mercati derivati,
specializzati sia nelle scadenze breve e mediolunga. Tale evoluzione ha reso più facile sia per
gli hedgers che gli speculatori coprirsi o esporsi
in posizioni di rischio, mediante contratti futures
e opzioni che hanno come “sottostante” gli
strumenti del mercato monetario - soprattutto
l’Euribor a scadenza 3 mesi o anche l’EONIA.
I contratti sul future dell’Euribor sono due. Il
primo, il più liquido, è trattato nell’Euronext
Liffe di Londra (London International Financial
Futures and Options Exchange): nel momento in
cui scriviamo sono quotati 20 contratti, le cui
scadenze (expire date), intervallate di tre mesi in
tre mesi, vanno dal 18 giugno prossimo al 19
marzo 2012 (TAB. A.1).
In particolare, uno strumento molto importante,
e in continuo sviluppo, è proprio il future
sull’Euribor a 3 mesi, un contratto riguardante
depositi a tre mesi (del cosiddetto segmento del
mercato monetario), di grosso importo (il valore
facciale del sottostante di € 1.000.000). Il
vantaggio di questo strumento è di consentire a
grossi investitori di assumere posizioni sui futuri
movimenti dei tassi. Trattandosi di un interest
rate future, è infatti possibile stabilire
preventivamente il prezzo (tasso) su operazioni a
tre mesi che avranno esecuzione a data differita.
1
A cura di G. Barone, C. Rosa e G. Verga
L’Euribor (Euro Interbank Offered Rate) è un tasso
guida giornaliero basato sul tasso d’interesse a cui le
banche sono disposte a concedere prestiti non
garantiti a altre banche nel mercato monetario
all’ingrosso (interbancario) dell’euro. I rendimenti
dell’Euribor sono determinati (fixed) dall’European
Banking Federation (EBF) approssimativamente alle
10:00 (ora di Londra) di ogni giorno; il suo valore
corrisponde a una media “filtrata” dei rendimenti dei
depositi interbancari offerti da un gruppo di banche
(al momento più di 50), su scadenze che vanno da
una settimana a 12 mesi. I rendimenti dell’Euribor
possono essre liberamente scaricati da internet nel
sito www.euribor.org.
TAB. A.1: Il future sull’Euribor a 3 mesi: il
Liffe
RIC
Nome
Expire Date Volumi
FEIM7
EURIBOR 3M JUN7
18-Jun-07
54.925
FEIU7
EURIBOR 3M SEP7
17-Sep-07
162.282
FEIZ7
EURIBOR 3M DEC7
17-Dec-07
188.277
FEIH8
EURIBOR 3M MAR8
17-Mar-08
135.095
FEIM8
EURIBOR 3M JUN8
16-Jun-08
92.314
FEIU8
EURIBOR 3M SEP8
15-Sep-08
76.451
FEIZ8
EURIBOR 3M DEC8
15-Dec-08
52.462
FEIH9
EURIBOR 3M MAR9
16-Mar-09
31.466
FEIM9
EURIBOR 3M JUN9
15-Jun-09
8.164
FEIU9
EURIBOR 3M SEP9
14-Sep-09
4.718
FEIZ9
EURIBOR 3M DEC9
14-Dec-09
2.592
FEIH0
EURIBOR 3M MAR0
15-Mar-10
1.804
FEIM0
EURIBOR 3M JUN0
14-Jun-10
287
FEIU0
EURIBOR 3M SEP0
13-Sep-10
132
FEIZ0
EURIBOR 3M DEC0
13-Dec-10
68
FEIH1
EURIBOR 3M MAR1
14-Mar-11
134
FEIM1
EURIBOR 3M JUN1
13-Jun-11
243
FEIU1
EURIBOR 3M SEP1
19-Sep-11
175
FEIZ1
EURIBOR 3M DEC1
19-Dec-11
70
FEIH2
EURIBOR 3M MAR2
19-Mar-12
70
2
Contratti futures sull'Euribor a 3 mesi quotati nella piazza di
Londra (Liffe); volumi = media giornaliera delle ultime 20 sedute;
Valori al 4 giugno 2007
L’altro mercato è l’Eurex di Francoforte.
Dal punto di vista tecnico il funzionamento dei
due mercati è lo stesso, anche se l’Eurex risulta
58
meno
liquido
dell’Euronext-LIFFE,
dal
momento che il volume di contratti scambiati è
inferiore, come si può facilmente notare dalla
TAB. A.2.
TAB. A.2 Il future sull’Euribor a 3 mesi:
l’Eurex di Francoforte
RIC
Nome
Expire Date Volumi
FEU3M7
3MTH EURI JUN7
18-Jun-07
1.100
FEU3U7
3MTH EURI SEP7
17-Sep-07
1.276
FEU3Z7
3MTH EURI DEC7
17-Dec-07
413
FEU3H8
3MTH EURI MAR8
17-Mar-08
291
FEU3M8
3MTH EURI JUN8
16-Jun-08
158
FEU3U8
3MTH EURI SEP8
15-Sep-08
213
FEU3Z8
3MTH EURI DEC8
15-Dec-08
64
FEU3H9
3MTH EURI MAR9
16-Mar-09
37
FEU3M9
3MTH EURI JUN9
15-Jun-09
15
FEU3U9
3MTH EURI SEP9
14-Sep-09
25
FEU3Z9
3MTH EURI DEC9
14-Dec-09
18
FEU3H0
3MTH EURI MAR0
15-Mar-10
22
Contratti futures sull'Euribor a 3 mesi quotati nella piazza di
Francoforte (Eurex); volumi = media giornaliera delle ultime 20
sedute; Valori al 4 giugno 2007
Le caratteristiche del mercato del future
sull’Euribor
I prezzi dei futures sono quotati su base
giornaliera e il tasso d’interesse contrattuale
corrisponde a 100 meno il prezzo. In ciascun
contratto il prezzo si muove di multipli del
minimo prefissato di 0,005 (o unità discrete
ticks), che, dato il valore facciale del sottostante,
corrisponde a un valore di 12,5 euro.
L’ultimo giorno di contrattazione di ogni
contratto future corrisponde a due giorni
lavorativi prima del terzo venerdì del mese di
consegna (delivery month). La data di consegna
(o scadenza) è invece il primo giorno lavorativo
dopo l’ultimo trading day. Per esempio, se in un
certo delivery month il terzo venerdì del mese
corrispondesse al giorno 20 e il mercoledì fosse
festivo, l’ultimo giorno di contrattazione sarebbe
il martedì 17 e la data di consegna il giovedì 19.
Se invece non vi fossero giorni festivi intermedi,
l’ultimo giorno di contrattazione sarebbe il terzo
mercoledì del mese e il giorno di consegna il
giovedì. Normalmente, comunque, la scadenza
(expiring day) va dal 13 al 19 del mese.
I mesi standard di consegna (delivery) sono
marzo, giugno, settembre e dicembre, detti
anche trimestri di scadenza (quarterly expiries).
In generale, comunque, la liquidità, misurata dal
volume delle contrattazioni, aumenta fino ai 3-6
mesi, poi si riduce (FIG. A.1)
FIG. A.1: Volumi e scadenza del future
sull’Euribor
200000
100000
Volume (scala logaritmica)
10000
Liffe
Eurex
1000
100
scadenza
10
giu- 2007
giu-2008
giu-2009
giu- 2010
giu-2011
Volumi = media giornaliera delle ultime 20 sedute; valori al 6
giugno 2007
Questo risultato emerge anche dalla FIG A.2 che
riporta
la
media
mobile
settimanale
dell’andamento dei volumi dei contratti con
expiry 18 giugno e 17 settembre 2007.
La liquidità è molto ridotta quando la scadenza è
molto lontana; questa tende successivamente a
crescere man mano che la scadenza si avvicina
finché, in prossimità dell’expiry day, il volume
delle contrattazioni si riduce. Dalla figura si nota
infatti che fino al dicembre del 2006 le
59
contrattazioni erano più numerose sulla
scadenza più vicina, poi dal gennaio al marzo di
quest’anno i due grafici tendono a sovrapporsi e,
infine, a partire da aprile 2007 risulta maggiore
il volume sul future a scadenza 17 dicembre.
FIG. A.2: Volume delle contrattazioni
Euribor, scadenza giugno e dicembre 2007
350000
300000
Expire date 16 giu 2007
Expire date 17 dic 2007
250000
200000
150000
100000
50000
0
2006
2007
g f m a mg l a s o n d g f ma mg
specialmente per i contratti con scadenza non
eccessivamente lontana (TAB. A.3). La
spiegazione che si può dare riguardo all’effetto
delle riunioni del Consiglio Direttivo è ovvia. La
decisione sul livello del Repo e le informazioni
date dal Presidente durante la Conferenza
Stampa,
se
inattese,
modificano
la
conformazione ottima degli investimenti
monetari degli operatori, che reagiscono
modificando i loro portafogli (elevato volume) e
i prezzi dei contratti future. Dal momento che
queste informazioni riguardano soprattutto il
breve-medio periodo, sono proprio i contratti
con questa scadenza a esserne maggiormente
influenzati.
TAB A.3: Effetto del giorno della settimana
rispetto al lunedì e effetto delle riunioni della
BCE su volumi e volatilità dei prezzi
Liffe; medie mobili di 5 giorni: 17 gen 2006 - 6 giu 2007
Va comunque tenuto presente che oltre alle
scadenza tipiche di cui si è detto sopra, vi sono
anche contratti serial expiry che scadono nei
successivi sei mesi di calendario, e, pertanto,
non corrispondono alla sequenza dei precedenti
trimestri. La loro liquidità è comunque modesta
e quindi qui non vengono presi in
considerazione.
Profilo settimanale e effetto delle riunioni della
BCE sulle transazioni nel mercato del future
Ritornando
all’andamento
del
volume
giornaliero degli scambi nel mercato del future
sull’Euribor, occorre notare che il suo
andamento, oltre a risentire della scadenza, è
influenzato anche dal giorno della settimana (le
contrattazioni sono più alte dal martedì al
venerdì). Inoltre, nei giorni in cui si riunisce il
Consiglio Direttivo della BCE, il volume degli
scambi e la volatilità delle quotazioni, risultano
significativamente più elevati. E questo,
soprattutto per quanto riguarda i volumi, vale
Scadenza
giu 07
set 07
dic 07 mar 08
Martedì
0,07
0,05
0,04
0,05
Mercoledì
0,05
0,05
0,05
0,06
Giovedì
0,08
0,06
0,05
0,06
Venerdì
0,04
0,06
0,05
0,06
Riunione BCE
0,21
0,13
0,10
0,07
Martedì
0,06
0,05
0,05
0,05
Mercoledì
0,02
0,02
0,03
0,04
Giovedì
0,04
0,05
0,05
0,06
Venerdì
0,05
0,06
0,07
0,07
Riunione BCE
0,12
0,12
0,11
0,09
Volume
Volatilità prezzo
Nostre elaborazioni su dati Liffe; periodo 17 gen 2006 - 6 giu
2007; valori espressi in % dei valori medi
Liquidità e livellamento delle condizioni di
mercato
Data la buona liquidità di molti contratti future
sull’Euribor a tre mesi, le operazioni di
60
arbitraggio fra i diversi contratti e i diversi
mercati tendono a portare a un livellamento
della convenienza delle relative operazioni. Ne
deriva che i prezzi (e i rendimenti) dei futures
sull’Euribor tendono a muoversi molto
velocemente per eliminare ogni possibile
discrepanza fra i rendimenti delle diverse
alternative.
Un caso in cui quest’affermazione è
assolutamente evidente riguarda i contratti
uguali quotati nelle due diverse piazze di Londra
e Francoforte (TAB. A.4)
TAB. A.4: Confronto fra i prezzi del future
sull’Euribor a 3 mesi quotato su piazze
diverse (valori seduta 29 Maggio 2007)
Scad.
chiusura
Liffe
Eurex
Massimo
Liffe
Eurex
Minimo
Liffe
Eurex
giu 07
95.84
95.835
95.84
95.84
95.835
95.835
set 07
95.63
95.63
95.64
95.64
95.625
95.63
dic 07
95.485
95.49
95.495
95.49
95.48
95.485
mar 08
95.43
95.435
95.445
95.44
95.425
95.435
giu 08
95.42
95.42
95.435
95.435
95.41
95.425
set 08
95.44
95.44
95.46
95.455
95.43
95.445
dic 08
95.465
95.585
95.485
95.6
95.455
95.585
mar 09
95.5
95.5
95.52
95.515
95.49
95.505
giu 09
95.505
95.505
95.52
95.51
95.495
95.51
set 09
95.505
95.505
95.525
95.515
95.5
95.515
dic 09
95.5
95.5
95.515
95.505
95.495
95.505
Nostra elaborazione su dati Liffe e Eurex
I valori della tabella si riferiscono ai dati del 29
maggio scorso, giorno in cui è risultato massimo
il
numero
di
scadenze
quotate
contemporaneamente in entrambi i mercati3.
Un'altra indicazione della forte integrazione tra i
vari contratti del future sull’Euribor si ricava
dalla TAB. A.5, che riporta le correlazioni tra le
3
Quanto appare dalla tabella è comunque di validità
generale: contratti analoghi hanno prezzi pressoché
allineati.
variazioni giornaliere dei prezzi di chiusura di
alcuni contratti quotati sul Liffe.
TAB A.5: Correlazione tra le variazioni
giornaliere dei prezzi dei contratti futures
sull’Euribor a 3 mesi (Liffe).
2007
2008
Scad.
giu
set
dic
mar
giu
set
dic
giu 07
1.00 0.98 0.94 0.92 0.89 0.87 0.86
set 07
0.98 1.00 0.99 0.97 0.95 0.93 0.92
dic 07
0.94 0.99 1.00 0.99 0.98 0.96 0.95
Mar 08 0.92 0.97 0.99 1.00 0.99 0.98 0.97
giu 08
0.89 0.95 0.98 0.99 1.00 1.00 0.99
set 08
0.87 0.93 0.96 0.98 1.00 1.00 1.00
dic 08
0.86 0.92 0.95 0.97 0.99 1.00 1.00
Nostra elaborazione su dati Liffe; dati giornalieri, periodo 17
gennaio 2006 - 6 giugno 2007
Le correlazioni tra contratti con scadenza
relativamente vicina sono elevatissime, e ciò
significa che i prezzi si muovono sempre in
sintonia e nella stessa direzione. Qualunque
fenomeno che determina il movimento del
prezzo di un future ha un’immediata
ripercussione sulla convenienza degli altri
contratti che, grazie alla reazione del mercato,
vedono un immediato movimento dei loro prezzi
nella stessa direzione. Il legame, inoltre, come ci
si poteva attendere, è tanto più forte quanto più
le scadenze sono vicine e quindi quanto più
sostituibili le attività.
Analisi dei prezzi per contratto e per posizione
E’ possibile costruire due differenti tipi di serie
dei prezzi dei futures: per contratto e per
posizione. Quanto trattato sinora ha riguardato la
prima alternativa: per ogni singolo contratto è
stata considerata l’evoluzione giorno per giorno
del prezzo e dei volumi
Le serie per posizione sono invece costruite
fondendo fra loro i dati di diversi contratti
61
future. In un dato istante, la “prima posizione” è
identificata con il contratto con la scadenza più
vicina nella sequenza trimestrale; la seconda
posizione è rappresentata dal secondo contratto a
scadere nella stessa sequenza trimestrale, e così
via. D’altra parte, come il nome suggerisce, la
serie storica di un contratto inizia alla data di
apertura (opening date) e cessa alla scadenza del
contratto future. Il vantaggio di analizzare il
comportamento dei prezzi per posizione è quindi
quello di poter osservare nel tempo le
caratteristiche dei contratti futures in relazione al
numero di giorni che rimangono prima della
scadenza e non in relazione al momento in cui
sono stati definiti.
L’omogeneità rispetto alla scadenza è massima
quando si considera un cosiddetto rolling, cioè
quando si considerano le caratteristiche del
contratto, qualunque esso sia, i cui giorni
mancanti alla scadenza sono il più vicino
possibile a un valore prefissato. In questo modo
non c’è bisogno di aggiustare i prezzi future per
il diverso numero di mesi che mancano alla
scadenza e si evitano inutili complicazioni
durante l’analisi dell’evoluzione del mercato nel
corso del tempo. Inoltre, lo studio dei future per
posizione piuttosto che per singolo contratto è
anche giustificabile in base a come funziona il
mercato stesso. Infatti, al fine di restare nel
mercato, i traders che tengono contratti prossimi
a una certa scadenza devono spostare la loro
posizione in un contratto avente expiry
immediatamente successiva, non appena la
scadenza del contratto in essere si allontana
troppo dall’originale. Comportandosi in questo
modo, essi però fanno anche sì che i prezzi per
posizione risultino sufficientemente omogenei
fra loro.
I future con scadenza vicina a tre mesi
Un caso molto interessante di rolling riguarda il
contratto future la cui scadenza è la più vicina
possibile a tre-quattro mesi. In questo caso,
infatti, la scadenza non è troppo breve e quindi
la liquidità è ancora relativamente abbondante;
d’altra parte, tre mesi rappresentano un periodo
abbastanza breve per ritenere questi contratti
rappresentativi dell’evoluzione del mercato
monetario. I dati presi in considerazione sono
forniti da “The Institute for Financial Markets”
e si riferiscono al Liffe. Il dataset contiene
informazioni particolarmente utili, come i prezzi
divisi transazione per transazione (circa
2.500.000
transaction
ticks),
l’istante
dell’esecuzione del contratto e il corrispondente
volume (quest’ultimo dato è però disponibile
solo dal luglio 2003). Il periodo analizzato va
dal 1999 al giugno 2006.4
FIG. A.3: Rendimento del future sull’Euribor
a tre mesi (3 mesi prima della scadenza) e
6corrispondente tasso implicito dell’Euribor
5
4
3
2
re nd ime nto future
ta sso imp lic ito Eurib o r 3 - 6 me si
1
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
Nostra elaborazione su dati Liffe; dati giornalieri, periodo 1999giu 2006; rendimento future = 100–prezzo.
Una prima osservazione (FIG. A.3) riguarda la
forte integrazione che emerge tra il mercato del
future (Liffe) e quello dell’Euribor, e che
rafforza quanto già detto in precedenza a
4
Quanto prima saranno disponili i dati fino al giugno
2007, ma la situazione degli ultimi mesi è del tutto
analoga a quella qui descritta.
62
proposito dell’integrazione dei diversi contratti
futures tra loro. Tre mesi prima della scadenza il
rendimento del future si sovrappone infatti quasi
perfettamente al tasso implicito a 3-6 mesi
dell’Euribor: rendimenti che in un ideale mondo
“efficiente” sarebbero molto simili lo sono
anche nel mondo reale.
L’evoluzione
sull’Euribor
del
mercato
del
future
Grazie al fatto che con i dati rolling si supera il
problema dell’eterogeneità della scadenza
contrattuale, è possibile anche avere una corretta
panoramica dello sviluppo “quantitativo” del
mercato del future sull’Euribor. Dopo un rapido
aumento del numero di contratti avvenuto nel
1999-2000 si è assistito (FIG. A.4) a un
autentico boom: a partire dal 2005 in avanti,
rispetto al 1999, il mercato è infatti diventato 20
volte più grande, con tutte le conseguenze che
ne derivano per la liquidità e la rappresentatività
dei suoi prezzi.
FIG. A.4: Evoluzione del numero di contratti
e volume nel mercato del future
200000
Numero contratti (scala a s.)
Volume
4000
160000
Come si nota dall’esempio della FIG. A.5, che
riporta l’evoluzione dei rendimenti, transazione
per transazione, del future sull’Euribor nella
giornata del maggio 2001, in cui il Repo venne
inaspettatamente ridotto di 25 punti base, la
reazione del mercato risulta immediata. Alla
notizia dell’inatteso abbassamento del Repo è
infatti seguito in tempo reale un abbassamento
del rendimento del future.
FIG. A.5: Evoluzione del rendimento del
future sull’Euribor a tre mesi in seguito a un
ribasso inatteso del Repo
4,5
Annuncio
nuovo Repo
Inizio Conferenza
Stampa
4,4
4,3
4,2
ora
4,1
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
Nostra elaborazione su dati Liffe; valori del giorno 10 maggio
2001.
FIG. A.6: Evoluzione del rendimento del
future in seguito a un annuncio inatteso nella
Conferenza Stampa del Presidente
120000
3000
3,12
80000
2000
40000
1000
0
mercato, non può sorprendere la velocità con cui
i prezzi dei contratti futures incorporano le
nuove informazioni.
1999
|
2000
|
2001
|
2002
|
2003
|
2004
|
2005
|
Inizio Conferenza
Stampa
3,08
Annuncio
nuovo Repo
3,04
3,00
2 00 6
Nostra elaborazione su dati Liffe; medie mobili mensili dei dati
giornalieri, periodo 1999-giu 2006.
ora
2,96
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
La velocità della risposta dei prezzi del future
sull’Euribor alle nuove informazioni
Nostra elaborazione su dati Liffe; valori del giorno 6 aprile 2006.
Proprio per la sua liquidità, e quindi per
l’elevato numero di operatori presenti sul
Un fatto analogo è avvenuto il 6 aprile 2006.
Esso ha però non ha riguardato il valore del
18
63
tasso ufficiale, ma il contenuto della Conferenza
Stampa del Presidente (FIG. A.6).
Il nuovo livello del Repo era infatti esattamente
quello previsto dal mercato, che quindi non ha
reagito all’informazione sul tasso ufficiale. Il
mercato, però, si aspettava che durante la sua
conferenza stampa Trichet avrebbe lasciato
intendere che il Consiglio direttivo avrebbe
aumentato il tasso ufficiale nella seduta
successiva. Questo non solo non è avvenuto, ma
il Presidente ha anche esplicitamente dichiarato
che tale aumento non era nelle intenzioni della
BCE e il mercato ha reagito con una riduzione
del tasso del future.
Il risultati di questi esempi è che il prezzo e il
rendimento del future sull’Euribor a tre mesi si
comportano
esattamente
come
previsto
dall’ipotesi dei mercati efficienti: informazioni
importanti e inattese hanno una ricaduta
immediata sui prezzi. E questo spiega quanto già
rilevato in precedenza: nei giorni delle riunioni
del Consiglio Direttivo della BCE aumentano sia
le transazione nel mercato dei future sia la
volatilità dei prezzi.
Il profilo del numero di transazioni dei giorni
delle riunioni della BCE - che è un indicatore
del riaggiustamento del portafoglio degli
investitori a notizie inattese sulla politica
monetaria - si è così fortemente modificato
(FIGG. A.7 a e b) nel tempo. Mentre prima
l’informazione più rilevante era il nuovo valore
del Repo, ora l’informazione più rilevante è
diventata la conferenza del Presidente. Del tutto
simile all’andamento delle transazioni è anche
quello (qui non riportato per motivi di spazio)
della volatilità dei prezzi.
FIG. A.7: Il profilo medio giornaliero del
numero di transazioni in presenza (a) e in
assenza (b) di riunione del Consiglio Direttivo
Parte A: periodo
1999-2004
60
giorni delle riunioni
della BCE
40
20
altri giorni
ora
0
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
La mutata prassi informativa della BCE e la
diversa reazione del mercato
Il mutato comportamento della BCE, che da
diversi mesi risulta molto più trasparente che nel
passato riguardo le sue intenzioni di brevissimo
periodo, ha ridotto negli ultimi mesi l’impatto
che sul mercato del future hanno gli annunci sul
nuovo livello del Repo. Il mercato, di fatto, è già
al corrente della decisione che viene presa dalla
Banca e quindi l’effetto annuncio è nullo.
L’unica sorpresa può quindi giungere al mercato
dal contenuto della Conferenza Stampa e dal
tenore delle risposte che il Presidente dà alle
domande dei giornalisti.
150
Parte B: periodo
2005-2006
100
giorni delle riunioni
della BCE
50
altri giorni
0
7
8
9
10
11
12
13
14
15
ora
16
17
18
Nostra elaborazione su dati Liffe; la prima linea verticale indica il
momento della comunicazione del nuovo Repo, la seconda l’inizio
del discorso del Presidente.
64
La rilevanza della altre informazioni sui prezzi
del future dell’Euribor
comportamento tipico di un mondo
aspettative non perfettamente omogenee.
Studi recenti 5 hanno dimostrato che anche molte
“sorprese” macroeconomiche – definibili come
la differenza tra un dato macroeconomico e
l’aspettativa che gli operatori avevano su quello
stesso dato (misurata per esempio da Consensus
Forecast) - influenzano non solo la volatilità ma
anche la media dei rendimenti dei futures
returns.
Nonostante questi legami risultino significativi,
la maggior parte della variabilità dei tassi di
interesse europei del mercato monetario e del
future sull’Euribor è dovuta alla condotta della
politica monetaria da parte della Banca Centrale
Europea, ed in particolare a quello che dice (in
conferenza stampa) e a quello che fa - o meglio,
a quello che faceva (decisioni riguardanti il tasso
Repo) - piuttosto che alle sorprese
macroeconomiche.
Molto interessante e’ il fatto che i dati
macroeconomici americani (come US nonfarm
payrolls, GDP, retail sales, PPI, CPI, initial
jobless claims) esercitino un’influenza maggiore
su tutta la struttura dei tassi di interesse europei
dei corrispondenti dati macroeconomici europei.
I survey data sembrano essere variabili
importanti per spiegare l’evoluzione del
rendimento del future sull’Euribor. Questo
risultato suggerisce che le aspettative circa
l’evoluzione dell’economia reale (misurate da
PMI, business climate, consumer confidence,
IFO e ZEW indici per la Germania) giocano un
ruolo assai importante nella formazione dei
sottostanti tassi di interesse di mercato, o almeno
questo e’ quello che indica la sistematica
reazione degli operatori a questi indicatori.
La reazione dei prezzi alle sorprese
macroeconomiche e’ in media molto veloce, con
un salto immediato al momento del rilascio del
dato, e una scarsa reazione nei momenti
successivi. Tuttavia, la volatilità dei rendimenti
risponde in maniera molto più graduale, e
l’effetto tende a dissolversi solamente nei 15
minuti
successivi
all’annuncio:
un
5
Andersson, Hansen, e Sebestyén (2006), Which
news move the euro area bond market?, ECB WP
631 e Sebestyén (2006), What drives money market
rates? Mimeo, University of Alicante
di
Riassumendo…
Il mercato del future sull’Euribor a tre mesi è un
mercato liquido e soprattutto efficiente, ben
integrato sia al suo interno, sia col mercato
monetario dell’euro a pronti. Esso reagisce
velocemente alle informazioni che di volta in
volta giungono agli operatori.
Oltre a costituire un importante strumento di
copertura per il rischio di variazione dei tassi, il
future sull’Euribor rappresenta una rilevante
fonte di informazione – che si aggiunge alla
curva dei rendimenti per scadenza – sulla
tendenza futura seguita dai tassi d’interesse.
Data la rapidità con cui reagisce alle nuove
informazioni rilasciate dalla BCE esso
costituisce anche un importante canale a
disposizione della Banca Centrale per
influenzare i tassi d’interesse.6
6
Per ulteriori informazioni sul legame fra tassi e
breve, mercato dei futures e politica monetaria si
veda anche: Rosa e Verga (2007), The impact of
central bank announcements on asset prices in real
time: testing the efficiency of the Euribor futures
market, CEP Discussion Paper 764, e Rosa e Verga
(2006), On the consistency and effectiveness of
central bank communication: evidence from the ECB,
“European Journal of Political Economy”, 23, 146175.
- a07. Bolle e mode
(Camerer)
1
- a08. La caduta dei prezzi azionari di fine millennio
4.2 – La caduta dei prezzi di fine millennio: E’ stata una “bolla razionale”?
(Da Osservatorio Monetario 2004/1)
Il mercato azionario. Durante il 2003 i prezzi delle azioni hanno seguito
un trend rialzista in tutte le economie. Una domanda che resta aperta è se, e
quanto, questo trend verso l’alto sia riconducibile al miglioramento della
situazione economica o se, di nuovo, sia in atto un allontanamento delle
quotazioni dai fondamentali, come avvenuto dal 1995 al 1999 durante la
cosiddetta “bolla del millennio”. Per una risposta al quesito occorre quindi
riesaminare quanto accaduto prima, durante e dopo tale “bolla” per riuscire a
comprendere meglio la natura e la rilevanza del fenomeno e avere qualche
informazione sulla situazione attuale. Quest’argomento era già stato affrontato nel
numero 2002/1 dell’Osservatorio, ma allora ci si trovava ancora dentro la fase
decrescente della “bolla” e quindi le conclusioni erano necessariamente più
incerte di quelle che si possono trarre oggi.
Prima di proseguire, però, conviene chiarire alcuni aspetti sulle bolle. Nel
linguaggio comune per bolla si intende normalmente tutto ciò che porta il prezzo
di mercato a un livello molto superiore al fondamentale, cui poi segue un periodo
di diminuzione dei corsi. In economia, però, si fa spesso riferimento a una più
complicata classifica di bolle, in relazione ai diversi comportamenti degli
investitori che le determinano. Di queste, quelle che maggiormente interessano
per il nostro caso sono:
- bolle crescenti. Si formano quando una serie di rialzi genera negli investitori
l’aspettativa di ulteriori rialzi. Il processo progressivamente si cumula portando
il prezzo delle azioni a un valore molto superiore al fondamentale, finché, ai
primi sintomi di flessione, segue un’ondata di panico con un crollo di borsa. Il
profilo della bolla razionale crescente è quindi di un aumento dei prezzi sempre
più rapido, cui segue un crollo quasi verticale (scoppio della bolla);
- mode nei rendimenti. Sono originate da un mutamento dei gusti degli
investitori a favore di una certa tipologia di attività la cui domanda, pertanto,
aumenta. Ne deriva una diminuzione dei rendimenti di equilibrio e, quindi, un
aumento dei prezzi. Il fenomeno è tanto più accentuato quanto più gli
investitori tendono ad imitarsi. A differenza della bolla, però, la crescita della
moda è piuttosto lenta, come pure la sua sparizione. Inoltre, la parte superiore
Bozza del 12/02/10 alle ore 18.35
2
della gobba dei prezzi è piuttosto arrotondata perché la moda richiede tempo
per esaurirsi;
- mode nelle opinioni. Si hanno quando le aspettative sullo sviluppo economico
delle imprese sono sistematicamente troppo ottimiste. Si tratta spesso della
valutazione di imprese nuove e/o settori economici nuovi, in cui, mancando
una sufficiente esperienza, una corretta valutazione è difficile, con l’efffetto
che possono nascere ondate di ottimismi e processi di “imitazione” tra
investitori che portano a forti aumenti dei prezzi. A mano a mano che i risultati
economici si rivelano inferiori alle attese, segue un periodo, di solito
abbastanza breve (ma non uno “scoppio” come nelle bolle razionali), di discesa
dei corsi. A differenza della bolla crescente, che scoppia una volta per tutte, nel
caso delle mode nelle opinioni vi sono spesso delle temporanee parziali
controtendenze.
Ovviamente questi fenomeni possono anche sovrapporsi e non esauriscono tutto
l’insieme delle possibili anomalie. Talora, inoltre, una “gobba” nei prezzi può
essere riconducibile a un’analoga gobba nell’andamento del fondamentale. In
questo caso il prezzo non sì sarebbe allontanato dal “vero” valore dei titoli:
l’avrebbe semplicemente seguito.
Un primo elemento di giudizio sulla possibile dimensione e la tipologia
della “bolla del millennio” si ricava dal confronto tra il grafico dei tre indici DowJones, S&P500 e Nasdaq. La FIG.1 riporta i valori giornalieri delle tre serie dal
gennaio 1985 al gennaio 2004: i valori sono espressi in forma logaritmica.1
Dal confronto fra i tre indici risulta che la “bolla del millennio” ha avuto
una dimensione molto diversa secondo gli indici considerati: il rigonfiamento dei
prezzi è stato molto forte per il NASDAQ (i titoli della new economy), più debole
per lo S&P500 e ancor più debole per il Dow-Jones. Questa differenziazione si
contrappone nettamente a quanto avvenuto nel 1987, quando in un sol giorno (il
“lunedì nero” 16 ottobre 1987), tutti gli indici sono crollati insieme di circa il 30%
e più o meno nella stessa maniera.
1
Una certa variazione può essere elevata o modesta in relazione al valore di partenza. Per es., una
variazione di 10 punti è elevatissima se l’indice parte da 20 punti (il 50%), modesta se parte da
10.000 punti (lo 0,2%). In un grafico logaritmico, la variazioni del grafico corrispondono a
variazioni percentuali delle variabili: esso è così più rappresentativo di un grafico lineare.
3
FIG.1 – L’evoluzione degli indici Dow-Jones, S&P500 e NASDAQ
(scala logaritmica; dati giornalieri, periodo gen.1985-gen.2004)
Dow-Jones
S&P
NASDAQ
8
7
bolla del
1987
6
b ol la d el
millennio
5
86
88
90
92
94
96
98
00
02
04
94
Se si osservano gli indici dei mercati tradizionali, inoltre, è palese la
differenza tra le caratteristiche della bolla del 1987 e quella “del millennio”. Una
crescita dei prezzi seguita da un vero crollo si è avuta solo nel 1987. Nella fase
discendente della bolla “del millennio” si sono succeduti diminuzioni e aumenti,
ma un crollo improvviso non c’è mai stato, ed infatti la diminuzione dei corsi ha
richiesto circa 3 anni, contro un solo giorno nel caso della bolla del 1987 (v.
ancora FIG.1). E’ quindi improbabile che la “bolla del millennio” sia stata una
vera e propria “bolla razionale”, come invece quella del 1987: è più probabile che
sia trattato di una “moda”. In particolare, il fatto che il NASDAQ, l’indice delle
imprese della new economy sia l’indice con la maggiore anomalia fa propendere
per l’ipotesi di una “moda nelle opinioni”. Gli investitori hanno sopravvalutato la
redditività prospettica delle imprese portano i prezzi a un livello irrealisticamente
elevato.
La FIG. 2 che riporta l’andamento giornaliero dei tre indici (fatto 100 il
primo giorno del 1999) rende ancora meglio le loro difformità: è il NASAQ che è
andato “in cielo” nel 2000 e che da 2001 è ritornato “sulla terra”: da quell’anno,
infatti, i suoi movimenti sono del tutto analoghi a quello dello Standard & Poor
500.
Bozza del 12/02/10 alle ore 18.35
4
2-
Nel caso del Dow-Jones, poi, a fine gennaio 2004 il valore dell’indice è
tornato al livello massimo raggiunto durante la “bolla del millennio”: si è
riformata la bolla (ma tutti dicono che non c’è più), o la bolla tutto sommato non
era poi tanto grande? Ma se era di dimensione modesta, la crescita e la successiva
discesa dell’indice Dow-Jones negli anni 1995-2002 dovrebbe poter essere
imputabile soprattutto a un analogo andamento del fondamentale!
Purtroppo una stima approssimata del fondamentale non è agevole da
calcolare nel caso del Dow-Jones. Il calcolo è però possibile per lo S&P, di cui
esiste la corrispondente serie storica degli utili (FIG.3).
FIG. 3 – L’andamento dello S&P500 e dei relativi utili
(scala logaritmica; dati mensili, periodo gen. 1985 - dic. 2003)
8
S&P500
utili
7
6
5
4
86
88
90
92
94
96
98
00
02
Fonte: Shiller, sito internet: http://www.econ.yale.edu/~shiller/data.htm
5
Il primo risultato è che, nel caso dello S&P500, la crescita dell’indice,
anche nel del periodo relativo alla “bolla del millennio” è in gran parte giustificata
dalla crescita degli utili; lo stesso per la successiva caduta e la ripresa del 2003. Il
fatto che durante questo periodo l’indice sia salito più dei risultati economici delle
imprese può a sua volta essere spiegato dalla riduzione del tasso d’interesse a
lunga.
Per verificare quanto questo sia vero, si è allora fatto riferimento alla
relazione teorica che spiega il rapporto tra utili U e prezzi delle azioni P, di cui si
è già trattato n.1 dell’Osservatorio del 2002.
La relazione teorica è:
U/V = R – g
(dove R è il rendimento di equilibrio delle azioni e g la crescita futura “naturale”
degli utili)
Esprimendo il rendimento R delle azioni come funzione del rendimento delle
obbligazioni Robb più una costante per il premio al rischio, e g mediante una
funzione lineare della crescita annua attesa dei profitti delle imprese gY e/o del
PIL, 2 la relazione può essere scritta nella forma:
U/V = α + β Robb – γu
I coefficienti stimati sono coerenti con la teoria e l’R2 è molto alto. La
differenza fra la stima e il valore effettivo del rapporto fra gli utili e l’indice
S&P500 permette quindi di identificare i periodi in cui l’indice si è maggiormente
allontanato dal suo fondamentale. I risultati sono riportati nella FIG. 4. Sono state
utilizzate due diverse alternative. Nella prima è stato preso come rendimento delle
obbligazioni a lunga quello dei titoli del Governo Federale a 10 anni; nella
seconda si è utilizzato il rendimento delle obbligazioni corporate AAA e gli utili
sono stati previamente depurati delle componenti casuali.
2
Federal Reserve Bank of Philadelphia, Survey of Professional Forecasters, sito internet:
http://www.phil.frb.org/econ/spf/index.html
Bozza del 12/02/10 alle ore 18.35
6
FIG.4 – Differenza fra il valore di equilibrio del rapporto
utili/indice di borsa S&P500 e il suo valore effettivo
(dati mensili, periodo gen. 1985-dic. 2003)
3
2
1
0
-1
-2
86
88
90
92
94
96
98
00
02
Fonte: nostre elaborazioni su dati di Shiller, Fed e Federal Reserve Bank of Philadelphia
Dal risultato emerge che, nel caso dell’indice S&P500, durante la “bolla
del millennio” il valore effettivo si è effettivamente allontanato dalla stima del
fondamentale ma che, comunque, la dimensione di questo scostamento è del tutto
paragonabile a quanto accaduto nel 1987. Si riconferma anche che la natura di
questa discrepanza è più simile a una “moda” che a una “bolla crescente”. Di
quale tipo di moda si tratti, questo è più difficile da stabilire: probabilmente si è
trattato di un errore nella valutazione delle prospettive di redditività delle imprese
(“moda nelle opinioni”). Per quanto riguarda i mesi più recenti, il grafico
segnalerebbe che l’attuale livello dell’indice non è elevato rispetto al
fondamentale (sarebbe addirittura sotto l’equilibrio), e quindi la crescita del 2003
è effettivamente riconducibile alle migliorate aspettative sui profitti delle imprese
e sulla crescita dell’economia americana, le quali hanno portato a un significativo
aumento del fondamentale e, quindi, dei prezzi. Un profilo anomalo come quello
che ha caratterizzato il NASDAQ nel periodo della bolla del millennio non
dovrebbe quindi più presentarsi. Nel complesso, comunque, a parte il caso
dell’indice delle imprese delle new economy, l’entità della “bolla del millennio”
non è stato così grande come comunemente si racconta, e questo va a favore della
capacità valutativa del mercato i cui prezzi, al momento, non sembrano per niente
sopravvalutati.
- a09.4.3
Bolle
finanziarie
e psicologia
- Bolle,
giudizi umani
e opinioniumana
degli esperti
Avvertenza: i concetti principali sono evidenziati in giallo; quelli essenziali sono in grassetto.
Bubbles, Human Judgment, and Expert Opinion
By
Robert J. Shiller
May 2001
COWLES FOUNDATION DISCUSSION PAPER NO. 1303
COWLES FOUNDATION FOR RESEARCH IN ECONOMICS
YALE UNIVERSITY
Box 208281
New Haven, Connecticut 06520-8281
http://cowles.econ.yale.edu/
Bubbles, Human Judgment, and Expert Opinion1
Robert J. Shiller
Abstract: Research in psychology and behavioral finance is surveyed for evidence to what extent experts such as
professional investment managers or endowment trustees may behave in such a way as to help perpetuate speculative
bubbles in financial markets. This paper discusses scholarly psychological literature on the representativeness heuristic,
overconfidence, attentional anomalies, self-esteem, conformity pressures, salience and justification for insights into
weaknesses in expert opinion. The role of the prudent person standard and the news media in influencing experts is
considered. The relevance of the literature on testing of the efficient markets theory is discussed.
The widespread public disagreement about whether the stock market has been undergoing
a speculative bubble in the past few years reflects an underlying disagreement about how to view
human judgment and intellect.
There are many who have been arguing in effect that the market (or major components of
it) has been undergoing a bubble. These include some who write for The Economist, The Wall Street
Journal, and Barron’s. It would seem that it is essential to their notion of a bubble that investors’
actions are, in one way or another, foolish.
Others sharply disagree with these bubble stories, and it is precisely this intimation of
foolishness that seems to bother them. It seems to them just implausible that investors at large have
been foolish. Rather, it seems to them that the high valuations the market has placed on the stock
market recently can be attributed to actions of rational investors who are wrestling with hard-tointerpret evidence about such issues as how much recent technological innovations will promote future
economic growth. Suggesting that investors at large have been irrational seems arrogant and
presumptuous.
The dispute about whether there has been a bubble is indeed not just a dispute about whether
price earnings ratios have gotten too high. One might certainly argue that the ratios have been or are
1
The author is grateful to the Commonfund Institute for support for this paper.
1
too high without saying that anything irrational underlies the high values. One might argue that market
has merely not taken into account certain facts, and that it will do so once these facts are properly
disseminated. The idea that there has been a speculative bubble, in contrast, is inherently a statement
about some less-than-rational aspect of investor behavior.
One of the most important arguments that it is not foolishness that has brought us the high
valuations in the aggregate market is to observe the decisions of some of the most august of
investors, the real experts. One may note, for example, that those who manage university
endowments had not withdrawn en masse from the stock market before its peak in March 2000.
According the 1999 NACUBO Endowment Study, in 1999 the median endowment had 54.7% in US
equity and another 10.5% in non-US equity. Most of their portfolios have been in US stocks, and so
they were indeed involved in the market just before its peak, not withdrawing from it.
Those who manage university endowments have at their disposal some of the finest scholars, and
university trustees who are drawn from the highest ranks of the business world. Who would presume to
call these people foolish? But, that is what one would apparently have to do if one wishes to attribute
the market behavior to human error.
Despite these arguments against calling a bubble, in my recent book Irrational Exuberance I do
argue that there has indeed been a speculative bubble in the stock market in recent years. But I argue
that the kind of less-than-perfectly-rational behavior that underlies it is not abject foolishness. It is not
the kind of error of fools, a term I particularly associate with Shakespeare, who portrays many of them
in his plays. It is rather more the kind of error in some of Shakespeare’s tragic figures.
The kind of errors that people have been making and that underlie the recent stock market bubble
do reflect human shortcomings, but they reflect exactly the kind of shortcomings that can infect
professors’ analysts’ and trustees’ thinking just as much as anyone else’s. The current situation in
financial markets is just a fertile ground for the amplification and visualization of the errors.
Moreover, I do not think that it is presumptuous of me (or anyone else) to argue that human error
in evaluating the available facts has created the high market valuations, and to argue that it is an error
that infects the thinking of some of the most intelligent people in our society. I am not arguing that I am
smarter than these people, rather only that I am trying to draw their attention to human foibles that we
all are subject to, and that research in psychology, behavioral finance and other social sciences has
allowed certain scholars to recognize thoroughly and systematically. What I am doing is rather like
what psychologists do when they show, using certain optical illusion charts, that there are certain
characteristic visual recognition errors that we all tend to make, and like what sociologists do when
they point out how contagion of ideas patterns underlie the spread of political ideologies.
In this article I will draw out some of the themes in irrational Exuberance about human judgment
and expand upon the sort of irrationality that seems to be at work in the mechanism by which bubbles
are amplified. I will pursue the nature of less-than perfect rationality not only among the general
2
class of investors, but also here focus upon errors characteristic of investment professionals,
among the experts.
Feedback and Bubbles
The essence of a speculative bubble is a sort of feedback, from price increases, to increased
investor enthusiasm, to increased demand, and hence further price increases. The high demand for the
asset is generated by the public memory of high past returns, and the optimism those high returns
generate for the future. The feedback can amplify positive forces affecting the market, making the
market reach higher levels than it would if it were responding only directly to these positive forces.
Moreover, a bubble is not indefinitely sustainable. Prices cannot go up forever, and when price
increases end, then the increased demand that the price increases generated ends too. Then, a
downward feedback can replace the upward feedback.
This kind of bubble theory requires only that past price changes produce an inconstancy to our
judgments, not that we foolishly believe that past increases must continue. The theory does not require
that our forecasting future price changes by some mechanical extrapolation rule, or that we are placing
rulers to chart paper to forecast. It only requires that our observations of the past price changes alter the
way we resolve the confusing array of conflicting information that we must all sift through in judging
the market.
Ultimately, people who choose asset allocations must use their subjective judgment about the
probability that stock trends will continue. This is true among the experts as well as the general public.
While there are formal statistical models to help experts, it is widely understood that these models are
only as good as their specific assumptions. Assessments of trends and probabilities that underlie asset
decisions are inherently subjective.
The study of subjective probability has been a very fertile field for psychologists for decades. See
for example the volume of survey articles Subjective Probability edited by Wright and Ayton (1994).
There are many aspects to intuitive probability. One of them is the representativeness heuristic,
identified originally by Tversky and Kahneman (1974). They showed that in forming subjective
judgments, people have a tendency to disregard base rate probabilities [= le reali probabilità], and to
make judgments solely in terms of observed similarities to familiar patterns. For example, they
performed an experiment in which subjects were asked to guess the occupations of individuals whose
personalities were briefly described to them. They tended to guess rare occupations that would seem to
match perfectly the personality descriptions, without regard for the rareness of these occupations (low
base rate probabilities). People should have guessed humdrum [= normali] and common occupations
more. We can expect the same representativeness heuristic [ = visione] to encourage people to see
patterns in stock market price changes, simple patterns like a bull market or a bear market, even
though such sequences of same-sign price changes are actually quite rare. Thus, the
3
representativeness heuristic [= questa visione] can encourage people to expect intuitively past price
changes to continue, even if they know, from professional training, that they should not expect
this.
This tendency to fit one’s future expectations to salient images or simple patterns is
tempered somewhat by a tendency towards conservatism. Phillips and Edwards (1966) conducted
experiments in which subjects’ abilities to revise probabilities in light of new evidence was tested.
Their experiments were constructed so that there was a single correct answer to the probability revision
problem posed to the subjects; the answer could be deduced by application of a principle from
probability theory called Bayes Law. They found that subjects tended to revise their probabilities in
the correct direction, but tended not to revise them far enough. Their finding, that people respond
insufficiently to new information, has been replicated in a number of papers, and is now referred to as
conservatism bias (see Beach and Braun, 1994).
Barberis Sheifer and Vishny (1998) have developed these twin principles of representativeness
heuristic and conservatism bias into a model of speculative bubble propagation. The representativeness
heuristic encourages people to react to price changes in an exaggerated manner, but the conservatism
bias spreads this pattern out through time. Their model of the propagation of a speculative bubble is
undoubtedly oversimplified, relying as it does on only a couple of subjective probability biases, but
offers useful insights.
If I may interpret the model more broadly, I think we can say that investors have overconfidence
in a complex culture of intuitive judgments about expected future price changes, and an excessive
willingness to act on these judgments. This overconfidence is then a powerful force in the market,
and these intuitive judgments ultimately are behind both the feedback that underlies the bubble and the
end of the feedback that signals the end of a bubble. There is a lot of evidence that such overconfidence
in intuition is a powerful force in the markets. For example, in my questionnaire survey of both
individual and institutional investors that I conducted right after the October 19, 1987 stock market
crash (Shiller, 1989), I asked both individual and institutional investors whether they recalled that they
had a “pretty good idea when a rebound was to occur” on that day. I found that 29.2% of the individual
investors (47.1% of buyers of stocks) and 28.0% of institutional investors (47.9% of buyers of stocks)
said yes, a remarkably high number given the uncertainty of that day. When I then asked them what
made them think that they knew there would be a rebound, the answers they wrote could only be
described as merely intuitive. Thus, the intuitive judgments that the psychologists have been studying
are ultimately very important in determining the direction of the market.
Another part of the mechanism by which past price increases boost demand for an asset class has
to do with the simple attraction of attention that such price increases entail. As long ago as 1890 the
psychologist William James noted that attention is a fundamental aspect of human intelligence, and that
anomalies of attention are behind many errors that people make. People generally do not know what
4
has attracted their attention, and cannot explain their attention. Psychologists have documented that
there is a social basis for attention, that is, people tend to pay attention to what others are paying
attention to. Not surprisingly, speculative assets whose price has gone up a lot recently gather a
great deal of attention. People are more likely to buy assets that have their attention just because
they are thinking about them more. Assets that have not had big price increases are less likely to
garner the attention.
This capriciousness of attention is apparently characteristic even of professional investors. In a
study that John Pound and I conducted, we did a questionnaire survey of institutional investors who
had reported holdings of stocks whose price had increased greatly in the recent past (the experimental
group) and compared them with institutional investors in random stocks (the control group). Regarding
their holdings, we asked both groups if they agreed with the statement “My initial interest was the
result of my, or someone else’s, systematic search over a large number of stocks (using a computerized
or similar search procedure) for a stock with certain characteristics.” In the experimental group only
25% agreed, while in the control group 67% did. The design of this experiment reveals that institutional
investors, just as individual investors, have their attention ultimately attracted by past price increases.
Another part of the mechanism by which the past price increases affect the judgments that
are actually made about investing for the future have to do with the feelings of confidence and
self esteem that past successes in investing has given successful investors. Success in investing
usually involves some acquired skills in understanding the particular category of investment and in the
strategy of dealing with it. Acquiring such skills regarding that category increases demand for it.
Psychologists Heath and Tversky (1991) have shown through experiments that holding probabilities
constant people prefer to bet in situations in which their perceived competence is high. In their
experiments, subjects were asked to answer general knowledge questions, as about football or political
predictions, and then to give probabilities that their answers were right. The subjects were then asked
whether they would prefer to bet on their answers or on a chance lottery with the same probability of
winning. They found that subjects were likely to want to bet on their own answers when they assigned
high probabilities that their answers were right or when they thought that they knew a lot about the
subject.
Another part of the tendency for people who recently benefited from a price increase in an
investment class is that personal association with past price increases as an investor leads to an
aspiration for future price increases. Julius Caesar said that “Men willingly believe what they wish.”2
His insight was on target. It has been shown in a number of psychological studies that people
suffer a wishful thinking bias, that is, they overestimate the probability of success of entities that
they feel associated with. For example, soccer fans give exaggerated probabilities that the team
2
Julius Caesar, De Bello Gallico, pp. iii, 18.
5
that they identify with will win (Babad, 1987) and supporters of political candidates give strikingly
upwardly biased probabilities that their candidate will win (Uhlaner and Grofman, 1986).
Wishful thinking bias appears to play a role in the propagation of a speculative bubble. After a
bubble has continued for a while, there are many people who have committed themselves to the
investments, emotionally as well as financially.
Judging the Judgments of Others
In making asset allocation decisions, it is important to realize the essentially judgmental nature of
the task of any long-term investors. Investing for the long term means judging the distant future,
judging how history will be made, how society will change, how the world economy will change.
Reaching decisions about such issues cannot proceed from analytical models alone; there has to
be a major input of judgment that is essentially personal and intellectual in origin. Asset
allocation decisions involve a bewildering complex of relevant factors, some represented by
quantitative data, others only suggested by cases or events, still others suggested by intangible
intellectual currents in society. With such a confusion of factors, it is hard for anyone to make
objective judgments without being influenced by the recent success behavior of the market and
the recent success of investments.
The complex judgment that portfolio managers must make about these factors, in turn, is
inevitably influenced by the judgments of others. In making major allocation decisions, one
almost inevitably winds up trusting to a common view or consensus view about the future. No one
person can be at once a historian, political scientist, economist, and psychologist rolled into one. Few
of us, even the best investment professionals, can even make much of a beginning at the task. For most
professionals, there are too many things to do in one’s day, too many other claims on one’s time.
Institutional investors who attend seminars and keep abreast of research make an effort to synthesize all
this knowledge. Unfortunately, synthesizing all this knowledge, deciding who is right, is an even more
difficult task than trying to add a piece of scholarly evidence. Professionals ultimately must end up
generally assuming that what their colleagues believe is true.
Major speculative bubbles, as I argue in Irrational Exuberance, are always supported by some
superficially-plausible popular theory that justifies them, and that is widely viewed as having sanction
from some authoritative figures. These may be called new-era theories. The judgment error that
underlies the bubble is not naïveté or credulousness, but arises instead from difficulties assessing
the source of the public prominence of the new era theories. People fail to perceive fully that the
new era theory, despite having some concrete facts as part of the story, in fact has no solidity; the
concrete facts do not lead to a new-era conclusion without the insertion of some outright guesses. The
error people make is in presuming that someone else has verified the conclusion carefully, when, while
some have tried, in fact no one has really been able to do so. The error people make is in assuming that
6
the currency of the new era theory is evidence that many people have completed all the missing links in
the argument, rather than evidence of the bubble itself.3
Prudent Person Standard
Conforming one’s actions to be in accordance with conventional wisdom rather than one’s
own judgments is not only a natural thing to do; for fiduciaries it is also required by law.
Fiduciaries have been held by common law for hundreds of years to the prudent person standard,
that makes it an obligation for them to invest in a way that would generally be regarded as prudent. The
prudent person rule has a very long history in common law, it was also enshrined for pension funds in
the Employee Retirement Income Security Act (ERISA) of 1974, which states that investments must be
made with "the care, skill, prudence and diligence, under the circumstances then prevailing that a
prudent man acting in a like capacity and familiar with such matters would use in the conduct of an
enterprise of a like character and with like aims." Plainly, this law prescribes that fiduciaries must act
on conventional wisdom, not their own judgment.
Shortly after ERISA, pension managers apparently thought that this standard meant that
fiduciaries should just do whatever people have been doing for a long time. One such manager, quoted
by O'Barr and Conley (1992), spoke of his reaction to ERISA at the time: "If you can find a guy who
works in a building that's got granite on the outside and it says 'Established a long, long time ago,' then
you're probably complying." But, as the prudent person standard evolved, it became clear that it did not
specifically mean that the prudent person was someone who lived a hundred years ago. Nor is it
someone who is pathologically risk averse. The prudent person standard refers to someone who is alive
today. Ultimately, it must refer to the conventional wisdom.
It is understandable that fiduciaries have been given such a rule. There is a problem restraining
the egos investment managers, who often make the error of hubris.
John Silber, the president of Boston University, and a man sometimes accused of having a big
ego, invested nearly 20% of the University portfolio in one biotech company, Seragen with disastrous
results. Yale University, in the 19th Century, invested virtually its entire endowment in one firm, The
Eagle Bank, and lost it. We must tell fiduciaries not to do such things.
But the problem is that it is hard to know how to tell them just what it is that they are not to do.
One cannot just tell fiduciaries to be smart or sensible. Such advice is too vague. Decades ago it used to
be presumed that fiduciaries should invest primarily in fixed incomes, but after decades of
underperformance, that became inconsistent with concepts of prudence. We wind up telling them not to
deviate too far from what others think is right, and inevitably doing that often means following the
investment which has outperformed in recent years.
3
The mistakes people make for this reason can also be rational, see Demarzo et al. (1998). Still, the complexity of the
problem of discerning other people’s reasons for their judgment suggests that mistakes are likely too.
7
The prudent person standard tells fiduciaries to follow conventional wisdom. The problem with
this rule, of course, is that it makes fiduciaries interpreters of conventional wisdom, rather than
investors. They cannot take any action without showing that it is conventional.
The News Media
The news media play a prominent role in generating our conventional wisdom, more so
among nonprofessionals, but among investment professionals as well. And the news media are
themselves in a fiercely competitive business for survival as news media. They cannot be indifferent to
the public resonance with the stories they write. They therefore help reinforce a conventional
wisdom in some dimensions, and help change it in others.
News media success thrives on good writing. A well-written story can have powerful impact on
public thinking, and, indeed, can become a news event itself. One well-written news story that succeeds
in grabbing public attention begets a long sequence of follow-up stories in competing media outlets,
and reinforces its impact in public thinking.
The news media are therefore generators of attention cascades, as one focus of attention in public
thinking leads to a related but different focus of attention, and then in turn to yet another focus of
attention. Thus, shifts in public attention to economic issues are rather like the shifts in topic of
conversation at a dinner party. During such a party, the focus of attention seems to drift aimlessly as
one person after another is reminded of a new interesting story to relate, and there is no telling where
the conversation will be in another ten minutes. The succession of attentions in the media are rather like
this too, though spread out over days and weeks rather than minutes.
Stock market price increases generate news stories about new era theories just as much as
the news stories themselves do. Stories about new era economics surged around 1997, after an
influential Business Week cover story that also implicated Alan Greenspan as a recent convert to new
era faith. This cover story appeared after the first really enormous increases in the stock market had
captured everyone’s attention. All of the follow-up stories prominently mention the stock market.
Efficient Markets
Experts’ disentangling the source of public credence in new era theories is made more difficult
for them by an intellectual theory that has come to dominate much thinking about speculative markets:
the efficient markets theory in finance. This theory is widely described as asserting that prices
optimally incorporate all publicly available information at all times. If one believes in efficient
markets, one believes that the marketplace of ideas somehow works out optimally, and hence, by
inference one might suppose that the prominent theories that appear to move investors’ decisions
are based on the best possible information too. One who believes in efficient markets also believes
that broad diversification is the ideal, without any regard for the current market situation.
8
Certainly many of investment professionals make no effort at all to take account of information
about the long run outlook, even on a matter of principle. Many of them are not in the business of asset
allocation at all, their charge being to attend to other issues. Others, who have the discretion to do so,
do not do so on a matter of principle.
Charles Ellis, in his popular book Winning the Loser’s Game, has put it bluntly: “Market timing is
a wicked idea. Don’t try it ever.”4 David Swensen, in his book Pioneering Portfolio Management,
asserts that “market timers run the risk of inflicting serious damage,”5 and that portfolio managers
should focus their energies instead on alternative asset classes where there is a greater degree of
opportunity for active managers than in the broad stock market.
As regards listed stocks, they are apparently advocating free-riding on the judgment of
others who are supposedly looking at the long run outlook, and deciding that their game is so
well played that there is no point in trying to compete. There is a curious irony in their saying
this, for if such astute investors as these would never try to judge the future course of the market,
then who is assessing whether the market is appropriately priced, and who is providing guidance
to the market?
The basic problem with the efficient markets hypothesis is that it is a half truth. It is useful to
present market efficiency as a concept to students and amateur investors lest they come to believe that
it is easy to get rich quickly. It is not easy to get rich quickly by trading in speculative markets. The
short-run, day-to-day or month-to-month profit opportunities that many people imagine they have
found are most probably not there.
But, one should not extrapolate from this simple notion of market efficiency to the idea that
markets are also efficient in the long run. In fact, if one looks at data over long intervals of time, it
appears that the stock market is anything but efficient.
I show in Irrational Exuberance, following work that John Campbell and I presented to the
Federal Reserve Board in 1996 and later published, that ten-year real returns on the Standard & Poor
index have been substantially negatively correlated with price-earnings ratios at the beginning of the
period.6 When the market gets high, it has tended to come down.
Talking about ratios as forecasters of returns, while enshrined in quite a number of papers in
finance journals going back to Basu in 1983, has never become a part of conventional wisdom about
investing. Arguments have been made that the effect is not necessarily unexplainable in terms of some
rational model of human behavior. Most studies of the forecasting of returns used very short return
horizons. Arguments about statistical issues have confused the issues. For all these reasons, the
conventional wisdom seems to be stuck on the idea that stock market returns can always be expected to
be the same, regardless of the ratios.
4
Ellis (1998), p. 10.
Swensen (2000), p. 68.
6
Campbell and I have prepared a revised version (2001).
5
9
Conformity Pressures
Irving Janis, in his book Groupthink about professionals’ herd behavior, refers to a number of
reasons why professionals operating in groups may may be unwilling to deviate from the group
consensus. His book reviewed a number of case studies in which professional groups made serious
errors.
Janis refers to a tendency for people to try to conform to the consensus of the group in order
to preserve their status within the group. He refers to the "effectiveness trap" [trappola dell’efficacia].
The term derives from interviews he made with people in the Lyndon Johnson administration during
the of the Vietnam War, one of case studies of serious errors. They told him that there was an epithet
used to describe dissenting members of the administration, "I am afraid he’s losing his effectiveness."
By dissenting from the prevailing view in the administration, one gradually begins to be regarded as a
"has been," and is gradually excluded from voice and power. People were allowed to express some
dissention without losing effectiveness, as long as it was presented in a suitably detached way, and in
good humor. The dissenter would have to accept mild jokes at his expense. Bill Moyers, a close advisor
to President Johnson, was referred to as "Mr. Stop-the-Bombing," and Undersecretary of State George
Ball as "the in-house devil’s advocate on Vietnam." But Janis concludes that their subdued and
collegial criticism of the policy served more to sustain conventional wisdom than challenge it. Their
weak presence gave decision-makers the mistaken impression that they had considered the dissenting
view and rejected it. Moreover, the dissenters were forced to remain silent publicly about their
dissension, which blunted their ability to pursue their arguments. (Janis, pp. 115-119.)
Janis reports that in his memoirs, Johnson said that he felt that there was substantial dissension
within his group. But the actual dissension that he remembers and reports was limited to disagreements
about temporary halts in bombings. At this time, Johnson does not remember any fundamental
disagreements about the wisdom of the bombing campaign itself. Johnson instead emphasizes the
unanimous assent that his advisors often gave to his decisions.
True Uncertainty and Organizations
Frank Knight, a University of Chicago Professor in the first half of this century, highlighted the
distinction between risk and what he called uncertainty. Risk, he explained, concerns events whose
probability law is known, and that have quantifiable probabilities. Uncertainty concerns events that are
essentially unprecedented in nature, whose probability must be judged by thinking by analogy and
induction, by thinking globally rather than specifically. He argued that an essential reason for the
success of the free enterprise system is its ability to deal with this true uncertainty. Bureaucracies, he
thought, are fundamentally ill-equipped to deal creatively with uncertainty. Enterprise,
10
entrepreneurship, relishes true uncertainty, pursues advantages that are seen only by human insight, that
can never be proven objectively.
Other examples of true uncertainty concern national issues, whether to go to war, whether to
invest more in infrastucture or education, or the like. Decisions about such national issues tend also to
be debated in committees, with expert testimony, just like the decisions about institutional portfolio
allocations.
The present situation in the stock market is no different. In judging whether the stock market
remains a good investment despite high price earnings ratios, organizations must somehow judge
whether we are entering a new era as some claim. Organizations are fundamentally ill-equipped
to make such judgments, just as organizations are ill-equipped to write books on history. Making
such judgment means weighing evidence about current technological advances and recent changes in
national and world institutions, and comparing these against past innovations and past changes in
institutions. We must make judgments about such things as the importance of computer networking
relative to the importance of the telephone, of the importance of changes in free market institutions
versus New Deal institutions, and the like. The answers we get will depend on answers to questions
that have animated historians, philosophers, and political scientists throughout history. No committee is
competent to answer such questions.
The recent empirical literature here suggests that institutional or professional investors have been
able to do a little better than the market, and that there is persistence of performance among investors.
But, the overall differences seem rather small.
One reason that institutional investors may not do better is that they feel that they are dealing with
clients who have expectations of them that make it difficult to pursue their own best judgment. The
clients expect them to invest in accordance with certain fads. The clients expect them to trade
frequently, or, at least, are not willing to pay high management fees unless they do so. These effects
dilute the advantages that institutional investors naturally have.
Another reason I believe that the differences are so small is that institutional investors do not feel
that they have the authority to make trades in accordance with their own best judgments, which are
often intuitive, that they must have reasons for what they do, reasons that could be justified to a
committee. Their obeisance to conventional wisdom hampers their investment ability.
Psychologists have argued that human thinking that leads to action, even individual human
thinking, tends to be motivated by qualitative reasons and justifications, rather than abstract
weighing of probabilities and scenarios. Psychologists Eldar Shafir and Amos Tversky have
conducted some experiments that show that people need some salience to a justification before they
take action. In one experiment, one group of subjects were asked to decide which of a pair of divorcing
parents to award child custody to, another group to decide which pair of divorcing parents to deny child
custody to. Subjects were given brief descriptions of both parents. Both groups tended to pick the same
11
parent, (in one group to award, and in the other to deny, which means they were contradicting each
other). Both groups tended to choose the parent for which there were a more salient reasons given, both
pro and con.
The need for justifiable authority to change investing behavior that has been successful in the past
imposes a sort of conservative compliance with broadly perceived conventional wisdom and past
procedures. Committees apparently have great difficulty taking action to alter their decisions on
the basis of changing weight of evidence. One does not easily stand up and have impact in
challenging conventional wisdom because one’s intuitive assessment of probabilities is a little
different. One needs a striking argument that is trenchant and on target, otherwise one is likely to have
little prospect of impact. When one senses that there is little prospect of having an impact, one tends to
hold one’s silence, or make only perfunctory objections.
Summing Up
I have laid out in this article a number of factors that help us to understand the propagation of
bubbles, the feedback mechanism from price change to further price change and the interaction of this
feedback with changing conventional wisdom. I have given particular attention to institutional
investors.
We have seen that a lot of the elements of this propagation mechanism have to do with the nature
of subjective probability, and intuitive and personal judgments. Other elements have to do with the
social environment in which decisions are made, the prominence of the news media, and the nature of
human interactions within organizations.
Returning to a theme at the opening of this article, it should be clear that human patterns of lessthan-perfectly rational behavior are central to financial market behavior, even among investment
professionals, while at the same time there is little outright foolishness among inestors. It is hard for
writers in the news media, who describe financial markets, to convey the nature of any essential
irrationality, since they cannot all review the relevant social science literature in their news article.
They are left with punchy references to pop psychology, that may serve to discredit them in many eyes.
That is part of the reason why we have been left with a sense of strong public disagreement about the
nature of speculative bubbles.
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12
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13
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14
– L’EFFETTO
DELLA PRESENZA
DIper
ASPETTATIVE
ETEROGENEE
- a10. 3Effetto
delle aspettative
eterogenee
il comportamento
dei mercati
3-0 Introduzione
Si consideri la relazione (10) della dispensa n.1
Et[Pt+1 + Dt+1]
10)
Pt = 
1 + r*t
dove Pt è il prezzo del‟attività, Et[Pt+1 + Dt+1] è la media delle aspettative degli operatori sui
prezzi e dividendi del periodo t+1, mentre r*t è il rendimento (atteso medio) di equilibrio.
Si supponga per semplicità che il valore atteso di Dt+1 sia nullo e che il mercato sia costituito
da due categorie di investitori, per es. i fondamentalisti che ritengono che da t a t+1 il prezzo varierà
di ∆PFt+1 e gli analisti tecnici (chartists) che ritengono che, sempre da t a t+1, il prezzo il prezzo
varierà di ∆PCt+1. Ne deriva che i fondamentalisti e i chartists si aspetterano rispettivamente un
prezzo dato da Pt + ∆ PFt+1 e Pt + ∆PCt+1, con la conseguenza che il prezzo varierà di (nF ∆ PFt+1 +
nC ∆PCt+1) dove nF e nC sono i pesi nel mercato dei fondamentalisti e dei chartists (e che in caso di
uguale ricchezza corrisponderanno alle loro quote percentuali.
Quando i chartist si aspettano, in base alla loro analisi, che a una variazione dei prezzi in una
certa direzione debba seguire una variazione nella stessa direzione si dice che hanno aspettative
estrapolative; quando invece si aspettano che a una variazione dei prezzi in una certa direzione
debba seguire una variazione dei prezzi nella direzione opposta si dice che hanno aspettative
regressive.
La presenza di operatori con aspettative eterogenee, come nell‟esempio indicato dei
fondamentalisti e dei chartists, ha diversi effetti, tra cui
-
Si riduce l‟efficienza “valutativa”, con prezzi che anche per periodi abbastanza lunghi
possono divergere dal fondamentale.
Le variazioni dei prezzi diventano leptocurtiche e la relazioni eteroschedastica.
Quello che succede in un certo momento ha un effetto molto duraturo sulla traiettoria dei
prezzi
Le aspettative dei “chartists” tendono ad autorealizzarsi
Il fenomeno è tanto più incisivo quanto più numerosa è la quota dei chartists sul totale, quanto meno
si muovono i fondamentali, quanto più è breve il periodo considerato. La presenza di costi di
transazione, e/o di un intervallo di confidenza molto ampio in cui i fondamentalisti ritengono che
possa cadere il vero valore del titolo, ha l‟effetto di rendere il mercato più inefficiente e di
aumentare la curtosi della distribuzione delle variazioni dei prezzi e l‟eteroschedasticità delle
variazioni: a periodi di prezzi relativamente stabili succedono periodi di forti oscillazioni.
1
Nel caso di elevati costo di transazioni per i fondamentalisti e/o di valore del fondamentale mal
conosciuto, infatti, la reazione dei fondamentalisti alla discrepanza tra prezzo effettivo e
fondamentale avviene infatti solo quando questa supera una certa soglia. Al di sotto di quella soglia
i fondamentalisti non agiscono o perché l‟eventuale guadagno è minore dei costi di transazione o
perché non sono certi dell‟esistenza di questa discrepanza. Ciò fa sì che il prezzo non si muova
verso il fondamentale.
Le letture che seguono (e che riportano solo le parti dei lavori originali utili per la preparazione
dell‟esame) del riguardano:
a) I diversi casi di eterogeneità (Bronka Rzepkowski);
b) La modellazione del comportamento dei fondamentalisti, dei chartists e i prezzi di mercato (
(Lasselle, Svizzero e Tisdell)
c) L‟effetto della presenza di fondamentalisti e chartists: risultati da simulazioni (De Grawe e
Grimaldi);
d) Un programma per Eviews per simulazioni degli studenti.
Avvertenza: i concetti principali sono evidenziati in giallo; le formule in azzurro.
________________________________________________________________________________
3.a - I principali casi di eterogeneità
da: Heterogeneous Expectations, Currency Options and the Euro/dollar Exchange Rate
Bronka Rzepkowski
CEPII, Document de travail n°01-03, March 2001, n° 03
I. INTRODUCTION
Standard economic and financial theory is based on the hypotheses of rational and
homogeneous expectations. Agents are thus supposed to take all the available information into
account when optimizing according to a common model. This allows a simple aggregation of
microeconomic behavior, via the representative agent method. However, empirical evidence rejects
the rational expectations assumption. Theories grounded on concepts such as bounded rationality
and heterogeneous expectations appear more relevant in explaining observed patterns in financial
data.
Two strands of the literature focus on the impact of heterogeneous beliefs on market
dynamics. First, heterogeneity in expectations and in behavior may be due to some specific
characteristics of market participants: initial endowment, risk aversion, time horizon, information
set. Such an approach leads to models with
(1) rational and irrational agents (De Long et al. 1990, 1991),
(2) informed versus uninformed agents (Genotte and Leland, 1990; Lyons, 1991),
(3) chartists versus fundamentalists (Frankel and Froot, 1988; De Grauwe, 1993)
(4) sophisticated versus naive agents (Day and Huang, 1990).
2
According to the second branch of the literature, there are two prevalent views of the world
and each agent holds one of them (Kirman, 1993). Market participants recognize that they are not
perfectly informed and that their knowledge of the underlying model of the economy is incomplete
(Topol, 1991). Hence the proportion of each class of agents fluctuates due to mimetic contagion
phenomena. The probability of switching from one group to the other can be formalize as a
stochastic process of random meetings (Kirman, 1993; Topol, 1991) or can be grounded on
microeconomic foundations (Orlean, 1995, Lux, 1995,1998, Laurent, 1995).
________________________________________________________________________________
3.b - La modellazione del comportamento dei fondamentalisti, dei chartists
e i prezzi di mercato
da: Heterogeneous Beliefs and Instability
Laurence Lasselle*
Department of Economics, University of St. Andrews, U.K.
Serge Svizzero
CERESUR, University of La Réunion, France
Clem Tisdell
Department of Economics, University of Queensland, Australia
Abstract
While Rational Expectations have dominated the paradigm of expectations formation, they have
been more recently challenged on the empirical ground such as, for instance, in the dynamics of the
exchange rate. This challenge has led to the introduction of heterogeneous expectations in economic
modeling. More specifically, the forecasts of the market participants have been drawn from
competing views. Two behaviours are usually considered: agents are either fundamentalist or
chartist. Moreover, the possibility of switching from one behaviour to the other one is also assumed.
In a simple cobweb model, we study the dynamics associated with different endogenous switching
process based on the path of prices. We provide an example with an asymmetric endogenous
switching process built on the dynamics of past prices. This example confirms the widespread belief
that fundamentalist market behaviour as compared with that of chartist tends to promote market
stability.
J.E.L. numbers: D84, E3
Key words: bounded rationality, chartists, chaos, fundamentalists, rational
expectations.
Corresponding author: University of St Andrews, Economics Department, St.
Andrews, Fife, KY 169AL,UK.
E-mail: [email protected], Tel: 00 44 1334 462 451, Fax: 00 44 1334 462 444.
3
1. Introduction
It is well known that in economics and finance, expectations play a key role in modeling
dynamic phenomena. The empirical literature demonstrates that very often the macroeconomics
fundamentals are not able to explain the large and persistent movements of some economic
variables such as securities prices or exchange rates. A famous example is given by the large
appreciation of the USD [= dollaro] between 1980 and 1985. There is a wide agreement in explaining
that this appreciation came from an increased demand for USD but there is no agreement about why
investors suddenly found US assets [= attività americane]more attractive than others. In fact, neither
models based on economic fundamentals, nor simple time-series models, nor the forecasts of
market participants as reflected in the forward discount or in survey data, seem to be able to give
good predictions. Even after the fact, the proportion of exchange rate movements that can be
explained is very low. Frankel and Froot (1990a) recalled that three explanations had been given.
Firstly, the «safe haven hypothesis» attributed the shift in demand to an increase in the perceived
safety of US assets relative to other countries assets. Secondly, according to the speculative bubble
hypothesis, there was a selfconfirming increase in the expected rate of USD appreciation. Thirdly,
the monetarist explanation was based on fundamentals. USD appreciated either because the
expected inflation rate differential increased or because the real interest rate differential increased.
Even if the latter explanation appeared to be the best one, it was not very powerful in explaining the
path taken by the USD. As a consequence, a number of researchers have deviated from economic
models based upon fundamentals, i.e. from the Rational Expectations (RE) paradigm.
Following the seminal papers by Muth (1961) and Lucas (1971), the RE [=aspettative razionali]
hypothesis has dominated the paradigm in expectations formation. Under this specification, agents‟
subjective expectations equal the objective mathematical expectations conditional on available
information. The RE [=aspettative razionali] hypothesis includes in fact two joined assumptions. On
the one hand, agents are assumed to have a perfect knowledge of “the economic model”, i.e. of the
underlying market equilibrium equations. On the other hand, they are assumed to use this model to
compute the RE [=aspettative razionali] forecast. Both assumptions have been challenged.
Indeed, the literature on bounded rationality [= razionalità limitata] has put forward two important
criticisms. It is unrealistic to assume that agents know the “economic model”; it seems more
reasonable to assume that their expectations are based on time series observations. It has been
shown that, in several economic areas,1naïve forecasting tends to give more accurate predictions
than forecasts based on models even if it cannot as a rule predict turning point. Moreover, even if
the agents know the underlying economic model, something else is necessary to obtain the RE
[=aspettative razionali] . Indeed, the agents also need to have perfect knowledge about the beliefs of
all the other agents in the economy to coordinate their actions on the same RE [=aspettative razionali]
equilibrium.
1
See for instance Witt and Witt, 1995, pp 469-470.
4
Challenging the RE [=aspettative razionali] hypothesis leads to two questions.
The first question is how we should model expectations given the fact that it is hard to observe
or obtain information about individual expectations in real markets. Of course in theory two polar
cases exist: we may assume either full rationality with agents deriving optimal forecast from
economic theory or bounded rationality with agents only observing time-series and using simple
habitual rule of thumb predictors. Several authors such as Frankel and Froot (1990a, 1990b)
answered to this question in creating a new research area where it is assumed that the forecasts of
the market participants are drawn from competing views, i.e. heterogeneous expectations are
introduced in economic modeling.
The second question is whether heterogeneity in expectations does contribute to excess price
volatility as that observed in stock market or exchange rate. In other words, the question is whether
agents are able to learn and coordinate on a RE equilibrium in a heterogeneous world.
The aim of this paper is to study the links between heterogeneous beliefs and stability. The
paper is organised as follows. Two typical behaviours, namely fundamentalist and chartist, are
described in section 2. In section 3 we survey the literature which explains why and how the weight
of each behaviour may change over time. In section 4, using a simple cobweb economy, we obtain
different dynamical paths according to assumptions on the forecasting rules and the weighting.
2. Fundamentalists vs. Chartists
Many heterogeneous agents models assume that two kinds of agents exist. The question that
arises is on which criteria we could distinguish between both groups of agents.
In fact, besides and even before the RE [=aspettative razionali] paradigm, it has long been
remarked that if there exists traders who tend to forecast by extrapolating recent trends, i.e. traders
who have bandwagon expectations or herd behaviour [= imitative degli altri], then their actions can
exacerbate swings in the price. Evidence from survey data shows that at short horizons, respondents
tend to forecast by extrapolating recent trends while at long horizons they tend to forecast a return
to a long-run equilibrium. One way of distinguishing empirically between the shorter and the
longer-term expectations is to examine the weight survey respondents place on past prices in
forming their expectations at different time horizons. Frankel and Froot (1990b) considered three
standard models of expectations - extrapolative, regressive, and adaptative - and in all three cases,
short-term and long-term expectations behave very differently from one another. Therefore, they
associated the longer-term expectations, which are consistently stabilizing, with the
fundamentalists,2 and the short-term forecasts, which seem to have a destabilizing nature, with the
chartists.3
2
3
Fundamentalists are also called arbitrageurs.
Chartists are also called projectionists, technical analysts, bandwagon traders or noise traders.
5
While it seems to be correct that chartist behaviour is more likely to be destabilizing than
fundamentalism, in some cases both behaviours are consistent with stability. This appears for
instance in the naive cobweb model [= modello della ragnatela] when the supply curve shows less
responsive than the demand curve to price, chartist, i.e. projectionist behaviour results in market
stability.4
The behaviour of both groups can be explained in two ways.
First, both groups behave in different manner because they have different information sets.
Therefore, each agent is acting rationally subject to certain constraints. The information set of
fundamentalists includes fundamentals; thus they base their expectations according to a model that
consists of fundamentals. For chartists, their information set contains only the time-series of the
expected variable, e.g. the price. So, they use the past history of the price to detect patterns into
which they extrapolate the future. However, in this explanation, information is considered as static
while it is dynamic, i.e. it may not be considered as given. Indeed, motives influence the type and
amount of information gathered. In other words, fundamentalists often collect different types of
information to chartists.
The second way extends the previous analysis and so is better than it. Even when agents have
the same information set they may act differently. This may be the case because either they draw a
different set of inferences from the same information set or they have different goals, including
different attitudes to contending with risk or uncertainty.
Fundamentalists look for fundamental determinants of the price. They calculate an equilibrium
price consistent with these fundamentals, and expect that the current price will gradually move
towards its equilibrium value:
p^ ft = pt-1 + f(p*- pt-1)
where p^ ft is the period t price expected by fundamentalists, f(.) is an increasing function and p* is
the equilibrium price.
In the simplest case, they predict that the price will always be equal to the RE [= rational
^f
*
expectations] equilibrium steady state price, i.e. p t = p .
Chartists base their forecasts on technical analysis, which is mainly a study of past prices to
detect patterns that can be projected in the future. They use various extrapolative models that can be
summarised under the following general formulation: p^ ct = φ(pt-1, pt-2 , … )
where p^ ct is the period t price expected by chartists, φ(.) is an unspecified function.
In the simplest case chartists have naive expectations which represent a rule of thumb
forecasting rule, i.e. p^ ct = pt-1
4
See Lasselle, Svizzero, and Tisdell, 2001.
6
3. Switching between fundamentalists and chartists
The change in the price expected by the market can be written as a weighted average of the two
groups‟ expectations: p^t = αt p^ ft + (1-αt) p^ ct
where αt [0, 1] is the weight associated with fundamentalists and (1- αt) the weight of chartists. If
αtis constant over time, this means that the weight of the two groups remains the same and also
that switching is impossible, i.e. it is not possible for a fundamentalist to become a chartist and vice
versa.
However, much evidence supports the possibility of switching [= passaggio da un gruppo all’altro].
Indeed, Frankel and Froot (1990a) recalled that theories as well as practice confirm the
possibility of switching. On the one hand, the model of speculative bubbles says that over the
period 1981-1985, the market shifted weight away from fundamentalists and toward chartists. On
the other hand, the Euromoney Magazine showed from a survey on techniques used by forecasting
services that from 1978 to 1988, the positions between fundamentalists and chartists were reversed.
In both cases this shift explained the USD pattern during the period.
Once the weighting is admitted to be able to vary, it remains to explain how it could change.
Several strategies have been adopted.
The first strategy consists of stochastic switching.
Vigfusson (1996) noted that this weighting is unobserved, and then the model could not be
estimated or tested using standard techniques. To overcome these difficulties and to test the model,
he used Markov regime-switching techniques. He defined the two groups‟ different methods of
forecasting as regimes and rewrote the model as a regime-switching model. Kaizoji (1999) also
used transition probabilities. Indeed, he considered that it was not possible to get information on the
expectations formation and decision-making of all the traders. Therefore and according to the
synergetic approach, he treated heterogeneous agents as a statistical ensemble.
The second strategy is based on endogenous switching. Several cases are possible.
The first case provided by Frankel and Froot (1990b) is simple and obvious.
Portfolio managers are considered to be the only persons who actually buy and sell on the
market. They form their expectations as a weight average of chartists and fundamentalists.
Therefore, they update the weights over time according to whether the fundamentalists or the
chartists have recently been doing the better forecasting. In other words, the weights that the market
gives to the two groups change over time, according to the groups‟ respective wealths. The 1981-85
shift was then a natural Bayesian response to the inferior forecasting record of fundamentalists.
7
This idea may be simply formalised by assuming, as Hommes (1999) did, that prediction rules
are updated according to past realised profits. So, there is an evolutionary competition between
different forecasting rules and we get:
αt = exp( ^ ft-1 )/Zt
where ^ ft-1 are the net realised profits in period t-1 by fundamentalists, Zt = exp( ^ ft-1 )+ exp(
^ ct-1 ) is a normalization factor so that all fractions add up to one, is the intensity of choice,
measuring how fast agents switch between different prediction strategies.
If equals zero, then all fractions are fixed over time. When tends to infinity, then all agents
choose the optimal predictor in each period.
The second case is derived from Frankel and Froot (1990a) and from the empirical observation
that the relative weight of the two groups depends on the forecasting horizons. For shorter
forecasting horizons, more weight is placed on chartists while the opposite is true for longer
forecasting horizons.
Bask (1998) considered that, on the one hand, the more uncertain the economy is, the shorter the
forecasting horizon is. On the other hand, he pointed out that uncertainty is associated with an
inflationary economy. By transitivity, the forecasting horizon depends inversely on the inflation
rate.
Then, we get the weight of fundamentalists as a proxy of the forecasting horizon: αt = 1/[(pt-1 /
pt-2)2 where is positive and small.
When the prices are stable, the forecasting horizon is almost infinite and fundamentalistst are
dominant; the horizon is myopic if prices are highly unstable.
Even if it is true that agents who remain chartists do work on a shorter horizon, Bask‟s analysis
is however a little bit dubious. Indeed, the usual way to deal with uncertainty is that a higher
proportion of individuals become fundamentalists.
The third case comes from De Grauwe et al. (1993) and has been adapted in several cases, see
Federici and Gandolfo (2000). Although fundamentalists have the same wealth and the same degree
of risk aversion, they are assumed to have heterogeneous expectations normally distributed around
the equilibrium price p*. When pt-1  p* , half of the fundamentalists finds that the price is too low
and the other half finds it too high, compared to their own estimates. Therefore, the demand of the
former is exactly matched by the supply of the latter. In that case, fundamentalists do not influence
the price, i.e. αt = 0. When the price deviates from the equilibrium value (in one sense or the
other), the two groups of fundamentalists are numerically different so their excess demand is
not nil and then they influence the price. Their weight is thus an increasing function of the
deviation of the price from its equilibrium value:
αt = 1/[(1 +  (pt-1 - p* )2 
8
It should be noted that in that case, the weighting changes in a symmetrically manner, which is
for sure, a strong assumption.
Most models (based on any switching function) conclude that heterogeneity may cause
expectations driven excess price volatility, including chaos. In fact, chaos is possible in a model
when the latter has a property of «sensitive dependance on initial conditions»: any two solutions
paths with arbitrarily close but not equal starting values diverge at exponential rates. Therefore the
future development of the price is essentially unpredictable despite the fact that the underlying
model is deterministic and that the solution paths remain within a bounded set.
4. Linear Cobweb dynamics
…….
5. Non linear Cobweb dynamics
…….
6. Concluding comments
In a simple cobweb model we have shown that the introduction of heterogeneous beliefs and of the
possibility of switching of behaviour allow the economy to shift from instability to stability. This
shift is attributed to the increase of the weight of fundamentalists in the case of an exogenous
switching. While we have focused our attention on how the weight of each group influences the
stability/instability result, it should be noted that it will so have an impact on the speed of
convergence to the REE.
When we have considered an endogenous and symmetric switching process, the economy may
remain unstable.
However, when the endogenous switching process is asymmetric and based on past prices, then
stability is always obtained and is associated with an increase of the number of fundamentalists.
This latter result confirms the widespread belief that fundamentalist market behaviour as compared
with that of chartist tends to promote market stability.
....
________________________________________________________________________________
9
3.c - L’effetto della presenza di fondamentalisti e chartists: risultati da simulazioni
Complexity in the foreign exchange markets
Paul De Grauwe & Marianna Grimaldi
University of Leuven
(Riassunto della lezione tenuta dal prof. De Grauwe a Parma, dic. 2002)
Introduction
 Traditional exchange rate modelling has been based on the efficient market rational
expectations paradigm
 It is increasingly evident that this model is rejected by the data
 There is a whole list of empirical puzzles that the traditional model fails to explain
Empirical puzzles
 Disconnect puzzle (misalignment)
 Excess volatility
 Non-normality of returns
 Excess kurtosis
 Fat tails
 Long memory in the volatilities (GARCH)
 There is a need for other models
 Our modelling approach combines two insights
 One focuses on the presence of non linearities. Transaction costs.
 There is increasing empirical evidence of non-linearities in the dynamics of
adjustment to PPP, see Kilian and Taylor(2001), De Grauwe and
Grimaldi(2001)
 These studies show that the speed with which PPP is restored depends
positively on the size of the deviation from PPP.
 Another highlights the role of the heterogeneity of agents.
 We will assume two types of agents
 Chartists: extrapolate exchange rate movements (positive feedback)
 Fundamentalists: forecast return to equilibrium rate (negative feedback); they
take into account the non-linear dynamics in the goods market
 We combine the two insights creating a model with strong non-linearities
 We show that our model is capable of replicating the empirical puzzles and anomalies
uncovered in the last decade by the empirical exchange rate literature.
10
The model
 Consists of three blocks
 Mean variance utility maximisation
 Expectations formation of heterogenous agents
 Learning the forecasting rules
……
Expectations formation
Fundamentalists‟ forecast:
Ef,t(∆st+1) = -ψ(st – s*t)
Chartists‟ forecast
T
Ec,t(∆st+1) = βΣ i=0 αi∆st-i
The role of transaction Costs
If st - s*t < C then Ef,t(∆st+1) = 0
If st - s*t > C then fundamentalists‟ forecast rule applies
Learning the forecasting rules
Number of chartists and fundamentalists is endogenous
nc,t  nc,t 1  n f ,t 1 p fct  nc,t 1 ptcf
n f ,t  n f ,t 1  nc,t 1 ptcf  n f ,t 1 ptfc
Probabilities of switching
Ppfct = ….. (probability of switching from fundamentalists to chartists)
Ppcft = ….. (probability of switching from chartists to fundamentalists)
Probabilities of switching are determined by relative utilities of chartists and fundamentalists
Stochastic model
Sensitivity to initial condition even when the deterministic part is non-chaotic
11
Effect of shocks: History matters
 New meaning of „ceteris paribus‟ assumption
 Effect of the same shock depends on when it occurs
12
Empirical relevance of the model




We simulate the model for different parameter values
We then analyse the pattern of simulated exchange rate rates
And compare it with observed patterns
Put differently: does the model mimick the empirical regularities that have been uncovered
in the Forex market
Formula used in our simulation:

st   st 1  s
•
•
*
t 1
   s
n
i 1
i
t i
n
  i st*i
i 1
Exchange rate and fundamental rate are cointegrated.
BUT
Very low error correction coefficient:very slow adjustment
• Changes in fundamental have small and insignificant effect on exchange rate ()
• Changes in past exchange rate are significant ()
• These features have been found empirically
Fat tails
exchange rate returns exhibit fat tails compared to the normal distribution. This has been observed
first by Mandelbrot for prices of commodities.
Our model mimicks this empirical regularity
We also find excess kurtosis, which is declining with time aggregation
This has also been found in reality
 Thus exchange rate movements in normal times are small
 Once in a while there is turbulence in the market
 Our model generates this dynamics.
Volatility clustering:
exchange rates have been shown to have a GARCH structure, i.e. there is a long memory in the
volatility of exchange rate returns
 We estimated a simple GARCH model
 Results confirm that the exchange rate returns simulated in our model have a GARCH structure
 Conclusion: our model mimicks important empirical regularities
 Note: our model comes closest to empirical regularities when we use parameters that do not
generate deterministic chaos
 Even then the model generates great complexity
 This is also shown by some additional features of the model
13
Large and small shocks
 In linear models large and small shocks have qualitatively the same effects
 Not so in non-linear models
 We simulated our model under two stochastic regimes
 Low shock regime
 Large shock regime: we assume exogenous shocks in fundamental are ten times
higher.
 Transactions cost band the same
Low shocks
Large shocks
Interpretation
 When shocks are large, the exchange rate is outside the transactions cost band
 PPP-dynamics is a strong force
 Thus, the relation between exchange rate and fundamentals dominates; there is little
complexity
 When shocks are small, exchange rates are mostly within transactions cost band
 PPP-dynamics is weak force
 Chartist behaviour becomes important because link between exchange rate and fundamental
is weak
 The interaction between fundamentalist and chartist forecasts creates strong non-linearity
and thus complexity
 These features of the dynamics of exchange rates have been confirmed empirically
 See Taylor, Peele and Sarno, and Kilian and Taylor: PPP-dynamics is non-linear:
 Speed of adjustment is function of size of deviation from PPP [nel caso del cambio
PPP è una sorta di fondamentale]
 Thus when shocks are large, there are strong forces to re-establish PPP
 De Grauwe and Grimaldi have also confirmed this.
14
Is Chartism evolutionary stable?
 Chartism should be profitable
 If not, it will tend to disappear
 We analyzed how the share of chartists evolve in our model under different conditions
 Remember: the share of chartists is a function of relative profitability (corrected for risk)




Chartism does not disappear
On the contrary, it takes typically a higher share than fundamentals
As chartists are more aggressive in extrapolating past changes their share increases
We also find that chartism is more profitable and thus more prevalent in the low variance
regime than in the high varance regime
 Other way to look at this is to ask question of
 How does profitability of chartists evolve when their share increases
 We now allow the share to change exogenously and we then compute the profits of the
chartists
Average profits of chartists and fundamentals a a functiom of their relative weight
Interpretation
 When there are few chartists (a lot of fundis),
 profitability of chartism is low;
 profitability of fundamentalism is high
 When number of chartists increase relative to number of fundis
 Profitability of chartism increases exponentially
 Profitability of fundamentalism collapses
15




There seems to be a self-fullfilling evolutionary dynamics
An invasion by chartists creates noise around the fundamental;
Noise is what chartists thrive on.
Thus the invasion creates the conditions that makes chartism profitable, reinforcing the
attraction.
 Chartists create informational environment which makes it rational to use chartists‟ rules.
 This does not lead to corner solution, though, because risk also increases when chartists
become more numerous.
Conclusion
 Rational expectations paradigm is rejected by the data
 There is a need of alternative modelling recognizing
 Heterogeneity of agents
 Non-linearities (e.g. transactions costs)
 Our model is capable of generating most empirical regularities, i.e. it generates the statistical
properties observed in exchange rate date endogenously
Implications
 Effect of shocks in fundamentals is complex and unpredictable
 History matters: it matters when shock occurs
 Small disturbances have large and long lasting effects
 A world in which fundamentals are relatively stable is more complex (high noise to signal
ratio)
 Using chartist rules is rational, especially in a world of stable fundamentals
________________________________________________________________________________
16
3.d – Programma Eviews per simulazioni dei prezzi con aspettative eterogenee
Sono stati preparati due programmi (entrambi suppongono che la % di fondamentalisti e chartists
sia constante nel tempo) per eseguire simulazioni. (Questi programmi di simulazioni non sono
materia d’esame ma possono essere utili per verificare i diversi fenomeni che si hanno in
vcaso di aspettative eterogenee).
Si trovano come dispensa 0031e1 e 0031e2.
Il primo programma esegue le simulazioni una volta impostati i valori desiderati per le variabili
indicate. Ad ogni lancio cambiamo le simulazioni.
Il secondo programma può essere utilizzato solo dopo aver lanciato il primo: esegue gli stessi
calcoli del primo ma le simulazioni restano sempre le stesse, a parte l‟effetto dei valori dei
parametri che vengono eventualmente modificati.
Qui viene per comodità riportato il testo del primo programma:
create u 1000
smpl 1 1000
@ ______________________________________________________
@ INDICARE QUI LA VOLATILITA' DEL FONDAMENTALE (se è zero il fondamentale è una costante):
genr fondvolatilita= 2
@ _______________________________________________________
@ Indicare qui la velocità di aggiustamento del prezzo al disequilibrio fra prezzo e fondamentale
(DEV'ESSERE UN VALORE >0 E <=1)
genr w=1
@ _______________________________________________________
@ Indicare qui il "costo di transazione":
genr costo=20
@ _______________________________________________________
@ Indicare qui le le aspettative sono estrapolative (velore di b positivo) o regressive (valore di b negativo) ATTENZIONE: valori di b in valore assoluto >1 possono portare a risultati caotici o overflow
genr b=.8
@ _______________________________________________________
@ Indicare qui le % dei fondamentalisti (scrivere 0.50 per il 50%)
genr NF=.50
@ _______________________________________________________
genr a1=.7
genr a2=.3
genr NC=1-nf
@ evoluzione del fondamentale
smpl 1 1000
genr Fondamentale=nrnd
smpl 2 1000
genr Fondamentale=Fondamentale(-1) + nrnd*fondvolatilita
@ _________________________________
@ condizione iniziale dello Spot
genr disturbo=nrnd
17
genr S=Fondamentale +nrnd @ (condizione iniziale dello spot)
for !1=10 to 1000
smpl !1 !1
genr EFdS=-w*(S(-1)-Fondamentale)*(abs(S(-1)-Fondamentale)>COSTO)
genr ECdS=b*(a1*d(S(-1))+a2*d(S(-2)))
genr d(S)=NF*EFdS + NC*ECdS +disturbo
next
smpl 1 1000
genr dprezzo=d(s)
genr prezzo=s
smpl 10 110 @ PER IL LUNGO PERIODO METTERE 10 1000
@ GRAFICO DEL PREZZO E DEL FONDAMENTALE
plot Prezzo Fondamentale
@ ISTOGRAMMA DELLA VARIAZIONE DEL PREZZO
dprezzo.hist
@ REGRESSIONE DELLA VARIAZIONE DEL PREZZO SUI SUOI VALORI PASSATI
ls d(prezzo) c d(prezzo(-1)) d(prezzo(-2))
@ Errore dei fondamentalisti e dei chartist
genr Fond_errore_medio= @mean(abs(EFdS-d(S)))
genr Chart_errore_medio=@mean(abs(ECdS-d(S)))
@ smpl 100 100
@ bar Fond_errore_medio Chart_errore_medio
d Fond_errore_medio Chart_errore_medio
ALCUNI ESEMPI DI RISULTATI:
Costo = 20, b = 0.8,
% fondam en t alis t i = 1%
40
% fondam ent alis t i = 99%
40
30
30
20
20
10
10
0
0
-10
-10
-20
-20
-30
-30
-40
-40
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100 110
P RE ZZO
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100 110
FOND A M E NTA LE
(Al diminuire della % di fondamentalisti il prezzo diventa più slegato dal fondamantale)
18
% fondamentalisti = 50%, b=0.8
Cos t o = 0
30
c o s t o = 40
30
20
20
10
10
0
0
-10
-10
-20
-20
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100 110
10
P RE ZZO
20
30
40
50
60
70
80
90
100 110
FONDA M E NTA LE
(Al crescere del costo di transazione il prezzo si allontana maggiormente dal fondamentale)
% fondamentalisti = 50%, costo = 20
b = 0. 8
30
b = -0. 8
30
20
20
10
10
0
0
-10
-10
-20
-20
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100 110
P RE ZZO
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100 110
FONDA M E NTA LE
(In presenza di aspettative estrapolative il prezzo presenta maggiori oscillazioni)
19
% fondamentalisti = 1%, costo = 40, b=0.8
os s ervaz i oni = 100
50
os s ervaz ioni = 990
50
40
0
30
20
-50
10
0
-100
-10
-20
-150
-30
-40
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100 110
P RE ZZO
-200
1 0 110
250
500
750
1000
FONDA M E NTA LE
(Nel lungo periodo il prezzo diventa meno slegato dal fondamantale)
20
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NEI MERCATI FINANZIARI - Dipartimento di Economia