IN VIAGGIO CON PARMIGIANINO
nel mondo di ERMETISMO e ALCHIMIA
a cura di
Alessandra Ruffino
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Prima di partire….
…che cosa si intende coi termini
ALCHIMIA ed ERMETISMO?
Per orientarsi almeno un po’ nell’affascinante, ma insidiosa ed oscura selva delle
SCIENZE ARCANE, sarà utile mettere in chiaro il significato di qualche termine
‘tecnico’ che ricorrerà durante questo viaggio:
ALCHIMIA (dall’arabo al-kîmiyâ che indica ‘la pietra filosofale’ o ‘il reagente universale’)
conoscenza iniziatica che aspira ad ottenere una Armonia tra gli opposti, simboleggiata dalla
unione (coniunctio) di polarità contrarie: Sole/Luna, Uomo/Donna, Adamo/Eva, Notte/Giorno
ecc. Essa ha una parte FILOSOFICA e MISTICA e una parte PRATICA e SPERIMENTALE: l’arte
dei metalli che – attraverso una sequenza di fasi e col fuoco come agente di trasmutazione –
distilla le proprietà dei quattro elementi (Terra, Acqua, Aria, Fuoco) nella Quintessenza (o
Elixir o Pietra filosofale) e nobilita i metalli vili e deperibili, come il piombo, in metalli puri,
come l’oro. Come il metallo vile viene fatto morire nel crogiolo (o Fornello o Athanor o Vas
hermeticum) per poter rinascere purificato in metallo perfetto e immortale, così – sul piano
morale – l’alchimista persegue un processo di morte e purificazioni spirituali per riconquistare
la perfezione dell’uomo edenico.
CABBALÀ: con la parola ebraica qabbalah (‘ricezione’) si indica la tradizione segreta del
misticismo giudaico e in particolare il movimento di pensiero di connotazione esoterica che
prese avvio in Europa a partire dal sec. XII-XIII. Traendo spunto dalla Sacra Scrittura, i testi
cabbalistici illustravano come ogni parte del Creato rispondesse a una segreta armonia del
disegno trascendente. Fin dalle sue origini essa volle essere anzitutto un approfondimento
spirituale, o derek ha-emet “il cammino della verità”.
ERMETISMO: dottrina filosofica del I sec. d.C. attribuita ad Hermes Trismegisto (Mercurio,
padre dell’alchimia e protettore delle scienze occulte) che riconduce la filosofia greca a quella
egizia, difendendo il paganesimo dagli attacchi della religione cristiana. Alla fine del sec. XV la
traduzione del cosiddetto Corpus Hermeticum, per mano di Marsilio Ficino, rilanciò negli
ambienti più raffinati delle corti europee la Filosofia Ermetica.
ESOTERISMO: tendenza di alcune dottrine filosofiche e religioni a riservare una parte della
verità a pochi iniziati. Nella sua etimologia greca (Esoterikós = ‘più interno, destinato al segreto’)
si contrappone a Exoterikós (= ‘destinato al pubblico, essoterico’).
FILOSOFIA OCCULTA: disciplina che studia le virtù segrete delle cose e degli esseri, nella
convinzione che, tramite la conoscenza delle forze naturali, sia possibile mettere in opera una
trasformazione dello stato di cose esistente.
Ultima raccomandazione, prima di mettersi in cerca degli indizi ermetici ed alchemici disseminati nei
capolavori di Parmigianino: si ricordi che nel Rinascimento non necessariamente l’interesse per
l’alchimia e quello per la magia ermetica coincidevano, e viceversa.
2
Parmigianino ALCHIMISTA: chi lo ha detto?
La testimonianza più nota sul Parmigianino alchimista è quella di GIORGIO VASARI
(nelle due edizioni delle Vite, 1550 e 1568), poi ripresa dallo storico parmigiano ANGELO
MARIA EDOARI DA ERBA nel suo Compendio copiosissimo dell’origine, antichità, successi e
nobiltà della città di Parma (ms. 1572 ca. Parma, Biblioteca Palatina, Ms. Parm. n. 922, p.
234, ove Parmigianino è detto “alchimista peritissimo”), nonché da GIOVAN BATTISTA
ARMENINI (“Giovane di bello, et vivace ingegno, e tutto gentile, et cortese […] ma non
contento di così largo favore caduto dal cielo, che vedendo per vitio dell’età prevalere alle virtù
l’oro, gli entrò nel capo di voler attendere all’Alchimia, si lasciò corrompere di maniera a questa
pazzia, che si condusse a pessimo disordine di vita, et dell’honore, e di molto gratioso che egli era,
divenne bizzarrissimo et quasi stolto”, De’ veri precetti della pittura, Ravenna 1587, p. 16).
Benché animato a tratti da intenti moralistici, il ritratto vasariano passerà alla Storia:
“…il cervello, che aveva a continovi ghiribizzi di strane fantasie, lo tirava fuor de l’arte: potendo
egli guadagnare quello oro, che egli stesso avrebbe voluto: con quello che la natura nel dipignere,
e ’l suo genio gli avevano insegnato. Et volse con quello, che non potè mai imparare, perdere la
spesa e il tempo, et farsi danno alla propria vita. Et questo fu ch’egli stillando cercava l’archimia
dell’oro, et non si accorgeva lo stolto, ch’aveva l’archimia nel far le figure...” (Le Vite, ed. 1550).
Per quanto dovute a qualche importante letterato del tempo, a niente varranno le isolate
smentite della diceria di un Parmigianino alchimista (cfr. LODOVICO DOLCE, Dialogo
della pittura intitolato l’Aretino, Venezia 1557: “il Parmigianino fu incolpato a torto ch’egli
attendesse all’alchimia…”).
L’interesse del pittore per l’alchimia risale al periodo
dell’incarico per i lavori nella Chiesa della Steccata a Parma
(“…si tolse a fare alla Madonna della Steccata [...] In questo tempo
si diede all’alchimia, et pensando in breve arricchirne, tentava di
congelare il Mercurio...” (VASARI, Le Vite, ed. 1568). Tale
interesse divenne così esclusivo che “…cominciò Francesco a
dismettere l’opera della Steccata, o almeno a fare tanto adagio, che
si conosceva che v’andava di male gambe; e questo avveniva, perché
avendo cominciato a studiare le cose dell’alchimia, aveva tralasciato
del tutto le cose della pittura, pensando di dover tosto arricchire,
congelando mercurio; [...] e non avendo altra entrata, e pur
bisognandogli anco vivere, si veniva così consumando con questi
suoi fornelli a poco a poco” (Le Vite, ed. 1568). Dopo la lite coi
fabbriceri della Steccata, il pittore fugge a Casal Maggiore e
là “avendo per sempre l’animo a quella sua alchimia, […] essendo
di delicato e gentile, fatto con la barba e chiome lunghe e malconce,
quasi un uomo salvatico ed un altro da quello che era stato, fu
assalito, essendo mal condotto e fatto malinconico e strano, da una
febbre grave e da un flusso crudele, che lo fecero in pochi giorni
passare a miglior vita...”.
)
PARMIGIANINO, Autoritratto
(1538 - Parma, Galleria Palatina)
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Il PARMENSE terra di magia?
Parrebbe proprio che l’interesse di Parmigianino per l’alchimia (tutt’altro che raro nell’élites culturali del
sec. XVI) potesse essere in parte propiziato da una tradizione che nel Parmense aveva radici profonde.
Senza stare a scomodare Dante e la sua condanna del mago Asdente, “lo calzolaio di Parma” (Convivio IV,
XVI, 6; Inf. XX, 118-119) o il fatto che la zona dell’attuale Emilia Romagna pareva particolarmente ben
disposta allo studio delle scienze arcane (si pensi a Pico della Mirandola, fondatore della Cabala
Cristiana, ma anche – in area ferrarese – all’attività di pittori come Cosmè Tura, Del Cossa, Dosso Dossi
ecc.): gli umori e le suggestioni di questa raffinata cultura esoterica dureranno ancora, in pieno Seicento,
nella Bologna del giovane Guercino. A noi converrà comunque restare nei più stretti dintorni del nostro
Pittore.
Il già ricordato Edoari da Erba documenta a Parma la presenza di tre grandi occultisti: Biagio Pelacani
(citato tra l’altro da G. B. NAZARI, Della trasmutatione metallica sogni tre, in un importante testo alchemico
edito nel 1572), il medico Giorgio Anselmi senior (nato a Parma nel 1386, la cui opera era nota anche a
Cornelio Agrippa) e Andrea Bianchi detto l’Albio Parmigiano, per il quale Parmigianino eseguì la
Conversione di San Paolo (Vienna, Kunsthistorisches Museum). Davvero un terreno fertile, dunque, il
Parmense per studiosi e praticanti di scienze arcane…
PARMA - Santa Maria della Steccata
Insieme alla stupenda e travagliata realizzazione
parmigianinesca degli affreschi nell’arcone di CHIESA DELLA
STECCATA (che poi vedremo) il ‘triangolo magico’
dell’esoterismo parmense tocca FONTANELLATO e
SORAGNA.
Alla ROCCA MELI LUPI DI Soragna il Manierismo del
Parmigianino è reinterpretato da Nicolò dell’Abate (Modena
1509/12 – Fontainebleau 1571), figura chiave, insieme ad altri
pittori manieristi ed ‘ermetici’ come Rosso Fiorentino e il
Primaticco, dell’Ecole de Fontainebleau, nel ciclo di affreschi
dedicati alle Fatiche di Ercole (tema di noto significato
alchemico sia perché legato al mito dei pomi aurei del
Giardino delle Esperidi, sia perché rappresenta un lavoro di
sublimazione per fasi analogo all’Opus Magnum).
Per saperne di più sul PERCORSO NEL
MANIERISMO PARMENSE FRA
ERMETISMO E MISTERO link to:
www.roccadisoragna.com
www.museocostantinianodellasteccata.it
SORAGNA – Rocca Meli Lupi
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Temi e cifre ermetiche nell’arte del Parmigianino: DOVE?
Tra i temi esoterici di più suggestiva e lunga tradizione vi è lo SPECCHIO, simbolo lunare, simbolo
dello sdoppiamento e simbolo della discesa in se stessi (cioè, alla lettera, di quel tipo di riflessione
propria dei temperamenti speculativi e di coloro in cui prevale l’umor melanconico di Saturno).
Parmigianino lascia ai posteri una indimenticabile traccia del suo interesse per questo oggetto simbolico
tanto importante nel celebre Autoritratto allo specchio, ma anche nello specchio posto al centro della
volta del Camerino di Diana nella Rocca Sanvitale di Fontanellato, accompagnato dal motto “RESPICE
FINEM” (Attendi la fine), non un’opera dipinta, bensì il sigillo dell’opera, posta al centro del cielo chiuso
del Camerino, lì ad indicare proprio il compimento della Grande Opera di trasmutazione perpetrata
dall’Alchimia (e dall’Arte).
PARMIGIANINO, Autoritratto allo specchio (1524 - Vienna,
Kunsthistorisches Museum)
FONTANELLATO - Specchio al centro della volta del
Camerino di Diana
Un itinerario fra gli indizi ermetici dell’arte di Parmigianino non può che prevedere una lunga sosta
nella chiesa di SANTA MARIA DELLA STECCATA (Parma), dove il pittore – con tumultuose
vicissitudini – realizzò gli affreschi dell’arcone, liberamente interpretando la parabola evangelica delle
Vergini Savie e delle Vergini Folli.
La tradizione connessa alla parabola delle Dieci Vergini è complessa e non omogenea; quattro le
principali linee interpretative: 1) la parabola evangelica in sé, 2) l’interpretazione simbolica data dalla
Patristica, 3) la tradizione teatrale, 4) la tradizione figurativa non molto ampia, ma significativa (si
vedano il Codice Purpureo di Rossano, f. 4; gli affreschi del Castello di Appiano, secc. XII-XIII; il mosaico
della facciata di Santa Maria in Trastevere a Roma). La Vergine centrale dei gruppi è alternativamente
la Regina del Giorno e la Regina delle Tenebre. Le Vergini Savie si ricollegano all’attributo mariano di
“Virgo prudentissima”. Nella realizzazione di Parmigianino la connotazione positiva o negativa delle
Vergini è data solo dalle lampade accese o spente.
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PARMIGIANINO, Le vergini folli, part. (Parma, Santa Maria
della Steccata)
PARMIGIANINO, Le vergini savie, part. (Parma, Santa Maria della
Steccata)
Una curiosità:
Il tema delle donne con vasi sul capo, connesse ai simboli
dei quattro elementi, sarà ripreso da Johannes Mylius nel
testo ermetico Philosophia reformata, Francoforte
1622)
Nell’arcone della Steccata si possono individuare diversi simboli riconducibili al repertorio iconografico
dell’Alchimia:
• gli EMBLEMI dei QUATTRO ELEMENTI (componenti essenziali del mondo i cui rapporti e
combinazioni determinano la trasformazione della materia e il passaggio da uno stato dell’essere
all’altro)
• la personificazione, attraverso la raffigurazione di Adamo ed Eva, del dualismo sulla cui tensione si
fonda l’Armonia del Mondo
6
•
•
il simbolismo della LUCE (il vaso che produce
inlustratio, la illuminazione del sapiente)
il ricorrente motivo del VASO, che certo risponde,
come voleva san Paolo, all’idea di corpo = vaso
dell’anima (Romani, 9, 21), è sviluppato alla Steccata
in una serie di tre coppie di vasi nelle quali per due
volte è descritto un contenuto nero, per due volte
uno bianco e per due volte uno rosso, secondo una
precisa simbologia cromatica che trova
corrispondenza nelle fasi del processo di
distillazione dell’elisir attraverso la fase nera di
putrefazione della materia prima (Nigredo), la
successiva fase ‘bianca’ (Albedo) e la fase conclusiva
della Rubedo, allorché il rosso – colore araldico della
resurrezione – segnala il compimento dell’opus
alchemicum (vedi E. Fadda, in Parmigianino e la pratica
dell’alchimia, p. 46).
I Quattro Elementi sono evocati attraverso alcuni
emblemi: il granchio, crostaceo marino, rappresenta
l’Acqua; la colomba, volatile, è rappresenta l’Aria; gli
ortaggi (ma anche le teste di ariete) rappresentano la
Terra. A rappresentare il Fuoco, invece, i 14 rosoni in
bronzo dorato che scandisono l’intradosso dell’arco.
Ma prima di squadernare alla Steccata il libro della Natura con tanta stupefacente maestria pittorica e
originalità inventiva, Parmigianino aveva già lasciato qualche indizio di un suo interesse per i simboli
ermetici nel Ritratto di Galeazzo Sanvitale (1524), altri ne lascerà nella Madonna dal collo lungo (1534
– Firenze, Uffizi), nel Cupido che fabbrica l’arco (1533-34 – Vienna, Kunsthistorisches Museum), nella
Madonna col Bambino, san Zaccaria, la Maddalena e san Giovannino (Firenze, Uffizi) e così via…
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PARMIGIANINO, Ritratto di Galeazzo Sanvitale
(1524 - Napoli, Museo di Capodimonte)
Elegante in abito alla francese alle spalle armatura, elmo e
mazza ricordano il suo status di condottiero, sul copricapo
riluce un medaglione ornato di caduceo (attributo di
Mercurio, patrono dell’Alchimia e delle scienze ermetiche);
tra le dita guantate il principe regge una moneta con il
NUMERO 72…
…che cosa indica questo numero?
Ecco le principali interpretazioni:
• secondo la Cabbalà 72 è la cifra che racchiude la chiave segreta del nome ineffabile di Dio
• secondo le corrispondenze numeri/pianeti/metalli stabilite dalla Occulta Philosophia il 7 e il 2
rappresentano il numero di Giove (= stagno) e quello della Luna (= argento), quest’opinione
sostenuta da Maurizio Fagiolo dell’Arco non è del tutto convincente, giacché in tutta l’iconografia
alchemica la congiunzione tra principio maschile e femminile è rappresentata dalle nozze mistiche
di Sole e Luna (o Apollo e Diana, e non di Giove e Luna).
• l’opinione più verosimile pare quella sostenuta da Andrea De Pascalis che il 7 e il 2, siano incisi sulla
moneta per alludere, rispettivamente, al numero dei Metalli (sette come i Pianeti maggiori) e al
numero dei principi costitutivi della materia metallica al tempo di Parmigianino (Zolfo, polo
maschile e igneo, e Mercurio, polo femminile liquido; il terzo elemento della trasmutazione, cioè il
principio neutro del Sale, sarà introdotto da Paracelso solo a metà del sec. XVI).
Intanto, nel nome dei Sanvitale, ecco che siamo già dritti e filati a FONTANELLATO.
È ora di scoprire…
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Quali sono i SIMBOLI ERMETICI a FONTANELLATO?
Aveva appena 21 anni, Francesco Mazzola, quando venne convocato alla Rocca Sanvitale
Fontanellato. In un piccolo ambiente segreto al piano terra (chissà perché non al piano nobile?),
circondato da locali di servizio affrescò, con vistosi debiti iconografici verso il Correggio della Camera
di San Paolo (Parma), lo stupendo “Camerino di Diana”, raffigurandovi la storia tragica di
ATTEONE, ma...
…che cosa narrava quel mito?
DIANA e ATTEONE:
mito…
…e misteri
Due le versioni del mito a noi pervenute: una,
tramandata dai mitografi greci Igino e Pausania, e l’altra
dal poeta latino Ovidio. La prima racconta che Atteone,
appoggiato a una roccia nei pressi di Orcomeno, vide
per caso Artemide (Diana) che si bagnava al fiume e
restò a guardarla per potersi poi vantare con gli amici di
aver visto nuda la dea. Offesa, Artemide si vendicò
trasformandolo in cervo e facendolo quindi divorare
dalla sua muta di cani.
Nella seconda versione del mito, narrata nelle
Metamorfosi di Ovidio, il cacciatore Atteone durante una
battuta di caccia, si allontana dagli altri cacciatori a cui
si accompagnava per addentrarsi solo nella foresta. Nel
fare ciò incappa per caso nei segreti recessi dove Diana
era intenta a un bagno. La dea, irritata per esser stata
sorpresa, spruzza addosso ad Atteone degli schizzi
d’acqua e lo trasforma all’istante in cervo, al che – non
riconoscendo più il padrone – i cani stessi di Atteone si
scagliano contro la preda e la uccidono.
Il mito di Diana e Atteone non compare nelle
iconografie alchemiche. Assume significati
ermetici solo allorché se ne consideri l’aspetto
principale della metamorfosi, oppure quando
si voglia focalizzare l’attenzione sul
particolare del BALNEUM (il bagno che
rigenera) o allorché si voglia riprendere la
lettura ermetica di quel mito fatta da
Giordano Bruno negli Heroici furori (1585).
Nel dialogo bruniano la caccia è una venatio
sapientiae (ricerca di sapienza), nella quale i
cani sono allegorie dei pensieri e del desiderio
e “l’amore trasforma e converte nella cosa
amata” (G. BRUNO, De gl’heroici furori) in un
processo di purissima alchimia morale.
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A riguardo del tema del BAGNO di DIANA,
si può notare che il particolare delle ninfe che
si bagnano in una vasca nell’affresco di
Fontanellato ha qualche interessante analogia
con un dettaglio della tavola numero 6 dello
Splendor Solis (prezioso manoscritto
alchemico del 1532-35 con 22 tavole miniate
d’eccellente fattura), miniatura ove si allude
al processo di imbiancamento (l’Albedo che
succede alla prima fase dell’opus magum:
Nigredo e precede le due successive di
Citrinitas e Rubedo).
Misteriosa, oltre che ambigua, resta nel suo insieme la mitologia di Diana, “in quanto Sagittaria
lucifera, dunque spirituale, sembra che la dea investa i tre regni. Il minerale (l’arco d’argento), con cui
ha rapporti di segreta affinità, le servirebbe da tramite col regno vegetale (l’olmo e la quercia) e con la
bestialità animale (la fiera)…”. Dea terribile, Diana, regina della Notte e sorella del Sole, dea serena e
tuttavia capace di ferocia di belva, figura dell’eterno feminino e sfuggente come un ermafrodito…”lei si
compiace nell’incertezza perenne di appartenere o non appartenere a un principio virile. L’incertezza è
il suo regno, il suo universo” (P. KLOSSOWSKY, Il bagno di Diana).
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Il CAMERINO di DIANA:
monumento funebre, studiolo segreto o boudoir?
AD DIANAM / DIC DEA SI MISERUM SORS HUC ACTEONA DUXIT A TE CUR CANIBUS /
TRADITUR ESCA SUIS? NON NISI MORTALES ALIQUO / PRO CRIMINE PENAS FERRE LICET:
TALIS NEC DECET IRA / DEAS
“A Diana. Di’, o dea, perché, se è la sorte che ha condotto qui il misero Atteone, egli è da te dato in
pasto ai suoi cani? Non per altro che per una colpa è lecito che i mortali subiscano una simile pena:
un’ira tale non si addice alle dee”.
Parmigianino iniziò ad affrescare la stanza nell’estate o nell’autunno 1524, all’indomani della morte del
piccolo figlio di Galeazzo Sanvitale, fatto che probabilmente determinò la committenza (è il parere di
Marzio Dall’Acqua). Si è a lungo discusso sulla vera natura e destinazione di questo luogo: secondo
alcuni (Ghidiglia Quintavalle) fu una raffinata saletta da bagno di Paola Gonzaga, sposa di Galeazzo
Sanvitale e Signora di Fontanellato, secondo altri (Fagiolo dell’Arco, Mutti) si tratterebbe di una
trasposizione pittorica dei motivi alchemici della coniunctio del principio maschile e femminile, con
ripresa del tema della vergine (ampiamente trattato da Parmigianino
alla Steccata, e si ricordi – poi – che nella mitologia classica la Vergine
per eccellenza è proprio Diana), ma anche quello della metamorfosi
da uno stato all’altro della materia (Atteone che si trasforma in
animale) è eminente archetipo alchemico. C’è anche stato chi (DavittAsmus) ha proposto un’interpretazione che divide la narrazione in
tre momenti: la caccia d’amore, la fonte e la morte (che indicano il
passaggio dall’amore carnale a quello divino, sulla base
dell’identificazione del cervo-Atteone con il sacrificio Cristo). Pare
tuttavia, tra tutte, che l’interpretazione più verosimile sia quella
secondo la quale il Camerino di Parmigiano a Fontanellato fu una
sorta di cappella destinata a celebrare il lutto di Paola Gonzaga per la
perdita del figlio con un’allegoria mitologica (e non cristiana) del
PARMIGIANINO,
tutto coerente con quella rinascita del paganesimo antico che avvenne
Presunto ritratto di Paola Gonzaga
(1524 – Fontanellato, Rocca Sanvitale) nel Rinascimento.
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Nell’iscrizione che percorre come
un fregio il perimetro del Camerino
di Diana spicca quel curioso
ACTEONA, un accusativo alla
greca che in italiano suona,
evidentemente, femminile
Mettendo però a confronto Atteone
e Atteona non scopriremo forse che
sono abbigliati allo stesso modo?
Diventa così convincente l’ipotesi
che a Fontanellato Parmigianino
non abbia tanto (o soltanto) voluto
svolgere un tema ermetico, quanto
proiettare su sfondo mitico il lutto
privato di Paola Gonzaga,
raffigurata da Parmigianino con
PARMIGIANINO, “Acteona”(1524 – Fontanellato, Rocca Sanvitale)
una spiga spezzata in mano (altro
simbolo di morte), ingiustamente
punita – come l’incolpevole Atteone
– con la perdita del figlio.
PARMIGIANINO, Atteone che si muta in
cervo (1524 – Fontanellato, Rocca
Sanvitale)
Il viaggio VIRTUALE potrebbe continuare, se non fosse che lo stupore e il piacere di una scoperta DAL
VERO non possono essere equiparati da nessun viaggio telematico.
Per scoprire questi misteri e tante altre meraviglie, niente di meglio di un viaggio REALE a
Fontanellato… raggiungere questa bella corte padana è facile: Parmigianino, Paola e Galeazzo
Sanvitale, Atteone, e la temibile signora della Rocca, Diana, vi aspettano!
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PER ULTERIORI INFO BIBLIOGRAFICHE CONSULTARE ALLA VOCE “PARMIGIANINO” L’INDIRIZZO WEB:
www.opac.khi.fi.it
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