La rivoluzione messicana All’inizio del XX secolo, il Messico si caratterizzava in primo luogo per la presenza di una elevata concentrazione delle terre nelle mani di un ristretto nucleo di grandi famiglie di latifondisti. Su una popolazione complessiva di 15 milioni di abitanti, circa 12 milioni erano contadini poveri (i cosiddetti peones), che vivevano in miseria ed erano costantemente indebitati nei confronti dei padroni della terra. In alcune regioni, era stata avviata una fiorente industria mineraria, finalizzata all’estrazione del rame e del petrolio; tale attività, però, dipendeva da capitali statunitensi, che controllavano anche la produzione di caucciù, di zucchero o di agave. Dal punto di vista politico, il Paese era retto da un dittatore, Porfirio Díaz, salito al potere nel 1884 e rimastovi fino al 1911. Nel 1910 ebbe inizio un lungo processo rivoluzionario che durò fino al 1920 e provocò più di un milione di morti; i primi segnali furono alcune insurrezioni contadine, esplose nelle regioni in cui la situazione di sfruttamento era più violenta e spietata. Già in questa fase si distinse, come leader rivoluzionario, Emiliano Zapata (1879-1919), che operava nella zona del Morelos, nel Sud del Paese. La rivolta si placò temporaneamente nel 1911, quan- ➔Militari e peones do fu eletto presidente Francisco Madero, sostenitore di un programma di riforme che avrebbe dovuto spingere il Messico nella direzione della democrazia e della giustizia sociale. Nel febbraio 1913, tuttavia, con l’aperta complicità dell’ambaAgave sciatore statunitense, Madero venne assassinato e il potere pasPianta originaria delle zone tropicali e subsò nelle mani del generale Victoriano Huerta. La guerra civile, tropicali del continente americano da cui si ricavano bevande e dalle cui foglie si a quel punto, tornò a esplodere in tutto il Paese: nel Sud, il coproducono fibre tessili per fare cappelli, mandante più prestigioso continuò a essere Zapata (che però fu corde ecc. ucciso nel 1919), mentre nelle regioni del Nord emerse la figura le parole Il guerrigliero messicano Pancho Villa fotografato a cavallo. F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012 IPERTESTO POLITICI IPERTESTO C CONTRASTI 1 L’America Latina L’America Latina IPERTESTO di Francisco (meglio noto con il soprannome di Pancho) Villa (1878-1923), che nel 1916 ebbe numerosi scontri anche con truppe statunitensi, intervenute in Messico per proteggere gli interessi delle grandi compagnie nordamericane. All’inizio degli anni Venti, la situazione cominciò pian piano a normalizzarsi; lo Stato però, nel decennio seguente, assunse un atteggiamento di netta ostilità nei confronti della Chiesa, ponendo gravi restrizioni alla libertà di culto e severi limiti alla partecipazione dei cattolici alla vita politica. Infine, nel 1936, il presidente Lázaro Cárdenas (1895-1970) procedette a una riforma agraria radicale, che distribuì ai contadini diversi milioni di ettari di terreno e venne finalmente incontro alle esigenze della popolazione rurale. Inoltre, nel 1938, Cárdenas nazionalizzò le ferrovie e l’industria dell’estrazione petrolifera. UNITÀ XI L’America Latina nel periodo 1930-1950 LA GUERRA FREDDA 2 Juan Perón con la moglie Eva Duarte, detta Evita, donna abile ed energica, molto ammirata dal popolo; influì nelle scelte politiche del presidente, in particolare nelle riforme sul diritto di voto alle donne, sulla tutela dei pensionati e dell’infanzia. Nel corso degli anni Trenta, si verificò il definitivo passaggio dell’economia dell’America Latina dalla sfera di influenza britannica a quella statunitense: nel 1914, gli investimenti provenienti dal Nord America ammontavano a 1,7 miliardi di dollari, e quelli inglesi a 3,7 miliardi di dollari; nel 1936, quelli inglesi erano scesi a 2,5 miliardi di dollari, mentre quelli americani erano saliti a 2,8 miliardi. La crisi economica iniziata nel 1929 con il crollo della Borsa di Wall Street ebbe tuttavia numerose e complesse ripercussioni sulla società e sull’economia dei Paesi sudamericani. In primo luogo, infatti, essi videro calare notevolmente (del 30%, ma talora anche del 50%) i prezzi dei principali beni di esportazione (petrolio, rame, stagno, carne, zucchero). Il valore globale delle esportazioni latinoamericane, di conseguenza, subì una pesante flessione, passando da quota 2,9 miliardi di dollari (1929) a 1,7 miliardi (nel 1939). Una simile contrazione dei profitti derivanti dal commercio con l’estero ridusse notevolmente il denaro disponibile per importare dagli USA e dai Paesi europei beni di consumo e manufatti; nello stesso tempo, tuttavia, la nuova situazione incentivò la na- F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012 3 L’epoca delle dittature militari Il principale effetto perverso della rapida industrializzazione, negli anni Trenta e Quaranta, fu l’emigrazione di massa verso le grandi città. «Nel 1929 – scrive Marcello Carmagnani – soltanto il 30% della popolazione totale abitava nelle città, mentre nel 1950 si era già al 45%: il che significa, in cifre assolute, che la popolazione urbana passò da 28 a 73 milioni, cioè si triplicò». L’inurbamento ebbe come prima conseguenza il sovraffollamento delle città, incapaci di fornire servizi efficienti a una popolazione in costante crescita. Ma, soprattutto, il fenomeno migratorio verso le metropoli significò una progressiva sottrazione di manodopera al settore agricolo, in un’epoca di grande incremento demografico che, tra il 1925 e il 1950, vide la popolazione totale dell’America Latina passare da 95 a 157 milioni di abitanti. Bisogna sottolineare che l’esportazione di caffè e zucchero – attività capace di garantire la ricchezza di poche grandi famiglie di produttori latinoamericani, oppure di imprese capitalistiche europee e statunitensi – non diminuì affatto, e anzi registrò un leggero incremento. A perdere manodopera fu l’attività agricola destinata a rifornire il mercato interno, al punto che, tra il 1934 e il 1954, la produzione di alimenti pro capite diminuì del 5%, mentre l’importazione di derrate aumentò del 3,1% annuo. In tale contesto, sempre più squilibrato, il malcontento e la protesta cominciarono a farsi sentire, soprattutto dopo la vittoriosa rivoluzione cubana del gennaio 1959, che destò notevoli speranze di riscatto fra le masse latinoamericane. Gli anni Sessanta e Settanta videro pertanto una presenza sempre più marcata delle Forze armate nella vita politica dei principali Stati latinoamericani, finalizzata a schiacciare sul nascere o a reprimere ogni tentativo di modificare l’assetto politico e sociale. Nel 1964, infine, in F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012 IPERTESTO IPERTESTO C ➔I movimenti populisti L’America Latina scita e lo sviluppo di un’industria latinoamericana, che raggiunse il massimo della propria espansione negli anni della seconda guerra mondiale, quando le economie dei principali Paesi capitalisti vennero completamente assorbite dallo sforzo bellico. Tra il 1925 e il 1950, la produzione crebbe in modo vertiginoso: 7% annuo in Messico e in Argentina, 10% in Colombia, 16% in Brasile. In questo contesto poté sorgere e svilupparsi un nuovo fenomeno politico, detto populismo, che vide in Argentina il proprio episodio più significativo. Nel 1946, con l’appoggio dei sindacati, le elezioni presidenziali di quel vasto Paese furono vinte da Juan Domingo Perón (1895-1974), un ufficiale capace di esercitare enorme fascino sulle masse popolari. Per certi aspetti, il populismo di Perón era simile al fascismo: in entrambi i casi, ad esempio, il leader non aveva alcuna simpatia per i valori della democrazia parlamentare e cercava un rapporto diretto con le masse. Tuttavia, mentre il principale sostegno del fascismo, a livello di massa (soprattutto in Italia), furono i ceti medi, in Argentina il populismo fu appoggiato e sostenuto dalla classe operaia, che vide – tra il 1942 e il 1955 – un aumento salariale del 47%. In un contesto economico caratterizzato dallo sviluppo accelerato, era possibile procedere a una parziale redistribuzione della ricchezza: il dato essenziale era che la proprietà dei mezzi di produzione non fosse messa in discussione e che tutti i miglioramenti nella condizione di vita operaia fossero presentati come concessioni dall’alto e donazioni del leader magnanimo e illuminato, non come risultato della capacità organizzativa e della combattività dei lavoratori. Non a caso, fra il 1937 e il 1945, in Brasile, dove Getúlio Vargas (1882-1954) guidò un regime simile a quello di Perón in Argentina, gli scioperi furono proibiti e considerati illegali. I regimi populisti, però, potevano reggersi solo nella misura in cui la situazione economica si fosse mantenuta fiorente; non appena esplosero nuovi problemi o risorsero antiche contraddizioni non risolte, i leader populisti non furono più in grado di continuare la loro politica di concessioni dall’alto. Così, Perón dovette abbandonare il potere nel 1952, mentre il brasiliano Vargas si suicidò nel 1954. ➔Massiccio incremento demografico IPERTESTO INSTABILITÀ POLITICO-MILITARE IN AMERICA LATINA Mar dei Caraibi TRINIDAD E TOBAGO Caracas VENEZUELA Bogotà OCEANO Georgetown Paramaribo GUYANA Cayenne ATLANTICO SURINAME GUYANA FR. COLOMBIA Quito ECUADOR BRASILE Lima PERÚ La Paz Brasilia UNITÀ XI BOLIVIA Rio de Janeiro Asunción OCEANO DURATA MEDIA DEI PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA (nel XIX/XX sec.) CILE ARGENTINA PACIFICO Santiago LA GUERRA FREDDA 4 PARAGUAY Meno di 2,5 anni URUGUAY Da 2,5 a 3 anni Buenos Aires Montevideo Da 3 a 4 anni Più di 4 anni NUMERO DEI COLPI DI STATO E DEI TENTATI COLPI DI STATO DAL 1946 Meno di 6 OCEANO ATLANTICO Tra 6 e 15 Tra 16 e 25 Più di 25 SPESE PER LA DIFESA IN RAPPORTO AL REDDITO NAZIONALE = 1% Brasile, i militari operarono un colpo di Stato e soppressero ogni traccia di democrazia; quello brasiliano divenne il prototipo e il modello dei regimi autoritari che avrebbero caratterizzato per i vent’anni seguenti la maggior parte dei Paesi latinoamericani. Malgrado la loro evidente connotazione anticomunista, non appare corretto definire fascisti questi regimi, in quanto a essi mancava quel legame diretto tra il capo e le masse, che distinse appunto la dittatura mussoliniana (o hitleriana) da altre forme più tradizionali di governo autoritario. Le masse, nei regimi militari sudamericani, non furono mobilitate in nome di un’ideologia razzista o nazionalista, ma più semplicemente schiacciate da una spietata politica di repressione poliziesca, che calpestava i più elementari diritti dell’uomo e ricorreva sistematicamente alla tortura. F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012 REGIMI AUTORITARI A CONFRONTO Populismo Fascismo Dittature militari Rifiuto della democrazia Rifiuto della democrazia Rifiuto della democrazia Mobilitazione delle masse Mobilitazione delle masse Repressione delle masse Sostegno del proletariato Sostegno della borghesia e dei ceti medi Sostegno della borghesia e dei ceti medi F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012 Riferimento storiografico 1 IPERTESTO C pag. 8 5 L’America Latina Nel corso del Novecento, il Cile si era messo in luce per il fatto di possedere nel proprio sottosuolo le maggiori riserve mondiali di rame, il più importante tra i metalli industriali. La produzione cilena, controllata da grandi compagnie minerarie statunitensi, era cresciuta in maniera costante, passando dalle 300 000 tonnellate annue del 1929 alle 600 000 tonnellate del 1973. Nel settembre 1970, le elezioni presidenziali in Cile furono vinte da una coalizione di sinistra (detta Unidad Popular), che portò al governo il socialista Salvador Allende (1908-1973). Egli non intendeva percorrere una via rivoluzionaria e violenta, sul modello leninista o castrista; tuttavia era determinato a introdurre, per vie legali e costituzionalmente corrette, provvedimenti capaci di incidere sulla realtà sociale ed economica del Paese. Pertanto, Allende varò una riforma agraria finalizzata a eliminare il latifondo, diede un forte incremento alle opere pubbliche, in modo da assorbire la disoccupazione, e cercò di migliorare i servizi sociali destinati alla popolazione. Il provvedimento più coraggioso fu senza dubbio la nazionalizzazione delle miniere di rame, operazione che non comportò indennizzi per le compagnie minerarie, sulla base dell’affermazione che esse avevano già a lungo e per troppo tempo ricavato enormi profitti sfruttando le risorse del popolo cileno. La politica di Allende incontrò una netta opposizione della grande borghesia cilena e dei ceti medi; tale ostilità trovò il proprio strumento di lotta più efficace nello sciopero degli autotrasportatori, che paralizzò la distribuzione capillare, nel Paese, delle derrate alimentari e dei generi di prima necessità. Infine, pienamente sostenuti dai servizi segreti statunitensi, i militari decisero di procedere al colpo di Stato (golpe, in spagnolo); l’11 settembre 1973, il palazzo presidenziale venne attaccato e Allende fu ucciso nel corso dei combattimenti. Migliaia di cileni vennero arrestati e condotti allo stadio di Santiago, dove molti furono uccisi senza processo e altri torturati per ottenere informazioni. I pieni poteri, infine, furono assunti da una giunta militare; presieduta dal generale Augusto Pinochet (1915-2006), essa inaugurò una politica di assoluto liberismo in campo economico, «dando così tra l’altro la dimostrazione – commenta lo storico inglese Eric John Hobsbawm – che non c’è connessione intrinseca tra libero mercato e democrazia politica». IPERTESTO Le dittature militari in Cile Il generale Augusto Pinochet in una foto degli anni Ottanta, quando ormai il suo potere vacillava: restò infatti alla guida del Paese fino al 1990. IPERTESTO UNITÀ XI LA GUERRA FREDDA 6 DOCUMENTI Salvator Allende motiva la nazionalizzazione delle miniere di rame in Cile Il decreto di nazionalizzazione delle miniere di rame fu emanato da Allende il 28 settembre 1971. Il punto che destò maggiore scalpore fu il rifiuto governativo di concedere qualsiasi forma di indennizzo e risarcimento alle compagnie minerarie statunitensi. Nel corso del suo sviluppo storico, la nostra nazione ha faticosamente conquistato il diritto di disporre di se stessa e di esser padrona delle sue risorse naturali. Questo diritto, oggi universalmente riconosciuto, il Cile lo esercita nel nazionalizzare le grandi imprese minerarie del rame e la Compagnia Mineraria Andina. E lo fa in termini socialmente giustificati, teoricamente fondati e scrupolosamente applicati. Le relazioni economiche internazionali che ha finora subito il nostro popolo si basano su una struttura costituzionalmente ingiusta, che impone ai paesi dipendenti decisioni adottate unilateralmente dai paesi egemoni. Questa unilateralità, violando perfino degli impegni pubblicamente contratti, ha gravemente pregiudicato gli interessi economici dell’America Latina e del Cile in particolare. L’uguaglianza formale, che il diritto e la coscienza universali riconoscono a tutti gli Stati, viene ad essere intrinsecamente limitata, quando non addirittura beffata, dall’uso che alcuni Stati fanno del proprio potere, per sottomettere di fatto altri Stati. Non è possibile parlare propriamente di libertà e dignità nelle relazioni fra i popoli, quando i loro mezzi di produzione fondamentali, le risorse vitali per la loro sopravvivenza, sono stati carpiti o assoggettati da un piccolo gruppo di grandi imprese che perseguono il proprio lucro a spese del sottosviluppo e dell’arretratezza delle masse dei paesi in cui si sono stabilite. [...] Se è naturale che ogni paese decida liberamente per quanto concerne le attività che determinano il suo destino di popolo, è ancora più legittimo, se possibile, che quelle economie condannate dalla divisione internazionale del lavoro a una struttura di monoesportazione [esportazione di un solo prodotto, in questo caso il rame, n.d.r.], cessino di Quale accusa muove vedere la loro ricchezza fondamentale alienata [ceduta, n.d.r.] a favore del lucro smisuAllende alle grandi rato di imprese straniere. Con un atto di piena sovranità nazionale, il Cile ha deciso di recompagnie cuperare per sé la proprietà delle fonti di produzione più decisive per il suo presente e il minerarie straniere? suo futuro, da cui dipende la sorte della battaglia che esso sostiene per sottrarre la grande Spiega l’espressione maggioranza del suo popolo alla miseria materiale, allo sfruttamento umano interno e alla «divisione subordinazione allo straniero. internazionale M. CARMAGNANI, L’America Latina dal 1880 ai nostri giorni, Sansoni, Firenze 1973, pp. 97-98 del lavoro». Salvator Allende in una fotografia del 1970. F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012 La cattura di due militari argentini da parte delle truppe inglesi durante la guerra delle isole Falkland. F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012 IPERTESTO le parole IPERTESTO C Nel 1976, anche in Argentina i militari presero il potere, instaurando un regime violento e spietato: infatti, tutti coloro che erano Fondo monetario internazionale sospettati di attività politica ostile al governo erano arrestati, tortuOrganizzazione nata nel maggio del 1946 rati e uccisi; poiché di loro non si veniva a sapere più nulla, per deche ha lo scopo di promuovere la coopesignare queste vittime della dittatura militare argentina fece la sua razione monetaria internazionale e favorire lo sviluppo dei Paesi del sud del mondo. comparsa nel linguaggio corrente una nuova espressione: desaparecidos (gli scomparsi). I parenti degli oppositori catturati si organizzarono in un vasto movimento di protesta, i cui capi furono però arrestati nel dicembre 1977. Molte madri e nonne dei desaparecidos non si diedero per vinte. Caparbiamente si riunirono per anni, tutti i giovedì, a Plaza de Mayo, nel centro di Buenos Aires, di fronte al ➔Le donne palazzo presidenziale, per chiedere la liberazione dei loro parenti sequestrati dalla polizia o di Plaza de Mayo dalle forze speciali dell’esercito. Nel 1982, i militari tentarono di guadagnare la simpatia della popolazione con una politica estera aggressiva: l’esercito argentino, infatti, invase l’arcipelago delle isole Falkland (o Malvine), appartenenti all’Inghilterra. Dopo una breve guerra che si concluse con la disfatta argentina, il prestigio della dittatura crollò. Nel 1983, pertanto, furono permesse di nuovo le elezioni, e l’Argentina si avviò nella direzione di un lento ritorno al regime parlamentare. Il fatto che, dal 1990 – con l’abbandono della politica da parte di Pinochet –, anche il Cile sia tornato alla democrazia dimostra che l’epoca delle dittature militari, almeno per il momento, ha esaurito la propria forza espansiva. I più gravi problemi economici e sociali dell’area sudamericana, però, sono rimasti irrisolti. In Argentina, ad esempio, tra il 1986 e il 1994 il tasso di disoccupazione urbana passò dal 5,6 all’11,2%; nel 2001, la disoccupazione arrivò al 17,5%: una persona su tre viveva al di sotto della soglia di povertà. La situazione crollò nel dicembre 2001. Dopo che il Fondo monetario internazionale rifiutò l’ennesimo prestito, il governo dichiarò che non poteva più rimborsare i propri creditori, cioè coloro che, in Argentina e all’estero, avevano comprato titoli di Stato. Mentre i conti correnti bancari venivano bloccati, in tutto il Paese esplosero moti di protesta e di rabbia, repressi con la forza (35 morti solo il 19 dicembre). Il 2002 registrò una forte impennata dell’inflazione (42%) e della disoccupazione (24%). Nel 2004, il Fondo monetario internazionale ha concesso un prestito all’Argentina. Il governo si è impegnato a rimborsarlo e la situazione sociale si è temporaneamente stabilizzata. Il debito complessivo dell’Argentina, però, ha ormai raggiunto l’astronomica cifra di 81 miliardi di dollari. 7 L’America Latina L’Argentina tra dittatura e crisi economica IPERTESTO UNITÀ XI Riferimenti storiografici 1 Il Cile di Unidad Popular Alle elezioni presidenziali del 1970, le sinistre cilene si presentarono unite in una forte coalizione – Unidad Popular – che vinse di stretta misura. Il presidente eletto Salvador Allende, però, si trovò ad affrontare un’opposizione dura e determinata, mentre tentava di introdurre nel Paese radicali riforme sociali. Il programma di Unidad Popular, per esplicita dichiarazione, si proponeva di realizzare la fase di transizione al socialismo, trasformando radicalmente strutture economiche e sociali. Su questi due piani e su quello politico si giocò la sua sorte. Per la natura della coalizione, elementi essenziali risultavano il miglioramento delle condizioni di vita delle classi lavoratrici, l’eliminazione di latifondi e monopoli, la crescita dell’economia statale, l’allargamento delle imprese a capitale misto – pubblico e privato – e il mantenimento di un’iniziativa privata che obbedisse agli indirizzi tracciati dal governo, con conseguente difesa della piccola e media industria. Tali obiettivi andavano perseguiti mantenendo rigorosamente la legalità istituzionale. Così, l’incorporazione iniziale di oltre 200 aziende si realizzò facendo ricorso alla legislazione vigente – che consentiva di assumere il controllo delle imprese inefficienti o che avessero infranto la normativa in vigore – oppure attraverso il rastrellamento di azioni in borsa, come avvenne nel caso delle banche. La stessa riforma agraria fu portata avanti utilizzando la legge emanata dalla precedente amministrazione democristiana, ma in poco più di due anni Allende espropriò circa il doppio delle terre rispetto al periodo di Frei [Eduardo Frei Montalva, precedente presidente della repubblica, n.d.r.]. La nazionalizzazione delle miniere di rame appartenenti a compagnie statunitensi fu addirittura votata al- LA GUERRA FREDDA 8 Salvator Allende fotografato mentre esce dal palazzo presidenziale durante il colpo di Stato militare del 1973. F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012 M. PLANA, A. TRENTO, L’America Latina nel XX secolo. Economia e società, Istituzioni e politica, Ponte alle Grazie, Città di Castello 1992, pp. 284-287 Per quale ragione non fu concesso alcun indennizzo alle compagnie minerarie, al momento della nazionalizzazione delle miniere di rame? Quali strumenti usarono gli avversari interni ed esterni del governo cileno, per ostacolarne l’operato? Si può affermare che il governo di Allende aveva instaurato un regime autoritario e dittatoriale? F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012 IPERTESTO IPERTESTO C 9 L’America Latina l’unanimità dal parlamento anche se la decisione di non concedere indennizzi – per gli eccessivi profitti realizzati in passato e per il pessimo stato in cui vennero consegnati gli impianti – fu presa esclusivamente dal governo. Nell’immediato, grazie soprattutto alla maggiore utilizzazione di risorse materiali ed umane presenti, si registrarono apprezzabili progressi economici. Particolare successo ebbe la politica redistributiva a favore dei salariati, la cui partecipazione al reddito nazionale salì dal 55 al 66% fra il 1970 e il 1972. All’aumento dei salari e dei servizi sociali e al blocco dei prezzi si accompagnò un forte incremento delle opere pubbliche, che consentì un riassorbimento della disoccupazione. La scelta della legalità e la conseguente lentezza delle trasformazioni, tuttavia, impedirono l’elaborazione di piani organici, dando al capitale nazionale ed estero il tempo di ostacolare il processo, soprattutto attraverso la drastica contrazione degli investimenti. Mentre il prezzo del rame cadeva di un terzo sul mercato internazionale, gli Stati Uniti – preoccupati dall’esempio pericoloso rappresentato dal Cile non solo per l’America Latina ma anche per l’Europa – boicottarono le sue esportazioni, rifiutarono di rinegoziare il debito estero, bloccarono i prestiti e finanziarono generosamente gli avversari di Unidad Popular. La situazione si deteriorò a partire dal 1972. L’incremento della domanda interna non fu accompagnato da una crescita dell’offerta, anche a causa della conflittualità sociale perenne nelle campagne, e questo si tradusse in penuria di beni, accaparramento e mercato nero, che costrinsero a dar fondo alle riserve valutarie per importare ciò che mancava. Allende tentò di far fronte alle difficoltà puntando su un allargamento del consenso e mantenendo alti i salari attraverso l’espansione della spesa pubblica, con il risultato di scatenare una pesante inflazione, il cui tasso superò il 300% nell’agosto del 1973. La crisi economica, assecondata con tenacia dalle classi dominanti, modificò il quadro politico iniziale ed aprì nuovi spazi al Partido Nacional e al gruppo fascista Patria y Libertad. In una situazione in cui Unidad Popular non aveva il controllo del’apparato giudiziario né della pubblica amministrazione, le sue sorti vennero comunque decise dalla Democrazia Cristiana (PDC) che, a partire dalla fine del 1971, emarginò Tomc a favore di Frei e stipulò una ferrea alleanza con la destra. Essendo tale coalizione maggioritaria in parlamento, essa poté boicottare ogni iniziativa legislativa e mettere ripetutamente sotto accusa singoli ministri. […] Nell’ottobre del 1972, l’opposizione si sentì sufficientemente salda per tentare la prova di forza, con sciopero degli autotrasportatori, serrata padronale e astensione dal lavoro di fasce consistenti di impiegati e liberi professionisti. Il proletariato rispose con l’occupazione delle fabbriche, una cinquantina delle quali furono in seguito requisite dal governo. L’agitazione determinò penuria di beni alimentari e di generi di prima necessità, ma soprattutto una crisi politica di dimensioni mai raggiunte, cui Allende fece fronte chiamando a incarichi ministeriali alcuni militari. Il ministero degli interni fu affidato al generale Carlos Prats, comandante in capo delle Forze Armate. […] Per costringere i vertici delle Forze Armate a scoprirsi, il PDC fece approvare in parlamento una dichiarazione di incostituzionalità del governo e il generale Prats si dimise, dietro pressione dei colleghi, per non mettere in pericolo l’unità del corpo militare. Altri generali assunsero incarichi ministeriali, ma erano ormai vincolati al fronte del colpo di Stato. L’11 settembre [1973] l’esercito attaccò il palazzo presidenziale dove Allende morì con le armi in pugno. Il rispetto dell’ordine costituzionale risultò fatale proprio a chi veniva continuamente accusato di volerlo calpestare, mentre le forze politiche che apparentemente lo difendevano non ebbero esitazioni ad infrangerlo. Esse tuttavia non ne trassero vantaggi immediati poiché i militari decisero di fare a meno della loro collaborazione. Il caso cileno dimostrava quanto fosse difficile avviare un processo di trasformazioni strutturali senza ricorrere all’autoritarismo anche in presenza di un consenso allargato. Sul piano interno di Unidad Popular, infine, Allende rimase fedele all’accettazione del pluralismo espresso dal fronte che lo aveva eletto, senza cadere mai nella tentazione di utilizzare la carica che ricopriva per imporre i propri convincimenti.