Grande guerra
realtà bellica, esperienza
individuale e identità personale
Il militarismo alla conquista delle
nazioni
Peso e influenza crescente del potere militare sui governi
delle diverse potenze europee:
– riarmo navale di Germania e Gran Bretagna
– prolungamento di un anno della ferma militare in Francia
– crescente pressione dell’industria pesante coinvolta nelle
commesse militari da parte dello stato
– preparazione di piani di attacco e di difesa militare da parte degli
Stati Maggiori dei diversi eserciti nazionali ⇒ Piano Schlieffen (a
partire dal 1905), piano dell‘esercito tedesco di attacco lampo
alla Francia attraverso il Belgio, contro il pericolo di una guerra
contemporanea su due fronti, occidentale e orientale
Fine del pacifismo e affermazione
del nazionalismo bellicista
• Differenza tra nazionalitarismo e nazionalismo
• Conferenze dell’Aja (1899 e 1907) per il disciplinamento
della guerra – Mancata strategia internazionale di
prevenzione di una guerra
• Progressivo consolidarsi della divisione europea nei due
differenti blocchi di alleanze: Triplice Alleanza e Triplice
Intesa
• “Strategia di rischio” e possibilità offerte da una
eventuale guerra ai governi dei diversi paesi per
risolvere seri problemi di politica interna
Fine del pacifismo e affermazione
del nazionalismo bellicista
• Crescente sentimento revanscista antitedesco da parte
francese e generale rafforzamento di un acceso
nazionalismo nell’opinione pubblica dei vari paesi, in
particolare anche alle frontiere dell’impero austroungarico
• Debolezza delle forze antimilitariste: cattolici pacifisti e
socialisti internazionalisti
• Formarsi, sotto il richiamo nazionalista, di alleanze
trasversali, comprendenti anche forze socialiste, per
l’approvazione dei crediti di guerra proposti dai governi
delle varie nazioni
La guerra
• Quando la guerra narrata, la guerra reale, la guerra
ricostruita in funzione nazionali non coincidono con la
realtà
• Operai e contadini, ufficiali e soldati
• Il concetto della “guerra moderna” e della “guerra totale”
come diversità dall’800
• Quando la politica e la storiografia costruiscono un mito
• Quando la prima guerra mondiale non è Sarajevo e
nemmeno Caporetto
La guerra
• La realtà della guerra: il fronte interno, le donne, il
sistema industriale
• Le immagini, l’immaginario e la letteratura di guerra
(memoria degli ufficiali, memoria dei soldati, l’ufficialità e
il non-raccontato: le lettere dal fronte e i racconti durante
le licenze)
• La guerra come punto di definizione di una identità
nazionale?
• L’esercito, la mobilitazione industriale e il metodo di
composizione dei reparti
La guerra italiana: i numeri
•
•
•
•
Italiani mobilitati: oltre 6.000.000
Italiani effettivi in uniforme: circa 5.000.000
Italiani al fronte (con avvicendamenti): circa 4.200.000
Provenienze:
–
–
–
–
•
•
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•
•
•
•
Italia settentrionale – 48%
Italia centrale – 23%
Italia meridionale – 17%
Isole – 10 %
Classi di età mobilitate: dai nati nel 1874 a quelli nati nel 1900
Caduti: circa 650.000 di cui quasi 100.000 in prigionia e circa 7.500 giovani
fra i 17 e i 18 anni
Prigionieri: circa 600.000
Feriti: circa 1.000.000 (dato molto orientativo)
Invalidi riconosciuti: circa 500.000
Vedove: circa 200.000 (dato molto incerto)
Orfani: circa 400.000 (dato molto incerto)
La guerra italiana: i numeri
• Queste cifre danno idea dell’impatto del conflitto
sull’intera comunità nazionale
• Mai nulla di simile era accaduto nella storia italiana
precedente e pre-unitaria
• Sul fronte interno abbiamo:
– Migliaia di operai militarizzati nella Mobilitazione Industriale
– Migliaia di donne chiamate a coprire i vuoti derivanti dagli
arruolamenti in lavori maschili
– Migliaia le donne e i ragazzi immessi nell’industria bellica
pesante e leggera
– Indeterminabile il peso del lavoro femminile e giovanile nei
campi cosi come nelle forme “a domicilio”.
La guerra italiana
• La vastità e profondità del rimescolamento rese gli italiani più simili
fra loro:
– Il contadino incontra il montanaro ed entrambi conoscono tecnologie,
organizzazione industriale, artiglierie
– Vissero immersi in contesti comunitari dove regnava la comunicazione
orale
– Abituati ad esprimersi in dialetto dovettero costruire un linguaggio
reciprocamente comprensibile
– Quasi sempre partirono analfabeti, tornarono con una minima
conoscenza del leggere e dello scrivere; imparati per preservare la
propria vita (i dispacci e gli ordini) e per comunicare con la famiglia
(quasi sempre partendo dal proprio ufficiale di complemento o dal
sottufficiale o dai pochi che sapevano scrivere)
La guerra italiana
• La popolazione (in armi e civile) fu investita nel suo insieme da un
“processo forzoso di italianizzazione” destinato a lasciare
un’impronta durevole perché avvenuto in condizioni di estrema
emergenza emotiva.
• Questi processi di mobilitazione e di trasformazioni antropologiche e
culturali, non sfociarono tuttavia né in una crescita della coesione
nazionale, né del sentimento di appartenenza.
• Furono la prima esperienza
modernizzazione e dell’industria
di
nazione,
nel secolo
della
La guerra italiana
• La contrapposizione sociale esistente prima del 1914, i contrasti
sull’entrata in guerra, la vittoria della minoranza interventista
provocarono una crescita di instabilità che, continuando a salire
negli anni del conflitto, si sommò alle tendenze autoritarie ed ai
fenomeni di brutalizzazione imposti dalla guerra e dagli strumenti di
repressione (censura, decimazioni, carcere militare etcc.).
• La mancata rielaborazione postbellica, l’incapacità di cogliere le
espressioni di una società di massa, il mancato riconoscersi (a
sinistra e a destra) nello stato liberale, gettarono le premesse della
deriva fascista.
• Una sovversione fascista – ed è questo forse l’errore compiuto con
l’ingresso nel conflitto – cui le istituzioni non risposero perché, pur
vincendo, non avevano retto il confronto bellico, risultando essere le
vere sconfitte.
La condizione dei soldati al fronte
• Si può escludere che, al di là della retorica ufficiale, in tutti gli
eserciti, i soldati fossero convinti degli ideali patriottici (con qualche
eccezione nei primi mesi di guerra e non su tutti i fronti), così come
non fu sufficiente la costrizione disciplinare.
• Si proseguì a combattere
– per una solidarietà tra i compagni vicina al sentimento dell’onore;
– per una sorta di rassegnazione, perché non si poteva fare altrimenti e perché,
dopo i primi entusiasmi e il successivo scoraggiamento, subentrò la
rassegnazione
– una terza ragione è indicata dallo psicologo sociale, esperto del comando
supremo dell’esercito italiano, Agostino Gemelli: lo choc e la violenza totale cui
veniva sottoposto il soldato in trincea, regrediva in uno stato di disorientamento e
di passività, garantendo una sorta di obbedienza “automatica” e provocando
l’inibizione della volontà autonoma.
La condizione dei soldati al fronte
•
Tutto ciò comunque non esclude il ruolo della costrizione, come emerge
dalle lettere e dalle testimonianze, né il fatto che numeri significativi di
soldati si ribellarono e tentarono con ogni mezzo (dalla renitenza alla
diserzione fino all’autolesionismo) di sottrarsi alla morte.
•
Centinaia di migliaia furono, nel solo esercito italiano, i processi dell’autorità
militare per atti di insubordinazione, abbandono dei reparti
•
A essi vanno aggiunti:
–
–
–
–
–
–
–
oltre 100.000 processi per renitenza alla leva
370.000 per sottrazione agli obblighi militari a carico di emigranti
60.000 a civili per reati militari.
Reato di diserzione: 162.000 denunce, 101.000 condanne
Reato di mutilazioni volontarie:15.000 denunce, 10.000 condanne
Reato di resa/sbandamento di fronte al nemico: 8.500 denunce, 5.300 condanne
Condanne a morte eseguite: 4.048
Scheda Uomini Contro
•
Nel corso della prima guerra mondiale, i soldati del generale Leone, dopo aver
conquistato, lasciando sul terreno tremila caduti, una cima considerata
strategicamente indispensabile, ricevono l'ordine di abbandonarla. Poi l'ordine
cambia: occorre che la cima venga di nuovo tolta al nemico. Gli austriaci, però, vi si
sono saldamente insediati e la difendono accanitamente con due mitragliatrici.
•
Gli inutili assalti, nemmeno protetti dall'artiglieria, si susseguono
volta una strage tra gli attaccanti. Stanchi di essere mandati al
generale tanto incompetente, quanto stupidamente esaltato, una
inscena una protesta: il generale Leone ordina, come risposta,
decimazione.
•
Costretti ad uccidere o ad essere uccisi da uomini come loro, vittime dello stesso
mostruoso ingranaggio, i soldati italiani, in gran parte ex contadini, rivolgono la loro
fiducia a quei pochi ufficiali - come i tenenti Ottolenghi e Sassu - che giudicano
quella e tutte le guerre come inutili stragi. Ma il primo muore, nel tentativo di impedire
il massacro dei suoi uomini, mentre Sassu viene condannato alla fucilazione per
essersi opposto a un ordine iniquo di un suo superiore.
provocando ogni
massacro da un
parte dei soldati
di punirli con la
Scheda Uomini Contro
•
Liberamente ispirato al romanzo di Emilio Lussu "Un anno sull'Altipiano",
(Pubblicato per la prima volta nel 1938 questo libro ripercorre le esperienze vissute
dal Tenente Lussu, della mitica Brigata Sassari (i “Diavoli Rossi” per gli Austriaci),
scritte di suo pugno a guisa di “diario di bordo”, durante la navigazione in acque
particolarmente tempestose.
•
Lussu si riserva qualche imprecisione storica, dovuta perlopiù alla concitazione con
cui scrisse queste sue memorie, e alla successiva rivisitazione parecchi anni dopo,
nonché il diritto di utilizzare nomi di fantasia per descrivere le gesta di personaggi che
parteciparono realmente all’azione
•
si tratta di un lungometraggio di chiara impronta pacifista e antiautoritaria, che mette
alla luce la follia della guerra. La guerra che Lussu descriveva non era una guerra di
popolo, era una guerra con delle logiche di classe molto forti
•
Il film narra la vicenda di moltissimi degli oltre 600.000 caduti della prima guerra
mondiale, mandati con le sole baionette all'assalto di mitragliatrici nemiche o finiti
davanti al plotone di esecuzione per decimazione (un uomo ogni dieci per reprimere
ogni tentativo di ammutinamento).
Scheda Uomini Contro
•
Non manca un certo cameratismo della truppa, una ridicolizzazione voluta dei
Comandi e della loro aristocraticità, contrapposta alla semplicità e alle inflessioni
dialettali dei soldati-contadini.
•
Da ricordare l'episodio delle pinze, quello delle corazze e quello della feritoia 14,
nonché quello dell'esecuzione camuffata.
•
Francesco Rosi insistendo sulla spontanea alleanza che durante la "grande guerra"
si formò tra soldati che spesso non sapevano leggere e scrivere e ufficiali di molte
letture e di altrettanti tormenti, non fa che levare via le incrostazioni retoriche
depositate nei capitoli dei libri scolastici riguardanti il conflitto 1915-18.
•
L'occasione gli consente (cosa che non si comprese alla prima uscita del film) di dire
qualcosa, anche di sgradito, sulle pratiche della repressione che si credeva di poter
rimuovere a suon di slogan.
•
Il regista, Francesco Rosi, fu denunciato per vilipendio all'esercito, quindi assolto in
istruttoria. Il film venne boicottato e addirittura ritirato dalle sale. Oggi,
fortunatamente, è stato riscoperto da alcune televisioni nazionali.
Terra di nessuno
• Fra il 1914 e il 1918 la grande guerra produsse
mutamenti profondi sia sul piano politico, economico,
sociale e culturale, sia sul piano privato, riguardante le
coscienze individuali.
• La sensibilità e il mondo interiore di coloro che
parteciparono direttamente all’esperienza di guerra
vennero scardinati:
– il soldato della grande guerra, costretto per la prima volta dal
predominio della tecnologia a una guerra prolungata e statica,
vede frantumarsi la propria identità in una disgregazione
destinata ad avere pesanti ripercussioni nel dopoguerra.
Terra di nessuno
• All'interno della propria personalità il soldato al fronte
vede scavarsi una sorta di “terra di nessuno” psicologica;
• I giorni trascorsi in trincea alimentano in lui nevrosi,
claustrofobie:
– la figura dell'aviatore che domina il progresso bellico
rappresentato dall’aereo diviene, per il soldato recluso nel
sottosuolo, colui che può dominare il teatro di guerra,
facendosene spettatore privilegiato.
• Eric J.Leed trasforma l’ “evento guerra” : non più solo
storia politica o militare, ma anche immaginario,
emozioni, memoria.
Terra di nessuno
•
L’impostazione ci offre un esempio storiografico che sonda l’inesplorata
dimensione di modernità del primo conflitto mondiale:
– “individuare e precisare il modo in cui un evento storico di prima grandezza
possa aver contribuito alla definizione peculiare del moderno”.
•
Costituisce uno studio estremamente interessante e documentato sugli
effetti che la prima guerra mondiale produsse nell'ambito interiore delle
coscienze individuali e sugli sconvolgenti mutamenti che l'esperienza bellica
apportò a livello della psiche e del comportamento sociale di quanti si
trovarono a condividere la terrificante esperienza della vita di trincea sul
Fronte Occidentale, tra il 1915 e il 1918.
•
Questa metodologia di ricerca non si ferma al conflitto ma consente di
leggere con chiavi interpretative nuove nel dopoguerra, in quegli anni che
congiungono i due conflitti e – particolare – nella piena entrata in gioco delle
masse con tutte le conseguenze politiche e sociali che ne derivano negli
equilibri di potenza interni ed esterni
Terra di nessuno
•
Milioni di uomini compresero che combattere e morire, lungi dall’eroismo e
lealtà di una volta, significava:
–
–
–
–
–
anonimato,
estraniamento,
sradicamento dal mondo dei civili,
sensazione di partecipare a un evento che cambierà irreversibilmente la storia
inaugurare un’epoca che, analogamente alla guerra, sarebbe stata dominata dal
primato della tecnica, delle gerarchie repressive e dalla mobilitazione delle
masse.
•
Stava maturando in loro (e nella società postbellica) la consapevolezza che
“la distruzione tecnologica e la produzione industriale erano immagini
speculari l’una dell’altra”.
•
Comportamenti che ricaddero nel dopoguerra “scaricando” i loro effetti in
quella crisi dello stato, della società e dell’economia ottocentesca spazzati
via dal conflitto.
Terra di nessuno
• Si tratta di un testo molto “denso”, sicuramente di non facilissima
lettura, che si avvale degli apporti interdisciplinari della antropologia,
della psicologia, della sociologia e dell'indagine clinica, ma la cui
fonte primaria è costituita dalla ricca memorialistica e diaristica
personale dell'epoca, nonché dalla vasta produzione letteraria
d'argomento bellico.
• Non si tratta di un'indagine sulle nevrosi da combattimento (anche
se a tale argomento viene dedicato un apposito capitolo), bensì di
un approfondito viaggio scientifico ed esplorativo dentro i miti, i
valori, gli istinti e le pulsioni che dapprima indussero milioni di
giovani a indossare l'uniforme e poi gettarono l'umanità in quello che
fu il primo vero e proprio “olocausto industrializzato” della Storia.
Terra di nessuno
• E' indubbio che nell'agosto del 1914 l'Europa visse una
fase di vera e propria “ipnosi collettiva”
• la guerra (“sola igiene del mondo” come recitavano i
futuristi) venne salutata da milioni di francesi, di inglesi,
di tedeschi e di austro-ungarici
– come un momento epico di purificazione e di rinnovamento
individuale
– come “dissoluzione della propria identità personale
– come trascendenza del privato
– come rottura delle barriere che preservavano il loro egoismo
sociale”.
Terra di nessuno
• Al di là delle ragioni nazionalistiche e patriottiche, Leed sostiene che
ad accendere le polveri del primo conflitto mondiale concorsero
senz'altro la percezione e l'unanime l'aspettativa che solo la guerra
potesse dischiudere l'accesso a un mondo di ideali superiori
• Una
nuova era dove i concetti del dovere, dell'onore,
dell'egualitarismo, dell'ordine e della disciplina avrebbero permesso
di rifondare una società alternativa a quella borghese,
mercantilistica e industriale;
• Una società diversa, basata su una più vera e reale solidarietà
umana e sul superamento di tutti quei limiti convenzionali che
imprigionavano l'identità personale entro soffocanti categorie di
classe, di censo e di educazione.
Terra di nessuno
• Ma questa grande illusione collettiva, che rispondeva a profonde e
spesso irrazionali istanze inconsce individuali, s’infranse nel
momento esatto in cui la situazione strategica vide il netto prevalere
della guerra di posizione su quella di movimento.
• Il mondo d’ogni soldato si ridusse all'informe microcosmo della
trincea, ogni suo sforzo fu focalizzato alla semplice preservazione
della propria sopravvivenza, ogni sua necessità si ridusse
all'espletamento di poche essenziali necessità primordiali.
• All'euforia, all'entusiasmo, all'eroismo personale subentrò in ogni
combattente la terrificante consapevolezza della propria assoluta
impotenza innanzi alle spaventose capacità distruttive gettate in
campo dal progresso industriale e tecnologico: l'artiglieria, la
mitragliatrice, il filo spinato, i gas asfissianti spogliarono la guerra di
ogni sua maschera romantica e avventurosa.
Terra di nessuno
• La dimensione e le atrocità del primo conflitto sconvolsero ogni
prospettiva personale creando nell’individuo una sorta di
dissociazione, di alienazione, sia nei confronti del proprio “io” sia nei
confronti dell'intera società civile.
• I reduci dal fronte, sia vincitori sia perdenti, erano stati tramutati in
individui irrimediabilmente tagliati fuori dal proprio passato e dal
proprio vissuto
• Uomini che avevano trascorso interminabili periodi di terrore e di
regressione istintuale, imbarbariti dalla quotidiana intimità con la
morte e con la violenza e dunque incapaci di riconciliarsi sia con se
stessi, sia con quella civiltà che, in un qualche modo, li aveva
sfruttati, strumentalizzati e infine inappellabilmente disillusi.
Terra di nessuno
• Uomini il cui unico appiglio affettivo era costituito dal
ristretto circolo di commilitoni con i quali avevano
condiviso i medesimi patimenti e i medesimi sacrifici e
con i quali, a volte, avevano sperimentato una
spontanea e orgogliosa fratellanza in armi.
• Fu proprio a partire dall'amara scoperta della colossale
ipocrisia sottostante a quel mondo di valori per i quali
avevano sofferto e combattuto che una certa parte dei
reduci prese a covare dentro di sé i semi di quell'odio e
di quella disperata necessità di rivalsa compensativa
che, per certi versi, spianò la strada al totalitarismo
nazista e alla dittatura fascista in Italia.
Riti di passaggio
• Uno dei punti nodali della ricerca di E.J.Leed
deriva dall’applicazione nella metodologia e
nella riflessione storica dei cosiddetti “riti di
passaggio” (E.J.Leed, Terra di nessuno;
E.J.Leed, La mente del viaggiatore).
• Una classe di fenomeni di origine antropologica
studiati e definiti come tali da Arnold Van
Gennep (etnologo ed antropologo francese nato
in Germania da una famiglia olandese).
Riti di passaggio
•
Nel 1909 Van Gennep pubblicò “I riti di Passaggio”, che portò al centro
dell'attenzione questi aspetti comportamentali e codificati nelle diverse
culture europee ed extraeuropee, proponendone un'acuta analisi strutturale
•
Van Gennep osservò durante i suoi studi l'esistenza di tre stadi:
– separazione (fase pre-liminare - che separa dalla condizione precedente) ad
esempio il “funerale”
– transizione/margine (fase liminare - limen significa confine - che si attraversa
durante la condizione di marginalità), ad esempio il “fidanzamento”
– reintegrazione (fase post-liminare - che aggregano l’individuo al nuovo
ambiente) ad esempio il “matrimonio”
•
Nello stesso contesto, il rito è riconosciuto tale per tre importanti caratteristiche
– la convenzionalità, ovvero segue un preciso ordine di gesti e atti;
– la ripetitività, ovvero il continuo ripetersi all'interno di un tempo definito ciclico
(somiglianza delle cerimonie che si svolgono nei più svariati gruppi umani)
– l'efficacia, ovvero l'avvento di qualcosa che modifica lo status di una persona;
Riti di passaggio
• Benché applicato forse con eccessiva automaticità, lo
schema ancora adesso mostra la propria validità
– attraverso il metodo comparativo, che permette di rintracciare
l’identità profonda nei riti delle più disparate culture e religioni
– di procedere - come nel nostro caso alla definizione di elementi
e rituali fortemente identitari, di fronte ad un evento storico
traumatico, periodizzante e omogeneizzante.
– di individuare forme rituali nel tempo libero, nello sport, nel
viaggio, nel turismo
Riti di passaggio
• Successivamente
Victor
W.Turner
(Glasgow,
1920/1983), sviluppando le osservazioni di Van Gennep,
ha individuato come il rito affondi le sue radici nel
“dramma sociale”.
• Radici che
– permettono di rilevare quelle strutture dell'esperienza nei
processi concreti della vita sociale,
– consentono a chi osserva di adottare una prospettiva basata non
più sulla descrizione statica degli eventi, ma una capace di
considerare le singole individualità che operano materialmente e
simbolicamente all'interno di un contesto, i cui valori e punti di
riferimento sono in continua mutazione.
Riti di passaggio - Van Gennep e Turner
• Questo metodo permette di analizzare ogni sequenza
del
cerimoniale
osservato,
indagando
sulla
consequenzialità e dunque sulla precisa successione dei
fatti, dando rilievo al contesto socio-ambientale in cui il
rito avviene, dunque contestualizzandolo
– Durante la fase di separazione, si delimitano le dimensioni
spazio-temporali del rituale stesso e si concretizza in modo
manifesto l'attitudine comportamentale necessaria allo
svolgimento del rito: tutto questo è fondamentale affinché
possano essere riconosciuti i protagonisti attivi e passivi
dell'evento.
Riti di passaggio - Van Gennep e Turner
– è inoltre funzionale alla seconda fase, quella della transizione,
definita da Van Gennep e da Turner col termine “margine” o
“limen” (da cui liminarità): da questo momento in poi i soggetti
rituali vivono una condizione di ambiguità per cui non sono più
ciò che erano ma neanche ciò che saranno. Questa concezione
della marginalità è talmente importante da costituire un rituale a
sé, in cui vengono ridefiniti i caratteri identitari degli iniziati.
– Il terzo momento condensa le due fasi precedenti stabilendo,
attraverso un insieme di segni e comportamenti, l'avvenuta
trasformazione e reintegrando i protagonisti all'interno della
società. Per Van Gennep, non tutti i rituali presentano un
equilibrio tra questi tre momenti; i rituali di fidanzamento, ad
esempio, privilegiano la seconda fase mentre quelli di
matrimonio danno particolare valore al momento aggregativo.
Terra di nessuno
• Il soldato che entrò nella grande guerra varcò una soglia ….. un
limite … al di là del quale la sua vita non sarebbe stata più la stessa
• Il cambiamento di status si manifestò attraverso un nuovo nome,
piuttosto che un nuovo modo di vestire o addirittura attraverso segni
corporali che identificavano immediatamente la nuova condizione di
appartenenza (simbolismo e ritualismo degli ex-combattenti).
• Abbiamo quindi due concetti da tener presente: quello di
separazione (dalla realtà quotidiana ma anche dalla vita ordinaria in
termini di esperienze individuali e collettive) e quello di margine (o
liminarità; l’attraversamento di un limen al di là del quale
riconoscersi in “un altro sé” e riconoscere “altri” come il nuovo sé
stesso, quindi … “identificarsi”)
Miti e Simboli
• I primi a far uso di simboli nell'età moderna non furono i totalitarismi
rapportabili al nazismo o al fascismo.
Già durante la Prima Guerra Mondiale si faceva uso dei simboli,
anche se lo scopo non era quello politico come avverrà in seguito,
ma era un bisogno più inconscio e meno studiato.
Durante la Grande Guerra si incominciò a mettere la croce anche
sulle tombe di caduti non cristiani, la croce era diventata l'emblema
dell'eroe.
La natura e l'uomo, che rappresentavano lo sgomento della morte,
furono appaiati a segni di speranza. La natura era il sinonimo di
malinconia, autenticità e sacrificio in tempo di guerra; l'albero e il
bosco, che erano i "portavoce" della natura innocente e della vita, si
prestarono benissimo per nascondere i cimiteri e per ricoprire i
desolati campi di battaglia.
La natura con la sua vitalità poteva mascherare morte e distruzione,
con il suo silenzio e la sua quiete di pace poteva contrapporsi alla
devastante guerra.
DATI STATISTICI SULLA GRANDE GUERRA,
Caduti, Prigionieri, Dispersi e Feriti degli Alleati-Intesa
Allea
tiIntes
a
Russia
Francia
Gran
Bretagna
Italia
Romania
Usa
Serbia
Belgio
Portogal
lo
Grecia
Giapp
one
M
2,000,000
1,400,00
900,000
650,000
335,000
126,000
45,000
13,000
7,200
5,000
300
PD
2,500,000
537,000
192,000
600,000
80,000
45,000
153,000
35,000
12,300
1,000
3
F
4,950,000
4,266,00
0
2,090,212
947,000
120,000
234,000
133,000
45,000
14,000
21,000
907
DATI STATISTICI SULLA GRANDE GUERRA,
Caduti, Prigionieri, Dispersi e Feriti degli Alleati-Intesa
DATI STATISTICI SULLA GRANDE GUERRA,
Caduti, Prigionieri, Dispersi e Feriti degli Imperi Centrali
Imperi
Centrali
Germania
AustriaUngheria
Turchia
Bulgaria
M
1.800.000
1.200.000
325,000
90,000
PD
1.152.000
2.200.000
250,000
27,000
F
4.216.058
3.620.000
400,000
152,000
DATI STATISTICI SULLA GRANDE GUERRA,
Caduti, Prigionieri, Dispersi e Feriti degli Imperi Centrali
Costo complessivo conflitto italiano
• Il Ministero del Tesoro annunciò nel 1930 che la
cifra definitiva, complessiva anche dei
trattamenti postbellici del costo del primo
conflitto mondiale era stata di 148 miliardi di lire,
una somma doppia a quella delle spese
complessive dello Stato Italiano fra il 1861 e il
1913
(ANCORA SOTTOSTIMATO)
L’ESPERIENZA DI GUERRA
Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20)
A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995.
• Per affrontare il concetto di esperienza di guerra partiamo da un
diario di un contadino italiano.
• Leggere un testo significa in primo luogo riconoscerne
l'organizzazione interna, le relazioni tra detto e non detto, tra parola
e silenzio.
• Pietro partito a 19 anni per la guerra, non ci dice nulla della sua vita
precedente né di quella successiva al conflitto. L'esperienza della
partecipazione al primo conflitto mondiale ci viene presentata come
messa tra due parentesi, tra una partenza e un ritorno. Una struttura
narrativa che allude alla percezione di aver vissuto in due mondi
assolutamente incommensurabili tra di loro.
L’ESPERIENZA DI GUERRA
Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20)
A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995.
• E' dunque la contraddizione che si apre tra le proprie appartenenze,
il proprio mondo mentale, i luoghi abituali della vita civile e il campo
d'azione del combattente a proporsi come uno degli assi centrali di
significato attorno a cui si articola la memoria.
• Introducendo il momento della propria partenza per il fronte Pietro
scrive:"ma purtroppo è venuto il giorno 21 marzo 1917, ho dovuto
anch'io partire per il fronte...". L'uso del verbo "venire" solo
apparentemente allude a una relazione di semplice posterità,
esprimere invece un’estraneità di fronte all'improvviso accadere
degli eventi.
• La guerra si rivela come una circostanza che recide ogni relazione
intercorrente tra l'esperienza del singolo e lo scenario sociale che in
precedenza ne garantiva legittimità e significato.
L’ESPERIENZA DI GUERRA
Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20)
A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995.
• La tensione tra la soggettività dell'individuo e il mondo esterno è
sottoposta a un effetto di teatralizzazione, in relazione a un contesto
in cui gli uomini videro annullate le possibilità di controllo su eventi
che minacciavano le loro esistenze.
• E' infatti significativo che questa struttura narrativa compaia in tutti i
passaggi fondamentali del diario: "viene il 24 agosto 1917", "Ora a
questo punto viene il 24 ottobre 1917", "purtroppo viene la mattina
del 15 giugno 1918" "mentre viene il 10 luglio".
• Nell'impossibilità di collocare la propria esperienza in un contesto
che permetta di renderla coerente, il racconto assume come
principio ordinatore la successione cronologica dei fatti.
L’ESPERIENZA DI GUERRA
Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20)
A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995.
• L'impressione di un evento che acquista un'autonomia e una
dinamica distinta dalle intenzioni di coloro che vi concorrono fu certo
ampliata dalla particolare condizione in cui si trovarono a
combattere milioni di uomini, costretti tra l'immobilità passivizzante e
la tensione psichica prodotta dal pericolo.
• Le scritture epistolari o diaristiche scritte in contemporanea agli
avvenimenti insistono sulla dimensione della guerra di trincea come
un tempo vuoto, in cui l'attesa amplifica paure e inquietudini
• La tensione si traduce in velocità, nel mutare veloce degli scenari e
delle azioni.
• Il ritmo del tempo si sradica dalle matrici tradizionali della vita
contadina fondate sulla ciclicità giovinezza/vecchiaia, notte/giorno,
tempo di lavoro/tempo di riposo.
L’ESPERIENZA DI GUERRA
Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20)
A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995.
• La dilatazione e la scomposizione delle coordinate spazio-temporali
in cui si situano le azioni del soggetto si esprime in un susseguirsi di
sequenze di immagini: le esplorazioni notturne, i bombardamenti, le
lunghe attraversate, la massa degli sfollati, la terra bruciata, i corpi
senza nome abbandonati sul campo di battaglia.
• Attraverso queste immagini sembra esprimersi la dimensione più
lacerante dell'esperienza della guerra, l'altra faccia del racconto
ritmato da sconfitte e vittorie militari codificato dalla memoria
ufficiale.
• Esse prendono il posto del racconto, tese ad esprimere l'indicibile
della guerra, quell'esperienza liminare tra vita e morte.
• A distanza di molti anni ciò che rimane come un marchio indelebile
nella memoria del soggetto è il senso di angoscia: fantasmi di
un’esperienza che si possono ritrovare, sublimati e depurati, nel
culto dei caduti.
L’ESPERIENZA DI GUERRA
Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20)
A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995.
• Nel procedere della narrazione accanto al tempo veloce della guerra
se ne incrocia un altro, quasi a fare da contrappunto al primo: è il
tempo degli affetti che trapela dall'annotazione dell'incontro con il
cugino, ma è soprattutto il tempo familiare scandito dal lavoro nei
campi.
• Anche in questo caso la ricorrenza è significativa: gli accenni che
appaiono in occasione delle brevi licenze sembrano in qualche
modo anticipare il ritorno alla vita "borghese" con cui si conclude il
diario.
• E' la possibilità di ricollegarsi a questa dimensione che potrebbe
assicurare all'individuo qualche forma di continuità con la propria
identità laddove non rimanga sospeso.
L’ESPERIENZA DI GUERRA
Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20)
A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995.
• In questo modello narrativo l'andirivieni tra la rappresentazione della
guerra codificata dalla memoria ufficiale e l'irrappresentabile della
morte, tra il fronte e il proprio ambiente di vita, esprime sul piano
dell'immaginario il conflitto tra la propria esperienza sui campi di
battaglia e la propria identità.
• Il racconto di Pietro Osella attraverso l'esperienza della guerra ci
parla anche di qualcosa di più profondo e destinato a durare nel
tempo, vale a dire dell'impatto della modernità sulla cultura
contadina. L'incontro con il processo di modernizzazione è allo
stesso tempo perdita e apparizione del nuovo: una modernità
dispiegata nelle sue valenze di spettacolo terrificante che provoca
sgomento e meraviglia, paura e stupore. L'intensità degli eventi
sonori e visivi in cui Pietro si trovò coinvolto dovette essere
superiore a ogni esperienza precedente.
L’ESPERIENZA DI GUERRA
Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20)
A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995.
• E la forza del loro impatto ci viene restituita con espressioni dense di
significati: "era sempre tutto acceso dai proiettili dei cecchini", le
"mitraglie che cantavano di continuo", che ci trasmettono le
sensazioni ambivalenti sollevate dal dirompere di una tecnologia
che avrebbe trasformato in modo irreversibile la propria percezione
della realtà.
• La guerra è dunque qualcosa di estraneo e che, tuttavia, modifica
radicalmente il proprio paesaggio mentale. Ed è lo stesso titolo che
quasi ce lo rivela inconsapevolmente: a distanza di cinquant'anni da
quell'esperienza per Pietro la I Guerra Mondiale continua ad essere
la "Grande Guerra", quell'evento periodizzante in seguito al quale
nulla sarebbe più stato come prima.
L’esperienza di guerra
• Il soldato in guerra deve sottostare ai rituali di passaggio nelle sue
tre fasi
• Il passaggio (liminare) è, nella letteratura come nella storia o nella
memoria del conflitto, una realtà concreta del conflitto che possiamo
rappresentare in modo semplificato con la vita nelle trincee
contrapposte con al centro il confine della “terra di nessuno”
• Le testimonianze del primo conflitto vanno a coincidere con un
ricordo costante dell’incombenza e dell’ossessione della terra di
nessuno (altre costanti esistono anche nel secondo conflitto)
• Altrettanto incombente ed ossessivo è l’ambiguità del singolo nella
sua fase di sospensione: in cui non è quello che era prima del
conflitto e non sa quello che sarà (se sopravviverà).
L’esperienza di guerra
• L’elemento trincea (una delle caratteristiche del conflitto)
contribuisce in modo determinante alla distruzione del vecchio
concetto di guerra come spettacolo del duello fra eserciti: l’invisibilità
del nemico (e le immagini diaboliche non-umane dell’ignoto), le
giornate trascorse con la terra e nella terra, un campo di battaglia
vuoto ma nello stesso tempi pieno di soldati e sovrastati da
un’onnipotente tecnologia
• Una situazione di margine che si evidenzia nel considerare il fronte
il luogo che dissolve la distinzione tra morte e vita
• La morte considerata un veloce passaggio tra vita e non-vita,
diviene un’esperienza continua ma anche il distacco ormai esistente
fra il sé precedente e il poi, ma anche fra il fronte e la patria
• Nessuna guerra precedente quella del 1914 ha travolto in modo così
radicale il significato e lo status di combattente
L’esperienza di guerra
• Eppure il passaggio liminare (che rimane sospeso fino al rientro
nella società) è una esperienza socializzante che si genera nella
guerra, ma anche un’esperienza di apprendimento diverso da
qualunque altro. Entrambi divengono inseparabili nel singolo e nella
collettività delle trincee
• Il cameratismo al fronte (che cancellava buona parte delle barriere
sociali in quanto si condivideva un destino comune in condizioni d
uguaglianza) rimase vivo nel dopoguerra fu tenuto ben distinto dagli
orrori del conflitto
• Tuttavia esperienza comunitaria e orrori vissuti sono i prodotti della
liminarità della guerra stessa che forniscono identità ai gruppi
• E’ un passaggio fondamentale per il dopoguerra. In Italia esperienza
di guerra e “trinceristi” divengono oggetto della ricerca del consenso
L’esperienza di guerra
• La Grande Guerra non fu un evento rituale ma un evento storico.
• Applicato meccanicamente il concetto di ritualità è portatore di una
terza fase, quella della riaggregazione in cui il singolo assume il
nuovo posto nella società.
• Secondo questo procedere la fase liminare, il passaggio, si
consuma e il soggetto del rito o il gruppo giunge ad un nuovo stato
stabile con diritti ed obblighi e con un comportamento in accordo
con norme e principi etici.
• Questo nel dopoguerra non accade in modo omogeneo,diffuso e
costante in tutti i reduci dei diversi eserciti
• Riti e simboli dei veterani continuarono a celebrare la liminarità e
l’esperienza di guerra costrinse il veterano in una posizione
difensiva nei confronti della società
L’esperienza di guerra
• Forse la natura e le caratteristiche della guerra ed il carattere
industriale della società impedirono la consumazione del passaggio
di riaggregazione del soldato con il suo ambiente di provenienza
• Mutò il soldato ma era cambiata anche la società: il reduce non
aveva un “posto” psicologico dove poter tornare
• Il veterano risultò così essere un “uomo bloccato” nella fase di
passaggio: la liminarità di guerra non fu risolta ma incessantemente
riprodotta e l’ex-combattente divenne una figura ambigua,
potenzialmente pericolosa per la società
• Inizia allora, quella che potrebbe essere una fase di riaggregazione,
ma nei gruppi di ex combattenti, rivolta alla ricerca di un mondo e di
un uomo nuovo che potesse sovvertire anche quelle istituzioni che
avevano iniziato la guerra. Lungo questa direzione la storia si divide
fra paesi che ressero l’impatto ed altri che crollarono ma non solo
per l’esperienza di guerra
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Terra di nessuno - Università degli Studi di Teramo