Grande guerra realtà bellica, esperienza individuale e identità personale Il militarismo alla conquista delle nazioni Peso e influenza crescente del potere militare sui governi delle diverse potenze europee: – riarmo navale di Germania e Gran Bretagna – prolungamento di un anno della ferma militare in Francia – crescente pressione dell’industria pesante coinvolta nelle commesse militari da parte dello stato – preparazione di piani di attacco e di difesa militare da parte degli Stati Maggiori dei diversi eserciti nazionali ⇒ Piano Schlieffen (a partire dal 1905), piano dell‘esercito tedesco di attacco lampo alla Francia attraverso il Belgio, contro il pericolo di una guerra contemporanea su due fronti, occidentale e orientale Fine del pacifismo e affermazione del nazionalismo bellicista • Differenza tra nazionalitarismo e nazionalismo • Conferenze dell’Aja (1899 e 1907) per il disciplinamento della guerra – Mancata strategia internazionale di prevenzione di una guerra • Progressivo consolidarsi della divisione europea nei due differenti blocchi di alleanze: Triplice Alleanza e Triplice Intesa • “Strategia di rischio” e possibilità offerte da una eventuale guerra ai governi dei diversi paesi per risolvere seri problemi di politica interna Fine del pacifismo e affermazione del nazionalismo bellicista • Crescente sentimento revanscista antitedesco da parte francese e generale rafforzamento di un acceso nazionalismo nell’opinione pubblica dei vari paesi, in particolare anche alle frontiere dell’impero austroungarico • Debolezza delle forze antimilitariste: cattolici pacifisti e socialisti internazionalisti • Formarsi, sotto il richiamo nazionalista, di alleanze trasversali, comprendenti anche forze socialiste, per l’approvazione dei crediti di guerra proposti dai governi delle varie nazioni La guerra • Quando la guerra narrata, la guerra reale, la guerra ricostruita in funzione nazionali non coincidono con la realtà • Operai e contadini, ufficiali e soldati • Il concetto della “guerra moderna” e della “guerra totale” come diversità dall’800 • Quando la politica e la storiografia costruiscono un mito • Quando la prima guerra mondiale non è Sarajevo e nemmeno Caporetto La guerra • La realtà della guerra: il fronte interno, le donne, il sistema industriale • Le immagini, l’immaginario e la letteratura di guerra (memoria degli ufficiali, memoria dei soldati, l’ufficialità e il non-raccontato: le lettere dal fronte e i racconti durante le licenze) • La guerra come punto di definizione di una identità nazionale? • L’esercito, la mobilitazione industriale e il metodo di composizione dei reparti La guerra italiana: i numeri • • • • Italiani mobilitati: oltre 6.000.000 Italiani effettivi in uniforme: circa 5.000.000 Italiani al fronte (con avvicendamenti): circa 4.200.000 Provenienze: – – – – • • • • • • • Italia settentrionale – 48% Italia centrale – 23% Italia meridionale – 17% Isole – 10 % Classi di età mobilitate: dai nati nel 1874 a quelli nati nel 1900 Caduti: circa 650.000 di cui quasi 100.000 in prigionia e circa 7.500 giovani fra i 17 e i 18 anni Prigionieri: circa 600.000 Feriti: circa 1.000.000 (dato molto orientativo) Invalidi riconosciuti: circa 500.000 Vedove: circa 200.000 (dato molto incerto) Orfani: circa 400.000 (dato molto incerto) La guerra italiana: i numeri • Queste cifre danno idea dell’impatto del conflitto sull’intera comunità nazionale • Mai nulla di simile era accaduto nella storia italiana precedente e pre-unitaria • Sul fronte interno abbiamo: – Migliaia di operai militarizzati nella Mobilitazione Industriale – Migliaia di donne chiamate a coprire i vuoti derivanti dagli arruolamenti in lavori maschili – Migliaia le donne e i ragazzi immessi nell’industria bellica pesante e leggera – Indeterminabile il peso del lavoro femminile e giovanile nei campi cosi come nelle forme “a domicilio”. La guerra italiana • La vastità e profondità del rimescolamento rese gli italiani più simili fra loro: – Il contadino incontra il montanaro ed entrambi conoscono tecnologie, organizzazione industriale, artiglierie – Vissero immersi in contesti comunitari dove regnava la comunicazione orale – Abituati ad esprimersi in dialetto dovettero costruire un linguaggio reciprocamente comprensibile – Quasi sempre partirono analfabeti, tornarono con una minima conoscenza del leggere e dello scrivere; imparati per preservare la propria vita (i dispacci e gli ordini) e per comunicare con la famiglia (quasi sempre partendo dal proprio ufficiale di complemento o dal sottufficiale o dai pochi che sapevano scrivere) La guerra italiana • La popolazione (in armi e civile) fu investita nel suo insieme da un “processo forzoso di italianizzazione” destinato a lasciare un’impronta durevole perché avvenuto in condizioni di estrema emergenza emotiva. • Questi processi di mobilitazione e di trasformazioni antropologiche e culturali, non sfociarono tuttavia né in una crescita della coesione nazionale, né del sentimento di appartenenza. • Furono la prima esperienza modernizzazione e dell’industria di nazione, nel secolo della La guerra italiana • La contrapposizione sociale esistente prima del 1914, i contrasti sull’entrata in guerra, la vittoria della minoranza interventista provocarono una crescita di instabilità che, continuando a salire negli anni del conflitto, si sommò alle tendenze autoritarie ed ai fenomeni di brutalizzazione imposti dalla guerra e dagli strumenti di repressione (censura, decimazioni, carcere militare etcc.). • La mancata rielaborazione postbellica, l’incapacità di cogliere le espressioni di una società di massa, il mancato riconoscersi (a sinistra e a destra) nello stato liberale, gettarono le premesse della deriva fascista. • Una sovversione fascista – ed è questo forse l’errore compiuto con l’ingresso nel conflitto – cui le istituzioni non risposero perché, pur vincendo, non avevano retto il confronto bellico, risultando essere le vere sconfitte. La condizione dei soldati al fronte • Si può escludere che, al di là della retorica ufficiale, in tutti gli eserciti, i soldati fossero convinti degli ideali patriottici (con qualche eccezione nei primi mesi di guerra e non su tutti i fronti), così come non fu sufficiente la costrizione disciplinare. • Si proseguì a combattere – per una solidarietà tra i compagni vicina al sentimento dell’onore; – per una sorta di rassegnazione, perché non si poteva fare altrimenti e perché, dopo i primi entusiasmi e il successivo scoraggiamento, subentrò la rassegnazione – una terza ragione è indicata dallo psicologo sociale, esperto del comando supremo dell’esercito italiano, Agostino Gemelli: lo choc e la violenza totale cui veniva sottoposto il soldato in trincea, regrediva in uno stato di disorientamento e di passività, garantendo una sorta di obbedienza “automatica” e provocando l’inibizione della volontà autonoma. La condizione dei soldati al fronte • Tutto ciò comunque non esclude il ruolo della costrizione, come emerge dalle lettere e dalle testimonianze, né il fatto che numeri significativi di soldati si ribellarono e tentarono con ogni mezzo (dalla renitenza alla diserzione fino all’autolesionismo) di sottrarsi alla morte. • Centinaia di migliaia furono, nel solo esercito italiano, i processi dell’autorità militare per atti di insubordinazione, abbandono dei reparti • A essi vanno aggiunti: – – – – – – – oltre 100.000 processi per renitenza alla leva 370.000 per sottrazione agli obblighi militari a carico di emigranti 60.000 a civili per reati militari. Reato di diserzione: 162.000 denunce, 101.000 condanne Reato di mutilazioni volontarie:15.000 denunce, 10.000 condanne Reato di resa/sbandamento di fronte al nemico: 8.500 denunce, 5.300 condanne Condanne a morte eseguite: 4.048 Scheda Uomini Contro • Nel corso della prima guerra mondiale, i soldati del generale Leone, dopo aver conquistato, lasciando sul terreno tremila caduti, una cima considerata strategicamente indispensabile, ricevono l'ordine di abbandonarla. Poi l'ordine cambia: occorre che la cima venga di nuovo tolta al nemico. Gli austriaci, però, vi si sono saldamente insediati e la difendono accanitamente con due mitragliatrici. • Gli inutili assalti, nemmeno protetti dall'artiglieria, si susseguono volta una strage tra gli attaccanti. Stanchi di essere mandati al generale tanto incompetente, quanto stupidamente esaltato, una inscena una protesta: il generale Leone ordina, come risposta, decimazione. • Costretti ad uccidere o ad essere uccisi da uomini come loro, vittime dello stesso mostruoso ingranaggio, i soldati italiani, in gran parte ex contadini, rivolgono la loro fiducia a quei pochi ufficiali - come i tenenti Ottolenghi e Sassu - che giudicano quella e tutte le guerre come inutili stragi. Ma il primo muore, nel tentativo di impedire il massacro dei suoi uomini, mentre Sassu viene condannato alla fucilazione per essersi opposto a un ordine iniquo di un suo superiore. provocando ogni massacro da un parte dei soldati di punirli con la Scheda Uomini Contro • Liberamente ispirato al romanzo di Emilio Lussu "Un anno sull'Altipiano", (Pubblicato per la prima volta nel 1938 questo libro ripercorre le esperienze vissute dal Tenente Lussu, della mitica Brigata Sassari (i “Diavoli Rossi” per gli Austriaci), scritte di suo pugno a guisa di “diario di bordo”, durante la navigazione in acque particolarmente tempestose. • Lussu si riserva qualche imprecisione storica, dovuta perlopiù alla concitazione con cui scrisse queste sue memorie, e alla successiva rivisitazione parecchi anni dopo, nonché il diritto di utilizzare nomi di fantasia per descrivere le gesta di personaggi che parteciparono realmente all’azione • si tratta di un lungometraggio di chiara impronta pacifista e antiautoritaria, che mette alla luce la follia della guerra. La guerra che Lussu descriveva non era una guerra di popolo, era una guerra con delle logiche di classe molto forti • Il film narra la vicenda di moltissimi degli oltre 600.000 caduti della prima guerra mondiale, mandati con le sole baionette all'assalto di mitragliatrici nemiche o finiti davanti al plotone di esecuzione per decimazione (un uomo ogni dieci per reprimere ogni tentativo di ammutinamento). Scheda Uomini Contro • Non manca un certo cameratismo della truppa, una ridicolizzazione voluta dei Comandi e della loro aristocraticità, contrapposta alla semplicità e alle inflessioni dialettali dei soldati-contadini. • Da ricordare l'episodio delle pinze, quello delle corazze e quello della feritoia 14, nonché quello dell'esecuzione camuffata. • Francesco Rosi insistendo sulla spontanea alleanza che durante la "grande guerra" si formò tra soldati che spesso non sapevano leggere e scrivere e ufficiali di molte letture e di altrettanti tormenti, non fa che levare via le incrostazioni retoriche depositate nei capitoli dei libri scolastici riguardanti il conflitto 1915-18. • L'occasione gli consente (cosa che non si comprese alla prima uscita del film) di dire qualcosa, anche di sgradito, sulle pratiche della repressione che si credeva di poter rimuovere a suon di slogan. • Il regista, Francesco Rosi, fu denunciato per vilipendio all'esercito, quindi assolto in istruttoria. Il film venne boicottato e addirittura ritirato dalle sale. Oggi, fortunatamente, è stato riscoperto da alcune televisioni nazionali. Terra di nessuno • Fra il 1914 e il 1918 la grande guerra produsse mutamenti profondi sia sul piano politico, economico, sociale e culturale, sia sul piano privato, riguardante le coscienze individuali. • La sensibilità e il mondo interiore di coloro che parteciparono direttamente all’esperienza di guerra vennero scardinati: – il soldato della grande guerra, costretto per la prima volta dal predominio della tecnologia a una guerra prolungata e statica, vede frantumarsi la propria identità in una disgregazione destinata ad avere pesanti ripercussioni nel dopoguerra. Terra di nessuno • All'interno della propria personalità il soldato al fronte vede scavarsi una sorta di “terra di nessuno” psicologica; • I giorni trascorsi in trincea alimentano in lui nevrosi, claustrofobie: – la figura dell'aviatore che domina il progresso bellico rappresentato dall’aereo diviene, per il soldato recluso nel sottosuolo, colui che può dominare il teatro di guerra, facendosene spettatore privilegiato. • Eric J.Leed trasforma l’ “evento guerra” : non più solo storia politica o militare, ma anche immaginario, emozioni, memoria. Terra di nessuno • L’impostazione ci offre un esempio storiografico che sonda l’inesplorata dimensione di modernità del primo conflitto mondiale: – “individuare e precisare il modo in cui un evento storico di prima grandezza possa aver contribuito alla definizione peculiare del moderno”. • Costituisce uno studio estremamente interessante e documentato sugli effetti che la prima guerra mondiale produsse nell'ambito interiore delle coscienze individuali e sugli sconvolgenti mutamenti che l'esperienza bellica apportò a livello della psiche e del comportamento sociale di quanti si trovarono a condividere la terrificante esperienza della vita di trincea sul Fronte Occidentale, tra il 1915 e il 1918. • Questa metodologia di ricerca non si ferma al conflitto ma consente di leggere con chiavi interpretative nuove nel dopoguerra, in quegli anni che congiungono i due conflitti e – particolare – nella piena entrata in gioco delle masse con tutte le conseguenze politiche e sociali che ne derivano negli equilibri di potenza interni ed esterni Terra di nessuno • Milioni di uomini compresero che combattere e morire, lungi dall’eroismo e lealtà di una volta, significava: – – – – – anonimato, estraniamento, sradicamento dal mondo dei civili, sensazione di partecipare a un evento che cambierà irreversibilmente la storia inaugurare un’epoca che, analogamente alla guerra, sarebbe stata dominata dal primato della tecnica, delle gerarchie repressive e dalla mobilitazione delle masse. • Stava maturando in loro (e nella società postbellica) la consapevolezza che “la distruzione tecnologica e la produzione industriale erano immagini speculari l’una dell’altra”. • Comportamenti che ricaddero nel dopoguerra “scaricando” i loro effetti in quella crisi dello stato, della società e dell’economia ottocentesca spazzati via dal conflitto. Terra di nessuno • Si tratta di un testo molto “denso”, sicuramente di non facilissima lettura, che si avvale degli apporti interdisciplinari della antropologia, della psicologia, della sociologia e dell'indagine clinica, ma la cui fonte primaria è costituita dalla ricca memorialistica e diaristica personale dell'epoca, nonché dalla vasta produzione letteraria d'argomento bellico. • Non si tratta di un'indagine sulle nevrosi da combattimento (anche se a tale argomento viene dedicato un apposito capitolo), bensì di un approfondito viaggio scientifico ed esplorativo dentro i miti, i valori, gli istinti e le pulsioni che dapprima indussero milioni di giovani a indossare l'uniforme e poi gettarono l'umanità in quello che fu il primo vero e proprio “olocausto industrializzato” della Storia. Terra di nessuno • E' indubbio che nell'agosto del 1914 l'Europa visse una fase di vera e propria “ipnosi collettiva” • la guerra (“sola igiene del mondo” come recitavano i futuristi) venne salutata da milioni di francesi, di inglesi, di tedeschi e di austro-ungarici – come un momento epico di purificazione e di rinnovamento individuale – come “dissoluzione della propria identità personale – come trascendenza del privato – come rottura delle barriere che preservavano il loro egoismo sociale”. Terra di nessuno • Al di là delle ragioni nazionalistiche e patriottiche, Leed sostiene che ad accendere le polveri del primo conflitto mondiale concorsero senz'altro la percezione e l'unanime l'aspettativa che solo la guerra potesse dischiudere l'accesso a un mondo di ideali superiori • Una nuova era dove i concetti del dovere, dell'onore, dell'egualitarismo, dell'ordine e della disciplina avrebbero permesso di rifondare una società alternativa a quella borghese, mercantilistica e industriale; • Una società diversa, basata su una più vera e reale solidarietà umana e sul superamento di tutti quei limiti convenzionali che imprigionavano l'identità personale entro soffocanti categorie di classe, di censo e di educazione. Terra di nessuno • Ma questa grande illusione collettiva, che rispondeva a profonde e spesso irrazionali istanze inconsce individuali, s’infranse nel momento esatto in cui la situazione strategica vide il netto prevalere della guerra di posizione su quella di movimento. • Il mondo d’ogni soldato si ridusse all'informe microcosmo della trincea, ogni suo sforzo fu focalizzato alla semplice preservazione della propria sopravvivenza, ogni sua necessità si ridusse all'espletamento di poche essenziali necessità primordiali. • All'euforia, all'entusiasmo, all'eroismo personale subentrò in ogni combattente la terrificante consapevolezza della propria assoluta impotenza innanzi alle spaventose capacità distruttive gettate in campo dal progresso industriale e tecnologico: l'artiglieria, la mitragliatrice, il filo spinato, i gas asfissianti spogliarono la guerra di ogni sua maschera romantica e avventurosa. Terra di nessuno • La dimensione e le atrocità del primo conflitto sconvolsero ogni prospettiva personale creando nell’individuo una sorta di dissociazione, di alienazione, sia nei confronti del proprio “io” sia nei confronti dell'intera società civile. • I reduci dal fronte, sia vincitori sia perdenti, erano stati tramutati in individui irrimediabilmente tagliati fuori dal proprio passato e dal proprio vissuto • Uomini che avevano trascorso interminabili periodi di terrore e di regressione istintuale, imbarbariti dalla quotidiana intimità con la morte e con la violenza e dunque incapaci di riconciliarsi sia con se stessi, sia con quella civiltà che, in un qualche modo, li aveva sfruttati, strumentalizzati e infine inappellabilmente disillusi. Terra di nessuno • Uomini il cui unico appiglio affettivo era costituito dal ristretto circolo di commilitoni con i quali avevano condiviso i medesimi patimenti e i medesimi sacrifici e con i quali, a volte, avevano sperimentato una spontanea e orgogliosa fratellanza in armi. • Fu proprio a partire dall'amara scoperta della colossale ipocrisia sottostante a quel mondo di valori per i quali avevano sofferto e combattuto che una certa parte dei reduci prese a covare dentro di sé i semi di quell'odio e di quella disperata necessità di rivalsa compensativa che, per certi versi, spianò la strada al totalitarismo nazista e alla dittatura fascista in Italia. Riti di passaggio • Uno dei punti nodali della ricerca di E.J.Leed deriva dall’applicazione nella metodologia e nella riflessione storica dei cosiddetti “riti di passaggio” (E.J.Leed, Terra di nessuno; E.J.Leed, La mente del viaggiatore). • Una classe di fenomeni di origine antropologica studiati e definiti come tali da Arnold Van Gennep (etnologo ed antropologo francese nato in Germania da una famiglia olandese). Riti di passaggio • Nel 1909 Van Gennep pubblicò “I riti di Passaggio”, che portò al centro dell'attenzione questi aspetti comportamentali e codificati nelle diverse culture europee ed extraeuropee, proponendone un'acuta analisi strutturale • Van Gennep osservò durante i suoi studi l'esistenza di tre stadi: – separazione (fase pre-liminare - che separa dalla condizione precedente) ad esempio il “funerale” – transizione/margine (fase liminare - limen significa confine - che si attraversa durante la condizione di marginalità), ad esempio il “fidanzamento” – reintegrazione (fase post-liminare - che aggregano l’individuo al nuovo ambiente) ad esempio il “matrimonio” • Nello stesso contesto, il rito è riconosciuto tale per tre importanti caratteristiche – la convenzionalità, ovvero segue un preciso ordine di gesti e atti; – la ripetitività, ovvero il continuo ripetersi all'interno di un tempo definito ciclico (somiglianza delle cerimonie che si svolgono nei più svariati gruppi umani) – l'efficacia, ovvero l'avvento di qualcosa che modifica lo status di una persona; Riti di passaggio • Benché applicato forse con eccessiva automaticità, lo schema ancora adesso mostra la propria validità – attraverso il metodo comparativo, che permette di rintracciare l’identità profonda nei riti delle più disparate culture e religioni – di procedere - come nel nostro caso alla definizione di elementi e rituali fortemente identitari, di fronte ad un evento storico traumatico, periodizzante e omogeneizzante. – di individuare forme rituali nel tempo libero, nello sport, nel viaggio, nel turismo Riti di passaggio • Successivamente Victor W.Turner (Glasgow, 1920/1983), sviluppando le osservazioni di Van Gennep, ha individuato come il rito affondi le sue radici nel “dramma sociale”. • Radici che – permettono di rilevare quelle strutture dell'esperienza nei processi concreti della vita sociale, – consentono a chi osserva di adottare una prospettiva basata non più sulla descrizione statica degli eventi, ma una capace di considerare le singole individualità che operano materialmente e simbolicamente all'interno di un contesto, i cui valori e punti di riferimento sono in continua mutazione. Riti di passaggio - Van Gennep e Turner • Questo metodo permette di analizzare ogni sequenza del cerimoniale osservato, indagando sulla consequenzialità e dunque sulla precisa successione dei fatti, dando rilievo al contesto socio-ambientale in cui il rito avviene, dunque contestualizzandolo – Durante la fase di separazione, si delimitano le dimensioni spazio-temporali del rituale stesso e si concretizza in modo manifesto l'attitudine comportamentale necessaria allo svolgimento del rito: tutto questo è fondamentale affinché possano essere riconosciuti i protagonisti attivi e passivi dell'evento. Riti di passaggio - Van Gennep e Turner – è inoltre funzionale alla seconda fase, quella della transizione, definita da Van Gennep e da Turner col termine “margine” o “limen” (da cui liminarità): da questo momento in poi i soggetti rituali vivono una condizione di ambiguità per cui non sono più ciò che erano ma neanche ciò che saranno. Questa concezione della marginalità è talmente importante da costituire un rituale a sé, in cui vengono ridefiniti i caratteri identitari degli iniziati. – Il terzo momento condensa le due fasi precedenti stabilendo, attraverso un insieme di segni e comportamenti, l'avvenuta trasformazione e reintegrando i protagonisti all'interno della società. Per Van Gennep, non tutti i rituali presentano un equilibrio tra questi tre momenti; i rituali di fidanzamento, ad esempio, privilegiano la seconda fase mentre quelli di matrimonio danno particolare valore al momento aggregativo. Terra di nessuno • Il soldato che entrò nella grande guerra varcò una soglia ….. un limite … al di là del quale la sua vita non sarebbe stata più la stessa • Il cambiamento di status si manifestò attraverso un nuovo nome, piuttosto che un nuovo modo di vestire o addirittura attraverso segni corporali che identificavano immediatamente la nuova condizione di appartenenza (simbolismo e ritualismo degli ex-combattenti). • Abbiamo quindi due concetti da tener presente: quello di separazione (dalla realtà quotidiana ma anche dalla vita ordinaria in termini di esperienze individuali e collettive) e quello di margine (o liminarità; l’attraversamento di un limen al di là del quale riconoscersi in “un altro sé” e riconoscere “altri” come il nuovo sé stesso, quindi … “identificarsi”) Miti e Simboli • I primi a far uso di simboli nell'età moderna non furono i totalitarismi rapportabili al nazismo o al fascismo. Già durante la Prima Guerra Mondiale si faceva uso dei simboli, anche se lo scopo non era quello politico come avverrà in seguito, ma era un bisogno più inconscio e meno studiato. Durante la Grande Guerra si incominciò a mettere la croce anche sulle tombe di caduti non cristiani, la croce era diventata l'emblema dell'eroe. La natura e l'uomo, che rappresentavano lo sgomento della morte, furono appaiati a segni di speranza. La natura era il sinonimo di malinconia, autenticità e sacrificio in tempo di guerra; l'albero e il bosco, che erano i "portavoce" della natura innocente e della vita, si prestarono benissimo per nascondere i cimiteri e per ricoprire i desolati campi di battaglia. La natura con la sua vitalità poteva mascherare morte e distruzione, con il suo silenzio e la sua quiete di pace poteva contrapporsi alla devastante guerra. DATI STATISTICI SULLA GRANDE GUERRA, Caduti, Prigionieri, Dispersi e Feriti degli Alleati-Intesa Allea tiIntes a Russia Francia Gran Bretagna Italia Romania Usa Serbia Belgio Portogal lo Grecia Giapp one M 2,000,000 1,400,00 900,000 650,000 335,000 126,000 45,000 13,000 7,200 5,000 300 PD 2,500,000 537,000 192,000 600,000 80,000 45,000 153,000 35,000 12,300 1,000 3 F 4,950,000 4,266,00 0 2,090,212 947,000 120,000 234,000 133,000 45,000 14,000 21,000 907 DATI STATISTICI SULLA GRANDE GUERRA, Caduti, Prigionieri, Dispersi e Feriti degli Alleati-Intesa DATI STATISTICI SULLA GRANDE GUERRA, Caduti, Prigionieri, Dispersi e Feriti degli Imperi Centrali Imperi Centrali Germania AustriaUngheria Turchia Bulgaria M 1.800.000 1.200.000 325,000 90,000 PD 1.152.000 2.200.000 250,000 27,000 F 4.216.058 3.620.000 400,000 152,000 DATI STATISTICI SULLA GRANDE GUERRA, Caduti, Prigionieri, Dispersi e Feriti degli Imperi Centrali Costo complessivo conflitto italiano • Il Ministero del Tesoro annunciò nel 1930 che la cifra definitiva, complessiva anche dei trattamenti postbellici del costo del primo conflitto mondiale era stata di 148 miliardi di lire, una somma doppia a quella delle spese complessive dello Stato Italiano fra il 1861 e il 1913 (ANCORA SOTTOSTIMATO) L’ESPERIENZA DI GUERRA Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20) A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995. • Per affrontare il concetto di esperienza di guerra partiamo da un diario di un contadino italiano. • Leggere un testo significa in primo luogo riconoscerne l'organizzazione interna, le relazioni tra detto e non detto, tra parola e silenzio. • Pietro partito a 19 anni per la guerra, non ci dice nulla della sua vita precedente né di quella successiva al conflitto. L'esperienza della partecipazione al primo conflitto mondiale ci viene presentata come messa tra due parentesi, tra una partenza e un ritorno. Una struttura narrativa che allude alla percezione di aver vissuto in due mondi assolutamente incommensurabili tra di loro. L’ESPERIENZA DI GUERRA Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20) A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995. • E' dunque la contraddizione che si apre tra le proprie appartenenze, il proprio mondo mentale, i luoghi abituali della vita civile e il campo d'azione del combattente a proporsi come uno degli assi centrali di significato attorno a cui si articola la memoria. • Introducendo il momento della propria partenza per il fronte Pietro scrive:"ma purtroppo è venuto il giorno 21 marzo 1917, ho dovuto anch'io partire per il fronte...". L'uso del verbo "venire" solo apparentemente allude a una relazione di semplice posterità, esprimere invece un’estraneità di fronte all'improvviso accadere degli eventi. • La guerra si rivela come una circostanza che recide ogni relazione intercorrente tra l'esperienza del singolo e lo scenario sociale che in precedenza ne garantiva legittimità e significato. L’ESPERIENZA DI GUERRA Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20) A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995. • La tensione tra la soggettività dell'individuo e il mondo esterno è sottoposta a un effetto di teatralizzazione, in relazione a un contesto in cui gli uomini videro annullate le possibilità di controllo su eventi che minacciavano le loro esistenze. • E' infatti significativo che questa struttura narrativa compaia in tutti i passaggi fondamentali del diario: "viene il 24 agosto 1917", "Ora a questo punto viene il 24 ottobre 1917", "purtroppo viene la mattina del 15 giugno 1918" "mentre viene il 10 luglio". • Nell'impossibilità di collocare la propria esperienza in un contesto che permetta di renderla coerente, il racconto assume come principio ordinatore la successione cronologica dei fatti. L’ESPERIENZA DI GUERRA Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20) A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995. • L'impressione di un evento che acquista un'autonomia e una dinamica distinta dalle intenzioni di coloro che vi concorrono fu certo ampliata dalla particolare condizione in cui si trovarono a combattere milioni di uomini, costretti tra l'immobilità passivizzante e la tensione psichica prodotta dal pericolo. • Le scritture epistolari o diaristiche scritte in contemporanea agli avvenimenti insistono sulla dimensione della guerra di trincea come un tempo vuoto, in cui l'attesa amplifica paure e inquietudini • La tensione si traduce in velocità, nel mutare veloce degli scenari e delle azioni. • Il ritmo del tempo si sradica dalle matrici tradizionali della vita contadina fondate sulla ciclicità giovinezza/vecchiaia, notte/giorno, tempo di lavoro/tempo di riposo. L’ESPERIENZA DI GUERRA Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20) A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995. • La dilatazione e la scomposizione delle coordinate spazio-temporali in cui si situano le azioni del soggetto si esprime in un susseguirsi di sequenze di immagini: le esplorazioni notturne, i bombardamenti, le lunghe attraversate, la massa degli sfollati, la terra bruciata, i corpi senza nome abbandonati sul campo di battaglia. • Attraverso queste immagini sembra esprimersi la dimensione più lacerante dell'esperienza della guerra, l'altra faccia del racconto ritmato da sconfitte e vittorie militari codificato dalla memoria ufficiale. • Esse prendono il posto del racconto, tese ad esprimere l'indicibile della guerra, quell'esperienza liminare tra vita e morte. • A distanza di molti anni ciò che rimane come un marchio indelebile nella memoria del soggetto è il senso di angoscia: fantasmi di un’esperienza che si possono ritrovare, sublimati e depurati, nel culto dei caduti. L’ESPERIENZA DI GUERRA Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20) A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995. • Nel procedere della narrazione accanto al tempo veloce della guerra se ne incrocia un altro, quasi a fare da contrappunto al primo: è il tempo degli affetti che trapela dall'annotazione dell'incontro con il cugino, ma è soprattutto il tempo familiare scandito dal lavoro nei campi. • Anche in questo caso la ricorrenza è significativa: gli accenni che appaiono in occasione delle brevi licenze sembrano in qualche modo anticipare il ritorno alla vita "borghese" con cui si conclude il diario. • E' la possibilità di ricollegarsi a questa dimensione che potrebbe assicurare all'individuo qualche forma di continuità con la propria identità laddove non rimanga sospeso. L’ESPERIENZA DI GUERRA Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20) A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995. • In questo modello narrativo l'andirivieni tra la rappresentazione della guerra codificata dalla memoria ufficiale e l'irrappresentabile della morte, tra il fronte e il proprio ambiente di vita, esprime sul piano dell'immaginario il conflitto tra la propria esperienza sui campi di battaglia e la propria identità. • Il racconto di Pietro Osella attraverso l'esperienza della guerra ci parla anche di qualcosa di più profondo e destinato a durare nel tempo, vale a dire dell'impatto della modernità sulla cultura contadina. L'incontro con il processo di modernizzazione è allo stesso tempo perdita e apparizione del nuovo: una modernità dispiegata nelle sue valenze di spettacolo terrificante che provoca sgomento e meraviglia, paura e stupore. L'intensità degli eventi sonori e visivi in cui Pietro si trovò coinvolto dovette essere superiore a ogni esperienza precedente. L’ESPERIENZA DI GUERRA Pietro Osella: UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA Diario (1916-20) A cura di V.Careglio e L.Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995. • E la forza del loro impatto ci viene restituita con espressioni dense di significati: "era sempre tutto acceso dai proiettili dei cecchini", le "mitraglie che cantavano di continuo", che ci trasmettono le sensazioni ambivalenti sollevate dal dirompere di una tecnologia che avrebbe trasformato in modo irreversibile la propria percezione della realtà. • La guerra è dunque qualcosa di estraneo e che, tuttavia, modifica radicalmente il proprio paesaggio mentale. Ed è lo stesso titolo che quasi ce lo rivela inconsapevolmente: a distanza di cinquant'anni da quell'esperienza per Pietro la I Guerra Mondiale continua ad essere la "Grande Guerra", quell'evento periodizzante in seguito al quale nulla sarebbe più stato come prima. L’esperienza di guerra • Il soldato in guerra deve sottostare ai rituali di passaggio nelle sue tre fasi • Il passaggio (liminare) è, nella letteratura come nella storia o nella memoria del conflitto, una realtà concreta del conflitto che possiamo rappresentare in modo semplificato con la vita nelle trincee contrapposte con al centro il confine della “terra di nessuno” • Le testimonianze del primo conflitto vanno a coincidere con un ricordo costante dell’incombenza e dell’ossessione della terra di nessuno (altre costanti esistono anche nel secondo conflitto) • Altrettanto incombente ed ossessivo è l’ambiguità del singolo nella sua fase di sospensione: in cui non è quello che era prima del conflitto e non sa quello che sarà (se sopravviverà). L’esperienza di guerra • L’elemento trincea (una delle caratteristiche del conflitto) contribuisce in modo determinante alla distruzione del vecchio concetto di guerra come spettacolo del duello fra eserciti: l’invisibilità del nemico (e le immagini diaboliche non-umane dell’ignoto), le giornate trascorse con la terra e nella terra, un campo di battaglia vuoto ma nello stesso tempi pieno di soldati e sovrastati da un’onnipotente tecnologia • Una situazione di margine che si evidenzia nel considerare il fronte il luogo che dissolve la distinzione tra morte e vita • La morte considerata un veloce passaggio tra vita e non-vita, diviene un’esperienza continua ma anche il distacco ormai esistente fra il sé precedente e il poi, ma anche fra il fronte e la patria • Nessuna guerra precedente quella del 1914 ha travolto in modo così radicale il significato e lo status di combattente L’esperienza di guerra • Eppure il passaggio liminare (che rimane sospeso fino al rientro nella società) è una esperienza socializzante che si genera nella guerra, ma anche un’esperienza di apprendimento diverso da qualunque altro. Entrambi divengono inseparabili nel singolo e nella collettività delle trincee • Il cameratismo al fronte (che cancellava buona parte delle barriere sociali in quanto si condivideva un destino comune in condizioni d uguaglianza) rimase vivo nel dopoguerra fu tenuto ben distinto dagli orrori del conflitto • Tuttavia esperienza comunitaria e orrori vissuti sono i prodotti della liminarità della guerra stessa che forniscono identità ai gruppi • E’ un passaggio fondamentale per il dopoguerra. In Italia esperienza di guerra e “trinceristi” divengono oggetto della ricerca del consenso L’esperienza di guerra • La Grande Guerra non fu un evento rituale ma un evento storico. • Applicato meccanicamente il concetto di ritualità è portatore di una terza fase, quella della riaggregazione in cui il singolo assume il nuovo posto nella società. • Secondo questo procedere la fase liminare, il passaggio, si consuma e il soggetto del rito o il gruppo giunge ad un nuovo stato stabile con diritti ed obblighi e con un comportamento in accordo con norme e principi etici. • Questo nel dopoguerra non accade in modo omogeneo,diffuso e costante in tutti i reduci dei diversi eserciti • Riti e simboli dei veterani continuarono a celebrare la liminarità e l’esperienza di guerra costrinse il veterano in una posizione difensiva nei confronti della società L’esperienza di guerra • Forse la natura e le caratteristiche della guerra ed il carattere industriale della società impedirono la consumazione del passaggio di riaggregazione del soldato con il suo ambiente di provenienza • Mutò il soldato ma era cambiata anche la società: il reduce non aveva un “posto” psicologico dove poter tornare • Il veterano risultò così essere un “uomo bloccato” nella fase di passaggio: la liminarità di guerra non fu risolta ma incessantemente riprodotta e l’ex-combattente divenne una figura ambigua, potenzialmente pericolosa per la società • Inizia allora, quella che potrebbe essere una fase di riaggregazione, ma nei gruppi di ex combattenti, rivolta alla ricerca di un mondo e di un uomo nuovo che potesse sovvertire anche quelle istituzioni che avevano iniziato la guerra. Lungo questa direzione la storia si divide fra paesi che ressero l’impatto ed altri che crollarono ma non solo per l’esperienza di guerra